LUCI DELLA CITTA’ 1 I QUADERNI DI MICROCINEMA © 2010 Microcinema s.p.a., Legnano (MI) www.microcinema.eu prima edizione 2 I QUADERNI DI MICROCINEMA 3 LUCI DELLA CITTA’ Un progetto sostenibile per il cinema digitale italiano 3 4 Prefazione dell’editore Nell’accingerci a scrivere questa pagina di apertura al terzo Quaderno di Microcinema dobbiamo innanzi tutto dare conto di alcune novità che solo pochi mesi or sono non erano neanche all’orizzonte e che ora sono già accadute, tutte assai liete e altrettanto promettenti. Il fatto è che il network è molto cresciuto e sta continuando a farlo a ritmi sostenuti, che Microcinema ha consolidato la sua leadership, che la soddisfazione delle sale è palpabile (e solo questo basterebbe a dare conto della soddisfazione di tutto il nostro gruppo di lavoro), che le nostre proposte stanno allargando il loro orizzonte e la loro frequenza, che continuiamo a essere più che certi delle nostre scelte tecnologiche, che i progetti che abbiamo sul tavolo sono tutti di livello, dimensionati e promettenti. Insomma noi di Microcinema non nascondiamo la nostra soddisfazione per quanto abbiamo alle spalle e – anche per questo – continueremo ogni giorno, con grande entusiasmo e con crescente sicurezza delle nostre infinite potenzialità, a dare alla società – poco o tanto che sia – il meglio di noi stessi. Vi è poi un altro fattore decisivo da menzionare. Si perché ci sono robuste forze nuove che si sono schierate al nostro fianco, che hanno creduto nella concretezza delle nostre prospettive e che sono entrate nella compagine azionaria di Microcinema, cogliendo anche l’opportunità che una Torino un po’ distratta (non solo, però, nel nostro caso ed è anche storia antica) le ha offerto. Guardandoci intorno ci accorgiamo che non siamo più dei pionieri, che il mondo della distribuzione, dell’esercizio cinematografico come anche quello della produzione, insomma che l’intero mondo del cinema sta vivendo quei cambiamenti radicali. Solo a parlarne qualche anno fa, si veniva accusati di essere nient’altro che purissimi visionari. Dobbiamo invece rilevare che il mercato si è evoluto mostrando tutte quelle positività che l’avvento del 3D ha portato con sé. Occorrerà peraltro riferire delle criticità. 5 C’è stata l’esplosione dell’offerta e della fruizione dei contenuti complementari, un’offerta che è destinata ancora a crescere nei prossimi anni e a cui anche la domanda sta fornendo risposte decisamente incrementali. E poi non solo è ormai in pista l’invio dei DCP – i film in formato DCI – via satellite, un canale distributivo che Microcinema utilizza da quattro anni, ma anche molto altro. Insomma il mondo del cinema sembra voler recuperare in pochi anni oltre un secolo di sostanziale sonnolenza tecnologica. Dal canto nostro manteniamo anche per il 2011 un traguardo che può essere, come sempre, riassunto nelle tre parole della nostra visione: sostenibilità, flessibilità, interoperabilità. In un momento in cui le suggestioni e le istanze si moltiplicano e con esse si delineano sempre più spesso offerte che, a conti fatti, risultano vere e proprie trappole tecnologiche, Microcinema ha fatto della trasparenza e della chiarezza la sua bandiera. Questo Quaderno di Microcinema non pretende di enunciare delle verità; vuole come sempre essere uno spunto, offrire una particolare angolazione ad una riflessione serena e a un dibattito consapevole che permettano ai produttori, ai distributori e agli esercenti di valutare la reale portata della rivoluzione digitale per effettuare scelte consapevoli e sostenibili. E speriamo di avere raggiunto il nostro obiettivo. Il Quaderno quest’anno è suddiviso in quattro sezioni. La prima, Luci della città, che consegna il titolo a tutto il Quaderno, affronta l’evoluzione, negli anni, della sala cinematografica con le sue implicazioni sociali e culturali nella nostra vita, il cinema come “luogo” d’incontri e di emozioni. Si parla del cinema e della sua funzione centrale di agorà che, a nostro parere, giorno dopo giorno diviene più importante. Dopo i periodi difficili degli anni passati tutti sembrano diventarne consapevoli. Speriamo di aver dato e continuare a dare il nostro contributo, certamente piccolo, ma, con la necessaria presunzione per affrontare i cambiamenti, riteniamo efficace. Questa sezione è stata realizzata con Franco Del Campo, una scelta fortunata. La seconda, Microcinema, affronta tematiche più pratiche legate all’idea centrale del nostro lavoro: il sostegno all’esercizio, alla distribuzione, alla produzione e quindi al pubblico. Un progetto che si evolve ogni anno adeguandosi alle mutazioni del mercato. In questa 6 sezione abbiamo analizzato il mercato italiano con il rigore oggettivo di sempre e raccontiamo quanto accade nei mercati più lontani dei quali nessuno ci riporta. Microcinema “is always on the move”. La terza sezione è dedicata alle storie positive di alcune sale, Il Cinema Ritrovato. Abbiamo voluto dare un senso concreto alle nostre filosofie sempre espresse in tutti i quaderni. Una dimostrazione che esiste una nuova via, che possiamo percorrere tutti insieme. La sezione termina con un intervento che sottolinea un particolare aspetto del linguaggio cinematografico: il suo spessore, la sua permanenza, la sua universale quotidianità. Chiude il libro, da sempre accolto con grande favore da tutto il nostro pubblico, il Dizionario essenziale che è stato, come in ogni Quaderno, aggiornato e integrato. Anche questo Quaderno viene stampato in 7.500 copie, come i due precedenti che sono, ormai da tempo, completamente esauriti. Un segno che, anche nella sua microscopica area editoriale, Microcinema è in controtendenza e, con nostro grandissimo compiacimento, stampa tirature di tutto rispetto. Speriamo che anche quest’anno il successo si ripeta. Buona lettura e buon cinema a tutti. Per illustrare Luci della città la nostra scelta quest’anno è caduta sulle luci rigorose, sul raffinato tessuto compositivo e sull’inarrivabile ricchezza cromatica di Paul Klee. Speriamo che i nostri lettori condividano la nostra scelta e le emozioni che porta con sé. 7 8 9 10 Introduzione Voglia matta di cinema di Franco Del Campo Chissà perché, chi era giovane a metà degli anni Sessanta, ha sentito il bisogno, anzi, la voglia matta di cinema. Forse perché il cinema ci sembrava ancora “moderno”, raccontava storie, ci faceva imparare ed indignare, ci divertiva e qualche volta ci annoiava (ma non era politicamente corretto ammetterlo, almeno fino all’urlo liberatorio di Fantozzi). E così, una generazione che pensava e sperava di cambiare il mondo, è andata al cinema per riempirsi di immagini in movimento, di parole e di musica. Tutto questo, adesso, fa parte di una identità comune che – al di là delle diverse scelte politiche e culturali – non può essere infranta. Ma come è successo questo innamoramento collettivo per il cinema? Ognuno ha la sua storia, la sua esperienza, il suo percorso individuale, ma l’amore per il cinema non si è incrinato. Nel mio caso si è trattato quasi di un amore clandestino, fatto di fughe dalla piscina in cui mi allenavo con la speranza di arrivare alle Olimpiadi. Poi, dopo tanta fatica e chilometri e chilometri nuotati ogni giorno, è arrivata l’università, la passione per la storia, la filosofia, il giornalismo. E prima ancora sono arrivate – primo italiano nella storia del nuoto – due finali olimpiche, nei 100 e 200 dorso, a Città del Messico nel 1968. Adesso l’antica fatica è (quasi) scomparsa, il cloro si è asciugato sulle palpebre, quelle fughe clandestine per andare a rifugiarsi nella penombra lampeggiante di qualche sala sono solo un ricordo, ma l’amore per il cinema è più forte che mai… Cinema e cloro (*) Ho visto una quantità di film con gli occhi impregnati di cloro e i capelli umidi anche in inverno. Il giovedì mi concedevo un'unica infrazione alla disciplina che mi ero imposto e scappavo cinque minuti prima del solito dalla piscina. Saltavo le lunghissime docce calde che seguivano normalmente gli allenamenti, piene di chiacchiere e di barzellette, di pensieri e progetti rivolti alle ragazze e alle gare future; mi vestivo in fretta e furia senza quasi asciugarmi e partivo con il mio vespino 50 11 verso il Cineforum che mi aspettava. Arrivavo sempre un po' in ritardo, quando le luci si erano appena spente, così mi risparmiavo le raffinate analisi cinefile che anticipavano la proiezione e mi guardavo il film in modo diretto ed "ingenuo" (quasi come adesso) accontentandomi di seguire la storia e guardare le immagini. Spesso in sala mi aspettava una ragazza che mi teneva il posto e mi portava la merenda-cena, che mangiavo affamato più silenziosamente possibile. Per trovarla dovevo indovinare il suo posto nella semioscurità, tra le lacrime dovute all'aria fredda della corsa in vespa e al cloro dell'acqua della piscina che mi era rimasto attaccato alle palpebre umide. Ma quando mi sedevo, vicino al suo corpo caldo, sprofondato nella sottile emozione di un film che altri avevano scelto per me, sentivo un senso di appagamento e di felicità che è quasi irripetibile. Sergej Ejzenstejn, Luis Buñuel, Rossellini, Pasolini, Stanley Kubrick, Ingmar Bergman, Akira Kurosawa: erano questi i registi "obbligatori" in quegli anni, che mi sono entrati dentro gli occhi e la testa, goccia a goccia, fotogramma dopo fotogramma, in quelle fredde serate d'inverno grazie alla voglia di immagini e di storie che solo i Cineforum riuscivano a saziare. Qualche volta ho sofferto come una bestia, più spesso ho goduto con pienezza estetica, qualche volte tutte e due le cose insieme, ma quei film sono diventati una parte importante del mio immaginario, del mio modo di vedere le cose e di pensare al tempo e allo spazio, inevitabilmente relativi nella pluralità dei punti di vista (come ci ha mostrato, didatticamente, "Rashômon" di Kurosawa). Nonostante l'urlo irriverente e liberatorio di Fantozzi, quando rivedo nella mia testa (anch'io, al cinema, non ne posso più) la carrozzina della "Corazzata Potëmkin" che scende le scale gradino dopo gradino, continuo ad emozionarmi. Invece ho sempre guardato "Ottobre" con un misto di ammirazione e diffidenza, perché mi hanno sempre fatto una certa impressione le immagini in cui i bolscevichi, dopo aver dato l'assalto decisivo al Palazzo d'Inverno (assalto che, in fondo, non era stato un gran ché, visto che era difeso da un distratto battaglione femminile) distruggono centinaia di bottiglie di champagne nelle cantine dell'imperatore, annunciando un inquietante pauperismo egualitario (anche se recenti documenti rivelano che Lenin, a pochi anni dalla rivoluzione d'ottobre, si fece ordinare segretamente una lussuosa Rolls Royce). Nonostante le infinite dispute barocche degli intellettuali di sinistra, le immagini di Max von Sydow che gioca a scacchi con la Morte, oppure che sradica un albero per sfogare la sua rabbia di padre offeso dalla morte della figlia, per me rimangono irraggiungibili. Mi ricordo, invece, con sgomento "I disperati di Sandor" 12 di Miklos Jancsò, che per i critici sarà stato bellissimo, ma ha un piano sequenza che dura almeno un quarto d'ora (questa è stata la mia percezione di allora, perché mi sono ben guardato da andarlo a rivedere per cronometrare) lungo, lungo, lungo un lungo muro bianco, che ci ha stroncato tutti. In quegli anni è stato soprattutto Pasolini, diverso, strano e fastidioso con quella poesia su studenti e poliziotti, a riempirmi gli occhi e la testa. Il "Vangelo secondo Matteo" ha costruito dentro di me, ormai sulla strada di diventare religiosamente laico e sommessamente ateo, l'immagine prediletta di Gesù di Nazareth, forte, umano e severo, al tempo stesso ebreo, palestinese ed universale. "Uccellacci e uccellini" mi ha mostrato la gioiosa follia francescana, sempre in bilico con l'eresia di chi voleva imitare semplicemente il suo dio fatto uomo. "Edipo Re" ha aperto per la prima volta – meglio di qualsiasi libro – una finestra su un mondo classico terribile ed eterno. "Teorema", invece, che ho visto a Milano poche ore prima di partire per Città del Messico, mi ha lasciato freddo, forse perché la crisi di quella famiglia borghese mi era lontana, straniera e sconosciuta. (*) tratto da “disciplinaliquida” edizioni Ibiskos, di Franco Del Campo 13 14 Paul Klee - Cold City (1921), particolare. LUCI DELLA CITTA’ di Franco Del Campo 15 16 Luci della città di Franco Del Campo Cinema e lucciole (nel senso di Pasolini…) Inquinamento e modernità. Il cinema è destinato a fare la fine delle lucciole di Pasolini? Sembrerebbe proprio di sì. Nell’ormai lontano 1975 Pier Paolo Pasolini, scrittore, regista, poeta e polemista, in uno dei suoi “scritti corsari” parlava della scomparsa delle lucciole – quelle vere, i piccoli insetti magicamente luminosi nelle calde serate d’estate – con trattenuta nostalgia. “Nei primi anni sessanta – scriveva in un articolo, che in realtà parlava di tutt’altro – a causa dell'inquinamento dell'aria e, soprattutto, in campagna, a causa dell'inquinamento dell'acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c'erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta)”. L’inquinamento, quindi, dovuto a una modernità spesso dissennata ed indifferente, ha fatto scomparire le lucciole e con esse tanti pezzi di un mondo al quale Pasolini (e forse non solo lui) era affezionato. Quell’“inquinamento” non era solo tecnologico, ma anche – e forse soprattutto – sociale e culturale. Adesso sembrerebbe che anche le piccole e grandi luci che si accendono nell’oscurità dentro i cinema, siano destinate a spegnersi. Più le piccole che le grandi, ma il fenomeno è egualmente inquietante. Forse pochi – rispetto al grande pubblico – se ne sono accorti e forse sono ancora meno coloro che si sono chiesti il perché di una lenta ed apparentemente inesorabile chiusura di tantissime sale cinematografiche, piccole e grandi, anche di quelle all’aperto, che costavano pochissimo e permettevano a chi abitava intorno di guardarsi ogni sera un film, gratis, stando alla finestra o seduti sulla 17 piccola terrazza (i cinema all’aperto erano più diffusi nei quartieri popolari). Tantissimi cinema – come le lucciole – si sono spenti, giorno dopo giorno, e noi abbiamo continuato a passare distratti in quelle strade, in quei viali, in quelle piazze, senza dare troppa importanza a quello che stava accadendo, tanto ci saremmo andati, forse la settimana dopo, al cinema un po’ più in là. Così tante sale cinematografiche che facevano parte del nostro spazio quotidiano sono scomparse, sono diventate “altro”, poco importa se banche, supermercati o pizzerie, e nella nostra memoria scatta solo un leggero nostalgico disagio quando vediamo una vecchia (in realtà nemmeno troppo vecchia) fotografia che ce li ricorda proprio all’angolo della strada che continuiamo a percorrere. Aristotele al cinema. Giorno dopo giorno, per andare al cinema, abbiamo dovuto fare sempre più strada, prendere la macchina e poi, se da quelle parti non era facile parcheggiare, forse non era nemmeno il caso di fare tanta strada e si poteva restare a casa, anche perché quasi di sicuro ci sarebbe stato qualche film alla televisione (e va bene anche se lo abbiamo visto 4 o 5 volte e non ci è mai piaciuto tanto). Così sono scomparse le lucciole. Negli ultimi anni sono state chiuse centinaia di sale cinematografiche, da tempo sono scomparse le “maschere”, che con le loro tenui lampadine (vere e proprie lucciole da cinema) ti aiutavano a trovare un posto libero, e solo gli addetti ai lavori o i vecchi appassionati sembrano soffrirne, anche perché per i giovani il fenomeno quasi non esiste, perché il mondo è sempre stato come sembra in questo istante e quelle sale per loro non sono mai esistite. Eppure il fenomeno non è né irrilevante né – forse – irreversibile. Anche le lucciole, come ci hanno raccontato recentemente gli esperti, sono ricomparse, nonostante l’inquinamento, qua e là, anche se pochi le hanno viste davvero. La chiusura di tanti cinema – macinati dentro la logica inesorabile dei conti economici – non è irrilevante, per la nostra identità, per il nostro modo di essere e di comportarci, a livello individuale e sociale. I film – ci dicono sempre gli esperti – possono esistere anche senza il cinema, senza la sala, piccola o grande o multipla, dentro il quale si proietta. Il mercato e la tecnologia, a quanto pare, hanno separato il 18 film dalle sale e hanno reso la sua fruizione sempre più privata e quindi sempre più piccola, ridotta alla dimensione di uno schermo televisivo o di computer e adesso addirittura alla “piccolezza” di telefonino. Eppure il film senza la sala cinematografica, piccola, grande o multipla, è un’altra cosa. Cinema e film sono nati l’uno per l’altro, da quando in quella prima sala buia e chiusa e forse scomoda (il 28 dicembre 1895 a Parigi al Grand Café sul Boulevard des Capucines), il primo treno si è avventato incombente e fumante, sugli spettatori terrorizzati. Ma quando i presenti in sala si sono accorti di aver scampato il pericolo e che quel fantasma di treno cinematografico non li avrebbe mai investiti, perché era solo un’immagine geniale e giocosa, hanno scoperto un nuovo mondo per emozionarsi e divertirsi. Dentro quella sala, e solo dentro quella sala, era possibile immaginare, sognare, identificarsi, spaventarsi, innamorarsi e lasciarsi, morire e resuscitare, senza rischiare troppo. Aveva già previsto tutto Aristotele, quando ci ha raccontato i meccanismi della fruizione della tragedia greca, fatta di identificazione e purificazione (di catarsi), che però poteva funzionare solo se si partecipava ad un rito collettivo, aperto a tutta la polis, donne comprese. Anche il rapporto tra film e cinema ha bisogno di Aristotele, ha bisogno di un rito collettivo, certo più ridotto, ma – a suo modo – civile e “politico”. Un rito civile e collettivo. Per chi ama ancora andare al cinema il rito deve essere celebrato con un ritmo almeno settimanale (versione laica di quello che le religioni del Libro considerano il giorno da dedicare al Signore, shabbat, domenica o venerdì). Ma per andare al cinema nessun giorno è obbligatorio e poi non c’è alcun sacerdote che detiene il privilegio della sacralità e decide – per noi – quando e cosa si deve fare e dove si deve andare. Ogni volta il rito del cinema si rinnova e si fonda su una scelta informata, spesso “contrattata” (ne hai sentito parlare? conosci il regista o l’attore? ti piace il genere?) con i propri compagni di viaggio (un viaggio verso il cinema si conclude ed inizia con l’arrivo alla sala più vicina). Inutile ricordare a chi ama il cinema, l’irripetibile coinvolgimento di quelle immagini grandi che ci sovrastano e ci 19 possiedono, quell’andare al cinema per una scelta motivata e curiosa, sempre piena di una sottile emozione per l’aspettativa di un piccolo piacere quasi erotico, per quel possesso reciproco – tra noi e il film – dentro la penombra della sala. Poche esperienze, come andare al cinema, sono tanto personali quanto collettive. Al cinema possiamo essere soli con noi stessi, concentrati dentro i nostri occhi e le nostre orecchie, ma quasi sempre siamo anche con qualcun altro, il nostro compagno o compagna, amico o amica, moglie o marito, fidanzato, amante. Qualche volta capita che durante l’intervallo – momento prezioso per riconquistare la nostra identità originaria rispetto alla “fuga” dalla realtà raccontata dal film – quando riaccendono le luci, riconosciamo tra il pubblico qualche amico che ha fatto la nostra stessa scelta e in quell’istante lo sentiamo più vicino, e forse ci sentiamo anche un po’ in colpa perché non lo abbiamo chiamato prima per condividere la stessa decisione, ma possiamo sempre recuperare nel “dopocinema”. Al cinema nessuno ci è estraneo. E se per caso siamo andati al cinema da soli, intorno a noi c’è sempre qualche sconosciuto, che però – ormai – non può più essere considerato completamente un estraneo. Al cinema, dentro la stessa sala, non ci sono mai degli estranei. Forse nell’oscurità indoviniamo a malapena se sono uomini o donne, vecchi o giovani, ma non sono più completamente degli estranei per il semplice fatto che sono seduti vicino a noi (ma va bene lo stesso anche se sono qualche posto più in là), proprio in quel momento per vedere proprio quel film. Sconosciuti ma non estranei, con i quali abbiamo condiviso, senza saperlo, la stessa scelta che ci farà vivere una piccola e analoga esperienza della quale avremmo potuto parlare, commentare, ridere o piangere (certo, anche piangere, tanto, finché le luci sono spente, chissenefrega…). E poi, quando le luci si riaccendono, è quasi inevitabile guardarsi intorno per riemergere alla realtà, alzarsi – qualche volta a malincuore, altre volte con sollievo – e cercare con lo sguardo chi ti stava vicino, forse sconosciuto ma non più estraneo, con una sottile e timida complicità. Appena fuori dalla sala, sulle scale, ma ancora dentro il 20 cinema – chissà per quale piccolo miracolo sociale – continuiamo a condividere una sorta di intimità tra sconosciuti che non sono più estranei. Si tratta solo di pochi secondi, ma dentro la sala cinematografica possiamo scambiare qualche parola, un aggrottamento di ciglia, una smorfia o un sorriso, con dei perfetti sconosciuti, che però non sono più degli estranei per il semplice fatto che… siamo andati insieme al cinema… E così, anche se forse pochi se ne sono accorti, il cinema, quello che si va a guardare dentro sale piccole o grandi, immerse nella penombra, piene di lampi e di immagini, ci rende meno estranei gli uni agli altri. 21 Cinema e televisione “totalitaria” L’ora del destino. All’improvviso, nel 1954, arriva la televisione in Italia. E tutto cambia. Non subito, poco alla volta, ma succedono cose incredibili, senza precedenti: milioni di uomini, donne, vecchi e bambini, si ritrovano “in sintonia” nello stesso istante, a guardare ed ascoltare per divertirsi la stessa “cosa”, senza bisogno degli ordini, della violenza o della fascinazione di qualche dittatore che riempiva le piazze con milioni di persone. La televisione è un’altra “cosa” (“cosa”, secondo George Orwell, è la parola preferita dalla neolingua in “1984”). Niente di violento. Il televisore, anzi, entra nelle case italiane nei primi anni Cinquanta quasi in punta di piedi, ma viene fatto accomodare subito in salotto, in posizione strategica, dove tutti possono vederlo, e poi si può accendere e spegnere – almeno così si crede all’inizio – quando si vuole. La televisione viene accolta con gioia ed emozione perché rappresenta la parte buona della modernità (la parte cattiva era la bomba atomica) che ci racconta il mondo, le partite di calcio, il Giro d’Italia e addirittura – appena nata – le splendide Olimpiadi di Roma (1960), che ci fanno conoscere e anche rispettare in tutto il mondo, senza dover dichiarare guerra a qualcuno, grazie alle imprese di Livio Berruti e del Settebello della pallanuoto. E poi, soprattutto, la televisione ci fa “divertire”, ci tiene compagnia e diventa il “passatempo” preferito di un tempo ormai svuotato. All’inizio sembra che non ci sia alcun conflitto tra cinema e televisione, o comunque niente che non si possa risolvere con un po’ di buon senso. Un nuovo modo per sognare. Nel 1955 l’Italia sta vivendo ancora in pieno “neorealismo” e le facce degli italiani erano ancora quelle mostrate da Rossellini, De Sica, Visconti, Germi, Lattuada. Ma il pubblico, affamato di novità, quasi subito si accorge e si affeziona a un giovane italoamericano che li fa sognare. Mike Bongiorno e “Lascia o raddoppia?” (prima trasmissione 22 sabato 26 novembre 1955) riempiono l’Italia – secondo il parere di Vittorio Veltroni, autorevole dirigente Rai delle origini – “di sogni, di speranze, di buone intenzioni”. L’inizio, forse, non è folgorante, ma ben presto la televisione, che allora veniva vissuta ancora collettivamente, con tutta la famiglia e anche con gli amici e con chi nel condominio ancora non poteva permettersela e veniva ospitato in salotto, diventa concorrenziale con il cinema. I gestori di sale cinematografiche si accorgono che il sabato subiscono un drastico calo delle frequenze e naturalmente la “colpa” è di Mike Bongiorno, delle sue domande, in realtà assai difficili e rivolte a degli esperti della materia, che avevano pochi secondi o al massimo un minuto di alta tensione per rispondere. Non si vinceva tantissimo, rispetto ad oggi, ma a quei tempi gli italiani erano assai più poveri, più ignoranti e pieni di speranze (al massimo, se si aveva il coraggio di raddoppiare e la bravura di rispondere correttamente, si vincevano 5 milioni, ma il premio di consolazione era una Fiat 1200). “Lascia o raddoppia?” e la televisione, comunque, stavano per diventare un concorrente insuperabile per il vecchio cinema. Un compromesso impossibile? All’inizio – tra cinema e televisione – fu tentato un compromesso, spostando la trasmissione di Mike Bongiorno a metà settimana, in un più innocuo giovedì (dal 16 febbraio 1958), sempre alle ore 21.00, oggi si direbbe in prima serata (ma a quei tempi c’era solo quella di serata, poi arrivava la notte e bisognava andare a dormire, perché il giorno dopo ci si doveva alzare presto per andare a lavorare, e non si capisce bene come si faccia oggi). L’ultimo compromesso, vagamente umiliante per chi ama il cinema, fu la decisione dei gestori delle sale cinematografiche di mettere dei televisori in sala e interrompere i film per trasmettere la puntata di “Lascia o raddoppia?”. In teoria non avrebbe dovuto esserci competizione tra quei televisori piccoli piccoli, in bianco e nero, lontani e quasi invisibili, rispetto alla potenza visionaria dello schermo gigante e già a colori. Nei fatti, invece, per il cinema fu l’inizio di una sconfitta che sembrava e sembra inesorabile. Per un po’ molti continuarono ad andare al cinema al giovedì perché non potevano permettersi il televisore in casa, ma poi divenne praticamente obbligatorio averne almeno uno per famiglia, e poi, con il boom economico e il “benessere”, anche in cucina e in camera da letto e chissà dove. 23 Nello stesso anno in cui esplode “Lascia o raddoppia?” nelle case degli italiani, i biglietti venduti al cinema sono 819 milioni, negli ultimi anni il numero dei biglietti “staccati” oscilla tra i 105 e i 115 milioni all’anno, mentre il numero delle sale in Italia era quasi 16.000 ed oggi superano di poco i tremila. Per capire quello che, a partire dagli anni Cinquanta, succederà in Italia tra una decina d’anni (dalle parti del ’68) non si può prescindere dal fatto che la televisione entra con soffice determinazione nell’immaginario degli italiani e come conseguenza fa perdere tanto pubblico al cinema. Ma attenzione, ad abbandonare le sale cinematografiche è stato soprattutto un pubblico anziano e poco colto. I giovani di allora, quelli che avevano alla fine degli anni Cinquanta tra i 15 e i 24 anni e che erano destinati a continuare a studiare e a diventare più ricchi e colti dei loro padri (e forse anche dei propri figli), non tradiscono i cinema, non abbandonano le sale della penombra, dove ci si può innamorare ma guardare anche un bel film, colto e raffinato oppure di avventura e divertente, poco importa, tanto la nuova cultura di massa sta mescolando generi e pubblici: tra Vittorio De Sica e Guy Hamilton, tra “Matrimonio all’italiana” e “Missione Goldfinger” (entrambi del 1964) non c’era e non c’è alcuna contraddizione (salvo che per i rispettivi integralisti). Il cinema ci ha insegnato la libertà e il piacere della contaminazione dei generi. Abbiamo imparato che ci si può divertire tanto con la comicità surreale di Totò, quanto con l’onirica poesia di Fellini, ammesso che ci siano delle sale che li proiettino e ci permettano di saltellare, qua e là, alla ricerca del nostro film preferito, senza dover aspettare che ce li “regali” qualche improbabile palinsesto televisivo. Ma non si tratta solo di nostalgia per “mostri sacri” come Totò o Fellini, perché è sempre più difficile – se non si coglie l’istante – vedere anche i film più recenti, che scappano subito via e non rimane che il DVD o – se va bene – la televisione. La “fenomenologia” consumata. L’aspirazione totalitaria della televisione, come detto, non è per niente feroce, anzi si presenta come morbida e suadente. Chi potrebbe arrabbiarsi con quell’elettrodomestico tanto disponibile, che ha avuto per tanti anni la faccia e i modi cortesi di Mike Bongiorno? Anche Umberto Eco, che aveva scorticato il presentatore italoamericano nella 24 famosissima “Fenomenologia di Mike Bongiorno”, alla fine, si è pentito. Il perfido ed allora giovane semiologo aveva scritto: “[…] Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi. […] In compenso Mike Bongiorno dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa. […] professa una stima e una fiducia illimitata verso l’esperto. […] Mike Bongiorno parla un basic italian. Il suo discorso realizza il massimo di semplicità. Abolisce i congiuntivi, le proposizioni subordinate, riesce quasi a rendere invisibile la dimensione sintassi. Evita i pronomi, ripetendo sempre per esteso il soggetto, impiega un numero stragrande di punti fermi. […] Non è necessario fare alcuno sforzo per capirlo” (“Diario minimo”, 1961). Tutto il contrario degli “eroi”, grandi ed impossibili, che si era abituati ad ammirare, da lontano, dentro i film. E poi Eco continuava: “[…] Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello. Nessuna religione è mai stata così indulgente coi suoi fedeli. In lui si annulla la tensione tra essere e dover essere. Egli dice ai suoi adoratori: voi siete Dio, restate immoti” (ibidem). Difficile resistere alla tentazione di sentirsi “un dio” senza fare troppa fatica rispetto a qualcuno che ti parla e ti guarda da dentro quella scatola magica. Eppure, anche chi si era deliziato, con implicita superbia intellettuale, leggendo quel saggio urticante, ha provato, dopo quasi mezzo secolo, una struggente nostalgia per quella televisione in bianco e nero, che non alzava mai la voce, che sorrideva senza volgarità e aveva il volto di Mike Bongiorno, che ha guidato l’irresistibile ascesa della televisione a scapito del cinema. Ma il “merito” della vittoria televisiva non è tutto suo. La televisione fa male al cinema? Negli anni Settanta e Ottanta la televisione si trasforma radicalmente, conquista il colore, si rompe il monopolio pubblico della Rai e si moltiplicano le reti “commerciali” (pur in un regime di “duopolio” pubblico/privato). La televisione, in particolare quella nuova, scintillante e “privata”, utilizza la forza e il fascino del cinema per agganciare fasce di pubblico sempre più ampie. Un pubblico che, piano piano, diventa sempre più pigro, si dimentica il piacere di scegliere e di andare al cinema, diventa sempre più disponibile a guardare “quello che passa il convento”, seduto comodamente in poltrona, illudendosi 25 che il telecomando, inventato da Robert Adler nel lontano 1956 e successivamente perfezionato per diventare senza fili, fosse una sorta di bastone del comando o fiaccola della libertà di scelta, mentre era e rimane soprattutto una sorta di guinzaglio che ci lega al televisore. Ma non si può dire che la televisione faccia male al cinema. La televisione può essere considerata un “moltiplicatore di visioni”, che mette a disposizione di un pubblico potenzialmente vastissimo migliaia di titoli (anche se in lenta decrescita negli ultimi anni: erano 5.308 titoli nel 2000 e 4.087 nel 2006, prevalentemente di produzione straniera e in particolare statunitense). Nel 2006 sono circa tre miliardi e mezzo, infatti, le presenze generate dalla messa in onda di film dalle reti generaliste e presumibilmente negli anni successivi la media è rimasta simile1. Ma tutto scorre. Negli ultimi anni il cinema (o meglio il film) in televisione si è spostato prevalentemente sulle tv a pagamento e – come se non bastasse – ora viene rapidamente soppiantato nel gusto del pubblico dai serial, spesso di alta qualità, di carattere poliziesco ed investigativo (l’archetipo può essere considerato CSI: Crime Scene Investigation, giunto alla decima stagione), costruiti in modo specifico e con grande dispendio di risorse per il “medium” televisivo. Alle volte capita che serial di grande successo, come “Sex and the City” diventino dei (veri) film, che concedono al loro pubblico televisivo una narrazione più lunga e conclusa (ma siamo già al secondo film-episodio) da consumare al cinema. La televisione, quindi, “non fa male al cinema”, ma solo alle sale cinematografiche, che non reggono la concorrenza della troppo comoda poltrona casalinga e del telecomando. A rimetterci è quel modo “antico” e prezioso di “andare al cinema”, di scegliere, di muoversi, di stare insieme. 1 da un’analisi di Clelia Pallotta, esperta di comunicazione e docente al Politecnico di Milano, su key4biz, 4 novembre 2007 26 Quando si spengono le “luci della città” (cinema e territorio) Una presunta modernità. Sostiene Pennac: “All’interno di una comunità dove il piccolo commerciante non esiste più, si spegne la comunicazione, c’è la desertificazione dell’umanità…”. E lo stesso vale per i cinema. Daniel Pennac, con la “sua” Belleville, dove vive il signor Malaussènne – oggi quartiere multietnico di Parigi che era già stato protagonista della resistenza popolare durante la Comune nel 1871 – ha raccontato un mondo che non vuole scomparire e cedere alle leggi della nostra presunta modernità. Vi immaginate Belleville senza un cinema? Sarebbe l’estremo oltraggio alla fantasia, alla speranza e un cedimento a una presunta modernità che vuole semplificare, omologare, guadagnare sempre più denaro e risparmiare tempo, soprattutto quello che normalmente viene dedicato al rapporto con gli altri esseri umani. La chiusura di migliaia di sale cinematografiche nel corso degli anni sembra l’inevitabile conseguenza di un processo globale, guidato dalla inflessibile logica economica che punta alla continua compressione del costo delle merci, alla continua ricerca del prezzo più “conveniente”, naturalmente sempre e comunque a vantaggio del cliente, che così potrà comprare sempre di più e vivere più felice e contento. Naturalmente, poi, è difficile, quando ci concediamo il piacere dello shopping, chiederci quanto vengono pagati quelli che producono merci a prezzi così ridicolmente bassi, che – di certo – si romperanno quasi subito, ma intanto ci hanno regalato il piacere vagamente bulimico dell’acquisto (il valore d’uso è tutta un’altra storia). Ma non chiudono solo le sale cinematografiche. Chiudono anche i piccoli negozi sotto casa, le piccole librerie, i piccoli caffè, i fiorai, le salumerie e le panetterie. Chiude tutto ciò che è “piccolo”, vicino e a misura di essere umano. In compenso si aprono, spesso fuori città, i megastore (cioè negozi per definizione giganteschi), che diventano simulazioni del mondo, della vita, della città o del paese, ma dove tutto è conveniente, almeno in apparenza, e a portata di mano (anche se poi, alla fine, si finisce per comprare spesso il superfluo). La conseguenza è che una miriade di piccoli negozi, di tutti i tipi, chiudono e così spengono le loro luci che illuminavano – anche di notte, con le loro vetrine – le strade delle nostre città, dal centro alla 27 periferia. Nel 2008, secondo uno studio della Confcommercio, nella zona di Milano hanno chiuso più di 14.000 piccoli negozi. Intere vie si sono spente, chi abita o passa da quelle parti si è dovuto accontentare della luce fioca e lontana dei lampioni e gli esseri umani, che non si sono mai rassegnati a diventare animali notturni, ma hanno sempre cercato di allungare il giorno illuminando la notte, si sono sentiti quasi abbandonati, più insicuri, incerti, tanto che è meglio non uscire la sera e restare chiusi in casa, in compagnia della televisione. I negozianti che si sono sentiti costretti a chiudere lo hanno fatto perché non reggevano più la concorrenza dei “grandi”, perché gli affitti e le tasse sono diventati sempre più pesanti, perché la crisi economica ha colpito soprattutto i consumi popolari. Si compra sempre meno e si cerca di risparmiare su tutto (anche sui sogni che può offrire il cinema). Quale “convenienza”? Questa – dicono – è la logica del mercato. Ma è davvero così? Chi paga i costi di un ambiente sociale ed urbano che si degrada a vista d’occhio e che diventa più brutto, scuro ed insicuro? Chi paga le conseguenze di una microcriminalità e di fenomeni di vandalismo sempre più diffusi, che probabilmente emergono tanto dal disagio quanto dalla crisi economica e dal dissolversi di luoghi, vecchi e nuovi, di incontro sociale? Quei piccoli negozi che chiudono, quei fallimenti piccoli piccoli, quelle luci che si spengono, non sono solo casi “privati”, ma fenomeni sociali, che ci riguardano tutti, che pesano – da tutti i punti di vista – sulla collettività. Davvero, allora, “conviene” non avere più il negozio sotto casa, il cinema e la libreria in fondo alla strada, dove trovi qualcuno che ti riconosce, ti sorride e ti consiglia? Davvero “conviene” andare sempre nei megastore (con multisala incorporata) perché tutto costa meno? Forse si dovrebbe fare davvero quattro calcoli e ripensarci. E la “politica”, cioè la gestione della città, del territorio, della polis, non dovrebbe pensare e progettare anche di questo, collaborando e aiutando tanti “privati” che svolgendo la propria attività (proprio come voleva Adam Smith) contribuiscono al bene comune? In questa prospettiva, che non è particolarmente strana o rivoluzionaria, ma banalmente “liberale”, che coniuga l’interesse privato con il bene pubblico, i cinema, anche quelli più piccoli, come le librerie, possono avere un ruolo tutto speciale. I cinema, come le 28 librerie, i piccoli caffè, e per estensione tutti i piccoli negozi, possono essere considerati una sorta di “presidio del territorio”, luoghi reali e sociali dove le persone – anche estranee – si incontrano, inevitabilmente comunicano, qualche volta si sorridono e si (ri)conoscono come appartenenti alla medesima comunità (e se qualcuno viene “da fuori”, va bene lo stesso, tanto siamo andati “insieme” allo stesso cinema, abbiamo bevuto un caffè, alla napoletana o alla turca, e mangiato una pizza o un kebab). Proprio se si fanno quattro conti, se si fa un ragionamento economico e al tempo stesso politico, cioè se si pensa a come si spendono i soldi di tutti, forse si scopre che una certa logica della “convenienza” di breve periodo è troppo corta e non migliora davvero, sul medio e lungo periodo, la qualità della nostra vita (la politica dovrebbe avere la vista lunga e pensare proprio a questo). Invece di abbandonare i cinema, piccoli e grandi, ma anche le librerie, i caffè, le panetterie, i verdurai, i piccoli negozi, alla “legge del mercato” (cioè alla legge del più forte, homo homini lupus, applicato all’economia) la politica potrebbe creare condizioni per risparmiare sulla sicurezza facilitando o favorendo la loro permanenza o il loro ritorno. Non ci vuole molto. Cinema vs “nonluoghi”. In Francia il governo (non importa se di destra o di sinistra), con cipiglio napoleonico, ha “obbligato ogni comune a tenere aperto almeno un “cinema rurale”, come li chiamano là…” 2. Il ministro della cultura francese ha annunciato che il Centre National du Cinéma et de l’image animée (CNC) assegnerà nei prossimi mesi un aiuto alla digitalizzazione che potrà coprire il 90% degli investimenti degli esercenti in equipaggiamento digitale. Alla fine di aprile, 1038 dei 5470 schermi dei cinema francesi erano già equipaggiati per il digitale. Non è facile trattenere una certa invidia, anche se – dentro questo strano federalismo a singhiozzo – qualche cosa si muove. E’ il caso della regione Friuli Venezia Giulia, nella quale l’assessore alla cultura ha avviato l’esame di una proposta per “rivitalizzare le sale cinematografiche di paese”. Speriamo e staremo a vedere. Intanto in 2 Il Giorno, pagina di Milano, 22/07/2010 29 Francia si sono dimostrati un po’ più attenti a non cedere a modelli di importazione americana, di un mondo nel quale non esistono le piazze, ma solo strade che vanno da est ad ovest o da nord a sud, perché sembrano delle frecce puntate su uno spazio da conquistare. Da quelle parti non è mai esistito il mondo classico delle polis con le preziose agorà, dentro le quali è nato il nostro pensiero, logico e dialettico. E non hanno nemmeno sperimentato il mondo – lontano nel tempo ma vicino nello spazio che ancora frequentiamo – dei comuni medievali e poi delle città rinascimentali che volevano essere “capitali” del territorio circostante, con lo spazio sacro e profano, laico e religioso delle piazze davanti al Comune e alla Cattedrale, dove ci si poteva incontrare, parlare, pregare, fare affari e qualche volta giocare al calcio (fiorentino) e spesso anche far baruffa (che, a proposito del calcio fiorentino, era la stessa cosa). La Francia, con i suoi grandi spazi e le campagne ricche ed estese, ha privilegiato la tutela dei “cinema rurali”; l’Italia potrebbe pensare di aiutare (se non di “obbligare”, come fanno in Francia) o almeno rendere più facile la vita dei cinema di paese (ma in Italia anche il paese più piccolo si sente “comune”) o dei “cinema di rione” o se si vuole di contrada, o se si vuole di parrocchia (tanto per non rinunciare alla dialettica tipicamente italica tra guelfi e ghibellini). Forse è prematuro considerare il cinema, con le sue sale piccole, grandi o multiple, rionali (ammesso che ne esistano ancora) o in centro città, grandi come i teatri di una volta, come un pezzo di archeologia. I suoi spazi non sono stati (ancora?) completamente demoliti e dimenticati e soprattutto sostituiti da quelli che Marc Augé ha chiamato “nonluoghi”. Forse la “surmodernità”, teorizzata dall’antropologo/etnologo francese, non ha ancora trionfato del tutto. Forse ci sono ancora pezzi consistenti di umanità – di sicuro dalle nostre parti – che non si rassegnano a vivere dentro una provvisorietà spaziale, nella quale tutto è al tempo stesso indeterminato e rigidamente sotto controllo (come nel caso delle telecamere nei supermercati che ci proteggono e ci controllano). Secondo Marc Augé, e secondo frammenti della nostra esperienza, dovremmo essere destinati/condannati a frequentare sempre più dei “nonluoghi”, dedicati al transito, al trasporto, al guardare per comprare, al tempo libero (nel senso di svuotato). Nei “nonluoghi” ci 30 mettiamo volentieri e senza pensarci troppo – perché ci sembra “normale” – in fila, in attesa che arrivi il nostro turno in base al nostro numero, che poi si traduce nel denaro (solo apparentemente) virtuale della carta di credito, vero passaporto della surmodernità. Ma non è detto che questa visione apocalittica – per quanto plausibile – debba necessariamente trionfare. Gli esseri umani, qualche volta, possono sorprendere gli intellettuali troppo intelligenti (e quindi spesso troppo pessimisti) e tradire le loro previsioni. Cinema e storie. Forse non siamo (ancora?) pronti a vivere e a rassegnarci all’anonimato e al “paradosso del non luogo”. Ricordiamo che cosa ha detto Marc Augè (1993): “paradosso del non luogo: lo straniero smarrito in un Paese che non conosce (lo straniero “di passaggio”) si ritrova soltanto nell’anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio, dei grandi magazzini o delle catene alberghiere”. Il cinema, con le sue sale piccole, grandi o multiple, potrebbe essere considerato una sorta di argine o di rifugio contro l’anonimato e il distratto smarrimento a cui qualcuno vuole condannarci. Ma non è detto che ci si debba rassegnare. Dalle nostre parti, da secoli, siamo abituati a cercare un “centro”, spaziale, urbanistico, culturale, umano. Ci sentiamo davvero “stranieri” quando negli States, che vogliono guidare il mondo anche a partire dalla costruzione del suo/nostro immaginario, non troviamo la piazza, il nostro centro da cui cerchiamo di ripartire per ricostruire la nostra interpretazione della realtà, le nostre coordinate nello spazio e nel tempo. Il nostro “centro” spaziale diventa tutt’uno con la nostra identità individuale, che si intreccia con il tempo che abbiamo vissuto in un certo luogo, direttamente da noi e da chi c’è stato prima di noi, e magari ce lo ha raccontato. Non è un caso se un pezzo, nemmeno troppo insignificante, della nostra identità, almeno per quelli che sono vissuti nell’ultimo secolo, ce la siamo costruiti dentro le sale cinematografiche. Il cinema, quindi, come la piazza, è un luogo vero, un “centro” che ci serve a costruire le nostre coordinate identitarie, per evitare di diventare dei turisti per caso dentro la nostra quotidianità. 31 Dentro i cinema, meglio se non sono troppo lontani da casa, non abbiamo solo sognato ma abbiamo anche vissuto tante vite degli altri, senza farci e fare del male, che sono diventate “noi” e che condividiamo con tanti altri (ed è sempre bello ed emozionante scoprire quanti sono). Il cinema, quindi, come “luogo” per eccellenza, a cui non possiamo rinunciare. Il cinema, infatti, ci dà un senso e crea relazioni nello spazio e nel tempo; è “storico” per definizione, se non altro perché ci racconta e ci fa vivere tante “storie”. 32 Cinema e formazione (non solo per i giovani…) Il cinema è “sapiens”. Proviamo a ricordare. Siamo diventati un po’ più “sapiens” da quando ci siamo messi tutti attorno a un fuoco, un po’ per proteggerci e un po’ per farci coraggio, ed abbiamo iniziato a raccontarci delle storie. Non era importante che fossero storie vere, ma che diventassero racconto comune per costruire un immaginario condiviso, che avrebbe permesso di affrontare il futuro con un po’ più di coraggio (o meno paura). Quelle storie, probabilmente di caccia e di battaglie con altre tribù (le donne comunicavano assai di più, ma su un altro canale), servivano anche come modello ed esempio per i nostri cuccioli, che sarebbero cresciuti in fretta e avrebbero dovuto far tesoro dell’esperienza degli “anziani” (allora l’età media non arrivava ai 30 anni). Con il cinema succede lo stesso. Grazie a un fuoco che brilla nell’oscurità, dentro i nostri occhi scorrono storie di tutti i tipi, che ci divertono e spaventano, che ci fanno viaggiare nello spazio e nel tempo, che ci fanno entrare ed uscire dalla testa di tanti nostri simili. E’ grazie alla narrazione, all’immaginazione e all’esperienza degli altri – di quelli che sono più bravi di noi a raccontar storie – che impariamo. Impariamo come si vive e si muore, come si ama e si odia, come si combatte e come si scappa, e magari – sempre grazie a James Bond – a quale temperatura si deve bere lo champagne e che il Martini va mescolato e non agitato. Ecco perché – e forse troppo spesso ce lo dimentichiamo – il cinema ha una sua intrinseca e potente funzione formativa nella costruzione di una identità più solida, articolata e dinamica, capace di “leggere”, interpretare e godere di “testi” composti di immagini. Qualcuno pensa che questo “ottimismo formativo” sia una pia illusione, perché i giovani non sono più come quelli di una volta, viaggiano in internet e non amano il cinema? Sbagliato. Lo stereotipo, suggerito dal ricorrente pessimismo degli “anziani” nei confronti dei giovani (probabilmente si tratta solo d’invidia) è demolito da numerose ricerche che concordano su un dato: i giovani vanno al cinema più degli adulti. Tra le tante, una ricerca su dati Istat del 2006, condotta da Mario Morcellini, preside della facoltà di Scienze della 33 Comunicazione dell'Università di Roma, dimostra che i giovani sono dediti a una “transumanza” mediatica, e se la televisione continua a dominare, insidiata dalla flessibilità di internet, vanno più al cinema degli adulti. Anzi, nel complesso, secondo Morcellini, i giovani negli ultimi anni hanno intensificato il “consumo culturale” ed hanno superato ampiamente gli adulti, salvo l’obsoleta lettura del giornale. "Il giornale è di difficile fruizione – spiega Morcellini – e se non lo legge l'adulto, non possiamo certo pretendere che lo faccia il ragazzo" (62,9% contro il 29,5%), ma negli altri ambiti gli adulti finiscono in fondo alla classifica. Il teatro lo frequenta il 29,7% dei giovanissimi contro il 18,1 % degli adulti; i libri 53,6% contro 40%; il cinema 80,1% contro 45,7%; musei e mostre 43,4% contro 24,9%. Insomma, per il mondo dei grandi una “débâcle culturale”. In realtà è una débâcle del pessimismo nei confronti dei giovani, ma per chi ama il cinema “sapiens” è un’ottima notizia, sulla quale merita lavorare. Generazioni al cinema. Il cinema aiuta a far comunicare generazioni diverse. I nostri figli e i nostri nipoti possono vedere gli stessi film che ci hanno formato quando avevamo la loro età (anche se l’effetto può essere diverso). Possiamo anche vedere e rivedere vecchi e nuovi film con loro, andando assieme al cinema, e provare a condividere (quasi) le stesse emozioni, come se la differenza d’età (quasi) non esistesse. E’ una magia rara, che qualche volta il cinema rende possibile. Ma il piccolo miracolo non si innesca per caso e bisogna imparare la formula magica fin da piccoli. Ecco perché i genitori dovrebbero ricordarsi di portare al cinema i propri figli e i nonni i propri nipoti, come una volta si raccontavano le favole e poi si insegnava a leggere e a scrivere, per imparare a pensare e a sognare da soli (ma al cinema, se si vuole, si sogna e si pensa anche con gli altri). Anche questo è un modo di raccontare storie, di raccontarsi per conoscersi reciprocamente. Dai cartoni animati alle storie di avventure, di guerra e di pace, dove i buoni vincono e qualche volta invece no, ma che vanno bene per grandi e piccoli, per giovani e vecchi. Solo così la “voglia di cinema” (forse un po’ meno “matta” di qualche decennio fa) può entrare in modo definitivo dentro gli occhi e le orecchie dei nuovi giovani. Anche così si crea un filo sottile e prezioso 34 di complicità con qualcuno che ci è vicino per affetto e spesso lontanissimo per anni d’età. In pochi casi, come nel cinema, si possono condividere esperienze che nessuno ha vissuto in prima persona, ma che ha solo visto e spesso rivisto dentro una sala cinematografica. E’ una emozione rara poter dire al proprio figlio o al proprio nipote “ti ricordi”, come se fossimo stati commilitoni nello sbarco in Normandia (dal “Giorno più lungo” a “Salvate il soldato Ryan”) o fossimo scivolati nell’”Era glaciale” o avessimo guidato e danzato come folli assieme ai Blues Brothers, solo perché abbiamo visto gli stessi film. Oppure, senza la mediazione di qualche quiz televisivo, possiamo giocare con le citazioni e indovinare il film dopo pochi fotogrammi. E’ un piacere raro. Provare per credere. Cinema “metascolastico”. E poi c’è la scuola. Il cinema, per la scuola, può essere una miniera quasi inesauribile di immagini, di storie, di personaggi, di battaglie, di exempla, raccontati e mostrati con gioia e passione invece che con noia obbligatoria e rassegnata. Si potrebbe partire dal cinema che possiamo chiamare “metascolastico”, che fa un discorso sulla scuola, come modello di formazione emozionante e coinvolgente. Il primo che viene in mente – e l’unico che citerò – è “L’attimo fuggente” (1989), di Peter Weir, film “pedagogico” per eccellenza, che fa riflettere sul vero senso della scuola, anche se non tutti possono permettersi il lusso o la fortuna di avere come docente il professor John Keating (Robin Williams), che insegna ai suoi studenti l’avventura di imparare a camminare da soli e a pensare con la propria testa, con tutti i rischi che comporta. C’è poi il tema della scuola come disciplina e conquista, dolorosa ed affascinante, di un nuovo status, grazie alla passione “agonistica” che divora “Billy Eliot” (scritto da Lee Hall e diretto da Stephen Daldry nel 2000), figlio di un minatore sconfitto, che supera tutti gli ostacoli culturali e di classe e diventa una étoile della danza classica. Ancora una nota: perché non mostrare – nell’ora di religione – a questi nostri giovani, che non distinguono tra il Vecchio e il Nuovo Testamento, “Il Vangelo secondo Matteo” (1964) di Pasolini, filologicamente accurato e dedicato “alla cara, lieta, familiare memoria 35 di Giovanni XXIII”, per farli riflettere in modo religioso e laico sulla figura di un Dio che volle farsi uomo (e che uomo)? Impossibile? Forse, ma pochi esempi dimostrano quanto la scuola – con un po’ di tempo a disposizione e poche risorse in più – abbia bisogno del cinema, della sua qualità, della sua forza evocativa, per un’educazione dei giovani alle immagini e a un pensiero meno volatile. E anche qui, Microcinema, con la sua rete di sale e la sua tecnologia flessibile, può dare un contributo prezioso sul piano culturale e vantaggioso a livello economico. Temi come lo sport, il razzismo e la discriminazione, l’emarginazione sociale, i rapporti generazionali, la violenza e la generosità, l’intelligenza, la volontà – e si potrebbe andare avanti all’infinito – sono sviluppati in moltissimi film e in altrettanti versioni, alcune delle quali veramente straordinarie, con ritmi, timbri, scorci talvolta diversissimi, considerazione questa – da sola – in grado di suggerire ulteriori spunti, nuove intersezioni e, a partire da esse, ancora nuove riflessioni. Un approfondimento un po’ analitico dei percorsi didattici che il cinema è in grado di proporre e sviluppare potrebbe davvero finire per essere un Quaderno a se. Battaglie al cinema. Nella sua storia il cinema ha avuto un rapporto quasi incestuoso con la guerra. Il cinema ha sempre raccontato la guerra e mostrato mille battaglie. Per decenni ha reso la guerra bella, pulita, eroica e limpida, in cui le cose erano straordinariamente chiare e si sapeva fin dall’inizio chi erano i buoni e chi erano i cattivi (i “musi gialli” o i “pellerossa”). Poi, esattamente quarant’anni fa, le cose si sono complicate. Qualcuno ha dubitato che il “soldato blu” fosse sempre buono e combattesse sempre in difesa della libertà, mentre sono stati “Un uomo chiamato cavallo” e soprattutto un “Piccolo grande uomo” (tutti del 1970) con un giovane Dustin Hoffman, invecchiato fino all’età di 121 anni, a raccontare che esistono diversi punti di vista, con quell’entrare ed uscire, ben prima di “Balla coi lupi” ed “Avatar”, dai mondi paralleli dei nativi e dei “visipallidi”. Film preziosi, quindi, per ragionare sul “relativismo culturale”, in modo diretto ed articolato, senza appesantimenti ideologici. E se si vuole fare un salto dalla storia del Far West americano (che ormai ci possiede 36 tutti quanti) al nostro mondo contemporaneo, diventa essenziale un film come “Babel” (2006) di Alejandro Gonzáles Iñárritu per mostrare ai nostri studenti l’infinita complessità di un mondo globale, fragile e a tratti solo stupido, come il nostro. Per dimostrare, invece, quanto la guerra sia feroce e quasi sempre inutile, forse l’esempio migliore è “Full metal jacket” (1987), del geniale Stanley Kubrick, con la scena finale dei marines che marciano, o solo trascinano le gambe, in un deserto di distruzione e cantano (almeno nel doppiaggio italiano) l’unico inno che gli è rimasto: “Topolin, Topolin…”. Sullo stesso tema, per fare lezione con del cinema “didattico”, “divertente” e riflessivo sulla Guerra Fredda, c’è “Il dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi della bomba” (1964), ancora di Kubrick, con un più straordinario che mai e multiforme Peter Sellers. Su un versante completamente diverso, giocando tra la potenza di un colossal miliardario e la povertà deamicisiana di un’aula scolastica, pensate di spiegare le conquiste dell’impero romano mostrando le scene de “Il gladiatore” (2000), di Ridley Scott (che ha iniziato con le guerre napoleoniche ne “I duellanti” nel 1975). E’ un film che tutti hanno visto, compresi i giovani, che ha incassato più di 20 miliardi di sterline, eppure è a suo modo “didattico” (come lo furono, ma in modo più “ideologico”, “I dieci comandamenti” o “Ben Hur”) quando mostra la battaglia nella foresta vicino all’antica Vienna del 180 dopo Cristo, poco prima della morte dell’imperatore-filosofo Marco Aurelio, e spiega – meglio di mille lezioni di storia – la differenza organizzativa, tecnologica e sociale tra l’esercito romano, ancora invincibile per un paio di secoli, e i “barbari” germani (che pure combattevano a casa propria e sul proprio territorio). 37 Dal teatro al cinema: andata e ritorno Contaminazione nello “spettacolo”. Il cinema è la prosecuzione del teatro con altri mezzi? Forse sì, anche senza scomodare von Clausewitz. Il cinema, come il teatro, è “spettacolo” (théatron), è rappresentazione di corpi, di movimenti, di suoni e di parole. E’ gioco, racconto, ma anche finzione che si riflette nella realtà (come suggerisce il termine italiano). Il cinema è l’erede più stretto del teatro, come sapeva Walter Benjamin e come pretende la nostra modernità “nell’epoca della riproducibilità tecnica”. Il teatro delle origini non serviva solo a raccontarci, ma a stabilire un rapporto (di complicità?) tra gli uomini e gli dei. Il cinema, arte di un secolo profano, ha trasformato gli attori in star e in divinità mediatiche, spesso più lontane, capricciose ed irraggiungibili degli dei tradizionali. Ma è quasi impossibile, per le nostre star e le nostre luccicanti “madonne” mediatiche, conservare l’antica e originale aura sacrale. Il cinema, però, non si è sostituito al teatro. Ha innescato piuttosto una nuova simbiosi, adattando la sua proposta estetica alla nuova tecnologia, che gli ha messo a disposizione, grazie alla riproducibilità, la possibilità di moltiplicare per milioni di volte la sua potenza comunicativa. Quando il cinema è nato, ha guardato subito con ingordigia al teatro, considerato una sorta di tesoretto, in tutte le sue manifestazioni, alte e basse, da Shakespeare (Sarah Bernhardt interpretò il film “Il duello di Amleto” già nel 1900) e Pirandello (che si è “convertito” al cinema con qualche fatica, solo dopo l’avvento del sonoro), all’avanspettacolo incarnato da Totò, al grande melodramma a tinte forti di “Via col vento” e “Casablanca”, con i volti di tutte le “divine” degli anni Trenta e Quaranta, da Greta Garbo a Marlene Dietrich a Rita Hayworth, che continua negli anni Cinquanta e Sessanta grazie a una folta ed eterogenea schiera di registi contemporanei (secondo la critica l’elenco è lungo e tra i tanti troviamo Minnelli, Fassbinder, Cronenberg, Bertolucci, Almodòvar, Truffaut, Resnais, fino a Lars von Trier). Le “maschere” del cinema. Il cinema, alla ricerca di fantasia e intelligenza grottesca, si è riempito subito di “maschere” (intese come attori e non come personale che 38 guidava, con la lampadina tascabile, lo spettatore alla ricerca di un posto libero dentro la sala scura e fumosa). Il cinema, così, deve molto alla commedia dell’arte, che ai suoi tempi era stata rivoluzionaria ed è quella parte del teatro che si era stancata del manierismo ipocrita delle corti e si era messa a raccontare la realtà di strada direttamente sulla strada e per il pubblico della strada. Erano “maschere” tratte dalla strada (e qualche volta direttamente dal traffico) anche “I mostri” di Dino Risi (1963), testimonianza di un cinema “popolare” che sapeva essere anche cinico e dissacrante. Sono “maschere” della commedia dell’arte anche “comici” che hanno fatto grande il cinema, con la loro funambolica capacità d’improvvisazione, come Roberto Benigni, e prima ancora i “maestri” Buster Keaton, Charlie Chaplin, Jacques Tati. Il cinema, quindi, ha “saccheggiato” a piene mani il teatro. Ma non si è trattato tanto di un furto o di un tradimento, quanto di una contaminazione positiva e prolifica, come sempre avviene quando si parla di comunicazione artistica. Lo spazio “dedicato”. Il teatro classico nasce come uno spazio “dedicato” alla rappresentazione, che distingue tra attori e spettatori, e per secoli si è “celebrato” a cielo aperto, nelle piazze o nei cortili o addossato a qualche collina, meglio se di fronte al mare, per sfruttare il pendio naturale, e far sedere il pubblico su panche in legno e poi in pietra. Poi, nell’alto medioevo, quando si diffonde il cristianesimo, assai diffidente verso questa arte troppo “pagana” e licenziosa, il teatro viene scacciato dai luoghi riservati allo spettacolo e deve rifugiarsi di nuovo sulle strade e sulle piazze e gli “attori” devono accontentarsi di un semplice banchetto per farsi vedere dal pubblico, e così diventano “saltimbanchi” e girovaghi. Ma il teatro è uno strumento potente e dopo qualche secolo viene recuperato e diventa “rappresentazione sacra” all’interno delle chiese, grazie alla sua forza persuasiva, educativa e comunicativa (lo stesso presepe, “inventato” da Francesco d’Assisi, può essere considerato come una sorta di rappresentazione teatrale). Solo più tardi – quando trionfa l’architettura rinascimentale – il teatro entra negli spazi chiusi, dentro le corti dei principi, per il divertimento 39 delle élites, o dentro le città, per un pubblico più vasto, come il Globe di Shakespeare. Cinema e tetro mescolano “alto” e “basso”. Con il trionfo della borghesia i teatri si moltiplicano, il pubblico “alto” (nei palchi) e “basso” (in sala, in piedi) quasi si mescola e, pur con numerose variazioni, rimane tale fino ai giorni nostri. Ma ad un certo punto, ai primi del ‘900, arriva un concorrente inaspettato: il cinema. Pretende gli stessi spazi, ma utilizza una nuova tecnologia “leggera”, che si accontenta di un semplice schermo bianco a sole due dimensioni al posto del complesso ed articolato palcoscenico, perché gli attori non hanno più bisogno di uno spazio reale (e funziona ancora così, nonostante il trompe l’œil del 3D) e sono ridotti ad immagini, a fantasmi, prima muti ed in bianco e nero e poi “sonori” e a colori. Succede così, nel corso della prima metà del ‘900, che molti teatri, quelli più popolari e diffusi su tutto il territorio urbano, comprese le periferie, che raccolgono un nuovo pubblico di massa (non a caso sono privi di palchi, “distinti” e separati), si trasformino in sale cinematografiche. Accolgono un pubblico del tutto nuovo, lo stesso che gremisce gli stadi di calcio, che va a vedere, per divertirsi, ridere e bere, comici alla Petrolini e ballerine alla café chantant che fanno “la mossa” per la gioia dei maschi presenti. Adesso, però, c’è una nuova forma di divertimento, più economica e potente: il cinema. Mentre sopravvivono i grandi teatri cittadini, quelli storici e quelli nuovi – per definizione “monumentali”, sui quali si cimentano i grandi architetti – le sale cinematografiche sostituiscono i piccoli teatri, sia come spazio sia come ruolo di intrattenimento, ne imitano la struttura, e per qualche tempo è addirittura possibile un uso promiscuo cinema/teatro, che dura ancora oggi nei paesi o nelle sale parrocchiali o nei circoli culturali. Andata e ritorno (e piccole conclusioni). Il cinema, adesso, sta vivendo una sorta di nemesi. Le sale cinematografiche chiudono, sostituite da niente. Sembra quasi che il cinema se ne stia andando, lontano dalle sale in cui è nato poco più di un secolo fa. Il cinema, così, rivive, almeno in parte, lo stesso destino che è capitato a tanti piccoli teatri. Ma non è detto che sia un 40 abbandono definitivo. Non è detto che la modernità ci obblighi al mondo raccontato da Ridley Scott in “Blade runner”, o che ci riduca ad androidi condannati a sognare pecore elettriche, come scriveva Philip K. Dick. I cinema, con sale piccole e grandi, vicine e lontane, possono ritornare (e qualche volta le sale non se ne sono mai andate, perché sono rimaste chiuse come “belle addormentate” da qualche parte). E’ successo tante volte e può succedere ancora. Chi l’avrebbe detto, in un mondo post-moderno, che misura la vita dal numero di ore di volo accumulate (come il triste George Clooney di “Tra le nuvole”, esiliato per sempre a vivere nel “non luogo” degli aeroporti) che sarebbero tornati nelle nostre piazze di città e di paese i mercati ambulanti, fatti di bancarelle, che si muovono con il ritmo periodico delle fiere, come avveniva dieci secoli fa, quando in Europa è rinato il piccolo e grande commercio. Il cinema può tornare vicino a casa nostra, magari nelle sale parrocchiali o nelle sale dei circoli culturali, dove si guarda e si protegge il cinema d’essai e di qualità. Microcinema, con una proposta al tempo stesso antica ed avanzatissima, ha dato il suo contributo concreto a questo ritorno possibile, con l’apertura o riapertura di vecchie e nuove sale. Grazie alla sua tecnologia, alla possibilità di inviare i film via satellite direttamente al server, in modo semplice e quasi senza costi, sta ricostruendo una piccola rete (ma nemmeno tanto piccola, con le sue 150 sale) fatta di sale, di sogni, di memorie e di futuro. Microcinema è capace di far ritornare vicino a noi il cinema e il teatro, addirittura l’opera, vissuta in diretta o in differita, ma che sul grande schermo sembra quasi dal vivo. E così il cinema, anche grazie a Microcinema, può ritornare e farci sedere fianco a fianco. 41 42 Paul Klee - Castle and sun (1931), particolare MICROCINEMA 43 44 Per un nuovo cinema di prossimità di Roberto Bassano Il grande cinema italiano, che ha affascinato tutto il mondo, non era fatto solo di grandi registi e grandi attori, ma anche di tante storie, di sguardi, di facce, che si riflettevano nel pubblico che li andava a vedere, forse più per (ri)conoscersi, che per sognare o per divertirsi. Ecco, il grande cinema italiano si fondava anche su un grande circuito di distribuzione dei contenuti. Esistevano migliaia di cinema sparsi sul territorio, che curavano la profondità e raggiungevano ogni luogo e ogni spettatore. Erano quei cinema, spesso parrocchiali o a gestione familiare, magistralmente rappresentati dal premio oscar Giuseppe Tornatore. In “Nuovo Cinema Paradiso” la storia aveva toni drammatici: una nuova autorimessa sostituiva il cinema mentre la folla incuriosita, dispiaciuta e al tempo stesso indifferente, guardava scomparire il luogo in cui il paese viveva, si incontrava, intrecciava amicizie e storie d’amore. Negli ultimi venti anni non sono state tanto le autorimesse, ma piuttosto banche, supermercati e altri servizi essenziali per la sopravvivenza della specie a sostituire quei luoghi che, in sostanza, rappresentavano una sorta di ”microcentri” di tante piccole comunità. Luoghi storici, reali, dove si viveva davvero. Sale di periferia, sale della comunità, capaci di legami profondi un pubblico affezionato che andava in quell’esercizio non per un film in particolare ma spesso per la fiducia nelle scelte editoriali del gestore. Sale in cui la cassiera ci salutava sempre, dietro lo stesso vetro, e che ricordiamo ancora fumare al di là del confine trasparente… Adesso quel pubblico di apatici e indifferenti rassomiglia a noi, noi pubblico, noi persone del mondo del cinema, noi politici che ci occupiamo della res pubblica. Tutti noi, spettatori dei cinema insieme con gli altri abitanti delle città e dei paesi, con i rappresentanti delle istituzioni che, di fronte a tante demolizioni, non sono stati capaci di reagire. E’ vero: la società è cambiata e molto doveva cambiare per aiutarci a vivere meglio. Ma non tutti i cambiamenti – motivati da una fredda 45 logica economica e finanziaria e solo raramente dall’intelligenza delle emozioni – devono essere accettati passivamente. Oggi rimpiangiamo quei luoghi travolti da un terremoto sociale che poteva essere evitato e guardiamo con invidia alle altre nazioni europee che hanno saputo salvaguardare cinema e teatri minori. I paesi scandinavi, ma anche Francia e Germania, sono stati più attenti e generosi con il cinema, considerato un importante luogo di incontro da difendere. E lo hanno difeso ed aiutato concretamente. La televisione ha modificato radicalmente le nostre abitudini, lo abbiamo visto nella prima parte del Quaderno: negli anni cinquanta era la televisione che entrava nel cinema. Il televisore troneggiava sul palcoscenico e le prime timide immagini, per altro lontane e scarsamente visibili, imbambolavano un pubblico prima di tutto affascinato dall’innovazione. Oggi è il cinema che entra negli spazi televisivi ma il televisore non ci dà le emozioni del cinema, e anche PC e telefonini non ce le daranno mai. Nel tentativo di coinvolgere emozionalmente gli spettatori televisivi dagli anni cinquanta, prima negli Stati Uniti e in seguito anche da noi, sono state introdotte le “risate finte”, per ricreare la condivisione tra gli spettatori. L’esplosione di una risata collettiva al cinema non è paragonabile all’asettica e triste risata registrata televisiva. Non c’è emozione. Non dimentichiamo, però, che la televisione è un importante pilastro economico delle produzioni cinematografiche. Senza la televisione forse oggi non ci sarebbe più il cinema, per lo meno quello costruito sul modello hollywoodiano. Ma a Bollywood è ancora la sala cinematografica ad avere un ruolo centrale nei conti economici delle produzioni. Le società di produzione e quelle di distribuzione che acquisiscono i diritti theatrical spesso raggiungono e superano il punto di pareggio con la vendita dei diritti televisivi. Insomma il cinema sopravvive grazie alla televisione, ma non solo: insieme ai diritti theatrical sono i videogiochi e i gadget a reggere il conto economico, anche perché il mercato dell’home video è ormai poco remunerativo. Oggi l’esercizio cinematografico si è reinventato. Ha imparato dalla televisione, ha modificato la sua offerta e ha affiancato ai film nuovi contenuti. Contenuti che il pubblico trova sempre di meno in una televisione travolta dall’audience e dalle logiche strettamente economiche e finanziarie. E anche qui la mancanza di emozione, se si vuole di passione, ha favorito un nuovo concorrente: la televisione 46 criptata e a pagamento, per la quale il pubblico è disposto a pagare per vedere ciò che vuole, magari anche con una migliore risoluzione. Anche la televisione allora, almeno quella che abbiamo conosciuto negli ultimi anni, è destinata a trasformarsi radicalmente. Il grande pubblico chiede ed è disposto a pagare per vedere in televisione quella qualità, sia di contenuti sia di visione, che prima era prerogativa esclusiva del cinema. In poche parole, e gli investitori pubblicitari se ne sono già accorti, la televisione generalista sarà guardata soltanto da un pubblico prevalentemente anziano, con capacità di spesa limitata o del tutto assente. E per il cinema questa mutazione della televisione può essere un’occasione preziosa e inaspettata. Il cinema potrebbe riappropriarsi degli spazi televisivi “liberati” dalla televisione generalista, esattamente come ha fatto la pay TV, ma aggiungendo emozioni che, vissute insieme ad altri, crescono e si moltiplicano. Una risata collettiva può essere una sorta di elisir. Non a caso Microcinema segue questo percorso da oltre tre anni, recupera e riempie spazi abbandonati e ne crea di nuovi. La sala riscopre così le sue potenzialità e si trasforma in un luogo d’incontro aperto a molteplici proposte. Un microplex indipendente. Un luogo dove convivono cinema commerciale, cinema d’essai, contenuti e complementari, dando spazio anche al teatro e ad altro ancora. E’ il cinema ritrovato. Microcinema dimostra che per essere vincente l’esercizio, piccolo o grande che sia, deve diventare una sorta di agorà. I casi concreti e positivi non mancano e ne parleremo più avanti. Microcinema in questi anni ha strutturato la sua proposta e si è rivolto prevalentemente ai cinema indipendenti, che non appartengono a grandi concentrazioni. Ma, nel corso del 2010, il rapporto con i tre più importanti gruppi di multiplex ci ha convinto che, con differenti utilizzi, alcune proposte possono diventare trasversali a tutto l’esercizio. Il fil rouge è rappresentato dalla necessità di trasformare, o meglio confermare, il cinema come luogo di incontro, uno spazio non necessariamente dedicato solo alla visione di un film. Opera lirica, sport, concerto e intrattenimento in genere sono proposte ormai radicate dentro Microcinema per portare in sala un pubblico diversificato che cerca emozioni, esperienze e conoscenze che non trova in altri luoghi. 47 In realtà ogni cinema ha un suo pubblico, una sua connotazione culturale e una sua collocazione commerciale e geografica. L’errore è pensare che la differenza provochi sempre un conflitto. Differenti tipologie di pubblico, che solo in minima parte si sovrappongono, possono frequentare multisala e cinema di prossimità coltivando interessi diversi. La sala di città, di periferia, di provincia, di paese, deve avere un legame con il suo territorio e conquistarsi la fiducia dei suoi “clienti”. Deve mettere a disposizione del pubblico film e contenuti complementari, deve proporre un’offerta ampia, flessibile. Per fare questo deve dotarsi di tecnologie avanzate, snelle, scalabili3, interoperabili ed economicamente sostenibili. Sono stati soprattutto esercenti indipendenti e innovatori a scegliere una via percorribile ed economicamente sostenibile, reinventando il proprio esercizio, ridisegnandolo e riposizionandolo sul territorio, offrendo al pubblico emozioni “antiche”, ma con nuovi contenuti e nuovi media. Insomma, quegli esercenti che hanno saputo fare la loro scelta guardando al mercato e al futuro, con una visione strategica e di ampio respiro (ma che non dovrebbero essere lasciati soli). Sono state sale indipendenti, fortemente radicate sul territorio, caratterizzate da un profondo rapporto con gli abitanti, gestite in modo flessibile e poliedrico con linee editoriali chiare e definite. Questa, nella stragrande maggioranza dei casi, è la fisionomia delle sale che appartengono al Digital Network Microcinema. Poco importa se gli aderenti scelgono la strada full digital o se affiancano alla vecchia pellicola un sistema digitale. Per tutti la flessibilità, la quantità, la qualità e la varietà dei contenuti proposti da Microcinema, uniti alla versatilità di un sistema digitale completo, si sono dimostrati fattori decisivi. Una scelta strategica e non tattica. Sta nascendo così, un nuovo modello di sala cinematografica: il microplex, un cinema indipendente, in grado di offrire, nell’ambito di un progetto editoriale autonomo, una moltitudine di titoli diversi per 3 Per scalabile si intende una tecnologia che, dall’entry level al sistema più completo, permette all’esercente, attraverso una serie di upgrade successivi, di non diminuire mai il valore dell’investimento iniziale. L’offerta di Microcinema, da Cinemakit a M-box 3D interoperabile, è strutturata in forma scalabile. 48 tipologia: film, cartoni animati, opere liriche, balletti, documentari, anche all’interno della stessa giornata e anche provenienti da media differenti. Il legame emozionale tra esercizio, pubblico e territorio è il segreto del successo di una sala cinematografica. Ci sono esempi di multisala e di monosala che hanno saputo cogliere l’opportunità dell’innovazione tecnologica e, attraverso una scelta economicamente sostenibile, si sono trasformate in vivaci e – diciamolo con soddisfazione e senza ipocrisie – redditizi luoghi di incontro in cui cinema, opera e televisione divengono crocevia d’incontro delle comunità locali, delle città di provincia e dei grandi centri urbani. Un vivace esercente siciliano, innovatore, produttore di corti e organizzatore di festival, con Microcinema ha progettato e realizzato il primo microplex multisala. Una regia centrale, basata su sistemi interoperabili M-box e Cinemakit sovraintende ai segnali inviati a tutte le sale separatamente o contemporaneamente. In Liguria, un noto esercente, mente acuta e curiosa, costantemente all’avanguardia e sensibile alle innovazioni – ponte tra cinema e televisione da sempre – ha fatto una scelta coraggiosa. All’interno di un multiplex già attrezzato con impianti digitali affiancati alla pellicola, nel corso della costruzione di una nuova ulteriore sala, ha scelto di non installare l’impianto in pellicola e di avere solo un sistema digitale, una sala full digital, la prima di molte che verranno. Sono solo due esempi di un universo che sta cambiando velocemente. Nuove sale che – grazie a Microcinema – divengono un luogo dove proporre non solo film e contenuti complementari, ma in cui si aprono anche alla grande nemica: la televisione. Cinema un po’ corsari, che traggono vantaggio dalla loro piccola dimensione, veloci nel reagire e nell’adeguarsi a nuove realtà basando la scelta dell’innovazione su investimenti sostenibili e scalabili, con la tranquillità di un adeguato ritorno sull’investimento. Il cinema, conciliando qualità e finalità commerciali, aperture al teatro, agli eventi in diretta, alle opere in differita, a qualunque contenuto abbia un’audience potenziale, può raggiunge, attraverso un rapporto sempre più stretto con il suo pubblico, nuove potenzialità e nuove forme di equilibrio economico. 49 Spazi di nicchia, come opere liriche e concerti, sono la base della nuova redditività per l’esercente. Nel 2010 gli spettatori di eventi in diretta e di rassegne di opera lirica e balletto sfioreranno il milione. Lo spazio di crescita percentuale sarà a due cifre per i prossimi anni. Ma il cinema deve offrire anche un grande catalogo HD disponibile on line per soddisfare esigenze e curiosità di un pubblico dinamico e variegato; studenti, famiglie, pensionati, ragazzi. E poi, in diversi orari della giornata, si possono proporre contenuti diversi per pubblici diversi. Rinunciare a questa offerta articolata e mirata vorrebbe dire perdere occasioni preziose. Insomma, è possibile ricreare in sala una sorta di video on demand, un jukebox (chiamatelo come volete) che permetta al cinema di guardare al suo pubblico, di diventare un esercizio market oriented e non production oriented. Una programmazione flessibile, differente per orari e per giorni della settimana, trasforma una sala poco frequentata in un microplex dove nel weekend si moltiplicano proposte diverse rispetto agli altri giorni della settimana. E’ la fantasia imprenditoriale dell’esercente a connotare l’esercizio, con piccoli festival, rassegne, teatro locale e nazionale, concerti dal vivo o proiettati in diretta o in differita, film storici e attuali, prime visioni e documentari. E si potrebbe proseguire all’infinito. In estrema sintesi si può dire che le chiavi del successo sono due: l’investimento in tecnologia, dotando la sala di un sistema di proiezione digitale versatile, e la possibilità di reperire contenuti da proporre al pubblico. Ma la fase realizzativa non è così semplice. L’investimento in tecnologia deve permettere di utilizzare il maggior numero possibile di contenuti. Questo agevola il ritorno economico sull’investimento. Rimane il fatto che chi ha creduto nel DCI 3D agli albori di questa nuova stagione è oggi soddisfatto. Gli innovatori ne hanno tratto vantaggio mentre chi ha investito nel dopo Avatar è sicuramente un po’ deluso. Intendiamoci: gli incassi sono certamente di tutto rispetto ma non sempre all’altezza delle aspettative. E qui iniziano i malumori. Con il DCI le major hanno proposto il VPF: io ti pago l’investimento e tu proietti i miei contenuti che sono remunerativi. Tutto semplice? 50 Assolutamente no perché può succedere che un titolo non abbia successo, e in 3D ormai ne abbiamo visti parecchi nel corso del 2010. Passata la sbornia iniziale del 2009, il pubblico ha iniziato ad essere più selettivo. Un film di serie B rimane di serie B anche se è proposto in 3D. Ma l’esercente ha firmato un contratto per la “tenitura”, ovvero per non smontare il film prima di un certo numero di giorni o settimane. Un bel disastro per l’esercente se il film non attira il pubblico e non incassa. Quindi deve essere molto chiaro che installando un sistema 3D – molto costoso – il rischio è quello di perdere la libertà di programmazione. Con il VPF o con il VPF all’italiana le cose cambiano, ma non in modo sostanziale. Il VPF ha un significato per i cinema che non possiedono la liquidità per digitalizzarsi. E spesso questo è un problema dei grandi e non dei piccoli. Il rappresentante per l’Europa di una nota casa di proiettori DCI, americana, ha spiegato in modo molto semplice la differenza tra l’indebitarsi in proprio, correndo maggiori rischi e magari alla fine pagando persino di più, e l’affidarsi a una “terza parte” che accetta, in accordo con le major, di accollarsi il rischio. E’ quello che loro chiamano the freedom’s price. Il prezzo della libertà. Un’immagine cruda e, allo stesso tempo, un concetto molto chiaro. Per essere padrone in casa mia devo possederla. Il concetto di per sé è molto semplice, ma c’è un piccolo particolare: l’esercente possiede già il cinema. Il modello è quindi un altro, molto più sottile. Ricordate l’Odissea e quel bel cavallo di legno sulla spiaggia? Ecco: “venghino signori regaliamo noi i proiettori, li installate, modificate le vostre cabine e poi li usate come vogliamo noi”. Ecco il perché di quella definizione: il prezzo della libertà. Come già abbiamo rilevato, in altri paesi, Francia in testa – come sempre – perché un po’ di sano centralismo patriottico non guasta, il governo vuole mettere il naso in quanto sta succedendo, definendo delle linee guida e muovendosi a supporto degli esercizi, in specie i più piccoli. Il fine non sono gli esercizi in sé ma piuttosto i punti di diffusione del cinema, francese in primo luogo, che diventano o ridiventano luoghi di incontro. In Italia il punto nodale è non solo la sostenibilità finanziaria ma, anche e soprattutto, quella economica, in un momento di forte crisi generale, 51 il roll out. Da un lato, infatti, è necessario trovare chi finanzia la digitalizzazione e, dall’altro, è necessario conoscere a priori cosa vuole in cambio: la banca, la società di leasing o di noleggio chiede interessi e garanzie, la “terza parte” invece richiede la programmazione garantita dei film proposti dalle major che hanno sottoscritto il contratto di VPF. Il rischio è che in assenza di una politica nazionale chiara, definita e convincente – senza entrare in polemiche politiche che non ci competono – siano gli isolati operatori del mercato a doversene fare carico. E, come sempre, il più debole soccomberà, perché non ci sono sconti e non c’è etica della solidarietà nel business. La chimera del credito d’imposta è utile solo ai grandi gruppi, ma certamente rimane sterile per i piccoli esercizi, indipendenti ma cronicamente a credito perché in questo settore si compra con IVA al 20% e si vende con IVA al 10%. In tal modo l’azienda rimane endemicamente a credito e solo una riforma strutturale sulle aliquote può risolvere il problema. Ma non parliamone troppo altrimenti la soluzione, dice qualche vocina, rischia essere quella di uniformare tutte le aliquote al 20%! Insomma non è certo che la digitalizzazione, seguendo la via del DCI 3D rappresenti la via giusta per tutte le sale perché differenti sono icinema, differenti le tipologie di pubblico, differenti le tecnologie. In Italia la gravità dell'assenza di una politica chiara di sostegno alle sale di città, di provincia e al cinema d'essai sta creando una situazione che, di fatto, mette le sale cinematografiche che programmano i film italiani ed europei in condizione di chiudere. Proprio quelle sale di città, senza le quali il cinema autoriale – che è poi proprio il cinema italiano ed europeo – non verrebbe più programmato. Insomma le sale monoschermo hanno bisogno di un sostegno chiaro e diretto. Meglio sarebbe traslare, per le piccole sale, l’attuale credito d’imposta nel vecchio credito cinematografico. Senza sale cinematografiche non c'è “vero” cinema e senza le sale di città non c'è cinema d'autore, non c’è cinema indipendente, non c'è cinema italiano. E’ un problema che viene sollevato da anni ma non è stato mai affrontato con serietà, forse perché non è un problema legato a questa o quella forza politica. 52 Le sale di periferia e di provincia non devono necessariamente avere come target il 3D. Certo hanno la necessità di digitalizzarsi, ma non sempre il 3D è una corretta scelta strategica. Con il 3D e i connessi obblighi di programmazione la sala rischia di perdere il rapporto con il territorio: le rassegne, il “piccolo” teatro locale, i cartoni al pomeriggio. Così si scontra con le ferree logiche della distribuzione che considera la monosala e la piccola multisala come nient’altro che un fastidio. Eppure negli ultimi dieci anni, come è avvenuto con le lucciole, le sale di qualità sono cresciute, a volte per “missione” a volte obbligate dall’apertura di un multiplex vicino, che andava occupando, spesso in esclusiva, gli spazi del cinema commerciale. Queste sale, che in Italia sono circa 1500, vanno salvaguardate per proteggere prima di tutto noi stessi dal rischio della omologazione culturale. Ma deve essere anche il mercato a spingere e sorreggere questa scelta. L’esercente deve cominciare ad investire anche nel confort delle sale, nella comunicazione, nella pulizia, nei servizi, anche quelli igienici che sono da sempre una misura – spesso trascurata – del livello di civiltà di un Paese. Anche la distribuzione, specialmente quella di qualità, deve fare la sua parte, ha le sue responsabilità e i suoi doveri. Se i cinema più piccoli chiudono i film che raggiungono una parte di pubblico solo attraverso di essi sono destinati all’insuccesso. Tutte le statistiche ci confermano che i film d’autore hanno maggiore successo nelle sale tradizionali. La loro chiusura farebbe perdere una preziosa fascia di spettatori, più cinefili, più famiglie, certamente non teenager, che porterebbe al conseguente fallimento di molti film, di molte distribuzioni e di molte produzioni italiane. Alcuni multiplex, specie quelli con molte sale stanno provando ad avvicinare il pubblico d’essai, ma i risultati, tolti rari casi, non sono interessanti. Il merito che dobbiamo ascrivere loro è quello di tentare di incuriosire un pubblico giovane, spesso indifferente a quel tipo di pellicole, anche se sappiamo bene che, per loro, non si tratta di un problema sociale ma solo commerciale. Dobbiamo anche prendere atto che la politica del multiplex tende ad emarginare immediatamente il film che non ha successo nel primo week end di uscita. Questo dato di fatto danneggia quei film che nel settore “hanno le gambe lunghe”, cioè quei film che durano mesi in programmazione. Ma non sempre questo sviluppo è chiaro dall’inizio. La loro uscita in sordina con un 53 budget pubblicitario ridotto spesso non ha un immediato riscontro negli incassi: poi, grazie al passaparola e alle critiche sui giornali, il film raggiunge il successo. Sono proprio i film d’essai, spesso italiani, che seguono questo percorso. “Il vento fa il suo giro”, “Pranzo di Ferragosto”, “Basilicata coast to coast”, “Cous Cous”, “Il segreto dei suoi occhi”, “Il concerto”, “La classe”, solo per citarne alcuni. E’ certo che i distributori di qualità devono ridisegnare i loro modelli di business molto velocemente. Hanno perso, in meno di 18 mesi, gli oltre 500 schermi più importanti d’Italia perché hanno scelto la via del 3D, nei quali, lo sappiamo tutti, non entreranno più. Se chiudono anche altre monosale il loro destino è segnato. E’ questa nuova frontiera tecnologica a scavare un fossato tra il cinema commerciale – che cavalca successo dopo successo con la nuova frontiera del 3D – e il cinema di autore. Molti registi non hanno alcun motivo per seguire la costosa onda della tecnologia in 3D per rendere visibili le proprie idee, troppo spesso per definizione “invisibili” nella mente dell’autore e poi magicamente visibili sullo schermo. Ma la non accessibilità, in termini commerciali, di 500 schermi su 3000 rischia di costringere l’idea invisibile a rimanere invisibile, per mancanza di spazio, di sbocco sul mercato. Oggi il cinema italiano e di qualità (anche se non sempre i due termini coincidono) entra nei multiplex in subordine al cinema americano come effetto della digitalizzazione DCI. Anche molte sale monoschermo, un tempo sale d’essai, hanno cavalcato l’onda del cinema commerciale e hanno scelto di installare in cabina impianti 3D abbandonando, di fatto, la possibilità di proiettare il cinema italiano, europeo, d’autore. Spesso sono sale che hanno snaturato la loro storica immagine di cinema d’essai attratte dalla chimera del facile guadagno. Alcune di queste nel lungo periodo non potranno che perdere il confronto con l’offerta più completa proposta dai multiplex. Esistono correzioni al mercato semplici e facilmente percorribili: i minimi garantiti equamente corretti e condizioni che favoriscano la programmazione orizzontale, le duplicazioni, le teniture brevi per le sale più piccole. E’ fondamentale definire a monte la soglia massima dei minimi garantiti da imporre alle piccole sale a bassa redditività – le grandi non li hanno – per favorire l’accesso al prodotto e, soprattutto, permettere al pubblico di non disamorarsi lentamente del cinema. 54 Un'altra via, complementare alle precedenti, è quella di favorire al massimo la diffusione del digitale, quello entry level, economicamente sostenibile per le sale più piccole. In questo modo è garantito l’accesso al prodotto a costi tendenti a zero per il distributore e, quindi, il minimo garantito può ridursi o in alcuni casi scomparire. Il problema delle finestre di programmazione spesso non è così sentito dagli esercenti come l’impossibilità di accedere al prodotto. Però anche nel digitale i problemi non si annullano. Due sono le ragioni di inaccessibilità. La prima, la più ovvia è oggettiva: la mancanza di copie. In questo caso il digitale è certamente un grande aiuto, si potrebbe anche dire la soluzione definitiva. L’altra causa che rende un film invisibile a un determinato pubblico in una precisa sala cinematografica è al di fuori da ogni logica di mercato: nonostante la disponibilità, in pellicola o in digitale, delle “copie”, il film stenta a muoversi nel mercato, come se fosse trattenuto da una forza che si oppone al processo distributivo. Questa seconda causa è più complessa perché rientra nelle problematiche soggettive degli attori coinvolti nella catena distributiva. L’imposizione, ad esempio, di un minimo garantito “esagerato” alle sale più piccole (e talvolta più noiose da seguire per la discontinuità, il ritardo cronico nell’invio dei borderò, la scarsa redditività marginale) le costringe ad una scelta comunque perdente: non offrire quel prodotto scontentando e disaffezionando il proprio pubblico, oppure offrire il film sapendo che difficilmente l’incasso supererà il minimo garantito. Qualunque scelta porta la sala a spegnersi lentamente o per mancanza di film e conseguentemente di pubblico o per mancanza di reddito. Sarebbe sufficiente definire a monte una semplice griglia che incroci il minimo garantito con l’incasso annuo della sala e definire la settimana in cui un film diventa accessibile e programmabile liberamente (non in autonomia). In questo modo il mercato tornerebbe ad essere libero e non più feudale e, inoltre, il criterio distributivo adottato tornerebbe ad essere oggettivo e non più soggettivo. E’ una scelta semplice e vincente che tutela l’intera filiera cinematografica. La mancata proiezione di un film per ragioni soggettive danneggia irrimediabilmente e senza vantaggio alcuno il produttore, il distributore, l’esercente, il pubblico e, ovviamente, anche tutta la comunità in senso allargato perché, meno biglietti venduti implicano meno IVA versata, meno redditi tassati, meno introiti per lo stato e quindi più tasse per mantenere i servizi (e senza menzionare in questa 55 sede il danno culturale e sociale). E’ una semplice legge economica. E’ chiaro che, parlando di numeri così piccoli, non ha senso che lo stato intervenga ma il fatto resta indiscutibile. Scovare i cinefili, favorire le rassegne e le proiezioni scolastiche per avvicinare il pubblico del futuro al cinema di qualità. Tutto questo dovrebbe essere nel DNA di ogni distributore, in particolare di chi vende qualità, che invece rischia di perdersi in questa spirale. Il caso del President di Milano dovrebbe essere preso a monito. L’accesso al prodotto, pur rispettando le logiche commerciali, deve essere favorito. Microcinema ha certamente svolto un lavoro di raccordo, favorendo l’accesso al prodotto e la diffusione verso tutti i cinema che lo richiedevano. Anche in questo caso Microcinema è al fianco dei distributori per aiutarli a raggiungere un pubblico più ampio. Ma quali sono le reazioni del pubblico? Si è ormai rassegnato a rinunciare ai film di Venezia, di Cannes, di Berlino, di Locarno, di Torino e così via, aprendo la strada a una emarginazione che rischia di portarci verso una pericolosa deriva culturale? Noi non lo crediamo proprio. E’ però necessario ripensare ad una diversa collaborazione con l’esercizio ricordando che il primo problema è l’accesso al prodotto: il cinema President di Milano non ha chiuso per abbandono del pubblico di fronte a un progetto editoriale e di programmazione di alta qualità, ma ha chiuso perché è stato troppe volte costretto a rinunciare al film che l’esercente intendeva proporre. 56 L’innovazione di Microcinema di Roberto Bassano Ormai il 3D è entrato in noi. Da mesi su ogni quotidiano, in ogni supermercato, sugli autobus delle nostre città troneggiano televisori in 3D, quasi sempre costosi, che ci invitano in una nuova dimensione del consumismo: “la terza dimensione televisiva”. E il pubblico corre all’acquisto di televisori, occhiali, ovviamente attivi, e lettori Blu ray. Insomma tutto è pronto. Eppure mancano i contenuti. Ormai sappiamo che la tecnologia senza contenuti crea soltanto un vuoto in cui ci si perde. I contenuti in 3D, in effetti, ci sono già, ma solo al cinema. Non esistono – almeno in Italia – trasmissioni televisive in 3D e così i film si possono vedere in tre dimensioni solo al cinema. Anche i Blu ray in 3D scarseggiano, ad eccezione dei film per adulti. Certamente a Natale 2010 vedremo comparire sotto gli alberi natalizi i primi cartoni animati tridimensionali su Blu ray e poi via via il resto anche in TV, partendo dallo sport che tradizionalmente è più redditizio rispetto a tutti gli altri contenuti. Per il cinema il 2010 è stato una sorta di anno “zero”, che ha segnato un ritorno alla supremazia sulla televisione, ma non solo per il 3D. L’avvento dei film tridimensionali ha spinto gli esercenti verso la digitalizzazione e ne ha accelerato i tempi. Come conseguenza c’è stata una modificazione strutturale dell’offerta al pubblico: oggi gli schermi italiani con più spettatori e quindi più redditizi per il comparto cinematografico – dalla produzione attraverso la distribuzione sino all’esercizio – sono dedicati alla programmazione di film tridimensionali, fondamentalmente americani. Non è un fenomeno solo italiano e si sta radicando ovunque si è diffuso il DCI. In Italia la digitalizzazione dell’ultimo anno spinta dal successo del 3D ha portato ad affiancare al Digital Network Microcinema, che dal 2006 ad oggi ha continuato a crescere e si prepara a superare le 150 sale, una serie di schermi digitali “autonomi” slegati tra loro con tecnologia DCI. Persino i grandi gruppi, che sicuramente digitalizzeranno tutti i loro schermi nei prossimi anni, oggi hanno digitalizzato poche decine sale. Sono quegli schermi dotati di tecnologia 3D che hanno tolto 57 spazio, auguriamoci non vitale, al cinema italiano e al cinema in generale bidimensionale. Tutti gli schermi digitali, con qualunque risoluzione da 1.3K a 2.0K, hanno mostrato interesse per l’offerta di contenuti complementari. Ogni esercente che ha proiettato un evento in diretta, che sia opera lirica, concerto o sport, ha ottenuto buone soddisfazioni: le sale che in quegli orari sarebbero rimaste vuote si sono riempite, offendo al pubblico nuovi servizi e traendone un buon risultato economico. Sono ancora mercati di nicchia, ma rimangono la risposta migliore ad un pubblico di appassionati che spesso non trovano sugli altri media una offerta paragonabile per qualità e orari. Internet, DVD e Blu ray sono certamente una alternativa, ma la mancanza della fruizione collettiva – esperienza non sostituibile per gli appassionati di eventi – le dimensioni dello schermo, la qualità dell’audio e spesso la qualità dell’immagine pongono il cinema su di un piano nettamente superiore e, almeno a questo livello, non esiste concorrenza. Si tratta, in effetti, di una proposta diversa e alternativa rispetto alla televisione che, al di fuori dei canali tematici, non offre in orari accettabili alcuna proposta agli appassionati di opera lirica, di balletti, di concerti di musica pop e classica. La logica dell’audience, strettamente legata alla raccolta pubblicitaria, impedisce la programmazione di nicchia, d’elite o di qualità, favorendo la televisione generalista, che certamente non aiuta la formazione culturale. Lo sport, paradossalmente, può diventare una interessante e inattesa opportunità per il cinema. Di norma è offerto in diretta, sia al cinema che in televisione, ma l’offerta dei mondiali in 3D era raggiungibile solo al cinema. Si è trattato di un piccolo punto messo a segno a favore del cinema, che rischia di essere tuttavia un vantaggio momentaneo, anche se le partite proiettate al cinema in 2D hanno sempre un certo appeal, perché riproducono la condivisione e la fruizione collettiva tipica dello stadio. Questa è una caratteristica che TV, telefonino e internet non potranno mai avere. 58 La pubblicità ritorna al cinema di Roberto Bassano Un appunto agli investitori pubblicitari va fatto. Il cinema da sempre (e le statistiche oggi lo confermano) ha un pubblico molto più attento alla pubblicità, con un’attenzione molto superiore alla TV, complice il buio, il silenzio e … la mancanza del telecomando. Lo spettatore ricorda la pubblicità vista sul grande schermo tre volte di più rispetto a quella distrattamente intravista sul piccolo schermo. Per anni questa riflessione elementare quanto banale è stata trascurata. Per la pianificazione degli investimenti pubblicitari il cinema, come la carta stampata, è un mezzo complementare e sussidiario. Era in declino sino a quando le statistiche non hanno cominciato a confermare ciò che tutti sapevano: è infatti noto che oggi non sappiamo più decidere se non siamo supportati da una ricerca di questo o quell’ente. Così se la scelta è sbagliata la colpa non è nostra… Oggi l’aumento del pubblico nelle sale e la sua maggiore capacità di ricordare spontaneamente gli spot rispetto allo spettatore televisivo, dati così ben supportati dai dati statistici, stanno riportando gli investitori pubblicitari al cinema. Secondo la Nielsen, gli investimenti pubblicitari al cinema sono cresciuti nel primo semestre 2010 e la tendenza lascia intravedere ulteriori incrementi La pubblicità oggi può essere veicolata con il supporto dalla tecnologia digitale che permette l’aggiornamento degli spot in tempo reale e l’abbattimento dei costi della copia in pellicola, oltre che la sua complessa distribuzione. Inoltre, sempre attraverso le nuove tecnologie, è assai facile incrociare le certificazioni di messa in onda con i biglietti staccati dalla sala. E, infine, si è ormai consolidato il concetto che la sala cinematografica è destinata non solo alla proiezione dei film ma anche alla visione di eventi in diretta, sportivi, culturali e di intrattenimento che sono in grado di portare al cinema nuove tipologie di pubblico, tra l’altro facilmente classificabili. Una parte delle sale, in specie quelle di periferia, di provincia e d’ essai, oggi non ha contratti pubblicitari che permettano loro una 59 remunerazione, importante, a volte vitale. D’altro canto parecchi milioni di spettatori non sono raggiunti dalla pubblicità al cinema. E’ un mercato potenziale che, se esplorato, porterebbe vantaggi a tutti, agli investitori pubblicitari, alle concessionarie, all’esercizio. Magari il pubblico, in particolare quello d’essai, potrebbe storcere il naso ma alla pubblicità ormai siamo tutti abituati. Basta non esagerare, basta non interrompere la proiezione di un film! Il VPF e il “prezzo della libertà” Il Virtual Print Fee nasce con l’intento di favorire la digitalizzazione delle sale. Il roll out incentivato dalle major prevede, da un lato, il pagamento dell’apparato in vece dell’esercente e prevede dall’altro un accordo per la programmazione in sala dei film proposti dalle major. La fornitura è fatta da una così detta “terza parte” che anticipa il danaro necessario all’investimento a fronte di un contratto quadro con le major che pagano circa 600 euro per ogni film programmato con una tenitura concordata. In caso di mancata programmazione l’esercente paga alla terza parte un affitto per l’uso in libertà dell’apparato. In Italia gli esercenti hanno scelto una via mediata. Il VPF all’italiana prevede che l’esercente sostenga il costo della digitalizzazione e in caso di programmazione concordata in digitale riceva dal distributore circa 500 euro a film più, a volte, un piccolo contributo per l’acquisto e l’utilizzo degli occhiali in 3D. Questa situazione, di libertà a fronte di un indebitamento in proprio, ha generato una distorsione identica agli altri paesi europei dove si è ritagliato un nuovo circuito cinematografico che predilige la programmazione di film in 3D, spesso molto remunerativi, divenendo in pratica impermeabile alle altre proposte di cinema nazionale, d’essai e di qualità. Ai film di produzione italiana, europea, d’essai rimangono le sale non digitalizzate. 60 Luci di Microcinema di Silvana Molino Per comprendere Microcinema è oggi più che mai necessario allargare lo sguardo per cogliere la sua dimensione di sistema completo, formato da più strati che interagiscono a diversi livelli con il settore. Un sistema che si sviluppa per successivi ampliamenti di prospettiva e che abbraccia livelli diversi di azione e di funzionalità: una sorta di cipolla professionale con cui Microcinema si relaziona con il mercato. Il cuore di Microcinema è il cinema, inteso come sommatoria di sala cinematografica e film nel senso più tradizionale, ancorché mutuato da una tecnologia completamente nuova. Partendo dal cinema e passando attraverso il nuovo orizzonte dei contenuti e degli eventi complementari – sostanzialmente impossibili con l’utilizzo della vecchia pellicola – Microcinema ha portato alle sale cinematografiche un nuovo significato alla parola polifunzionalità e una proposta tecnologica sostenibile e concretamente percorribile per realizzarla. Ma non si è fermata alla singola sala: ha creduto e costruito una rete capace di produrre ricadute reali e talvolta inaspettate nel tessuto culturale e sociale. Ha segnato in modo poliedrico il percorso di un’evoluzione per strati sovrapposti capace di arricchire tutta la filiera con stimoli, sfide e opportunità. Ogni giorno. Addentriamoci in questo percorso di scoperta e di rilettura di Microcinema nei suoi aspetti peculiari per arrivare a comprenderne il suo complessivo significato di ecosistema. Quando si parla di cinema si intende per Microcinema salvaguardia della pluralità. Sostenere il cinema attraverso modelli e strumenti innovativi significa difendere il tessuto delle sale indipendenti, dei cinema di prossimità, delle sale della comunità, degli spazi polifunzionali e multimediali aperti al pubblico per la condivisione di contenuti. Credere nelle potenzialità del cinema – inteso nel suo senso più ampio, che trascende il contenitore per focalizzarsi sul contenuto – significa supportare le produzioni minori o le opere tutt’altro che minori che, nonostante budget e impegno profusi, talvolta faticano a trovare interlocutori nel mondo della distribuzione o dell’esercizio. 61 Contribuire allo sviluppo del cinema su quel delicato versante che è la distribuzione, significa promuovere e agevolare la più ampia digitalizzazione di tutta la filiera, soprattutto in quel segmento strategico rappresentato dalla duplicazione e dal trasferimento del contenuto. Nell’ecosistema Microcinema dunque si focalizzano tre elementi cruciali per lo sviluppo complessivo del settore: promuovere la rete, difendere i cinema, intervenire sul dilemma legato al mantenimento o all’abbandono della discussa pellicola. Innanzitutto promuovere la connessione e la collaborazione in rete tra le sale cinematografiche si è dimostrato essere il più efficace fertilizzante per sostenere, non solo il rinnovamento, ma addirittura la rinascita delle sale di quartiere; in questa direzione Microcinema supporta e incoraggia l’interazione tra operatori con attività di coinvolgimento e di circuitazione di informazioni e di esperienze. In secondo luogo l’azione di difesa delle sale passa attraverso la concezione che i cinema non sono l’ultimo anello della catena, bensì il cardine principale per lo sviluppo del settore; difendere i cinema significa tout court difendere il cinema nella sua espressione più composita che abbraccia tutta la filiera e il suo indotto. Infine, Microcinema vuole dare il suo contributo al nuovo dilemma che sta scaturendo dalla transizione al digitale: pellicola gioia o dolore? Che si tratti di triacetato di cellulosa o di poliestere, il dubbio è insito in quel magico nastro e nelle sue molteplici interpretazioni estetiche, economiche, ecologiche: tra gli integralisti della pellicola, che ritengono impossibile un futuro senza quella morbidezza nella cattura e nella proiezione delle immagini, e i fanatici sostenitori del full digital, che ne vedono principalmente gli aspetti di efficienza e di impatto ambientale, Microcinema sperimenta ogni giorno a 360 gradi e vuole portare argomentazioni – speriamo utili – agli uni e agli altri. Allargando un po’ lo sguardo, il fuoco di Microcinema si sposta sui nuovi contenuti e sui nuovi modelli rappresentati dagli eventi culturali. Gli eventi – e su tutti l’opera – rappresentano per Microcinema una via verso la democratizzazione della cultura. Difendere il melodramma e poi, per analogia, tutte quelle rappresentazioni capaci di fornire intrattenimento attraverso contenuti classici, scientifici, musicali, storici o tecnici, consente di difendere un’identità tutta italiana, creativa e vitalissima. 62 Portare al cinema eventi nuovi, che al cinema non si erano mai visti, magari in diretta, diventa lo strumento più moderno e più efficace per seguire e sviluppare un nuovo pubblico: sarà dunque il cinema a salvare l’opera o sarà l’opera a salvare il cinema? Certamente un nuovo filone editoriale arricchirà l’uno e l’altro senza impoverire alcuno. Portare al cinema eventi nuovi che al cinema non si erano mai visti, significa inaugurare una nuova modalità di fruizione di quegli stessi eventi. Significa dare agli eventi più elitari o più di nicchia la potenzialità per diventare eventi a grande diffusione e partecipazione, eventi – perché no? – democratici, cui potenzialmente tutti possono accedere grazie alla moltiplicazione e all’avvicinamento dei luoghi di visione e grazie alla reale sostenibilità dei costi di accesso. Il terzo livello di azione e di interazione per Microcinema, più ampio ed elevato quanto ad angolo visuale rispetto al cinema e agli eventi, è rappresentato dalle sale cinematografiche. Per Microcinema questi luoghi, straordinari per ricchezza e poesia, diventano a tutti gli effetti ambienti polifunzionali e il modello di business pensato per loro si ispira a nuovi criteri di sostenibilità. La diversificazione dell’intrattenimento e della proposta culturale arricchisce le potenzialità della sala cinematografica che può finalmente e realmente gestire tanti contenuti di diverso tipo, per i diversi giorni della settimana e per le diverse fasce orarie del giorno. I cinema di provincia possono addirittura rinascere perché hanno a disposizione strumenti nuovi su cui fare leva. Una sala tecnicamente polifunzionale e ricca di contenuti realizza una interazione più forte con la comunità di riferimento ampliando la base di partecipazione alla sua gestione, diretta e indiretta. La programmazione può essere indirizzata dal pubblico attraverso livelli più o meno stretti di collaborazione con il gestore: a partire dal semplice questionario di soddisfazione si può arrivare fino alla formazione di veri e propri comitati editoriali di indirizzo e programmazione. Potendo spaziare tra molte proposte, è possibile comporre più liberamente e più creativamente i palinsesti per renderli naturalmente più appetibili al proprio pubblico e più redditizi per la gestione. La sala digitale si può realmente trasformare in un “multiplex tascabile”, fisicamente concentrato in un’unica sala di proiezione ma culturalmente diffuso su orari e giorni diversi. Perché se nel multiplex 63 tradizionale ogni schermo ha il suo pubblico, nella sala digitale polifunzionale ogni ora ha il suo pubblico e la redditività può aumentare a un ritmo incredibilmente più veloce rispetto ai costi di gestione. L’ultimo livello di visione, di ricaduta e di impatto che completa il sistema dei valori di Microcinema è rappresentato dal tessuto sociale e culturale; un tessuto di riferimento cui proporsi in risposta al rischio di desertificazione. I ritmi frenetici, la superficialità delle relazioni, l’iperindividualismo di massa che fa consumare i film sui personal computer come videogiochi da giocare da soli prosciugano il tessuto sociale e impoveriscono quelle relazioni personali e umane che completano l’individuo e costruiscono la collettività. E in questo scenario, che non deve sembrare troppo apocalittico e che invece, pur con varie sfumature, non è lontano dalla realtà di molte zone cittadine o di molte periferie dormitorio, il salvataggio di una sala cinematografica significa preservare il cuore stesso di una comunità, scegliere se tenere in vita un paese (o un quartiere) anziché lasciarlo lentamente morire. Senza cinema le luci si spengono presto, le strade si svuotano, gli esercizi commerciali chiudono, l’interrelazione umana si trasferisce sulla rete virtuale inventando relazioni di fantasia quando addirittura non si spegne, insieme alle luci. Il vecchio cinema, finché vive, rappresenta l’unico e vero collante sociale di moltissime comunità: per questo va difeso. E va fornito di tutti gli strumenti necessari per sopravvivere e rispondere all’evoluzione dei tempi. Il cinema è l’unico luogo chiuso in cui le persone condividono due ore di tempo e attenzione comuni, nell’oscurità e senza timori, in cui si può entrare da soli senza sentirsi isolati, in cui si trovano persone che condividono passioni e che, proprio per questo motivo, non giudicano a priori e non si giudicano in nulla reciprocamente. La sala cinematografica è il luogo in cui tre generazioni possono trovare l’occasione di uno svago o di un interesse sotto casa, un unico luogo per rispondere a tutti, insieme o in momenti diversi. Tenere in vita un cinema vuol dire darsi spazi e opportunità, vuol dire aumentare la qualità della vita. Questo complesso e stratificato sistema in cui Microcinema si muove e in cui elabora le proprie proposte e risposte è un ingranaggio in 64 movimento continuo. E vuole essere quotidianamente un ingranaggio virtuoso che innesca movimenti grandi partendo da cambiamenti piccoli e affrontabili senza timori. Come in una serie di ingranaggi, i contenuti, assolutamente imprescindibili siano essi tradizionali o innovativi, imprimono il movimento alle sale e le sale muovono le persone e collegano, riuniscono, rappresentano la comunità. 65 Il ruolo di Microcinema nella conversione digitale di Silvana Molino L’offerta digitale per il settore cinematografico si è fatta oggi – anno 2010 – quanto mai composita e, in taluni casi, anche parecchio fantasiosa. Operatori vari, con gli appellativi più diversi ( dealer, distributori diretti, partner, importatori, integratori, terze parti, installatori) propongono ai cinema soluzioni per la conversione alle nuove tecnologie. Tutti propongono soluzioni per la conversione delle cabine, pochi propongono soluzioni per la conversione dei cinema. Convertire una cabina al digitale significa tecnicamente sostituire un sistema analogico con un sistema digitale. Convertire un cinema al digitale significa entrare in un nuovo mondo fatto di opportunità diverse e nuove, significa adottare un nuovo modo di pensare, di gestire e di operare con strumenti nuovi. Microcinema ha messo l’esercente al centro della propria offerta e ha costruito attorno alle sue esigenze una proposta a più livelli per renderla affidabile, scalabile, flessibile, multifunzionale. In una parola: sostenibile. La conversione digitale è stata innanzitutto una necessità per le sale di medio-piccola dimensione alle prese con la scarsità delle pellicole e con il rinnovamento delle strutture. L’offerta Microcinema si è strutturata proprio a partire da queste realtà mettendo a punto proposte adattabili capaci di personalizzazione in ragione delle esigenze di ogni cinema. E’ nato con questa filosofia – ed è stato presentato al mercato per la prima volta nell’era digitale – il Cinemakit. Fregiato del best case HP 2006 e del Microsoft award 2007, il Cinemakit Microcinema ha rappresentato – e fieramente rappresenta ancora oggi senza sentire il peso dell’età – il primo sistema integrato per il cinema digitale basato su tecnologia DLP per l’elaborazione di immagini 1080p. Sullo sfondo dell’animata discussione che proprio in quegli anni infiammava i tecnici e i filosofi per la definizione dello standard che sarebbe stato adottato nel cinema digitale in tutto il mondo, l’Italia si andava dotando di sistemi ingegnerizzati per rispondere a necessità concrete per le quali non si poteva aspettare il tempo delle dispute di principio. Microcinema ha così iniziato la sua strada verso la scalabilità con il primo scalino; 66 uno scalino facile da affrontare da qualsiasi esercizio cinematografico e accolto con interesse e curiosità dalla distribuzione nazionale e di qualità alla ricerca di soluzioni alternative alle tirature in pellicola. Il Cinemakit è un sistema di gestione e proiezione con risoluzione nativa HD 1080 che può indifferentemente utilizzare proiettori 2.0K, 1.9K e 1.3K. Utilizza il formato di codifica delle immagini SMPTE 412M e la luminosità dei proiettori varia da 8.000 a 12.000 ansi lumen. La sua peculiarità è di comprendere tutto ciò che serve per attrezzare un cinema da zero e per renderlo operativo immediatamente dopo l’installazione: rack, gruppo di continuità, server, proiettore, monitor, tastiera, supporti, parabole, router satellitare, sistema di decodifica live e, soprattutto, tantissimi contenuti in alta definizione e di qualità, sia in diretta sia in differita. L’innovazione rivoluzionaria che Microcinema ha portato nel settore cinematografico con il Cinemakit è rappresentata proprio da questa inscindibile compenetrazione di tecnologia e di contenuti, con un’amplissima scelta per iniziare senza attese ad utilizzare tutti gli strumenti a disposizione del proprio cinema. Il Cinemakit rappresenta per alcuni esercenti l’investimento di partenza – l’entry level della propria avventura digitale –, per altri esercenti rappresenta l’investimento ideale, capace di dare valore alla svolta tecnologica grazie ad un sistema capace di ripagarsi attraverso i contenuti che veicola in quanto collegato al network. I plus del Cinemakit rispetto a qualsiasi altro sistema digitale risiedono nel costo contenuto e nella grande affidabilità delle tecnologie, certificate da HP e DPI, nel continuo aggiornamento dei programmi di gestione del sistema – tutti proprietari – sviluppati direttamente da Microcinema su piattaforma Microsoft, col vantaggio di essere collegati ad una rete satellitare bidirezionale che supera il digital divide e che, in quanto vero network, garantisce assistenza e supporto non-stop in qualsiasi momento del giorno e dell’anno. Ma il vantaggio più diffusamente evidenziato da quanti hanno realizzato questo tipo di investimento risiede comunque nella forza dei contenuti. Il Cinemakit è stato il primo sistema digitale capace di proporsi da subito come mezzo e non come fine, è stato il primo e unico sistema proposto al mercato immediatamente utilizzabile e ricchissimo di una incredibile varietà di contenuti: film di qualità italiani ed europei, documentari, cortometraggi, film commerciali non DCI distribuiti da distributori nazionali, concerti, opere liriche, contenuti educational, eventi culturali, produzioni indipendenti e autoriali. Il catalogo Microcinema si amplia 67 ogni giorno tenendo il passo della distribuzione nazionale – non tutta, è vero, ma comunque tanta – e con il Cinemakit lascia spazio a moltissimi altri contenuti, reperiti in autonomia, che ogni sala cinematografica può proiettare in digitale con qualità cinematografica. Senza dimenticare i contenuti live che, fin dalla prima proiezione, caratterizzano soprattutto le sale più piccole dotate di Cinemakit, quelle più integrate con il territorio, quelle che trovano nel catalogo live, soprattutto classico, una leva culturale ed economica fondamentale per il sostegno e l’incentivazione al passaggio al digitale. Ma riprendiamo l’analisi dell’offerta Microcinema per la conversione digitale dei cinema italiani. E facciamo il passo successivo, un passo breve che è stato solo propedeutico alla svolta decisiva. Il successo del Cinemakit ha contribuito ad amplificare il dibattito che già da tempo era in corso in merito al DCI 2.0K e che sembrava non trovare una risposta univoca. Così, nel periodo in cui il reparto Ricerca e Sviluppo era impegnato tra Torino, Los Angeles e Mombay nell’ingegnerizzazione del server interoperabile, Microcinema ha proposto alle sale più grandi o più impazienti di entrare subito nel digitale, con sistemi graditi alle major ma aperti a quello che nel breve sarebbe stato il passo decisivo verso la libertà digitale. Al Cinemakit è stato affiancato, dall’ottobre 2008, un sistema DCI puro, 3D ready, con risoluzione nativa HD 1080 e proiettori 2.0K o 4.0K per la sola decodifica JPEG 2000, ovvero per la gestione e proiezione dei film – su hard disk – delle major americane. Per quanto poco fosse concesso dalle strettissime specifiche DCI, il sistema si è comunque informato a due dei criteri base della filosofia Microcinema: flessibilità e sostenibilità. Così alla scelta tra diversi proiettori con luminosità variabile tra 12.000 e 30.000 ansi lumen, si è aggiunta la connessione al network satellitare per la ricezione degli eventi live. Una “moda” che è stata presto replicata dagli altri operatori del settore a vantaggio – seppur indiretto – di un intero comparto. Ed eccoci a questo punto giunti alla svolta decisiva, all’elemento di riconoscimento e di unicità che distingue l’offerta Microcinema rispetto a tutti gli altri operatori del mercato. Dal Cinemakit, passando per il periodo interlocutorio del DCI puro finalmente, nel febbraio 2009, entra nel vivo l’impiego del nuovissimo e – primo al mondo – interoperabile sistema M-box. La risposta a tutte le priorità espresse dalla grande sfida del passaggio al digitale; il riassunto in un unico 68 sistema, di tutta la libertà disponibile per tornare a “fare cinema” senza doversi preoccupare dell’arredamento della cabina di proiezione. M-box 3D ready, con risoluzione nativa HD 1080, è un sistema DCI compliant interoperabile ovvero un sistema capace di gestire e proiettare differenti formati di codifica dell’immagine quali JPEG 2000 (il formato adottato dal consorzio DCI) e SMPTE 412M (il VC-1, adottato dalla distribuzione nazionale e dalla maggior parte dei network extraeuropei, India e Cina in testa passando per gli Stati Uniti, la Svezia e il Brasile). M-box, con proiettori 2.0K e 4.0K e luminosità da 12.000 a 30.000 ansi lumen, è completamente interconnesso alla rete satellitare bidirezionale per la diagnostica, il monitoraggio remoto, l’assistenza 24 ore su 24, la ricezione live e il trasferimento di film (sia VC-1 sia DCP). M-box è la tecnologia DCI compliant che assicura il ritorno più breve sull’investimento a parità di sala. Tabella comparativa tra i sistemi offerti da Microcinema DCI Cinemakit M-box interoperabile VC-1 (SMPTE 412M) JPEG 2000 (DCI) MPEG 2 Formato di codifica (software di gestione dell’immagine) JPEG 2000 (DCI) VC-1 (SMPTE 412M) Supporto trasmissivo Hard Disk Satellite Risoluzione nativa dell’immagine 1080 1080 / 1536 1080 / 1536 2.0K (2048 x 1080p) 1.3K (1280 x 720p) 1.9K (1920 x 1080p) 2.0K (2048 x 1080p) 1.3K (1280 x 720p) 1.9K (1920 x 1080p) 2.0K (2048 x 1080p) Risoluzione dell’immagine (proiezione) 69 Satellite Hard Disk La digitalizzazione delle sale cinematografiche ha portato naturalmente più o meno consistenti risparmi alla distribuzione; risparmi che diventano tanto più interessanti quanto aumenta il numero di sale digitalizzate, risparmi che si avvantaggiano di un’offerta scalabile capace di aumentare il numero di cinema contemporaneamente raggiungibili senza più la stampa della pellicole, risparmi che si consolideranno con l’invio alle sale via satellite dei file DCI oggi trasferiti mediante hard disk. L’esperienza condotta da Microcinema sull’uso del satellite per la distribuzione cinematografica, conferma le sensazioni di molti operatori sugli impatti innovativi complessivi di filiera. Sarà possibile garantire, senza costi aggiuntivi, l’uscita in contemporanea di un film in modo semplice, velocissimo ed economico, utilizzando sistemi e piattaforme interoperabili e interconnesse, facendo della rete il vero fulcro del complicatissimo meccanismo digitale. Ma le piccole sale indipendenti, senza un chiaro percorso da seguire rischiano la deriva tecnologica, un costoso smarrimento in una foresta inestricabile. Per questo c’è bisogno di un fil rouge, di una rete che rappresenti una “mappa” delle tecnologie più accessibili, più adatte ad ogni realtà, più convenienti. Oggi Microcinema propone agli esercenti una percorso a più tappe, affinché possano scegliere tra diversi livelli di digitalizzazione, con garanzia di scalabilità da uno all’altro, e possano inoltre contare su un catalogo di contenuti molto ampio che spazia dai film, agli eventi registrati, ai live. E’ chiaro che chi ha investito cifre vicine ai centomila euro nella digitalizzazione DCI non può basare il proprio conto economico esclusivamente sulla proposta di eventi in diretta, ma questi rappresentano dei veri ricavi complementari, una nuova fonte di utili che consente di accorciare i tempi di recupero dell’investimento e di scegliere una digitalizzazione indipendente, che prescinde davvero dai rapporti di forza con le terze parti. Chi ha scelto di seguire la via della digitalizzazione con il Cinemakit per lavorare sui film dei distributori italiani, indipendenti e non, a fronte di un investimento pari ad un terzo rispetto all’investimento minimo DCI, si trova a poter lavorare, oltre che sugli eventi in diretta, sulle rassegne sia dei contenuti complementari sia di film e documentari, aumentando le occasioni di contatto e di fidelizzazione del proprio pubblico. 70 Sono molti i cinema che hanno riaperto grazie a questo sistema, mentre altri hanno evitato la chiusura, trovando nuove motivazioni per proporsi con proposte innovative e diversificate ad un pubblico rinnovato. Naturalmente hanno fatto la scelta coraggiosa di non seguire la via del cinema commerciale in 3D, facendo convivere la “vecchia” pellicola con l’innovazione e la versatilità digitale. Con oltre 200 film e 50 contenuti complementari digitalizzati on line, che rappresentano una tra le library più importanti nel mondo, si propongono al mercato come dei microplex indipendenti. Nella sezione successiva abbiamo dedicato spazio alle storie di alcuni di questi esercenti che hanno saputo, insieme a Microcinema, riaffermare l’importanza del cinema come luogo di incontro e offrire agli spettatori un’ampia gamma di contenuti, caratterizzando così l’immagine del proprio cinema in modo vincente. Discorso a parte per chi ha scelto l’esclusivo M-box che consente la più completa offerta al pubblico oggi disponibile. Cinema commerciale, film DCI 2D e 3D anche via satellite, film digitali europei e film di qualità proposti da Microcinema, sempre via satellite, i live e le opere in rassegna, i film della library per i diversi pubblici del mattino e del pomeriggio, le rassegne cinematografiche serali. Insomma un esercizio cinematografico sempre attivo per offrire al suo pubblico continui stimoli di intrattenimento culturale e commerciale. Dal mattino fino a notte inoltrata diviene possibile proiettare film e contenuti diversi, ognuno con il suo specifico pubblico. I film in prima visione rimangono immagazzinati in formato sicuro nei server e, dopo qualche settimana, si trasformano in contenuti per le rassegne da proporre alle scuole la mattina, agli anziani il pomeriggio, al pubblico del cineforum la sera. E poi l’opera lirica, il balletto e gli altri contenuti complementari che arricchiscono l’offerta da affiancare ai film più commerciali. 71 L’esempio che viene dal freddo di Silvana Molino Digitala Hus è un network svedese che ha scelto di digitalizzare spazi collettivi (sia vere e proprie sale cinematografiche, che centri polifunzionali, centri di incontro, parchi pubblici con zone di ritrovo, ecc.) per amplificarne il ruolo innato di centri di aggregazione e di condivisione sociale. Il network digitale è nato proprio nelle Folkets Hus och Parker, ovvero in alcune di quelle "case del popolo" in cui la popolazione svedese, provata da un clima rigido e da una morfologia di territorio un po' ostica per i nostri schemi di socializzazione, era in grado di identificarsi e di trovare una identità condivisa; luoghi di riferimento in cui arricchire (o talvolta semplicemente riempire) il proprio tempo libero con un intrattenimento culturale capaci di rispondere all'esigenza di svago mantenendo una forte coesione sociale e un adeguato livello culturale. Molti dei Folkets Hus och Parker sono diventati, grazie alla tecnologia applicata in modo virtuoso alla necessità, un network di Digitala Hus, di case digitali multifunzionali in cui hanno trovato posto i contenuti filmici, subito affiancati da documentari, corti, audiovisivi sperimentali, contenuti complementari come opera e balletto da teatri locali fino al MET di New York. Le case digitali hanno privilegiato il contenuto al mezzo, hanno superato – a dire il vero ancora prima che nascesse – la diatriba degli standard e dei canali di trasferimento dei contenuti: hanno scelto un livello di proiezione adeguato ai propri schermi prescindendo dunque, dove non necessario, dal 2.0K; hanno scelto algoritmi di codifica e compressione freeware con il miglior rapporto peso/qualità; hanno optato per il mezzo trasmissivo più adatto al proprio territorio e più efficace in relazione ai tempi/costi di distribuzione fisica delle copie dei film. E' nato in questo modo il primo circuito satellitare digitale, basato su tecnologia sostenibile, capace cioè di ripagarsi in tempi relativamente brevi attraverso i contenuti che veicola, ed è nato il primo concetto di “rete” per la distribuzione di contenuti filmici e non solo filmici. I 7 schermi attivati nel 2002 (tutti non DCI), sono diventati 50 nel 2008 e sono oggi 94 (14 DCI e 80 non DCI, tutti equipaggiati per il live): 72 schermi che si sono evoluti nella tecnologia mantenendo il ruolo centrale di collante tra le persone. Nei Digitala Hus, grazie all'utilizzo di tutte le opportunità offerte dal digitale, un digitale libero e non asservito ai voleri delle major, le persone trovano contenuti sottotitolati per non udenti oppure raccontati per i non vedenti; trovano film minori o grandi film in lingua originale; trovano ampia scelta di film locali e di corti; trovano preziosissime librerie di capolavori mai visti nel circuito della distribuzione ufficiale tradizionale; trovano strumenti flessibili da utilizzare per applicazioni interattive e per gare di videogiochi; trovano spazi e opportunità per il distant learning. Ecco insomma che cosa può diventare un digitale democratico, che non fa parlare di se in quanto tecnologia, ma che lascia intendere di se in quanto opportunità di cultura, di formazione, di intrattenimento, di crescita, di identità e di socialità. 73 Microcinema, che cosa è successo in questi anni di Roberto Bassano Guardarsi indietro per un’azienda è importante per valutare manchevolezze, errori e successi, per poter costruire il proprio futuro. Nella prefazione annotavo che il network è molto cresciuto, che Microcinema ha consolidato la sua leadership, che le nostre proposte stanno allargando il loro ambito e la loro frequenza, che, insomma, non possiamo che essere soddisfatti della nostra storia. La soddisfazione più grande nasce dal rapporto instaurato con gli esercenti. Un rapporto che prima nel mondo dell’esercizio forse mancava. Ci riempie di soddisfazione ricevere ringraziamenti per il modo in cui operiamo, per la trasparenza, la correttezza, la serietà. Per mantenere sempre gli impegni. Per noi – nessuno di noi, tranne uno, proviene dal mondo del cinema – è naturale comportarsi così. Eppure ci rendiamo conto che anche nel modo di operare abbiamo portato una ventata di novità che spero sia a beneficio stabile di tutti. Dedicare qualche riga del nostro terzo Quaderno al nostro operato è corretto nei confronti di tutti, delle sale in primo luogo, dei distributori che ci aiutano, di tutti i nostri collaboratori che, chi dal primo giorno chi da pochi mesi, hanno dedicato le proprie energie, in modo generoso e intelligente, a questo progetto. Microcinema ha un elenco di primati che difficilmente potrà essere eguagliato. Dal 2006 ad oggi Microcinema ha percorso un cammino difficile e pieno di insidie, come apripista di un mondo, il cinema digitale, inizialmente sogguardato come qualunque innovazione, come un pericolo destinato a cambiare usi e inveterate abitudini. Dobbiamo dire grazie ai quei venticinque pionieri, tutti Sale della Comunità, che a dicembre del 2006 aderirono per primi al progetto, con grande entusiasmo, accettando di fare da cavie per un sistema innovativo che certamente funzionava ma, fino a quel momento, solo sulla carta. Oggi brindiamo insieme ad un successo. L’investimento era impegnativo (parecchi milioni di euro) e il rischio elevato, esattamente come la passione che ci ha guidato fin qui. La precisione nello sviluppo del progetto, e anche un pizzico di fortuna nell’evitare imprevisti che 74 avrebbero rallentato il processo, hanno fatto sì che oggi Microcinema sia il riferimento per il cinema digitale in Italia. Insieme a quei venticinque coraggiosi anticipatori (e insieme a noi visionari) siamo stati i primi a creare una rete di cinema, collegati tra loro via satellite, con l’obiettivo di sviluppare un network per la condivisione dei contenuti, di favorire la circolazione dei film e di modificare radicalmente il modello di cinema cui eravamo abituati. Un esercizio che in questi anni ha consentito la trasformazione di molte sale da monosala a microplex con un’offerta flessibile, rivolta a diverse fasce di pubblico in differenti orari e giorni, realizzando di fatto una sala cinematografica che può offrire il video on demand. Poi siamo stati i primi a proporre al mondo del cinema i contenuti complementari, complementari e non alternativi come qualcuno, in negativo, pretendeva di chiamarli, realizzando via satellite il 20 aprile 2007, capofila in tutto il mondo, la prima diretta su scala nazionale: la Traviata dal Teatro dell’Opera di Roma. I nuovi contenuti culturali e di intrattenimento che entrano al cinema non sono alternativi ai film ma sono complementari, occupano spazi che altrimenti rappresenterebbero un segno negativo nei bilanci degli esercizi cinematografici. Ed è proprio basandosi sulla redditività di opera lirica, concerti, balletti, cinema d’autore e documentari che molte sale hanno riaperto o evitato la chiusura. Abbiamo dedicato una sezione del Quaderno alle storie di alcune di queste sale che tenacemente sono sopravvissute al naufragio o lo hanno scongiurato virando verso le acque tranquille della flessibilità digitale. E siamo fieri di avere partecipato con loro a questa impresa. Oggi sono in molti a proporre contenuti ed eventi, dal calcio al pop. Non concorrenti ma amici che hanno deciso di intraprendere la nostra stessa strada. E ne siamo lieti: più questa tendenza si diffonderà e prenderà piede, più tutti ne beneficeremo. Noi intendiamo proseguire nel nostro cammino seguendo la nostra filosofia iniziale: i contenuti sono rivolti al pubblico e, proprio per questo, non possiamo fare differenziazioni tra gli standard di proiezione; tutti possono ricevere i contenuti che trasmettiamo in diretta. Il pubblico può scegliere tra il multiplex più avanzato tecnologicamente e la piccola monosala dove forse l’audio è ancora stereo e lo schermo mostra i segni del tempo. 75 Siamo stati i primi a creare un network di 100 sale in rete, oggi già in dirittura verso le 200, e poi avanti fino a connettere tutte le sale che nei prossimi anni decideranno di fare una scelta digitale sostenibile. Sono sale che utilizzano indifferentemente sistemi Microcinema con proiettori con risoluzione 1.3k e 1.9k e sistemi DCI o interoperabili Mbox con risoluzione 2.0k. La risoluzione nativa dei contenuti inviati non cambia per i differenti sistemi, sempre 1080 linee, anche questo un primato che è stato la chiave per realizzare una scalabilità concreta e senza sorprese. I primi a garantire alle sale la possibilità di accedere a un sistema di sala interoperabile che svincola l’esercente dalla scelta di uno standard. Con M-box le sale italiane sono in grado di dotarsi di un sistema che, con un unico server, garantisce la possibilità di proiettare film in DCI 2D e 3D, film in prima visione del catalogo Microcinema e le opere liriche di RAI Trade o della Royal Opera House, gli eventi live e qualunque altro contenuto in linea con le scelte editoriali di ognuno. Siamo stati i primi, nonché gli unici, a proporre alle sale un sistema scalabile che preserva l’investimento nel cinema digitale. L’ upgrade da Cinemakit ad M-box permette all’esercente di non perdere neanche un euro del suo investimento iniziale. I primi a proporre in Italia i DCP distribuiti via satellite su scala europea insieme ad un player di respiro mondiale e, ahimè, non europeo, quale Arqiva. I primi a proporre automazioni di nuova generazione che svincolano le sale da vecchi ricatti feudali legati a sistemi fondamentalmente elettromeccanici. La partnership con la texana AMX fornisce a tutte le sale italiane la stessa piattaforma che viene utilizzata negli automatismi e nelle sicurezze dei centri congressi, delle navi, dei negozi in tutto il mondo. Ed ora siamo i primi a portare in Italia un’opera lirica in 3D e 2D, la Carmen di Georges Bizet dalla Royal Opera House di Londra. Uno slogan olimpico di qualche anno fa (oggi di una nota radio) diceva “la passione ci guida” e un altro, riferito alla mia città, recitava “always on the move”. Ecco la sintesi di Microcinema. In chiusura dobbiamo anche confessare a tutti: però, che fatica arrivare fino a qui! 76 Lo sguardo altrove Un futuro digitale di Roberto Bassano La “bolla” del cinema digitale. Ci sono circa 80.000 schermi cinematografici nel mondo occidentale (escludendo Cina, India e gran parte dell’Africa). In Cina ci sono approssimativamente 4.000/5.000 cinema moderni, di cui circa 700 in 3D DCI (e altre decine di migliaia che utilizzano i sistemi digitali di proiezione più disparati) e in India più o meno 18.000. In pochi anni, quindi, potranno essere convertiti al digitale oltre 100.000 schermi. Durante l’ultimo decennio il numero di sale digitalizzabili è rimasto pressoché invariato. Texas Instrument – depositario del brevetto e unico produttore esclusivo al mondo del chip DLP cinema, utilizzato da tutti i produttori di proiettori digitali accettati dalle specifiche DCI – riporta nella sua relazione annuale che, alla fine del 2009, vi erano 15.571 schermi che avevano introdotto sistemi di proiezione in digitale. Nel 2010 si prevede che gli schermi convertiti al digitale saranno circa 20.000. Le capacità produttive messe in campo da Barco, Christie e NEC stanno faticando a produrre i proiettori per rispettare la previsione. Per confronto il volume di E-cinema per il 2010 non raggiungerà i 10.000 schermi. Concediamoci un calcolo aritmetico puro sui tempi della conversione complessiva al digitale: con una capacità di 20.000 sistemi l’anno, per convertire tutti gli schermi disponibili sarebbero necessari tre anni e mezzo e il processo terminerebbe nel 2015. E’ improbabile che, per i ben noti motivi legati alla crisi economica e finanziaria, tutti questi schermi possano essere convertiti facilmente. Bisogna anche ricordare che la disponibilità dei proiettori non è solo legata alla disponibilità del chip DLP di Texas; oltre alla capacità produttiva delle diverse aziende (Christie, leader assoluto di mercato, ha appena inaugurato una nuova fabbrica in Cina), è necessario che siano disponibili le ottiche e tutti gli altri componenti. Catene più piccole e cinema di proprietà individuale saranno più sensibili al problema finanziario; cinema indipendenti e piccoli multiplex 77 potranno risentire delle conseguenze del modello VPF. E poi, in fondo in fondo, non è facile da prevedere il successo del fenomeno 3D, al suo terzo tentativo di fare breccia, cambiando le sorti del mercato che negli Stati Uniti, nel primo semestre del 2010, pare avere mostrato i primi segnali in controtendenza: il mix di sbigliettamento tra 2D e 3D sta mostrando una crescita del primo a svantaggio del secondo. In questo momento iniziale di grande attenzione, sia del pubblico sia delle produzioni, il 3D sembra comunque fornire un argomento convincente e forse addirittura determinante per la conversione da pellicola a digitale. Dalla relazione della Texas Instruments si desume che i tre produttori di proiettori DCI hanno ordini sufficienti per coprire l’intera capacità produttiva fino ai primi mesi del 2011. Gli ordini che saranno evasi nei prossimi sei mesi sono già stati sottoscritti dagli esercenti sulla spinta degli attuali guadagni sui film 3D. Il dato riconosciuto a livello mondiale è che un film in 3D generi o sia in grado di generare il 250-300% di profitto in più rispetto al 2D. E’ una spinta quasi irresistibile per indurre una sala cinematografica a convertirsi. Una considerazione a sé va fatta per il cinema digitale non riconosciuto come D-cinema ma identificato – anche se semanticamente in modo improprio – come E-cinema. I produttori mondiali di proiettori propongono un modello di business invitante per i costi potenzialmente più bassi rispetto al D-cinema, per la possibilità di garantire diversi livelli di sicurezza come il D-cinema, se richiesto, e per la capacità di proporre soluzioni flessibili a seconda della capacità di spesa dell’acquirente. Soluzioni che salvaguardano il risultato visivo sullo schermo senza legare la disponibilità di prodotto a specifiche artificiosamente imposte da produttori e distributori. Adottare l’E-cinema può sembrare restrittivo, perché i sistemi non DCI non possono, ufficialmente, proiettare contenuti di Hollywood. Tuttavia Digital Projection ha appena rilasciato una serie di DLP 3 chip 1080p a basso costo che sono in grado di soddisfare tutti gli standard DCI, salvo avere una risoluzione di proiezione di 1920 pixel anziché 2048, mentre proiettano i film 3D con la stessa qualità dei sistemi DCI, con occhiali sia attivi che passivi. Digital Projection è stato, insieme a Texas Instrument, lo sviluppatore del chip DLP adottato dal consorzio DCI quando i proiettori avevano una risoluzione massima di 1.3K, ed è stato dunque il primo produttore di sistemi DCI. 78 E’ del 12 agosto 2010 la notizia che Digital Projection inizierà ad installare i primi 400 proiettori, con risoluzione 1.9K full HD per il circuito indiano K Sera Sera (sì, proprio come la canzone) di Bombay, una delle più importanti aziende nel settore media ed entertainment, specializzata nella produzione e distribuzione di film. K Sera Sera ha deciso di costruire 500 nuovi cinema per un totale di 1.000 schermi. Saranno, dice il comunicato stampa, miniplex di città, ciascuno dei quali avrà due sale con capacità rispettivamente di 75 e 125 posti. I dati comunicati da Texas, molto precisi, tengono conto della propria capacità produttiva e di quella dei tre partner costruttori dei proiettori ma non considerano, apparentemente, in alcun modo le previsioni degli analisti di mercato. Solamente in Cina, i cinema aumenteranno di circa 30.000 unità entro il 2015 e in India si prevede un incremento di circa 10.000 schermi. E’ chiaro che questo mercato, prudentemente stimato in 40.000 unità perché non tiene conto dello sviluppo degli altri paesi dell’area, sarà occupato da cinema con standard diversi dal DCI che prevedono un investimento economicamente sostenibile. Nel 2015 si presume che il box office cinese arrivi a 10 miliardi di dollari, divenendo il primo mercato del mondo. Oggi l’importazione di pellicole dall’estero è contingentata a 20 all’anno4. D-Cinema vs E-Cinema. Nonostante tutte queste dinamiche, che paiono contraddittorie e spiazzanti, si può razionalmente prevedere che nella maggior parte dei paesi occidentali il D-cinema vincerà rispetto all’ E-cinema, per quanto riguarda la diffusione dei film di Hollywood, e il fattore determinante sarà proprio rappresentato dalla disponibilità di contenuti di Hollywood. Qualsiasi business plan orientato ad un successo veloce e di ampia portata, include i film di produzione hollywoodiana. Cina ed India, e con loro tutti i paesi di quell’area, sembrano maggiormente refrattari alla conversione digitale con sistemi D-cinema, e si stanno guadagnando la qualifica di paesi orientati all’investimento sostenibile e per questo più interessati al modello E-cinema. In effetti il D-cinema potrebbe vincere solo se ci fosse una crescente domanda di contenuti di Hollywood, se Hollywood non fosse disposta a fornire i 4 La Stampa, 15/08/2010 79 propri contenuti attraverso installazioni E-cinema (ovverosia fosse disponibile a rinunciare a parte degli incassi, fatto che per assioma è impossibile) e, infine, se i costi del D-cinema fossero ridotti radicalmente, in modo da avvicinarsi a quelli dell’ E-cinema. Se i costi dei sistemi DCI non scenderanno del 40% difficilmente le major di Bollywood saranno disponibili a favorire la sostituzione di migliaia di cinema già funzionanti via satellite con i costosi sistemi proposti da Hollywood. Sarà comunque la posizione Reliance a determinare le scelte di questo mercato, e non solo. A ciò si aggiunga che la visione del 3D non ha alcuna differenza reale tra i sistemi equipaggiati con proiettori DCI e i sistemi alternativi con proiettori 1.9 che utilizzano un chip di più moderna generazione. Contenuti. C’è un vecchio detto nell’industria film cinematografica riconosciuto a livello mondiale: “il contenuto è re”. Hollywood mette in pratica questo detto quotidianamente, con costanza, e riconosce che il controllo dei contenuti è il suo patrimonio più importante. In mercati in cui le major hollywoodiane hanno affari in corso e business facilmente gestibili, è abbastanza improbabile che sia autorizzata la conversione digitale utilizzando sistemi non DCI. La situazione in Cina è complessa anche a causa delle restrizioni che il governo cinese impone sul numero di film di Hollywood che possono essere proiettati; le programmazioni di Avatar5 in 2D sono state bloccate a gennaio per lasciare spazio alla biografia, politicamente corretta, su Confucio di Hu Mei. Per questo la digitalizzazione in Cina non è, allo stato attuale, una partita semplice per le major e per i sistemi DCI, in particolar modo se i prezzi degli apparati di proiezione non scenderanno in modo sensibile. Un'altra considerazione da fare è 5 Avatar di James Cameron, racconta la storia della popolazione originaria del pianeta Pandora che si batte contro i colonizzatori terrestri, venuti per impadronirsi con la forza delle sue risorse naturali. Nella vicenda il governo di Pechino potrebbe avere intravisto un riferimento alle minoranze etniche della Cina, i tibetani e gli uighuri – un’etnia turcofona di religione islamica – o anche alle requisizioni forzate di terre nelle campagne e di vecchie case di abitazione nelle città, che vengono demolite per far posto ai centri commerciali e ai complessi residenziali di lusso, settore trainante del miracolo economico cinese. 80 che uno standard diverso dal DCI di Hollywood avrebbe due vantaggi fondamentali per la Cina popolare: favorirebbe e proteggerebbe la cinematografia locale e faciliterebbe il controllo, a livello governativo, della circolazione dei contenuti. In India la predominanza di Bollywood rappresenta, come abbiamo già accennato uno scenario diverso. La Reliance MediaWorks, che possiede oltre 500 schermi in India e che fa capo al gruppo di Anil Ambani, ha recentemente stretto un accordo con UFO Moviez che rappresenta il più grande network satellitare di cinema digitali del mondo con 1800 schermi, tutti rigorosamente non DCI, in India. E’ probabile che se le major di Hollywood vorranno ampliare la loro presenza in India dovranno trovare un accordo con Ambani. Di Ambani avevamo già parlato nel primo Quaderno di Microcinema. La sua Reliance ha prodotto i due maggiori film di successo di Bollywood nella scorsa stagione; attraverso Adlabs film, società di produzione e distribuzione controlla il 70% (settanta!) del mercato indiano ed è nota per avere coprodotto con Hollywood Marygold. Possiede una partecipazione di controllo nella DreamWorks di Steven Spielberg con la quale sta coproducendo una serie film per 825 milioni di dollari (tra cui uno su Martin Luther King); ha contratti con le maggior star del cinema di Hollywood per sviluppare i loro film. Solo per ricordarne alcuni: Brad Pitt, Jim Carrey, Julia Roberts e George Clooney. La Reliance di Mombay spazia dalle telecomunicazioni alla televisione, dallo spettacolo ai servizi finanziari. Con motivazioni differenti, per le ragioni sin qui esposte, in India e Cina ci sono opportunità significative per l’E-Cinema e per il D-Cinema Lo sforzo di fornire prodotti 3D per E-cinema, insieme alla distribuzione e gestione dei contenuti, potrebbe essere una proposta molto valida per supportare un passaggio al digitale capace di arrivare a tutto il settore cinematografico, a livello planetario, innescando finalmente il circolo virtuoso del risparmio delle copie 35 mm e dell’utilizzo di sistemi di trasferimento dei file che prescindano dalla copia fisica. Avanzando un’ipotesi macroeconomica è possibile che la Cina, e forse anche l’India, aprano il proprio mercato a un maggior numero di film di Hollywood; allora Hollywood – per reciproco interesse economico – 81 potrebbe permettere la distribuzione di questi film su piattaforme ECinema. Ma se ciò accadesse, ed è molto probabile, ci troveremmo ad avere il 75% e più del mercato cinematografico digitalizzato con quei sistemi che sono stati per anni considerati di serie B, dimenticando, forse, che ancora oggi moltissime sale proiettano con sistemi DCI in 1.3K. L’ultimo importante motivo di riflessione ci arriva sempre dall’India. Da gennaio è iniziata una trattativa tra Reliance e Sony che sarebbe interessata a vendere la Metro Goldwyn Mayer titolare, tra gli altri, dei diritti su 007 e la Pantera rosa. Se questa trattativa andasse in porto gli indiani avrebbero accesso ad un catalogo cinematografico holliwoodiano da proiettare, a loro scelta, in pellicola, in VC-1, in MPEG e in JPEG (DCI). Ma MGM è anche uno dei soci della Digital Cinema Iniziative (DCI) che da sempre si batte per tentare di imporre uno standard costosissimo, ma americano. Come gestirà DCI il rapporto con il potentissimo Anil Ambani che, attraverso accordi industriali, controlla il più grosso circuito cinematografico mondiale collegato in network, rigorosamente non DCI? L’utilizzo di uno standard differente da Hollywood pone Ambani e le sue aziende in una posizione di forza perché si trovano a poter influenzare le politiche commerciali sulla distribuzione dei film di Hollywood in India. E un diverso standard tutela e favorisce il cinema locale dove l’influenza di Reliance è molto importante. Gli Indiani a Venezia Da tre anni il server DCI che supporta le proiezioni digitali i film a Venezia è prodotto dall’indiana Qube. Microcinema insieme con Qube, ha sviluppato il software e l’hardware del server interoperabile M-box , che supporta indifferentemente le proiezioni 1.3K, 1.9K, 2.0K, rispettando i protocolli Microcinema e DCI. 82 L’universo tridimensionale di Rolando Alberti Avevo da poco compiuto vent’anni quando, nel luglio del 1983, mi ritrovavo in coda alla cassa del cinema del paesello in attesa di accaparrarmi un posto e dei buffi occhialetti bicolore, per assistere a “Lo squalo 3D” che, se non è passato alla storia come capolavoro, lo è invece per il fatto di essere stato un esempio di come un film mediocre sia riuscito, proprio grazie al 3D, a totalizzare un box office rispettabile. A 27 anni di distanza mi ritrovo di nuovo in un cinema con un paio di occhialini 3D sulla testa e mi domando le ragioni del reiterato sdoganamento della stereoscopia che, dal 1922, viene periodicamente messo in atto dal mondo del cinema quasi fosse una specie di medicina estrema per superare i periodi di crisi. Tuttavia sembra che questa volta sia un fenomeno diverso e probabilmente duraturo, visto che la tecnologia digitale permette di gestire immagini stereoscopiche senza tutti quei complicati accorgimenti del passato. Il fenomeno 3D non è quindi un fatto recente: la sua invenzione risale addirittura al 1838 e scaturisce dalla brillante mente di Sir Charles Wheatstone, un eclettico inventore e fisico che si distinse in quell’epoca per essere una fucina di idee, tra cui appunto lo stereoscopio, uno strumento che permetteva di visualizzare immagini tridimensionali. Fu però solo nel 1922 che il primo film stereoscopico, intitolato “The power of love”, fu presentato al pubblico curioso dell’Ambassador Theatre di Los Angeles, seguito da altre pellicole non particolarmente fortunate che, anche per la depressione scatenata dalla crisi economica del 1929, non contribuirono certo al successo del 3D. Passati i periodi di vacche magre, nel 1933 i fratelli Lumiére presentarono al pubblico quello che da molti è ritenuto il primo vero film commerciale in 3D, ovvero il remake in 3D del loro storico “L’arrivée du train” del 1895. I sistemi 3D dell’epoca erano piuttosto complessi e si basavano sugli “anaglifi”, ovvero due immagini sovrapposte che rappresentano ognuna il punto di vista di ciascun occhio e che, grazie all’aiuto di filtri colorati montati su degli appositi occhiali, davano l’illusione della profondità delle immagini. E’ da notare che i primi esperimenti si basavano su due pellicole proiettate parallelamente da due proiettori, “virate” in verde e rosso e 83 sincronizzate tra loro, che, viste con gli appositi occhialini, rendevano l’effetto tridimensionale. L’anaglifo è senza dubbio il metodo più semplice per vedere un’immagine 3D ma è, allo stesso tempo, anche il più rudimentale e il meno efficiente. La vera svolta tecnologica arrivò nel 1932 con le lenti polarizzate lanciate originariamente dalla Polaroid per ridurre l’effetto abbagliante dei fari delle automobili incrociate durante la guida e che solo successivamente vennero utilizzate, quasi per caso, nel cinema. E nel 1939 si arrivò così al primo film commerciale girato per presentare la Chrysler Plymouth all’esposizione universale di New York. Questa tecnologia richiedeva l’utilizzo di uno schermo argentato in grado di riflettere la luce in modo maggiore rispetto ai normali schermi bianchi, compensando in tal modo la luce “persa” dall’operazione di filtraggio. E’ fondamentalmente rimasta immutata da allora ed è alla base degli odierni sistemi digitali basati su lenti polarizzate quali Dolby, Real-D e Masterimage. Nel 1940 la seconda Guerra Mondiale rimise occhiali, polarizzazione e anaglifi nel cassetto fino ai primi anni ’50. Nel 1952 la corsa al 3D riprese in tutto il suo splendore grazie alla discesa in campo degli studios che abbracciarono questa tecnologia, seppur con la complicazione delle due pellicole da mantenere sincronizzate, producendo svariati film in tre dimensioni; dalla Disney alla Fox, dalla Paramount alla Warner Bros, il mercato fu letteralmente invaso da film in 3D fin verso il 1955 quando, passato l’entusiasmo per questa vera e propria moda, le problematiche tecniche legate a questo tipo di proiezioni, il fatto non trascurabile che una visione prolungata di immagini stereoscopiche provocava spesso nel pubblico problemi di ordine psicofisico, unitamente alla comparsa del formato widescreen, ne segnarono un rapido e progressivo declino fino alla quasi totale scomparsa in capo a pochi anni. Negli anni ’60 una nuova tecnologia, quella che permetteva di sovrapporre le due immagini in un’unica pellicola, diede nuovo impulso alla produzione 3D che vide circa una quarantina di release significative nei dieci anni successivi per poi subire un ulteriore rallentamento a favore del sistema IMAX 3D che meglio era in grado di rendere questo tipo di produzioni su uno schermo che “avvolge” lo spettatore. 84 In questo andirivieni di successi che collocano storicamente il 3D come “fenomeno di moda”, per non dire come un “reiterato tentativo di supplire alla scarsità di contenuti con effetti speciali”, giungiamo ai giorni nostri, in cui la proiezione digitale permette di gestire in maniera ottimale questo tipo di prodotto. In effetti anche la TV può ora beneficiare della tecnologia 3D e questo nuovo fatto – sebbene già negli anni ’90 dello scorso secolo esistesse la TV 3D – è alla base del ritrovato entusiasmo per i film in 3D. Oggi i film 3D, pur non avendo invaso mercato, popolano i cataloghi dei distributori in maniera sempre maggiore a testimonianza che l’essere umano molte volte ha la memoria proprio corta e tende a reiterare i propri insuccessi, proponendoli come innovativi a un mercato di massa che reagisce quasi sempre con esuberante entusiasmo. Tecnicamente, per dirla in modo molto semplice, la stereoscopia, messo in soffitta l’anaglifo, si basa su due tecnologie: le lenti polarizzate o gli otturatori LCD. Entrambe fanno in modo che le immagini indirizzate a ciascuno dei due occhi raggiungano solo quello a cui sono destinate impiegando o luce polarizzata, con relative lenti polarizzate, oppure otturatori LCD che, aprendosi e chiudendosi in sincronia con il proiettore al doppio del frame rate normale – cioè 48 fotogrammi al secondo – creano nel cervello la sensazione della profondità della scena. Attualmente disponiamo di tre diversi tipi di sistemi 3D che non sono compatibili tra loro e richiedono quindi che la sala scelga il sistema che ritiene più idoneo sulla base delle proprie valutazioni tecniche ed economiche. La buona notizia è che i contenuti, a prescindere dal sistema di riproduzione utilizzato, sono sempre gli stessi e non devono essere pubblicati con metodi diversi, e ciò grazie alla lungimiranza del consorzio DCI che ha stabilito che qualsiasi sistema 3D debba partire comunque dallo stesso tipo di immagini. La differenza fondamentale tra i tre sistemi sta nel punto in cui la luce viene “manipolata” e nel metodo con cui ciò avviene. Nei sistemi Real-D e MasterImage la luce viene polarizzata circolarmente e gli occhiali utilizzati sono detti “passivi” in quanto non hanno alcun tipo di sincronizzazione con le immagini poiché le due lenti sono polarizzate una in senso orario e l’altra in senso antiorario, fungendo così da filtro per l’immagine ad esse destinata. La 85 polarizzazione della luce avviene a livello del proiettore grazie a uno schermo trasparente che ne cambia la direzione a seconda delle informazioni che giungono dal proiettore medesimo. In questi due sistemi gli occhiali sono generalmente usa e getta, anche se ne esistono delle versioni riutilizzabili, poiché il loro costo industriale è relativamente basso essendo dei semplici occhialini in plastica con lenti anch’esse in plastica. Nel sistema X-Pand gli occhiali sono “attivi”, fungono cioè da otturatore agendo in funzione dell’immagine proiettata e mostrando alternativamente all’occhio destro e a quello sinistro le informazioni ad essi destinate. Questi occhiali sono riutilizzabili poiché la tecnologia che contengono è piuttosto complessa e costosa. Il sistema Dolby utilizza invece una versione avanzata dell’antica dicromia impiegata negli anaglifi degli anni ’80: la luce non è polarizzata ma semplicemente colorata diversamente a seconda dell’occhio a cui è destinata l’immagine. Gli occhiali hanno a loro volta delle lenti leggermente colorate che filtrano l’immagine in base al colore in cui essa è “virata”. Gli occhiali Dolby sono anch’essi riutilizzabili poiché il costo di produzione delle lenti è particolarmente elevato e tale da non consentire una versione usa e getta. Nel cinema stiamo assistendo a un picco di interesse legato sia a un reiterarsi della “moda”, che riporta il pubblico in coda al botteghino, sia alla volontà dei produttori di cavalcarla per ottenere maggiori profitti. Non va tuttavia dimenticato il lancio di alcuni film tecnicamente e artisticamente costruiti in modo da trarre il massimo dalla stereoscopia. Il settore consumer sta reagendo all’introduzione di apparecchi e contenuti in 3D che vale la pena analizzare perché rappresenta la reale motivazione che spinge gli studios a ritentare di nuovo la via del 3D. Da un punto di vista commerciale e di marketing il passaggio al 3D significa infatti dare il via alla vendita di milioni di televisori, occhialini, lettori Blu ray di nuova generazione, computer portatili, telefonini, schermi, dispositivi di ogni tipo e via discorrendo che richiederanno contenuti 3D di ogni genere. Un mercato globale di proporzioni abbastanza interessanti che, secondo le statistiche, è destinato a crescere rapidamente. Un rapporto pubblicato a gennaio 2010 da DisplaySearch, una società specializzata in questo tipo di ricerche, prevede che il mercato dei display 3D passerà da 0,6 milioni di unità vendute nel 2009 a 196 milioni nel 2018, con un fatturato di 22 miliardi di dollari e un tasso di crescita annuo del 38%. 86 A fare la parte del leone saranno naturalmente i televisori nella loro versione 3D ready, sebbene al momento non esista uno standard preciso né dal punto di vista della produzione dei contenuti, né da quello della loro fruizione. Seguono i monitor per PC, per i quali si prevede una più modesta penetrazione del 3,6% nel 2018, e i notebook PC con il 3,2%. Interessante il dato secondo cui nel 2018 saranno in circolazione 71 milioni di telefonini 3D ready, dei quali la buona parte con schermi tra gli 1” e 4”. La tecnologia più diffusa sarà quella LCD accoppiata agli occhiali, che costituiscono per ora il vero e più evidente limite alla diffusione di schermi di grandi dimensioni. Almeno fino a quando gli schermi auto-stereoscopici, cioè capaci di rendere la terza dimensione senza occhiali, non avranno superato gli attuali limiti. Inoltre, sempre secondo questo rapporto, esistono al momento oltre 150 aziende che producono dispositivi correlati ai display 3D e oltre una dozzina di diverse tecnologie 3D. Nel frattempo, nello scorso aprile 2010, Sky ha lanciato in Gran Bretagna il suo primo canale 3D-HD, visibile grazie allo SkyBox HD già in uso dagli abbonati e a un display 3D ready. Il canale è destinato principalmente ai pub dove gli inglesi possono recarsi per assistere alle partite di calcio della Premier League. E, sempre a proposito di calcio, anche i mondiali del Sud Africa sono stati ripresi e trasmessi anche nella versione 3D, destinata principalmente ai consumatori inglesi, dove il 3D domestico è più diffuso che in altre nazioni. Per i broadcaster di mezzo mondo è stato un importante test delle possibilità di penetrazione di questa tecnologia in ambito consumer, anche dal punto di vista tecnologico e di fattibilità. Altri esperimenti annunciati riguardano il Belgio, che da maggio 2010 ha iniziato a trasmettere partite di calcio, Bell TV in Canada, che invece ha scelto il Golf, il canale USA sportivo EPSN, che sta stringendo alleanze con Sony per essere 3D nel 2011 e Canal+ in Francia, che sta facendo sperimentazioni su vari contenuti. Ricalcando una modalità piuttosto collaudata a livello di contenuti sono ancora una volta gli eventi sportivi la leva più utilizzata per fare breccia nei gusti dei consumatori. Tutta questa sperimentazione sta dando il via anche alla possibilità di fruire nei cinema di eventi live in 3D ed è questa la prossima frontiera a cui molti content provider puntano anche se, per il momento, la mancanza di standard mantiene ancora i progetti in una fase di test. Tuttavia l’inglese Arqiva, che è probabilmente la società con l’offerta 87 tecnologica meglio strutturata, ha portato nei cinema il Torneo 6 Nazioni di rugby in 3D e progetta di fare presto lo stesso con altri eventi, per lo più sportivi. Gli stessi mondiali di calcio, sebbene l’intricato gomitolo dei diritti e della tecnologia impiegata dalla produzione non abbia consentito di rendere tutto l’evento disponibile per tutte le sale del mondo, sono stati proiettati in 3D, con grande successo, in Korea, nella catena CJ Golden Village, grazie ad una iniziativa di Ericsson. Anche in Italia il circuito The Space, molto attivo nel 3D e nei live, ha mostrato al proprio pubblico la finale di coppa Italia in 3D e alcune fasi dei mondiali di calcio. Come abbiamo detto la tecnologia del 3D al cinema per gli eventi live non è ancora stata definita in maniera assoluta e la standardizzazione è ancora piuttosto lontana. Perciò le sale che hanno mosso i primi passi in questo senso, pur mettendo a disposizione i dispositivi 3D usati per il cinema, vengono per ora completate da dispositivi messi a disposizione invece dagli operatori di telecomunicazione o dai content provider perché, vista l’esperienza del digitale nel suo insieme, gli esercenti sono giustamente guardinghi nell’investire fino a quando uno standard preciso non sarà definito da SMPTE o non si affermerà qualche standard de facto. A monte di questa situazione vi è anche una battaglia tra i produttori di tecnologia e i content provider in cui i primi tendono ad introdurre un business model in virtù del quale i secondi debbono pagare delle royalties per l’uso della loro tecnologia: un sistema apparentemente interessante per ridurre i costi iniziali ma che, alla lunga, si presenta piuttosto oneroso. Segno comunque che sono in molti a credere nel live 3D per i cinema. A prescindere dalla tecnologia che, allo stato, è da considerarsi matura per sostenere in maniera relativamente semplice il 3D, vi è una serie di considerazioni di ordine pratico da fare che potrebbero ridimensionare un fenomeno tornato di moda una volta passato l’entusiasmo per la novità. Partiamo dagli occhiali che – diciamocelo francamente – sono veramente scomodi da portare per un’ora e mezza. Non ci si aspetta certo una montatura in leggerissimo titanio ma, oltre all’aspetto da protesi, questi occhiali, e specialmente quelli attivi che hanno al loro interno anche una batteria, non sono affatto leggeri né tantomeno ergonomici; pesano parecchio ed occludono la visione laterale con le loro enormi bacchette che, in compenso, tendono a riflettere sui lati del campo visivo le immagini che provengono dallo schermo. Fin qui 88 nulla di grave se non fosse che, nel caso in cui lo spettatore indossi già degli occhiali, la convivenza di due montature sullo stesso naso diventa piuttosto complessa e fastidiosa, a meno di non indossare delle lenti a contatto o di rassegnarsi a vedere quasi tutto il film completamente sfocato. Per non parlare del fatto che alcuni occhiali hanno un sensore posto tra le lenti a cui è deputato il compito di ricevere il segnale di sync e che, nel caso ci si aggiustino gli occhiali sul naso, viene oscurato dal dito, provocando per qualche secondo la visione “sdoppiata” dell’immagine stereoscopica. In realtà i problemi per lo spettatore iniziano già dalla cassa del cinema quando, oltre ad un biglietto generalmente maggiorato, ci si sente richiedere un documento come “cauzione” per gli occhiali, come nei convegni multilingua in cui la patente funge da ostaggio per la cuffietta della traduzione simultanea. Non meno complicata è la situazione per l’esercente della sala il quale deve organizzare gli occhialini in modo da poterli distribuire velocemente, dopo averli puliti e – si spera – disinfettati ogni volta, ed aver anche creato uno spazio in cui tenere i documenti degli spettatori che, a fine spettacolo, dovranno essere restituiti al legittimo proprietario. Dato poi che un paio di occhialini attivi può arrivare a costare anche 40 o 50 Euro, molti si domandano quale sia, per un esercente, il reale vantaggio economico derivante da un simile investimento che va ovviamente moltiplicato per il numero di posti in sala e per una non ben definita quantità di batterie nel caso di occhiali attivi. Nel caso di occhiali usa e getta il basso costo si moltiplica per le centinaia di paia impiegate, il che rappresenta tuttavia un vero e proprio insulto ecologico per i problemi legati allo smaltimento di tutta quella plastica non biodegradabile. Sul fronte della produzione, a parte il fatto che già dalle riprese tutta la filiera si complica aumentando i costi, resta poi da capire quali film traggano effettivamente vantaggio dal 3D da un punto di vista artistico. I film francesi d’autore girati con camera fissa? Le commedie? I film d’azione? I thriller? Sicuramente a trarre il maggior beneficio sono i film d’animazione poiché pensati, scritti e diretti con il 3D in mente. Purtroppo, come successe per l’audio surround, ci vorrà del tempo prima che si trovi la giusta misura tra l’espressione artistica e la tentazione di tramortire il pubblico: nel frattempo la Xamamina potrebbe sostituire i popcorn. E’ indubbio che il cinema digitale sia il vero fattore abilitante delle tecnologie 3D permettendo oggi alla maggior parte del pubblico di 89 poter assistere a un film di 100 minuti senza uscire dal cinema con un forte mal di testa o gli occhi incrociati, godendo di una nuova esperienza di visione. Quanto appena detto non è nient’altro che il riassunto delle motivazioni addotte dagli addetti ai lavori per un ritorno del 3D. Dato che quegli stessi addetti ai lavori, con in testa l’autore di queste pagine, sono i primi, in privato ovviamente, ad essere poco convinti di tutto ciò, forse sarebbe meglio esprimersi in questi semplici e diretti termini: “è indubbio che il 3D sia un argomento di ottima presa su quegli esercenti che sono ancora restii a passare al digitale ma il cui sguardo si illumina quando pensano a quegli euro in più incassati sul biglietto”. Insomma più che una innovazione questo ritorno del 3D potrebbe rivelarsi come uno slogan ben confezionato dall’industria dell’elettronica per spingere il cinema e, in generale, tutto il mercato verso una rivoluzione che di fatto stenta ad essere percepita come tale e che forse rivoluzione non sarà mai, se non tra una ventina di anni quando, dopo l’euforia di questo periodo, il 3D tornerà sotto qualche altra forma, magari – chissà? – come ologramma. 90 I rifiuti dimenticati del cinema Alla 57a edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, nel 2000, è stato presentato in anteprima il cortometraggio “Due dollari al chilo” di Paolo Lipari. Forse qualcuno lo ricorda. Il cortometraggio documenta come muoiono i film e con essi la memoria, le immagini, le emozioni. Partendo da un breve documentario di Luigi Comencini – “Il museo dei sogni” del 1949 dove il regista, andando a filmare i maceri delle pellicole, indagava su un “rimosso” del cinema ponendo con fermezza l’accento sulla necessità degli archivi filmici – Lipari racconta il processo in grado di eliminare 800 pellicole al giorno, 250.000 all’anno, il cui valore si riduce a “due dollari al chilo”. Dunque a poco più di 40 dollari per un film, per due ore di cinema che magari hanno cambiato la nostra vita. In Italia ogni anno si consumano circa 70.000 copie di film per una lunghezza totale di circa 160.000 chilometri (130 volte la lunghezza dell’Italia sino a Lampedusa). Sono 1.750 tonnellate di rifiuti da smaltire: un’enormità! Si è sempre detto però che l’avvento del digitale avrebbe risolto il problema dello smaltimento delle pellicole. Ma incredibilmente non è stato così. Con il digitale si è affermato il 3D e con il 3D sono arrivate due tipologie di occhiali: usa e getta o monouso e a uso ripetuto o riciclabili. Gli occhiali usa e getta, come già il nome lascia intuire, generano all’atto della produzione un rifiuto certo. E non semplicemente smaltibile. Il rifiuto globale stimato per fruire della visione in 3D è pari a parecchie decine di migliaia di tonnellate! Insomma in termini di rifiuti, alla fine, non abbiamo fatto un affare. Possono solo essere felici tutte quelle organizzazioni che si occupano di smaltimento. A parte le pellicole, almeno per gli occhiali, esiste una soluzione che tutti auspichiamo: rendere obbligatorio, seguendo le corrette regole igieniche, di pulizia e disinfezione, l’utilizzo dei soli occhiali riciclabili. 91 92 Paul Klee – Dream City (1921), particolare. IL CINEMA RITROVATO 93 94 Il cinema ritrovato a cura di Luca De Gasperin In questa sezione del Quaderno vogliamo dedicarci alle storie più belle, perché vere e perché di successo, di cui Microcinema è stata testimone e un po’, senza presunzione, artefice insieme alla buona volontà e alla visione di molti esercenti italiani. Raccontiamo qui le vicende vissute dalle sale che hanno aperto o riaperto grazie al digitale. Sono storie che sembrano andare “contromano”, rispetto alla tendenza generale del mercato, che testimoniano la concretezza di una via digitale percorribile e soprattutto economicamente sostenibile. Non sono multiplex che appartengono a grandi gruppi, ma sale indipendenti, legate al proprio territorio e in sintonia con esso, capaci di un rapporto profondo con i suoi abitanti. Sono sale la cui storia è stata raccontata da Nuovo Cinema Paradiso. Ma il finale, questa volta, promette di essere diverso. Gli esercenti che le gestiscono non sono supereroi usciti dalle pellicole che prendono vita sui loro schermi, sono persone volenterose e qualche volta caparbie che hanno il coraggio di confrontarsi con l’innovazione. Intraprendono una piccola grande rivoluzione innescata dal digitale e completata dall’intelligente utilizzo dei nuovi mezzi a disposizione. Sono uomini, donne, ragazzi, famiglie, capaci di reinventare il proprio esercizio, riposizionandolo sul territorio, offrendo al pubblico emozioni nuove (e al tempo stesso antiche), gestendo la sala in modo flessibile, polifunzionale ed originale. Alcuni hanno scelto la strada del full digital, portando le vecchie 35 millimetri nei foyer come preziosi gioielli da condividere con il pubblico. Altri hanno affiancato alle vecchie, rumorose ed affascinanti macchine per proiezione in pellicola un sistema digitale. Per tutti la quantità e la varietà dei contenuti proposti da Microcinema, insieme alla versatilità di un sistema digitale completo, si sono dimostrati fattori decisivi. Queste sale cinematografiche sono rinate perché hanno saputo cogliere l’opportunità dell’innovazione nella sua espressione virtuosa e sostenibile. 95 Si sono trasformate in vivaci e insieme redditizi luoghi di incontro dove cinema, opera e televisione divengono crocevia d’incontro delle comunità locali, dei grandi centri urbani e delle città di provincia. Queste sale hanno inaugurato il nuovo concetto di microplex indipendente: un cinema in grado di offrire una moltitudine di titoli e contenuti diversi all’interno della stessa giornata, provenienti da media differenti e rivolti a pubblici differenziati. Il misterioso legame, fatto di emozioni condivise, tra esercizio, pubblico e territorio è il vero segreto del loro successo. Conoscerli da vicino ci aiuta a scoprire un pezzo di storia di Microcinema e la realizzazione delle sue tre parole chiave: sostenibilità, flessibilità, interoperabilità. CASA DELLE ARTI di Conversano (BA) Gestita dalla cooperativa Artimedia, la Casa delle Arti nasce come centro multimediale, creato ex novo all’interno di un immobile in disuso di proprietà comunale. Comprende una sala cinematografica e una cabina di montaggio per piccole produzioni e interpreta perfettamente la filosofia della scalabilità e multifunzionalità di Microcinema: inaugurata con l’installazione di un Cinemakit 1.3K ha immediatamente iniziato a parlare al suo pubblico tanto da decidere prestissimo per un upgrade ad M-box DCI interoperabile con proiettore 2.0K e sistema 3D XpanD. La riconquista di un luogo che sembrava irrimediabilmente “perso” attraverso una proposta intrinsecamente originale (anche perché tecnologica) e accattivante (anche perché ricca di cultura e arte come suggerito dal nome) è stata percepita in modo molto positivo e la cittadinanza ha fin dall’inizio aderito con entusiasmo alle proposte culturali della sala. La scelta del digitale è maturata insieme all’attività di organizzazione e gestione di un festival di cortometraggi: i vantaggi in termini di versatilità e di facilità di gestione riscontrati nel sistema digitale hanno reso la digitalizzazione un passo naturale per non dire quasi obbligato. Oggi, la Casa delle Arti programma sia film e contenuti complementari del catalogo Microcinema sia film DCI 2.0 K e 3D delle major. Per il primo anno e mezzo di attività ha coniugato un’impronta commerciale basata sull’offerta delle major, con le proposte di qualità e le opere 96 provenienti dal catalogo Microcinema, ottenendo ottimi risultati pur non essendo un multiplex e non potendo quindi contare sul “contorno” di prodotti e servizi tipico delle grandi strutture multisala. “La nostra linea d’azione è guardare sempre avanti – spiega Luigi Iovane, presidente della cooperativa Artimedia – sempre attenti alle emergenti opportunità che il mercato offre. L’idea iniziale era di creare uno spazio dedicato al cinema, all’arte, alla cultura. Non prevedevamo di installare il 3D ma, per non restare indietro, è stato necessario continuare ad investire. Il risultato è stato ritrovarsi tra i primi nella zona a poter proporre film come L’era glaciale 3 in 3D. Da lì in poi, il digitale si è sempre riconfermato una carta vincente per la redditività della sala. La nostra provincia – continua Luigi Iovane – ha una buona copertura di sale cinematografiche, con diversi multiplex, ma anche e soprattutto monosale ed ex teatri restaurati. Molte di queste sale faticano tuttavia a portare avanti la loro programmazione, soprattutto a causa dei pesanti oneri di gestione. La chiusura di queste sale è un problema reale per la cittadinanza: basti pensare ad una piazza importante come Monopoli, che ha perso il suo cinema, o a Putignano, in cui è rimasto attivo un solo esercizio, con la pellicola. Per contrastare il progressivo indebolimento delle sale d'essai e al contempo promuovere i contenuti di qualità, la Regione Puglia ha avviato il progetto “D’Autore” coordinato da Apulia Film Commission, cui abbiamo recentemente aderito in vista anche dell'imminente apertura di una seconda sala "cinescopio" dedicata al cinema d'autore. Questa esperienza, che fa del digitale il punto cardine della diffusione, rinforza ancor di più la convinzione che proprio un digitale versatile e “aperto” sia la strada maestra per sfruttare al meglio i contenuti e per portare redditività alle sale. D’altronde – conclude Iovane – alla base dei nostri risultati c’è proprio l’interoperabilità di Microcinema M-box e riteniamo che questo specifico strumento possa essere una chiave di successo per molte altre sale”. Ingresso nel Digital Network: febbraio 2008. 97 Cinema ITALIA di Sarzana (SP) Rinnovarsi o spegnersi. Questo il dilemma del cinema Italia di Sarzana, una Sala della Comunità da sempre gestita da gruppi di volontari della Parrocchia. I bilanci difficili delle ultime annate avevano delineato una parabola inequivocabile di declino, rendendo sempre più concreta l’eventualità della chiusura. La scelta del digitale Microcinema è stata l’ultimo tentativo per mantenere in vita la struttura, l’alternativa era chiudere i battenti e aprire la strada ad un inarrestabile inaridimento urbano e sociale. La disponibilità di più film, sempre presenti nel server, e, soprattutto, la possibilità di proporre lirica e spettacoli sia in diretta sia registrati, sono stati gli elementi che maggiormente hanno agevolato il passo verso il cambiamento. “Il digitale ha sancito l’apertura di un nuovo capitolo nella vita della nostra sala – ci racconta Riccardo Butta, Amministratore del Consiglio Parrocchiale –: abbiamo rinnovato i nostri strumenti, il nostro modo di organizzare la programmazione affidata all'ACEC SAS della Liguria affidando alla stessa la completa responsabilità della gestione. Abbiamo persino cambiato la nostra “squadra”, con nuovi preziosi ingressi, specialmente nell'attività del Cineforum e delle proiezioni per le scuole e le famiglie”. I primi mesi di attività del Cinemakit sono stati un importante banco di prova per diversi contenuti complementari (in particolare, la sala ha proiettato mensilmente almeno un evento lirico in diretta), che hanno riscosso una risposta più che incoraggiante da parte del pubblico e, a ben vedere, non solo della cittadinanza di Sarzana, ma anche da quella delle città vicine comprese Carrara e La Spezia. Dal punto di vista economico, la sala pare aver inaugurato un trend positivo di crescita, dovuto in primo luogo agli sforzi compiuti per valorizzare l’assoluta unicità e ricchezza dell’offerta di intrattenimento. Ogni rassegna cinematografica o lirica è stata introdotta da uno o più esperti, che hanno “insaporito” la semplice proiezione con riflessioni e interventi introduttivi capaci di inquadrarne il contesto. L’iniziativa (in realtà molto diffusa tra le sale Microcinema) è diventata un tratto distintivo dell’offerta del Cinema Italia rispetto alla concorrenza in zona (una multisala commerciale in città). 98 “In termini puramente numerici – precisa Butta – il nostro obiettivo è sempre stato quello di riuscire a coinvolgere più di 50 spettatori a proiezione. Questo è lo sbigliettamento medio che consente alla sala di ripagarsi le spese di gestione e di personale. Nell’ultimo anno, grazie agli spettacoli complementari, il target è stato ampiamente soddisfatto e spesso superato consentendoci anche iniziative di particolare impegno economico e culturale come, ad esempio, il Primo Sarzana FilmDocFestival svoltosi nella prima settimana di Agosto del 2010. La finalità del Cinema Italia è quella di fornire alla cittadinanza una valida e variegata offerta di intrattenimento e di cultura, proponendo contenuti di valore e in linea con le indicazioni dell’Associazione Cattolica Esercenti Cinema (ACEC): una mission molto focalizzata sul concetto di “servizio” più che su esigenze commerciali, che non ci esime dalla ricerca di competitività e di indipendenza economica. La direzione intrapresa da un anno a questa parte, anche grazie a Microcinema, sembra rispondere bene a tutte queste necessità”. Ingresso nel Digital Network: ottobre 2009. SALA DELL’ORATORIO di Robegano (VE) Per quarant’anni il pubblico cinematografico di Robegano è stato costretto a spostarsi fino a Mestre. Tredici chilometri all’andata e tredici al ritorno: una distanza che scoraggia e alla lunga esclude molte persone dal buon cinema in attesa del domestico e comodo DVD. Durante questo periodo la Sala della Comunità situata accanto alla chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo, che incorpora anche il Santuario della Madonna delle Grazie sulla via centrale del paese, giaceva inutilizzato a causa di problemi strutturali dello stabile. Una serranda rimasta tristemente abbassata per quarant’anni è stata riaperta solo grazie alla tenacia del Parroco Don Eraldo Modolo, dopo anni di risparmi e sforzi economici che hanno consentito la completa ristrutturazione, il rinnovamento completo e la ricostruzione ex novo di alcune parti del palazzo. Dopo quattro decenni di silenzio la sala cinematografica ha riacceso le sue luci, tutte digitali, e il Cinemakit 1.3K, che ha riempito di emozioni la nuova cabina di regia, ora lavora a pieno ritmo. Gli obiettivi della parrocchia e del parroco che gestisce la sala, che si avvale dei volontari dell’associazione NOI Robegano, sono chiari: 99 ritrovare il pubblico di un tempo, contrastare l’esodo degli spettatori cinematografici offrendo una programmazione varia, intensa e di qualità e mantenere vivo un centro cittadino che negli anni ha risentito in molti modi della progressiva desertificazione sociale. La programmazione coniuga due filoni di ampio respiro. Il primo guarda ai ragazzi e alle famiglie, con film di intrattenimento; il secondo, più caratterizzante, consiste nella proposta di opere liriche in diretta e in differita: una novità che non si può proprio dire sia passata inosservata. “Adesso siamo noi a richiamare pubblico da fuori – fa notare con simpatia ma con giusto orgoglio Graziano Busatto, uno dei coordinatori della sala – e proprio l’opera ha dimostrato un’importante valenza aggregativa. Le rassegne hanno visto avvicinarsi alla lirica un pubblico assai composito e differenziato per estrazione sociale e livello culturale. Diverse tipologie di spettatori che avevano in qualche modo rinunciato al cinema sono ritornate proprio grazie alla lirica a frequentare la sala”. Per molte persone sole l’opera è diventata un’occasione di incontro, una “scusa” per uscire di casa e godersi il piacere dello spettacolo insieme ad altri appassionati. Ogni evento in diretta può oggi contare su una media che sfiora i 100 spettatori, spettatori affezionati e fedeli. “Se stimoli le persone con un’attività culturale in qualche modo innovativa – dichiara Graziano Buratto – una risposta presto o tardi arriva. Il fattore economico è importante ma non è secondario rendere un servizio e continuare ad investire per dare alla comunità sempre più occasioni e momenti di aggregazione e di crescita culturale. L’opera è un buon esempio anche in questo senso: permette a molte persone, anche con un basso livello di istruzione, di accrescere la propria cultura ad un prezzo estremamente accessibile”. “Cerchiamo di contrastare la solitudine – continua Busatto – delle vedove così come dei giovani, giusto per citare due delle categorie cui ci rivolgiamo, e di mantenere viva quella bella tradizione che è il “fare fiò”6, come si dice in dialetto. Nella nostra “preistoria”, nei tempi in cui 6 Fare fiò: letteralmente “fare il filo” identifica, in dialetto veneto, lo stare assieme. Ci si ritrovava la sera d'inverno nel posto più caldo delle case, la stalla. Le donne ricamavano, gli uomini raccontavano storie, notizie lette sul giornale o sentite al mercato al mattino. 100 non c’era la televisione, la gente si ritrovava la sera nelle stalle a parlare, a raccontare storie, a discutere. Noi vogliamo che la nostra sala sappia offrire momenti di condivisione di questo tipo. Per questo organizziamo anche cineforum e rassegne a tema, in cui alla proiezione segue sempre un momento di confronto e di riflessione comune”. Un avamposto nella lotta contro la solitudine e la disgregazione sociale, dunque, che ha saputo accogliere, emozionare e far riflettere: una sala cinematografica può essere anche questo. Ingresso nel Digital Network: dicembre 2008 Cinema TIRRENO di Capalbio (GR) “A Capalbio c’era, semplicemente, bisogno di un cinema. Era una richiesta che aleggiava da molto tempo, da parte della cittadinanza, da parte dei villeggianti abituali e da parte delle nuove generazioni.” Così, con poche parole, Benedetta Fontani, presidente dell’associazione SalaTirreno.com, spiega il perché della scelta di riaccendere, anche attraverso il digitale Microcinema, un esercizio spento da 28 anni. Un evento davvero degno di nota, spinto da una mancanza percepita a livello sociale, soprattutto nei mesi invernali. “Crediamo che un cinema possa concretamente aumentare la qualità della vita in un centro cittadino: per questo siamo convinti che il nostro progetto possa dare buoni risultati. L’appoggio e la fiducia ricevuti dalla nuova amministrazione comunale guidata dal sindaco Luigi Bellumori, sono già un piccolo ma significativo segnale”. Con una programmazione che privilegia i contenuti di qualità e fa dell’opera lirica un pilastro fisso nel palinsesto settimanale, il Tirreno ha assunto fin dai primissimi mesi di attività una fisionomia editoriale ben precisa, senza scontentare nessun segmento di pubblico. “Pur dando la precedenza al cinema d’autore e d’essai, nel nostro cartellone abbiamo inserito proiezioni pomeridiane dedicate ai bambini e rassegne rivolte agli anziani. Un discorso ben più ampio lo merita l’opera lirica: con la nostra prima diretta, “L’oro del Reno” di Wagner dal Teatro alla Scala, abbiamo registrato un risultato estremamente positivo e suscitato grande curiosità e attesa per i prossimi appuntamenti, nonostante si trattasse di un titolo non facile”. 101 La possibilità di vedere l’opera “da vicino”, apprezzando le mille sfaccettature dell’interpretazione dei cantanti, i costumi e le scenografie, sembra aver innescato nel pubblico capalbiese un interesse tale da richiedere una corposa rassegna estiva di opere registrate. “Recentemente, anche Zubin Mehta ha citato questo tipo di proposta dell’opera quale modo virtuoso di diffusione culturale – prosegue Fontani – e il fatto di averla portata anche nella nostra città è per noi motivo d’orgoglio”. Il forte entusiasmo che anima l’attività dell’associazione SalaTirreno.com è sorretto da una grande lucidità a livello gestionale: anche la scelta del digitale è stata ponderata a lungo prima dell’effettivo investimento. “Un cinema che riapre dopo 28 anni porta con sé alte aspettative e la necessità di partire da subito con basi solide e un’offerta valida. Dopo molte riflessioni abbiamo scelto Microcinema (nella sala è attivo un Cinemakit 1.3K) perché ci offre un catalogo ampio e di qualità, a fronte di una semplicità di utilizzo davvero apprezzabile. E poi, ovviamente, la qualità di proiezione è indiscutibilmente superiore”. Ingresso nel Digital Network: maggio 2010. Cinema MARCONI di Piove di Sacco (PD) A Piove di Sacco, tutti conoscono il cinema Marconi. Da oltre cinquant’anni questa Sala della Comunità è il punto di riferimento e il motore della vita culturale della città. Con un cartellone fittissimo di appuntamenti, il Marconi tiene viva sul territorio l’offerta di film e spettacoli di alto valore culturale, richiamando il pubblico anche dai paesi vicini. Espandersi per non perdere terreno, adeguarsi ai tempi per non chiudere: la continua tensione alla crescita e alla modernizzazione ha visto due interventi di rinnovamento della struttura in poco più di vent’anni. Il primo un po’ più blando, il secondo, iniziato nel giugno 2007 e concluso nel gennaio 2008, assai più radicale. Pavimento, poltrone, impianto di riscaldamento hanno subito un restyling che ha reso la sala più accogliente. Per garantire il proseguimento della programmazione editoriale, per rinforzare e 102 ampliare l’offerta con contenuti inediti e appetibili e per conquistare nuovo pubblico: la soluzione scelta è stata la conversione digitale con l’installazione di un Cinemakit 1.3 K. Quale occasione migliore di questa per riproporsi alla popolazione con “una marcia in più”? Prima sala digitale della sua zona, il cinema Marconi ha saputo sfruttare l’elemento di novità come motivo di richiamo fortissimo, grazie ad un gruppo di gestione molto attivo, che organizza un cineforum molto apprezzato e molto ricco, che parte da settembre e arriva fino a giugno. Anche l’appuntamento con l’opera, principalmente in differita, è ormai una ricorrenza mensile, molto attesa e apprezzata dall’affezionato pubblico di melomani, che in più di un’occasione ha fatto registrare ottimi riscontri di box office. Anno dopo anno, sullo schermo del Marconi passano tutti i titoli più importanti della stagione cinematografica, e da tre anni ormai, anche i migliori contenuti complementari. E’ questa la ricetta del successo del Cinema Marconi, una sala che si regge sulle gambe del cinema di qualità, su un rapporto strettissimo con la cittadinanza e su una capacità davvero notevole di riattualizzare una grande tradizione, quella del cinema di prossimità, proiettandola verso nuovi traguardi. Ingresso nel Digital Network: ottobre 2007 Cinema DON BOSCO D’ESSAI di Lecce Gestita da una cooperativa da quasi 15 anni, la sala del DB d’Essai ha visto nell’upgrade digitale l’occasione per ampliare e rendere più appetibile la propria offerta e soprattutto per superare la cronica carenza di pellicole, problema tutt’altro che secondario che affligge molte piazze cinematografiche e che determina il soffocamento e la chiusura di molti esercizi. Nel denso panorama cinematografico leccese, dominato da due sale storiche poi trasformate in multisale a 4 e 5 schermi, il DB d’Essai non ha mai potuto contare sulla prima visione, focalizzandosi sul proseguimento. Nonostante questo, il DB ha saputo ritagliarsi il suo ruolo quale sala di riferimento per gli amanti del cinema d’autore. 103 La necessità di garantire al proprio pubblico un cartellone sufficientemente ricco, ha trovato una soluzione nel catalogo digitale Microcinema, decisamente affine alla programmazione caratteristica del DB: titoli come “La bocca del lupo” di Pietro Marcello e altre produzioni nazionali ad alto valore culturale vengono ora proposti in digitale anziché in pellicola, con una resa qualitativa molto superiore. Il digitale ha poi contribuito alla scelta del CineTeatro DB d'Essai nel progetto “D’Autore” promosso da Apulia Film Commission, nato per supportare la diffusione di documentari e film d’autore in un circuito di sale coordinato a livello regionale. Grazie a questa iniziativa, il DB ha conquistato l’accesso alla prima visione per molti prodotti, tutti d’essai puro, per i quali non sono state stampate copie in 35 mm. Nei quasi due anni di attività insieme a Microcinema, il DB ha riservato uno spazio fisso agli eventi mensili in diretta e il pubblico comincia ora a partecipare con sempre maggiore entusiasmo agli appuntamenti della rassegna “opera live”. Il segreto di questo successo sta nella caratteristica distintiva del DB di valorizzare la semplice proiezione, di cinema o di opera, con iniziative correlate, quali introduzioni all’opera, aperitivi con vini tipici della zona e degustazioni. “Il rapporto con il nostro pubblico si basa su un forte patto fiduciario – spiega Daniela Serafini, responsabile della sala –. Gli spettatori cercano nella programmazione del DB la certezza di poter assistere a uno spettacolo culturalmente stimolante e, anche in virtù di questa reputazione così fortemente connotata, non è inusuale che gruppi di spettatori della provincia di Brindisi e zone limitrofe, appassionati del grande cinema così come di opera, decidano di viaggiare per più di 30 km per assistere alle nostre rassegne. Ad oggi lo spettro della carenza di contenuti sembra decisamente dissolto e riteniamo di poter prestare fede al nostro “mandato” di sala di qualità in modo ancor più convinto ed efficace. Ingresso nel Digital Network: settembre 2008 Cinema ASTRA di Pesaro Il Cinema Astra, situato all’ingresso del centro storico cittadino, è stato da poco riaperto da una nuova gestione con l’intento di recuperarne la funzione di punto d’incontro di primaria importanza per la cittadinanza. 104 Il nuovo gruppo di lavoro orienta il suo operato verso la convivialità, l’incontro, la condivisione di un momento di fruizione culturale attraverso l’elaborazione di rassegne, iniziative e appuntamenti ad hoc. La gestione è ben consapevole dell’importanza della sala cinematografica per mantenere viva un’offerta culturale in città. Dovendo fare i conti con un panorama cinematografico cittadino alquanto rarefatto e caratterizzato dalla presenza di multiplex periferici che intercettano tutta l’offerta in prima visione, per il cinema Astra la differenziazione è stata una scelta strategica, che ha trovato in Microcinema una riserva inesauribile di spunti e opportunità. Sfruttando la collocazione della sala in corrispondenza di una piazzetta e la presenza, all’ingresso, di un bar molto attivo e frequentato, l’Astra ha puntato fin da subito e con decisione sull’opera lirica e sul balletto, in diretta e in differita, ottenendo risultati estremamente positivi. Così positivi e incoraggianti da estendere la prima rassegna di ben due mesi oltre la durata prevista, con la prospettiva per la nuova stagione di dedicare all’opera lo spettacolo serale del sabato, con replica infrasettimanale. “In questi primi mesi di attività stiamo lavorando molto, sia sulla struttura che, soprattutto, sulla promozione – ci ha raccontato il gestore, Giorgio Tarini –. Il nostro obiettivo è rendere l’Astra un punto di richiamo per la città, con una programmazione che invogli la gente ad uscire di casa per trovare un particolare tipo di offerta culturale e di intrattenimento, che non è in concorrenza con i multiplex, bensì connotata da una propria identità precisa e riconoscibile”. La pausa estiva sarà occasione di un importante intervento sulla disposizione dei posti in sala: “abbiamo pensato di rendere ancora più unico il nostro modo di accogliere il pubblico, dedicando parte della sala ad una “zona vip”, con palchetto, tavolini, divani e un servizio di aperitivo anche durante la proiezione. In questo modo, chi vorrà godersi i prossimi eventi in cartellone da una prospettiva ancora più comoda, potrà farlo, con un piccolo sovrapprezzo”. Il digitale ha scatenato la fervida creatività di questa sala nuovissima ma decisamente determinata a conquistarsi la fiducia e la stima degli spettatori, delle associazioni e delle istituzioni, e con essa consolidare il ruolo di lanterna cittadina che, in così poco tempo, è riuscita a ritagliarsi. Ecco un eccezionale microplex indipendente. Ingresso nel Digital Network: aprile 2010. 105 Auditorium S. ANDREA di Mornico al Serio (BG) Il cinema, attivo già dagli anni ’30, ha visto succedersi intere generazioni di spettatori e molte fortunate stagioni, salvo poi vivere un declino conclusosi con la chiusura, avvenuta negli anni ’80. Per molto tempo, i locali sono stati adibiti a magazzino e abbandonati all’incuria, fino alla fatiscenza. Poi è avvenuto un piccolo “miracolo” dal sapore antico. Solo l’intervento da parte della Parrocchia, avviato nel 2007 grazie alla collaborazione fondamentale di un gruppo di muratori in pensione, ha permesso di recuperare la sala e lo stabile: con un ritmo incessante di lavoro il gruppo ha ridato lustro al S. Andrea, scoprendone l’antichissima struttura di Chiesa del 1575. Il restauro completo, portato a termine con poco più di 650.000 euro, costituisce di per sé già una piccola storia virtuosa di volontariato a servizio della cultura, che può finalmente passare al capitolo successivo, quello dell’utilizzo effettivo della sala a servizio della città. “La scelta di Microcinema è stata per noi – spiega il coordinatore Giuliano Ferrari – l’occasione perfetta per proseguire il nostro progetto. Una scelta “futuristica” e alternativa, per intraprendere fin da subito un percorso chiaro di differenziazione della nostra proposta e di coinvolgimento della comunità”. “La nostra zona è, a livello cinematografico, fittamente popolata, con multiplex ogni 10 km. L’offerta quindi non manca e per inserirsi in questo scenario è necessario elaborare un programma ispirato ad un criterio di complementarità rispetto alle proposte commerciali del territorio”. Per questo, le prime settimane di attività dell’Auditorium hanno visto prima la diretta della “Tosca” di Giacomo Puccini dal Carlo Felice di Genova e poi la proiezione de “Il Concerto” di Radu Mihaileanu, con una entusiastica partecipazione di pubblico. “Ci sono diversi cinema qui in provincia che stanno riaprendo – prosegue Giuliano Ferrari – soprattutto come sale polivalenti. Molte di queste non intendono proporre un palinsesto continuativo per via degli oneri gestionali, ma è comunque importante che ci sia un recupero di luoghi di incontro”. A partire da settembre, l’Auditorium avrà un cartellone settimanale che vedrà la presenza fissa di film di qualità il sabato e opera lirica il giovedì, ospitando anche spettacoli teatrali: un periodo di test delle 106 potenzialità della sala che proseguirà con una programmazione più intensa adattandosi via via flessibilmente alle richieste del pubblico. C’è un ultimo aspetto, davvero interessante, che merita di essere approfondito: “Con l’inizio della stagione prenderanno il via anche i nostri corsi, destinati alle 15 persone che compongono lo staff di gestione della sala. L’obiettivo è formare e coinvolgere le persone in un progetto condiviso, partecipato, fortemente sociale, non solo per il pubblico ma anche e soprattutto per chi, con la propria passione, mantiene vivo il nostro cinema”. Ingresso nel Digital Network: aprile 2010. Multisala BADIA GRANDE di Sciacca (AG) Il Teatro di Sciacca, un edificio monumentale progettato da Giuseppe ed Alberto Samonà, è in costruzione dal 1979, tra interruzioni e riprese dei lavori. Qualche chilometro più in là, in meno di due anni, nel rispetto delle mura di un antico convento, è stata costruita una struttura tecnologicamente avanzata, di grande accoglienza, in grado di proporre un’offerta di intrattenimento e culturale varia e di qualità. Il Multisala Badia Grande, tre sale più un’arena estiva, è gestito da Vertigo Srl, società guidata da Sino Caracappa, esercente molto conosciuto e apprezzato nel settore nonché referente FICE per la Sicilia. La storia della multisala, o meglio microplex, Badia Grande è uno dei casi più significativi di come il digitale possa offrire spunti e soluzioni ai gruppi imprenditoriali più vivaci e intraprendenti: una collaborazione nata con l’installazione di un Cinemakit 1.3 K presso il cinema Campidoglio, sempre gestito da Vertigo, e proseguita con l’attivazione del primo complesso di sale interamente equipaggiate con sistemi Microcinema, progettato e realizzato per integrare e rendere interscambiabili tutte le sale attraverso una regia centrale. “In città è presente solo un altro cinema oltre ai nostri e non c’è molto altro nelle immediate vicinanze – ci spiega Sino Caracappa –. La città è culturalmente viva e può contare, per esempio, sulla presenza di almeno cinque compagnie teatrali molto valide, ma di pochissimi spazi di fruizione. Il nostro microplex risponde sicuramente ad un’esigenza fortemente sentita nella popolazione e premiata dalla partecipazione”. 107 Film per ragazzi e per famiglie, blockbuster, cinema d’autore e d’ essai, balletti e concerti registrati, opere liriche ed eventi in diretta: al Campidoglio prima e a Badia Grande dopo non sono mai mancate la voglia e il coraggio di dare spazio a contenuti di ogni tipo. “Prendiamo in considerazione ogni proposta, purché sia di qualità. Molto spesso l’unico problema è avere abbastanza titoli dello stesso genere per dare continuità e rispondere alla fedeltà del pubblico.” “L’opera lirica funziona bene perché il catalogo è ricco e prevede appuntamenti ogni mese. Certo, per promuoverla adeguatamente abbiamo dovuto cercare i canali di comunicazione più efficaci, ma ora possiamo dire di aver raggiunto risultati soddisfacenti, con una partecipazione consistente in occasione dei titoli più conosciuti e una media che non scende mai sotto gli 80 spettatori anche per i titoli di nicchia. Un bell’aiuto per il nostro bilancio perché si tratta di spettatori nuovi e freschi che altrimenti non avremmo potuto incontrare.” Il segreto sembra essere un rapporto stretto e attento con il proprio pubblico: “All’inizio avevamo messo in piedi una campagna pubblicitaria a tappeto, ma la vera svolta è stata la creazione di una mailing list in costante crescita che ci consente di arrivare a ciascun cliente con il minimo dispendio. Oltre a questo, manteniamo buoni contatti con i giornali e con una emittente televisiva locale che ci dedica spazio per promuovere i nostri eventi”. Una volta catturata l’attenzione del pubblico, a Badia Grande sanno come mantenerla: “Ormai c’è chi aspetta la consueta diretta mensile anche per il buffet che offriamo durante gli intervalli… I succhi di frutta e i dolcini di mandorla, accompagnati dal buon vino della nostra terra, sono ormai diventati un nostro biglietto da visita”. Tra i record del Badia Grande c’è anche quello di essere stata l’unica sala in Italia ad aver potuto trasmettere la Carmen di Georges Bizet, Prima della Scala del 2009 – evento andato in sold out in molte sale – su due schermi in contemporanea, riempiendo ben due sale di spettatori soddisfatti: il sistema di controllo e gestione da remoto degli apparati è in grado di inviare lo stesso segnale a tutti i proiettori del microplex in contemporanea, senza interventi in cabina ma con il semplice switch da regia. Sostenibilità, flessibilità, interoperabilità ecco il successo del microplex Badia Grande. Ingresso nel Digital Network: maggio 2009 108 Appunti per un repertorio di frasi celebri di film entrate nell’uso comune della lingua italiana di Alessandro Firpo Con questo appunto vorrei proporre una piccola riflessione “linguistica” che, proprio a proposito di cinema ritrovato, vuole sommariamente indagare un altro sedimento, un altro enorme giacimento culturale – in gran parte da scoprire e tutto da classificare – che il cinema ci ha da sempre offerto e continuerà ad offrirci. Lo spunto me lo ha dato proprio il titolo di questo terzo Quaderno di Microcinema: Luci della Città. Sì, perché Luci della Città non è solo, ormai da tempo immemorabile, il titolo di un film: no, è diventato anche un modo di dire, un’espressione dell’uso della lingua italiana. Quante volte, ad esempio, abbiamo detto “ecco, si stanno avvicinando le luci della città”. E, per rimanere solo a Chaplin e solo ai titoli, che dire di Tempi Moderni e di Luci della Ribalta, da allora non più solo titoli di film ma veri e propri modi di dire? E poi Momenti di gloria, Un mercoledì da leoni, Il buono, il brutto e il cattivo, Indovina chi viene a cena? E chi più ne ha più ne metta. Ma andiamo con ordine e partiamo dalle fonti. Le fonti possono essere infinite e assolutamente tra loro sovrapponibili: attori, personaggi, generi, registi, epoche e via discorrendo. Le fonti sono caotiche e uno sviluppo cronologico ad oggi mi pare velleitario ma, in qualche modo, cercherò di seguirlo. Più che altro seguirò il filo dei miei ricordi e dei miei pensieri. A parte il doveroso omaggio a Chaplin mi sento obbligato nei confronti di uno “Stupìdou” che riferisco indifferenziatamente sia a Stan Laurel che a Oliver Hardy. Ancora oggi è usatissimo e indica, da un lato, un particolarissimo tipo di stupido, non meno che un certo tipo di dolce, affettuoso rapporto tra l’insultante e l’insultato. Non posso anche non citare il classicissimo “E chi non beve con me peste lo colga” (La cena delle beffe), che ci ricorda non solo la voce nasale e adenoidea di Amedeo Nazzari, ma anche tantissimi brindisi della nostra vita. Posso proseguire con “Domani è un altro giorno” di Via col Vento (Vivien Leigh); o con “E’ la stampa bellezza. La stampa. E tu non ci 109 puoi fare niente. Niente!” (Quarto potere); e ancora con “Suonala ancora Sam” (Casablanca), le ultime due di Humphrey Bogart. Chi di voi non ha mai usato nel suo parlare abituale queste brevi frasette? E di Charlton Heston/Ben Hur Vi ricordate: “Conosci il sigillo?” E il perfido rantolo dell’odioso Stephen Boyd/Messala: “Prosegue ancora la corsa! La corsa non è finita!”. Ed è senz’altro da menzionare Il corvo col suo grave “Non può piovere per sempre!”. Il western è un genere ormai antico e le citazioni potrebbero essere davvero tantissime. Io ho in mente un ricordo netto di John Ford in persona che, in veste di attore, come talvolta gli sconfinferava di fare, in mezza uniforme di cavalleria e strepitosa tuba in testa, si fa ricucire una natica ferita dal cosiddetto “fuoco amico” e intanto pronuncia la seguente frase: “Fate attenzione al vostro spiedo, figliolo” rivolgendosi all’inesperto ufficialetto che gli aveva procurato la involontaria lesione con la sua sciabola da novizio (Il grande sentiero, mi pare). Ebbene è una espressione che io ho usato diverse volte con i miei figli o con qualche altro cuoco improvvisato. Così come ho usato, nello stesso senso preciso e originario del film (I magnifici sette), l’”Adios” di Yul Brinner a Horst Bucholtz, il “Vaya con Dios” del vecchietto del villaggio a tutto il gruppo, nel finale, e il “Quasi quasi ci torno” di Steve McQueen quando i 7 decidono di non accettare la sconfitta e di riprendere la strada che li condurrà nuovamente a combattere e a morire per quei fragili campesinos. E che dire di “Al cuore, Ramon, al cuore” di un quasi esordiente Clint Eastwood contro il perfido Gian Maria Volontè? Oppure, assai più lunga ma anch’essa usatissima: “Quando un uomo col fucile incontra un uomo con la pistola quello con la pistola è un uomo morto” (entrambe in Per un pugno di dollari). Mai usate? Spettacoloso Dustin Hoffman nel Piccolo grande uomo quando, con gli occhi volti a un biondissimo, giovanissimo e riccioluto generale Custer, proprio ai piedi di Little Big Horn, alla vigilia della grande battaglia e della grandissima sconfitta dei blue soldiers, con una indimenticabile voce lenta e arrochita, dice tra sé e sé “L’avevo in pugno!”. Se poi andiamo a spigolare tra Totò, De Sica e Peppino De Filippo ci troviamo di fronte a una vera, poderosa enciclopedia. Cito a caso: “Punto, punto e virgola, punto e un punto e virgola”, “Apri una 110 parente” e “Noio volevam savuar” (tutte da Totò, Peppino e la Malafemmina), “Vota La Trippa” (Gli onorevoli), “A valiggia, a valiggia”, “Fossi matto” (entrambi da I due marescialli). Mai adoperate? E la pernacchia scientifica di Eduardo De Filippo nell’Oro di Napoli? Ma qui forse dovrei dire: mai fatta? Un passaggio dalle parti di Federico Fellini è obbligatorio; mi limiterò a un “Voglio una donnaaa” di Ciccio Ingrassia e all’indimenticabile “Gradisca” di Magali Noel (entrambe in Amarcord). Una autentica pietra miliare del fenomeno è stato “Eccezziunale veramente!” (anche titolo del film) di un giovanissimo Diego Abatantuono. Il filone bellico è anch’esso sterminato. Un esempio tra i tanti mi è offerto dalla Battaglia delle Midway. Io ricordo (e uso la sua frase tutte le volte che desidero ardentemente una cosa) Henry Fonda nel ruolo dell’ammiraglio Nimitz che, non soddisfatto della battaglia di fatto vinta, vuole colpire anche l’ultima portaerei giapponese rimasta intatta e che, a coloro che lo mettono in guardia dai potenziali pericoli conseguenti a quella decisione, risponde freddamente: “Il fatto è che io voglio quella portaerei”. In Tora, Tora, Tora come dimenticare il commento del viceammiraglio Halsey jr (James Whitmore) che, entrato in una Pearl Harbour completamente distrutta, ricevuto l’ordine di riprendere il mare in tutta fretta e di comportarsi secondo buon senso, replica: “Se vedo un sampang lo faccio a pezzi!”? Io uso questa frase quando voglio esternare il mio stato d’animo nei riguardi di qualcuno che me l’ha fatta grossa, davvero molto grossa. E “Telefono, casa” (ET) chi può dire di non averlo adoperato più di una volta? Di Colazione da Tiffany ricordo, oltre ad una Audrey Hepburn semplicemente meravigliosa, solamente “Non è un verme, è un superverme!”. Ma tuffiamoci ora nel mare magnum della commedia all’italiana. Gassman, solo nel Sorpasso, ci parla di una bellissima cortigiana di strada (tale Aida) che aveva una spettacolosa “Frezza bianca” – come Aldo Moro – a decorare la sua affascinante chioma scura, frezza rimasta nella lingua corrente. E nello stesso film ci regala un indimenticabile “Ribellati schiavo: sciogli i cani”, a monito degli animi 111 servili; uno strepitoso “Che fa sta machina, nun core (rigorosamente con una sola r)?”; un crudele “Me piace vedello arancà” e – ancora uno! – un grandissimo “E il nonno non è potuto venì?” nell’atto di superare una macchina stipata al limite dell’impossibile di persone, cose e stie. Chi non ha mai usato almeno una di queste espressioni, vorrei sapere? E non possiamo dimenticarci il Gassman dell’Armata Brancaleone, da cui comincio a prendere “Ah la maladetta fibula” e “Tregua”. E che dire di quell’irriverente “Deus non vult, est clarus” dopo che, appena enunciato un opposto “Deus vult”, Enrico Maria Salerno era precipitato nel crollo di un ponte assai malfermo? E se io incontro gente sgradevole mi viene da dire come Capannelle ( en passant: i suoi “Facioli col tonno” dei Soliti Ignoti sono tanto memorabili quanto reiterati): “Maledetti sifonai, non v’avessi visto mai!”. E sempre Gassman, nei Mostri, attratto per la sua supposta rozza e brutale virilità da una ricca e ninfomanissima Eleonora Rossi Drago in una casa assai lussuosa, definisce così gli addobbi e l’argenteria: “Le tende …, i metalli …!”. E così immancabilmente anche a me, tutte le volte che entro in una casa inutilmente pretenziosa, viene spontaneo riprendere quella frase. Faccio una pausa con Manfredi (“E magno io che magni tu”, anche se non mi ricordo il film) e mi getto su Alberto Sordi. “Lavoratori …!” e il gesto che lo accompagna vi dice qualcosa (I vitelloni)? Mai detto? Mai fatto? Ma l’Albertone è proprio una miniera: “A me m’ha rovinato la guera” (rigorosamente con una sola r); “E io ch’ho detto?”; “Professore: ho studiato tutta la notte” a giustificare l’astuzia di una barba non rasata; l’indimenticabile “Bboni …, state bboni …” nella Grande Guerra. Un capitolo a parte è offerto dall’Americano a Roma, da “Questo lo damo ar gatto e questo lo damo ar sorcio”, dallo “Yogourth” “’Mazza che schifezza!”, fino a quell’indimenticabile e traboccante “Maccarone … m’hai provocato e io te distruggo. Macaroni! I me te magno”. E che dire ancora di quei fantastici tentativi di parlare in francese: ricordate “Ma zie”, per ma tante e “Tout droit” per sempre dritto? Quest’ultima indicazione per me è una sorta di must quando qualcuno mi chiede una informazione stradale o di percorso. Grandissimo successo di pubblico, di questi tempi, ha poi avuto “Io so io e voi nun siete un ca..o” (Il Marchese del Grillo). 112 In Tutti a casa (da allora non più solo il titolo di un film) c’è poi quel grande momento della votazione sullo spazzolamento della famosa valigia che deve essere recapitata ad un lontano colonnello, piena di ogni ben di Dio. Il fedele attendente Serge Reggiani dorme. Degli altri compagni di viaggio, tutti disperati e affamatissimi, due sono a favore del furto. Sordi – italianissimo e ufficiale – se ne esce con un “Io voto contro, due contro uno, avete vinto voi: ‘namo ar cesso”. Indimenticato e indimenticabile. E poi c’è ancora il più radiofonico Mario Pio e i suoi “compagnucci della parrocchietta”. Tognazzi mi è soprattutto presente per un episodio dei Mostri in cui il grande attore cremonese interpreta il peggior parlamentare lasciatemi dire “democristiano” di una volta che, per consentire una ruberia alla quale non ha il coraggio di opporsi, si finge invece interessatissimo a stroncarla, fa scadere i termini della denuncia ed esprime infine il suo profondo rammarico ma, purtroppo, “Urgenti impegni mi trattengono in parlamento”. Campo lungo nell’aula deserta di Montecitorio dove compare il solo, sonnacchioso Tognazzi nell’atto di ascoltare un retorico e vano oratore che, con un forte un accento dialettale, riferisce di non si sa che baggianata. Ancora adesso, se ho un seccatore alla porta, a me viene istintivo dire “urgenti impegni mi trattengono in parlamento”. Amici miei potrebbe essere un inesauribile e inesplorato giacimento. E dove vogliamo mettere La voglia matta con l’espressione liberatoria del bellissimo Gianni Garko al termine dell’agognato (e unico, e appena corrisposto) bacio del nostro Ugone ad una incantevole Catherine Spaak: “Bagno, purificarsi, bagno!”? E, ancora, come dimenticare quella orribile (credo proprio infatti che l’abbiano vista in pochissimi) satira nostrana del celeberrimo Per un dollaro d’onore che risponde all’aulico titolo di Per un dollaro di fifa, in cui Tognazzi lamenta il mancato ricongiungimento con un improbabile Raimondo Vianello al luogo fissato, del resto perfettamente individuabile per la presenza in situ di una inconfondibile e maestosa pianta tropicale: la frase “Il solito appuntamento del cactus”, è rimasta imperituramente nella nostra lingua. E ancora: come fare a non citare “Un fiorino” di Troisi (Non ci resta che piangere) e “Modello Giuditta” di Benigni (Il piccolo diavolo)? 113 Il Padrino va ricordato almeno per un termine, il “Consigliori” e almeno per una frase, davvero storica,: “Ci fici un’offerta che non poté rifiutare”. Il che, per rimanere nel linguaggio della malavita, ci rimanda a un grandioso Robert De Niro che, negli Intoccabili, ci lascia nientemeno che un “Tutto chiacchiere e distintivo”, ben reiterato perché si scolpisca indelebile nella nostra memoria. E come fare a evitare la tappa di “O capitano, mio capitano” di Robin Williams nell’Attimo fuggente? E che dire di quell’ineffabile “A. M.: Alto Mantenimento” pronunciato da Billy Crystal in Harry ti presento Sally per descrivere un certo tipo di (solitamente bellissima) donna? Di Verdone è troppo facile citare “Un sacco bello” (anche titolo del film) e l’impareggiabile “’N che senzo?” di tante macchiette. Poi c’è il filone Bond, James Bond. Il grandissimo 007. Da dove comincio? Da “Agitare, non miscelare” (Goldeneye) o dal “Deplorevole brandy” (Goldfinger), oppure (Operazione Thunderball): “Ma questo è un fucile da donna! – Lei si intende di fucili, mr. Bond? (Adolfo Celi) – No, mi intendo di donne”. Passando a Dalla Russia con Amore come non ricordare (e citare) un “Dopo …, dopo …” che lascia in trepida attesa quella meravigliosa bellezza di Daniela Bianchi fino a che il nostro grande James non ha finito il suo interrogatorio; e anche la morte “Lenta e dolorosa” annunciatagli dal biondo sicario, il famoso “Vecchio mio”, subito prima di una delle migliori e più realistiche scazzottate cinematografiche che io ricordi; e, ancora, la definizione di “Un ottimo centrattacco” data all’orrida Rosa Klebb (il numero 3 o 4 della Spectre), che, in un grande albergo di Venezia, ha appena cercato di uccidere l’agente di Sua Maestà Britannica con una lama avvelenata nascosta sotto la punta della scarpa? Sempre per rimanere a Bond, James Bond, un caso su cui appuntare brevemente l’attenzione è il notissimo “Mai dire mai” (anche titolo del film), e non solo per la frequenza con cui l’espressione è usata, ma soprattutto per rilevare – ancora una volta segno dei tempi – che la frase è ancora più frequentemente adoperata nell’originale inglese “Never say never”. That’s it! 114 Poi non si possono non portare alla ribalta almeno 2 cose di Fantozzi/Villaggio: “Come è umano Lei!” e l’invitta “Poltrona di pelle umana”. Dalla Pantera rosa mi limito ad estrarre un esilarante ”Ogni mia mossa è attentamente preordinata”. Di Rocky IV (mi pare) ho in testa un usatissimo “Ti spiezzo in due” pronunciato da un gigantesco pugile russo di cui non ricordo il nome. E com’è il “Culo secco” rivolto a Sigourney Weaver in Una donna in carriera? Che ne dite poi di Tom Hanks in Forrest Gump: “Stupido è chi lo stupido fa”? E di Guerre stellari come fare a non menzionare almeno: “Che la forza sia con te”? E anche Pretty Woman ci offre un “Quella gran culona di Cenerentola” che talvolta, magari storpiato, abbiamo anche noi imparato ad usare. Per non dire di “Questa è l’America!”. E Hannibal Lechter (Il silenzio degli innocenti), che già ci aveva regalato un eccellente e ripetutissimo “Quando vuole sergente Pembridge (mi pare), quando vuole” prima di una terrificante mattanza, ci lascia tutti ancor più sgomenti quando sentiamo pronunciare dal suo fantastico interprete, con quegli incredibili occhi di ghiaccio di Anthony Hopkins, quel terribile “Sto per avere un vecchio amico per cena”. Quante volte poi ho usato il “Tre anni! Mi….a, tre anni!“, opportunamente adattato alla bisogna, pronunciato da un incredulo (e bravissimo) Antonio Catania appena atterrato in quella sperduta isola dell’Egeo dove ha incontrato quello sparuto manipolo di soldati italiani ormai completamente isolati dal mondo e ignari dell’intervenuto armistizio tra l’Italia e gli Alleati (Mediterraneo). “Il mio tesssoro” di Smeagle (Il signore degli anelli) è certamente di provenienza letteraria, ma solo il cinema ha trasformato quelle tre parole in un valore universale. E la stessa cosa si dovrebbe dire di “Elementare Watson!”). Indimenticabile e infinite volte ripetuto: ”Io ho visto cose che voi umani” di Rutger Hauer in Blade Runner. E perdonatemi la prosecuzione della citazione, ancora adesso troppo emozionante 115 perché sia possibile resistervi: “… che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi b balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. E’ tempo di morire”. Un pezzetto oggi, uno domani, chi non pescato da questa frase? Mi fermo qua ma vorrei che questo piccolo repertorio di ricordi e abitudini personalissime riuscisse a ingrandirsi, a crescere, quasi quasi a diventare un dizionario: a me pare che queste poche pagine ne abbiano dimostrato la concreta possibilità. E naturalmente (come direbbe James Bond) un dizionario di taglio decisamente più letterario – e anche più leggero – di quello tecnico, così preciso, esaustivo e ponderoso, che segue questo leggero appunto. Ecco, prendetelo per quello che è: un testo medioevale inconcluso, un lavoro in fieri, una pagina aperta al contributo di tutti ([email protected])7. 7 Se alcune delle citazioni non fossero esatte chiedo venia e aiuto. Del resto questo – come ho detto – è un testo aperto. 116 Paul Klee - Red and White Domes (1914), particolare DIZIONARIO ESSENZIALE 117 118 Anaglifo: indica l’immagine tridimensionale utilizzata agli albori della stereoscopia, costituita da due immagini sovrapposte e colorate diversamente tra loro in modo da far percepire al cervello dello spettatore, dotato di occhialini colorati, l’illusione della tridimensionalità dell’immagine. Aspect ratio: indica il rapporto matematico tra la larghezza e l'altezza di un'immagine. Il formato, o aspect ratio, cinematografico più utilizzato è il formato 1,85:1. Meno diffuso il Cinemascope 2,35:1 (2,39:1). Battuta: quando si parla di “uscita in battuta” si fa riferimento alla prima uscita nazionale. Bit (b): contrazione del termine binary digit = unità binaria. Un bit può definire due livelli o stati, 0 o 1, acceso o spento, bianco o nero, ecc. Blockbuster: film che, grazie ad una massiccia promozione commerciale prima dell’uscita, è generalmente candidato ad entrare ai primi posti nelle classifiche di vendita di biglietti a livello internazionale. A livello contenutistico ha un carattere di intrattenimento tout court. Blu ray disk: identifica un disco ottico con maggiore capacità di memoria rispetto al DVD normale, in grado pertanto di contenere file audiovideo in alta definizione. B-movie: identifica un film di bassa qualità. E’ nato negli anni trenta negli Stati Uniti. Pagando un solo biglietto si poteva vedere un film in più e questo spiega anche la loro durata inferiore ai settanta minuti. Si trattava di film di genere (soprattutto western e noir) girati in pochi giorni e sfruttando scenografie e costumi di altri film ben più costosi. Bollywood: è la fusione dei nomi Bombay e Hollywood. Indica gli studios indiani, che hanno una produzione, in lingua hindi, in costante espansione perché si rivolgono ad un mercato potenziale che sfiora il miliardo di persone, giovani e appassionati di cinema. Gli studios Tamil sono chiamati Kollywood e hanno sede nel sud del paese. Box office: chiamato anche in gergo “botteghino”, identifica il totale incassato da un film in un determinato periodo, dato dalla somma del valore lordo dei biglietti (ovvero il prezzo pagato dal pubblico). Brightness (Luminosità): la quantità totale della luce proveniente dallo schermo sul quale è proiettata un’immagine “tutto bianco”. Viene misurata in “candele per metro quadro” oppure in “foot lambeth per metro quadro”. Può indicare anche la proprietà di una superficie di emettere o riflettere luce. 119 Byte: insieme di otto bit. Viene utilizzato come unità di misura di spazio in informatica. È la quantità di memoria necessaria per memorizzare un carattere alfanumerico. Chiave: algoritmo matematico usato per criptare e decriptare i contenuti rendendoli inaccessibili a chi è sprovvisto della chiave. E’ parte integrante della licenza che autorizza l’uso, la decriptazione e la riproduzione del film digitale per quel determinato cinema, schermo, giorno e ora. Cinemakit: è l’insieme di apparati tecnologici Microcinema che permettono sia la ricezione del film via satellite, il suo immagazzinamento, la sua proiezione che l’utilizzo polifunzionale della sala cinematografica. Codifica (trattamento dell’immagine): è il processo informatico che consente di ridurre la dimensione dei file video attraverso un algoritmo percettivo di compressione delle informazioni relative alle immagini. La codifica, nel cinema, può generare un file di 720 oppure 1080 pixel. Il cinema digitale usa questi tipi di compressione per ottenere file di dati facilmente gestibili nei successivi processi di masterizzazione, distribuzione e proiezione. Per essere proiettate le immagini devono essere prima decodificate. Nell’accezione comune si usa spesso per identificare programmi o contenuti criptati che necessitano di sistemi di decodifica tipo decoder con smart card. Color grading: è la variazione del bilanciamento dei colori, del contrasto e di altri parametri delle immagini al fine di ottenere un determinato equilibrio cromatico uniforme tra le varie scene. Compressione: è un metodo per ridurre lo spazio occupato da un file audio/video basato generalmente su un algoritmo matematico che elimina tutte quelle informazioni che non sono percepite dal cervello umano, mostrando allo spettatore un’immagine del tutto simile all’originale. Un file compresso occupa meno spazio in un hard disk e impiega meno tempo per essere trasferito via satellite o via ADSL. Content provider: indica il fornitore di contenuti. Contrasto: è la misura del rapporto di luminosità tra l’area a massima luminosità e l’area a minima luminosità dell’immagine proiettata. Cortometraggio: il corto è un film di durata massima di 30 minuti. Correttore di trapezio: è un dispositivo che permette di ottenere un’immagine perfettamente rettangolare anche qualora il proiettore non sia in asse con lo schermo. 120 Crominanza (chroma): è la parte dell’immagine che contiene i dati di colore, tonalità e saturazione. D-Cinema: Cinema Digitale. Il sistema di archiviazione e proiezione cinematografica digitale. Gli studios americani e l’SMPTE identificano come cinema digitale la catena produttiva dalla lavorazione del primo master, alla preparazione dei DCDM e DCP, fino alla proiezione. La distribuzione alle sale cinematografiche può essere fatta via satellite, su cavo a banda larga o su media fisico (nastro magnetico, disco ottico o disco magnetico). D5-HD: supporto video in HD caratterizzato da una bassissima compressione dei dati, sviluppato da Panasonic ed utilizzato come master universale (Universal Master) da cui vengono prodotti tutti i contributi per la filiera dello sfruttamento dei diritti audiovisivi: DVD, home video, TV via satellite, TV analogica. Datacine: dispositivo che trasferisce le immagini dalla pellicola al dominio digitale apportando le dovute correzioni di spazio colore. Esso ha ormai soppiantato il vecchio telecine. DC28: vedi SMPTE DC28. DCDM: acronimo di Digital Cinema Distribution Master – È il master non compresso per video/audio e sottotitoli. L’immagine DCDM ha già subito la color correction per la proiezione digitale ed è utilizzata per creare i file compressi utilizzati nella distribuzione del Digital Cinema. Il DCDM è un supporto richiesto da molti festival per la proiezione in digitale. DCI: acronimo di Digital Cinema Iniziative. È una organizzazione volontaria costituita da Disney, Fox, MGM, Paramount, Sony Pictures, Universal e Warner Bros per investigare sulle possibili tecnologie digitali da utilizzare nel settore cinematografico in sostituzione della pellicola tali che il risultato visivo per lo spettatore appaia uguale o superiore a quello della prima proiezione della prima copia stampata. Il risultato dell’investigazione ha generato raccomandazioni sul D-Cinema che riguardano esclusivamente gli aspetti tecnici (trattamento dell’immagine) ma non le implicazioni commerciali dovute alla loro applicazione. Dal 2008, DCI ha rilasciato centinaia di errata corrige al Digital Cinema Specification. DCP: acronimo per Digital Cinema Package – È l'insieme di file ricavati dal risultato del processo di compressione, codifica, criptazione della copia DCDM con eventuale versione audio e sottotitoli. In pratica, è la copia del film digitale che la distribuzione fornisce agli esercenti. La copia DCP può essere memorizzata su media fisico ed inviato via satellite o rete. 121 Digitale: termine che deriva dall’inglese digit (numero) indica sia un insieme finito di elementi sia ogni forma di organizzazione delle informazioni come combinazione di dati rappresentati sotto forma di segnali discreti (on e off) e tradotti nel codice binario 0 e 1. Un oggetto viene reso in formato digitale quando il suo stato analogico, rappresentato da un insieme infinito di elementi, viene trasformato in un insieme numerabile di elementi. Diritto Theatrical: è il diritto di proiezione e sfruttamento del contenuto audiovisivo per proiezione nelle sale cinematografiche. Diritto Theatrical Digitale: diritto di proiezione e sfruttamento del contenuto audiovisivo relativo alle proiezioni digitali nelle sale cinematografiche del Digital Network intermediato da Microcinema. DPF: acronimo di Digital Print Fee. È il contributo indiretto riconosciuto da parte dei distributori alle sale cinematografiche aderenti al Digital Network Microcinema per la diffusione dei film in digitale e più in generale per sostenere la digitalizzazione delle sale. Il risparmio nella logistica, nella stampa e nello smaltimento delle pellicole, viene in parte ristornato alla sala attraverso il sistema di sconti sulle percentuali di noleggio dei film proiettati in digitale. Tale contributo, per il tramite di Microcinema, viene erogato attraverso un credito a scalare: fino alla concorrenza massima del contributo pattuito la sala non pagherà i diritti di noleggio a Microcinema, che da parte sua corrisponderà normalmente il dovuto alla distribuzione. A sua volta il distributore riconoscerà, sotto forma di sconto, a Microcinema una percentuale sul totale del dovuto per diritti digitali. In questo modo il distributore non ha impegni finanziari e l’esercente beneficia di un adeguamento tecnologico senza spesa diretta. Al termine dell’operazione DPF, legata alla digitalizzazione del sistema, entrerà in vigore un meccanismo di scontistica nei confronti del Digital Network crescente in relazione alla crescita del circuito e all’aumentare dei risparmi del distributore. DLP: acronimo di Digital Light Processing (DLP). E’ un sistema digitale di generazione delle immagini basato su tecnologia DMD – Digital Micromirror Device sviluppata dalla Texas Instruments insieme alla Digital Projection e usata dai principali costruttori di proiettori per cinema digitale tra cui Barco, Christie e Nec, ma anche per proiettori digitali ovvero per altre applicazioni non necessariamente relative al cinema digitale. Il dispositivo è formato da una matrice di microscopici specchi oscillanti (ciascuno dei quali corrisponde ad un pixel dell’immagine finale), utilizzati per riflettere il fascio luminoso proveniente da una lampada. Una volta colpiti, gli “specchietti”, variando la propria incidenza, rifrangono la luce in modo da creare 122 l’immagine in movimento. È possibile realizzare immagini in tricromia RGB con una sola matrice ma, per migliorare risoluzione e luminosità, possono essere utilizzate tre matrici o chip, uno per ogni colore primario. DRM: acronimo di Digital Rights Management. Complesso di sistemi tecnologici mediante i quali i titolari dei diritti d'autore possono esercitare e amministrare tali diritti nell'ambiente digitale, grazie alla possibilità di rendere protetti, identificabili e tracciabili tutti gli usi in rete di materiali adeguatamente “marchiati”. Con il temine DRM si fa spesso riferimento al certificato digitale che accompagna il film come una carta d’identità, come un curriculum che rileva, concedendo o negando, ogni utilizzo dello stesso. DVD: acronimo di Digital Versatile Disk. È il supporto informatico digitale basato su una tecnologia ottica che permette di memorizzare molte informazioni che vengono lette attraverso un laser. Può contenere circa 4,5 Gb di informazioni su di un lato e 18 Gb sulla versione a doppia intensità (circa 40 volte più di un normale CD-ROM). Ethernet: è un modo per connettere e collegare apparati digitali in rete. La principale caratteristica è il numero di dati digitali (bits) che possono essere trasmessi in un periodo di tempo. Si adopera una rete a 10BaseT o 100BaseT per trasferire informazioni semplici come le istruzioni di controllo, mentre si adopera una rete veloce Ethernet Gigabit 1.000BaseT o 10.000BaseT per trasferire grandi quantità di dati come, per esempio, quelli per il film digitale. File: insieme strutturato di dati caratterizzato da un’etichetta di metadati e da vari pacchetti di dati. Film scanner: indica un'apparecchiatura che crea una versione digitale della pellicola. I film scanner sono in grado di lavorare a risoluzioni maggiori dell'HD (1920 x 1080). Il formato più comunemente usato è il 2K ma anche il 4K, soprattutto per lavorazioni che contemplano effetti visuali come in post-produzione. Frame: ciascun singolo fotogramma di un film o meglio, parlando di digitale, una singola immagine della durata di 1/24 di secondo all’interno di una serie o sequenza. Frame rate: è la frequenza, il numero di immagini per unità di tempo che vengono visualizzate. Varia da sei a otto immagini al secondo (fps) per le vecchie macchine da presa a 120 o più per le nuove videocamere professionali. Gli standard PAL (Europa, Asia, Australia, etc.) e SECAM (Francia, Russia, parti dell'Africa etc.) hanno 25 fps, mentre l'NTSC (USA, Canada, Giappone, etc.) ha 29.97 fps. La pellicola ha una registrazione ad 123 un frame rate minore, 24fps. Per raggiungere l'illusione di un' immagine in movimento il frame rate minimo è di circa 10 fotogrammi al secondo. Foot-lambert: è l’unità di misura della luminosità (luminanza) sullo schermo di proiezione. Society of Motion Picture and Television Engineersaccomanda la luminosità degli schermi per i cinema commerciali. L'attuale revisione della specifica SMPTE 196m richiede 16 foot-lamberts pari a 55 candele per metro quadrato. Foyer: è il locale, adiacente ad una sala teatrale o cinematografica, dove gli spettatori si intrattengono prima, durante e dopo le pause dello spettacolo. Full digital: è un esercizio cinematografico che sceglie di proiettare solo in digitale abbandonando la via della pellicola. Full redundant: caratteristica di un dispositivo progettato per essere utilizzato in applicazioni critiche dove è richiesto il minor tempo di fermo possibile. Tutti gli elementi costitutivi sono ridondati per garantire la massima performance. Ghost Busting: e’ un tipo di pre-processamento dell’immagine richiesto da Real-D per evitare il fenomeno di ghosting, nel quale un occhio percepisce marginalmente anche l’immagine destinata all’altro occhio. Per ogni film esistono quindi due versioni di Master GB (Gost Busted) e NGB (Not Ghost Busted) destinate ai diversi sistemi 3D. In un prossimo futuro su raccomandazione di DCI, saranno unificate nel solo formato NGB (Not Ghost Busted). A questo formato Real-D e i produttori di server si stanno adeguando. Hard drive: è più conosciuto con il termine “hard disk” ed è utilizzato per memorizzare grandi quantità di dati digitali. Nel Cinemakit è usato in configurazione RAID per memorizzare i file dati dei film digitali e pronti per la riproduzione. Hard drive rimovibili possono essere anche usati per trasferire film digitali da una sala all’altra. HD: acronimo di High Definition. E’ un formato televisivo e indica formati di immagine 1280x720 pixel o 1920x1080 pixel. HD-DVD: acronimo di High Density Digital Versatile Disc. Come il Blu ray ma realizzato da un diverso consorzio di produttori e per questo basato su un formato di memorizzazione e gestione dell’immagine incompatibile con Blu ray. Toshiba ha confermato la cessazione del business HD-DVD, annunciando l'interruzione della produzione. 124 HDTV: acronimo di High Definition TV. Televisione ad alta definizione. Generalmente è costituita da 1920 pixel per ogni linea orizzontale, 1080 pixel in verticale e con un formato immagine 16:9 a differenza della Standard Definition TV che raggiunge al massimo una risoluzione di 720 x 576 pixels. Home theatre: è un sistema audiovideo per uso domestico. Home video: identifica tutte le versioni video per uso domestico (VHS, DVD, DiVX, CD). Image compression: indica gli algoritmi e le tecniche che si utilizzano per ridurre la dimensione delle immagini digitali. La compressione è una tecnica utilizzata per memorizzare un'immagine riducendo la quantità di informazioni digitali necessarie per memorizzare elettronicamente l'immagine stessa. Interlacciato: sistema analogico di codifica delle immagini basato sulla scansione di ogni fotogramma in due campi, composti il primo dalle linee dispari e il secondo dalle linee pari che formano l’immagine. In caso di immagini dinamiche possono formarsi effetti come sfarfallio delle righe o effetti scalino. Il sistema interlacciato consente di trasferire in due tempi ogni fotogramma utilizzando risorse limitate di banda. E’ il sistema utilizzato dalla televisione tradizionale sia in Standard Definition sia High Definition. Interoperabilità: capacità di fornire un interscambio efficiente di immagini e audio elettronici e dei dati associati tra diversi formati di segnale, tra diversi mezzi di trasmissione, tra diverse applicazioni, tra diversi livelli di prestazione (FCC ACATS). In pratica identifica l’effettiva compatibilità tra apparati e sistemi diversi forniti da diversi costruttori. E’ un’esigenza degli esercenti di vitale importanza per le sale. ITU: acronimo di International Telecommunication Union. È l’agenzia delle telecomunicazioni dell’ONU ovvero l’organismo internazionale, con sede a Ginevra, responsabile della definizione di tutte le normative riguardanti la telecomunicazione (anche il GSM che usiamo per telefonare è normato dall’ITU). ITU.B.709: identifica lo standard della HDTV. JPEG: acronimo di Joint Photographic Expert Group (gruppo di standardizzazione internazionale che lavora sotto ISO e IEC e che sviluppa un consenso internazionale sugli algoritmi della image compression per una continuità di tono e colore delle immagini ferme). Identifica un algoritmo di compressione delle immagini statiche che permette di ridurre lo spazio 125 occupato dal file pur mantenendo buona parte delle caratteristiche di qualità dell’immagine. Sfruttando il funzionamento del cervello umano nel percepire forme e colori, questo formato di codifica semplifica le immagini eliminando minuscoli dettagli, normalmente impercettibili, sostituendole con un modello matematico che consente di rappresentarle con una quantità di informazioni notevolmente inferiore. L’immagine viene così compressa, con un fattore variabile, regolabile a piacere al momento della creazione del file: maggiore sarà la compressione, minori le dimensioni del file. K: numero di pixel di risoluzione orizzontale di un'immagine. "K" è l'abbreviazione di "Kilo" che significa 1000 o abbreviato 1K. LCD: il Liquid Cristal Display è un tipo di display principalmente utilizzato per monitor è TV. Orientati in modo opportuno, i "cristalli liquidi" possono consentire o meno il passaggio della luce proveniente dalla retroilluminazione del pannello illuminando lo schermo. Licenza: conosciuta anche come Key Delivery Message (KDM) è il metodo standardizzato per spedire le chiavi di sicurezza (key) al server di sala e contiene le chiavi necessarie a decriptare un determinato film in un determinato cinema, oltre a informazioni sul suo uso. Può essere su memoria USB o su rete oppure essere nell'hard drive che contiene il film o contenuto digitale. Lungometraggio: è un film della durata minima di 60 minuti. M-Box: è il server di sala interoperabile VC-1 / DCI presentato al mercato da Microcinema nel 2008. Major: è la definizione dei principali studios americani di produzione e distribuzione di film. Universal, Sony Columbia Tri-star Pictures, Warner Bros, Twenty Century Fox, Metro-Goldwyn-Mayer, Dreamworks SKG, Disney Corporation, Paramount. Masterizzazione: le attività in postproduzione per raggiungere la edizione finale di un film (per l'appunto il “master”). Metadata: è una componente fondamentale per archiviare contenuti digitali e semplificare l’accesso agli stessi in una fase successiva. Sono le informazioni sovrascritte sui contenuti stessi che descrivono un insieme di dati come il titolo, durata, ora e data, dettagli sul copyright, formato immagine, tipo audio e via di seguito. MJPEG-2000: (Motion JPEG) formato di compressione delle immagini digitali in movimento basato sullo schema di compressione JPEG utilizzato 126 per le immagini fisse (prevede infatti la compressione di ogni singolo fotogramma individualmente). Si caratterizza per una bassissima perdita di informazioni dovuta alla compressione, che è pur sempre consistente. MPEG-2: standard di codifica dei dati digitali usato principalmente per contenuti LSDI, contenuti alternativi e HDTV. Utilizzato nei DVD e nella TV digitale. MJPEG-2000: metodo scelto da DCI per il cinema digitale. Qualsiasi server DCI deve lavorare con dati compressi MJPEG 2000. Megaplex: indica un esercizio cinematografico con oltre 16 schermi. Microplex: sono gli esercizi cinematografi con meno di 3 schermi. Solitamente si caratterizzano per programmazione flessibile e legata al cinema d’essai. Multiplex: indica un esercizio cinematografico con numero di schermi compreso tra 4 e 16. Multisala: indica tutte gli esercizi cinematografici con più di 3 schermi. Secondo Medialsalles il termine “multisala” indica le strutture ottenute dal frazionamento di grandi cinema mentre i multiplex o i megaplex nascono sulla base di una progettazione specifica. MXF: acronimo di Material Exchange Format. È il formato utilizzato per l’interscambio dei file di dati tra sistemi e apparati cinema digitale di diversi costruttori. È la base della interoperabilità. NATO: acronimo di National Association of Theater Owners. l’associazione degli esercenti cinematografici principalmente americani. È Perfect Film Look: marchio creato da Microcinema per indicare la qualità delle proprie proiezioni, che mantengono, grazie alla particolare codifica dell’immagine, tutta la fluidità delle normali proiezioni in pellicola (v. Progressivo). Occhiali Attivi: sono occhiali per 3D dotati di otturatori LCD montati in luogo delle lenti che si aprono e chiudono svariate volte al secondo mostrando alternativamente l’immagine per l’occhio destro e quella per il sinistro, creando quindi l’illusione dell’immagine tridimemsionale. Occhiali Passivi: sono occhiali dotati di lenti polarizzate in grado di filtrare per ogni occhio l’immagine ad esso destinata, senza lasciar passare le informazioni destinate all’altro occhio, creando in tal modo l’illusione dell’immagine tridimensionale. 127 Pixel: unità elementare con cui viene rappresentata un’immagine (come la cellula per il corpo umano, come l’atomo per la materia, ecc.). Abbreviazione per “elemento di un’immagine” (PICture Element). Normalmente indica il numero di pixel facenti parte di una linea orizzontale dell’immagine, o dell’intero fotogramma (pixel orizzontali e verticali) di ogni immagine. È considerata l’unità elementare componente tutte le immagini. Per ciascun pixel può essere memorizzata una certa quantità di informazioni, tale da ricostruire il colore e la luminosità dello stesso; maggiore è la quantità di informazioni sui singoli pixel, maggiore la qualità dell’immagine e la fedeltà al colore originale. La dimensione di un pixel dipende dalle dimensioni dello schermo. Polarizzazione: un processo inventato da Polaroid negli anni Trenta per i suoi occhiali destinati a ridurre i riflessi dei fari delle automobili provenienti in senso contrario a quello di guida. La luce viene filtrata in un senso ben preciso eliminando tutte le onde luminose proveniente dalle direzioni che non siano quella prescelta. Comporta una diminuzione di luminosità di ciò che si vede ma anche una diminuzione dei riflessi. Questo processo sta alla base di ogni sistema 3D. Progressivo: sistema digitale di codifica delle immagini basato sulla scansione completa di ogni singolo fotogramma (la procedura di generazione del segnale video è infatti denominata “a immagine completa”). È una trasposizione in digitale del comportamento della macchina da presa in pellicola. È un sistema utilizzato sia per la ripresa sia per la proiezione cinematografica. Trova applicazione nella risoluzione HD 720p e 1080p. A parità di frequenza, la scansione progressiva richiede il doppio della banda rispetto a quella interlacciata. RAID: acronimo di Redundant Array of Indipendent Disks. È un’architettura usata nei migliori sistemi di sala per evitare le interruzioni nella proiezione. I file sono memorizzati su hard disk multipli onde assicurare affidabilità da errori o cancellazioni: se un hard disk non funziona, si ha la sicurezza che i dati digitali siano reperibili da altro hard disk del RAID e non si ha alcuna interruzione di proiezione. Risoluzione: la risoluzione indica il grado di qualità di un'immagine stampata. Generalmente si usa questo termine relativamente a immagini digitali, ma anche una qualunque fotografia ha una certa risoluzione. La risoluzione indica la densità dei pixel, ovvero la quantità dei puntini elementari che formano l'immagine rapportata ad una dimensione lineare (ad esempio pixel/cm o pixel/pollice). Le risoluzioni per cinema digitale attualmente specificate dal consorzio DCI sono 2K (2048 pixel orizzontali x 1080 pixel verticali) e 4K (4096 pixel orizzontali x 2160 pixel verticali). 128 Risoluzione di proiezione: è la risoluzione della matrice del proiettore su cui si forma l’immagine ovvero il numero di pixel con cui l’immagine viene rappresentata (all’aumentare della risoluzione, aumenta il numero di pixel che a parità di area diventano più piccoli e per questo rendono l’immagini più definita: linee oblique sempre più rette e meno “a scaletta”). Sbigliettamento nettissimo: indica l’incasso da biglietteria al netto di IVA, SIAE e altre tasse in genere che dovessero gravare a vario titolo sullo spettacolo. SD: acronimo di Standard Definition. Indica formati di immagine 720x576 pixel nel formato PAL utilizzato in Europa. Silver Screen: schermo cinematografico altamente riflettente e di conseguenza con un alto valore di luminosità, in grado di compensare così la minor luce che arriva allo spettatore a causa della polarizzazione e di mantenere un valore di luminosità specifica dello schermo al di sopra dei parametri stabiliti da SMPTE. Sistemi 3D: X-Pand: sistema 3D basato sull’utilizzo di occhiali attivi dotati di otturatore LCD riutilizzabili. Può essere impiegato con il tradizionale schermo cinematografico bianco. Real-D: sistema 3D basato sull’utilizzo di occhiali passivi a polarizzazione circolare “usa e getta”. Richiede uno schermo argentato per visualizzare le immagini. MasterImage: sistema 3D basato sull’utilizzo di occhiali passivi a polarizzazione circolare “usa e getta”. Richiede uno schermo argentato per visualizzare le immagini. Dolby: sistema 3D basato sull’utilizzo di occhiali passivi con filtro ad interferenza. Sarebbe consigliabile uno schermo bianco ultrabright ad alto guadagno o uno schermo argentato per raggiungere il valore di luminosità specificato SMPTE. SMPTE: acronimo di Society for Motion Picture and Television Engineers. Si tratta di una associazione professionale internazionale basata in USA e con sezioni in tutto il mondo, che si occupa di individuare raccomandazioni e linee guida che consentano di predisporre gli standard utilizzati da cinema e televisione insieme ad altri enti sovranazionali quali EBU (European Broadcasting Union) e ITU (International Telecommunication Union). 129 SMPTE 274M: standard SMPTE che definisce le varie risoluzioni ammesse per le immagini in alta definizione. SMPTE 412M/VC-1: formato di compressione delle immagini digitali in movimento sviluppato da Microsoft con il nome di Windows Media e successivamente standardizzato da SMPTE. come formato di compressione di immagini in HD anche per HD-DVD e Blu ray disk. SMPTE-DC28: è il gruppo di studio di SMPTE incaricato di definire gli standard del D-Cinema. Il DC28 è costituito da ben definiti gruppi di lavoro che, strategicamente connessi, preparano standard e raccomandazioni che assicurino, tra l’altro, l’interoperabilità, la compatibilità e la qualità dei componenti e dei sistemi necessari alla transizione al cinema digitale. Spazio colore: è la gamma completa di colori. Nei proiettori per cinema digitale, il color space può essere riprogrammato per creare un look differente per differenti contenuti. Il diagramma generale di riferimento per il color space è quello definito dal diagramma del CIE che include i colori potenzialmente visibili dall’occhio umano. Studios: in origine erano Universal Studios, 20th Century Fox, Paramount Pictures, MGM Metro-Goldwyn-Mayer. The Walt Disney Company e Warner Bros Pictures producevano solo cartoni animati. Oggi major e studios nell’accezione comune sono sinonimi e includono: The Walt Disney Company (che possiede Miramax e Buenavista), Universal Studios di proprietà General Electric e Vivendi, 20th Century Fox della News Corporation (Murdoch), Warner Bros. Pictures di Time Warner, Paramount Pictures della Viacom, Sony Pictures Entertainment (Columbia Tri-star), MGM Metro-Goldwyn-Mayer che ha un accordo di distribuzione con Sony, DreamWorks SKG legata all’indiana Reliance. Stereoscopia: è la definizione tecnica e non commerciale di 3D. Sorround: letteralmente circondare. Rappresenta il fronte sonoro alle spalle dell’ascoltatore riprodotto da diffusori acustici posizionati, secondo prestabilite regole, alle spalle dell'ascoltatore. Tenitura: indica il periodo, solitamente espresso in giorni, durante il quale un film viene contrattualmente “tenuto in proiezione” in sala. Telecine: dispositivo/procedimento che trasferisce le immagini dalla pellicola a un qualsiasi formato televisivo. TMS: acronimo di Theatre Management System. È l’interfaccia grafica che consente la gestione del server di sala e del proiettore da parte dell’esercente. 130 Upgrade: si riferisce alla possibilità di sostituire un componente informatico con uno di livello superiore o di più recente concezione. E’ possibile effettuare un upgrade di fronte ad un’offerta strutturata e modulare, pensata per consentire investimenti incrementali senza rischio di perdita del denaro investito per i livelli inferiori. Naturale nel software, esemplificabile nell’hardware con un parallelo di facile intuizione in campo automobilistico: una volta acquistata un’auto, se si decide di montare un particolare tipo di navigatore si paga solo la cifra necessaria ad installare il nuovo accessorio. UPS: acronimo di Uninterruptable Power Supply. Si riferisce a un dispositivo in grado di garantire la continuità dell’alimentazione elettrica di un appartato anche in mancanza di alimentazione di rete (gruppo di continuità). VPF: acronimo di Virtual Print Fee – Meccanismo studiato dalle major americane per agevolare la digitalizzazione delle sale cinematografiche attraverso una partecipazione agli investimenti in tecnologia. Il VPF viene gestito da un soggetto terzo (un integratore di sistemi) che con l’appoggio di una banca acquista le tecnologie e le integra per fornire ad ogni sala cinematografica un sistema capace di gestire la proiezione di film digitali. Il costo delle tecnologie viene sostenuto per il 70/80% dalle major e per il 30/20% dalle sale che hanno aderito all’accordo di VPF. Come contropartita gli apparati rimangono di proprietà delle major attraverso la banca per 10 anni. La programmazione e il rilascio delle chiavi avviene attraverso l’integratore che si occupa dell’installazione, del training e della manutenzione dei sistemi (i costi di training e di manutenzione non sono compresi negli accordi di VPF ma addebitati direttamente alla sala). Ad oggi esistono in Europa tre operatori con accordi di VPF siglati con major: Arts Alliance Media (Inghilterra), XDC (Belgio) e Ymagis (Francia). VPN: acronimo di Virtual Private Network. Una VPN è una rete privata instaurata tra soggetti che utilizzano un sistema di trasmissione pubblico. Le reti VPN utilizzano collegamenti che richiedono qualche forma di autenticazione per garantire che solo gli utenti autorizzati vi possano accedere. Per impedire l’intercettazione e l’utilizzo dei dati inviati da altri non autorizzati, esse utilizzano sistemi di crittografia. Watermarking: tecnica per la sovrapposizione di particolari informazioni alle immagini dei film digitali. Tali informazioni, invisibili all’occhio umano, sono usate per scoprire quando e dove un particolare film è stato piratato in un determinato cinema. 131 Widescreen: indica uno schermo con formato superiore a 4:3, il vecchio standard televisivo. Gli schermi 16:9 sono considerati wide screen che in campo cinematografico corrisponde a 1,78:1. 16:9: rapporto aspetto/immagine usato per l’HDTV e alcuni apparecchi SDTV (di solito digitali). La larghezza dell’immagine corrisponde a 1,8 volte la sua altezza. 24p: è l’abbreviazione usata per definire la scansione progressiva di immagini a 24 fotogrammi al secondo. Per migliorare la compatibilità tra analogico e digitale, lo standard per un’acquisizione di cinema digitale è stato fissato inizialmente a 24fps (24 fotogrammi progressivi al secondo) ma la SMPTE sta analizzando la possibilità di inserire anche la scansione a 25p, 30p, 50p e 60p. 25p: è la scansione progressiva di immagini a 25 fotogrammi al secondo. E’ usato per le produzioni HD in Europa e in altri Paesi che usano sistemi televisivi a 50Hz. 720i: indica il formato HD con risoluzione 1280x720 interlacciato e si riferisce agli standard internazionali SMPTE 274M e ITU 709. Differisce dal formato progressivo per la divisione dell’immagine in due campi consecutivi. Vedere separatamente la definizione delle sigle. 720p: indica il formato HD con risoluzione 1280x720 progressivo e si riferisce allo standard internazionale di produzione HD ITU-B 709. Vedere separatamente la definizione delle sigle. 720 indica il numero delle righe orizzontali mentre 1280 indica il numero di pixel orizzontali ovvero il numero delle colonne. Complessivamente si possono così rappresentare quasi 1 milione di pixel. 1080i: indica il formato HD con risoluzione 1920x1080 interlacciato e si riferisce agli standard internazionali SMPTE274M e ITU 709. Differisce dal formato progressivo per la divisione dell’immagine in due campi consecutivi. Vedere separatamente la definizione delle sigle. 1080 indica il numero delle righe orizzontali dell’immagine mentre 1920 indica il numero di colonne ovvero il numero di pixel orizzontali. Complessivamente possono essere in questo modo rappresentati circa 2 milioni di pixel. 1080p: indica il formato HD con risoluzione 1920x1080 progressivo e si riferisce allo standard internazionale di produzione HD ITU-B 709. Vedere separatamente la definizione delle sigle. 1080 indica il numero delle righe orizzontali dell’immagine mentre 1920 indica il numero di colonne ovvero il numero di pixel orizzontali. Complessivamente possono essere in questo modo rappresentati circa 2 milioni di pixel. 132 1.3 K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 1280x720 pixel. 1.3 K indica la risoluzione orizzontale di 1280 pixel. Nasce per il formato 16:9 pari ad un aspect ratio di 1,77:1. Per il formato cinema (1,85:1) e per il cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale, cioè l’immagine proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e si creano delle strisce orizzontali nere negli spazi liberi dall’immagine. Il primo proiettore digitale con una tecnologia e chip DLPC 1.3K della Texas fu per la prima volta commercializzato a Marzo 1999 con la distribuzione del film in digitale della 20th Century Fox “Star Wars: Episodio I – La minaccia fantasma”. 1.9 K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 1920x1080 pixel. 1.9 K indica la risoluzione orizzontale di 1920 pixel. Nasce per il formato TV 16:9 pari ad un aspect ratio di 1,77:1. Per il formato cinema (1,85:1) e per il cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale, cioè l’immagine proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e si creano delle strisce orizzontali nere negli spazi liberi dall’immagine. 2.0 K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 2048x1080 pixel. 2.0 K indica la risoluzione orizzontale di 2048 pixel. Si adatta al formato cinema, pari ad un aspect ratio di 1,85:1 con una matrice 1:89:1. Per il formato TV 16:9 viene applicato un letterbox verticale, cioè l’immagine proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e si creano delle strisce verticali nere negli spazi liberi dall’immagine. Per il formato cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale. Un proiettore con un chip DLPC 2K fu per la prima volta commercializzato in USA a novembre 2003 con la distribuzione del film in digitale della Warner Bros “L’ultimo samurai.” 4.0 K: si riferisce ad immagini digitali con risoluzione 4096x2160 pixel. 4.0 K indica la risoluzione orizzontale di 4096 pixel. Il 4K garantisce una risoluzione di immagini quattro volte superiore alla risoluzione 2K. Si adatta al formato cinema, pari ad un aspect ratio di 1,85:1 con una matrice 1:89:1. Per il formato TV 16:9 viene applicato un letterbox verticale, cioè l’immagine proiettata occupa un’area inferiore rispetto all’area disponibile e si creano delle strisce verticali nere negli spazi liberi dall’immagine. Per il formato cinemascope (2,35:1) viene applicato un letterbox orizzontale. 133 134 Ringraziamenti Ho già dato sostanziale conto nell’introduzione a questo Quaderno delle tante, importanti novità che hanno riguardato la nostra società dall’inizio dell’anno, novità tali da obbligarmi felicemente ad ampliare la dimensione stessa del mio “orizzonte” di gratitudine. Me la sbrigo dunque, ma non con minore sincerità e certamente dal profondo del mio animo, a rivolgere il ringraziamento di sempre e sempre più forte e convinto a Silvana Molino, mio grandissimo, efficacissimo e invitto braccio destro; a quel granitico pilastro della nostra architettura che è Francesco Giraldo, anche per la sua costante presenza e immancabile saggezza; a Massimo Mondini, straordinario traghettatore della società per un impervio passaggio che richiedeva – come di fatto è accaduto – non solo competenza e dottrina, ma anche pazienza, tanta pazienza; ad Alessandro Firpo amico, mentore e motore di tutti i quaderni, che – devo esser sincero – porta a Microcinema un contributo leggermente superiore alla sua mercede (cosa peraltro – e lo dico a suo disdoro – non difficilissima); a Luca De Gasperin che con noi cresce di anno in anno; a Rolando Alberti per la sua inarrivabile competenza e la sua pervicace pazienza e, infine, anche a tutto il nostro staff, nessuno escluso, ancora una volta nessuno escluso, sinceramente. Ed esaurito con più rapidità del solito, ma non per questo con minore trasporto, questo mio sempre graditissimo compito è con vera soddisfazione che ho l’opportunità di rivolgere un sentito ringraziamento ai volti nuovi, alle new entry di Microcinema. Al nuovo Presidente Luca Galli, prima di tutto, per il costante costruttivo supporto al nostro lavoro. Ad Alberto Trombetta e Andrea Vestita che non perdono occasione di spronarci e sostenerci in ogni nuova iniziativa, sempre fattivamente e sempre con rinnovato entusiasmo. Ma c’è ancora una cosa da fare, un autentico last but not least a cui va il mio più sentito e autentico sentimento di gratitudine. Ho conosciuto Franco Del Campo proprio in occasione della preparazione di questo Quaderno e ho potuto da subito apprezzare la sua cordiale riservatezza, la sua garbatissima eleganza di modi, la sua vivacità 135 intellettuale, la serietà del suo approccio e la amplissima circolarità dei suoi riferimenti, qualità tutte che lo rendono capace come pochi di nuotare (rigorosamente a “dorso”) per ogni mare dello scibile. Anche per questo l’incisività della sua scrittura non mi ha affatto sorpreso, anche se debbo confessare che, dovendo frequentemente rapportarla alla mia, ne sono regolarmente uscito, tanto dolorosamente quanto fraternamente umiliato. Grazie davvero di tutto caro Franco e spero di avere ancora tante nuove occasioni per averti al mio fianco. Grazie, come sempre, anche al rigorosissimo Roberto Gobesso per la copertina. Grazie infine a tutti coloro che ci hanno sostenuto e che continuano a farlo: grazie a tutte le sale e agli esercenti del network di Microcinema. Un grazie conclusivo, e davvero particolare, è dovuto anche alla pazienza delle nostre famiglie che, ormai da anni, con mutevole ma sostanziale sopportazione, subiscono l’avventura Microcinema anche durante le vacanze, occupate quasi per intero dalla stesura del Quaderno, e un grazie particolare ai più piccoli: a Laura, ad Alessandro e a Gregorio per tutto il tempo loro rubato. Roberto Bassano Legnano, 20 Agosto 2010 136 137 Hanno contribuito alla stesura di questo terzo Quaderno di Microcinema: Rolando Alberti (Palazzolo sull’Oglio, 1963) – E’ attivo nel settore telecomunicazioni e media fin dagli anni ’80 seguendo nel tempo l’evoluzione di radio, televisione, cinema, internet, e più in generale, dei media basati su tecnologie digitali. Dal 2000 si occupa di cinema digitale e ha partecipato ai lavori dello European Digital Cinema Forum e di SMPTE. Tra i primi a introdurre nella filiera della produzione il digital intermediate, oggi è consulente indipendente e giornalista. Roberto Bassano (Torino, 1959) – In qualità di amministratore delegato ha gestito aziende tessili e automobilistiche sino al 1993. Successivamente, sempre con lo stesso incarico, ha operato nel settore audiovisivo in diverse società tra le quali Gierrevideo ed Euphon. Ha partecipato con la RAI alla fase embrionale del progetto Microcinema importando il primo proiettore DLP in Italia nel 1997 per i test di trasmissione satellitare. E’ amministratore delegato di Microcinema dal 2006. Luca De Gasperin (Biella, 1983) – Laureato in Linguaggi dei Media presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è entrato a far parte di Microcinema nel 2007. Appassionato e buon conoscitore di musica e teatro, si occupa in Microcinema della promozione degli spettacoli complementari in diretta e in differita, lavorando a stretto contatto con le sale cinematografiche. A lui si deve il successo in Italia dell’opera al cinema. Franco Del Campo (Trieste, 1949, nel segno dei "pesci") – E’ giornalista e insegnante di filosofia al liceo Petrarca di Trieste. E’ esperto di comunicazione: è stato presidente del Comitato regionale per le comunicazioni del Friuli Venezia Giulia dal 2003 al 2008 e docente di "Teorie e tecniche della comunicazione pubblica" all’Università di Trieste. Da giovane ha conquistato numerosi record e primati italiani nel nuoto e ha disputato due finali olimpiche ai Giochi di Città del Messico nel 1968. Ha partecipato allo staff tecnico della nazionale di nuoto. Alessandro Firpo (Torino, 1946) – Si è occupato di editoria per molti anni ed è stato amministratore e dirigente di diverse case editrici. In particolare è stato direttore commerciale di Einaudi, Garzanti e Utet. Attualmente è direttore marketing di TBS Group, multinazionale italiana con sede a Trieste che si occupa di servizi innovativi per la sanità. Continua ad essere un instancabile e onnivoro lettore di libri. E’ consigliere di amministrazione di Microcinema. Silvana Molino (Chivasso, 1974) – Da sempre appassionata di cinema. Per dieci anni si è occupata di sviluppo d’impresa nel settore audiovisivo ed è stata consulente di direzione per diversi progetti europei. Ha guidato, in qualità di amministratore, un consorzio di aziende audiovisive e multimediali piemontesi. Dal 2004 collabora con Microcinema, dal 2006 ne riveste il ruolo di direttore generale e, dal 2010, quello di amministratore delegato. Ha gestito il closing di tutti i round con i fondi. 138 Sommario Voglia matta di cinema di Franco Del Campo ..........................................11 LUCI DELLA CITTA’ di Franco Del Campo ...............................................15 Cinema e lucciole (nel senso di Pasolini…) ..............................................17 Cinema e televisione “totalitaria” ............................................................22 Quando si spengono le “luci della città” (cinema e territorio) ...................27 Cinema e formazione (non solo per i giovani…) ......................................33 Dal teatro al cinema: andata e ritorno. ...................................................38 MICROCINEMA ......................................................................................43 Per un nuovo cinema di prossimità di Roberto Bassano...........................45 L’innovazione di Microcinema di Roberto Bassano ...................................57 La pubblicità ritorna al cinema di Roberto Bassano .................................59 Luci di Microcinema di Silvana Molino ....................................................61 Il ruolo di Microcinema nella conversione digitale di Silvana Molino .........66 L’esempio che viene dal freddo di Silvana Molino ...................................72 Microcinema, che cosa è successo in questi anni di Roberto Bassano ......74 Un futuro digitale di Roberto Bassano ....................................................77 L’universo tridimensionale di Rolando Alberti ..........................................83 IL CINEMA RITROVATO .........................................................................93 Il cinema ritrovato a cura di Luca De Gasperin ........................................95 Appunti per un repertorio di frasi celebri di film entrate nell’uso comune della lingua italiana di Alessandro Firpo ................................................ 109 DIZIONARIO ESSENZIALE ................................................................... 117 Ringraziamenti .................................................................................... 135 139 Della stessa collana I Quaderni di Microcinema Q1 - CINEMA E MICROCINEMA - anno 2008 Q2 - NUOVO CINEMA MICROCINEMA - anno 2009 Q3 - LUCI DELLA CITTA’ - anno 2010 Finito di stampare nel mese di agosto 2010 presso Tipografia SRM arti grafiche s.r.l., Volvera (TO) 140