DISPENSA DI MECCANICA QUANTISTICA
Introduzione
In questa sezione ci proponiamo di dare uno sguardo a una delle teorie
scientifiche più interessanti ma nello stesso tempo enigmatiche elaborate
nel corso del novecento, la Meccanica Quantistica. Tale teoria nacque quasi
per caso, in seguito allo studio di un problema secondario della Fisica
classica, la radiazione del corpo nero, ed ebbe il suo più rapido sviluppo tra
gli anni '20 e '40 di questo secolo, grazie all'interesse dimostrato verso
questa nuova branca della Fisica da parte dei migliori fisici teorici della
prima metà del novecento, come ad esempio Niels Bohr, Werner Heisenberg,
Erwin Schrödinger, Paul Dirac, e grazie anche alla venerabile tenacia di
un'intera generazione di fisici sperimentali, che incuranti della notevole
distanza tra la neonata e misteriosa meccanica dei quanti e i principi secolari
della solida meccanica newtoniana, si dedicarono allo studio delle interazioni
tra luce e materia nei primi e pionieristici laboratori di fisica nucleare.
Insieme alla teoria della relatività e alle geometrie non euclidee, infatti, la
meccanica quantistica rappresenta un vero e proprio stacco nei confronti
della visione tradizionalmente deterministica del mondo tramandataci dai
tempi di Newton: così come Einstein dimostrava l'inesattezza delle leggi
della meccanica classica, i fisici che si interessarono di meccanica
quantistica dimostravano come nel mondo dell'infinitamente piccolo le
definizioni di onda, corpuscolo, posizione, andassero strette ai nuovi "oggetti
quantistici" come l'elettrone e il fotone, e che si potessero utilizzare per
una loro definizione approssimativa, mutuata dalla meccanica classica, la
quale però certamente non ne restituiva fedelmente l'essenza fisica.
Altro fatto sconcertante, fu il venir meno del principio di causalità: la
meccanica quantistica, al contrario della meccanica newtoniana, non offre
certezze, ma si basa su una visione probabilistica degli eventi fisici, che non
deriva dalla necessità di sintetizzare il comportamento di un grandissimo
numero di particelle elementari che nel loro singolo si comportano in maniera
deterministica. Grazie alla formulazione del principio di indeterminazione, la
probabilità diventa una caratteristica intrinseca di ogni singolo oggetto
quantistico, il cui comportamento è sempre soggetto a un certo margine di
incertezza. Risulta comunque necessario distinguere tra caso
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soggettivo e caso oggettivo. Siamo di fronte ad un evento soggettivamente
casuale quando di esso non si conosce la causa, ma questa deve esserci (ad
esempio, in un primo momento non siamo in grado di individuare le cause di un
incidente aereo, ma queste devono evidentemente esserci, e vengono
scoperte a seguito di indagini e studi). La casualità oggettiva caratterizza un
fenomeno di cui non solo non si conosce la causa, ma essa non c'è, e la sua
assenza non è imputabile a una mancanza del nostro sistema di indagine ma
alla presenza di una casualità pura, di una situazione che non può essere
inquadrata nel principio di correlazione tra causa ed effetto, che pur
essendo un'idea efficacissima nell'interpretare il mondo fisico, è pur sempre
frutto del fatto che gli uomini per capire il mondo impongono ad esso i propri
schemi concettuali. Ma nel caso della meccanica dei quanti, il principio di
causalità è del tutto impotente. Questa incertezza che caratterizza i
fondamenti della materia, gli oggetti microscopici, di cui si occupa la
meccanica dei quanti, potrebbe far pensare a un mondo retto dal caso. Su
questa idea hanno peraltro discusso una moltitudine di filosofi.
Per quanto i principi della meccanica quantistica possano sembrare non
intuitivi, perché di fatto lontani da quella che è la nostra esperienza
quotidiana con gli oggetti macroscopici, dei quali ad esempio possiamo
tranquillamente individuare la posizione e la velocità con una precisione
limitata sostanzialmente solo dai limiti strumentali e di prontezza
dell'essere umano (e quindi esterni all'oggetto fisico in sé), si è resa
necessaria fin dagli anni '20 una conciliazione tra meccanica classica e
quantistica. La soluzione è data dal Principio di Corrispondenza di Bohr, che
sulla falsariga dell'idea nel campo della meccanica macroscopica, per cui le
previsioni della meccanica classica continuano ad essere accettate come caso
particolare di quelle della meccanica relativistica per le basse velocità,
afferma che le leggi della meccanica quantistica devono concordare con
quelle della meccanica classica a mano a mano che il sistema in esame passa
da dimensioni microscopiche a dimensioni macroscopiche. Insomma quando le
leggi quantistiche sono applicate alla realtà macroscopica, devono dare lo
stesso risultato delle leggi classiche. Ciò rivela una sorta di asimmetria tra
leggi classiche e quantistiche: le prime sono applicabili al mondo
microscopico, mentre le seconde non riescono a descriverlo. Da ciò deriva
l'idea delle leggi quantistiche come leggi fondamentali della materia, di cui le
leggi classiche sono un'approssimazione per grandi dimensioni.
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Nonostante questa riconciliazione tra classico e quantistico, rimane il
problema del contrasto tra la razionalità di qualsiasi uomo dotato di una
normale dose di buonsenso, e l'a-causalità che sta alla base della nuova
teoria. Tale questione è seria e generò un acceso dibattito tra Niels Bohr,
forte sostenitore della nuova teoria, e il padre della relatività, Albert
Einstein. Quest'ultimo era ancora fortemente legato a una visione
deterministica della Fisica, non accettava l'idea della presenza costante del
caso oggettivo all'interno di una teoria scientifica. In verità non arrivava a
concepire l'esistenza di qualcosa che trascendesse dal principio di causalità,
faro di ogni disciplina scientifica. Sebbene Einstein non negasse il valore
scientifico della teoria, era lungi dal considerarla completa, ossia in grado di
spiegare ogni fenomeno fisico. Tale era invece la posizione di Bohr e di altri
fisici come Heisenberg e Born, nota come interpretazione di Copenhagen,
che attribuiva alla meccanica quantistica, così com'era, con la sua
caratterizzazione probabilistica, lo status di teoria scientifica completa. La
posizione di Einstein è riassumibile nelle parole scritte da lui in una lettera a
Max Born nel 1926:
"La teoria è potente, ma non ci avvicina molto di più ai segreti del Vecchio.
Ad ogni modo, io sono convinto che Lui non giochi ai dadi"
L'idea che la meccanica quantistica così come era stata formulata da
Heinsenberg, Dirac e Schrödinger non fosse ancora completa, che la sua
caratterizzazione probabilistica fosse dovuta a variabili nascoste, ossia a
leggi e parametri non ancora scoperti continuò a farsi strada fino ad un
poderoso lavoro del 1932 del matematico John von Neumann, il quale
dimostrò la non esistenza di eventuali variabili nascoste. Nonostante questa
vittoria per l'interpretazione di Copenhagen, non erano pochi allora coloro
che si opponevano alla visione della meccanica quantistica di Bohr e
Heisenberg: oltre a Einstein, altri eminenti fisici come de Broglie, che
elaborò una versione deterministica della meccanica quantistica,
abbandonata poi dallo stesso autore.
Per quanto al profano possa sembrare inaccettabile una teoria scientifica
che implichi un'incertezza di fondo, ciò che è veramente sicuro è che la
meccanica quantistica funziona perfettamente nella descrizione delle
dinamiche del mondo particellare e nucleare, ed è alla base di numerose
scoperte e applicazioni tecnologiche nel campo dell'elettronica, della
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chimica, dell'informatica e della medicina. Ora come ora, dopo un secolo
dalla nascita di questa teoria, per dirla con le parole del fisico americano
Richard Feynman "è forte il sospetto che questa limitazione ci inseguirà per
sempre, e che è impossibile risolvere il rompicapo, e che la natura è proprio
così. La meccanica quantistica resiste, perigliosa ed esatta".
Schematizziamo qui il nostro discorso, per facilitare la comprensione, in vari
argomenti:
- La dualità Onda-Corpuscolo
- Principio di Pauli
- Principio di Indeterminazione
- L’equazione di Schrodinger.
La dualità onda-corpuscolo e la meccanica dei quanti
Abbiamo già parlato del lungo confronto tra la teoria corpuscolare e quella
ondulatoria della luce. Proprio mentre si dava ormai per certa la natura
ondulatoria della radiazione luminosa, Thomson scoprì l'elettrone e la sua
natura corpuscolare, e soprattutto Einstein estese l'idea di quanto anche
alla luce, con l'idea del fotone.
Ciò implicava evidentemente un'interpretazione corpuscolare della luce.
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Prendendo atto delle evidenze sperimentali, si iniziò quindi a parlare
di dualità onda-corpuscolo.
Dopo la quantizzazione dell'energia, un altro vero e proprio terremoto nella
Fisica classica fu provocato dagli studi del fisico francese Louis Victor de
Broglie: partendo dall'idea della dualità onda-corpuscolo della radiazione
luminosa, ipotizzò che questa doveva essere la manifestazione particolare di
un principio naturale della natura. Così come la radiazione luminosa presenta
una natura palesemente ondulatoria, ma può comportarsi come un insieme di
corpuscoli, così le particelle, come ad esempio l'elettrone e il protone, che
sono dei corpuscoli (sono dotati di massa) possono comportarsi in
determinate circostanze come delle onde. Tale ipotesi è riassunta nella
relazione:
dove λ rappresenta la lunghezza d'onda di un corpuscolo materiale di massa
(m) e velocità (v). Tramite la costante di Planck, il brillante fisico francese
metteva in relazione la massa, fino ad allora la caratteristica peculiare
della materia, con la lunghezza d'onda, parametro della radiazione, facendo
crollare l'assunto-base della fisica classica, ossia la netta distinzione
all'interno della realtà fenomenica tra la materia e la radiazione.
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Gli esperimenti della doppia fenditura
Un modo per rendersi conto della correttezza dell'ipotesi avanzata da de
Broglie è considerare gli esperimenti con fenditura. Essi consistono nel
proiettare dei corpi contro una barriera insuperabile, nella quale sono aperti
due fori piuttosto vicini tra loro. Oltre tale barriera è disposto un
rivelatore, la cui natura specifica dipende dal tipo di corpo proiettato, in
modo da indicare il punto in cui arriva il corpo che è eventualmente passato
da una delle fenditure.
In generale, per illustrare le diverse caratteristiche dei fenomeni ondulatori
e di quelli riguardanti corpi solidi, si possono considerare due esperimenti di
questo tipo: nel primo si immagina che a dover passare dalle fenditure siano
delle onde d'acqua, mentre nel secondo si considerano dei corpi solidi come
ad esempio dei proiettili.
Nel caso delle onde il grafico delle distribuzioni di probabilità indica
l'intensità dell'onda nei vari punti del rivelatore: essa non è la semplice
somma delle intensità quando si considerano i due casi di una fenditura
aperta e l'altra chiusa, ma il suo andamento mostra un'interferenza, tipica
dei fenomeni ondulatori. Ossia l'onda, giunta alle due fenditure, è come se si
scomponesse e da ogni fenditura si generasse una distinta sorgente di onde,
le quali interferiscono con quelle emesse dall'altra fenditura, andando a
descrivere l'andamento delle intensità totale (intensità dell'onda che passa
per entrambe le fenditure così come è rilevata). Tale andamento è quindi
quello tipico dei fenomeni ondulatori.
Nel caso invece dei proiettili (ad esempio dei sassi), trattandosi di corpi
solidi, essi passano solo da una fenditura, per cui la probabilità totale che un
proiettile, dopo aver superato una delle due fenditure, venga rilevato in un
certo punto del rivelatore è data dalla somma delle singole probabilità
considerando separatamente chiuse prima una poi l'altra fenditura. Tale
curva di probabilità, più semplice per assenza di fenomeni di interferenza, è
quella tipica dei corpuscoli.
Fin qui nulla di eccezionale. I problemi iniziano quando consideriamo una
particella sub-atomica, come ad esempio l'elettrone.
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Innanzitutto dobbiamo tenere presente che la natura corpuscolare
dell'elettrone era già stata dimostrata dagli esperimenti di Thomson. Ci
aspetteremmo quindi una distribuzione delle probabilità totale (probabilità
tenuto conto che entrambe le fenditure sono aperte) analoga a quella dei
proiettili. Andando a compiere l'esperimento si vede però che la curva della
probabilità totale è invece simile a quelle dell'intensità delle onde, e non è
quindi la semplice somma delle probabilità singole con una delle due
fenditure chiuse, ma siamo in presenza di figure di interferenza.
Possiamo quindi affermare che l'ipotesi di elettrone come corpuscolo è
errata? Verifichiamo ciò con un ulteriore esperimento. Posizioniamo una
sorgente luminosa dietro la barriera, tra una fenditura e l'altra. In tal modo
potremo controllare da dove passa ogni elettrone, con il metodo "per che
via?". Ciò è possibile considerando che le cariche elettriche diffondono la
luce: l'elettrone, venendo a contatto con i fotoni della fonte luminosa appena
sistemata, diffonderà esso stesso un po' di luce. A seconda della fenditura
attraversata, vedremo quindi un bagliore in corrispondenza di una delle due
fenditure: l'elettrone è passato da quella.
Innanzitutto si vede come non vi siano mai due lampi contemporaneamente.
Ciò è un fatto molto importante, che dimostra come l'elettrone, al contrario
del fronte d'onda che si espande e può transitare contemporaneamente
attraverso le due fenditure, si comporta come un corpuscolo indivisibile che
passa solo da una fenditura. Ma c'è un altro fatto interessante. La
distribuzione delle probabilità totali è ora analoga a quella dei proiettili,
ossia senza nessuna figura di interferenza. Questa seconda esperienza
sembra dunque confermare la natura corpuscolare dell'elettrone.
Il motivo di una tale discrepanza tra i risultati dei due esperimenti è dato
dall'utilizzo della sorgente luminosa: infatti come conseguenza dell'effetto
Compton, non si può trascurare l'interazione tra i fotoni (dotati di una certa
energia) e particelle di massa molto piccola come gli elettroni. Tale
interazione, che avviene sotto forma di urti elastici, genera un'alterazione
non trascurabile nel moto degli elettroni. Si può pensare allora di aumentare
la lunghezza d'onda della radiazione emessa dalla sorgente luminosa, per
avere fotoni meno energetici, che non "disturbino" gli elettroni. In tal modo
nello stesso esperimento avremmo la conferma sperimentale della natura
ondulatoria (le figure di interferenza sul rilevatore) e insieme corpuscolare
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(il lampo che si avverte da una sola fenditura alla volta), degli oggetti
quantistici, che è lo scopo di questo esperimento.
Ma subito si presenta un problema sperimentale: nel momento in cui la
lunghezza d'onda della sorgente luminosa supera come valore la distanza tra
le due fenditure, si ha un bagliore indistinto al passaggio dell'elettrone. Ciò
è dovuto alla natura ondulatoria della luce, per cui la distanza minima per
vedere due oggetti distinti è pari al valore della lunghezza d'onda della luce
che colpisce i nostri occhi. Di fatto, per tornare a vedere la figura di
interferenza bisogna utilizzare lunghezze d'onda che non ci permettono di
percepire gli elettroni come corpuscoli distinti.
Ma quindi l'elettrone cos'è? Un'onda o un corpuscolo? Con la franchezza e
onestà intellettuale che lo contraddistinguevano, il grande fisico americano
Richard Feynman rispondeva a questa domanda: "Non è nessuno dei due". Ciò
sottolinea come l'idea di onda e corpuscolo siano concetti che appartengono
alla fisica classica e che cerchiamo di far aderire ai fenomeni quantistici,
mentre questi hanno un andamento assolutamente non inquadrabile secondo i
nostri abituali schemi di ragionamento. L'elettrone è semplicemente un
oggetto quantistico!
Ecco a confronto la distribuzione delle probabilità di onde, proiettili
solidi ed elettroni:
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Macrocosmo e indeterminazione
Per completare il discorso sulla dualità onda-corpuscolo, è necessario
interrogarsi anche sulla validità di tale principio nel mondo macroscopico.
Tale principio è valido anche nel macrocosmo. Se per esempio consideriamo
l'esperimento della doppia fenditura per i proiettili, richiamando la formula
di de Broglie precedentemente enunciata, abbiamo che il grande valore della
massa in generale determina una frequenza molto alta, così alta che nella
distribuzione della probabilità la figura di interferenza (tipica dei fenomeni
ondulatori), seppur presente, è così fitta che non si distinguono i picchi, e la
previsione della meccanica quantistica può essere approssimata
dall'andamento effettivamente rappresentato nella seconda figura.
Infine, una considerazione fondamentale. Si è visto, nei precedenti
esperimenti, come fosse grande la difficoltà di cogliere insieme entrambe le
nature dell'elettrone, quella ondulatoria e quella corpuscolare. Cercando di
determinare da quale fenditura passa l'elettrone, se ne distrugge la figura
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di interferenza, e per cercare di recuperarla si dovrebbero usare lunghezze
d'onda che non rivelerebbero da quale fenditura l'elettrone è passato. Si
potrebbe dire che, a seconda del punto di vista adottato, si possa rivelare
solo uno degli innumerevoli aspetti di un fenomeno fisico, e la conoscenza di
tale singolo aspetto preclude la possibilità, proprio per come è
intrinsecamente organizzata la natura, di osservarne contemporaneamente
un altro. Ciò proprio perché nel compiere un'osservazione, interferiamo con
il sistema modificandolo e impedendogli di esprimersi in tutti i suoi possibili
aspetti, ma solo in alcuni.
Questa intuizione, che aleggiava nell'animo di coloro che per primi
lavorarono allo sviluppo della meccanica dei quanti, sarà poi lucidamente
espressa dal fisico tedesco Werner Heisenberg con la formulazione del
principio di indeterminazione.
La disposizione degli elettroni nell'atomo e il principio di esclusione di
Pauli
Ci sembra opportuno accennare a uno dei principi fondamentali della
meccanica quantistica, enunciato dal fisico austriaco Wolfgang Pauli nel
1925, che pur scaturendo dallo studio della struttura dell'atomo ha avuto
importanti conseguenze soprattutto nel campo della Chimica.
Per prima cosa è necessario parlare dei numeri quantici, ossia una quaterna
di valori (n, l, m e ms) che descrivono lo stato di un elettrone e che derivano
dalla risoluzione dell'equazione di Schrödinger. Infatti ogni numero quantico
indica un preciso parametro degli elettroni presenti intorno al nucleo sotto
forma di orbitali:
il numero quantico principale n indica il livello di energia dell'elettrone e
corrisponde sostanzialmente a una delle orbite stazionarie individuate da
Bohr. Esso assume valori interi e positivi 1,2,3,4...
Il numero quantico secondario l indica i vari tipi di orbitale che ci possono
essere in ogni livello energetico, e può assumere tutti i valori da 0 a n-1, a
ognuno dei quali corrisponde un sottolivello di energia. Perciò ad ogni livello
energetico corrisponde un numero di sottolivelli pari al numero quantico
principale. Le lettere usate per indicare i primi quattro sottolivelli di ogni
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livello energetico sono s,p,d,f, ordinati per energia crescente all'interno del
livello. Ad ogni sottolivello corrisponde una ben precisa forma dell'orbitale
degli elettroni che ne fanno parte: sferico per s, a simmetria bilobata per gli
orbitali p e a simmetria più complessa per gli altri orbitali. L'energia del
singolo elettrone dipende approssimativamente dai due numeri quantici n e l.
Il numero quantico magnetico m indica il numero di orbitali che possono
coesistere in un determinato sottolivello. Tali orbitali hanno tutti la stessa
forma e stessa energia, ma sono diversamente orientati nello spazio, e la
loro "fusione" dà vita all'orbitale specifico del sotto livello. Il numero di
orbitali è da intendersi come il numero di orbitali "elementari" che fanno
parte dell'orbitale dello specifico sottolivello energetico. Tali orbitali
elementari contengono al massimo 2 elettroni. Quindi, il numero quantico
magnetico, moltiplicato per 2, ci dà il numero massimo di elettroni presenti
in quel dato sottolivello. Il valore di m dipende da quello di l, e può assumere
2l+1 valori diversi. Ad esempio, il sottolivello s ( che corrisponde a l=0, il
primo sottolivello energetico) possiede un solo orbitale (2x(0)+1=1) che non
ha nessun orientamento prevalente (in quanto a simmetria sferica) e
corrisponde a m = 0. Quindi il sottolivello s contiene al massimo 2 elettroni.
Per il sottolivello p ( l=1) sono ammessi 3 valori di m (2x(1)+1=3) che sono
m=0, m=1 e m=-1, che indicano i tre orbitali p disposti lungo i tre assi x,y,z. Il
numero massimo di elettroni contenuti nel sottolivello p è 6.
Per sapere il numero di elettroni contenuti in un preciso livello energetico, è
sufficiente sommare il numero di elettroni contenuti nei vari sottolivelli che
fanno parte del livello energetico. Ad esempio, nel livello energetico n=2,
abbiamo l=1, ossia due sottolivelli, che sono il sottolivello s (l=0) e p (l=1). Il
numero di orbitali possibili nel sottolivello s è uno solo, mentre nel
sottolivello p sono tre. Moltiplicando entrambi i valori di m di entrambi i
sottolivelli per due, e sommandoli tra di loro, si ha così che il numero
massimo di elettroni nel secondo livello energetico è 8.
Il numero quantico di spin ms è, al contrario dei precedenti, una proprietà
intrinseca dell'elettrone indipendentemente dagli altri numeri quantici e
quindi da quale livello energetico, sottolivello o orbitale occupa, ma si
riferisce alla proprietà generale degli elettroni, che oltre a ruotare intorno
al nucleo presentano un'ideale rotazione attorno al proprio asse (il verbo
inglese to spin significa appunto "ruotare"). Arbitrariamente sono stati
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assegnati come valori di spin degli elettroni +1/2 per una rotazione in senso
orario, e -1/2 per una rotazione in senso antiorario.
Il principio di esclusione interviene proprio a questo punto, esso afferma
che:
In un atomo non possono mai trovarsi due elettroni aventi la stessa quaterna
di numeri quantici.
Ciò implicherebbe evidentemente una sovrapposizione di due elettroni
identici. In particolare, considerando elettroni nello stesso orbitale (ossia
con uguali valori di n, l, m) è necessario che il numero quantico di spin sia
diverso, e considerato che i valori di spin sono solo due, si dimostra la
conclusione già anticipata precedentemente secondo cui uno stesso orbitale
può contenere solo due elettroni, che devono obbligatoriamente avere spin
opposto.
Il Principio di Indeterminazione di Heisenberg
Una volta scoperte le interazioni tra radiazione e materia, si pone un nuovo
problema: per misurare una quantità fisica è necessario vederla o renderla
percepibile allo strumento di misura, ma per far ciò è indispensabile
investirla con un qualche tipo di radiazione e ciò, come visto, ne altera la
condizione, essendo la radiazione portatrice di energia. Secondo la visione
moderna, conoscere significa misurare, ma misurare significa
necessariamente modificare.
Ciò è particolarmente vero quando si parla di oggetti microscopici, per cui
l'interazione con i fotoni energetici diventa particolarmente marcata e non
può essere trascurata. Tale perturbazione si ripercuote anche sulla nostra
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possibilità di conoscere i parametri fisici che caratterizzano il sistema
preso in considerazione. Da questa idea nacque il Principio di
Indeterminazione, formulato nel 1927 da un ventiseienne Werner
Heisenberg:
Ogni qualvolta vogliamo determinare simultaneamente la posizione
x
di un
corpuscolo lungo una data direzione e la sua quantità di moto px lungo la
stessa direzione, le incertezze ∆x e ∆px delle due grandezze sono legate
dalla relazione:
Similmente, se misuriamo l’energia E di un corpuscolo mentre esso si trova in
un determinato stato, impiegando un intervallo di tempo ∆t per compiere
tale osservazione, l’incertezza ∆E sul valore dell’energia è tale che:
dove h rappresenta la costante di Plank e vale 6,62 ∙ 10-34 Js.
Questo principio esprime in forma matematica l'interrelazione tra quantità
di moto e posizione e tra energia e tempo. Tali grandezze si
dicono coniugate in quanto la precisione di una misura diminuisce mano a
mano che compiamo una misurazione più precisa dell'altra grandezza
coniugata. Questo perché il prodotto delle incertezze deve essere sempre
maggiore o uguale ad un valore costante, riportato al secondo membro
(indicato anche con ħ). Al limite, per un'incertezza nulla di una delle due
grandezze coniugate, l'altra incertezza dovrà essere infinita.
Per via della coerenza della meccanica quantistica, le relazioni di Heisenberg
sono valide per tutti i fenomeni naturali, e si possono quindi estendere anche
al mondo macroscopico, anche se il piccolissimo valore della costante di
Planck permette di considerare l'indeterminazione trascurabile rispetto agli
errori sperimentali. Risulta utile sottolineare come la non eliminabilità
dell'indeterminazione dei parametri che descrivono il sistema fisico non sia
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dovuta ad un'eventuale imprecisione dell'apparato sperimentale, a dei motivi
tecnici, ma essa rappresenta una caratteristica fondamentale ed intrinseca
della materia del microcosmo.
Una conseguenza fondamentale del Principio di Indeterminazione
è l'introduzione del concetto di probabilità nella Fisica. In verità già
prima della meccanica dei quanti si parlava di probabilità, nel campo della
termodinamica e in particolare nella meccanica statistica. Ma in questi casi il
ricorso alle probabilità era giustificato dallo studio di un grande numero di
particelle, non analizzabili separatamente una ad una. Ma il Principio di
Indeterminazione è ben più profondo: risulta possibile conoscere la
condizione di una particella solo con un certo grado di imprecisione. Da
questa conclusione, nascerà la nuova idea di orbitale elettronico, che
sostituirà l'idea di orbita, che sostanzialmente è una regione dello spazio in
cui è più probabile trovare un elettrone.
Tale visione probabilistica stride fortemente con quella che era la tradizione
della Fisica classica, che fin dai tempi di Galileo e Newton si riconosceva
come deterministica: secondo la visione classica bastava conoscere tutte le
condizioni e tutte le forze agenti su di un sistema per poterne prevedere,
attraverso la conoscenza delle leggi su cui si basano i fenomeni naturali,
l'evoluzione nel futuro. Un'eventuale imprecisione nelle misurazioni era
imputabile solo a un'inadeguatezza tecnica dell'apparato sperimentale.
Comunque, tale "ottimismo" era dovuto proprio alla convinzione di poter
conoscere la velocità e la posizione di tutte le componenti dell'universo. Ora,
con questo nuovo principio, il probabilismo assumeva una connotazione
primitiva, connaturata nella materia, generato da limiti fondamentali posti
dalla natura alla nostra ricerca, e veniva intaccato il robusto legame tra
cause (le condizioni iniziali) ed effetti (l'evoluzione del sistema fisico nel
tempo)
La nuova visione del mondo influenzata dalla meccanica quantistica riguarda
anche il concetto di "oggetto fisico" e "legge fisica". Sono da considerarsi
proprietà del reale solo quelle entità che siano osservabili, ossia misurabili.
Tale idea, a prima vista banale, esprime invece uno dei capisaldi della nuova
Fisica, ossia il rifiuto di concetti "intuitivi" o "evidenti", come ad esempio i
concetti di traiettoria o orbita, che per essere definiti richiedono però una
conoscenza perfetta di posizione e velocità. Emerge il primato della
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Matematica e del suo formalismo nella descrizione delle dinamiche del
mondo microscopico; ad esempio la prima ipotesi di antimateria deriva da
un'equazione sullo stato dell'elettrone che accettava anche valori negativi.
Per quanto riguarda la legge fisica, essa non è più concepita come la legge su
cui si basa il funzionamento della natura, ma diventa un'astrazione
concettuale che modellizza la realtà con un grado di imprecisione non
eliminabile.
Tutto ciò significa che la fisica non è in grado di prevedere con assoluta
certezza l'evoluzione di un sistema.
L'equazione di Schrödinger e la funzione d'onda
Tale equazione, che porta il nome del fisico austriaco che la formulò nel
1926, fu presentata dopo le ricerche di De Broglie sulla dualità ondacorpuscolo, e sta alla base della teoria ondulatoria della meccanica
quantistica, un'interpretazione della meccanica quantistica alternativa e di
pari valore rispetto alla meccanica delle matrici, sviluppata negli stessi anni
dalla scuola di Copenhagen (in cui svolgevano i loro studi scienziati come
Heisenberg, Bohr e Pauli). Al di là dell'equazione in sé e del suo metodo di
risoluzione, ciò che interessa qui è mostrare alcune delle sue conseguenze.
Innanzitutto questa equazione serve a fornire lo stato di un sistema
quantistico, ossia la sua risoluzione permette di trovare una funzione (in
quanto l'equazione di Schrödinger è un'equazione differenziale alle derivate
parziali), chiamata funzione d'onda ψ, che descrive lo stato di un oggetto
quantistico. Infatti tale funzione, a valori complessi e dipendenti da variabili
temporali e spaziali, contiene tutte le informazioni riguardo l'evoluzione
nello spazio e nel tempo di un'onda-particella quantistica entro un campo di
forza conservativo. Ovviamente quando si parla di spazio si considera una
distribuzione nello spazio, in quanto l'oggetto quantistico non ha solo natura
corpuscolare ma anche ondulatoria, e quindi non è possibile parlare di
posizione precisa nello spazio. Viene definita funzione d'onda in quanto
descrive l'andamento di un corpuscolo materiale considerandolo come
un'onda.
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La probabilità di trovare all'istante t e nella posizione (x,y,z), dove le tre
lettere indicano le tre dimensioni dello spazio, la particella "sparpagliata" in
una regione di volume ΔV è data da:
Risulta necessario specificare come sulla natura della funzione d'onda
ancora oggi ci sia un certo disaccordo nella comunità scientifica. Visioni
divergenti si ebbero già ai tempi della sua formulazione, quando si
contrapponevano due diverse scuole di pensiero: una, la scuola realista, che
faceva capo a Schrödinger, considerava la funzione d'onda come la
descrizione di una vera e propria onda materiale, in modo che ogni elettrone
fosse "sparpagliato" in un'onda, e il suo movimento corrispondesse al
propagarsi nello spazio di un fronte d'onda sferico. Ciò spiegava
magnificamente le figure di interferenza negli esperimenti con la doppia
fenditura. Gli stessi esperimenti rivelavano però che, viste da vicino le lastre
dei rilevatori, si potevano distinguere i singoli punti di contatto tra elettroni
e rilevatori. Nel momento in cui veniva rilevato, era come se l'elettrone
cambiasse natura, da ondulatoria a corpuscolare. Si può immaginare che
l'onda, venuta a contatto con il rilevatore in un punto x, collassi tutta in quel
punto, dove effettivamente verrà rilevato l'elettrone, mentre l'onda
sparisce istantaneamente in tutti gli altri punti dello spazio. Tale enigmatico
fenomeno venne definito come collasso della funzione d'onda.
La soluzione standard, anticipata sopra, per interpretare il collasso della
funzione d'onda fu fornita dai fisici delle scuole di Gottinga e Copenhagen, i
quali rappresentavano la seconda scuola di pensiero, mediante
l'interpretazione probabilistica di Born e Bohr. La funzione d'onda non
descrive un'onda materiale, è priva di significato fisico, ma è piuttosto una
costruzione matematica, la quale esprime la probabilità di trovare un
oggetto quantistico in un determinato luogo. Considerata come "onda di
probabilità", il collasso della funzione d'onda si ha ogniqualvolta effettuiamo
una misurazione sul sistema: infatti nel momento in cui individuiamo un
oggetto in un punto x, la probabilità di trovarlo in quel luogo diventa del
100%, mentre si annulla in tutti gli altri punti dello spazio. Così si supera il
problema che deriva dall'interpretare la funzione d'onda come l'andamento
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di un'onda materiale: come si può infatti spiegare l'annullamento istantaneo
dell'onda materiale in un punto diverso da quello in cui viene rilevato
l'elettrone? Secondo tale interpretazione, la funzione d'onda non è quindi
un'onda reale che si propaga nello spazio fisico, ma un oggetto matematico
che si propaga in uno spazio matematico astratto, lo spazio delle
configurazioni.
L'equazione di Schrödinger, oltre ad essere una delle più importanti della
meccanica quantistica, è stata fondamentale anche per pervenire ad una
conoscenza più approfondita dell'atomo. Infatti grazie ai contributi della
nuova equazione fu possibile elaborare un nuovo modello atomico, successivo
a quello di Bohr, il modello della meccanica ondulatoria. In esso si adotta
un'interpretazione fisica della funzione d'onda, che rivolta allo studio dello
stato degli elettroni, ne giunge a definire lo stato energetico (peraltro in
accordo con gli stati energetici indicati da Bohr). Grazie a questa
interpretazione fisica dei risultati dell'equazione, l'idea di funzione d'onda
come onda di probabilità genera il concetto di orbitale, ossia di una zona
attorno al nucleo in cui le probabilità di trovare l'elettrone sono molto alte.
Grazie all'idea di orbitale, più avanzata e sottile rispetto a quella delle
orbite di Bohr, si è potuto pervenire a una visualizzazione più completa ed
efficace dell'atomo.
Sotto sono riportate alcune forme di orbitali dell'idrogeno:
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