LUCI DELLA CITTA’
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I QUADERNI DI MICROCINEMA
© 2010 Microcinema s.p.a., Legnano (MI)
www.microcinema.eu
prima edizione
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I QUADERNI DI MICROCINEMA
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LUCI DELLA CITTA’
Un progetto sostenibile
per il cinema digitale italiano
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Prefazione dell’editore
Nell’accingerci a scrivere questa pagina di apertura al terzo Quaderno
di Microcinema dobbiamo innanzi tutto dare conto di alcune novità che
solo pochi mesi or sono non erano neanche all’orizzonte e che ora
sono già accadute, tutte assai liete e altrettanto promettenti.
Il fatto è che il network è molto cresciuto e sta continuando a farlo a
ritmi sostenuti, che Microcinema ha consolidato la sua leadership, che
la soddisfazione delle sale è palpabile (e solo questo basterebbe a dare
conto della soddisfazione di tutto il nostro gruppo di lavoro), che le
nostre proposte stanno allargando il loro orizzonte e la loro frequenza,
che continuiamo a essere più che certi delle nostre scelte tecnologiche,
che i progetti che abbiamo sul tavolo sono tutti di livello, dimensionati
e promettenti.
Insomma noi di Microcinema non nascondiamo la nostra soddisfazione
per quanto abbiamo alle spalle e – anche per questo – continueremo
ogni giorno, con grande entusiasmo e con crescente sicurezza delle
nostre infinite potenzialità, a dare alla società – poco o tanto che sia –
il meglio di noi stessi.
Vi è poi un altro fattore decisivo da menzionare. Si perché ci sono
robuste forze nuove che si sono schierate al nostro fianco, che hanno
creduto nella concretezza delle nostre prospettive e che sono entrate
nella compagine azionaria di Microcinema, cogliendo anche
l’opportunità che una Torino un po’ distratta (non solo, però, nel
nostro caso ed è anche storia antica) le ha offerto.
Guardandoci intorno ci accorgiamo che non siamo più dei pionieri, che
il mondo della distribuzione, dell’esercizio cinematografico come anche
quello della produzione, insomma che l’intero mondo del cinema sta
vivendo quei cambiamenti radicali. Solo a parlarne qualche anno fa, si
veniva accusati di essere nient’altro che purissimi visionari.
Dobbiamo invece rilevare che il mercato si è evoluto mostrando tutte
quelle positività che l’avvento del 3D ha portato con sé. Occorrerà
peraltro riferire delle criticità.
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C’è stata l’esplosione dell’offerta e della fruizione dei contenuti
complementari, un’offerta che è destinata ancora a crescere nei
prossimi anni e a cui anche la domanda sta fornendo risposte
decisamente incrementali.
E poi non solo è ormai in pista l’invio dei DCP – i film in formato DCI –
via satellite, un canale distributivo che Microcinema utilizza da quattro
anni, ma anche molto altro.
Insomma il mondo del cinema sembra voler recuperare in pochi anni
oltre un secolo di sostanziale sonnolenza tecnologica.
Dal canto nostro manteniamo anche per il 2011 un traguardo che può
essere, come sempre, riassunto nelle tre parole della nostra visione:
sostenibilità, flessibilità, interoperabilità. In un momento in cui le
suggestioni e le istanze si moltiplicano e con esse si delineano sempre
più spesso offerte che, a conti fatti, risultano vere e proprie trappole
tecnologiche, Microcinema ha fatto della trasparenza e della chiarezza
la sua bandiera.
Questo Quaderno di Microcinema non pretende di enunciare delle
verità; vuole come sempre essere uno spunto, offrire una particolare
angolazione ad una riflessione serena e a un dibattito consapevole che
permettano ai produttori, ai distributori e agli esercenti di valutare la
reale portata della rivoluzione digitale per effettuare scelte consapevoli
e sostenibili. E speriamo di avere raggiunto il nostro obiettivo.
Il Quaderno quest’anno è suddiviso in quattro sezioni.
La prima, Luci della città, che consegna il titolo a tutto il Quaderno,
affronta l’evoluzione, negli anni, della sala cinematografica con le sue
implicazioni sociali e culturali nella nostra vita, il cinema come “luogo”
d’incontri e di emozioni. Si parla del cinema e della sua funzione
centrale di agorà che, a nostro parere, giorno dopo giorno diviene più
importante. Dopo i periodi difficili degli anni passati tutti sembrano
diventarne consapevoli. Speriamo di aver dato e continuare a dare il
nostro contributo, certamente piccolo, ma, con la necessaria
presunzione per affrontare i cambiamenti, riteniamo efficace. Questa
sezione è stata realizzata con Franco Del Campo, una scelta fortunata.
La seconda, Microcinema, affronta tematiche più pratiche legate
all’idea centrale del nostro lavoro: il sostegno all’esercizio, alla
distribuzione, alla produzione e quindi al pubblico. Un progetto che si
evolve ogni anno adeguandosi alle mutazioni del mercato. In questa
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sezione abbiamo analizzato il mercato italiano con il rigore oggettivo di
sempre e raccontiamo quanto accade nei mercati più lontani dei quali
nessuno ci riporta. Microcinema “is always on the move”.
La terza sezione è dedicata alle storie positive di alcune sale, Il Cinema
Ritrovato. Abbiamo voluto dare un senso concreto alle nostre filosofie
sempre espresse in tutti i quaderni. Una dimostrazione che esiste una
nuova via, che possiamo percorrere tutti insieme. La sezione termina
con un intervento che sottolinea un particolare aspetto del linguaggio
cinematografico: il suo spessore, la sua permanenza, la sua universale
quotidianità.
Chiude il libro, da sempre accolto con grande favore da tutto il nostro
pubblico, il Dizionario essenziale che è stato, come in ogni Quaderno,
aggiornato e integrato.
Anche questo Quaderno viene stampato in 7.500 copie, come i due
precedenti che sono, ormai da tempo, completamente esauriti. Un
segno che, anche nella sua microscopica area editoriale, Microcinema è
in controtendenza e, con nostro grandissimo compiacimento, stampa
tirature di tutto rispetto.
Speriamo che anche quest’anno il successo si ripeta.
Buona lettura e buon cinema a tutti.
Per illustrare Luci della città la nostra scelta quest’anno è caduta sulle luci
rigorose, sul raffinato tessuto compositivo e sull’inarrivabile ricchezza cromatica
di Paul Klee. Speriamo che i nostri lettori condividano la nostra scelta e le
emozioni che porta con sé.
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Introduzione
Voglia matta di cinema
di Franco Del Campo
Chissà perché, chi era giovane a metà degli anni Sessanta, ha sentito il
bisogno, anzi, la voglia matta di cinema. Forse perché il cinema ci
sembrava ancora “moderno”, raccontava storie, ci faceva imparare ed
indignare, ci divertiva e qualche volta ci annoiava (ma non era
politicamente corretto ammetterlo, almeno fino all’urlo liberatorio di
Fantozzi). E così, una generazione che pensava e sperava di cambiare
il mondo, è andata al cinema per riempirsi di immagini in movimento,
di parole e di musica.
Tutto questo, adesso, fa parte di una identità comune che – al di là
delle diverse scelte politiche e culturali – non può essere infranta. Ma
come è successo questo innamoramento collettivo per il cinema?
Ognuno ha la sua storia, la sua esperienza, il suo percorso individuale,
ma l’amore per il cinema non si è incrinato. Nel mio caso si è trattato
quasi di un amore clandestino, fatto di fughe dalla piscina in cui mi
allenavo con la speranza di arrivare alle Olimpiadi. Poi, dopo tanta
fatica e chilometri e chilometri nuotati ogni giorno, è arrivata
l’università, la passione per la storia, la filosofia, il giornalismo. E prima
ancora sono arrivate – primo italiano nella storia del nuoto – due finali
olimpiche, nei 100 e 200 dorso, a Città del Messico nel 1968.
Adesso l’antica fatica è (quasi) scomparsa, il cloro si è asciugato sulle
palpebre, quelle fughe clandestine per andare a rifugiarsi nella
penombra lampeggiante di qualche sala sono solo un ricordo, ma
l’amore per il cinema è più forte che mai…
Cinema e cloro (*)
Ho visto una quantità di film con gli occhi impregnati di cloro e i capelli
umidi anche in inverno. Il giovedì mi concedevo un'unica infrazione alla
disciplina che mi ero imposto e scappavo cinque minuti prima del solito
dalla piscina. Saltavo le lunghissime docce calde che seguivano
normalmente gli allenamenti, piene di chiacchiere e di barzellette, di
pensieri e progetti rivolti alle ragazze e alle gare future; mi vestivo in
fretta e furia senza quasi asciugarmi e partivo con il mio vespino 50
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verso il Cineforum che mi aspettava. Arrivavo sempre un po' in ritardo,
quando le luci si erano appena spente, così mi risparmiavo le raffinate
analisi cinefile che anticipavano la proiezione e mi guardavo il film in
modo diretto ed "ingenuo" (quasi come adesso) accontentandomi di
seguire la storia e guardare le immagini. Spesso in sala mi aspettava
una ragazza che mi teneva il posto e mi portava la merenda-cena, che
mangiavo affamato più silenziosamente possibile. Per trovarla dovevo
indovinare il suo posto nella semioscurità, tra le lacrime dovute all'aria
fredda della corsa in vespa e al cloro dell'acqua della piscina che mi era
rimasto attaccato alle palpebre umide. Ma quando mi sedevo, vicino al
suo corpo caldo, sprofondato nella sottile emozione di un film che altri
avevano scelto per me, sentivo un senso di appagamento e di felicità
che è quasi irripetibile. Sergej Ejzenstejn, Luis Buñuel, Rossellini,
Pasolini, Stanley Kubrick, Ingmar Bergman, Akira Kurosawa: erano
questi i registi "obbligatori" in quegli anni, che mi sono entrati dentro
gli occhi e la testa, goccia a goccia, fotogramma dopo fotogramma, in
quelle fredde serate d'inverno grazie alla voglia di immagini e di storie
che solo i Cineforum riuscivano a saziare. Qualche volta ho sofferto
come una bestia, più spesso ho goduto con pienezza estetica, qualche
volte tutte e due le cose insieme, ma quei film sono diventati una parte
importante del mio immaginario, del mio modo di vedere le cose e di
pensare al tempo e allo spazio, inevitabilmente relativi nella pluralità
dei punti di vista (come ci ha mostrato, didatticamente, "Rashômon" di
Kurosawa). Nonostante l'urlo irriverente e liberatorio di Fantozzi,
quando rivedo nella mia testa (anch'io, al cinema, non ne posso più) la
carrozzina della "Corazzata Potëmkin" che scende le scale gradino
dopo gradino, continuo ad emozionarmi. Invece ho sempre guardato
"Ottobre" con un misto di ammirazione e diffidenza, perché mi hanno
sempre fatto una certa impressione le immagini in cui i bolscevichi,
dopo aver dato l'assalto decisivo al Palazzo d'Inverno (assalto che, in
fondo, non era stato un gran ché, visto che era difeso da un distratto
battaglione femminile) distruggono centinaia di bottiglie di champagne
nelle cantine dell'imperatore, annunciando un inquietante pauperismo
egualitario (anche se recenti documenti rivelano che Lenin, a pochi
anni dalla rivoluzione d'ottobre, si fece ordinare segretamente una
lussuosa Rolls Royce). Nonostante le infinite dispute barocche degli
intellettuali di sinistra, le immagini di Max von Sydow che gioca a
scacchi con la Morte, oppure che sradica un albero per sfogare la sua
rabbia di padre offeso dalla morte della figlia, per me rimangono
irraggiungibili. Mi ricordo, invece, con sgomento "I disperati di Sandor"
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di Miklos Jancsò, che per i critici sarà stato bellissimo, ma ha un piano
sequenza che dura almeno un quarto d'ora (questa è stata la mia
percezione di allora, perché mi sono ben guardato da andarlo a
rivedere per cronometrare) lungo, lungo, lungo un lungo muro bianco,
che ci ha stroncato tutti. In quegli anni è stato soprattutto Pasolini,
diverso, strano e fastidioso con quella poesia su studenti e poliziotti, a
riempirmi gli occhi e la testa. Il "Vangelo secondo Matteo" ha costruito
dentro di me, ormai sulla strada di diventare religiosamente laico e
sommessamente ateo, l'immagine prediletta di Gesù di Nazareth, forte,
umano e severo, al tempo stesso ebreo, palestinese ed universale.
"Uccellacci e uccellini" mi ha mostrato la gioiosa follia francescana,
sempre in bilico con l'eresia di chi voleva imitare semplicemente il suo
dio fatto uomo. "Edipo Re" ha aperto per la prima volta – meglio di
qualsiasi libro – una finestra su un mondo classico terribile ed eterno.
"Teorema", invece, che ho visto a Milano poche ore prima di partire
per Città del Messico, mi ha lasciato freddo, forse perché la crisi di
quella famiglia borghese mi era lontana, straniera e sconosciuta.
(*) tratto da “disciplinaliquida” edizioni Ibiskos, di Franco Del Campo
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Paul Klee - Cold City (1921), particolare.
LUCI DELLA CITTA’
di Franco Del Campo
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Luci della città
di Franco Del Campo
Cinema e lucciole (nel senso di Pasolini…)
Inquinamento e modernità.
Il cinema è destinato a fare la fine delle lucciole di Pasolini?
Sembrerebbe proprio di sì.
Nell’ormai lontano 1975 Pier Paolo Pasolini, scrittore, regista, poeta e
polemista, in uno dei suoi “scritti corsari” parlava della scomparsa delle
lucciole – quelle vere, i piccoli insetti magicamente luminosi nelle calde
serate d’estate – con trattenuta nostalgia.
“Nei primi anni sessanta – scriveva in un articolo, che in realtà parlava
di tutt’altro – a causa dell'inquinamento dell'aria e, soprattutto, in
campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le
rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il
fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole
non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del
passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può
riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più
avere i bei rimpianti di una volta)”.
L’inquinamento, quindi, dovuto a una modernità spesso dissennata ed
indifferente, ha fatto scomparire le lucciole e con esse tanti pezzi di un
mondo al quale Pasolini (e forse non solo lui) era affezionato.
Quell’“inquinamento” non era solo tecnologico, ma anche – e forse
soprattutto – sociale e culturale.
Adesso sembrerebbe che anche le piccole e grandi luci che si
accendono nell’oscurità dentro i cinema, siano destinate a spegnersi.
Più le piccole che le grandi, ma il fenomeno è egualmente inquietante.
Forse pochi – rispetto al grande pubblico – se ne sono accorti e forse
sono ancora meno coloro che si sono chiesti il perché di una lenta ed
apparentemente
inesorabile
chiusura
di
tantissime
sale
cinematografiche, piccole e grandi, anche di quelle all’aperto, che
costavano pochissimo e permettevano a chi abitava intorno di
guardarsi ogni sera un film, gratis, stando alla finestra o seduti sulla
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piccola terrazza (i cinema all’aperto erano più diffusi nei quartieri
popolari).
Tantissimi cinema – come le lucciole – si sono spenti, giorno dopo
giorno, e noi abbiamo continuato a passare distratti in quelle strade, in
quei viali, in quelle piazze, senza dare troppa importanza a quello che
stava accadendo, tanto ci saremmo andati, forse la settimana dopo, al
cinema un po’ più in là. Così tante sale cinematografiche che facevano
parte del nostro spazio quotidiano sono scomparse, sono diventate
“altro”, poco importa se banche, supermercati o pizzerie, e nella nostra
memoria scatta solo un leggero nostalgico disagio quando vediamo
una vecchia (in realtà nemmeno troppo vecchia) fotografia che ce li
ricorda proprio all’angolo della strada che continuiamo a percorrere.
Aristotele al cinema.
Giorno dopo giorno, per andare al cinema, abbiamo dovuto fare
sempre più strada, prendere la macchina e poi, se da quelle parti non
era facile parcheggiare, forse non era nemmeno il caso di fare tanta
strada e si poteva restare a casa, anche perché quasi di sicuro ci
sarebbe stato qualche film alla televisione (e va bene anche se lo
abbiamo visto 4 o 5 volte e non ci è mai piaciuto tanto).
Così sono scomparse le lucciole. Negli ultimi anni sono state chiuse
centinaia di sale cinematografiche, da tempo sono scomparse le
“maschere”, che con le loro tenui lampadine (vere e proprie lucciole da
cinema) ti aiutavano a trovare un posto libero, e solo gli addetti ai
lavori o i vecchi appassionati sembrano soffrirne, anche perché per i
giovani il fenomeno quasi non esiste, perché il mondo è sempre stato
come sembra in questo istante e quelle sale per loro non sono mai
esistite. Eppure il fenomeno non è né irrilevante né – forse –
irreversibile. Anche le lucciole, come ci hanno raccontato recentemente
gli esperti, sono ricomparse, nonostante l’inquinamento, qua e là,
anche se pochi le hanno viste davvero.
La chiusura di tanti cinema – macinati dentro la logica inesorabile dei
conti economici – non è irrilevante, per la nostra identità, per il nostro
modo di essere e di comportarci, a livello individuale e sociale.
I film – ci dicono sempre gli esperti – possono esistere anche senza il
cinema, senza la sala, piccola o grande o multipla, dentro il quale si
proietta. Il mercato e la tecnologia, a quanto pare, hanno separato il
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film dalle sale e hanno reso la sua fruizione sempre più privata e quindi
sempre più piccola, ridotta alla dimensione di uno schermo televisivo o
di computer e adesso addirittura alla “piccolezza” di telefonino. Eppure
il film senza la sala cinematografica, piccola, grande o multipla, è
un’altra cosa.
Cinema e film sono nati l’uno per l’altro, da quando in quella prima sala
buia e chiusa e forse scomoda (il 28 dicembre 1895 a Parigi al Grand
Café sul Boulevard des Capucines), il primo treno si è avventato
incombente e fumante, sugli spettatori terrorizzati. Ma quando i
presenti in sala si sono accorti di aver scampato il pericolo e che quel
fantasma di treno cinematografico non li avrebbe mai investiti, perché
era solo un’immagine geniale e giocosa, hanno scoperto un nuovo
mondo per emozionarsi e divertirsi. Dentro quella sala, e solo dentro
quella sala, era possibile immaginare, sognare, identificarsi,
spaventarsi, innamorarsi e lasciarsi, morire e resuscitare, senza
rischiare troppo. Aveva già previsto tutto Aristotele, quando ci ha
raccontato i meccanismi della fruizione della tragedia greca, fatta di
identificazione e purificazione (di catarsi), che però poteva funzionare
solo se si partecipava ad un rito collettivo, aperto a tutta la polis,
donne comprese.
Anche il rapporto tra film e cinema ha bisogno di Aristotele, ha bisogno
di un rito collettivo, certo più ridotto, ma – a suo modo – civile e
“politico”.
Un rito civile e collettivo.
Per chi ama ancora andare al cinema il rito deve essere celebrato con
un ritmo almeno settimanale (versione laica di quello che le religioni
del Libro considerano il giorno da dedicare al Signore, shabbat,
domenica o venerdì). Ma per andare al cinema nessun giorno è
obbligatorio e poi non c’è alcun sacerdote che detiene il privilegio della
sacralità e decide – per noi – quando e cosa si deve fare e dove si
deve andare.
Ogni volta il rito del cinema si rinnova e si fonda su una scelta
informata, spesso “contrattata” (ne hai sentito parlare? conosci il
regista o l’attore? ti piace il genere?) con i propri compagni di viaggio
(un viaggio verso il cinema si conclude ed inizia con l’arrivo alla sala
più vicina). Inutile ricordare a chi ama il cinema, l’irripetibile
coinvolgimento di quelle immagini grandi che ci sovrastano e ci
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possiedono, quell’andare al cinema per una scelta motivata e curiosa,
sempre piena di una sottile emozione per l’aspettativa di un piccolo
piacere quasi erotico, per quel possesso reciproco – tra noi e il film –
dentro la penombra della sala.
Poche esperienze, come andare al cinema, sono tanto personali quanto
collettive.
Al cinema possiamo essere soli con noi stessi, concentrati dentro i
nostri occhi e le nostre orecchie, ma quasi sempre siamo anche con
qualcun altro, il nostro compagno o compagna, amico o amica, moglie
o marito, fidanzato, amante. Qualche volta capita che durante
l’intervallo – momento prezioso per riconquistare la nostra identità
originaria rispetto alla “fuga” dalla realtà raccontata dal film – quando
riaccendono le luci, riconosciamo tra il pubblico qualche amico che ha
fatto la nostra stessa scelta e in quell’istante lo sentiamo più vicino, e
forse ci sentiamo anche un po’ in colpa perché non lo abbiamo
chiamato prima per condividere la stessa decisione, ma possiamo
sempre recuperare nel “dopocinema”.
Al cinema nessuno ci è estraneo.
E se per caso siamo andati al cinema da soli, intorno a noi c’è sempre
qualche sconosciuto, che però – ormai – non può più essere
considerato completamente un estraneo.
Al cinema, dentro la stessa sala, non ci sono mai degli estranei. Forse
nell’oscurità indoviniamo a malapena se sono uomini o donne, vecchi o
giovani, ma non sono più completamente degli estranei per il semplice
fatto che sono seduti vicino a noi (ma va bene lo stesso anche se sono
qualche posto più in là), proprio in quel momento per vedere proprio
quel film. Sconosciuti ma non estranei, con i quali abbiamo condiviso,
senza saperlo, la stessa scelta che ci farà vivere una piccola e analoga
esperienza della quale avremmo potuto parlare, commentare, ridere o
piangere (certo, anche piangere, tanto, finché le luci sono spente,
chissenefrega…).
E poi, quando le luci si riaccendono, è quasi inevitabile guardarsi
intorno per riemergere alla realtà, alzarsi – qualche volta a malincuore,
altre volte con sollievo – e cercare con lo sguardo chi ti stava vicino,
forse sconosciuto ma non più estraneo, con una sottile e timida
complicità. Appena fuori dalla sala, sulle scale, ma ancora dentro il
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cinema – chissà per quale piccolo miracolo sociale – continuiamo a
condividere una sorta di intimità tra sconosciuti che non sono più
estranei. Si tratta solo di pochi secondi, ma dentro la sala
cinematografica
possiamo
scambiare
qualche
parola,
un
aggrottamento di ciglia, una smorfia o un sorriso, con dei perfetti
sconosciuti, che però non sono più degli estranei per il semplice fatto
che… siamo andati insieme al cinema…
E così, anche se forse pochi se ne sono accorti, il cinema, quello che si
va a guardare dentro sale piccole o grandi, immerse nella penombra,
piene di lampi e di immagini, ci rende meno estranei gli uni agli altri.
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Cinema e televisione “totalitaria”
L’ora del destino.
All’improvviso, nel 1954, arriva la televisione in Italia. E tutto cambia.
Non subito, poco alla volta, ma succedono cose incredibili, senza
precedenti: milioni di uomini, donne, vecchi e bambini, si ritrovano “in
sintonia” nello stesso istante, a guardare ed ascoltare per divertirsi la
stessa “cosa”, senza bisogno degli ordini, della violenza o della
fascinazione di qualche dittatore che riempiva le piazze con milioni di
persone.
La televisione è un’altra “cosa” (“cosa”, secondo George Orwell, è la
parola preferita dalla neolingua in “1984”). Niente di violento. Il
televisore, anzi, entra nelle case italiane nei primi anni Cinquanta quasi
in punta di piedi, ma viene fatto accomodare subito in salotto, in
posizione strategica, dove tutti possono vederlo, e poi si può
accendere e spegnere – almeno così si crede all’inizio – quando si
vuole.
La televisione viene accolta con gioia ed emozione perché rappresenta
la parte buona della modernità (la parte cattiva era la bomba atomica)
che ci racconta il mondo, le partite di calcio, il Giro d’Italia e addirittura
– appena nata – le splendide Olimpiadi di Roma (1960), che ci fanno
conoscere e anche rispettare in tutto il mondo, senza dover dichiarare
guerra a qualcuno, grazie alle imprese di Livio Berruti e del Settebello
della pallanuoto.
E poi, soprattutto, la televisione ci fa “divertire”, ci tiene compagnia e
diventa il “passatempo” preferito di un tempo ormai svuotato.
All’inizio sembra che non ci sia alcun conflitto tra cinema e televisione,
o comunque niente che non si possa risolvere con un po’ di buon
senso.
Un nuovo modo per sognare.
Nel 1955 l’Italia sta vivendo ancora in pieno “neorealismo” e le facce
degli italiani erano ancora quelle mostrate da Rossellini, De Sica,
Visconti, Germi, Lattuada. Ma il pubblico, affamato di novità, quasi
subito si accorge e si affeziona a un giovane italoamericano che li fa
sognare. Mike Bongiorno e “Lascia o raddoppia?” (prima trasmissione
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sabato 26 novembre 1955) riempiono l’Italia – secondo il parere di
Vittorio Veltroni, autorevole dirigente Rai delle origini – “di sogni, di
speranze, di buone intenzioni”. L’inizio, forse, non è folgorante, ma
ben presto la televisione, che allora veniva vissuta ancora
collettivamente, con tutta la famiglia e anche con gli amici e con chi
nel condominio ancora non poteva permettersela e veniva ospitato in
salotto, diventa concorrenziale con il cinema. I gestori di sale
cinematografiche si accorgono che il sabato subiscono un drastico calo
delle frequenze e naturalmente la “colpa” è di Mike Bongiorno, delle
sue domande, in realtà assai difficili e rivolte a degli esperti della
materia, che avevano pochi secondi o al massimo un minuto di alta
tensione per rispondere. Non si vinceva tantissimo, rispetto ad oggi,
ma a quei tempi gli italiani erano assai più poveri, più ignoranti e pieni
di speranze (al massimo, se si aveva il coraggio di raddoppiare e la
bravura di rispondere correttamente, si vincevano 5 milioni, ma il
premio di consolazione era una Fiat 1200). “Lascia o raddoppia?” e la
televisione, comunque, stavano per diventare un concorrente
insuperabile per il vecchio cinema.
Un compromesso impossibile?
All’inizio – tra cinema e televisione – fu tentato un compromesso,
spostando la trasmissione di Mike Bongiorno a metà settimana, in un
più innocuo giovedì (dal 16 febbraio 1958), sempre alle ore 21.00, oggi
si direbbe in prima serata (ma a quei tempi c’era solo quella di serata,
poi arrivava la notte e bisognava andare a dormire, perché il giorno
dopo ci si doveva alzare presto per andare a lavorare, e non si capisce
bene come si faccia oggi). L’ultimo compromesso, vagamente
umiliante per chi ama il cinema, fu la decisione dei gestori delle sale
cinematografiche di mettere dei televisori in sala e interrompere i film
per trasmettere la puntata di “Lascia o raddoppia?”. In teoria non
avrebbe dovuto esserci competizione tra quei televisori piccoli piccoli,
in bianco e nero, lontani e quasi invisibili, rispetto alla potenza
visionaria dello schermo gigante e già a colori. Nei fatti, invece, per il
cinema fu l’inizio di una sconfitta che sembrava e sembra inesorabile.
Per un po’ molti continuarono ad andare al cinema al giovedì perché
non potevano permettersi il televisore in casa, ma poi divenne
praticamente obbligatorio averne almeno uno per famiglia, e poi, con il
boom economico e il “benessere”, anche in cucina e in camera da letto
e chissà dove.
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Nello stesso anno in cui esplode “Lascia o raddoppia?” nelle case degli
italiani, i biglietti venduti al cinema sono 819 milioni, negli ultimi anni il
numero dei biglietti “staccati” oscilla tra i 105 e i 115 milioni all’anno,
mentre il numero delle sale in Italia era quasi 16.000 ed oggi superano
di poco i tremila.
Per capire quello che, a partire dagli anni Cinquanta, succederà in
Italia tra una decina d’anni (dalle parti del ’68) non si può prescindere
dal fatto che la televisione entra con soffice determinazione
nell’immaginario degli italiani e come conseguenza fa perdere tanto
pubblico al cinema. Ma attenzione, ad abbandonare le sale
cinematografiche è stato soprattutto un pubblico anziano e poco colto.
I giovani di allora, quelli che avevano alla fine degli anni Cinquanta tra
i 15 e i 24 anni e che erano destinati a continuare a studiare e a
diventare più ricchi e colti dei loro padri (e forse anche dei propri figli),
non tradiscono i cinema, non abbandonano le sale della penombra,
dove ci si può innamorare ma guardare anche un bel film, colto e
raffinato oppure di avventura e divertente, poco importa, tanto la
nuova cultura di massa sta mescolando generi e pubblici: tra Vittorio
De Sica e Guy Hamilton, tra “Matrimonio all’italiana” e “Missione
Goldfinger” (entrambi del 1964) non c’era e non c’è alcuna
contraddizione (salvo che per i rispettivi integralisti).
Il cinema ci ha insegnato la libertà e il piacere della contaminazione dei
generi. Abbiamo imparato che ci si può divertire tanto con la comicità
surreale di Totò, quanto con l’onirica poesia di Fellini, ammesso che ci
siano delle sale che li proiettino e ci permettano di saltellare, qua e là,
alla ricerca del nostro film preferito, senza dover aspettare che ce li
“regali” qualche improbabile palinsesto televisivo. Ma non si tratta solo
di nostalgia per “mostri sacri” come Totò o Fellini, perché è sempre più
difficile – se non si coglie l’istante – vedere anche i film più recenti, che
scappano subito via e non rimane che il DVD o – se va bene – la
televisione.
La “fenomenologia” consumata.
L’aspirazione totalitaria della televisione, come detto, non è per niente
feroce, anzi si presenta come morbida e suadente. Chi potrebbe
arrabbiarsi con quell’elettrodomestico tanto disponibile, che ha avuto
per tanti anni la faccia e i modi cortesi di Mike Bongiorno? Anche
Umberto Eco, che aveva scorticato il presentatore italoamericano nella
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famosissima “Fenomenologia di Mike Bongiorno”, alla fine, si è pentito.
Il perfido ed allora giovane semiologo aveva scritto: “[…] Mike
Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno
di istruirsi. […] In compenso Mike Bongiorno dimostra sincera e
primitiva ammirazione per colui che sa. […] professa una stima e una
fiducia illimitata verso l’esperto. […] Mike Bongiorno parla un basic
italian. Il suo discorso realizza il massimo di semplicità. Abolisce i
congiuntivi, le proposizioni subordinate, riesce quasi a rendere
invisibile la dimensione sintassi. Evita i pronomi, ripetendo sempre per
esteso il soggetto, impiega un numero stragrande di punti fermi. […]
Non è necessario fare alcuno sforzo per capirlo” (“Diario minimo”,
1961). Tutto il contrario degli “eroi”, grandi ed impossibili, che si era
abituati ad ammirare, da lontano, dentro i film. E poi Eco continuava:
“[…] Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di
raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello. Nessuna
religione è mai stata così indulgente coi suoi fedeli. In lui si annulla la
tensione tra essere e dover essere. Egli dice ai suoi adoratori: voi siete
Dio, restate immoti” (ibidem).
Difficile resistere alla tentazione di sentirsi “un dio” senza fare troppa
fatica rispetto a qualcuno che ti parla e ti guarda da dentro quella
scatola magica. Eppure, anche chi si era deliziato, con implicita
superbia intellettuale, leggendo quel saggio urticante, ha provato,
dopo quasi mezzo secolo, una struggente nostalgia per quella
televisione in bianco e nero, che non alzava mai la voce, che sorrideva
senza volgarità e aveva il volto di Mike Bongiorno, che ha guidato
l’irresistibile ascesa della televisione a scapito del cinema. Ma il
“merito” della vittoria televisiva non è tutto suo.
La televisione fa male al cinema?
Negli anni Settanta e Ottanta la televisione si trasforma radicalmente,
conquista il colore, si rompe il monopolio pubblico della Rai e si
moltiplicano le reti “commerciali” (pur in un regime di “duopolio”
pubblico/privato). La televisione, in particolare quella nuova,
scintillante e “privata”, utilizza la forza e il fascino del cinema per
agganciare fasce di pubblico sempre più ampie. Un pubblico che, piano
piano, diventa sempre più pigro, si dimentica il piacere di scegliere e di
andare al cinema, diventa sempre più disponibile a guardare “quello
che passa il convento”, seduto comodamente in poltrona, illudendosi
25
che il telecomando, inventato da Robert Adler nel lontano 1956 e
successivamente perfezionato per diventare senza fili, fosse una sorta
di bastone del comando o fiaccola della libertà di scelta, mentre era e
rimane soprattutto una sorta di guinzaglio che ci lega al televisore.
Ma non si può dire che la televisione faccia male al cinema.
La televisione può essere considerata un “moltiplicatore di visioni”, che
mette a disposizione di un pubblico potenzialmente vastissimo migliaia
di titoli (anche se in lenta decrescita negli ultimi anni: erano 5.308 titoli
nel 2000 e 4.087 nel 2006, prevalentemente di produzione straniera e
in particolare statunitense). Nel 2006 sono circa tre miliardi e mezzo,
infatti, le presenze generate dalla messa in onda di film dalle reti
generaliste e presumibilmente negli anni successivi la media è rimasta
simile1.
Ma tutto scorre. Negli ultimi anni il cinema (o meglio il film) in
televisione si è spostato prevalentemente sulle tv a pagamento e –
come se non bastasse – ora viene rapidamente soppiantato nel gusto
del pubblico dai serial, spesso di alta qualità, di carattere poliziesco ed
investigativo (l’archetipo può essere considerato CSI: Crime Scene
Investigation, giunto alla decima stagione), costruiti in modo specifico
e con grande dispendio di risorse per il “medium” televisivo. Alle volte
capita che serial di grande successo, come “Sex and the City” diventino
dei (veri) film, che concedono al loro pubblico televisivo una narrazione
più lunga e conclusa (ma siamo già al secondo film-episodio) da
consumare al cinema.
La televisione, quindi, “non fa male al cinema”, ma solo alle sale
cinematografiche, che non reggono la concorrenza della troppo
comoda poltrona casalinga e del telecomando. A rimetterci è quel
modo “antico” e prezioso di “andare al cinema”, di scegliere, di
muoversi, di stare insieme.
1
da un’analisi di Clelia Pallotta, esperta di comunicazione e docente al Politecnico di
Milano, su key4biz, 4 novembre 2007
26
Quando si spengono le “luci della città”
(cinema e territorio)
Una presunta modernità.
Sostiene Pennac: “All’interno di una comunità dove il piccolo
commerciante non esiste più, si spegne la comunicazione, c’è la
desertificazione dell’umanità…”. E lo stesso vale per i cinema. Daniel
Pennac, con la “sua” Belleville, dove vive il signor Malaussènne – oggi
quartiere multietnico di Parigi che era già stato protagonista della
resistenza popolare durante la Comune nel 1871 – ha raccontato un
mondo che non vuole scomparire e cedere alle leggi della nostra
presunta modernità. Vi immaginate Belleville senza un cinema?
Sarebbe l’estremo oltraggio alla fantasia, alla speranza e un cedimento
a una presunta modernità che vuole semplificare, omologare,
guadagnare sempre più denaro e risparmiare tempo, soprattutto quello
che normalmente viene dedicato al rapporto con gli altri esseri umani.
La chiusura di migliaia di sale cinematografiche nel corso degli anni
sembra l’inevitabile conseguenza di un processo globale, guidato dalla
inflessibile logica economica che punta alla continua compressione del
costo delle merci, alla continua ricerca del prezzo più “conveniente”,
naturalmente sempre e comunque a vantaggio del cliente, che così
potrà comprare sempre di più e vivere più felice e contento.
Naturalmente, poi, è difficile, quando ci concediamo il piacere dello
shopping, chiederci quanto vengono pagati quelli che producono merci
a prezzi così ridicolmente bassi, che – di certo – si romperanno quasi
subito, ma intanto ci hanno regalato il piacere vagamente bulimico
dell’acquisto (il valore d’uso è tutta un’altra storia).
Ma non chiudono solo le sale cinematografiche. Chiudono anche i
piccoli negozi sotto casa, le piccole librerie, i piccoli caffè, i fiorai, le
salumerie e le panetterie. Chiude tutto ciò che è “piccolo”, vicino e a
misura di essere umano. In compenso si aprono, spesso fuori città, i
megastore (cioè negozi per definizione giganteschi), che diventano
simulazioni del mondo, della vita, della città o del paese, ma dove tutto
è conveniente, almeno in apparenza, e a portata di mano (anche se
poi, alla fine, si finisce per comprare spesso il superfluo).
La conseguenza è che una miriade di piccoli negozi, di tutti i tipi,
chiudono e così spengono le loro luci che illuminavano – anche di
notte, con le loro vetrine – le strade delle nostre città, dal centro alla
27
periferia. Nel 2008, secondo uno studio della Confcommercio, nella
zona di Milano hanno chiuso più di 14.000 piccoli negozi.
Intere vie si sono spente, chi abita o passa da quelle parti si è dovuto
accontentare della luce fioca e lontana dei lampioni e gli esseri umani,
che non si sono mai rassegnati a diventare animali notturni, ma hanno
sempre cercato di allungare il giorno illuminando la notte, si sono
sentiti quasi abbandonati, più insicuri, incerti, tanto che è meglio non
uscire la sera e restare chiusi in casa, in compagnia della televisione. I
negozianti che si sono sentiti costretti a chiudere lo hanno fatto perché
non reggevano più la concorrenza dei “grandi”, perché gli affitti e le
tasse sono diventati sempre più pesanti, perché la crisi economica ha
colpito soprattutto i consumi popolari. Si compra sempre meno e si
cerca di risparmiare su tutto (anche sui sogni che può offrire il
cinema).
Quale “convenienza”?
Questa – dicono – è la logica del mercato. Ma è davvero così? Chi paga
i costi di un ambiente sociale ed urbano che si degrada a vista d’occhio
e che diventa più brutto, scuro ed insicuro? Chi paga le conseguenze di
una microcriminalità e di fenomeni di vandalismo sempre più diffusi,
che probabilmente emergono tanto dal disagio quanto dalla crisi
economica e dal dissolversi di luoghi, vecchi e nuovi, di incontro
sociale? Quei piccoli negozi che chiudono, quei fallimenti piccoli piccoli,
quelle luci che si spengono, non sono solo casi “privati”, ma fenomeni
sociali, che ci riguardano tutti, che pesano – da tutti i punti di vista –
sulla collettività. Davvero, allora, “conviene” non avere più il negozio
sotto casa, il cinema e la libreria in fondo alla strada, dove trovi
qualcuno che ti riconosce, ti sorride e ti consiglia? Davvero “conviene”
andare sempre nei megastore (con multisala incorporata) perché tutto
costa meno? Forse si dovrebbe fare davvero quattro calcoli e
ripensarci. E la “politica”, cioè la gestione della città, del territorio, della
polis, non dovrebbe pensare e progettare anche di questo,
collaborando e aiutando tanti “privati” che svolgendo la propria attività
(proprio come voleva Adam Smith) contribuiscono al bene comune?
In questa prospettiva, che non è particolarmente strana o
rivoluzionaria, ma banalmente “liberale”, che coniuga l’interesse
privato con il bene pubblico, i cinema, anche quelli più piccoli, come le
librerie, possono avere un ruolo tutto speciale. I cinema, come le
28
librerie, i piccoli caffè, e per estensione tutti i piccoli negozi, possono
essere considerati una sorta di “presidio del territorio”, luoghi reali e
sociali dove le persone – anche estranee – si incontrano,
inevitabilmente comunicano, qualche volta si sorridono e si
(ri)conoscono come appartenenti alla medesima comunità (e se
qualcuno viene “da fuori”, va bene lo stesso, tanto siamo andati
“insieme” allo stesso cinema, abbiamo bevuto un caffè, alla napoletana
o alla turca, e mangiato una pizza o un kebab).
Proprio se si fanno quattro conti, se si fa un ragionamento economico
e al tempo stesso politico, cioè se si pensa a come si spendono i soldi
di tutti, forse si scopre che una certa logica della “convenienza” di
breve periodo è troppo corta e non migliora davvero, sul medio e
lungo periodo, la qualità della nostra vita (la politica dovrebbe avere la
vista lunga e pensare proprio a questo).
Invece di abbandonare i cinema, piccoli e grandi, ma anche le librerie,
i caffè, le panetterie, i verdurai, i piccoli negozi, alla “legge del
mercato” (cioè alla legge del più forte, homo homini lupus, applicato
all’economia) la politica potrebbe creare condizioni per risparmiare
sulla sicurezza facilitando o favorendo la loro permanenza o il loro
ritorno. Non ci vuole molto.
Cinema vs “nonluoghi”.
In Francia il governo (non importa se di destra o di sinistra), con
cipiglio napoleonico, ha “obbligato ogni comune a tenere aperto
almeno un “cinema rurale”, come li chiamano là…” 2. Il ministro della
cultura francese ha annunciato che il Centre National du Cinéma et de
l’image animée (CNC) assegnerà nei prossimi mesi un aiuto alla
digitalizzazione che potrà coprire il 90% degli investimenti degli
esercenti in equipaggiamento digitale. Alla fine di aprile, 1038 dei 5470
schermi dei cinema francesi erano già equipaggiati per il digitale. Non
è facile trattenere una certa invidia, anche se – dentro questo strano
federalismo a singhiozzo – qualche cosa si muove. E’ il caso della
regione Friuli Venezia Giulia, nella quale l’assessore alla cultura ha
avviato l’esame di una proposta per “rivitalizzare le sale
cinematografiche di paese”. Speriamo e staremo a vedere. Intanto in
2
Il Giorno, pagina di Milano, 22/07/2010
29
Francia si sono dimostrati un po’ più attenti a non cedere a modelli di
importazione americana, di un mondo nel quale non esistono le piazze,
ma solo strade che vanno da est ad ovest o da nord a sud, perché
sembrano delle frecce puntate su uno spazio da conquistare. Da quelle
parti non è mai esistito il mondo classico delle polis con le preziose
agorà, dentro le quali è nato il nostro pensiero, logico e dialettico. E
non hanno nemmeno sperimentato il mondo – lontano nel tempo ma
vicino nello spazio che ancora frequentiamo – dei comuni medievali e
poi delle città rinascimentali che volevano essere “capitali” del territorio
circostante, con lo spazio sacro e profano, laico e religioso delle piazze
davanti al Comune e alla Cattedrale, dove ci si poteva incontrare,
parlare, pregare, fare affari e qualche volta giocare al calcio
(fiorentino) e spesso anche far baruffa (che, a proposito del calcio
fiorentino, era la stessa cosa).
La Francia, con i suoi grandi spazi e le campagne ricche ed estese, ha
privilegiato la tutela dei “cinema rurali”; l’Italia potrebbe pensare di
aiutare (se non di “obbligare”, come fanno in Francia) o almeno
rendere più facile la vita dei cinema di paese (ma in Italia anche il
paese più piccolo si sente “comune”) o dei “cinema di rione” o se si
vuole di contrada, o se si vuole di parrocchia (tanto per non rinunciare
alla dialettica tipicamente italica tra guelfi e ghibellini).
Forse è prematuro considerare il cinema, con le sue sale piccole,
grandi o multiple, rionali (ammesso che ne esistano ancora) o in centro
città, grandi come i teatri di una volta, come un pezzo di archeologia. I
suoi spazi non sono stati (ancora?) completamente demoliti e
dimenticati e soprattutto sostituiti da quelli che Marc Augé ha chiamato
“nonluoghi”.
Forse la “surmodernità”, teorizzata dall’antropologo/etnologo francese,
non ha ancora trionfato del tutto. Forse ci sono ancora pezzi
consistenti di umanità – di sicuro dalle nostre parti – che non si
rassegnano a vivere dentro una provvisorietà spaziale, nella quale
tutto è al tempo stesso indeterminato e rigidamente sotto controllo
(come nel caso delle telecamere nei supermercati che ci proteggono e
ci controllano).
Secondo Marc Augé, e secondo frammenti della nostra esperienza,
dovremmo essere destinati/condannati a frequentare sempre più dei
“nonluoghi”, dedicati al transito, al trasporto, al guardare per
comprare, al tempo libero (nel senso di svuotato). Nei “nonluoghi” ci
30
mettiamo volentieri e senza pensarci troppo – perché ci sembra
“normale” – in fila, in attesa che arrivi il nostro turno in base al nostro
numero, che poi si traduce nel denaro (solo apparentemente) virtuale
della carta di credito, vero passaporto della surmodernità. Ma non è
detto che questa visione apocalittica – per quanto plausibile – debba
necessariamente trionfare. Gli esseri umani, qualche volta, possono
sorprendere gli intellettuali troppo intelligenti (e quindi spesso troppo
pessimisti) e tradire le loro previsioni.
Cinema e storie.
Forse non siamo (ancora?) pronti a vivere e a rassegnarci
all’anonimato e al “paradosso del non luogo”.
Ricordiamo che cosa ha detto Marc Augè (1993): “paradosso del non
luogo: lo straniero smarrito in un Paese che non conosce (lo straniero
“di passaggio”) si ritrova soltanto nell’anonimato delle autostrade, delle
stazioni di servizio, dei grandi magazzini o delle catene alberghiere”.
Il cinema, con le sue sale piccole, grandi o multiple, potrebbe essere
considerato una sorta di argine o di rifugio contro l’anonimato e il
distratto smarrimento a cui qualcuno vuole condannarci.
Ma non è detto che ci si debba rassegnare. Dalle nostre parti, da
secoli, siamo abituati a cercare un “centro”, spaziale, urbanistico,
culturale, umano. Ci sentiamo davvero “stranieri” quando negli States,
che vogliono guidare il mondo anche a partire dalla costruzione del
suo/nostro immaginario, non troviamo la piazza, il nostro centro da cui
cerchiamo di ripartire per ricostruire la nostra interpretazione della
realtà, le nostre coordinate nello spazio e nel tempo. Il nostro “centro”
spaziale diventa tutt’uno con la nostra identità individuale, che si
intreccia con il tempo che abbiamo vissuto in un certo luogo,
direttamente da noi e da chi c’è stato prima di noi, e magari ce lo ha
raccontato.
Non è un caso se un pezzo, nemmeno troppo insignificante, della
nostra identità, almeno per quelli che sono vissuti nell’ultimo secolo, ce
la siamo costruiti dentro le sale cinematografiche.
Il cinema, quindi, come la piazza, è un luogo vero, un “centro” che ci
serve a costruire le nostre coordinate identitarie, per evitare di
diventare dei turisti per caso dentro la nostra quotidianità.
31
Dentro i cinema, meglio se non sono troppo lontani da casa, non
abbiamo solo sognato ma abbiamo anche vissuto tante vite degli altri,
senza farci e fare del male, che sono diventate “noi” e che
condividiamo con tanti altri (ed è sempre bello ed emozionante
scoprire quanti sono).
Il cinema, quindi, come “luogo” per eccellenza, a cui non possiamo
rinunciare. Il cinema, infatti, ci dà un senso e crea relazioni nello
spazio e nel tempo; è “storico” per definizione, se non altro perché ci
racconta e ci fa vivere tante “storie”.
32
Cinema e formazione
(non solo per i giovani…)
Il cinema è “sapiens”.
Proviamo a ricordare. Siamo diventati un po’ più “sapiens” da quando
ci siamo messi tutti attorno a un fuoco, un po’ per proteggerci e un po’
per farci coraggio, ed abbiamo iniziato a raccontarci delle storie. Non
era importante che fossero storie vere, ma che diventassero racconto
comune per costruire un immaginario condiviso, che avrebbe permesso
di affrontare il futuro con un po’ più di coraggio (o meno paura).
Quelle storie, probabilmente di caccia e di battaglie con altre tribù (le
donne comunicavano assai di più, ma su un altro canale), servivano
anche come modello ed esempio per i nostri cuccioli, che sarebbero
cresciuti in fretta e avrebbero dovuto far tesoro dell’esperienza degli
“anziani” (allora l’età media non arrivava ai 30 anni).
Con il cinema succede lo stesso. Grazie a un fuoco che brilla
nell’oscurità, dentro i nostri occhi scorrono storie di tutti i tipi, che ci
divertono e spaventano, che ci fanno viaggiare nello spazio e nel
tempo, che ci fanno entrare ed uscire dalla testa di tanti nostri simili.
E’ grazie alla narrazione, all’immaginazione e all’esperienza degli altri –
di quelli che sono più bravi di noi a raccontar storie – che impariamo.
Impariamo come si vive e si muore, come si ama e si odia, come si
combatte e come si scappa, e magari – sempre grazie a James Bond –
a quale temperatura si deve bere lo champagne e che il Martini va
mescolato e non agitato.
Ecco perché – e forse troppo spesso ce lo dimentichiamo – il cinema
ha una sua intrinseca e potente funzione formativa nella costruzione di
una identità più solida, articolata e dinamica, capace di “leggere”,
interpretare e godere di “testi” composti di immagini.
Qualcuno pensa che questo “ottimismo formativo” sia una pia illusione,
perché i giovani non sono più come quelli di una volta, viaggiano in
internet e non amano il cinema? Sbagliato. Lo stereotipo, suggerito dal
ricorrente pessimismo degli “anziani” nei confronti dei giovani
(probabilmente si tratta solo d’invidia) è demolito da numerose
ricerche che concordano su un dato: i giovani vanno al cinema più
degli adulti. Tra le tante, una ricerca su dati Istat del 2006, condotta
da Mario Morcellini, preside della facoltà di Scienze della
33
Comunicazione dell'Università di Roma, dimostra che i giovani sono
dediti a una “transumanza” mediatica, e se la televisione continua a
dominare, insidiata dalla flessibilità di internet, vanno più al cinema
degli adulti. Anzi, nel complesso, secondo Morcellini, i giovani negli
ultimi anni hanno intensificato il “consumo culturale” ed hanno
superato ampiamente gli adulti, salvo l’obsoleta lettura del giornale. "Il
giornale è di difficile fruizione – spiega Morcellini – e se non lo legge
l'adulto, non possiamo certo pretendere che lo faccia il ragazzo"
(62,9% contro il 29,5%), ma negli altri ambiti gli adulti finiscono in
fondo alla classifica. Il teatro lo frequenta il 29,7% dei giovanissimi
contro il 18,1 % degli adulti; i libri 53,6% contro 40%; il cinema
80,1% contro 45,7%; musei e mostre 43,4% contro 24,9%. Insomma,
per il mondo dei grandi una “débâcle culturale”. In realtà è una
débâcle del pessimismo nei confronti dei giovani, ma per chi ama il
cinema “sapiens” è un’ottima notizia, sulla quale merita lavorare.
Generazioni al cinema.
Il cinema aiuta a far comunicare generazioni diverse. I nostri figli e i
nostri nipoti possono vedere gli stessi film che ci hanno formato
quando avevamo la loro età (anche se l’effetto può essere diverso).
Possiamo anche vedere e rivedere vecchi e nuovi film con loro,
andando assieme al cinema, e provare a condividere (quasi) le stesse
emozioni, come se la differenza d’età (quasi) non esistesse. E’ una
magia rara, che qualche volta il cinema rende possibile. Ma il piccolo
miracolo non si innesca per caso e bisogna imparare la formula magica
fin da piccoli. Ecco perché i genitori dovrebbero ricordarsi di portare al
cinema i propri figli e i nonni i propri nipoti, come una volta si
raccontavano le favole e poi si insegnava a leggere e a scrivere, per
imparare a pensare e a sognare da soli (ma al cinema, se si vuole, si
sogna e si pensa anche con gli altri). Anche questo è un modo di
raccontare storie, di raccontarsi per conoscersi reciprocamente. Dai
cartoni animati alle storie di avventure, di guerra e di pace, dove i
buoni vincono e qualche volta invece no, ma che vanno bene per
grandi e piccoli, per giovani e vecchi.
Solo così la “voglia di cinema” (forse un po’ meno “matta” di qualche
decennio fa) può entrare in modo definitivo dentro gli occhi e le
orecchie dei nuovi giovani. Anche così si crea un filo sottile e prezioso
34
di complicità con qualcuno che ci è vicino per affetto e spesso
lontanissimo per anni d’età.
In pochi casi, come nel cinema, si possono condividere esperienze che
nessuno ha vissuto in prima persona, ma che ha solo visto e spesso
rivisto dentro una sala cinematografica. E’ una emozione rara poter
dire al proprio figlio o al proprio nipote “ti ricordi”, come se fossimo
stati commilitoni nello sbarco in Normandia (dal “Giorno più lungo” a
“Salvate il soldato Ryan”) o fossimo scivolati nell’”Era glaciale” o
avessimo guidato e danzato come folli assieme ai Blues Brothers, solo
perché abbiamo visto gli stessi film. Oppure, senza la mediazione di
qualche quiz televisivo, possiamo giocare con le citazioni e indovinare il
film dopo pochi fotogrammi. E’ un piacere raro. Provare per credere.
Cinema “metascolastico”.
E poi c’è la scuola. Il cinema, per la scuola, può essere una miniera
quasi inesauribile di immagini, di storie, di personaggi, di battaglie, di
exempla, raccontati e mostrati con gioia e passione invece che con
noia obbligatoria e rassegnata.
Si potrebbe partire dal cinema che possiamo chiamare
“metascolastico”, che fa un discorso sulla scuola, come modello di
formazione emozionante e coinvolgente.
Il primo che viene in mente – e l’unico che citerò – è “L’attimo
fuggente” (1989), di Peter Weir, film “pedagogico” per eccellenza, che
fa riflettere sul vero senso della scuola, anche se non tutti possono
permettersi il lusso o la fortuna di avere come docente il professor
John Keating (Robin Williams), che insegna ai suoi studenti l’avventura
di imparare a camminare da soli e a pensare con la propria testa, con
tutti i rischi che comporta.
C’è poi il tema della scuola come disciplina e conquista, dolorosa ed
affascinante, di un nuovo status, grazie alla passione “agonistica” che
divora “Billy Eliot” (scritto da Lee Hall e diretto da Stephen Daldry nel
2000), figlio di un minatore sconfitto, che supera tutti gli ostacoli
culturali e di classe e diventa una étoile della danza classica.
Ancora una nota: perché non mostrare – nell’ora di religione – a questi
nostri giovani, che non distinguono tra il Vecchio e il Nuovo
Testamento, “Il Vangelo secondo Matteo” (1964) di Pasolini,
filologicamente accurato e dedicato “alla cara, lieta, familiare memoria
35
di Giovanni XXIII”, per farli riflettere in modo religioso e laico sulla
figura di un Dio che volle farsi uomo (e che uomo)?
Impossibile? Forse, ma pochi esempi dimostrano quanto la scuola –
con un po’ di tempo a disposizione e poche risorse in più – abbia
bisogno del cinema, della sua qualità, della sua forza evocativa, per
un’educazione dei giovani alle immagini e a un pensiero meno volatile.
E anche qui, Microcinema, con la sua rete di sale e la sua tecnologia
flessibile, può dare un contributo prezioso sul piano culturale e
vantaggioso a livello economico.
Temi come lo sport, il razzismo e la discriminazione, l’emarginazione
sociale, i rapporti generazionali, la violenza e la generosità,
l’intelligenza, la volontà – e si potrebbe andare avanti all’infinito – sono
sviluppati in moltissimi film e in altrettanti versioni, alcune delle quali
veramente straordinarie, con ritmi, timbri, scorci talvolta diversissimi,
considerazione questa – da sola – in grado di suggerire ulteriori spunti,
nuove intersezioni e, a partire da esse, ancora nuove riflessioni.
Un approfondimento un po’ analitico dei percorsi didattici che il cinema
è in grado di proporre e sviluppare potrebbe davvero finire per essere
un Quaderno a se.
Battaglie al cinema.
Nella sua storia il cinema ha avuto un rapporto quasi incestuoso con la
guerra. Il cinema ha sempre raccontato la guerra e mostrato mille
battaglie. Per decenni ha reso la guerra bella, pulita, eroica e limpida,
in cui le cose erano straordinariamente chiare e si sapeva fin dall’inizio
chi erano i buoni e chi erano i cattivi (i “musi gialli” o i “pellerossa”).
Poi, esattamente quarant’anni fa, le cose si sono complicate. Qualcuno
ha dubitato che il “soldato blu” fosse sempre buono e combattesse
sempre in difesa della libertà, mentre sono stati “Un uomo chiamato
cavallo” e soprattutto un “Piccolo grande uomo” (tutti del 1970) con un
giovane Dustin Hoffman, invecchiato fino all’età di 121 anni, a
raccontare che esistono diversi punti di vista, con quell’entrare ed
uscire, ben prima di “Balla coi lupi” ed “Avatar”, dai mondi paralleli dei
nativi e dei “visipallidi”.
Film preziosi, quindi, per ragionare sul “relativismo culturale”, in modo
diretto ed articolato, senza appesantimenti ideologici. E se si vuole fare
un salto dalla storia del Far West americano (che ormai ci possiede
36
tutti quanti) al nostro mondo contemporaneo, diventa essenziale un
film come “Babel” (2006) di Alejandro Gonzáles Iñárritu per mostrare
ai nostri studenti l’infinita complessità di un mondo globale, fragile e a
tratti solo stupido, come il nostro.
Per dimostrare, invece, quanto la guerra sia feroce e quasi sempre
inutile, forse l’esempio migliore è “Full metal jacket” (1987), del
geniale Stanley Kubrick, con la scena finale dei marines che marciano,
o solo trascinano le gambe, in un deserto di distruzione e cantano
(almeno nel doppiaggio italiano) l’unico inno che gli è rimasto:
“Topolin, Topolin…”.
Sullo stesso tema, per fare lezione con del cinema “didattico”,
“divertente” e riflessivo sulla Guerra Fredda, c’è “Il dottor Stranamore,
ovvero: come imparai a non preoccuparmi della bomba” (1964),
ancora di Kubrick, con un più straordinario che mai e multiforme Peter
Sellers.
Su un versante completamente diverso, giocando tra la potenza di un
colossal miliardario e la povertà deamicisiana di un’aula scolastica,
pensate di spiegare le conquiste dell’impero romano mostrando le
scene de “Il gladiatore” (2000), di Ridley Scott (che ha iniziato con le
guerre napoleoniche ne “I duellanti” nel 1975). E’ un film che tutti
hanno visto, compresi i giovani, che ha incassato più di 20 miliardi di
sterline, eppure è a suo modo “didattico” (come lo furono, ma in modo
più “ideologico”, “I dieci comandamenti” o “Ben Hur”) quando mostra
la battaglia nella foresta vicino all’antica Vienna del 180 dopo Cristo,
poco prima della morte dell’imperatore-filosofo Marco Aurelio, e spiega
– meglio di mille lezioni di storia – la differenza organizzativa,
tecnologica e sociale tra l’esercito romano, ancora invincibile per un
paio di secoli, e i “barbari” germani (che pure combattevano a casa
propria e sul proprio territorio).
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Dal teatro al cinema: andata e ritorno
Contaminazione nello “spettacolo”.
Il cinema è la prosecuzione del teatro con altri mezzi? Forse sì, anche
senza scomodare von Clausewitz. Il cinema, come il teatro, è
“spettacolo” (théatron), è rappresentazione di corpi, di movimenti, di
suoni e di parole. E’ gioco, racconto, ma anche finzione che si riflette
nella realtà (come suggerisce il termine italiano). Il cinema è l’erede
più stretto del teatro, come sapeva Walter Benjamin e come pretende
la nostra modernità “nell’epoca della riproducibilità tecnica”.
Il teatro delle origini non serviva solo a raccontarci, ma a stabilire un
rapporto (di complicità?) tra gli uomini e gli dei. Il cinema, arte di un
secolo profano, ha trasformato gli attori in star e in divinità mediatiche,
spesso più lontane, capricciose ed irraggiungibili degli dei tradizionali.
Ma è quasi impossibile, per le nostre star e le nostre luccicanti
“madonne” mediatiche, conservare l’antica e originale aura sacrale.
Il cinema, però, non si è sostituito al teatro. Ha innescato piuttosto
una nuova simbiosi, adattando la sua proposta estetica alla nuova
tecnologia, che gli ha messo a disposizione, grazie alla riproducibilità,
la possibilità di moltiplicare per milioni di volte la sua potenza
comunicativa.
Quando il cinema è nato, ha guardato subito con ingordigia al teatro,
considerato una sorta di tesoretto, in tutte le sue manifestazioni, alte e
basse, da Shakespeare (Sarah Bernhardt interpretò il film “Il duello di
Amleto” già nel 1900) e Pirandello (che si è “convertito” al cinema con
qualche fatica, solo dopo l’avvento del sonoro), all’avanspettacolo
incarnato da Totò, al grande melodramma a tinte forti di “Via col
vento” e “Casablanca”, con i volti di tutte le “divine” degli anni Trenta
e Quaranta, da Greta Garbo a Marlene Dietrich a Rita Hayworth, che
continua negli anni Cinquanta e Sessanta grazie a una folta ed
eterogenea schiera di registi contemporanei (secondo la critica l’elenco
è lungo e tra i tanti troviamo Minnelli, Fassbinder, Cronenberg,
Bertolucci, Almodòvar, Truffaut, Resnais, fino a Lars von Trier).
Le “maschere” del cinema.
Il cinema, alla ricerca di fantasia e intelligenza grottesca, si è riempito
subito di “maschere” (intese come attori e non come personale che
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guidava, con la lampadina tascabile, lo spettatore alla ricerca di un
posto libero dentro la sala scura e fumosa).
Il cinema, così, deve molto alla commedia dell’arte, che ai suoi tempi
era stata rivoluzionaria ed è quella parte del teatro che si era stancata
del manierismo ipocrita delle corti e si era messa a raccontare la realtà
di strada direttamente sulla strada e per il pubblico della strada. Erano
“maschere” tratte dalla strada (e qualche volta direttamente dal
traffico) anche “I mostri” di Dino Risi (1963), testimonianza di un
cinema “popolare” che sapeva essere anche cinico e dissacrante. Sono
“maschere” della commedia dell’arte anche “comici” che hanno fatto
grande il cinema, con la loro funambolica capacità d’improvvisazione,
come Roberto Benigni, e prima ancora i “maestri” Buster Keaton,
Charlie Chaplin, Jacques Tati.
Il cinema, quindi, ha “saccheggiato” a piene mani il teatro. Ma non si è
trattato tanto di un furto o di un tradimento, quanto di una
contaminazione positiva e prolifica, come sempre avviene quando si
parla di comunicazione artistica.
Lo spazio “dedicato”.
Il teatro classico nasce come uno spazio “dedicato” alla
rappresentazione, che distingue tra attori e spettatori, e per secoli si è
“celebrato” a cielo aperto, nelle piazze o nei cortili o addossato a
qualche collina, meglio se di fronte al mare, per sfruttare il pendio
naturale, e far sedere il pubblico su panche in legno e poi in pietra.
Poi, nell’alto medioevo, quando si diffonde il cristianesimo, assai
diffidente verso questa arte troppo “pagana” e licenziosa, il teatro
viene scacciato dai luoghi riservati allo spettacolo e deve rifugiarsi di
nuovo sulle strade e sulle piazze e gli “attori” devono accontentarsi di
un semplice banchetto per farsi vedere dal pubblico, e così diventano
“saltimbanchi” e girovaghi. Ma il teatro è uno strumento potente e
dopo qualche secolo viene recuperato e diventa “rappresentazione
sacra” all’interno delle chiese, grazie alla sua forza persuasiva,
educativa e comunicativa (lo stesso presepe, “inventato” da Francesco
d’Assisi, può essere considerato come una sorta di rappresentazione
teatrale).
Solo più tardi – quando trionfa l’architettura rinascimentale – il teatro
entra negli spazi chiusi, dentro le corti dei principi, per il divertimento
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delle élites, o dentro le città, per un pubblico più vasto, come il Globe
di Shakespeare.
Cinema e tetro mescolano “alto” e “basso”.
Con il trionfo della borghesia i teatri si moltiplicano, il pubblico “alto”
(nei palchi) e “basso” (in sala, in piedi) quasi si mescola e, pur con
numerose variazioni, rimane tale fino ai giorni nostri. Ma ad un certo
punto, ai primi del ‘900, arriva un concorrente inaspettato: il cinema.
Pretende gli stessi spazi, ma utilizza una nuova tecnologia “leggera”,
che si accontenta di un semplice schermo bianco a sole due dimensioni
al posto del complesso ed articolato palcoscenico, perché gli attori non
hanno più bisogno di uno spazio reale (e funziona ancora così,
nonostante il trompe l’œil del 3D) e sono ridotti ad immagini, a
fantasmi, prima muti ed in bianco e nero e poi “sonori” e a colori.
Succede così, nel corso della prima metà del ‘900, che molti teatri,
quelli più popolari e diffusi su tutto il territorio urbano, comprese le
periferie, che raccolgono un nuovo pubblico di massa (non a caso sono
privi di palchi, “distinti” e separati), si trasformino in sale
cinematografiche. Accolgono un pubblico del tutto nuovo, lo stesso che
gremisce gli stadi di calcio, che va a vedere, per divertirsi, ridere e
bere, comici alla Petrolini e ballerine alla café chantant che fanno “la
mossa” per la gioia dei maschi presenti. Adesso, però, c’è una nuova
forma di divertimento, più economica e potente: il cinema.
Mentre sopravvivono i grandi teatri cittadini, quelli storici e quelli nuovi
– per definizione “monumentali”, sui quali si cimentano i grandi
architetti – le sale cinematografiche sostituiscono i piccoli teatri, sia
come spazio sia come ruolo di intrattenimento, ne imitano la struttura,
e per qualche tempo è addirittura possibile un uso promiscuo
cinema/teatro, che dura ancora oggi nei paesi o nelle sale parrocchiali
o nei circoli culturali.
Andata e ritorno (e piccole conclusioni).
Il cinema, adesso, sta vivendo una sorta di nemesi. Le sale
cinematografiche chiudono, sostituite da niente. Sembra quasi che il
cinema se ne stia andando, lontano dalle sale in cui è nato poco più di
un secolo fa. Il cinema, così, rivive, almeno in parte, lo stesso destino
che è capitato a tanti piccoli teatri. Ma non è detto che sia un
40
abbandono definitivo. Non è detto che la modernità ci obblighi al
mondo raccontato da Ridley Scott in “Blade runner”, o che ci riduca ad
androidi condannati a sognare pecore elettriche, come scriveva Philip
K. Dick.
I cinema, con sale piccole e grandi, vicine e lontane, possono ritornare
(e qualche volta le sale non se ne sono mai andate, perché sono
rimaste chiuse come “belle addormentate” da qualche parte). E’
successo tante volte e può succedere ancora. Chi l’avrebbe detto, in un
mondo post-moderno, che misura la vita dal numero di ore di volo
accumulate (come il triste George Clooney di “Tra le nuvole”, esiliato
per sempre a vivere nel “non luogo” degli aeroporti) che sarebbero
tornati nelle nostre piazze di città e di paese i mercati ambulanti, fatti
di bancarelle, che si muovono con il ritmo periodico delle fiere, come
avveniva dieci secoli fa, quando in Europa è rinato il piccolo e grande
commercio.
Il cinema può tornare vicino a casa nostra, magari nelle sale
parrocchiali o nelle sale dei circoli culturali, dove si guarda e si
protegge il cinema d’essai e di qualità.
Microcinema, con una proposta al tempo stesso antica ed
avanzatissima, ha dato il suo contributo concreto a questo ritorno
possibile, con l’apertura o riapertura di vecchie e nuove sale. Grazie
alla sua tecnologia, alla possibilità di inviare i film via satellite
direttamente al server, in modo semplice e quasi senza costi, sta
ricostruendo una piccola rete (ma nemmeno tanto piccola, con le sue
150 sale) fatta di sale, di sogni, di memorie e di futuro.
Microcinema è capace di far ritornare vicino a noi il cinema e il teatro,
addirittura l’opera, vissuta in diretta o in differita, ma che sul grande
schermo sembra quasi dal vivo.
E così il cinema, anche grazie a Microcinema, può ritornare e farci
sedere fianco a fianco.
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Paul Klee - Castle and sun (1931), particolare
MICROCINEMA
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Per un nuovo cinema di prossimità
di Roberto Bassano
Il grande cinema italiano, che ha affascinato tutto il mondo, non era
fatto solo di grandi registi e grandi attori, ma anche di tante storie, di
sguardi, di facce, che si riflettevano nel pubblico che li andava a
vedere, forse più per (ri)conoscersi, che per sognare o per divertirsi.
Ecco, il grande cinema italiano si fondava anche su un grande circuito
di distribuzione dei contenuti. Esistevano migliaia di cinema sparsi sul
territorio, che curavano la profondità e raggiungevano ogni luogo e
ogni spettatore. Erano quei cinema, spesso parrocchiali o a gestione
familiare, magistralmente rappresentati dal premio oscar Giuseppe
Tornatore.
In “Nuovo Cinema Paradiso” la storia aveva toni drammatici: una
nuova autorimessa sostituiva il cinema mentre la folla incuriosita,
dispiaciuta e al tempo stesso indifferente, guardava scomparire il luogo
in cui il paese viveva, si incontrava, intrecciava amicizie e storie
d’amore.
Negli ultimi venti anni non sono state tanto le autorimesse, ma
piuttosto banche, supermercati e altri servizi essenziali per la
sopravvivenza della specie a sostituire quei luoghi che, in sostanza,
rappresentavano una sorta di ”microcentri” di tante piccole comunità.
Luoghi storici, reali, dove si viveva davvero. Sale di periferia, sale della
comunità, capaci di legami profondi un pubblico affezionato che
andava in quell’esercizio non per un film in particolare ma spesso per
la fiducia nelle scelte editoriali del gestore. Sale in cui la cassiera ci
salutava sempre, dietro lo stesso vetro, e che ricordiamo ancora
fumare al di là del confine trasparente…
Adesso quel pubblico di apatici e indifferenti rassomiglia a noi, noi
pubblico, noi persone del mondo del cinema, noi politici che ci
occupiamo della res pubblica. Tutti noi, spettatori dei cinema insieme
con gli altri abitanti delle città e dei paesi, con i rappresentanti delle
istituzioni che, di fronte a tante demolizioni, non sono stati capaci di
reagire.
E’ vero: la società è cambiata e molto doveva cambiare per aiutarci a
vivere meglio. Ma non tutti i cambiamenti – motivati da una fredda
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logica economica e finanziaria e solo raramente dall’intelligenza delle
emozioni – devono essere accettati passivamente.
Oggi rimpiangiamo quei luoghi travolti da un terremoto sociale che
poteva essere evitato e guardiamo con invidia alle altre nazioni
europee che hanno saputo salvaguardare cinema e teatri minori.
I paesi scandinavi, ma anche Francia e Germania, sono stati più attenti
e generosi con il cinema, considerato un importante luogo di incontro
da difendere. E lo hanno difeso ed aiutato concretamente.
La televisione ha modificato radicalmente le nostre abitudini, lo
abbiamo visto nella prima parte del Quaderno: negli anni cinquanta era
la televisione che entrava nel cinema. Il televisore troneggiava sul
palcoscenico e le prime timide immagini, per altro lontane e
scarsamente visibili, imbambolavano un pubblico prima di tutto
affascinato dall’innovazione. Oggi è il cinema che entra negli spazi
televisivi ma il televisore non ci dà le emozioni del cinema, e anche PC
e telefonini non ce le daranno mai. Nel tentativo di coinvolgere
emozionalmente gli spettatori televisivi dagli anni cinquanta, prima
negli Stati Uniti e in seguito anche da noi, sono state introdotte le
“risate finte”, per ricreare la condivisione tra gli spettatori. L’esplosione
di una risata collettiva al cinema non è paragonabile all’asettica e triste
risata registrata televisiva. Non c’è emozione.
Non dimentichiamo, però, che la televisione è un importante pilastro
economico delle produzioni cinematografiche. Senza la televisione
forse oggi non ci sarebbe più il cinema, per lo meno quello costruito
sul modello hollywoodiano. Ma a Bollywood è ancora la sala
cinematografica ad avere un ruolo centrale nei conti economici delle
produzioni. Le società di produzione e quelle di distribuzione che
acquisiscono i diritti theatrical spesso raggiungono e superano il punto
di pareggio con la vendita dei diritti televisivi. Insomma il cinema
sopravvive grazie alla televisione, ma non solo: insieme ai diritti
theatrical sono i videogiochi e i gadget a reggere il conto economico,
anche perché il mercato dell’home video è ormai poco remunerativo.
Oggi l’esercizio cinematografico si è reinventato. Ha imparato dalla
televisione, ha modificato la sua offerta e ha affiancato ai film nuovi
contenuti. Contenuti che il pubblico trova sempre di meno in una
televisione travolta dall’audience e dalle logiche strettamente
economiche e finanziarie. E anche qui la mancanza di emozione, se si
vuole di passione, ha favorito un nuovo concorrente: la televisione
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criptata e a pagamento, per la quale il pubblico è disposto a pagare
per vedere ciò che vuole, magari anche con una migliore risoluzione.
Anche la televisione allora, almeno quella che abbiamo conosciuto
negli ultimi anni, è destinata a trasformarsi radicalmente.
Il grande pubblico chiede ed è disposto a pagare per vedere in
televisione quella qualità, sia di contenuti sia di visione, che prima era
prerogativa esclusiva del cinema. In poche parole, e gli investitori
pubblicitari se ne sono già accorti, la televisione generalista sarà
guardata soltanto da un pubblico prevalentemente anziano, con
capacità di spesa limitata o del tutto assente.
E per il cinema questa mutazione della televisione può essere
un’occasione preziosa e inaspettata. Il cinema potrebbe riappropriarsi
degli spazi televisivi “liberati” dalla televisione generalista, esattamente
come ha fatto la pay TV, ma aggiungendo emozioni che, vissute
insieme ad altri, crescono e si moltiplicano. Una risata collettiva può
essere una sorta di elisir. Non a caso Microcinema segue questo
percorso da oltre tre anni, recupera e riempie spazi abbandonati e ne
crea di nuovi. La sala riscopre così le sue potenzialità e si trasforma in
un luogo d’incontro aperto a molteplici proposte. Un microplex
indipendente. Un luogo dove convivono cinema commerciale, cinema
d’essai, contenuti e complementari, dando spazio anche al teatro e ad
altro ancora.
E’ il cinema ritrovato. Microcinema dimostra che per essere vincente
l’esercizio, piccolo o grande che sia, deve diventare una sorta di agorà.
I casi concreti e positivi non mancano e ne parleremo più avanti.
Microcinema in questi anni ha strutturato la sua proposta e si è rivolto
prevalentemente ai cinema indipendenti, che non appartengono a
grandi concentrazioni. Ma, nel corso del 2010, il rapporto con i tre più
importanti gruppi di multiplex ci ha convinto che, con differenti utilizzi,
alcune proposte possono diventare trasversali a tutto l’esercizio.
Il fil rouge è rappresentato dalla necessità di trasformare, o meglio
confermare, il cinema come luogo di incontro, uno spazio non
necessariamente dedicato solo alla visione di un film. Opera lirica,
sport, concerto e intrattenimento in genere sono proposte ormai
radicate dentro Microcinema per portare in sala un pubblico
diversificato che cerca emozioni, esperienze e conoscenze che non
trova in altri luoghi.
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In realtà ogni cinema ha un suo pubblico, una sua connotazione
culturale e una sua collocazione commerciale e geografica.
L’errore è pensare che la differenza provochi sempre un conflitto.
Differenti tipologie di pubblico, che solo in minima parte si
sovrappongono, possono frequentare multisala e cinema di prossimità
coltivando interessi diversi.
La sala di città, di periferia, di provincia, di paese, deve avere un
legame con il suo territorio e conquistarsi la fiducia dei suoi “clienti”.
Deve mettere a disposizione del pubblico film e contenuti
complementari, deve proporre un’offerta ampia, flessibile. Per fare
questo deve dotarsi di tecnologie avanzate, snelle, scalabili3,
interoperabili ed economicamente sostenibili. Sono stati soprattutto
esercenti indipendenti e innovatori a scegliere una via percorribile ed
economicamente sostenibile, reinventando il proprio esercizio,
ridisegnandolo e riposizionandolo sul territorio, offrendo al pubblico
emozioni “antiche”, ma con nuovi contenuti e nuovi media. Insomma,
quegli esercenti che hanno saputo fare la loro scelta guardando al
mercato e al futuro, con una visione strategica e di ampio respiro (ma
che non dovrebbero essere lasciati soli). Sono state sale indipendenti,
fortemente radicate sul territorio, caratterizzate da un profondo
rapporto con gli abitanti, gestite in modo flessibile e poliedrico con
linee editoriali chiare e definite. Questa, nella stragrande maggioranza
dei casi, è la fisionomia delle sale che appartengono al Digital Network
Microcinema.
Poco importa se gli aderenti scelgono la strada full digital o se
affiancano alla vecchia pellicola un sistema digitale. Per tutti la
flessibilità, la quantità, la qualità e la varietà dei contenuti proposti da
Microcinema, uniti alla versatilità di un sistema digitale completo, si
sono dimostrati fattori decisivi. Una scelta strategica e non tattica.
Sta nascendo così, un nuovo modello di sala cinematografica: il
microplex, un cinema indipendente, in grado di offrire, nell’ambito di
un progetto editoriale autonomo, una moltitudine di titoli diversi per
3
Per scalabile si intende una tecnologia che, dall’entry level al sistema più
completo, permette all’esercente, attraverso una serie di upgrade successivi, di
non diminuire mai il valore dell’investimento iniziale. L’offerta di Microcinema,
da Cinemakit a M-box 3D interoperabile, è strutturata in forma scalabile.
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tipologia: film, cartoni animati, opere liriche, balletti, documentari,
anche all’interno della stessa giornata e anche provenienti da media
differenti. Il legame emozionale tra esercizio, pubblico e territorio è il
segreto del successo di una sala cinematografica.
Ci sono esempi di multisala e di monosala che hanno saputo cogliere
l’opportunità dell’innovazione tecnologica e, attraverso una scelta
economicamente sostenibile, si sono trasformate in vivaci e –
diciamolo con soddisfazione e senza ipocrisie – redditizi luoghi di
incontro in cui cinema, opera e televisione divengono crocevia
d’incontro delle comunità locali, delle città di provincia e dei grandi
centri urbani.
Un vivace esercente siciliano, innovatore, produttore di corti e
organizzatore di festival, con Microcinema ha progettato e realizzato il
primo microplex multisala. Una regia centrale, basata su sistemi
interoperabili M-box e Cinemakit sovraintende ai segnali inviati a tutte
le sale separatamente o contemporaneamente.
In Liguria, un noto esercente, mente acuta e curiosa, costantemente
all’avanguardia e sensibile alle innovazioni – ponte tra cinema e
televisione da sempre – ha fatto una scelta coraggiosa. All’interno di
un multiplex già attrezzato con impianti digitali affiancati alla pellicola,
nel corso della costruzione di una nuova ulteriore sala, ha scelto di non
installare l’impianto in pellicola e di avere solo un sistema digitale, una
sala full digital, la prima di molte che verranno.
Sono solo due esempi di un universo che sta cambiando velocemente.
Nuove sale che – grazie a Microcinema – divengono un luogo dove
proporre non solo film e contenuti complementari, ma in cui si aprono
anche alla grande nemica: la televisione. Cinema un po’ corsari, che
traggono vantaggio dalla loro piccola dimensione, veloci nel reagire e
nell’adeguarsi a nuove realtà basando la scelta dell’innovazione su
investimenti sostenibili e scalabili, con la tranquillità di un adeguato
ritorno sull’investimento.
Il cinema, conciliando qualità e finalità commerciali, aperture al teatro,
agli eventi in diretta, alle opere in differita, a qualunque contenuto
abbia un’audience potenziale, può raggiunge, attraverso un rapporto
sempre più stretto con il suo pubblico, nuove potenzialità e nuove
forme di equilibrio economico.
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Spazi di nicchia, come opere liriche e concerti, sono la base della
nuova redditività per l’esercente. Nel 2010 gli spettatori di eventi in
diretta e di rassegne di opera lirica e balletto sfioreranno il milione. Lo
spazio di crescita percentuale sarà a due cifre per i prossimi anni.
Ma il cinema deve offrire anche un grande catalogo HD disponibile on
line per soddisfare esigenze e curiosità di un pubblico dinamico e
variegato; studenti, famiglie, pensionati, ragazzi. E poi, in diversi orari
della giornata, si possono proporre contenuti diversi per pubblici
diversi. Rinunciare a questa offerta articolata e mirata vorrebbe dire
perdere occasioni preziose. Insomma, è possibile ricreare in sala una
sorta di video on demand, un jukebox (chiamatelo come volete) che
permetta al cinema di guardare al suo pubblico, di diventare un
esercizio market oriented e non production oriented. Una
programmazione flessibile, differente per orari e per giorni della
settimana, trasforma una sala poco frequentata in un microplex dove
nel weekend si moltiplicano proposte diverse rispetto agli altri giorni
della settimana. E’ la fantasia imprenditoriale dell’esercente a
connotare l’esercizio, con piccoli festival, rassegne, teatro locale e
nazionale, concerti dal vivo o proiettati in diretta o in differita, film
storici e attuali, prime visioni e documentari. E si potrebbe proseguire
all’infinito.
In estrema sintesi si può dire che le chiavi del successo sono due:
l’investimento in tecnologia, dotando la sala di un sistema di proiezione
digitale versatile, e la possibilità di reperire contenuti da proporre al
pubblico.
Ma la fase realizzativa non è così semplice.
L’investimento in tecnologia deve permettere di utilizzare il maggior
numero possibile di contenuti. Questo agevola il ritorno economico
sull’investimento.
Rimane il fatto che chi ha creduto nel DCI 3D agli albori di questa
nuova stagione è oggi soddisfatto. Gli innovatori ne hanno tratto
vantaggio mentre chi ha investito nel dopo Avatar è sicuramente un
po’ deluso. Intendiamoci: gli incassi sono certamente di tutto rispetto
ma non sempre all’altezza delle aspettative. E qui iniziano i malumori.
Con il DCI le major hanno proposto il VPF: io ti pago l’investimento e
tu proietti i miei contenuti che sono remunerativi. Tutto semplice?
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Assolutamente no perché può succedere che un titolo non abbia
successo, e in 3D ormai ne abbiamo visti parecchi nel corso del 2010.
Passata la sbornia iniziale del 2009, il pubblico ha iniziato ad essere più
selettivo. Un film di serie B rimane di serie B anche se è proposto in
3D. Ma l’esercente ha firmato un contratto per la “tenitura”, ovvero per
non smontare il film prima di un certo numero di giorni o settimane.
Un bel disastro per l’esercente se il film non attira il pubblico e non
incassa.
Quindi deve essere molto chiaro che installando un sistema 3D – molto
costoso – il rischio è quello di perdere la libertà di programmazione.
Con il VPF o con il VPF all’italiana le cose cambiano, ma non in modo
sostanziale.
Il VPF ha un significato per i cinema che non possiedono la liquidità
per digitalizzarsi. E spesso questo è un problema dei grandi e non dei
piccoli.
Il rappresentante per l’Europa di una nota casa di proiettori DCI,
americana, ha spiegato in modo molto semplice la differenza tra
l’indebitarsi in proprio, correndo maggiori rischi e magari alla fine
pagando persino di più, e l’affidarsi a una “terza parte” che accetta, in
accordo con le major, di accollarsi il rischio. E’ quello che loro
chiamano the freedom’s price. Il prezzo della libertà. Un’immagine
cruda e, allo stesso tempo, un concetto molto chiaro.
Per essere padrone in casa mia devo possederla. Il concetto di per sé è
molto semplice, ma c’è un piccolo particolare: l’esercente possiede già
il cinema. Il modello è quindi un altro, molto più sottile. Ricordate
l’Odissea e quel bel cavallo di legno sulla spiaggia? Ecco: “venghino
signori regaliamo noi i proiettori, li installate, modificate le vostre
cabine e poi li usate come vogliamo noi”. Ecco il perché di quella
definizione: il prezzo della libertà.
Come già abbiamo rilevato, in altri paesi, Francia in testa – come
sempre – perché un po’ di sano centralismo patriottico non guasta, il
governo vuole mettere il naso in quanto sta succedendo, definendo
delle linee guida e muovendosi a supporto degli esercizi, in specie i più
piccoli. Il fine non sono gli esercizi in sé ma piuttosto i punti di
diffusione del cinema, francese in primo luogo, che diventano o
ridiventano luoghi di incontro.
In Italia il punto nodale è non solo la sostenibilità finanziaria ma, anche
e soprattutto, quella economica, in un momento di forte crisi generale,
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il roll out. Da un lato, infatti, è necessario trovare chi finanzia la
digitalizzazione e, dall’altro, è necessario conoscere a priori cosa vuole
in cambio: la banca, la società di leasing o di noleggio chiede interessi
e garanzie, la “terza parte” invece richiede la programmazione
garantita dei film proposti dalle major che hanno sottoscritto il
contratto di VPF.
Il rischio è che in assenza di una politica nazionale chiara, definita e
convincente – senza entrare in polemiche politiche che non ci
competono – siano gli isolati operatori del mercato a doversene fare
carico. E, come sempre, il più debole soccomberà, perché non ci sono
sconti e non c’è etica della solidarietà nel business.
La chimera del credito d’imposta è utile solo ai grandi gruppi, ma
certamente rimane sterile per i piccoli esercizi, indipendenti ma
cronicamente a credito perché in questo settore si compra con IVA al
20% e si vende con IVA al 10%. In tal modo l’azienda rimane
endemicamente a credito e solo una riforma strutturale sulle aliquote
può risolvere il problema. Ma non parliamone troppo altrimenti la
soluzione, dice qualche vocina, rischia essere quella di uniformare tutte
le aliquote al 20%!
Insomma non è certo che la digitalizzazione, seguendo la via del DCI
3D rappresenti la via giusta per tutte le sale perché differenti sono
icinema, differenti le tipologie di pubblico, differenti le tecnologie.
In Italia la gravità dell'assenza di una politica chiara di sostegno alle
sale di città, di provincia e al cinema d'essai sta creando una
situazione che, di fatto, mette le sale cinematografiche che
programmano i film italiani ed europei in condizione di chiudere.
Proprio quelle sale di città, senza le quali il cinema autoriale – che è
poi proprio il cinema italiano ed europeo – non verrebbe più
programmato.
Insomma le sale monoschermo hanno bisogno di un sostegno chiaro e
diretto. Meglio sarebbe traslare, per le piccole sale, l’attuale credito
d’imposta nel vecchio credito cinematografico.
Senza sale cinematografiche non c'è “vero” cinema e senza le sale di
città non c'è cinema d'autore, non c’è cinema indipendente, non c'è
cinema italiano. E’ un problema che viene sollevato da anni ma non è
stato mai affrontato con serietà, forse perché non è un problema
legato a questa o quella forza politica.
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Le sale di periferia e di provincia non devono necessariamente avere
come target il 3D. Certo hanno la necessità di digitalizzarsi, ma non
sempre il 3D è una corretta scelta strategica. Con il 3D e i connessi
obblighi di programmazione la sala rischia di perdere il rapporto con il
territorio: le rassegne, il “piccolo” teatro locale, i cartoni al pomeriggio.
Così si scontra con le ferree logiche della distribuzione che considera la
monosala e la piccola multisala come nient’altro che un fastidio.
Eppure negli ultimi dieci anni, come è avvenuto con le lucciole, le sale
di qualità sono cresciute, a volte per “missione” a volte obbligate
dall’apertura di un multiplex vicino, che andava occupando, spesso in
esclusiva, gli spazi del cinema commerciale. Queste sale, che in Italia
sono circa 1500, vanno salvaguardate per proteggere prima di tutto
noi stessi dal rischio della omologazione culturale. Ma deve essere
anche il mercato a spingere e sorreggere questa scelta. L’esercente
deve cominciare ad investire anche nel confort delle sale, nella
comunicazione, nella pulizia, nei servizi, anche quelli igienici che sono
da sempre una misura – spesso trascurata – del livello di civiltà di un
Paese.
Anche la distribuzione, specialmente quella di qualità, deve fare la sua
parte, ha le sue responsabilità e i suoi doveri. Se i cinema più piccoli
chiudono i film che raggiungono una parte di pubblico solo attraverso
di essi sono destinati all’insuccesso.
Tutte le statistiche ci confermano che i film d’autore hanno maggiore
successo nelle sale tradizionali. La loro chiusura farebbe perdere una
preziosa fascia di spettatori, più cinefili, più famiglie, certamente non
teenager, che porterebbe al conseguente fallimento di molti film, di
molte distribuzioni e di molte produzioni italiane.
Alcuni multiplex, specie quelli con molte sale stanno provando ad
avvicinare il pubblico d’essai, ma i risultati, tolti rari casi, non sono
interessanti. Il merito che dobbiamo ascrivere loro è quello di tentare
di incuriosire un pubblico giovane, spesso indifferente a quel tipo di
pellicole, anche se sappiamo bene che, per loro, non si tratta di un
problema sociale ma solo commerciale. Dobbiamo anche prendere atto
che la politica del multiplex tende ad emarginare immediatamente il
film che non ha successo nel primo week end di uscita. Questo dato di
fatto danneggia quei film che nel settore “hanno le gambe lunghe”,
cioè quei film che durano mesi in programmazione. Ma non sempre
questo sviluppo è chiaro dall’inizio. La loro uscita in sordina con un
53
budget pubblicitario ridotto spesso non ha un immediato riscontro negli
incassi: poi, grazie al passaparola e alle critiche sui giornali, il film
raggiunge il successo. Sono proprio i film d’essai, spesso italiani, che
seguono questo percorso. “Il vento fa il suo giro”, “Pranzo di
Ferragosto”, “Basilicata coast to coast”, “Cous Cous”, “Il segreto dei
suoi occhi”, “Il concerto”, “La classe”, solo per citarne alcuni.
E’ certo che i distributori di qualità devono ridisegnare i loro modelli di
business molto velocemente. Hanno perso, in meno di 18 mesi, gli
oltre 500 schermi più importanti d’Italia perché hanno scelto la via del
3D, nei quali, lo sappiamo tutti, non entreranno più. Se chiudono
anche altre monosale il loro destino è segnato.
E’ questa nuova frontiera tecnologica a scavare un fossato tra il cinema
commerciale – che cavalca successo dopo successo con la nuova
frontiera del 3D – e il cinema di autore. Molti registi non hanno alcun
motivo per seguire la costosa onda della tecnologia in 3D per rendere
visibili le proprie idee, troppo spesso per definizione “invisibili” nella
mente dell’autore e poi magicamente visibili sullo schermo. Ma la non
accessibilità, in termini commerciali, di 500 schermi su 3000 rischia di
costringere l’idea invisibile a rimanere invisibile, per mancanza di
spazio, di sbocco sul mercato.
Oggi il cinema italiano e di qualità (anche se non sempre i due termini
coincidono) entra nei multiplex in subordine al cinema americano come
effetto della digitalizzazione DCI. Anche molte sale monoschermo, un
tempo sale d’essai, hanno cavalcato l’onda del cinema commerciale e
hanno scelto di installare in cabina impianti 3D abbandonando, di fatto,
la possibilità di proiettare il cinema italiano, europeo, d’autore. Spesso
sono sale che hanno snaturato la loro storica immagine di cinema
d’essai attratte dalla chimera del facile guadagno. Alcune di queste nel
lungo periodo non potranno che perdere il confronto con l’offerta più
completa proposta dai multiplex.
Esistono correzioni al mercato semplici e facilmente percorribili: i
minimi garantiti equamente corretti e condizioni che favoriscano la
programmazione orizzontale, le duplicazioni, le teniture brevi per le
sale più piccole. E’ fondamentale definire a monte la soglia massima
dei minimi garantiti da imporre alle piccole sale a bassa redditività – le
grandi non li hanno – per favorire l’accesso al prodotto e, soprattutto,
permettere al pubblico di non disamorarsi lentamente del cinema.
54
Un'altra via, complementare alle precedenti, è quella di favorire al
massimo la diffusione del digitale, quello entry level, economicamente
sostenibile per le sale più piccole. In questo modo è garantito l’accesso
al prodotto a costi tendenti a zero per il distributore e, quindi, il
minimo garantito può ridursi o in alcuni casi scomparire. Il problema
delle finestre di programmazione spesso non è così sentito dagli
esercenti come l’impossibilità di accedere al prodotto. Però anche nel
digitale i problemi non si annullano.
Due sono le ragioni di inaccessibilità. La prima, la più ovvia è
oggettiva: la mancanza di copie. In questo caso il digitale è certamente
un grande aiuto, si potrebbe anche dire la soluzione definitiva. L’altra
causa che rende un film invisibile a un determinato pubblico in una
precisa sala cinematografica è al di fuori da ogni logica di mercato:
nonostante la disponibilità, in pellicola o in digitale, delle “copie”, il film
stenta a muoversi nel mercato, come se fosse trattenuto da una forza
che si oppone al processo distributivo. Questa seconda causa è più
complessa perché rientra nelle problematiche soggettive degli attori
coinvolti nella catena distributiva. L’imposizione, ad esempio, di un
minimo garantito “esagerato” alle sale più piccole (e talvolta più noiose
da seguire per la discontinuità, il ritardo cronico nell’invio dei borderò,
la scarsa redditività marginale) le costringe ad una scelta comunque
perdente: non offrire quel prodotto scontentando e disaffezionando il
proprio pubblico, oppure offrire il film sapendo che difficilmente
l’incasso supererà il minimo garantito. Qualunque scelta porta la sala a
spegnersi lentamente o per mancanza di film e conseguentemente di
pubblico o per mancanza di reddito.
Sarebbe sufficiente definire a monte una semplice griglia che incroci il
minimo garantito con l’incasso annuo della sala e definire la settimana
in cui un film diventa accessibile e programmabile liberamente (non in
autonomia). In questo modo il mercato tornerebbe ad essere libero e
non più feudale e, inoltre, il criterio distributivo adottato tornerebbe ad
essere oggettivo e non più soggettivo. E’ una scelta semplice e
vincente che tutela l’intera filiera cinematografica.
La mancata proiezione di un film per ragioni soggettive danneggia
irrimediabilmente e senza vantaggio alcuno il produttore, il
distributore, l’esercente, il pubblico e, ovviamente, anche tutta la
comunità in senso allargato perché, meno biglietti venduti implicano
meno IVA versata, meno redditi tassati, meno introiti per lo stato e
quindi più tasse per mantenere i servizi (e senza menzionare in questa
55
sede il danno culturale e sociale). E’ una semplice legge economica. E’
chiaro che, parlando di numeri così piccoli, non ha senso che lo stato
intervenga ma il fatto resta indiscutibile.
Scovare i cinefili, favorire le rassegne e le proiezioni scolastiche per
avvicinare il pubblico del futuro al cinema di qualità. Tutto questo
dovrebbe essere nel DNA di ogni distributore, in particolare di chi
vende qualità, che invece rischia di perdersi in questa spirale. Il caso
del President di Milano dovrebbe essere preso a monito. L’accesso al
prodotto, pur rispettando le logiche commerciali, deve essere favorito.
Microcinema ha certamente svolto un lavoro di raccordo, favorendo
l’accesso al prodotto e la diffusione verso tutti i cinema che lo
richiedevano. Anche in questo caso Microcinema è al fianco dei
distributori per aiutarli a raggiungere un pubblico più ampio.
Ma quali sono le reazioni del pubblico? Si è ormai rassegnato a
rinunciare ai film di Venezia, di Cannes, di Berlino, di Locarno, di
Torino e così via, aprendo la strada a una emarginazione che rischia di
portarci verso una pericolosa deriva culturale? Noi non lo crediamo
proprio.
E’ però necessario ripensare ad una diversa collaborazione con
l’esercizio ricordando che il primo problema è l’accesso al prodotto: il
cinema President di Milano non ha chiuso per abbandono del pubblico
di fronte a un progetto editoriale e di programmazione di alta qualità,
ma ha chiuso perché è stato troppe volte costretto a rinunciare al film
che l’esercente intendeva proporre.
56
L’innovazione di Microcinema
di Roberto Bassano
Ormai il 3D è entrato in noi. Da mesi su ogni quotidiano, in ogni
supermercato, sugli autobus delle nostre città troneggiano televisori in
3D, quasi sempre costosi, che ci invitano in una nuova dimensione del
consumismo: “la terza dimensione televisiva”. E il pubblico corre
all’acquisto di televisori, occhiali, ovviamente attivi, e lettori Blu ray.
Insomma tutto è pronto. Eppure mancano i contenuti. Ormai sappiamo
che la tecnologia senza contenuti crea soltanto un vuoto in cui ci si
perde. I contenuti in 3D, in effetti, ci sono già, ma solo al cinema. Non
esistono – almeno in Italia – trasmissioni televisive in 3D e così i film si
possono vedere in tre dimensioni solo al cinema. Anche i Blu ray in 3D
scarseggiano, ad eccezione dei film per adulti.
Certamente a Natale 2010 vedremo comparire sotto gli alberi natalizi i
primi cartoni animati tridimensionali su Blu ray e poi via via il resto
anche in TV, partendo dallo sport che tradizionalmente è più redditizio
rispetto a tutti gli altri contenuti.
Per il cinema il 2010 è stato una sorta di anno “zero”, che ha segnato
un ritorno alla supremazia sulla televisione, ma non solo per il 3D.
L’avvento dei film tridimensionali ha spinto gli esercenti verso la
digitalizzazione e ne ha accelerato i tempi. Come conseguenza c’è stata
una modificazione strutturale dell’offerta al pubblico: oggi gli schermi
italiani con più spettatori e quindi più redditizi per il comparto
cinematografico – dalla produzione attraverso la distribuzione sino
all’esercizio – sono dedicati alla programmazione di film tridimensionali,
fondamentalmente americani. Non è un fenomeno solo italiano e si sta
radicando ovunque si è diffuso il DCI.
In Italia la digitalizzazione dell’ultimo anno spinta dal successo del 3D
ha portato ad affiancare al Digital Network Microcinema, che dal 2006
ad oggi ha continuato a crescere e si prepara a superare le 150 sale,
una serie di schermi digitali “autonomi” slegati tra loro con tecnologia
DCI. Persino i grandi gruppi, che sicuramente digitalizzeranno tutti i
loro schermi nei prossimi anni, oggi hanno digitalizzato poche decine
sale. Sono quegli schermi dotati di tecnologia 3D che hanno tolto
57
spazio, auguriamoci non vitale, al cinema italiano e al cinema in
generale bidimensionale.
Tutti gli schermi digitali, con qualunque risoluzione da 1.3K a 2.0K,
hanno mostrato interesse per l’offerta di contenuti complementari.
Ogni esercente che ha proiettato un evento in diretta, che sia opera
lirica, concerto o sport, ha ottenuto buone soddisfazioni: le sale che in
quegli orari sarebbero rimaste vuote si sono riempite, offendo al
pubblico nuovi servizi e traendone un buon risultato economico.
Sono ancora mercati di nicchia, ma rimangono la risposta migliore ad
un pubblico di appassionati che spesso non trovano sugli altri media
una offerta paragonabile per qualità e orari. Internet, DVD e Blu ray
sono certamente una alternativa, ma la mancanza della fruizione
collettiva – esperienza non sostituibile per gli appassionati di eventi –
le dimensioni dello schermo, la qualità dell’audio e spesso la qualità
dell’immagine pongono il cinema su di un piano nettamente superiore
e, almeno a questo livello, non esiste concorrenza.
Si tratta, in effetti, di una proposta diversa e alternativa rispetto alla
televisione che, al di fuori dei canali tematici, non offre in orari
accettabili alcuna proposta agli appassionati di opera lirica, di balletti,
di concerti di musica pop e classica. La logica dell’audience,
strettamente legata alla raccolta pubblicitaria, impedisce la
programmazione di nicchia, d’elite o di qualità, favorendo la televisione
generalista, che certamente non aiuta la formazione culturale.
Lo sport, paradossalmente, può diventare una interessante e inattesa
opportunità per il cinema. Di norma è offerto in diretta, sia al cinema
che in televisione, ma l’offerta dei mondiali in 3D era raggiungibile solo
al cinema. Si è trattato di un piccolo punto messo a segno a favore del
cinema, che rischia di essere tuttavia un vantaggio momentaneo,
anche se le partite proiettate al cinema in 2D hanno sempre un certo
appeal, perché riproducono la condivisione e la fruizione collettiva
tipica dello stadio. Questa è una caratteristica che TV, telefonino e
internet non potranno mai avere.
58
La pubblicità ritorna al cinema
di Roberto Bassano
Un appunto agli investitori pubblicitari va fatto. Il cinema da sempre (e
le statistiche oggi lo confermano) ha un pubblico molto più attento alla
pubblicità, con un’attenzione molto superiore alla TV, complice il buio,
il silenzio e … la mancanza del telecomando. Lo spettatore ricorda la
pubblicità vista sul grande schermo tre volte di più rispetto a quella
distrattamente intravista sul piccolo schermo. Per anni questa
riflessione elementare quanto banale è stata trascurata.
Per la pianificazione degli investimenti pubblicitari il cinema, come la
carta stampata, è un mezzo complementare e sussidiario.
Era in declino sino a quando le statistiche non hanno cominciato a
confermare ciò che tutti sapevano: è infatti noto che oggi non
sappiamo più decidere se non siamo supportati da una ricerca di
questo o quell’ente. Così se la scelta è sbagliata la colpa non è nostra…
Oggi l’aumento del pubblico nelle sale e la sua maggiore capacità di
ricordare spontaneamente gli spot rispetto allo spettatore televisivo,
dati così ben supportati dai dati statistici, stanno riportando gli
investitori pubblicitari al cinema. Secondo la Nielsen, gli investimenti
pubblicitari al cinema sono cresciuti nel primo semestre 2010 e la
tendenza lascia intravedere ulteriori incrementi
La pubblicità oggi può essere veicolata con il supporto dalla tecnologia
digitale che permette l’aggiornamento degli spot in tempo reale e
l’abbattimento dei costi della copia in pellicola, oltre che la sua
complessa distribuzione. Inoltre, sempre attraverso le nuove
tecnologie, è assai facile incrociare le certificazioni di messa in onda
con i biglietti staccati dalla sala.
E, infine, si è ormai consolidato il concetto che la sala cinematografica
è destinata non solo alla proiezione dei film ma anche alla visione di
eventi in diretta, sportivi, culturali e di intrattenimento che sono in
grado di portare al cinema nuove tipologie di pubblico, tra l’altro
facilmente classificabili.
Una parte delle sale, in specie quelle di periferia, di provincia e d’ essai,
oggi non ha contratti pubblicitari che permettano loro una
59
remunerazione, importante, a volte vitale. D’altro canto parecchi
milioni di spettatori non sono raggiunti dalla pubblicità al cinema.
E’ un mercato potenziale che, se esplorato, porterebbe vantaggi a tutti,
agli investitori pubblicitari, alle concessionarie, all’esercizio.
Magari il pubblico, in particolare quello d’essai, potrebbe storcere il
naso ma alla pubblicità ormai siamo tutti abituati. Basta non esagerare,
basta non interrompere la proiezione di un film!
Il VPF e il “prezzo della libertà”
Il Virtual Print Fee nasce con l’intento di favorire la digitalizzazione
delle sale. Il roll out incentivato dalle major prevede, da un lato, il
pagamento dell’apparato in vece dell’esercente e prevede dall’altro un
accordo per la programmazione in sala dei film proposti dalle major.
La fornitura è fatta da una così detta “terza parte” che anticipa il
danaro necessario all’investimento a fronte di un contratto quadro con
le major che pagano circa 600 euro per ogni film programmato con
una tenitura concordata. In caso di mancata programmazione
l’esercente paga alla terza parte un affitto per l’uso in libertà
dell’apparato.
In Italia gli esercenti hanno scelto una via mediata. Il VPF all’italiana
prevede che l’esercente sostenga il costo della digitalizzazione e in
caso di programmazione concordata in digitale riceva dal distributore
circa 500 euro a film più, a volte, un piccolo contributo per l’acquisto
e l’utilizzo degli occhiali in 3D.
Questa situazione, di libertà a fronte di un indebitamento in proprio,
ha generato una distorsione identica agli altri paesi europei dove si è
ritagliato un nuovo circuito cinematografico che predilige la
programmazione di film in 3D, spesso molto remunerativi, divenendo
in pratica impermeabile alle altre proposte di cinema nazionale,
d’essai e di qualità.
Ai film di produzione italiana, europea, d’essai rimangono le sale non
digitalizzate.
60
Luci di Microcinema
di Silvana Molino
Per comprendere Microcinema è oggi più che mai necessario allargare
lo sguardo per cogliere la sua dimensione di sistema completo,
formato da più strati che interagiscono a diversi livelli con il settore. Un
sistema che si sviluppa per successivi ampliamenti di prospettiva e che
abbraccia livelli diversi di azione e di funzionalità: una sorta di cipolla
professionale con cui Microcinema si relaziona con il mercato.
Il cuore di Microcinema è il cinema, inteso come sommatoria di sala
cinematografica e film nel senso più tradizionale, ancorché mutuato da
una tecnologia completamente nuova.
Partendo dal cinema e passando attraverso il nuovo orizzonte dei
contenuti e degli eventi complementari – sostanzialmente impossibili
con l’utilizzo della vecchia pellicola – Microcinema ha portato alle sale
cinematografiche un nuovo significato alla parola polifunzionalità e una
proposta tecnologica sostenibile e concretamente percorribile per
realizzarla. Ma non si è fermata alla singola sala: ha creduto e costruito
una rete capace di produrre ricadute reali e talvolta inaspettate nel
tessuto culturale e sociale. Ha segnato in modo poliedrico il percorso di
un’evoluzione per strati sovrapposti capace di arricchire tutta la filiera
con stimoli, sfide e opportunità. Ogni giorno.
Addentriamoci in questo percorso di scoperta e di rilettura di
Microcinema nei suoi aspetti peculiari per arrivare a comprenderne il
suo complessivo significato di ecosistema.
Quando si parla di cinema si intende per Microcinema salvaguardia
della pluralità.
Sostenere il cinema attraverso modelli e strumenti innovativi significa
difendere il tessuto delle sale indipendenti, dei cinema di prossimità,
delle sale della comunità, degli spazi polifunzionali e multimediali aperti
al pubblico per la condivisione di contenuti.
Credere nelle potenzialità del cinema – inteso nel suo senso più ampio,
che trascende il contenitore per focalizzarsi sul contenuto – significa
supportare le produzioni minori o le opere tutt’altro che minori che,
nonostante budget e impegno profusi, talvolta faticano a trovare
interlocutori nel mondo della distribuzione o dell’esercizio.
61
Contribuire allo sviluppo del cinema su quel delicato versante che è la
distribuzione, significa promuovere e agevolare la più ampia
digitalizzazione di tutta la filiera, soprattutto in quel segmento
strategico rappresentato dalla duplicazione e dal trasferimento del
contenuto.
Nell’ecosistema Microcinema dunque si focalizzano tre elementi cruciali
per lo sviluppo complessivo del settore: promuovere la rete, difendere i
cinema, intervenire sul dilemma legato al mantenimento o
all’abbandono della discussa pellicola.
Innanzitutto promuovere la connessione e la collaborazione in rete tra
le sale cinematografiche si è dimostrato essere il più efficace
fertilizzante per sostenere, non solo il rinnovamento, ma addirittura la
rinascita delle sale di quartiere; in questa direzione Microcinema
supporta e incoraggia l’interazione tra operatori con attività di
coinvolgimento e di circuitazione di informazioni e di esperienze.
In secondo luogo l’azione di difesa delle sale passa attraverso la
concezione che i cinema non sono l’ultimo anello della catena, bensì il
cardine principale per lo sviluppo del settore; difendere i cinema
significa tout court difendere il cinema nella sua espressione più
composita che abbraccia tutta la filiera e il suo indotto.
Infine, Microcinema vuole dare il suo contributo al nuovo dilemma che
sta scaturendo dalla transizione al digitale: pellicola gioia o dolore?
Che si tratti di triacetato di cellulosa o di poliestere, il dubbio è insito in
quel magico nastro e nelle sue molteplici interpretazioni estetiche,
economiche, ecologiche: tra gli integralisti della pellicola, che ritengono
impossibile un futuro senza quella morbidezza nella cattura e nella
proiezione delle immagini, e i fanatici sostenitori del full digital, che ne
vedono principalmente gli aspetti di efficienza e di impatto ambientale,
Microcinema sperimenta ogni giorno a 360 gradi e vuole portare
argomentazioni – speriamo utili – agli uni e agli altri.
Allargando un po’ lo sguardo, il fuoco di Microcinema si sposta sui
nuovi contenuti e sui nuovi modelli rappresentati dagli eventi culturali.
Gli eventi – e su tutti l’opera – rappresentano per Microcinema una via
verso la democratizzazione della cultura.
Difendere il melodramma e poi, per analogia, tutte quelle
rappresentazioni capaci di fornire intrattenimento attraverso contenuti
classici, scientifici, musicali, storici o tecnici, consente di difendere
un’identità tutta italiana, creativa e vitalissima.
62
Portare al cinema eventi nuovi, che al cinema non si erano mai visti,
magari in diretta, diventa lo strumento più moderno e più efficace per
seguire e sviluppare un nuovo pubblico: sarà dunque il cinema a
salvare l’opera o sarà l’opera a salvare il cinema? Certamente un nuovo
filone editoriale arricchirà l’uno e l’altro senza impoverire alcuno.
Portare al cinema eventi nuovi che al cinema non si erano mai visti,
significa inaugurare una nuova modalità di fruizione di quegli stessi
eventi. Significa dare agli eventi più elitari o più di nicchia la
potenzialità per diventare eventi a grande diffusione e partecipazione,
eventi – perché no? – democratici, cui potenzialmente tutti possono
accedere grazie alla moltiplicazione e all’avvicinamento dei luoghi di
visione e grazie alla reale sostenibilità dei costi di accesso.
Il terzo livello di azione e di interazione per Microcinema, più ampio ed
elevato quanto ad angolo visuale rispetto al cinema e agli eventi, è
rappresentato dalle sale cinematografiche. Per Microcinema questi
luoghi, straordinari per ricchezza e poesia, diventano a tutti gli effetti
ambienti polifunzionali e il modello di business pensato per loro si
ispira a nuovi criteri di sostenibilità. La diversificazione
dell’intrattenimento e della proposta culturale arricchisce le potenzialità
della sala cinematografica che può finalmente e realmente gestire tanti
contenuti di diverso tipo, per i diversi giorni della settimana e per le
diverse fasce orarie del giorno. I cinema di provincia possono
addirittura rinascere perché hanno a disposizione strumenti nuovi su
cui fare leva.
Una sala tecnicamente polifunzionale e ricca di contenuti realizza una
interazione più forte con la comunità di riferimento ampliando la base
di partecipazione alla sua gestione, diretta e indiretta. La
programmazione può essere indirizzata dal pubblico attraverso livelli
più o meno stretti di collaborazione con il gestore: a partire dal
semplice questionario di soddisfazione si può arrivare fino alla
formazione di veri e propri comitati editoriali di indirizzo e
programmazione. Potendo spaziare tra molte proposte, è possibile
comporre più liberamente e più creativamente i palinsesti per renderli
naturalmente più appetibili al proprio pubblico e più redditizi per la
gestione.
La sala digitale si può realmente trasformare in un “multiplex
tascabile”, fisicamente concentrato in un’unica sala di proiezione ma
culturalmente diffuso su orari e giorni diversi. Perché se nel multiplex
63
tradizionale ogni schermo ha il suo pubblico, nella sala digitale
polifunzionale ogni ora ha il suo pubblico e la redditività può
aumentare a un ritmo incredibilmente più veloce rispetto ai costi di
gestione.
L’ultimo livello di visione, di ricaduta e di impatto che completa il
sistema dei valori di Microcinema è rappresentato dal tessuto sociale e
culturale; un tessuto di riferimento cui proporsi in risposta al rischio di
desertificazione.
I ritmi frenetici, la superficialità delle relazioni, l’iperindividualismo di
massa che fa consumare i film sui personal computer come videogiochi
da giocare da soli prosciugano il tessuto sociale e impoveriscono quelle
relazioni personali e umane che completano l’individuo e costruiscono
la collettività. E in questo scenario, che non deve sembrare troppo
apocalittico e che invece, pur con varie sfumature, non è lontano dalla
realtà di molte zone cittadine o di molte periferie dormitorio, il
salvataggio di una sala cinematografica significa preservare il cuore
stesso di una comunità, scegliere se tenere in vita un paese (o un
quartiere) anziché lasciarlo lentamente morire. Senza cinema le luci si
spengono presto, le strade si svuotano, gli esercizi commerciali
chiudono, l’interrelazione umana si trasferisce sulla rete virtuale
inventando relazioni di fantasia quando addirittura non si spegne,
insieme alle luci.
Il vecchio cinema, finché vive, rappresenta l’unico e vero collante
sociale di moltissime comunità: per questo va difeso. E va fornito di
tutti gli strumenti necessari per sopravvivere e rispondere
all’evoluzione dei tempi. Il cinema è l’unico luogo chiuso in cui le
persone condividono due ore di tempo e attenzione comuni,
nell’oscurità e senza timori, in cui si può entrare da soli senza sentirsi
isolati, in cui si trovano persone che condividono passioni e che,
proprio per questo motivo, non giudicano a priori e non si giudicano in
nulla reciprocamente. La sala cinematografica è il luogo in cui tre
generazioni possono trovare l’occasione di uno svago o di un interesse
sotto casa, un unico luogo per rispondere a tutti, insieme o in momenti
diversi.
Tenere in vita un cinema vuol dire darsi spazi e opportunità, vuol dire
aumentare la qualità della vita.
Questo complesso e stratificato sistema in cui Microcinema si muove e
in cui elabora le proprie proposte e risposte è un ingranaggio in
64
movimento continuo. E vuole essere quotidianamente un ingranaggio
virtuoso che innesca movimenti grandi partendo da cambiamenti
piccoli e affrontabili senza timori.
Come in una serie di ingranaggi, i contenuti, assolutamente
imprescindibili siano essi tradizionali o innovativi, imprimono il
movimento alle sale e le sale muovono le persone e collegano,
riuniscono, rappresentano la comunità.
65
Il ruolo di Microcinema nella conversione digitale
di Silvana Molino
L’offerta digitale per il settore cinematografico si è fatta oggi – anno
2010 – quanto mai composita e, in taluni casi, anche parecchio
fantasiosa. Operatori vari, con gli appellativi più diversi ( dealer,
distributori diretti, partner, importatori, integratori, terze parti,
installatori) propongono ai cinema soluzioni per la conversione alle
nuove tecnologie.
Tutti propongono soluzioni per la conversione delle cabine, pochi
propongono soluzioni per la conversione dei cinema. Convertire una
cabina al digitale significa tecnicamente sostituire un sistema analogico
con un sistema digitale. Convertire un cinema al digitale significa
entrare in un nuovo mondo fatto di opportunità diverse e nuove,
significa adottare un nuovo modo di pensare, di gestire e di operare
con strumenti nuovi.
Microcinema ha messo l’esercente al centro della propria offerta e ha
costruito attorno alle sue esigenze una proposta a più livelli per
renderla affidabile, scalabile, flessibile, multifunzionale. In una parola:
sostenibile.
La conversione digitale è stata innanzitutto una necessità per le sale di
medio-piccola dimensione alle prese con la scarsità delle pellicole e con
il rinnovamento delle strutture. L’offerta Microcinema si è strutturata
proprio a partire da queste realtà mettendo a punto proposte adattabili
capaci di personalizzazione in ragione delle esigenze di ogni cinema.
E’ nato con questa filosofia – ed è stato presentato al mercato per la
prima volta nell’era digitale – il Cinemakit. Fregiato del best case HP
2006 e del Microsoft award 2007, il Cinemakit Microcinema ha
rappresentato – e fieramente rappresenta ancora oggi senza sentire il
peso dell’età – il primo sistema integrato per il cinema digitale basato
su tecnologia DLP per l’elaborazione di immagini 1080p. Sullo sfondo
dell’animata discussione che proprio in quegli anni infiammava i tecnici
e i filosofi per la definizione dello standard che sarebbe stato adottato
nel cinema digitale in tutto il mondo, l’Italia si andava dotando di
sistemi ingegnerizzati per rispondere a necessità concrete per le quali
non si poteva aspettare il tempo delle dispute di principio. Microcinema
ha così iniziato la sua strada verso la scalabilità con il primo scalino;
66
uno scalino facile da affrontare da qualsiasi esercizio cinematografico e
accolto con interesse e curiosità dalla distribuzione nazionale e di
qualità alla ricerca di soluzioni alternative alle tirature in pellicola.
Il Cinemakit è un sistema di gestione e proiezione con risoluzione
nativa HD 1080 che può indifferentemente utilizzare proiettori 2.0K,
1.9K e 1.3K. Utilizza il formato di codifica delle immagini SMPTE 412M
e la luminosità dei proiettori varia da 8.000 a 12.000 ansi lumen. La
sua peculiarità è di comprendere tutto ciò che serve per attrezzare un
cinema da zero e per renderlo operativo immediatamente dopo
l’installazione: rack, gruppo di continuità, server, proiettore, monitor,
tastiera, supporti, parabole, router satellitare, sistema di decodifica live
e, soprattutto, tantissimi contenuti in alta definizione e di qualità, sia in
diretta sia in differita. L’innovazione rivoluzionaria che Microcinema ha
portato nel settore cinematografico con il Cinemakit è rappresentata
proprio da questa inscindibile compenetrazione di tecnologia e di
contenuti, con un’amplissima scelta per iniziare senza attese ad
utilizzare tutti gli strumenti a disposizione del proprio cinema.
Il Cinemakit rappresenta per alcuni esercenti l’investimento di partenza
– l’entry level della propria avventura digitale –, per altri esercenti
rappresenta l’investimento ideale, capace di dare valore alla svolta
tecnologica grazie ad un sistema capace di ripagarsi attraverso i
contenuti che veicola in quanto collegato al network. I plus del
Cinemakit rispetto a qualsiasi altro sistema digitale risiedono nel costo
contenuto e nella grande affidabilità delle tecnologie, certificate da HP
e DPI, nel continuo aggiornamento dei programmi di gestione del
sistema – tutti proprietari – sviluppati direttamente da Microcinema su
piattaforma Microsoft, col vantaggio di essere collegati ad una rete
satellitare bidirezionale che supera il digital divide e che, in quanto
vero network, garantisce assistenza e supporto non-stop in qualsiasi
momento del giorno e dell’anno. Ma il vantaggio più diffusamente
evidenziato da quanti hanno realizzato questo tipo di investimento
risiede comunque nella forza dei contenuti. Il Cinemakit è stato il primo
sistema digitale capace di proporsi da subito come mezzo e non come
fine, è stato il primo e unico sistema proposto al mercato
immediatamente utilizzabile e ricchissimo di una incredibile varietà di
contenuti: film di qualità italiani ed europei, documentari,
cortometraggi, film commerciali non DCI distribuiti da distributori
nazionali, concerti, opere liriche, contenuti educational, eventi culturali,
produzioni indipendenti e autoriali. Il catalogo Microcinema si amplia
67
ogni giorno tenendo il passo della distribuzione nazionale – non tutta,
è vero, ma comunque tanta – e con il Cinemakit lascia spazio a
moltissimi altri contenuti, reperiti in autonomia, che ogni sala
cinematografica può proiettare in digitale con qualità cinematografica.
Senza dimenticare i contenuti live che, fin dalla prima proiezione,
caratterizzano soprattutto le sale più piccole dotate di Cinemakit,
quelle più integrate con il territorio, quelle che trovano nel catalogo
live, soprattutto classico, una leva culturale ed economica
fondamentale per il sostegno e l’incentivazione al passaggio al digitale.
Ma riprendiamo l’analisi dell’offerta Microcinema per la conversione
digitale dei cinema italiani. E facciamo il passo successivo, un passo
breve che è stato solo propedeutico alla svolta decisiva.
Il successo del Cinemakit ha contribuito ad amplificare il dibattito che
già da tempo era in corso in merito al DCI 2.0K e che sembrava non
trovare una risposta univoca. Così, nel periodo in cui il reparto Ricerca
e Sviluppo era impegnato tra Torino, Los Angeles e Mombay
nell’ingegnerizzazione del server interoperabile, Microcinema ha
proposto alle sale più grandi o più impazienti di entrare subito nel
digitale, con sistemi graditi alle major ma aperti a quello che nel breve
sarebbe stato il passo decisivo verso la libertà digitale.
Al Cinemakit è stato affiancato, dall’ottobre 2008, un sistema DCI puro,
3D ready, con risoluzione nativa HD 1080 e proiettori 2.0K o 4.0K per
la sola decodifica JPEG 2000, ovvero per la gestione e proiezione dei
film – su hard disk – delle major americane. Per quanto poco fosse
concesso dalle strettissime specifiche DCI, il sistema si è comunque
informato a due dei criteri base della filosofia Microcinema: flessibilità
e sostenibilità. Così alla scelta tra diversi proiettori con luminosità
variabile tra 12.000 e 30.000 ansi lumen, si è aggiunta la connessione
al network satellitare per la ricezione degli eventi live. Una “moda” che
è stata presto replicata dagli altri operatori del settore a vantaggio –
seppur indiretto – di un intero comparto.
Ed eccoci a questo punto giunti alla svolta decisiva, all’elemento di
riconoscimento e di unicità che distingue l’offerta Microcinema rispetto
a tutti gli altri operatori del mercato. Dal Cinemakit, passando per il
periodo interlocutorio del DCI puro finalmente, nel febbraio 2009,
entra nel vivo l’impiego del nuovissimo e – primo al mondo –
interoperabile sistema M-box. La risposta a tutte le priorità espresse
dalla grande sfida del passaggio al digitale; il riassunto in un unico
68
sistema, di tutta la libertà disponibile per tornare a “fare cinema” senza
doversi preoccupare dell’arredamento della cabina di proiezione.
M-box 3D ready, con risoluzione nativa HD 1080, è un sistema DCI
compliant interoperabile ovvero un sistema capace di gestire e
proiettare differenti formati di codifica dell’immagine quali JPEG 2000
(il formato adottato dal consorzio DCI) e SMPTE 412M (il VC-1,
adottato dalla distribuzione nazionale e dalla maggior parte dei
network extraeuropei, India e Cina in testa passando per gli Stati Uniti,
la Svezia e il Brasile). M-box, con proiettori 2.0K e 4.0K e luminosità da
12.000 a 30.000 ansi lumen, è completamente interconnesso alla rete
satellitare bidirezionale per la diagnostica, il monitoraggio remoto,
l’assistenza 24 ore su 24, la ricezione live e il trasferimento di film (sia
VC-1 sia DCP).
M-box è la tecnologia DCI compliant che assicura il ritorno più breve
sull’investimento a parità di sala.
Tabella comparativa tra i sistemi offerti da Microcinema
DCI
Cinemakit
M-box
interoperabile
VC-1
(SMPTE 412M)
JPEG 2000
(DCI)
MPEG 2
Formato di
codifica
(software di gestione
dell’immagine)
JPEG 2000
(DCI)
VC-1
(SMPTE 412M)
Supporto
trasmissivo
Hard Disk
Satellite
Risoluzione
nativa
dell’immagine
1080
1080 / 1536
1080 / 1536
2.0K
(2048 x 1080p)
1.3K
(1280 x 720p)
1.9K
(1920 x 1080p)
2.0K
(2048 x 1080p)
1.3K
(1280 x 720p)
1.9K
(1920 x 1080p)
2.0K
(2048 x 1080p)
Risoluzione
dell’immagine
(proiezione)
69
Satellite
Hard Disk
La digitalizzazione delle sale cinematografiche ha portato naturalmente
più o meno consistenti risparmi alla distribuzione; risparmi che
diventano tanto più interessanti quanto aumenta il numero di sale
digitalizzate, risparmi che si avvantaggiano di un’offerta scalabile
capace di aumentare il numero di cinema contemporaneamente
raggiungibili senza più la stampa della pellicole, risparmi che si
consolideranno con l’invio alle sale via satellite dei file DCI oggi
trasferiti mediante hard disk.
L’esperienza condotta da Microcinema sull’uso del satellite per la
distribuzione cinematografica, conferma le sensazioni di molti operatori
sugli impatti innovativi complessivi di filiera. Sarà possibile garantire,
senza costi aggiuntivi, l’uscita in contemporanea di un film in modo
semplice, velocissimo ed economico, utilizzando sistemi e piattaforme
interoperabili e interconnesse, facendo della rete il vero fulcro del
complicatissimo meccanismo digitale.
Ma le piccole sale indipendenti, senza un chiaro percorso da seguire
rischiano la deriva tecnologica, un costoso smarrimento in una foresta
inestricabile. Per questo c’è bisogno di un fil rouge, di una rete che
rappresenti una “mappa” delle tecnologie più accessibili, più adatte ad
ogni realtà, più convenienti.
Oggi Microcinema propone agli esercenti una percorso a più tappe,
affinché possano scegliere tra diversi livelli di digitalizzazione, con
garanzia di scalabilità da uno all’altro, e possano inoltre contare su un
catalogo di contenuti molto ampio che spazia dai film, agli eventi
registrati, ai live.
E’ chiaro che chi ha investito cifre vicine ai centomila euro nella
digitalizzazione DCI non può basare il proprio conto economico
esclusivamente sulla proposta di eventi in diretta, ma questi
rappresentano dei veri ricavi complementari, una nuova fonte di utili
che consente di accorciare i tempi di recupero dell’investimento e di
scegliere una digitalizzazione indipendente, che prescinde davvero dai
rapporti di forza con le terze parti.
Chi ha scelto di seguire la via della digitalizzazione con il Cinemakit per
lavorare sui film dei distributori italiani, indipendenti e non, a fronte di
un investimento pari ad un terzo rispetto all’investimento minimo DCI,
si trova a poter lavorare, oltre che sugli eventi in diretta, sulle rassegne
sia dei contenuti complementari sia di film e documentari, aumentando
le occasioni di contatto e di fidelizzazione del proprio pubblico.
70
Sono molti i cinema che hanno riaperto grazie a questo sistema,
mentre altri hanno evitato la chiusura, trovando nuove motivazioni per
proporsi con proposte innovative e diversificate ad un pubblico
rinnovato. Naturalmente hanno fatto la scelta coraggiosa di non
seguire la via del cinema commerciale in 3D, facendo convivere la
“vecchia” pellicola con l’innovazione e la versatilità digitale. Con oltre
200 film e 50 contenuti complementari digitalizzati on line, che
rappresentano una tra le library più importanti nel mondo, si
propongono al mercato come dei microplex indipendenti. Nella sezione
successiva abbiamo dedicato spazio alle storie di alcuni di questi
esercenti che hanno saputo, insieme a Microcinema, riaffermare
l’importanza del cinema come luogo di incontro e offrire agli spettatori
un’ampia gamma di contenuti, caratterizzando così l’immagine del
proprio cinema in modo vincente.
Discorso a parte per chi ha scelto l’esclusivo M-box che consente la più
completa offerta al pubblico oggi disponibile. Cinema commerciale, film
DCI 2D e 3D anche via satellite, film digitali europei e film di qualità
proposti da Microcinema, sempre via satellite, i live e le opere in
rassegna, i film della library per i diversi pubblici del mattino e del
pomeriggio, le rassegne cinematografiche serali. Insomma un esercizio
cinematografico sempre attivo per offrire al suo pubblico continui
stimoli di intrattenimento culturale e commerciale. Dal mattino fino a
notte inoltrata diviene possibile proiettare film e contenuti diversi,
ognuno con il suo specifico pubblico. I film in prima visione rimangono
immagazzinati in formato sicuro nei server e, dopo qualche settimana,
si trasformano in contenuti per le rassegne da proporre alle scuole la
mattina, agli anziani il pomeriggio, al pubblico del cineforum la sera. E
poi l’opera lirica, il balletto e gli altri contenuti complementari che
arricchiscono l’offerta da affiancare ai film più commerciali.
71
L’esempio che viene dal freddo
di Silvana Molino
Digitala Hus è un network svedese che ha scelto di digitalizzare spazi
collettivi (sia vere e proprie sale cinematografiche, che centri
polifunzionali, centri di incontro, parchi pubblici con zone di ritrovo,
ecc.) per amplificarne il ruolo innato di centri di aggregazione e di
condivisione sociale.
Il network digitale è nato proprio nelle Folkets Hus och Parker, ovvero
in alcune di quelle "case del popolo" in cui la popolazione svedese,
provata da un clima rigido e da una morfologia di territorio un po'
ostica per i nostri schemi di socializzazione, era in grado di identificarsi
e di trovare una identità condivisa; luoghi di riferimento in cui
arricchire (o talvolta semplicemente riempire) il proprio tempo libero
con un intrattenimento culturale capaci di rispondere all'esigenza di
svago mantenendo una forte coesione sociale e un adeguato livello
culturale.
Molti dei Folkets Hus och Parker sono diventati, grazie alla tecnologia
applicata in modo virtuoso alla necessità, un network di Digitala Hus,
di case digitali multifunzionali in cui hanno trovato posto i contenuti
filmici, subito affiancati da documentari, corti, audiovisivi sperimentali,
contenuti complementari come opera e balletto da teatri locali fino al
MET di New York. Le case digitali hanno privilegiato il contenuto al
mezzo, hanno superato – a dire il vero ancora prima che nascesse – la
diatriba degli standard e dei canali di trasferimento dei contenuti:
hanno scelto un livello di proiezione adeguato ai propri schermi
prescindendo dunque, dove non necessario, dal 2.0K; hanno scelto
algoritmi di codifica e compressione freeware con il miglior rapporto
peso/qualità; hanno optato per il mezzo trasmissivo più adatto al
proprio territorio e più efficace in relazione ai tempi/costi di
distribuzione fisica delle copie dei film.
E' nato in questo modo il primo circuito satellitare digitale, basato su
tecnologia sostenibile, capace cioè di ripagarsi in tempi relativamente
brevi attraverso i contenuti che veicola, ed è nato il primo concetto di
“rete” per la distribuzione di contenuti filmici e non solo filmici. I 7
schermi attivati nel 2002 (tutti non DCI), sono diventati 50 nel 2008 e
sono oggi 94 (14 DCI e 80 non DCI, tutti equipaggiati per il live):
72
schermi che si sono evoluti nella tecnologia mantenendo il ruolo
centrale di collante tra le persone.
Nei Digitala Hus, grazie all'utilizzo di tutte le opportunità offerte dal
digitale, un digitale libero e non asservito ai voleri delle major, le
persone trovano contenuti sottotitolati per non udenti oppure
raccontati per i non vedenti; trovano film minori o grandi film in lingua
originale; trovano ampia scelta di film locali e di corti; trovano
preziosissime librerie di capolavori mai visti nel circuito della
distribuzione ufficiale tradizionale; trovano strumenti flessibili da
utilizzare per applicazioni interattive e per gare di videogiochi; trovano
spazi e opportunità per il distant learning.
Ecco insomma che cosa può diventare un digitale democratico, che
non fa parlare di se in quanto tecnologia, ma che lascia intendere di se
in quanto opportunità di cultura, di formazione, di intrattenimento, di
crescita, di identità e di socialità.
73
Microcinema, che cosa è successo in questi anni
di Roberto Bassano
Guardarsi indietro per un’azienda è importante per valutare
manchevolezze, errori e successi, per poter costruire il proprio futuro.
Nella prefazione annotavo che il network è molto cresciuto, che
Microcinema ha consolidato la sua leadership, che le nostre proposte
stanno allargando il loro ambito e la loro frequenza, che, insomma,
non possiamo che essere soddisfatti della nostra storia.
La soddisfazione più grande nasce dal rapporto instaurato con gli
esercenti. Un rapporto che prima nel mondo dell’esercizio forse
mancava. Ci riempie di soddisfazione ricevere ringraziamenti per il
modo in cui operiamo, per la trasparenza, la correttezza, la serietà. Per
mantenere sempre gli impegni. Per noi – nessuno di noi, tranne uno,
proviene dal mondo del cinema – è naturale comportarsi così. Eppure
ci rendiamo conto che anche nel modo di operare abbiamo portato una
ventata di novità che spero sia a beneficio stabile di tutti.
Dedicare qualche riga del nostro terzo Quaderno al nostro operato è
corretto nei confronti di tutti, delle sale in primo luogo, dei distributori
che ci aiutano, di tutti i nostri collaboratori che, chi dal primo giorno
chi da pochi mesi, hanno dedicato le proprie energie, in modo
generoso e intelligente, a questo progetto. Microcinema ha un elenco
di primati che difficilmente potrà essere eguagliato.
Dal 2006 ad oggi Microcinema ha percorso un cammino difficile e
pieno di insidie, come apripista di un mondo, il cinema digitale,
inizialmente sogguardato come qualunque innovazione, come un
pericolo destinato a cambiare usi e inveterate abitudini. Dobbiamo dire
grazie ai quei venticinque pionieri, tutti Sale della Comunità, che a
dicembre del 2006 aderirono per primi al progetto, con grande
entusiasmo, accettando di fare da cavie per un sistema innovativo che
certamente funzionava ma, fino a quel momento, solo sulla carta. Oggi
brindiamo insieme ad un successo. L’investimento era impegnativo
(parecchi milioni di euro) e il rischio elevato, esattamente come la
passione che ci ha guidato fin qui. La precisione nello sviluppo del
progetto, e anche un pizzico di fortuna nell’evitare imprevisti che
74
avrebbero rallentato il processo, hanno fatto sì che oggi Microcinema
sia il riferimento per il cinema digitale in Italia.
Insieme a quei venticinque coraggiosi anticipatori (e insieme a noi
visionari) siamo stati i primi a creare una rete di cinema, collegati tra
loro via satellite, con l’obiettivo di sviluppare un network per la
condivisione dei contenuti, di favorire la circolazione dei film e di
modificare radicalmente il modello di cinema cui eravamo abituati. Un
esercizio che in questi anni ha consentito la trasformazione di molte
sale da monosala a microplex con un’offerta flessibile, rivolta a diverse
fasce di pubblico in differenti orari e giorni, realizzando di fatto una
sala cinematografica che può offrire il video on demand.
Poi siamo stati i primi a proporre al mondo del cinema i contenuti
complementari, complementari e non alternativi come qualcuno, in
negativo, pretendeva di chiamarli, realizzando via satellite il 20 aprile
2007, capofila in tutto il mondo, la prima diretta su scala nazionale: la
Traviata dal Teatro dell’Opera di Roma.
I nuovi contenuti culturali e di intrattenimento che entrano al cinema
non sono alternativi ai film ma sono complementari, occupano spazi
che altrimenti rappresenterebbero un segno negativo nei bilanci degli
esercizi cinematografici. Ed è proprio basandosi sulla redditività di
opera lirica, concerti, balletti, cinema d’autore e documentari che molte
sale hanno riaperto o evitato la chiusura. Abbiamo dedicato una
sezione del Quaderno alle storie di alcune di queste sale che
tenacemente sono sopravvissute al naufragio o lo hanno scongiurato
virando verso le acque tranquille della flessibilità digitale. E siamo fieri
di avere partecipato con loro a questa impresa.
Oggi sono in molti a proporre contenuti ed eventi, dal calcio al pop.
Non concorrenti ma amici che hanno deciso di intraprendere la nostra
stessa strada. E ne siamo lieti: più questa tendenza si diffonderà e
prenderà piede, più tutti ne beneficeremo.
Noi intendiamo proseguire nel nostro cammino seguendo la nostra
filosofia iniziale: i contenuti sono rivolti al pubblico e, proprio per
questo, non possiamo fare differenziazioni tra gli standard di
proiezione; tutti possono ricevere i contenuti che trasmettiamo in
diretta. Il pubblico può scegliere tra il multiplex più avanzato
tecnologicamente e la piccola monosala dove forse l’audio è ancora
stereo e lo schermo mostra i segni del tempo.
75
Siamo stati i primi a creare un network di 100 sale in rete, oggi già in
dirittura verso le 200, e poi avanti fino a connettere tutte le sale che
nei prossimi anni decideranno di fare una scelta digitale sostenibile.
Sono sale che utilizzano indifferentemente sistemi Microcinema con
proiettori con risoluzione 1.3k e 1.9k e sistemi DCI o interoperabili Mbox con risoluzione 2.0k. La risoluzione nativa dei contenuti inviati non
cambia per i differenti sistemi, sempre 1080 linee, anche questo un
primato che è stato la chiave per realizzare una scalabilità concreta e
senza sorprese.
I primi a garantire alle sale la possibilità di accedere a un sistema di
sala interoperabile che svincola l’esercente dalla scelta di uno standard.
Con M-box le sale italiane sono in grado di dotarsi di un sistema che,
con un unico server, garantisce la possibilità di proiettare film in DCI
2D e 3D, film in prima visione del catalogo Microcinema e le opere
liriche di RAI Trade o della Royal Opera House, gli eventi live e
qualunque altro contenuto in linea con le scelte editoriali di ognuno.
Siamo stati i primi, nonché gli unici, a proporre alle sale un sistema
scalabile che preserva l’investimento nel cinema digitale. L’ upgrade da
Cinemakit ad M-box permette all’esercente di non perdere neanche un
euro del suo investimento iniziale.
I primi a proporre in Italia i DCP distribuiti via satellite su scala europea
insieme ad un player di respiro mondiale e, ahimè, non europeo, quale
Arqiva.
I primi a proporre automazioni di nuova generazione che svincolano le
sale da vecchi ricatti feudali legati a sistemi fondamentalmente
elettromeccanici. La partnership con la texana AMX fornisce a tutte le
sale italiane la stessa piattaforma che viene utilizzata negli automatismi
e nelle sicurezze dei centri congressi, delle navi, dei negozi in tutto il
mondo.
Ed ora siamo i primi a portare in Italia un’opera lirica in 3D e 2D, la
Carmen di Georges Bizet dalla Royal Opera House di Londra.
Uno slogan olimpico di qualche anno fa (oggi di una nota radio) diceva
“la passione ci guida” e un altro, riferito alla mia città, recitava “always
on the move”. Ecco la sintesi di Microcinema.
In chiusura dobbiamo anche confessare a tutti: però, che fatica
arrivare fino a qui!
76
Lo sguardo altrove
Un futuro digitale
di Roberto Bassano
La “bolla” del cinema digitale.
Ci sono circa 80.000 schermi cinematografici nel mondo occidentale
(escludendo Cina, India e gran parte dell’Africa). In Cina ci sono
approssimativamente 4.000/5.000 cinema moderni, di cui circa 700 in
3D DCI (e altre decine di migliaia che utilizzano i sistemi digitali di
proiezione più disparati) e in India più o meno 18.000. In pochi anni,
quindi, potranno essere convertiti al digitale oltre 100.000 schermi.
Durante l’ultimo decennio il numero di sale digitalizzabili è rimasto
pressoché invariato.
Texas Instrument – depositario del brevetto e unico produttore
esclusivo al mondo del chip DLP cinema, utilizzato da tutti i produttori
di proiettori digitali accettati dalle specifiche DCI – riporta nella sua
relazione annuale che, alla fine del 2009, vi erano 15.571 schermi che
avevano introdotto sistemi di proiezione in digitale. Nel 2010 si
prevede che gli schermi convertiti al digitale saranno circa 20.000. Le
capacità produttive messe in campo da Barco, Christie e NEC stanno
faticando a produrre i proiettori per rispettare la previsione. Per
confronto il volume di E-cinema per il 2010 non raggiungerà i 10.000
schermi.
Concediamoci un calcolo aritmetico puro sui tempi della conversione
complessiva al digitale: con una capacità di 20.000 sistemi l’anno, per
convertire tutti gli schermi disponibili sarebbero necessari tre anni e
mezzo e il processo terminerebbe nel 2015. E’ improbabile che, per i
ben noti motivi legati alla crisi economica e finanziaria, tutti questi
schermi possano essere convertiti facilmente.
Bisogna anche ricordare che la disponibilità dei proiettori non è solo
legata alla disponibilità del chip DLP di Texas; oltre alla capacità
produttiva delle diverse aziende (Christie, leader assoluto di mercato,
ha appena inaugurato una nuova fabbrica in Cina), è necessario che
siano disponibili le ottiche e tutti gli altri componenti.
Catene più piccole e cinema di proprietà individuale saranno più
sensibili al problema finanziario; cinema indipendenti e piccoli multiplex
77
potranno risentire delle conseguenze del modello VPF. E poi, in fondo
in fondo, non è facile da prevedere il successo del fenomeno 3D, al
suo terzo tentativo di fare breccia, cambiando le sorti del mercato che
negli Stati Uniti, nel primo semestre del 2010, pare avere mostrato i
primi segnali in controtendenza: il mix di sbigliettamento tra 2D e 3D
sta mostrando una crescita del primo a svantaggio del secondo.
In questo momento iniziale di grande attenzione, sia del pubblico sia
delle produzioni, il 3D sembra comunque fornire un argomento
convincente e forse addirittura determinante per la conversione da
pellicola a digitale. Dalla relazione della Texas Instruments si desume
che i tre produttori di proiettori DCI hanno ordini sufficienti per coprire
l’intera capacità produttiva fino ai primi mesi del 2011. Gli ordini che
saranno evasi nei prossimi sei mesi sono già stati sottoscritti dagli
esercenti sulla spinta degli attuali guadagni sui film 3D. Il dato
riconosciuto a livello mondiale è che un film in 3D generi o sia in grado
di generare il 250-300% di profitto in più rispetto al 2D. E’ una spinta
quasi irresistibile per indurre una sala cinematografica a convertirsi.
Una considerazione a sé va fatta per il cinema digitale non riconosciuto
come D-cinema ma identificato – anche se semanticamente in modo
improprio – come E-cinema. I produttori mondiali di proiettori
propongono un modello di business invitante per i costi potenzialmente
più bassi rispetto al D-cinema, per la possibilità di garantire diversi
livelli di sicurezza come il D-cinema, se richiesto, e per la capacità di
proporre soluzioni flessibili a seconda della capacità di spesa
dell’acquirente. Soluzioni che salvaguardano il risultato visivo sullo
schermo senza legare la disponibilità di prodotto a specifiche
artificiosamente imposte da produttori e distributori.
Adottare l’E-cinema può sembrare restrittivo, perché i sistemi non DCI
non possono, ufficialmente, proiettare contenuti di Hollywood. Tuttavia
Digital Projection ha appena rilasciato una serie di DLP 3 chip 1080p a
basso costo che sono in grado di soddisfare tutti gli standard DCI,
salvo avere una risoluzione di proiezione di 1920 pixel anziché 2048,
mentre proiettano i film 3D con la stessa qualità dei sistemi DCI, con
occhiali sia attivi che passivi.
Digital Projection è stato, insieme a Texas Instrument, lo sviluppatore
del chip DLP adottato dal consorzio DCI quando i proiettori avevano
una risoluzione massima di 1.3K, ed è stato dunque il primo produttore
di sistemi DCI.
78
E’ del 12 agosto 2010 la notizia che Digital Projection inizierà ad
installare i primi 400 proiettori, con risoluzione 1.9K full HD per il
circuito indiano K Sera Sera (sì, proprio come la canzone) di Bombay,
una delle più importanti aziende nel settore media ed entertainment,
specializzata nella produzione e distribuzione di film. K Sera Sera ha
deciso di costruire 500 nuovi cinema per un totale di 1.000 schermi.
Saranno, dice il comunicato stampa, miniplex di città, ciascuno dei
quali avrà due sale con capacità rispettivamente di 75 e 125 posti.
I dati comunicati da Texas, molto precisi, tengono conto della propria
capacità produttiva e di quella dei tre partner costruttori dei proiettori
ma non considerano, apparentemente, in alcun modo le previsioni
degli analisti di mercato. Solamente in Cina, i cinema aumenteranno di
circa 30.000 unità entro il 2015 e in India si prevede un incremento di
circa 10.000 schermi. E’ chiaro che questo mercato, prudentemente
stimato in 40.000 unità perché non tiene conto dello sviluppo degli altri
paesi dell’area, sarà occupato da cinema con standard diversi dal DCI
che prevedono un investimento economicamente sostenibile. Nel 2015
si presume che il box office cinese arrivi a 10 miliardi di dollari,
divenendo il primo mercato del mondo. Oggi l’importazione di pellicole
dall’estero è contingentata a 20 all’anno4.
D-Cinema vs E-Cinema.
Nonostante tutte queste dinamiche, che paiono contraddittorie e
spiazzanti, si può razionalmente prevedere che nella maggior parte dei
paesi occidentali il D-cinema vincerà rispetto all’ E-cinema, per quanto
riguarda la diffusione dei film di Hollywood, e il fattore determinante
sarà proprio rappresentato dalla disponibilità di contenuti di Hollywood.
Qualsiasi business plan orientato ad un successo veloce e di ampia
portata, include i film di produzione hollywoodiana.
Cina ed India, e con loro tutti i paesi di quell’area, sembrano
maggiormente refrattari alla conversione digitale con sistemi D-cinema,
e si stanno guadagnando la qualifica di paesi orientati all’investimento
sostenibile e per questo più interessati al modello E-cinema. In effetti il
D-cinema potrebbe vincere solo se ci fosse una crescente domanda di
contenuti di Hollywood, se Hollywood non fosse disposta a fornire i
4
La Stampa, 15/08/2010
79
propri contenuti attraverso installazioni E-cinema (ovverosia fosse
disponibile a rinunciare a parte degli incassi, fatto che per assioma è
impossibile) e, infine, se i costi del D-cinema fossero ridotti
radicalmente, in modo da avvicinarsi a quelli dell’ E-cinema.
Se i costi dei sistemi DCI non scenderanno del 40% difficilmente le
major di Bollywood saranno disponibili a favorire la sostituzione di
migliaia di cinema già funzionanti via satellite con i costosi sistemi
proposti da Hollywood. Sarà comunque la posizione Reliance a
determinare le scelte di questo mercato, e non solo.
A ciò si aggiunga che la visione del 3D non ha alcuna differenza reale
tra i sistemi equipaggiati con proiettori DCI e i sistemi alternativi con
proiettori 1.9 che utilizzano un chip di più moderna generazione.
Contenuti.
C’è un vecchio detto nell’industria film cinematografica riconosciuto a
livello mondiale: “il contenuto è re”.
Hollywood mette in pratica questo detto quotidianamente, con
costanza, e riconosce che il controllo dei contenuti è il suo patrimonio
più importante. In mercati in cui le major hollywoodiane hanno affari in
corso e business facilmente gestibili, è abbastanza improbabile che sia
autorizzata la conversione digitale utilizzando sistemi non DCI. La
situazione in Cina è complessa anche a causa delle restrizioni che il
governo cinese impone sul numero di film di Hollywood che possono
essere proiettati; le programmazioni di Avatar5 in 2D sono state
bloccate a gennaio per lasciare spazio alla biografia, politicamente
corretta, su Confucio di Hu Mei. Per questo la digitalizzazione in Cina
non è, allo stato attuale, una partita semplice per le major e per i
sistemi DCI, in particolar modo se i prezzi degli apparati di proiezione
non scenderanno in modo sensibile. Un'altra considerazione da fare è
5
Avatar di James Cameron, racconta la storia della popolazione originaria del pianeta
Pandora che si batte contro i colonizzatori terrestri, venuti per impadronirsi con la
forza delle sue risorse naturali. Nella vicenda il governo di Pechino potrebbe avere
intravisto un riferimento alle minoranze etniche della Cina, i tibetani e gli uighuri –
un’etnia turcofona di religione islamica – o anche alle requisizioni forzate di terre
nelle campagne e di vecchie case di abitazione nelle città, che vengono demolite per
far posto ai centri commerciali e ai complessi residenziali di lusso, settore trainante
del miracolo economico cinese.
80
che uno standard diverso dal DCI di Hollywood avrebbe due vantaggi
fondamentali per la Cina popolare: favorirebbe e proteggerebbe la
cinematografia locale e faciliterebbe il controllo, a livello governativo,
della circolazione dei contenuti.
In India la predominanza di Bollywood rappresenta, come abbiamo già
accennato uno scenario diverso.
La Reliance MediaWorks, che possiede oltre 500 schermi in India e che
fa capo al gruppo di Anil Ambani, ha recentemente stretto un accordo
con UFO Moviez che rappresenta il più grande network satellitare di
cinema digitali del mondo con 1800 schermi, tutti rigorosamente non
DCI, in India. E’ probabile che se le major di Hollywood vorranno
ampliare la loro presenza in India dovranno trovare un accordo con
Ambani.
Di Ambani avevamo già parlato nel primo Quaderno di Microcinema. La
sua Reliance ha prodotto i due maggiori film di successo di Bollywood
nella scorsa stagione; attraverso Adlabs film, società di produzione e
distribuzione controlla il 70% (settanta!) del mercato indiano ed è nota
per avere coprodotto con Hollywood Marygold. Possiede una
partecipazione di controllo nella DreamWorks di Steven Spielberg con
la quale sta coproducendo una serie film per 825 milioni di dollari (tra
cui uno su Martin Luther King); ha contratti con le maggior star del
cinema di Hollywood per sviluppare i loro film. Solo per ricordarne
alcuni: Brad Pitt, Jim Carrey, Julia Roberts e George Clooney.
La Reliance di Mombay spazia dalle telecomunicazioni alla televisione,
dallo spettacolo ai servizi finanziari.
Con motivazioni differenti, per le ragioni sin qui esposte, in India e
Cina ci sono opportunità significative per l’E-Cinema e per il D-Cinema
Lo sforzo di fornire prodotti 3D per E-cinema, insieme alla distribuzione
e gestione dei contenuti, potrebbe essere una proposta molto valida
per supportare un passaggio al digitale capace di arrivare a tutto il
settore cinematografico, a livello planetario, innescando finalmente il
circolo virtuoso del risparmio delle copie 35 mm e dell’utilizzo di sistemi
di trasferimento dei file che prescindano dalla copia fisica.
Avanzando un’ipotesi macroeconomica è possibile che la Cina, e forse
anche l’India, aprano il proprio mercato a un maggior numero di film di
Hollywood; allora Hollywood – per reciproco interesse economico –
81
potrebbe permettere la distribuzione di questi film su piattaforme ECinema.
Ma se ciò accadesse, ed è molto probabile, ci troveremmo ad avere il
75% e più del mercato cinematografico digitalizzato con quei sistemi
che sono stati per anni considerati di serie B, dimenticando, forse, che
ancora oggi moltissime sale proiettano con sistemi DCI in 1.3K.
L’ultimo importante motivo di riflessione ci arriva sempre dall’India. Da
gennaio è iniziata una trattativa tra Reliance e Sony che sarebbe
interessata a vendere la Metro Goldwyn Mayer titolare, tra gli altri, dei
diritti su 007 e la Pantera rosa. Se questa trattativa andasse in porto
gli indiani avrebbero accesso ad un catalogo cinematografico
holliwoodiano da proiettare, a loro scelta, in pellicola, in VC-1, in MPEG
e in JPEG (DCI).
Ma MGM è anche uno dei soci della Digital Cinema Iniziative (DCI) che
da sempre si batte per tentare di imporre uno standard costosissimo,
ma americano. Come gestirà DCI il rapporto con il potentissimo Anil
Ambani che, attraverso accordi industriali, controlla il più grosso
circuito cinematografico mondiale collegato in network, rigorosamente
non DCI? L’utilizzo di uno standard differente da Hollywood pone
Ambani e le sue aziende in una posizione di forza perché si trovano a
poter influenzare le politiche commerciali sulla distribuzione dei film di
Hollywood in India. E un diverso standard tutela e favorisce il cinema
locale dove l’influenza di Reliance è molto importante.
Gli Indiani a Venezia
Da tre anni il server DCI che supporta le proiezioni digitali i film a
Venezia è prodotto dall’indiana Qube.
Microcinema insieme con Qube, ha sviluppato il software e l’hardware
del server interoperabile M-box , che supporta indifferentemente le
proiezioni 1.3K, 1.9K, 2.0K, rispettando i protocolli Microcinema e DCI.
82
L’universo tridimensionale
di Rolando Alberti
Avevo da poco compiuto vent’anni quando, nel luglio del 1983, mi
ritrovavo in coda alla cassa del cinema del paesello in attesa di
accaparrarmi un posto e dei buffi occhialetti bicolore, per assistere a
“Lo squalo 3D” che, se non è passato alla storia come capolavoro, lo è
invece per il fatto di essere stato un esempio di come un film mediocre
sia riuscito, proprio grazie al 3D, a totalizzare un box office rispettabile.
A 27 anni di distanza mi ritrovo di nuovo in un cinema con un paio di
occhialini 3D sulla testa e mi domando le ragioni del reiterato
sdoganamento della stereoscopia che, dal 1922, viene periodicamente
messo in atto dal mondo del cinema quasi fosse una specie di
medicina estrema per superare i periodi di crisi. Tuttavia sembra che
questa volta sia un fenomeno diverso e probabilmente duraturo, visto
che la tecnologia digitale permette di gestire immagini stereoscopiche
senza tutti quei complicati accorgimenti del passato.
Il fenomeno 3D non è quindi un fatto recente: la sua invenzione risale
addirittura al 1838 e scaturisce dalla brillante mente di Sir Charles
Wheatstone, un eclettico inventore e fisico che si distinse in
quell’epoca per essere una fucina di idee, tra cui appunto lo
stereoscopio, uno strumento che permetteva di visualizzare immagini
tridimensionali. Fu però solo nel 1922 che il primo film stereoscopico,
intitolato “The power of love”, fu presentato al pubblico curioso
dell’Ambassador Theatre di Los Angeles, seguito da altre pellicole non
particolarmente fortunate che, anche per la depressione scatenata
dalla crisi economica del 1929, non contribuirono certo al successo del
3D. Passati i periodi di vacche magre, nel 1933 i fratelli Lumiére
presentarono al pubblico quello che da molti è ritenuto il primo vero
film commerciale in 3D, ovvero il remake in 3D del loro storico
“L’arrivée du train” del 1895. I sistemi 3D dell’epoca erano piuttosto
complessi e si basavano sugli “anaglifi”, ovvero due immagini
sovrapposte che rappresentano ognuna il punto di vista di ciascun
occhio e che, grazie all’aiuto di filtri colorati montati su degli appositi
occhiali, davano l’illusione della profondità delle immagini. E’ da notare
che i primi esperimenti si basavano su due pellicole proiettate
parallelamente da due proiettori, “virate” in verde e rosso e
83
sincronizzate tra loro, che, viste con gli appositi occhialini, rendevano
l’effetto tridimensionale.
L’anaglifo è senza dubbio il metodo più semplice per vedere
un’immagine 3D ma è, allo stesso tempo, anche il più rudimentale e il
meno efficiente. La vera svolta tecnologica arrivò nel 1932 con le lenti
polarizzate lanciate originariamente dalla Polaroid per ridurre l’effetto
abbagliante dei fari delle automobili incrociate durante la guida e che
solo successivamente vennero utilizzate, quasi per caso, nel cinema. E
nel 1939 si arrivò così al primo film commerciale girato per presentare
la Chrysler Plymouth all’esposizione universale di New York. Questa
tecnologia richiedeva l’utilizzo di uno schermo argentato in grado di
riflettere la luce in modo maggiore rispetto ai normali schermi bianchi,
compensando in tal modo la luce “persa” dall’operazione di filtraggio.
E’ fondamentalmente rimasta immutata da allora ed è alla base degli
odierni sistemi digitali basati su lenti polarizzate quali Dolby, Real-D e
Masterimage.
Nel 1940 la seconda Guerra Mondiale rimise occhiali, polarizzazione e
anaglifi nel cassetto fino ai primi anni ’50. Nel 1952 la corsa al 3D
riprese in tutto il suo splendore grazie alla discesa in campo degli
studios che abbracciarono questa tecnologia, seppur con la
complicazione delle due pellicole da mantenere sincronizzate,
producendo svariati film in tre dimensioni; dalla Disney alla Fox, dalla
Paramount alla Warner Bros, il mercato fu letteralmente invaso da film
in 3D fin verso il 1955 quando, passato l’entusiasmo per questa vera e
propria moda, le problematiche tecniche legate a questo tipo di
proiezioni, il fatto non trascurabile che una visione prolungata di
immagini stereoscopiche provocava spesso nel pubblico problemi di
ordine psicofisico, unitamente alla comparsa del formato widescreen,
ne segnarono un rapido e progressivo declino fino alla quasi totale
scomparsa in capo a pochi anni.
Negli anni ’60 una nuova tecnologia, quella che permetteva di
sovrapporre le due immagini in un’unica pellicola, diede nuovo impulso
alla produzione 3D che vide circa una quarantina di release
significative nei dieci anni successivi per poi subire un ulteriore
rallentamento a favore del sistema IMAX 3D che meglio era in grado di
rendere questo tipo di produzioni su uno schermo che “avvolge” lo
spettatore.
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In questo andirivieni di successi che collocano storicamente il 3D come
“fenomeno di moda”, per non dire come un “reiterato tentativo di
supplire alla scarsità di contenuti con effetti speciali”, giungiamo ai
giorni nostri, in cui la proiezione digitale permette di gestire in maniera
ottimale questo tipo di prodotto. In effetti anche la TV può ora
beneficiare della tecnologia 3D e questo nuovo fatto – sebbene già
negli anni ’90 dello scorso secolo esistesse la TV 3D – è alla base del
ritrovato entusiasmo per i film in 3D. Oggi i film 3D, pur non avendo
invaso mercato, popolano i cataloghi dei distributori in maniera sempre
maggiore a testimonianza che l’essere umano molte volte ha la
memoria proprio corta e tende a reiterare i propri insuccessi,
proponendoli come innovativi a un mercato di massa che reagisce
quasi sempre con esuberante entusiasmo.
Tecnicamente, per dirla in modo molto semplice, la stereoscopia,
messo in soffitta l’anaglifo, si basa su due tecnologie: le lenti
polarizzate o gli otturatori LCD. Entrambe fanno in modo che le
immagini indirizzate a ciascuno dei due occhi raggiungano solo quello a
cui sono destinate impiegando o luce polarizzata, con relative lenti
polarizzate, oppure otturatori LCD che, aprendosi e chiudendosi in
sincronia con il proiettore al doppio del frame rate normale – cioè 48
fotogrammi al secondo – creano nel cervello la sensazione della
profondità della scena.
Attualmente disponiamo di tre diversi tipi di sistemi 3D che non sono
compatibili tra loro e richiedono quindi che la sala scelga il sistema che
ritiene più idoneo sulla base delle proprie valutazioni tecniche ed
economiche.
La buona notizia è che i contenuti, a prescindere dal sistema di
riproduzione utilizzato, sono sempre gli stessi e non devono essere
pubblicati con metodi diversi, e ciò grazie alla lungimiranza del
consorzio DCI che ha stabilito che qualsiasi sistema 3D debba partire
comunque dallo stesso tipo di immagini. La differenza fondamentale
tra i tre sistemi sta nel punto in cui la luce viene “manipolata” e nel
metodo con cui ciò avviene.
Nei sistemi Real-D e MasterImage la luce viene polarizzata
circolarmente e gli occhiali utilizzati sono detti “passivi” in quanto non
hanno alcun tipo di sincronizzazione con le immagini poiché le due lenti
sono polarizzate una in senso orario e l’altra in senso antiorario,
fungendo così da filtro per l’immagine ad esse destinata. La
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polarizzazione della luce avviene a livello del proiettore grazie a uno
schermo trasparente che ne cambia la direzione a seconda delle
informazioni che giungono dal proiettore medesimo. In questi due
sistemi gli occhiali sono generalmente usa e getta, anche se ne
esistono delle versioni riutilizzabili, poiché il loro costo industriale è
relativamente basso essendo dei semplici occhialini in plastica con lenti
anch’esse in plastica.
Nel sistema X-Pand gli occhiali sono “attivi”, fungono cioè da otturatore
agendo in funzione dell’immagine proiettata e mostrando
alternativamente all’occhio destro e a quello sinistro le informazioni ad
essi destinate. Questi occhiali sono riutilizzabili poiché la tecnologia che
contengono è piuttosto complessa e costosa.
Il sistema Dolby utilizza invece una versione avanzata dell’antica
dicromia impiegata negli anaglifi degli anni ’80: la luce non è
polarizzata ma semplicemente colorata diversamente a seconda
dell’occhio a cui è destinata l’immagine. Gli occhiali hanno a loro volta
delle lenti leggermente colorate che filtrano l’immagine in base al
colore in cui essa è “virata”. Gli occhiali Dolby sono anch’essi
riutilizzabili poiché il costo di produzione delle lenti è particolarmente
elevato e tale da non consentire una versione usa e getta.
Nel cinema stiamo assistendo a un picco di interesse legato sia a un
reiterarsi della “moda”, che riporta il pubblico in coda al botteghino, sia
alla volontà dei produttori di cavalcarla per ottenere maggiori profitti.
Non va tuttavia dimenticato il lancio di alcuni film tecnicamente e
artisticamente costruiti in modo da trarre il massimo dalla
stereoscopia. Il settore consumer sta reagendo all’introduzione di
apparecchi e contenuti in 3D che vale la pena analizzare perché
rappresenta la reale motivazione che spinge gli studios a ritentare di
nuovo la via del 3D. Da un punto di vista commerciale e di marketing il
passaggio al 3D significa infatti dare il via alla vendita di milioni di
televisori, occhialini, lettori Blu ray di nuova generazione, computer
portatili, telefonini, schermi, dispositivi di ogni tipo e via discorrendo
che richiederanno contenuti 3D di ogni genere. Un mercato globale di
proporzioni abbastanza interessanti che, secondo le statistiche, è
destinato a crescere rapidamente. Un rapporto pubblicato a gennaio
2010 da DisplaySearch, una società specializzata in questo tipo di
ricerche, prevede che il mercato dei display 3D passerà da 0,6 milioni
di unità vendute nel 2009 a 196 milioni nel 2018, con un fatturato di
22 miliardi di dollari e un tasso di crescita annuo del 38%.
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A fare la parte del leone saranno naturalmente i televisori nella loro
versione 3D ready, sebbene al momento non esista uno standard
preciso né dal punto di vista della produzione dei contenuti, né da
quello della loro fruizione. Seguono i monitor per PC, per i quali si
prevede una più modesta penetrazione del 3,6% nel 2018, e i
notebook PC con il 3,2%. Interessante il dato secondo cui nel 2018
saranno in circolazione 71 milioni di telefonini 3D ready, dei quali la
buona parte con schermi tra gli 1” e 4”. La tecnologia più diffusa sarà
quella LCD accoppiata agli occhiali, che costituiscono per ora il vero e
più evidente limite alla diffusione di schermi di grandi dimensioni.
Almeno fino a quando gli schermi auto-stereoscopici, cioè capaci di
rendere la terza dimensione senza occhiali, non avranno superato gli
attuali limiti. Inoltre, sempre secondo questo rapporto, esistono al
momento oltre 150 aziende che producono dispositivi correlati ai
display 3D e oltre una dozzina di diverse tecnologie 3D.
Nel frattempo, nello scorso aprile 2010, Sky ha lanciato in Gran
Bretagna il suo primo canale 3D-HD, visibile grazie allo SkyBox HD già
in uso dagli abbonati e a un display 3D ready. Il canale è destinato
principalmente ai pub dove gli inglesi possono recarsi per assistere alle
partite di calcio della Premier League. E, sempre a proposito di calcio,
anche i mondiali del Sud Africa sono stati ripresi e trasmessi anche
nella versione 3D, destinata principalmente ai consumatori inglesi,
dove il 3D domestico è più diffuso che in altre nazioni. Per i
broadcaster di mezzo mondo è stato un importante test delle
possibilità di penetrazione di questa tecnologia in ambito consumer,
anche dal punto di vista tecnologico e di fattibilità.
Altri esperimenti annunciati riguardano il Belgio, che da maggio 2010
ha iniziato a trasmettere partite di calcio, Bell TV in Canada, che invece
ha scelto il Golf, il canale USA sportivo EPSN, che sta stringendo
alleanze con Sony per essere 3D nel 2011 e Canal+ in Francia, che sta
facendo sperimentazioni su vari contenuti. Ricalcando una modalità
piuttosto collaudata a livello di contenuti sono ancora una volta gli
eventi sportivi la leva più utilizzata per fare breccia nei gusti dei
consumatori.
Tutta questa sperimentazione sta dando il via anche alla possibilità di
fruire nei cinema di eventi live in 3D ed è questa la prossima frontiera
a cui molti content provider puntano anche se, per il momento, la
mancanza di standard mantiene ancora i progetti in una fase di test.
Tuttavia l’inglese Arqiva, che è probabilmente la società con l’offerta
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tecnologica meglio strutturata, ha portato nei cinema il Torneo 6
Nazioni di rugby in 3D e progetta di fare presto lo stesso con altri
eventi, per lo più sportivi. Gli stessi mondiali di calcio, sebbene
l’intricato gomitolo dei diritti e della tecnologia impiegata dalla
produzione non abbia consentito di rendere tutto l’evento disponibile
per tutte le sale del mondo, sono stati proiettati in 3D, con grande
successo, in Korea, nella catena CJ Golden Village, grazie ad una
iniziativa di Ericsson. Anche in Italia il circuito The Space, molto attivo
nel 3D e nei live, ha mostrato al proprio pubblico la finale di coppa
Italia in 3D e alcune fasi dei mondiali di calcio.
Come abbiamo detto la tecnologia del 3D al cinema per gli eventi live
non è ancora stata definita in maniera assoluta e la standardizzazione
è ancora piuttosto lontana. Perciò le sale che hanno mosso i primi
passi in questo senso, pur mettendo a disposizione i dispositivi 3D
usati per il cinema, vengono per ora completate da dispositivi messi a
disposizione invece dagli operatori di telecomunicazione o dai content
provider perché, vista l’esperienza del digitale nel suo insieme, gli
esercenti sono giustamente guardinghi nell’investire fino a quando uno
standard preciso non sarà definito da SMPTE o non si affermerà
qualche standard de facto. A monte di questa situazione vi è anche
una battaglia tra i produttori di tecnologia e i content provider in cui i
primi tendono ad introdurre un business model in virtù del quale i
secondi debbono pagare delle royalties per l’uso della loro tecnologia:
un sistema apparentemente interessante per ridurre i costi iniziali ma
che, alla lunga, si presenta piuttosto oneroso. Segno comunque che
sono in molti a credere nel live 3D per i cinema.
A prescindere dalla tecnologia che, allo stato, è da considerarsi matura
per sostenere in maniera relativamente semplice il 3D, vi è una serie di
considerazioni di ordine pratico da fare che potrebbero ridimensionare
un fenomeno tornato di moda una volta passato l’entusiasmo per la
novità.
Partiamo dagli occhiali che – diciamocelo francamente – sono
veramente scomodi da portare per un’ora e mezza. Non ci si aspetta
certo una montatura in leggerissimo titanio ma, oltre all’aspetto da
protesi, questi occhiali, e specialmente quelli attivi che hanno al loro
interno anche una batteria, non sono affatto leggeri né tantomeno
ergonomici; pesano parecchio ed occludono la visione laterale con le
loro enormi bacchette che, in compenso, tendono a riflettere sui lati
del campo visivo le immagini che provengono dallo schermo. Fin qui
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nulla di grave se non fosse che, nel caso in cui lo spettatore indossi già
degli occhiali, la convivenza di due montature sullo stesso naso diventa
piuttosto complessa e fastidiosa, a meno di non indossare delle lenti a
contatto o di rassegnarsi a vedere quasi tutto il film completamente
sfocato. Per non parlare del fatto che alcuni occhiali hanno un sensore
posto tra le lenti a cui è deputato il compito di ricevere il segnale di
sync e che, nel caso ci si aggiustino gli occhiali sul naso, viene
oscurato dal dito, provocando per qualche secondo la visione
“sdoppiata” dell’immagine stereoscopica.
In realtà i problemi per lo spettatore iniziano già dalla cassa del cinema
quando, oltre ad un biglietto generalmente maggiorato, ci si sente
richiedere un documento come “cauzione” per gli occhiali, come nei
convegni multilingua in cui la patente funge da ostaggio per la cuffietta
della traduzione simultanea. Non meno complicata è la situazione per
l’esercente della sala il quale deve organizzare gli occhialini in modo da
poterli distribuire velocemente, dopo averli puliti e – si spera –
disinfettati ogni volta, ed aver anche creato uno spazio in cui tenere i
documenti degli spettatori che, a fine spettacolo, dovranno essere
restituiti al legittimo proprietario. Dato poi che un paio di occhialini
attivi può arrivare a costare anche 40 o 50 Euro, molti si domandano
quale sia, per un esercente, il reale vantaggio economico derivante da
un simile investimento che va ovviamente moltiplicato per il numero di
posti in sala e per una non ben definita quantità di batterie nel caso di
occhiali attivi. Nel caso di occhiali usa e getta il basso costo si
moltiplica per le centinaia di paia impiegate, il che rappresenta tuttavia
un vero e proprio insulto ecologico per i problemi legati allo
smaltimento di tutta quella plastica non biodegradabile.
Sul fronte della produzione, a parte il fatto che già dalle riprese tutta la
filiera si complica aumentando i costi, resta poi da capire quali film
traggano effettivamente vantaggio dal 3D da un punto di vista
artistico. I film francesi d’autore girati con camera fissa? Le commedie?
I film d’azione? I thriller? Sicuramente a trarre il maggior beneficio
sono i film d’animazione poiché pensati, scritti e diretti con il 3D in
mente. Purtroppo, come successe per l’audio surround, ci vorrà del
tempo prima che si trovi la giusta misura tra l’espressione artistica e la
tentazione di tramortire il pubblico: nel frattempo la Xamamina
potrebbe sostituire i popcorn.
E’ indubbio che il cinema digitale sia il vero fattore abilitante delle
tecnologie 3D permettendo oggi alla maggior parte del pubblico di
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poter assistere a un film di 100 minuti senza uscire dal cinema con un
forte mal di testa o gli occhi incrociati, godendo di una nuova
esperienza di visione. Quanto appena detto non è nient’altro che il
riassunto delle motivazioni addotte dagli addetti ai lavori per un ritorno
del 3D. Dato che quegli stessi addetti ai lavori, con in testa l’autore di
queste pagine, sono i primi, in privato ovviamente, ad essere poco
convinti di tutto ciò, forse sarebbe meglio esprimersi in questi semplici
e diretti termini: “è indubbio che il 3D sia un argomento di ottima
presa su quegli esercenti che sono ancora restii a passare al digitale
ma il cui sguardo si illumina quando pensano a quegli euro in più
incassati sul biglietto”.
Insomma più che una innovazione questo ritorno del 3D potrebbe
rivelarsi come uno slogan ben confezionato dall’industria
dell’elettronica per spingere il cinema e, in generale, tutto il mercato
verso una rivoluzione che di fatto stenta ad essere percepita come tale
e che forse rivoluzione non sarà mai, se non tra una ventina di anni
quando, dopo l’euforia di questo periodo, il 3D tornerà sotto qualche
altra forma, magari – chissà? – come ologramma.
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I rifiuti dimenticati del cinema
Alla 57a edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica
di Venezia, nel 2000, è stato presentato in anteprima il
cortometraggio “Due dollari al chilo” di Paolo Lipari. Forse qualcuno lo
ricorda.
Il cortometraggio documenta come muoiono i film e con essi la
memoria, le immagini, le emozioni. Partendo da un breve
documentario di Luigi Comencini – “Il museo dei sogni” del 1949 dove
il regista, andando a filmare i maceri delle pellicole, indagava su un
“rimosso” del cinema ponendo con fermezza l’accento sulla necessità
degli archivi filmici – Lipari racconta il processo in grado di eliminare
800 pellicole al giorno, 250.000 all’anno, il cui valore si riduce a “due
dollari al chilo”. Dunque a poco più di 40 dollari per un film, per due
ore di cinema che magari hanno cambiato la nostra vita.
In Italia ogni anno si consumano circa 70.000 copie di film per una
lunghezza totale di circa 160.000 chilometri (130 volte la lunghezza
dell’Italia sino a Lampedusa). Sono 1.750 tonnellate di rifiuti da
smaltire: un’enormità! Si è sempre detto però che l’avvento del
digitale avrebbe risolto il problema dello smaltimento delle pellicole.
Ma incredibilmente non è stato così.
Con il digitale si è affermato il 3D e con il 3D sono arrivate due
tipologie di occhiali: usa e getta o monouso e a uso ripetuto o
riciclabili. Gli occhiali usa e getta, come già il nome lascia intuire,
generano all’atto della produzione un rifiuto certo. E non
semplicemente smaltibile. Il rifiuto globale stimato per fruire della
visione in 3D è pari a parecchie decine di migliaia di tonnellate!
Insomma in termini di rifiuti, alla fine, non abbiamo fatto un affare.
Possono solo essere felici tutte quelle organizzazioni che si occupano
di smaltimento.
A parte le pellicole, almeno per gli occhiali, esiste una soluzione che
tutti auspichiamo: rendere obbligatorio, seguendo le corrette regole
igieniche, di pulizia e disinfezione, l’utilizzo dei soli occhiali riciclabili.
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Paul Klee – Dream City (1921), particolare.
IL CINEMA RITROVATO
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Il cinema ritrovato
a cura di Luca De Gasperin
In questa sezione del Quaderno vogliamo dedicarci alle storie più belle,
perché vere e perché di successo, di cui Microcinema è stata testimone
e un po’, senza presunzione, artefice insieme alla buona volontà e alla
visione di molti esercenti italiani.
Raccontiamo qui le vicende vissute dalle sale che hanno aperto o
riaperto grazie al digitale. Sono storie che sembrano andare
“contromano”, rispetto alla tendenza generale del mercato, che
testimoniano la concretezza di una via digitale percorribile e
soprattutto economicamente sostenibile. Non sono multiplex che
appartengono a grandi gruppi, ma sale indipendenti, legate al proprio
territorio e in sintonia con esso, capaci di un rapporto profondo con i
suoi abitanti. Sono sale la cui storia è stata raccontata da Nuovo
Cinema Paradiso. Ma il finale, questa volta, promette di essere diverso.
Gli esercenti che le gestiscono non sono supereroi usciti dalle pellicole
che prendono vita sui loro schermi, sono persone volenterose e
qualche volta caparbie che hanno il coraggio di confrontarsi con
l’innovazione. Intraprendono una piccola grande rivoluzione innescata
dal digitale e completata dall’intelligente utilizzo dei nuovi mezzi a
disposizione. Sono uomini, donne, ragazzi, famiglie, capaci di
reinventare il proprio esercizio, riposizionandolo sul territorio, offrendo
al pubblico emozioni nuove (e al tempo stesso antiche), gestendo la
sala in modo flessibile, polifunzionale ed originale. Alcuni hanno scelto
la strada del full digital, portando le vecchie 35 millimetri nei foyer
come preziosi gioielli da condividere con il pubblico. Altri hanno
affiancato alle vecchie, rumorose ed affascinanti macchine per
proiezione in pellicola un sistema digitale. Per tutti la quantità e la
varietà dei contenuti proposti da Microcinema, insieme alla versatilità
di un sistema digitale completo, si sono dimostrati fattori decisivi.
Queste sale cinematografiche sono rinate perché hanno saputo
cogliere l’opportunità dell’innovazione nella sua espressione virtuosa e
sostenibile.
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Si sono trasformate in vivaci e insieme redditizi luoghi di incontro dove
cinema, opera e televisione divengono crocevia d’incontro delle
comunità locali, dei grandi centri urbani e delle città di provincia.
Queste sale hanno inaugurato il nuovo concetto di microplex
indipendente: un cinema in grado di offrire una moltitudine di titoli e
contenuti diversi all’interno della stessa giornata, provenienti da media
differenti e rivolti a pubblici differenziati.
Il misterioso legame, fatto di emozioni condivise, tra esercizio, pubblico
e territorio è il vero segreto del loro successo.
Conoscerli da vicino ci aiuta a scoprire un pezzo di storia di
Microcinema e la realizzazione delle sue tre parole chiave: sostenibilità,
flessibilità, interoperabilità.
CASA DELLE ARTI di Conversano (BA)
Gestita dalla cooperativa Artimedia, la Casa delle Arti nasce come
centro multimediale, creato ex novo all’interno di un immobile in disuso
di proprietà comunale. Comprende una sala cinematografica e una
cabina di montaggio per piccole produzioni e interpreta perfettamente
la filosofia della scalabilità e multifunzionalità di Microcinema:
inaugurata con l’installazione di un Cinemakit 1.3K ha immediatamente
iniziato a parlare al suo pubblico tanto da decidere prestissimo per un
upgrade ad M-box DCI interoperabile con proiettore 2.0K e sistema 3D
XpanD.
La riconquista di un luogo che sembrava irrimediabilmente “perso”
attraverso una proposta intrinsecamente originale (anche perché
tecnologica) e accattivante (anche perché ricca di cultura e arte come
suggerito dal nome) è stata percepita in modo molto positivo e la
cittadinanza ha fin dall’inizio aderito con entusiasmo alle proposte
culturali della sala.
La scelta del digitale è maturata insieme all’attività di organizzazione e
gestione di un festival di cortometraggi: i vantaggi in termini di
versatilità e di facilità di gestione riscontrati nel sistema digitale hanno
reso la digitalizzazione un passo naturale per non dire quasi obbligato.
Oggi, la Casa delle Arti programma sia film e contenuti complementari
del catalogo Microcinema sia film DCI 2.0 K e 3D delle major. Per il
primo anno e mezzo di attività ha coniugato un’impronta commerciale
basata sull’offerta delle major, con le proposte di qualità e le opere
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provenienti dal catalogo Microcinema, ottenendo ottimi risultati pur
non essendo un multiplex e non potendo quindi contare sul “contorno”
di prodotti e servizi tipico delle grandi strutture multisala.
“La nostra linea d’azione è guardare sempre avanti – spiega Luigi
Iovane, presidente della cooperativa Artimedia – sempre attenti alle
emergenti opportunità che il mercato offre. L’idea iniziale era di creare
uno spazio dedicato al cinema, all’arte, alla cultura. Non prevedevamo
di installare il 3D ma, per non restare indietro, è stato necessario
continuare ad investire. Il risultato è stato ritrovarsi tra i primi nella
zona a poter proporre film come L’era glaciale 3 in 3D. Da lì in poi, il
digitale si è sempre riconfermato una carta vincente per la redditività
della sala.
La nostra provincia – continua Luigi Iovane – ha una buona copertura
di sale cinematografiche, con diversi multiplex, ma anche e soprattutto
monosale ed ex teatri restaurati. Molte di queste sale faticano tuttavia
a portare avanti la loro programmazione, soprattutto a causa dei
pesanti oneri di gestione.
La chiusura di queste sale è un problema reale per la cittadinanza:
basti pensare ad una piazza importante come Monopoli, che ha perso il
suo cinema, o a Putignano, in cui è rimasto attivo un solo esercizio,
con la pellicola.
Per contrastare il progressivo indebolimento delle sale d'essai e al
contempo promuovere i contenuti di qualità, la Regione Puglia ha
avviato il progetto “D’Autore” coordinato da Apulia Film Commission,
cui abbiamo recentemente aderito in vista anche dell'imminente
apertura di una seconda sala "cinescopio" dedicata al cinema d'autore.
Questa esperienza, che fa del digitale il punto cardine della diffusione,
rinforza ancor di più la convinzione che proprio un digitale versatile e
“aperto” sia la strada maestra per sfruttare al meglio i contenuti e per
portare redditività alle sale.
D’altronde – conclude Iovane – alla base dei nostri risultati c’è proprio
l’interoperabilità di Microcinema M-box e riteniamo che questo specifico
strumento possa essere una chiave di successo per molte altre sale”.
Ingresso nel Digital Network: febbraio 2008.
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Cinema ITALIA di Sarzana (SP)
Rinnovarsi o spegnersi. Questo il dilemma del cinema Italia di Sarzana,
una Sala della Comunità da sempre gestita da gruppi di volontari della
Parrocchia.
I bilanci difficili delle ultime annate avevano delineato una parabola
inequivocabile di declino, rendendo sempre più concreta l’eventualità
della chiusura.
La scelta del digitale Microcinema è stata l’ultimo tentativo per
mantenere in vita la struttura, l’alternativa era chiudere i battenti e
aprire la strada ad un inarrestabile inaridimento urbano e sociale.
La disponibilità di più film, sempre presenti nel server, e, soprattutto,
la possibilità di proporre lirica e spettacoli sia in diretta sia registrati,
sono stati gli elementi che maggiormente hanno agevolato il passo
verso il cambiamento.
“Il digitale ha sancito l’apertura di un nuovo capitolo nella vita della
nostra sala – ci racconta Riccardo Butta, Amministratore del Consiglio
Parrocchiale –: abbiamo rinnovato i nostri strumenti, il nostro modo di
organizzare la programmazione affidata all'ACEC SAS della Liguria
affidando alla stessa la completa responsabilità della gestione.
Abbiamo persino cambiato la nostra “squadra”, con nuovi preziosi
ingressi, specialmente nell'attività del Cineforum e delle proiezioni per
le scuole e le famiglie”.
I primi mesi di attività del Cinemakit sono stati un importante banco di
prova per diversi contenuti complementari (in particolare, la sala ha
proiettato mensilmente almeno un evento lirico in diretta), che hanno
riscosso una risposta più che incoraggiante da parte del pubblico e, a
ben vedere, non solo della cittadinanza di Sarzana, ma anche da quella
delle città vicine comprese Carrara e La Spezia.
Dal punto di vista economico, la sala pare aver inaugurato un trend
positivo di crescita, dovuto in primo luogo agli sforzi compiuti per
valorizzare l’assoluta unicità e ricchezza dell’offerta di intrattenimento.
Ogni rassegna cinematografica o lirica è stata introdotta da uno o più
esperti, che hanno “insaporito” la semplice proiezione con riflessioni e
interventi introduttivi capaci di inquadrarne il contesto. L’iniziativa (in
realtà molto diffusa tra le sale Microcinema) è diventata un tratto
distintivo dell’offerta del Cinema Italia rispetto alla concorrenza in zona
(una multisala commerciale in città).
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“In termini puramente numerici – precisa Butta – il nostro obiettivo è
sempre stato quello di riuscire a coinvolgere più di 50 spettatori a
proiezione. Questo è lo sbigliettamento medio che consente alla sala di
ripagarsi le spese di gestione e di personale. Nell’ultimo anno, grazie
agli spettacoli complementari, il target è stato ampiamente soddisfatto
e spesso superato consentendoci anche iniziative di particolare
impegno economico e culturale come, ad esempio, il Primo Sarzana
FilmDocFestival svoltosi nella prima settimana di Agosto del 2010.
La finalità del Cinema Italia è quella di fornire alla cittadinanza una
valida e variegata offerta di intrattenimento e di cultura, proponendo
contenuti di valore e in linea con le indicazioni dell’Associazione
Cattolica Esercenti Cinema (ACEC): una mission molto focalizzata sul
concetto di “servizio” più che su esigenze commerciali, che non ci
esime dalla ricerca di competitività e di indipendenza economica. La
direzione intrapresa da un anno a questa parte, anche grazie a
Microcinema, sembra rispondere bene a tutte queste necessità”.
Ingresso nel Digital Network: ottobre 2009.
SALA DELL’ORATORIO di Robegano (VE)
Per quarant’anni il pubblico cinematografico di Robegano è stato
costretto a spostarsi fino a Mestre. Tredici chilometri all’andata e
tredici al ritorno: una distanza che scoraggia e alla lunga esclude molte
persone dal buon cinema in attesa del domestico e comodo DVD.
Durante questo periodo la Sala della Comunità situata accanto alla
chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo, che incorpora anche il Santuario
della Madonna delle Grazie sulla via centrale del paese, giaceva
inutilizzato a causa di problemi strutturali dello stabile.
Una serranda rimasta tristemente abbassata per quarant’anni è stata
riaperta solo grazie alla tenacia del Parroco Don Eraldo Modolo, dopo
anni di risparmi e sforzi economici che hanno consentito la completa
ristrutturazione, il rinnovamento completo e la ricostruzione ex novo di
alcune parti del palazzo.
Dopo quattro decenni di silenzio la sala cinematografica ha riacceso le
sue luci, tutte digitali, e il Cinemakit 1.3K, che ha riempito di emozioni
la nuova cabina di regia, ora lavora a pieno ritmo.
Gli obiettivi della parrocchia e del parroco che gestisce la sala, che si
avvale dei volontari dell’associazione NOI Robegano, sono chiari:
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ritrovare il pubblico di un tempo, contrastare l’esodo degli spettatori
cinematografici offrendo una programmazione varia, intensa e di
qualità e mantenere vivo un centro cittadino che negli anni ha risentito
in molti modi della progressiva desertificazione sociale.
La programmazione coniuga due filoni di ampio respiro. Il primo
guarda ai ragazzi e alle famiglie, con film di intrattenimento; il
secondo, più caratterizzante, consiste nella proposta di opere liriche in
diretta e in differita: una novità che non si può proprio dire sia passata
inosservata.
“Adesso siamo noi a richiamare pubblico da fuori – fa notare con
simpatia ma con giusto orgoglio Graziano Busatto, uno dei coordinatori
della sala – e proprio l’opera ha dimostrato un’importante valenza
aggregativa. Le rassegne hanno visto avvicinarsi alla lirica un pubblico
assai composito e differenziato per estrazione sociale e livello culturale.
Diverse tipologie di spettatori che avevano in qualche modo rinunciato
al cinema sono ritornate proprio grazie alla lirica a frequentare la sala”.
Per molte persone sole l’opera è diventata un’occasione di incontro,
una “scusa” per uscire di casa e godersi il piacere dello spettacolo
insieme ad altri appassionati. Ogni evento in diretta può oggi contare
su una media che sfiora i 100 spettatori, spettatori affezionati e fedeli.
“Se stimoli le persone con un’attività culturale in qualche modo
innovativa – dichiara Graziano Buratto – una risposta presto o tardi
arriva. Il fattore economico è importante ma non è secondario rendere
un servizio e continuare ad investire per dare alla comunità sempre più
occasioni e momenti di aggregazione e di crescita culturale. L’opera è
un buon esempio anche in questo senso: permette a molte persone,
anche con un basso livello di istruzione, di accrescere la propria cultura
ad un prezzo estremamente accessibile”.
“Cerchiamo di contrastare la solitudine – continua Busatto – delle
vedove così come dei giovani, giusto per citare due delle categorie cui
ci rivolgiamo, e di mantenere viva quella bella tradizione che è il “fare
fiò”6, come si dice in dialetto. Nella nostra “preistoria”, nei tempi in cui
6
Fare fiò: letteralmente “fare il filo” identifica, in dialetto veneto, lo stare assieme. Ci
si ritrovava la sera d'inverno nel posto più caldo delle case, la stalla. Le donne
ricamavano, gli uomini raccontavano storie, notizie lette sul giornale o sentite al
mercato al mattino.
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non c’era la televisione, la gente si ritrovava la sera nelle stalle a
parlare, a raccontare storie, a discutere. Noi vogliamo che la nostra
sala sappia offrire momenti di condivisione di questo tipo. Per questo
organizziamo anche cineforum e rassegne a tema, in cui alla
proiezione segue sempre un momento di confronto e di riflessione
comune”.
Un avamposto nella lotta contro la solitudine e la disgregazione
sociale, dunque, che ha saputo accogliere, emozionare e far riflettere:
una sala cinematografica può essere anche questo.
Ingresso nel Digital Network: dicembre 2008
Cinema TIRRENO di Capalbio (GR)
“A Capalbio c’era, semplicemente, bisogno di un cinema. Era una
richiesta che aleggiava da molto tempo, da parte della cittadinanza, da
parte dei villeggianti abituali e da parte delle nuove generazioni.”
Così, con poche parole, Benedetta Fontani, presidente dell’associazione
SalaTirreno.com, spiega il perché della scelta di riaccendere, anche
attraverso il digitale Microcinema, un esercizio spento da 28 anni.
Un evento davvero degno di nota, spinto da una mancanza percepita a
livello sociale, soprattutto nei mesi invernali.
“Crediamo che un cinema possa concretamente aumentare la qualità
della vita in un centro cittadino: per questo siamo convinti che il nostro
progetto possa dare buoni risultati. L’appoggio e la fiducia ricevuti dalla
nuova amministrazione comunale guidata dal sindaco Luigi Bellumori,
sono già un piccolo ma significativo segnale”.
Con una programmazione che privilegia i contenuti di qualità e fa
dell’opera lirica un pilastro fisso nel palinsesto settimanale, il Tirreno ha
assunto fin dai primissimi mesi di attività una fisionomia editoriale ben
precisa, senza scontentare nessun segmento di pubblico.
“Pur dando la precedenza al cinema d’autore e d’essai, nel nostro
cartellone abbiamo inserito proiezioni pomeridiane dedicate ai bambini
e rassegne rivolte agli anziani. Un discorso ben più ampio lo merita
l’opera lirica: con la nostra prima diretta, “L’oro del Reno” di Wagner
dal Teatro alla Scala, abbiamo registrato un risultato estremamente
positivo e suscitato grande curiosità e attesa per i prossimi
appuntamenti, nonostante si trattasse di un titolo non facile”.
101
La possibilità di vedere l’opera “da vicino”, apprezzando le mille
sfaccettature dell’interpretazione dei cantanti, i costumi e le
scenografie, sembra aver innescato nel pubblico capalbiese un
interesse tale da richiedere una corposa rassegna estiva di opere
registrate.
“Recentemente, anche Zubin Mehta ha citato questo tipo di proposta
dell’opera quale modo virtuoso di diffusione culturale – prosegue
Fontani – e il fatto di averla portata anche nella nostra città è per noi
motivo d’orgoglio”.
Il forte entusiasmo che anima l’attività dell’associazione
SalaTirreno.com è sorretto da una grande lucidità a livello gestionale:
anche la scelta del digitale è stata ponderata a lungo prima
dell’effettivo investimento.
“Un cinema che riapre dopo 28 anni porta con sé alte aspettative e la
necessità di partire da subito con basi solide e un’offerta valida. Dopo
molte riflessioni abbiamo scelto Microcinema (nella sala è attivo un
Cinemakit 1.3K) perché ci offre un catalogo ampio e di qualità, a fronte
di una semplicità di utilizzo davvero apprezzabile. E poi, ovviamente, la
qualità di proiezione è indiscutibilmente superiore”.
Ingresso nel Digital Network: maggio 2010.
Cinema MARCONI di Piove di Sacco (PD)
A Piove di Sacco, tutti conoscono il cinema Marconi.
Da oltre cinquant’anni questa Sala della Comunità è il punto di
riferimento e il motore della vita culturale della città.
Con un cartellone fittissimo di appuntamenti, il Marconi tiene viva sul
territorio l’offerta di film e spettacoli di alto valore culturale,
richiamando il pubblico anche dai paesi vicini.
Espandersi per non perdere terreno, adeguarsi ai tempi per non
chiudere: la continua tensione alla crescita e alla modernizzazione ha
visto due interventi di rinnovamento della struttura in poco più di
vent’anni. Il primo un po’ più blando, il secondo, iniziato nel giugno
2007 e concluso nel gennaio 2008, assai più radicale.
Pavimento, poltrone, impianto di riscaldamento hanno subito un
restyling che ha reso la sala più accogliente. Per garantire il
proseguimento della programmazione editoriale, per rinforzare e
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ampliare l’offerta con contenuti inediti e appetibili e per conquistare
nuovo pubblico: la soluzione scelta è stata la conversione digitale con
l’installazione di un Cinemakit 1.3 K.
Quale occasione migliore di questa per riproporsi alla popolazione con
“una marcia in più”?
Prima sala digitale della sua zona, il cinema Marconi ha saputo
sfruttare l’elemento di novità come motivo di richiamo fortissimo,
grazie ad un gruppo di gestione molto attivo, che organizza un
cineforum molto apprezzato e molto ricco, che parte da settembre e
arriva fino a giugno.
Anche l’appuntamento con l’opera, principalmente in differita, è ormai
una ricorrenza mensile, molto attesa e apprezzata dall’affezionato
pubblico di melomani, che in più di un’occasione ha fatto registrare
ottimi riscontri di box office.
Anno dopo anno, sullo schermo del Marconi passano tutti i titoli più
importanti della stagione cinematografica, e da tre anni ormai, anche i
migliori contenuti complementari.
E’ questa la ricetta del successo del Cinema Marconi, una sala che si
regge sulle gambe del cinema di qualità, su un rapporto strettissimo
con la cittadinanza e su una capacità davvero notevole di riattualizzare
una grande tradizione, quella del cinema di prossimità, proiettandola
verso nuovi traguardi.
Ingresso nel Digital Network: ottobre 2007
Cinema DON BOSCO D’ESSAI di Lecce
Gestita da una cooperativa da quasi 15 anni, la sala del DB d’Essai ha
visto nell’upgrade digitale l’occasione per ampliare e rendere più
appetibile la propria offerta e soprattutto per superare la cronica
carenza di pellicole, problema tutt’altro che secondario che affligge
molte piazze cinematografiche e che determina il soffocamento e la
chiusura di molti esercizi.
Nel denso panorama cinematografico leccese, dominato da due sale
storiche poi trasformate in multisale a 4 e 5 schermi, il DB d’Essai non
ha mai potuto contare sulla prima visione, focalizzandosi sul
proseguimento. Nonostante questo, il DB ha saputo ritagliarsi il suo
ruolo quale sala di riferimento per gli amanti del cinema d’autore.
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La necessità di garantire al proprio pubblico un cartellone
sufficientemente ricco, ha trovato una soluzione nel catalogo digitale
Microcinema, decisamente affine alla programmazione caratteristica
del DB: titoli come “La bocca del lupo” di Pietro Marcello e altre
produzioni nazionali ad alto valore culturale vengono ora proposti in
digitale anziché in pellicola, con una resa qualitativa molto superiore.
Il digitale ha poi contribuito alla scelta del CineTeatro DB d'Essai nel
progetto “D’Autore” promosso da Apulia Film Commission, nato per
supportare la diffusione di documentari e film d’autore in un circuito di
sale coordinato a livello regionale.
Grazie a questa iniziativa, il DB ha conquistato l’accesso alla prima
visione per molti prodotti, tutti d’essai puro, per i quali non sono state
stampate copie in 35 mm.
Nei quasi due anni di attività insieme a Microcinema, il DB ha riservato
uno spazio fisso agli eventi mensili in diretta e il pubblico comincia ora
a partecipare con sempre maggiore entusiasmo agli appuntamenti
della rassegna “opera live”. Il segreto di questo successo sta nella
caratteristica distintiva del DB di valorizzare la semplice proiezione, di
cinema o di opera, con iniziative correlate, quali introduzioni all’opera,
aperitivi con vini tipici della zona e degustazioni.
“Il rapporto con il nostro pubblico si basa su un forte patto fiduciario –
spiega Daniela Serafini, responsabile della sala –. Gli spettatori cercano
nella programmazione del DB la certezza di poter assistere a uno
spettacolo culturalmente stimolante e, anche in virtù di questa
reputazione così fortemente connotata, non è inusuale che gruppi di
spettatori della provincia di Brindisi e zone limitrofe, appassionati del
grande cinema così come di opera, decidano di viaggiare per più di 30
km per assistere alle nostre rassegne.
Ad oggi lo spettro della carenza di contenuti sembra decisamente
dissolto e riteniamo di poter prestare fede al nostro “mandato” di sala
di qualità in modo ancor più convinto ed efficace.
Ingresso nel Digital Network: settembre 2008
Cinema ASTRA di Pesaro
Il Cinema Astra, situato all’ingresso del centro storico cittadino, è stato
da poco riaperto da una nuova gestione con l’intento di recuperarne la
funzione di punto d’incontro di primaria importanza per la cittadinanza.
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Il nuovo gruppo di lavoro orienta il suo operato verso la convivialità,
l’incontro, la condivisione di un momento di fruizione culturale
attraverso l’elaborazione di rassegne, iniziative e appuntamenti ad hoc.
La gestione è ben consapevole dell’importanza della sala
cinematografica per mantenere viva un’offerta culturale in città.
Dovendo fare i conti con un panorama cinematografico cittadino
alquanto rarefatto e caratterizzato dalla presenza di multiplex periferici
che intercettano tutta l’offerta in prima visione, per il cinema Astra la
differenziazione è stata una scelta strategica, che ha trovato in
Microcinema una riserva inesauribile di spunti e opportunità.
Sfruttando la collocazione della sala in corrispondenza di una piazzetta
e la presenza, all’ingresso, di un bar molto attivo e frequentato, l’Astra
ha puntato fin da subito e con decisione sull’opera lirica e sul balletto,
in diretta e in differita, ottenendo risultati estremamente positivi. Così
positivi e incoraggianti da estendere la prima rassegna di ben due mesi
oltre la durata prevista, con la prospettiva per la nuova stagione di
dedicare all’opera lo spettacolo serale del sabato, con replica
infrasettimanale.
“In questi primi mesi di attività stiamo lavorando molto, sia sulla
struttura che, soprattutto, sulla promozione – ci ha raccontato il
gestore, Giorgio Tarini –. Il nostro obiettivo è rendere l’Astra un punto
di richiamo per la città, con una programmazione che invogli la gente
ad uscire di casa per trovare un particolare tipo di offerta culturale e di
intrattenimento, che non è in concorrenza con i multiplex, bensì
connotata da una propria identità precisa e riconoscibile”.
La pausa estiva sarà occasione di un importante intervento sulla
disposizione dei posti in sala: “abbiamo pensato di rendere ancora più
unico il nostro modo di accogliere il pubblico, dedicando parte della
sala ad una “zona vip”, con palchetto, tavolini, divani e un servizio di
aperitivo anche durante la proiezione. In questo modo, chi vorrà
godersi i prossimi eventi in cartellone da una prospettiva ancora più
comoda, potrà farlo, con un piccolo sovrapprezzo”.
Il digitale ha scatenato la fervida creatività di questa sala nuovissima
ma decisamente determinata a conquistarsi la fiducia e la stima degli
spettatori, delle associazioni e delle istituzioni, e con essa consolidare il
ruolo di lanterna cittadina che, in così poco tempo, è riuscita a
ritagliarsi. Ecco un eccezionale microplex indipendente.
Ingresso nel Digital Network: aprile 2010.
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Auditorium S. ANDREA di Mornico al Serio (BG)
Il cinema, attivo già dagli anni ’30, ha visto succedersi intere
generazioni di spettatori e molte fortunate stagioni, salvo poi vivere un
declino conclusosi con la chiusura, avvenuta negli anni ’80.
Per molto tempo, i locali sono stati adibiti a magazzino e abbandonati
all’incuria, fino alla fatiscenza. Poi è avvenuto un piccolo “miracolo” dal
sapore antico. Solo l’intervento da parte della Parrocchia, avviato nel
2007 grazie alla collaborazione fondamentale di un gruppo di muratori
in pensione, ha permesso di recuperare la sala e lo stabile: con un
ritmo incessante di lavoro il gruppo ha ridato lustro al S. Andrea,
scoprendone l’antichissima struttura di Chiesa del 1575. Il restauro
completo, portato a termine con poco più di 650.000 euro, costituisce
di per sé già una piccola storia virtuosa di volontariato a servizio della
cultura, che può finalmente passare al capitolo successivo, quello
dell’utilizzo effettivo della sala a servizio della città.
“La scelta di Microcinema è stata per noi – spiega il coordinatore
Giuliano Ferrari – l’occasione perfetta per proseguire il nostro progetto.
Una scelta “futuristica” e alternativa, per intraprendere fin da subito un
percorso chiaro di differenziazione della nostra proposta e di
coinvolgimento della comunità”.
“La nostra zona è, a livello cinematografico, fittamente popolata, con
multiplex ogni 10 km. L’offerta quindi non manca e per inserirsi in
questo scenario è necessario elaborare un programma ispirato ad un
criterio di complementarità rispetto alle proposte commerciali del
territorio”.
Per questo, le prime settimane di attività dell’Auditorium hanno visto
prima la diretta della “Tosca” di Giacomo Puccini dal Carlo Felice di
Genova e poi la proiezione de “Il Concerto” di Radu Mihaileanu, con
una entusiastica partecipazione di pubblico. “Ci sono diversi cinema qui
in provincia che stanno riaprendo – prosegue Giuliano Ferrari –
soprattutto come sale polivalenti. Molte di queste non intendono
proporre un palinsesto continuativo per via degli oneri gestionali, ma è
comunque importante che ci sia un recupero di luoghi di incontro”.
A partire da settembre, l’Auditorium avrà un cartellone settimanale che
vedrà la presenza fissa di film di qualità il sabato e opera lirica il
giovedì, ospitando anche spettacoli teatrali: un periodo di test delle
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potenzialità della sala che proseguirà con una programmazione più
intensa adattandosi via via flessibilmente alle richieste del pubblico.
C’è un ultimo aspetto, davvero interessante, che merita di essere
approfondito: “Con l’inizio della stagione prenderanno il via anche i
nostri corsi, destinati alle 15 persone che compongono lo staff di
gestione della sala. L’obiettivo è formare e coinvolgere le persone in un
progetto condiviso, partecipato, fortemente sociale, non solo per il
pubblico ma anche e soprattutto per chi, con la propria passione,
mantiene vivo il nostro cinema”.
Ingresso nel Digital Network: aprile 2010.
Multisala BADIA GRANDE di Sciacca (AG)
Il Teatro di Sciacca, un edificio monumentale progettato da Giuseppe
ed Alberto Samonà, è in costruzione dal 1979, tra interruzioni e riprese
dei lavori.
Qualche chilometro più in là, in meno di due anni, nel rispetto delle
mura di un antico convento, è stata costruita una struttura
tecnologicamente avanzata, di grande accoglienza, in grado di
proporre un’offerta di intrattenimento e culturale varia e di qualità.
Il Multisala Badia Grande, tre sale più un’arena estiva, è gestito da
Vertigo Srl, società guidata da Sino Caracappa, esercente molto
conosciuto e apprezzato nel settore nonché referente FICE per la
Sicilia.
La storia della multisala, o meglio microplex, Badia Grande è uno dei
casi più significativi di come il digitale possa offrire spunti e soluzioni ai
gruppi imprenditoriali più vivaci e intraprendenti: una collaborazione
nata con l’installazione di un Cinemakit 1.3 K presso il cinema
Campidoglio, sempre gestito da Vertigo, e proseguita con l’attivazione
del primo complesso di sale interamente equipaggiate con sistemi
Microcinema, progettato e realizzato per integrare e rendere
interscambiabili tutte le sale attraverso una regia centrale.
“In città è presente solo un altro cinema oltre ai nostri e non c’è molto
altro nelle immediate vicinanze – ci spiega Sino Caracappa –. La città è
culturalmente viva e può contare, per esempio, sulla presenza di
almeno cinque compagnie teatrali molto valide, ma di pochissimi spazi
di fruizione. Il nostro microplex risponde sicuramente ad un’esigenza
fortemente sentita nella popolazione e premiata dalla partecipazione”.
107
Film per ragazzi e per famiglie, blockbuster, cinema d’autore e d’ essai,
balletti e concerti registrati, opere liriche ed eventi in diretta: al
Campidoglio prima e a Badia Grande dopo non sono mai mancate la
voglia e il coraggio di dare spazio a contenuti di ogni tipo. “Prendiamo
in considerazione ogni proposta, purché sia di qualità. Molto spesso
l’unico problema è avere abbastanza titoli dello stesso genere per dare
continuità e rispondere alla fedeltà del pubblico.”
“L’opera lirica funziona bene perché il catalogo è ricco e prevede
appuntamenti ogni mese. Certo, per promuoverla adeguatamente
abbiamo dovuto cercare i canali di comunicazione più efficaci, ma ora
possiamo dire di aver raggiunto risultati soddisfacenti, con una
partecipazione consistente in occasione dei titoli più conosciuti e una
media che non scende mai sotto gli 80 spettatori anche per i titoli di
nicchia. Un bell’aiuto per il nostro bilancio perché si tratta di spettatori
nuovi e freschi che altrimenti non avremmo potuto incontrare.”
Il segreto sembra essere un rapporto stretto e attento con il proprio
pubblico: “All’inizio avevamo messo in piedi una campagna
pubblicitaria a tappeto, ma la vera svolta è stata la creazione di una
mailing list in costante crescita che ci consente di arrivare a ciascun
cliente con il minimo dispendio. Oltre a questo, manteniamo buoni
contatti con i giornali e con una emittente televisiva locale che ci
dedica spazio per promuovere i nostri eventi”.
Una volta catturata l’attenzione del pubblico, a Badia Grande sanno
come mantenerla: “Ormai c’è chi aspetta la consueta diretta mensile
anche per il buffet che offriamo durante gli intervalli… I succhi di frutta
e i dolcini di mandorla, accompagnati dal buon vino della nostra terra,
sono ormai diventati un nostro biglietto da visita”.
Tra i record del Badia Grande c’è anche quello di essere stata l’unica
sala in Italia ad aver potuto trasmettere la Carmen di Georges Bizet,
Prima della Scala del 2009 – evento andato in sold out in molte sale –
su due schermi in contemporanea, riempiendo ben due sale di
spettatori soddisfatti: il sistema di controllo e gestione da remoto degli
apparati è in grado di inviare lo stesso segnale a tutti i proiettori del
microplex in contemporanea, senza interventi in cabina ma con il
semplice switch da regia.
Sostenibilità, flessibilità, interoperabilità ecco il successo del microplex
Badia Grande.
Ingresso nel Digital Network: maggio 2009
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Appunti per un repertorio di frasi celebri di film entrate
nell’uso comune della lingua italiana
di Alessandro Firpo
Con questo appunto vorrei proporre una piccola riflessione “linguistica”
che, proprio a proposito di cinema ritrovato, vuole sommariamente
indagare un altro sedimento, un altro enorme giacimento culturale – in
gran parte da scoprire e tutto da classificare – che il cinema ci ha da
sempre offerto e continuerà ad offrirci.
Lo spunto me lo ha dato proprio il titolo di questo terzo Quaderno di
Microcinema: Luci della Città. Sì, perché Luci della Città non è solo,
ormai da tempo immemorabile, il titolo di un film: no, è diventato
anche un modo di dire, un’espressione dell’uso della lingua italiana.
Quante volte, ad esempio, abbiamo detto “ecco, si stanno avvicinando
le luci della città”. E, per rimanere solo a Chaplin e solo ai titoli, che
dire di Tempi Moderni e di Luci della Ribalta, da allora non più solo
titoli di film ma veri e propri modi di dire? E poi Momenti di gloria, Un
mercoledì da leoni, Il buono, il brutto e il cattivo, Indovina chi viene a
cena? E chi più ne ha più ne metta.
Ma andiamo con ordine e partiamo dalle fonti. Le fonti possono essere
infinite e assolutamente tra loro sovrapponibili: attori, personaggi,
generi, registi, epoche e via discorrendo. Le fonti sono caotiche e uno
sviluppo cronologico ad oggi mi pare velleitario ma, in qualche modo,
cercherò di seguirlo.
Più che altro seguirò il filo dei miei ricordi e dei miei pensieri.
A parte il doveroso omaggio a Chaplin mi sento obbligato nei confronti
di uno “Stupìdou” che riferisco indifferenziatamente sia a Stan Laurel
che a Oliver Hardy. Ancora oggi è usatissimo e indica, da un lato, un
particolarissimo tipo di stupido, non meno che un certo tipo di dolce,
affettuoso rapporto tra l’insultante e l’insultato.
Non posso anche non citare il classicissimo “E chi non beve con me
peste lo colga” (La cena delle beffe), che ci ricorda non solo la voce
nasale e adenoidea di Amedeo Nazzari, ma anche tantissimi brindisi
della nostra vita.
Posso proseguire con “Domani è un altro giorno” di Via col Vento
(Vivien Leigh); o con “E’ la stampa bellezza. La stampa. E tu non ci
109
puoi fare niente. Niente!” (Quarto potere); e ancora con “Suonala
ancora Sam” (Casablanca), le ultime due di Humphrey Bogart. Chi di
voi non ha mai usato nel suo parlare abituale queste brevi frasette?
E di Charlton Heston/Ben Hur Vi ricordate: “Conosci il sigillo?” E il
perfido rantolo dell’odioso Stephen Boyd/Messala: “Prosegue ancora la
corsa! La corsa non è finita!”.
Ed è senz’altro da menzionare Il corvo col suo grave “Non può piovere
per sempre!”.
Il western è un genere ormai antico e le citazioni potrebbero essere
davvero tantissime. Io ho in mente un ricordo netto di John Ford in
persona che, in veste di attore, come talvolta gli sconfinferava di fare,
in mezza uniforme di cavalleria e strepitosa tuba in testa, si fa ricucire
una natica ferita dal cosiddetto “fuoco amico” e intanto pronuncia la
seguente frase: “Fate attenzione al vostro spiedo, figliolo” rivolgendosi
all’inesperto ufficialetto che gli aveva procurato la involontaria lesione
con la sua sciabola da novizio (Il grande sentiero, mi pare). Ebbene è
una espressione che io ho usato diverse volte con i miei figli o con
qualche altro cuoco improvvisato.
Così come ho usato, nello stesso senso preciso e originario del film (I
magnifici sette), l’”Adios” di Yul Brinner a Horst Bucholtz, il “Vaya con
Dios” del vecchietto del villaggio a tutto il gruppo, nel finale, e il “Quasi
quasi ci torno” di Steve McQueen quando i 7 decidono di non accettare
la sconfitta e di riprendere la strada che li condurrà nuovamente a
combattere e a morire per quei fragili campesinos.
E che dire di “Al cuore, Ramon, al cuore” di un quasi esordiente Clint
Eastwood contro il perfido Gian Maria Volontè? Oppure, assai più lunga
ma anch’essa usatissima: “Quando un uomo col fucile incontra un
uomo con la pistola quello con la pistola è un uomo morto” (entrambe
in Per un pugno di dollari). Mai usate?
Spettacoloso Dustin Hoffman nel Piccolo grande uomo quando, con gli
occhi volti a un biondissimo, giovanissimo e riccioluto generale Custer,
proprio ai piedi di Little Big Horn, alla vigilia della grande battaglia e
della grandissima sconfitta dei blue soldiers, con una indimenticabile
voce lenta e arrochita, dice tra sé e sé “L’avevo in pugno!”.
Se poi andiamo a spigolare tra Totò, De Sica e Peppino De Filippo ci
troviamo di fronte a una vera, poderosa enciclopedia. Cito a caso:
“Punto, punto e virgola, punto e un punto e virgola”, “Apri una
110
parente” e “Noio volevam savuar” (tutte da Totò, Peppino e la
Malafemmina), “Vota La Trippa” (Gli onorevoli), “A valiggia, a valiggia”,
“Fossi matto” (entrambi da I due marescialli). Mai adoperate?
E la pernacchia scientifica di Eduardo De Filippo nell’Oro di Napoli? Ma
qui forse dovrei dire: mai fatta?
Un passaggio dalle parti di Federico Fellini è obbligatorio; mi limiterò a
un “Voglio una donnaaa” di Ciccio Ingrassia e all’indimenticabile
“Gradisca” di Magali Noel (entrambe in Amarcord).
Una autentica pietra miliare del fenomeno è stato “Eccezziunale
veramente!” (anche titolo del film) di un giovanissimo Diego
Abatantuono.
Il filone bellico è anch’esso sterminato. Un esempio tra i tanti mi è
offerto dalla Battaglia delle Midway. Io ricordo (e uso la sua frase tutte
le volte che desidero ardentemente una cosa) Henry Fonda nel ruolo
dell’ammiraglio Nimitz che, non soddisfatto della battaglia di fatto
vinta, vuole colpire anche l’ultima portaerei giapponese rimasta intatta
e che, a coloro che lo mettono in guardia dai potenziali pericoli
conseguenti a quella decisione, risponde freddamente: “Il fatto è che
io voglio quella portaerei”.
In Tora, Tora, Tora come dimenticare il commento del viceammiraglio
Halsey jr (James Whitmore) che, entrato in una Pearl Harbour
completamente distrutta, ricevuto l’ordine di riprendere il mare in tutta
fretta e di comportarsi secondo buon senso, replica: “Se vedo un
sampang lo faccio a pezzi!”? Io uso questa frase quando voglio
esternare il mio stato d’animo nei riguardi di qualcuno che me l’ha
fatta grossa, davvero molto grossa.
E “Telefono, casa” (ET) chi può dire di non averlo adoperato più di una
volta?
Di Colazione da Tiffany ricordo, oltre ad una Audrey Hepburn
semplicemente meravigliosa, solamente “Non è un verme, è un
superverme!”.
Ma tuffiamoci ora nel mare magnum della commedia all’italiana.
Gassman, solo nel Sorpasso, ci parla di una bellissima cortigiana di
strada (tale Aida) che aveva una spettacolosa “Frezza bianca” – come
Aldo Moro – a decorare la sua affascinante chioma scura, frezza
rimasta nella lingua corrente. E nello stesso film ci regala un
indimenticabile “Ribellati schiavo: sciogli i cani”, a monito degli animi
111
servili; uno strepitoso “Che fa sta machina, nun core (rigorosamente
con una sola r)?”; un crudele “Me piace vedello arancà” e – ancora
uno! – un grandissimo “E il nonno non è potuto venì?” nell’atto di
superare una macchina stipata al limite dell’impossibile di persone,
cose e stie. Chi non ha mai usato almeno una di queste espressioni,
vorrei sapere?
E non possiamo dimenticarci il Gassman dell’Armata Brancaleone, da
cui comincio a prendere “Ah la maladetta fibula” e “Tregua”. E che dire
di quell’irriverente “Deus non vult, est clarus” dopo che, appena
enunciato un opposto “Deus vult”, Enrico Maria Salerno era precipitato
nel crollo di un ponte assai malfermo? E se io incontro gente
sgradevole mi viene da dire come Capannelle ( en passant: i suoi
“Facioli col tonno” dei Soliti Ignoti sono tanto memorabili quanto
reiterati): “Maledetti sifonai, non v’avessi visto mai!”.
E sempre Gassman, nei Mostri, attratto per la sua supposta rozza e
brutale virilità da una ricca e ninfomanissima Eleonora Rossi Drago in
una casa assai lussuosa, definisce così gli addobbi e l’argenteria: “Le
tende …, i metalli …!”. E così immancabilmente anche a me, tutte le
volte che entro in una casa inutilmente pretenziosa, viene spontaneo
riprendere quella frase.
Faccio una pausa con Manfredi (“E magno io che magni tu”, anche se
non mi ricordo il film) e mi getto su Alberto Sordi.
“Lavoratori …!” e il gesto che lo accompagna vi dice qualcosa (I
vitelloni)? Mai detto? Mai fatto?
Ma l’Albertone è proprio una miniera: “A me m’ha rovinato la guera”
(rigorosamente con una sola r); “E io ch’ho detto?”; “Professore: ho
studiato tutta la notte” a giustificare l’astuzia di una barba non rasata;
l’indimenticabile “Bboni …, state bboni …” nella Grande Guerra. Un
capitolo a parte è offerto dall’Americano a Roma, da “Questo lo damo
ar gatto e questo lo damo ar sorcio”, dallo “Yogourth” “’Mazza che
schifezza!”, fino a quell’indimenticabile e traboccante “Maccarone …
m’hai provocato e io te distruggo. Macaroni! I me te magno”. E che
dire ancora di quei fantastici tentativi di parlare in francese: ricordate
“Ma zie”, per ma tante e “Tout droit” per sempre dritto? Quest’ultima
indicazione per me è una sorta di must quando qualcuno mi chiede
una informazione stradale o di percorso.
Grandissimo successo di pubblico, di questi tempi, ha poi avuto “Io so
io e voi nun siete un ca..o” (Il Marchese del Grillo).
112
In Tutti a casa (da allora non più solo il titolo di un film) c’è poi quel
grande momento della votazione sullo spazzolamento della famosa
valigia che deve essere recapitata ad un lontano colonnello, piena di
ogni ben di Dio. Il fedele attendente Serge Reggiani dorme. Degli altri
compagni di viaggio, tutti disperati e affamatissimi, due sono a favore
del furto. Sordi – italianissimo e ufficiale – se ne esce con un “Io voto
contro, due contro uno, avete vinto voi: ‘namo
ar cesso”.
Indimenticato e indimenticabile.
E poi c’è ancora il più radiofonico Mario Pio e i suoi “compagnucci della
parrocchietta”.
Tognazzi mi è soprattutto presente per un episodio dei Mostri in cui il
grande attore cremonese interpreta il peggior parlamentare lasciatemi
dire “democristiano” di una volta che, per consentire una ruberia alla
quale non ha il coraggio di opporsi, si finge invece interessatissimo a
stroncarla, fa scadere i termini della denuncia ed esprime infine il suo
profondo rammarico ma, purtroppo, “Urgenti impegni mi trattengono
in parlamento”. Campo lungo nell’aula deserta di Montecitorio dove
compare il solo, sonnacchioso Tognazzi nell’atto di ascoltare un
retorico e vano oratore che, con un forte un accento dialettale,
riferisce di non si sa che baggianata. Ancora adesso, se ho un
seccatore alla porta, a me viene istintivo dire “urgenti impegni mi
trattengono in parlamento”.
Amici miei potrebbe essere un inesauribile e inesplorato giacimento.
E dove vogliamo mettere La voglia matta con l’espressione liberatoria
del bellissimo Gianni Garko al termine dell’agognato (e unico, e appena
corrisposto) bacio del nostro Ugone ad una incantevole Catherine
Spaak: “Bagno, purificarsi, bagno!”?
E, ancora, come dimenticare quella orribile (credo proprio infatti che
l’abbiano vista in pochissimi) satira nostrana del celeberrimo Per un
dollaro d’onore che risponde all’aulico titolo di Per un dollaro di fifa, in
cui Tognazzi lamenta il mancato ricongiungimento con un improbabile
Raimondo Vianello al luogo fissato, del resto perfettamente
individuabile per la presenza in situ di una inconfondibile e maestosa
pianta tropicale: la frase “Il solito appuntamento del cactus”, è rimasta
imperituramente nella nostra lingua.
E ancora: come fare a non citare “Un fiorino” di Troisi (Non ci resta
che piangere) e “Modello Giuditta” di Benigni (Il piccolo diavolo)?
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Il Padrino va ricordato almeno per un termine, il “Consigliori” e almeno
per una frase, davvero storica,: “Ci fici un’offerta che non poté
rifiutare”.
Il che, per rimanere nel linguaggio della malavita, ci rimanda a un
grandioso Robert De Niro che, negli Intoccabili, ci lascia nientemeno
che un “Tutto chiacchiere e distintivo”, ben reiterato perché si
scolpisca indelebile nella nostra memoria.
E come fare a evitare la tappa di “O capitano, mio capitano” di Robin
Williams nell’Attimo fuggente?
E che dire di quell’ineffabile “A. M.: Alto Mantenimento” pronunciato da
Billy Crystal in Harry ti presento Sally per descrivere un certo tipo di
(solitamente bellissima) donna?
Di Verdone è troppo facile citare “Un sacco bello” (anche titolo del
film) e l’impareggiabile “’N che senzo?” di tante macchiette.
Poi c’è il filone Bond, James Bond. Il grandissimo 007. Da dove
comincio? Da “Agitare, non miscelare” (Goldeneye) o dal “Deplorevole
brandy” (Goldfinger), oppure (Operazione Thunderball): “Ma questo è
un fucile da donna! – Lei si intende di fucili, mr. Bond? (Adolfo Celi) –
No, mi intendo di donne”. Passando a Dalla Russia con Amore come
non ricordare (e citare) un “Dopo …, dopo …” che lascia in trepida
attesa quella meravigliosa bellezza di Daniela Bianchi fino a che il
nostro grande James non ha finito il suo interrogatorio; e anche la
morte “Lenta e dolorosa” annunciatagli dal biondo sicario, il famoso
“Vecchio mio”, subito prima di una delle migliori e più realistiche
scazzottate cinematografiche che io ricordi; e, ancora, la definizione di
“Un ottimo centrattacco” data all’orrida Rosa Klebb (il numero 3 o 4
della Spectre), che, in un grande albergo di Venezia, ha appena
cercato di uccidere l’agente di Sua Maestà Britannica con una lama
avvelenata nascosta sotto la punta della scarpa?
Sempre per rimanere a Bond, James Bond, un caso su cui appuntare
brevemente l’attenzione è il notissimo “Mai dire mai” (anche titolo del
film), e non solo per la frequenza con cui l’espressione è usata, ma
soprattutto per rilevare – ancora una volta segno dei tempi – che la
frase è ancora più frequentemente adoperata nell’originale inglese
“Never say never”. That’s it!
114
Poi non si possono non portare alla ribalta almeno 2 cose di
Fantozzi/Villaggio: “Come è umano Lei!” e l’invitta “Poltrona di pelle
umana”.
Dalla Pantera rosa mi limito ad estrarre un esilarante ”Ogni mia mossa
è attentamente preordinata”.
Di Rocky IV (mi pare) ho in testa un usatissimo “Ti spiezzo in due”
pronunciato da un gigantesco pugile russo di cui non ricordo il nome.
E com’è il “Culo secco” rivolto a Sigourney Weaver in Una donna in
carriera?
Che ne dite poi di Tom Hanks in Forrest Gump: “Stupido è chi lo
stupido fa”?
E di Guerre stellari come fare a non menzionare almeno: “Che la forza
sia con te”?
E anche Pretty Woman ci offre un “Quella gran culona di Cenerentola”
che talvolta, magari storpiato, abbiamo anche noi imparato ad usare.
Per non dire di “Questa è l’America!”.
E Hannibal Lechter (Il silenzio degli innocenti), che già ci aveva
regalato un eccellente e ripetutissimo “Quando vuole sergente
Pembridge (mi pare), quando vuole” prima di una terrificante
mattanza, ci lascia tutti ancor più sgomenti quando sentiamo
pronunciare dal suo fantastico interprete, con quegli incredibili occhi di
ghiaccio di Anthony Hopkins, quel terribile “Sto per avere un vecchio
amico per cena”.
Quante volte poi ho usato il “Tre anni! Mi….a, tre anni!“,
opportunamente adattato alla bisogna, pronunciato da un incredulo (e
bravissimo) Antonio Catania appena atterrato in quella sperduta isola
dell’Egeo dove ha incontrato quello sparuto manipolo di soldati italiani
ormai completamente isolati dal mondo e ignari dell’intervenuto
armistizio tra l’Italia e gli Alleati (Mediterraneo).
“Il mio tesssoro” di Smeagle (Il signore degli anelli) è certamente di
provenienza letteraria, ma solo il cinema ha trasformato quelle tre
parole in un valore universale. E la stessa cosa si dovrebbe dire di
“Elementare Watson!”).
Indimenticabile e infinite volte ripetuto: ”Io ho visto cose che voi
umani” di Rutger Hauer in Blade Runner. E perdonatemi la
prosecuzione della citazione, ancora adesso troppo emozionante
115
perché sia possibile resistervi: “… che voi umani non potreste
immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di
Orione. E ho visto i raggi b balenare nel buio vicino alle porte di
Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come
lacrime nella pioggia. E’ tempo di morire”. Un pezzetto oggi, uno
domani, chi non pescato da questa frase?
Mi fermo qua ma vorrei che questo piccolo repertorio di ricordi e
abitudini personalissime riuscisse a ingrandirsi, a crescere, quasi quasi
a diventare un dizionario: a me pare che queste poche pagine ne
abbiano dimostrato la concreta possibilità. E naturalmente (come
direbbe James Bond) un dizionario di taglio decisamente più letterario
– e anche più leggero – di quello tecnico, così preciso, esaustivo e
ponderoso, che segue questo leggero appunto.
Ecco, prendetelo per quello che è: un testo medioevale inconcluso, un
lavoro in fieri, una pagina aperta al contributo di tutti
([email protected])7.
7
Se alcune delle citazioni non fossero esatte chiedo venia e aiuto. Del resto questo –
come ho detto – è un testo aperto.
116
Paul Klee - Red and White Domes (1914), particolare
DIZIONARIO ESSENZIALE
117
118
Anaglifo: indica l’immagine tridimensionale utilizzata agli albori della
stereoscopia, costituita da due immagini sovrapposte e colorate
diversamente tra loro in modo da far percepire al cervello dello spettatore,
dotato di occhialini colorati, l’illusione della tridimensionalità dell’immagine.
Aspect ratio: indica il rapporto matematico tra la larghezza e l'altezza di
un'immagine. Il formato, o aspect ratio, cinematografico più utilizzato è il
formato 1,85:1. Meno diffuso il Cinemascope 2,35:1 (2,39:1).
Battuta: quando si parla di “uscita in battuta” si fa riferimento alla prima
uscita nazionale.
Bit (b): contrazione del termine binary digit = unità binaria. Un bit può
definire due livelli o stati, 0 o 1, acceso o spento, bianco o nero, ecc.
Blockbuster: film che, grazie ad una massiccia promozione commerciale
prima dell’uscita, è generalmente candidato ad entrare ai primi posti nelle
classifiche di vendita di biglietti a livello internazionale. A livello
contenutistico ha un carattere di intrattenimento tout court.
Blu ray disk: identifica un disco ottico con maggiore capacità di memoria
rispetto al DVD normale, in grado pertanto di contenere file audiovideo in
alta definizione.
B-movie: identifica un film di bassa qualità. E’ nato negli anni trenta negli
Stati Uniti. Pagando un solo biglietto si poteva vedere un film in più e
questo spiega anche la loro durata inferiore ai settanta minuti. Si trattava
di film di genere (soprattutto western e noir) girati in pochi giorni e
sfruttando scenografie e costumi di altri film ben più costosi.
Bollywood: è la fusione dei nomi Bombay e Hollywood. Indica gli studios
indiani, che hanno una produzione, in lingua hindi, in costante espansione
perché si rivolgono ad un mercato potenziale che sfiora il miliardo di
persone, giovani e appassionati di cinema. Gli studios Tamil sono chiamati
Kollywood e hanno sede nel sud del paese.
Box office: chiamato anche in gergo “botteghino”, identifica il totale
incassato da un film in un determinato periodo, dato dalla somma del
valore lordo dei biglietti (ovvero il prezzo pagato dal pubblico).
Brightness (Luminosità): la quantità totale della luce proveniente dallo
schermo sul quale è proiettata un’immagine “tutto bianco”. Viene misurata
in “candele per metro quadro” oppure in “foot lambeth per metro quadro”.
Può indicare anche la proprietà di una superficie di emettere o riflettere
luce.
119
Byte: insieme di otto bit. Viene utilizzato come unità di misura di spazio in
informatica. È la quantità di memoria necessaria per memorizzare un
carattere alfanumerico.
Chiave: algoritmo matematico usato per criptare e decriptare i contenuti
rendendoli inaccessibili a chi è sprovvisto della chiave. E’ parte integrante
della licenza che autorizza l’uso, la decriptazione e la riproduzione del film
digitale per quel determinato cinema, schermo, giorno e ora.
Cinemakit: è l’insieme di apparati tecnologici Microcinema che
permettono sia la ricezione del film via satellite, il suo immagazzinamento,
la sua proiezione che l’utilizzo polifunzionale della sala cinematografica.
Codifica (trattamento dell’immagine): è il processo informatico che
consente di ridurre la dimensione dei file video attraverso un algoritmo
percettivo di compressione delle informazioni relative alle immagini. La
codifica, nel cinema, può generare un file di 720 oppure 1080 pixel. Il
cinema digitale usa questi tipi di compressione per ottenere file di dati
facilmente gestibili nei successivi processi di masterizzazione, distribuzione
e proiezione. Per essere proiettate le immagini devono essere prima
decodificate. Nell’accezione comune si usa spesso per identificare
programmi o contenuti criptati che necessitano di sistemi di decodifica tipo
decoder con smart card.
Color grading: è la variazione del bilanciamento dei colori, del contrasto e
di altri parametri delle immagini al fine di ottenere un determinato
equilibrio cromatico uniforme tra le varie scene.
Compressione: è un metodo per ridurre lo spazio occupato da un file
audio/video basato generalmente su un algoritmo matematico che elimina
tutte quelle informazioni che non sono percepite dal cervello umano,
mostrando allo spettatore un’immagine del tutto simile all’originale. Un file
compresso occupa meno spazio in un hard disk e impiega meno tempo per
essere trasferito via satellite o via ADSL.
Content provider: indica il fornitore di contenuti.
Contrasto: è la misura del rapporto di luminosità tra l’area a massima
luminosità e l’area a minima luminosità dell’immagine proiettata.
Cortometraggio: il corto è un film di durata massima di 30 minuti.
Correttore di trapezio: è un dispositivo che permette di ottenere
un’immagine perfettamente rettangolare anche qualora il proiettore non sia
in asse con lo schermo.
120
Crominanza (chroma): è la parte dell’immagine che contiene i dati di
colore, tonalità e saturazione.
D-Cinema: Cinema Digitale. Il sistema di archiviazione e proiezione
cinematografica digitale. Gli studios americani e l’SMPTE identificano come
cinema digitale la catena produttiva dalla lavorazione del primo master, alla
preparazione dei DCDM e DCP, fino alla proiezione. La distribuzione alle
sale cinematografiche può essere fatta via satellite, su cavo a banda larga
o su media fisico (nastro magnetico, disco ottico o disco magnetico).
D5-HD: supporto video in HD caratterizzato da una bassissima
compressione dei dati, sviluppato da Panasonic ed utilizzato come master
universale (Universal Master) da cui vengono prodotti tutti i contributi per
la filiera dello sfruttamento dei diritti audiovisivi: DVD, home video, TV via
satellite, TV analogica.
Datacine: dispositivo che trasferisce le immagini dalla pellicola al dominio
digitale apportando le dovute correzioni di spazio colore. Esso ha ormai
soppiantato il vecchio telecine.
DC28: vedi SMPTE DC28.
DCDM: acronimo di Digital Cinema Distribution Master – È il master non
compresso per video/audio e sottotitoli. L’immagine DCDM ha già subito la
color correction per la proiezione digitale ed è utilizzata per creare i file
compressi utilizzati nella distribuzione del Digital Cinema. Il DCDM è un
supporto richiesto da molti festival per la proiezione in digitale.
DCI: acronimo di Digital Cinema Iniziative. È una organizzazione volontaria
costituita da Disney, Fox, MGM, Paramount, Sony Pictures, Universal e
Warner Bros per investigare sulle possibili tecnologie digitali da utilizzare
nel settore cinematografico in sostituzione della pellicola tali che il risultato
visivo per lo spettatore appaia uguale o superiore a quello della prima
proiezione della prima copia stampata. Il risultato dell’investigazione ha
generato raccomandazioni sul D-Cinema che riguardano esclusivamente gli
aspetti tecnici (trattamento dell’immagine) ma non le implicazioni
commerciali dovute alla loro applicazione. Dal 2008, DCI ha rilasciato
centinaia di errata corrige al Digital Cinema Specification.
DCP: acronimo per Digital Cinema Package – È l'insieme di file ricavati dal
risultato del processo di compressione, codifica, criptazione della copia
DCDM con eventuale versione audio e sottotitoli. In pratica, è la copia del
film digitale che la distribuzione fornisce agli esercenti. La copia DCP può
essere memorizzata su media fisico ed inviato via satellite o rete.
121
Digitale: termine che deriva dall’inglese digit (numero) indica sia un
insieme finito di elementi sia ogni forma di organizzazione delle
informazioni come combinazione di dati rappresentati sotto forma di
segnali discreti (on e off) e tradotti nel codice binario 0 e 1. Un oggetto
viene reso in formato digitale quando il suo stato analogico, rappresentato
da un insieme infinito di elementi, viene trasformato in un insieme
numerabile di elementi.
Diritto Theatrical: è il diritto di proiezione e sfruttamento del contenuto
audiovisivo per proiezione nelle sale cinematografiche.
Diritto Theatrical Digitale: diritto di proiezione e sfruttamento del
contenuto audiovisivo relativo alle proiezioni digitali nelle sale
cinematografiche del Digital Network intermediato da Microcinema.
DPF: acronimo di Digital Print Fee. È il contributo indiretto riconosciuto da
parte dei distributori alle sale cinematografiche aderenti al Digital Network
Microcinema per la diffusione dei film in digitale e più in generale per
sostenere la digitalizzazione delle sale. Il risparmio nella logistica, nella
stampa e nello smaltimento delle pellicole, viene in parte ristornato alla
sala attraverso il sistema di sconti sulle percentuali di noleggio dei film
proiettati in digitale. Tale contributo, per il tramite di Microcinema, viene
erogato attraverso un credito a scalare: fino alla concorrenza massima del
contributo pattuito la sala non pagherà i diritti di noleggio a Microcinema,
che da parte sua corrisponderà normalmente il dovuto alla distribuzione. A
sua volta il distributore riconoscerà, sotto forma di sconto, a Microcinema
una percentuale sul totale del dovuto per diritti digitali. In questo modo il
distributore non ha impegni finanziari e l’esercente beneficia di un
adeguamento tecnologico senza spesa diretta. Al termine dell’operazione
DPF, legata alla digitalizzazione del sistema, entrerà in vigore un
meccanismo di scontistica nei confronti del Digital Network crescente in
relazione alla crescita del circuito e all’aumentare dei risparmi del
distributore.
DLP: acronimo di Digital Light Processing (DLP). E’ un sistema digitale di
generazione delle immagini basato su tecnologia DMD – Digital Micromirror
Device sviluppata dalla Texas Instruments insieme alla Digital Projection e
usata dai principali costruttori di proiettori per cinema digitale tra cui Barco,
Christie e Nec, ma anche per proiettori digitali ovvero per altre applicazioni
non necessariamente relative al cinema digitale. Il dispositivo è formato da
una matrice di microscopici specchi oscillanti (ciascuno dei quali
corrisponde ad un pixel dell’immagine finale), utilizzati per riflettere il fascio
luminoso proveniente da una lampada. Una volta colpiti, gli “specchietti”,
variando la propria incidenza, rifrangono la luce in modo da creare
122
l’immagine in movimento. È possibile realizzare immagini in tricromia RGB
con una sola matrice ma, per migliorare risoluzione e luminosità, possono
essere utilizzate tre matrici o chip, uno per ogni colore primario.
DRM: acronimo di Digital Rights Management. Complesso di sistemi
tecnologici mediante i quali i titolari dei diritti d'autore possono esercitare e
amministrare tali diritti nell'ambiente digitale, grazie alla possibilità di
rendere protetti, identificabili e tracciabili tutti gli usi in rete di materiali
adeguatamente “marchiati”. Con il temine DRM si fa spesso riferimento al
certificato digitale che accompagna il film come una carta d’identità, come
un curriculum che rileva, concedendo o negando, ogni utilizzo dello stesso.
DVD: acronimo di Digital Versatile Disk. È il supporto informatico digitale
basato su una tecnologia ottica che permette di memorizzare molte
informazioni che vengono lette attraverso un laser. Può contenere circa 4,5
Gb di informazioni su di un lato e 18 Gb sulla versione a doppia intensità
(circa 40 volte più di un normale CD-ROM).
Ethernet: è un modo per connettere e collegare apparati digitali in rete.
La principale caratteristica è il numero di dati digitali (bits) che possono
essere trasmessi in un periodo di tempo. Si adopera una rete a 10BaseT o
100BaseT per trasferire informazioni semplici come le istruzioni di
controllo, mentre si adopera una rete veloce Ethernet Gigabit 1.000BaseT o
10.000BaseT per trasferire grandi quantità di dati come, per esempio,
quelli per il film digitale.
File: insieme strutturato di dati caratterizzato da un’etichetta di metadati e
da vari pacchetti di dati.
Film scanner: indica un'apparecchiatura che crea una versione digitale
della pellicola. I film scanner sono in grado di lavorare a risoluzioni
maggiori dell'HD (1920 x 1080). Il formato più comunemente usato è il 2K
ma anche il 4K, soprattutto per lavorazioni che contemplano effetti visuali
come in post-produzione.
Frame: ciascun singolo fotogramma di un film o meglio, parlando di
digitale, una singola immagine della durata di 1/24 di secondo all’interno di
una serie o sequenza.
Frame rate: è la frequenza, il numero di immagini per unità di tempo che
vengono visualizzate. Varia da sei a otto immagini al secondo (fps) per le
vecchie macchine da presa a 120 o più per le nuove videocamere
professionali. Gli standard PAL (Europa, Asia, Australia, etc.) e SECAM
(Francia, Russia, parti dell'Africa etc.) hanno 25 fps, mentre l'NTSC (USA,
Canada, Giappone, etc.) ha 29.97 fps. La pellicola ha una registrazione ad
123
un frame rate minore, 24fps. Per raggiungere l'illusione di un' immagine in
movimento il frame rate minimo è di circa 10 fotogrammi al secondo.
Foot-lambert: è l’unità di misura della luminosità (luminanza) sullo
schermo di proiezione. Society of Motion Picture and Television
Engineersaccomanda la luminosità degli schermi per i cinema commerciali.
L'attuale revisione della specifica SMPTE 196m richiede 16 foot-lamberts
pari a 55 candele per metro quadrato.
Foyer: è il locale, adiacente ad una sala teatrale o cinematografica, dove
gli spettatori si intrattengono prima, durante e dopo le pause dello
spettacolo.
Full digital: è un esercizio cinematografico che sceglie di proiettare solo in
digitale abbandonando la via della pellicola.
Full redundant: caratteristica di un dispositivo progettato per essere
utilizzato in applicazioni critiche dove è richiesto il minor tempo di fermo
possibile. Tutti gli elementi costitutivi sono ridondati per garantire la
massima performance.
Ghost Busting: e’ un tipo di pre-processamento dell’immagine richiesto
da Real-D per evitare il fenomeno di ghosting, nel quale un occhio
percepisce marginalmente anche l’immagine destinata all’altro occhio. Per
ogni film esistono quindi due versioni di Master GB (Gost Busted) e NGB
(Not Ghost Busted) destinate ai diversi sistemi 3D.
In un prossimo futuro su raccomandazione di DCI, saranno unificate nel
solo formato NGB (Not Ghost Busted). A questo formato Real-D e i
produttori di server si stanno adeguando.
Hard drive: è più conosciuto con il termine “hard disk” ed è utilizzato per
memorizzare grandi quantità di dati digitali. Nel Cinemakit è usato in
configurazione RAID per memorizzare i file dati dei film digitali e pronti per
la riproduzione. Hard drive rimovibili possono essere anche usati per
trasferire film digitali da una sala all’altra.
HD: acronimo di High Definition. E’ un formato televisivo e indica formati
di immagine 1280x720 pixel o 1920x1080 pixel.
HD-DVD: acronimo di High Density Digital Versatile Disc. Come il Blu ray
ma realizzato da un diverso consorzio di produttori e per questo basato su
un formato di memorizzazione e gestione dell’immagine incompatibile con
Blu ray. Toshiba ha confermato la cessazione del business HD-DVD,
annunciando l'interruzione della produzione.
124
HDTV: acronimo di High Definition TV. Televisione ad alta definizione.
Generalmente è costituita da 1920 pixel per ogni linea orizzontale, 1080
pixel in verticale e con un formato immagine 16:9 a differenza della
Standard Definition TV che raggiunge al massimo una risoluzione di 720 x
576 pixels.
Home theatre: è un sistema audiovideo per uso domestico.
Home video: identifica tutte le versioni video per uso domestico (VHS,
DVD, DiVX, CD).
Image compression: indica gli algoritmi e le tecniche che si utilizzano
per ridurre la dimensione delle immagini digitali. La compressione è una
tecnica utilizzata per memorizzare un'immagine riducendo la quantità di
informazioni digitali necessarie per memorizzare elettronicamente
l'immagine stessa.
Interlacciato: sistema analogico di codifica delle immagini basato sulla
scansione di ogni fotogramma in due campi, composti il primo dalle linee
dispari e il secondo dalle linee pari che formano l’immagine. In caso di
immagini dinamiche possono formarsi effetti come sfarfallio delle righe o
effetti scalino. Il sistema interlacciato consente di trasferire in due tempi
ogni fotogramma utilizzando risorse limitate di banda. E’ il sistema
utilizzato dalla televisione tradizionale sia in Standard Definition sia High
Definition.
Interoperabilità: capacità di fornire un interscambio efficiente di
immagini e audio elettronici e dei dati associati tra diversi formati di
segnale, tra diversi mezzi di trasmissione, tra diverse applicazioni, tra
diversi livelli di prestazione (FCC ACATS). In pratica identifica l’effettiva
compatibilità tra apparati e sistemi diversi forniti da diversi costruttori. E’
un’esigenza degli esercenti di vitale importanza per le sale.
ITU: acronimo di International Telecommunication Union. È l’agenzia delle
telecomunicazioni dell’ONU ovvero l’organismo internazionale, con sede a
Ginevra, responsabile della definizione di tutte le normative riguardanti la
telecomunicazione (anche il GSM che usiamo per telefonare è normato
dall’ITU).
ITU.B.709: identifica lo standard della HDTV.
JPEG: acronimo di Joint Photographic Expert Group (gruppo di
standardizzazione internazionale che lavora sotto ISO e IEC e che sviluppa
un consenso internazionale sugli algoritmi della image compression per una
continuità di tono e colore delle immagini ferme). Identifica un algoritmo di
compressione delle immagini statiche che permette di ridurre lo spazio
125
occupato dal file pur mantenendo buona parte delle caratteristiche di
qualità dell’immagine. Sfruttando il funzionamento del cervello umano nel
percepire forme e colori, questo formato di codifica semplifica le immagini
eliminando minuscoli dettagli, normalmente impercettibili, sostituendole
con un modello matematico che consente di rappresentarle con una
quantità di informazioni notevolmente inferiore. L’immagine viene così
compressa, con un fattore variabile, regolabile a piacere al momento della
creazione del file: maggiore sarà la compressione, minori le dimensioni del
file.
K: numero di pixel di risoluzione orizzontale di un'immagine. "K" è
l'abbreviazione di "Kilo" che significa 1000 o abbreviato 1K.
LCD: il Liquid Cristal Display è un tipo di display principalmente utilizzato
per monitor è TV. Orientati in modo opportuno, i "cristalli liquidi" possono
consentire o meno il passaggio della luce proveniente dalla
retroilluminazione del pannello illuminando lo schermo.
Licenza: conosciuta anche come Key Delivery Message (KDM) è il metodo
standardizzato per spedire le chiavi di sicurezza (key) al server di sala e
contiene le chiavi necessarie a decriptare un determinato film in un
determinato cinema, oltre a informazioni sul suo uso. Può essere su
memoria USB o su rete oppure essere nell'hard drive che contiene il film o
contenuto digitale.
Lungometraggio: è un film della durata minima di 60 minuti.
M-Box: è il server di sala interoperabile VC-1 / DCI presentato al mercato
da Microcinema nel 2008.
Major: è la definizione dei principali studios americani di produzione e
distribuzione di film. Universal, Sony Columbia Tri-star Pictures, Warner
Bros, Twenty Century Fox, Metro-Goldwyn-Mayer, Dreamworks SKG,
Disney Corporation, Paramount.
Masterizzazione: le attività in postproduzione per raggiungere la edizione
finale di un film (per l'appunto il “master”).
Metadata: è una componente fondamentale per archiviare contenuti
digitali e semplificare l’accesso agli stessi in una fase successiva. Sono le
informazioni sovrascritte sui contenuti stessi che descrivono un insieme di
dati come il titolo, durata, ora e data, dettagli sul copyright, formato
immagine, tipo audio e via di seguito.
MJPEG-2000: (Motion JPEG) formato di compressione delle immagini
digitali in movimento basato sullo schema di compressione JPEG utilizzato
126
per le immagini fisse (prevede infatti la compressione di ogni singolo
fotogramma individualmente). Si caratterizza per una bassissima perdita di
informazioni dovuta alla compressione, che è pur sempre consistente.
MPEG-2: standard di codifica dei dati digitali usato principalmente per
contenuti LSDI, contenuti alternativi e HDTV. Utilizzato nei DVD e nella TV
digitale.
MJPEG-2000: metodo scelto da DCI per il cinema digitale. Qualsiasi
server DCI deve lavorare con dati compressi MJPEG 2000.
Megaplex: indica un esercizio cinematografico con oltre 16 schermi.
Microplex: sono gli esercizi cinematografi con meno di 3 schermi.
Solitamente si caratterizzano per programmazione flessibile e legata al
cinema d’essai.
Multiplex: indica un esercizio cinematografico con numero di schermi
compreso tra 4 e 16.
Multisala: indica tutte gli esercizi cinematografici con più di 3 schermi.
Secondo Medialsalles il termine “multisala” indica le strutture ottenute dal
frazionamento di grandi cinema mentre i multiplex o i megaplex nascono
sulla base di una progettazione specifica.
MXF: acronimo di Material Exchange Format. È il formato utilizzato per
l’interscambio dei file di dati tra sistemi e apparati cinema digitale di diversi
costruttori. È la base della interoperabilità.
NATO: acronimo di National Association of Theater Owners.
l’associazione degli esercenti cinematografici principalmente americani.
È
Perfect Film Look: marchio creato da Microcinema per indicare la qualità
delle proprie proiezioni, che mantengono, grazie alla particolare codifica
dell’immagine, tutta la fluidità delle normali proiezioni in pellicola (v.
Progressivo).
Occhiali Attivi: sono occhiali per 3D dotati di otturatori LCD montati in
luogo delle lenti che si aprono e chiudono svariate volte al secondo
mostrando alternativamente l’immagine per l’occhio destro e quella per il
sinistro, creando quindi l’illusione dell’immagine tridimemsionale.
Occhiali Passivi: sono occhiali dotati di lenti polarizzate in grado di
filtrare per ogni occhio l’immagine ad esso destinata, senza lasciar passare
le informazioni destinate all’altro occhio, creando in tal modo l’illusione
dell’immagine tridimensionale.
127
Pixel: unità elementare con cui viene rappresentata un’immagine (come la
cellula per il corpo umano, come l’atomo per la materia, ecc.).
Abbreviazione per “elemento di un’immagine” (PICture Element).
Normalmente indica il numero di pixel facenti parte di una linea orizzontale
dell’immagine, o dell’intero fotogramma (pixel orizzontali e verticali) di ogni
immagine. È considerata l’unità elementare componente tutte le immagini.
Per ciascun pixel può essere memorizzata una certa quantità di
informazioni, tale da ricostruire il colore e la luminosità dello stesso;
maggiore è la quantità di informazioni sui singoli pixel, maggiore la qualità
dell’immagine e la fedeltà al colore originale. La dimensione di un pixel
dipende dalle dimensioni dello schermo.
Polarizzazione: un processo inventato da Polaroid negli anni Trenta per i
suoi occhiali destinati a ridurre i riflessi dei fari delle automobili provenienti
in senso contrario a quello di guida. La luce viene filtrata in un senso ben
preciso eliminando tutte le onde luminose proveniente dalle direzioni che
non siano quella prescelta. Comporta una diminuzione di luminosità di ciò
che si vede ma anche una diminuzione dei riflessi. Questo processo sta alla
base di ogni sistema 3D.
Progressivo: sistema digitale di codifica delle immagini basato sulla
scansione completa di ogni singolo fotogramma (la procedura di
generazione del segnale video è infatti denominata “a immagine
completa”). È una trasposizione in digitale del comportamento della
macchina da presa in pellicola. È un sistema utilizzato sia per la ripresa sia
per la proiezione cinematografica. Trova applicazione nella risoluzione HD
720p e 1080p. A parità di frequenza, la scansione progressiva richiede il
doppio della banda rispetto a quella interlacciata.
RAID: acronimo di Redundant Array of Indipendent Disks. È
un’architettura usata nei migliori sistemi di sala per evitare le interruzioni
nella proiezione. I file sono memorizzati su hard disk multipli onde
assicurare affidabilità da errori o cancellazioni: se un hard disk non
funziona, si ha la sicurezza che i dati digitali siano reperibili da altro hard
disk del RAID e non si ha alcuna interruzione di proiezione.
Risoluzione: la risoluzione indica il grado di qualità di un'immagine
stampata. Generalmente si usa questo termine relativamente a immagini
digitali, ma anche una qualunque fotografia ha una certa risoluzione. La
risoluzione indica la densità dei pixel, ovvero la quantità dei puntini
elementari che formano l'immagine rapportata ad una dimensione lineare
(ad esempio pixel/cm o pixel/pollice). Le risoluzioni per cinema digitale
attualmente specificate dal consorzio DCI sono 2K (2048 pixel orizzontali x
1080 pixel verticali) e 4K (4096 pixel orizzontali x 2160 pixel verticali).
128
Risoluzione di proiezione: è la risoluzione della matrice del proiettore su
cui si forma l’immagine ovvero il numero di pixel con cui l’immagine viene
rappresentata (all’aumentare della risoluzione, aumenta il numero di pixel
che a parità di area diventano più piccoli e per questo rendono l’immagini
più definita: linee oblique sempre più rette e meno “a scaletta”).
Sbigliettamento nettissimo: indica l’incasso da biglietteria al netto di
IVA, SIAE e altre tasse in genere che dovessero gravare a vario titolo sullo
spettacolo.
SD: acronimo di Standard Definition. Indica formati di immagine 720x576
pixel nel formato PAL utilizzato in Europa.
Silver Screen: schermo cinematografico altamente riflettente e di
conseguenza con un alto valore di luminosità, in grado di compensare così
la minor luce che arriva allo spettatore a causa della polarizzazione e di
mantenere un valore di luminosità specifica dello schermo al di sopra dei
parametri stabiliti da SMPTE.
Sistemi 3D:
X-Pand: sistema 3D basato sull’utilizzo di occhiali attivi dotati di
otturatore LCD riutilizzabili. Può essere impiegato con il tradizionale
schermo cinematografico bianco.
Real-D: sistema 3D basato sull’utilizzo di occhiali passivi a
polarizzazione circolare “usa e getta”. Richiede uno schermo argentato
per visualizzare le immagini.
MasterImage: sistema 3D basato sull’utilizzo di occhiali passivi a
polarizzazione circolare “usa e getta”. Richiede uno schermo argentato
per visualizzare le immagini.
Dolby: sistema 3D basato sull’utilizzo di occhiali passivi con filtro ad
interferenza. Sarebbe consigliabile uno schermo bianco ultrabright ad
alto guadagno o uno schermo argentato per raggiungere il valore di
luminosità specificato SMPTE.
SMPTE: acronimo di Society for Motion Picture and Television Engineers.
Si tratta di una associazione professionale internazionale basata in USA e
con sezioni in tutto il mondo, che si occupa di individuare raccomandazioni
e linee guida che consentano di predisporre gli standard utilizzati da
cinema e televisione insieme ad altri enti sovranazionali quali EBU
(European Broadcasting Union) e ITU (International Telecommunication
Union).
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SMPTE 274M: standard SMPTE che definisce le varie risoluzioni ammesse
per le immagini in alta definizione.
SMPTE 412M/VC-1: formato di compressione delle immagini digitali in
movimento sviluppato da Microsoft con il nome di Windows Media e
successivamente standardizzato da SMPTE. come formato di compressione
di immagini in HD anche per HD-DVD e Blu ray disk.
SMPTE-DC28: è il gruppo di studio di SMPTE incaricato di definire gli
standard del D-Cinema. Il DC28 è costituito da ben definiti gruppi di lavoro
che, strategicamente connessi, preparano standard e raccomandazioni che
assicurino, tra l’altro, l’interoperabilità, la compatibilità e la qualità dei
componenti e dei sistemi necessari alla transizione al cinema digitale.
Spazio colore: è la gamma completa di colori. Nei proiettori per cinema
digitale, il color space può essere riprogrammato per creare un look
differente per differenti contenuti. Il diagramma generale di riferimento per
il color space è quello definito dal diagramma del CIE che include i colori
potenzialmente visibili dall’occhio umano.
Studios: in origine erano Universal Studios, 20th Century Fox, Paramount
Pictures, MGM Metro-Goldwyn-Mayer. The Walt Disney Company e Warner
Bros Pictures producevano solo cartoni animati. Oggi major e studios
nell’accezione comune sono sinonimi e includono: The Walt Disney
Company (che possiede Miramax e Buenavista), Universal Studios di
proprietà General Electric e Vivendi, 20th Century Fox della News
Corporation (Murdoch), Warner Bros. Pictures di Time Warner, Paramount
Pictures della Viacom, Sony Pictures Entertainment (Columbia Tri-star),
MGM Metro-Goldwyn-Mayer che ha un accordo di distribuzione con Sony,
DreamWorks SKG legata all’indiana Reliance.
Stereoscopia: è la definizione tecnica e non commerciale di 3D.
Sorround: letteralmente circondare. Rappresenta il fronte sonoro alle
spalle dell’ascoltatore riprodotto da diffusori acustici posizionati, secondo
prestabilite regole, alle spalle dell'ascoltatore.
Tenitura: indica il periodo, solitamente espresso in giorni, durante il quale
un film viene contrattualmente “tenuto in proiezione” in sala.
Telecine: dispositivo/procedimento che trasferisce le immagini dalla
pellicola a un qualsiasi formato televisivo.
TMS: acronimo di Theatre Management System. È l’interfaccia grafica che
consente la gestione del server di sala e del proiettore da parte
dell’esercente.
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Upgrade: si riferisce alla possibilità di sostituire un componente
informatico con uno di livello superiore o di più recente concezione. E’
possibile effettuare un upgrade di fronte ad un’offerta strutturata e
modulare, pensata per consentire investimenti incrementali senza rischio di
perdita del denaro investito per i livelli inferiori. Naturale nel software,
esemplificabile nell’hardware con un parallelo di facile intuizione in campo
automobilistico: una volta acquistata un’auto, se si decide di montare un
particolare tipo di navigatore si paga solo la cifra necessaria ad installare il
nuovo accessorio.
UPS: acronimo di Uninterruptable Power Supply. Si riferisce a un
dispositivo in grado di garantire la continuità dell’alimentazione elettrica di
un appartato anche in mancanza di alimentazione di rete (gruppo di
continuità).
VPF: acronimo di Virtual Print Fee – Meccanismo studiato dalle major
americane per agevolare la digitalizzazione delle sale cinematografiche
attraverso una partecipazione agli investimenti in tecnologia. Il VPF viene
gestito da un soggetto terzo (un integratore di sistemi) che con l’appoggio
di una banca acquista le tecnologie e le integra per fornire ad ogni sala
cinematografica un sistema capace di gestire la proiezione di film digitali. Il
costo delle tecnologie viene sostenuto per il 70/80% dalle major e per il
30/20% dalle sale che hanno aderito all’accordo di VPF. Come
contropartita gli apparati rimangono di proprietà delle major attraverso la
banca per 10 anni. La programmazione e il rilascio delle chiavi avviene
attraverso l’integratore che si occupa dell’installazione, del training e della
manutenzione dei sistemi (i costi di training e di manutenzione non sono
compresi negli accordi di VPF ma addebitati direttamente alla sala). Ad
oggi esistono in Europa tre operatori con accordi di VPF siglati con major:
Arts Alliance Media (Inghilterra), XDC (Belgio) e Ymagis (Francia).
VPN: acronimo di Virtual Private Network. Una VPN è una rete privata
instaurata tra soggetti che utilizzano un sistema di trasmissione pubblico.
Le reti VPN utilizzano collegamenti che richiedono qualche forma di
autenticazione per garantire che solo gli utenti autorizzati vi possano
accedere. Per impedire l’intercettazione e l’utilizzo dei dati inviati da altri
non autorizzati, esse utilizzano sistemi di crittografia.
Watermarking: tecnica per la sovrapposizione di particolari informazioni
alle immagini dei film digitali. Tali informazioni, invisibili all’occhio umano,
sono usate per scoprire quando e dove un particolare film è stato piratato
in un determinato cinema.
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Widescreen: indica uno schermo con formato superiore a 4:3, il vecchio
standard televisivo. Gli schermi 16:9 sono considerati wide screen che in
campo cinematografico corrisponde a 1,78:1.
16:9: rapporto aspetto/immagine usato per l’HDTV e alcuni apparecchi
SDTV (di solito digitali). La larghezza dell’immagine corrisponde a 1,8 volte
la sua altezza.
24p: è l’abbreviazione usata per definire la scansione progressiva di
immagini a 24 fotogrammi al secondo. Per migliorare la compatibilità tra
analogico e digitale, lo standard per un’acquisizione di cinema digitale è
stato fissato inizialmente a 24fps (24 fotogrammi progressivi al secondo)
ma la SMPTE sta analizzando la possibilità di inserire anche la scansione a
25p, 30p, 50p e 60p.
25p: è la scansione progressiva di immagini a 25 fotogrammi al secondo.
E’ usato per le produzioni HD in Europa e in altri Paesi che usano sistemi
televisivi a 50Hz.
720i: indica il formato HD con risoluzione 1280x720 interlacciato e si
riferisce agli standard internazionali SMPTE 274M e ITU 709. Differisce dal
formato progressivo per la divisione dell’immagine in due campi
consecutivi. Vedere separatamente la definizione delle sigle.
720p: indica il formato HD con risoluzione 1280x720 progressivo e si
riferisce allo standard internazionale di produzione HD ITU-B 709. Vedere
separatamente la definizione delle sigle. 720 indica il numero delle righe
orizzontali mentre 1280 indica il numero di pixel orizzontali ovvero il
numero delle colonne. Complessivamente si possono così rappresentare
quasi 1 milione di pixel.
1080i: indica il formato HD con risoluzione 1920x1080 interlacciato e si
riferisce agli standard internazionali SMPTE274M e ITU 709. Differisce dal
formato progressivo per la divisione dell’immagine in due campi
consecutivi. Vedere separatamente la definizione delle sigle. 1080 indica il
numero delle righe orizzontali dell’immagine mentre 1920 indica il numero
di colonne ovvero il numero di pixel orizzontali. Complessivamente possono
essere in questo modo rappresentati circa 2 milioni di pixel.
1080p: indica il formato HD con risoluzione 1920x1080 progressivo e si
riferisce allo standard internazionale di produzione HD ITU-B 709. Vedere
separatamente la definizione delle sigle. 1080 indica il numero delle righe
orizzontali dell’immagine mentre 1920 indica il numero di colonne ovvero il
numero di pixel orizzontali. Complessivamente possono essere in questo
modo rappresentati circa 2 milioni di pixel.
132
1.3 K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 1280x720 pixel. 1.3 K
indica la risoluzione orizzontale di 1280 pixel. Nasce per il formato 16:9
pari ad un aspect ratio di 1,77:1. Per il formato cinema (1,85:1) e per il
cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale, cioè
l’immagine proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e
si creano delle strisce orizzontali nere negli spazi liberi dall’immagine. Il
primo proiettore digitale con una tecnologia e chip DLPC 1.3K della Texas
fu per la prima volta commercializzato a Marzo 1999 con la distribuzione
del film in digitale della 20th Century Fox “Star Wars: Episodio I – La
minaccia fantasma”.
1.9 K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 1920x1080 pixel. 1.9
K indica la risoluzione orizzontale di 1920 pixel. Nasce per il formato TV
16:9 pari ad un aspect ratio di 1,77:1. Per il formato cinema (1,85:1) e per
il cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale, cioè
l’immagine proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e
si creano delle strisce orizzontali nere negli spazi liberi dall’immagine.
2.0 K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 2048x1080 pixel. 2.0
K indica la risoluzione orizzontale di 2048 pixel. Si adatta al formato
cinema, pari ad un aspect ratio di 1,85:1 con una matrice 1:89:1. Per il
formato TV 16:9 viene applicato un letterbox verticale, cioè l’immagine
proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e si creano
delle strisce verticali nere negli spazi liberi dall’immagine. Per il formato
cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale. Un
proiettore con un chip DLPC 2K fu per la prima volta commercializzato in
USA a novembre 2003 con la distribuzione del film in digitale della Warner
Bros “L’ultimo samurai.”
4.0 K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 4096x2160 pixel. 4.0
K indica la risoluzione orizzontale di 4096 pixel. Il 4K garantisce una
risoluzione di immagini quattro volte superiore alla risoluzione 2K. Si
adatta al formato cinema, pari ad un aspect ratio di 1,85:1 con una matrice
1:89:1. Per il formato TV 16:9 viene applicato un letterbox verticale, cioè
l’immagine proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e
si creano delle strisce verticali nere negli spazi liberi dall’immagine. Per il
formato cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale.
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Ringraziamenti
Ho già dato sostanziale conto nell’introduzione a questo Quaderno
delle tante, importanti novità che hanno riguardato la nostra società
dall’inizio dell’anno, novità tali da obbligarmi felicemente ad ampliare la
dimensione stessa del mio “orizzonte” di gratitudine.
Me la sbrigo dunque, ma non con minore sincerità e certamente dal
profondo del mio animo, a rivolgere il ringraziamento di sempre e
sempre più forte e convinto a Silvana Molino, mio grandissimo,
efficacissimo e invitto braccio destro; a quel granitico pilastro della
nostra architettura che è Francesco Giraldo, anche per la sua costante
presenza e immancabile saggezza; a Massimo Mondini, straordinario
traghettatore della società per un impervio passaggio che richiedeva –
come di fatto è accaduto – non solo competenza e dottrina, ma anche
pazienza, tanta pazienza; ad Alessandro Firpo amico, mentore e
motore di tutti i quaderni, che – devo esser sincero – porta a
Microcinema un contributo leggermente superiore alla sua mercede
(cosa peraltro – e lo dico a suo disdoro – non difficilissima); a Luca De
Gasperin che con noi cresce di anno in anno; a Rolando Alberti per la
sua inarrivabile competenza e la sua pervicace pazienza e, infine,
anche a tutto il nostro staff, nessuno escluso, ancora una volta
nessuno escluso, sinceramente.
Ed esaurito con più rapidità del solito, ma non per questo con minore
trasporto, questo mio sempre graditissimo compito è con vera
soddisfazione che ho l’opportunità di rivolgere un sentito
ringraziamento ai volti nuovi, alle new entry di Microcinema.
Al nuovo Presidente Luca Galli, prima di tutto, per il costante
costruttivo supporto al nostro lavoro. Ad Alberto Trombetta e Andrea
Vestita che non perdono occasione di spronarci e sostenerci in ogni
nuova iniziativa, sempre fattivamente e sempre con rinnovato
entusiasmo.
Ma c’è ancora una cosa da fare, un autentico last but not least a cui va
il mio più sentito e autentico sentimento di gratitudine. Ho conosciuto
Franco Del Campo proprio in occasione della preparazione di questo
Quaderno e ho potuto da subito apprezzare la sua cordiale
riservatezza, la sua garbatissima eleganza di modi, la sua vivacità
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intellettuale, la serietà del suo approccio e la amplissima circolarità dei
suoi riferimenti, qualità tutte che lo rendono capace come pochi di
nuotare (rigorosamente a “dorso”) per ogni mare dello scibile. Anche
per questo l’incisività della sua scrittura non mi ha affatto sorpreso,
anche se debbo confessare che, dovendo frequentemente rapportarla
alla mia, ne sono regolarmente uscito, tanto dolorosamente quanto
fraternamente umiliato. Grazie davvero di tutto caro Franco e spero di
avere ancora tante nuove occasioni per averti al mio fianco.
Grazie, come sempre, anche al rigorosissimo Roberto Gobesso per la
copertina.
Grazie infine a tutti coloro che ci hanno sostenuto e che continuano a
farlo: grazie a tutte le sale e agli esercenti del network di Microcinema.
Un grazie conclusivo, e davvero particolare, è dovuto anche alla
pazienza delle nostre famiglie che, ormai da anni, con mutevole ma
sostanziale sopportazione, subiscono l’avventura Microcinema anche
durante le vacanze, occupate quasi per intero dalla stesura del
Quaderno, e un grazie particolare ai più piccoli: a Laura, ad Alessandro
e a Gregorio per tutto il tempo loro rubato.
Roberto Bassano
Legnano, 20 Agosto 2010
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Hanno contribuito alla stesura di questo terzo Quaderno di Microcinema:
Rolando Alberti (Palazzolo sull’Oglio, 1963) – E’ attivo nel settore
telecomunicazioni e media fin dagli anni ’80 seguendo nel tempo l’evoluzione di
radio, televisione, cinema, internet, e più in generale, dei media basati su
tecnologie digitali. Dal 2000 si occupa di cinema digitale e ha partecipato ai
lavori dello European Digital Cinema Forum e di SMPTE. Tra i primi a introdurre
nella filiera della produzione il digital intermediate, oggi è consulente
indipendente e giornalista.
Roberto Bassano (Torino, 1959) – In qualità di amministratore delegato ha
gestito aziende tessili e automobilistiche sino al 1993. Successivamente, sempre
con lo stesso incarico, ha operato nel settore audiovisivo in diverse società tra
le quali Gierrevideo ed Euphon. Ha partecipato con la RAI alla fase embrionale
del progetto Microcinema importando il primo proiettore DLP in Italia nel 1997
per i test di trasmissione satellitare. E’ amministratore delegato di Microcinema
dal 2006.
Luca De Gasperin (Biella, 1983) – Laureato in Linguaggi dei Media presso
l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è entrato a far parte di
Microcinema nel 2007. Appassionato e buon conoscitore di musica e teatro, si
occupa in Microcinema della promozione degli spettacoli complementari in
diretta e in differita, lavorando a stretto contatto con le sale cinematografiche.
A lui si deve il successo in Italia dell’opera al cinema.
Franco Del Campo (Trieste, 1949, nel segno dei "pesci") – E’ giornalista e
insegnante di filosofia al liceo Petrarca di Trieste. E’ esperto di comunicazione: è
stato presidente del Comitato regionale per le comunicazioni del Friuli Venezia
Giulia dal 2003 al 2008 e docente di "Teorie e tecniche della comunicazione
pubblica" all’Università di Trieste. Da giovane ha conquistato numerosi record e
primati italiani nel nuoto e ha disputato due finali olimpiche ai Giochi di Città del
Messico nel 1968. Ha partecipato allo staff tecnico della nazionale di nuoto.
Alessandro Firpo (Torino, 1946) – Si è occupato di editoria per molti anni ed è
stato amministratore e dirigente di diverse case editrici. In particolare è stato
direttore commerciale di Einaudi, Garzanti e Utet. Attualmente è direttore
marketing di TBS Group, multinazionale italiana con sede a Trieste che si
occupa di servizi innovativi per la sanità. Continua ad essere un instancabile e
onnivoro lettore di libri. E’ consigliere di amministrazione di Microcinema.
Silvana Molino (Chivasso, 1974) – Da sempre appassionata di cinema. Per dieci
anni si è occupata di sviluppo d’impresa nel settore audiovisivo ed è stata
consulente di direzione per diversi progetti europei. Ha guidato, in qualità di
amministratore, un consorzio di aziende audiovisive e multimediali piemontesi.
Dal 2004 collabora con Microcinema, dal 2006 ne riveste il ruolo di direttore
generale e, dal 2010, quello di amministratore delegato. Ha gestito il closing di
tutti i round con i fondi.
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Sommario
Voglia matta di cinema di Franco Del Campo ..........................................11
LUCI DELLA CITTA’ di Franco Del Campo ...............................................15
Cinema e lucciole (nel senso di Pasolini…) ..............................................17
Cinema e televisione “totalitaria” ............................................................22
Quando si spengono le “luci della città” (cinema e territorio) ...................27
Cinema e formazione (non solo per i giovani…) ......................................33
Dal teatro al cinema: andata e ritorno. ...................................................38
MICROCINEMA ......................................................................................43
Per un nuovo cinema di prossimità di Roberto Bassano...........................45
L’innovazione di Microcinema di Roberto Bassano ...................................57
La pubblicità ritorna al cinema di Roberto Bassano .................................59
Luci di Microcinema di Silvana Molino ....................................................61
Il ruolo di Microcinema nella conversione digitale di Silvana Molino .........66
L’esempio che viene dal freddo di Silvana Molino ...................................72
Microcinema, che cosa è successo in questi anni di Roberto Bassano ......74
Un futuro digitale di Roberto Bassano ....................................................77
L’universo tridimensionale di Rolando Alberti ..........................................83
IL CINEMA RITROVATO .........................................................................93
Il cinema ritrovato a cura di Luca De Gasperin ........................................95
Appunti per un repertorio di frasi celebri di film entrate nell’uso comune
della lingua italiana di Alessandro Firpo ................................................ 109
DIZIONARIO ESSENZIALE ................................................................... 117
Ringraziamenti .................................................................................... 135
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Della stessa collana
I Quaderni di Microcinema
Q1 - CINEMA E MICROCINEMA - anno 2008
Q2 - NUOVO CINEMA MICROCINEMA - anno 2009
Q3 - LUCI DELLA CITTA’ - anno 2010
Finito di stampare nel mese di agosto 2010 presso
Tipografia SRM arti grafiche s.r.l., Volvera (TO)
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