GLI INCONTRI DI MEDIAVIA Domenica 6 ottobre 1. Le dimensione essenziali del dono Il dono del cibo 1. QUALI ATTEGGIAMENTI CARATTERIZZANO UNA FAMIGLIA “APERTA”? QUALI DIFFICOLTÀ ABBIAMO INCONTRATO NELLE NOSTRE CONCRETE ESPERIENZE DI APERTURA? QUALI SONO LE CAUSE O I MOTIVI CHE SPINGONO LE FAMIGLIE A CHIUDERSI NEL LORO SPAZIO PRIVATO? 2. QUALE SPAZIO ED IMPORTANZA DIAMO ALL’ESPRESSIONE DEI SENTIMENTI E DELLE EMOZIONI NELLA COMUNICAZIONE DELL’INTIMITÀ FAMILIARE E AMICALE? TUTTI I GIORNI VIVIAMO L'ASCOLTO, LA CONVERSAZIONE, LA COMUNICAZIONE AFFETTIVA… COME DARE CONSISTENZA E VALORE ETICO A QUESTE ESPERIENZE? 3. SIAMO SODDISFATTI DI COME AVVENGONO I NOSTRI PASTI IN FAMIGLIA? COME AVVIENE LA COMUNICAZIONE A TAVOLA? QUALI SONO GLI ARGOMENTI E I MOTIVI CHE RITORNANO PIÙ FREQUENTEMENTE NELLE NOSTRE CONVERSAZIONI? COME EDUCHIAMO A STARE A TAVOLA? Spunti per la riflessione Noi viviamo del dono degli altri. La prima esperienza che il bambino fa è quella dell’accoglienza materna: la prima esigenza umana è il calore vitale, l’attesa di sentirsi amato e di amare, di essere qualcosa per qualcuno. Il dono agisce come provocazione, come forza capace di creare legami comunitari e sociali, perché ogni azione gratuità e disinteressata è atto pubblico di riconoscimento dell’altro. L’essenza del dono sta nel simboleggiare la donazione pura, incondizionata della vita. Il pensiero che tutto fosse conseguenza di calcolo e ricerca di vantaggio ci farebbe sentire in una morsa disumana. “Definiamo dono ogni prestazione di beni e servizi effettuata senza garanzia di restituzione al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale tra le persone”1. Tutto è dono: ce ne accorgiamo quando le persone ci vengono a mancare o nel tradimento quando il dono ci viene ripreso. A causa di questa esperienze la famiglia è il mondo vitale in cui la vita biologica diventa umana, luogo specifico in cui le generazioni convivono in una costante donazione di senso reciproco. La consapevolezza della gratuità del dono che rende le persone capaci di risposte libere. Io sono “soggetto” di ciò che mi è donato. L’individualismo è ribaltato: la persona diventa un testimone prima di essere un attore. Il dono, con la felicità che produce (“Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!” At. 20,35), con il legame che crea, è anche la più radicale messa in questione del narcisismo, il quale consiste nell’”amare” se stessi abbastanza perché non si abbia bisogno di un altro per sentirsi felici. Nel dono avviene ben più di quanto ci si possa rendere conto, più di quanto l’intenzione del soggetto possa scorgere e prevedere. Si rischia sempre di non essere riconoscenti. Il dono stabilisce un legame di umanità che precede ogni calcolo e ogni coscienza del legame. A immagine del primato della Grazia nella fede, il dono chiarisce il primato della grazia nella vita umana. 1 GODBOUT, J. T. , Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri, Torino,1993, p. 30 La mappa dei concetti Il dono familiare L’orientamento alla persona L’esperienza del senso L’unità molteplice L’incompletezza Dimensioni del dono Gratuità Coniugalità Personificazione Genitorialità/ filiazione Generazione Tracce di trascendenza I tratti materni di Dio Empatia Alleanza Umanizzazione I tratti paterni di Dio Reciprocità Sessualità Tenerezza Ambivalenza Solitudine Educazione La partecipazione alla vita divina La beatitudine del povero L’entrata nel mondo umano presuppone la mediazione dell’istituzione familiare. I genitori devono svolgere per il figlio un ruolo sociale più complesso di un tempo. Più la società diventa complessa, più è evidente che le opportunità di vita delle persone dipendono dal tipo di famiglia in cui esse vivono, nelle varie fasi del loro sviluppo. L’avanzamento della ricerca sociale e lo sviluppo delle scienze umane ci hanno offerto nuovi strumenti per comprendere la specificità e l’essenzialità dell’esperienza familiare. Oggi conosciamo meglio come la famiglia determina la base sicura della personalità dei figli. Sappiamo con maggiore precisione come nella famiglia si forma il senso fondamentale dell’esistenza per ciascuna persona. La famiglia si privatizza e si differenzia dalla società esterna, alla quale delega molti dei suoi compiti tradizionali. Nessun ambito della società, tuttavia, può sostituire la famiglia, senza lasciare lacune e produrre sofferenze. La famiglia continua, più di prima, a svolgere la sua funzione d’introduzione delle nuove generazioni nella vita sociale. Quest’opera di mediazione coincide con il suo compito educativo, sviluppando la riflessività (con la quale si dà senso alla vita e si coglie il suo significato) e dando risposta ai bisogni e ai desideri più essenziali della persona umana. La famiglia è il luogo dove gli individui sono presi in considerazione nella totalità della loro persona, dove, cioè, le persone sono considerate in quanto persone. La relazione famigliare, in altre parole, è il mondo vitale – simbolico e intenzionale – in cui le persone diventano se stesse: è l’esperienza generativa delle identità e della presenza al mondo. Il suo codice generativo non si riduce, però, alla sua dimensione biologica, né alla sua dinamica psicologica. Il legame stabile che fonda la famiglia la rende istituzione sociale, definendola come “cellula dell’organismo sociale” o come “sottosistema vitale” con la sua funzione insostituibile della personificazione degli individui. La famiglia da risorsa diventa un problema quando viene meno la sua identità specifica. Considerare “famiglia” ogni forma di convivenza di persone legate da relazioni affettive e di cura reciproca, quale che sia la durata, la priva della sua identità, la rende “istituzione guscio”, una formula vuota. L’amore familiare può essere descritto attraverso quattro caratteristiche che ne costituiscono il codice identificativo. Esse sono anche le dimensioni costitutive del dono. La famiglia è generativa perché custodisce la forma compiuta della donazione. I genitori che vi acconsentono diventano quindi i pionieri del cambiamento sociale 1. L’orientamento alla persona L’amore familiare, per l’intensità emozionale del desiderio reciproco e dell’intimità della comunicazione che lo caratterizza, è l’esperienza umana a più alta intensità di personificazione: nei gesti e nelle parole dell’amore le persone si definiscono e si percepiscono come uniche. Chi vive in famiglia coltiva l’attesa che si possa parlare di tutto senza nulla escludere, che si possa porre all’altro qualsiasi domanda e che, interrogato, nessuno possa rispondere: “Questo non ti riguarda!”. Dalla famiglia si attende tutto ciò che si trova a fatica nella società: la gratuità, la mancanza d’interesse, l’assenza del calcolo individualistico. Il legame coniugale sconfigge la mala solitudine degli adulti e la filiazione libera i genitori dall’angoscia che la loro vita non abbia senso né scopo. La personificazione avviene esclusivamente nella gratuità, esclude il calcolo e i secondi fini. Nella vita di coppia si manifesta come amore appassionato, nell’intimità della comunicazione coniugale e nella fedeltà all’impegno assunto, rinnovata ogni giorno, che diventa progetto di vita comune. Nel rapporto genitoriale l’orientamento alla persona si esprime nell’obbedienza alla vocazione del figlio, nel riconoscimento della diversità dei ruoli, nella riconoscenza per la gratuità dell’amore. I legami familiari rigenerano, così, le relazioni sociale, estendendo lo scambio simbolico, fatto di gratuità e dono come avviene in famiglia, anche alla comunità locale. La personificazione, infatti, non è un processo individuale ma sociale. La famiglia si trasforma in una risorsa capace di vivificare la società civile (facendo nascere fiducia tra le persone, stimolando occasioni d’incontro e di azione collettiva). 2. L’esperienza del senso L'amore in famiglia non significa solo affetto, gratificazione, cura dell'altro. Avviene un'altra esperienza di alto valore etico e spirituale: l'altro dà senso alla propria vita, arricchisce di significati il proprio mondo. Questo avviene, tuttavia, a una condizione: che ognuno sappia “mettersi nei panni” dell’altro. L’Altro è colto nella sua concretezza: si prende coscienza di chi sta accanto, ci si mette dal punto di vista dell’altro (“em-patia”). Ognuno coglie l’Altro del tutto analogo a se stesso, prende coscienza dell’appartenenza propria e altrui a una medesima umanità, a una comune storia familiare. Si scopre che, nella stessa misura in cui ognuno si apre all’Altro, realizza anche me stesso, che la fiducia posta nell’Altro cresce con il sentimento di stima che si ha di sé, che più aumenta il rispetto della persona altrui, più si conferma l’unicità del valore della propria persona. L’egocentrismo è messo costantemente in discussione. Si prende faticosamente coscienza dell’ingenuità di credersi il centro del mondo circostante (con il proprio corpo, le proprie esigenze e desideri). Ognuno può verificare e correggere il proprio comportamento e la valutazione che dà di sé. L’Altro coglie aspetti che il singolo non scorge e lo aiuta a modificare il suo giudizio su di sé e sul mondo. Il dono dell’amore familiare offerto e ricevuto dissolve il mondo autistico e chiuso dell’individuo e produce un’esperienza interiore di trasformazione, di ricostruzione reciproca. La differenza reale tra i generi e tra le generazioni, quando non è riconosciuta sul piano conoscitivo, simbolico (“esperienza del senso”) ed emozionale (“mettendosi nei panni dell’altro”), è mortificata in nome di un’eguaglianza ideologica e astratta. Il dono di sé, che diventa capacità di empatia, si esprime nella coniugalità come alleanza paritaria della donna e dell’uomo che si accettano nella loro diversità e si rispettano nella reciproca autonomia. Le pulsioni orientate al puro soddisfacimento di sé, lasciano il posto al rispetto della libertà dell’altro. Nella relazione filiale, l’educazione all’esperienza umana dell’empatia attiva il processo di umanizzazione: si diventa persone solo nella capacità di entrare in relazione (empatica) con gli altri. 3. L’unità molteplice Avviene nell’amore familiare un fatto di straordinaria intensità, di profondo coinvolgimento emotivo: ognuno è quello che è per l’amore che dà e riceve. Le persone secondo il genere (donna, uomo) e la generazione (genitori, figli) rimangono se stesse e si comportano tra loro in modo autentico e spontaneo, più che in qualsiasi altro luogo. Si accettano reciprocamente nella diversità dei ruoli e nell'originalità dei caratteri, eppure le loro differenze si fondono senza confusione. La famiglia, in realtà, ha la sua identità come “unità molteplice” (E. Morin) in senso pieno e specifico: unità dei sessi e delle generazioni. Il dono dell’amore familiare, pur escludendo alla sua origine il calcolo, promuove la reciprocità. Nella coniugalità la reciprocità si esprime e si alimenta nella donazione della differenza sessuale, che, a sua volta, rigenera e trasforma la relazione erotica. Nella genitorialità, l’amore di reciprocità diventa tenerezza e affetto, dove genitori e figli superano la loro diversità si ruolo e si considerano nella parità delle persone. 4. L’incompletezza Il reciproco dono di sé nell’amore, il desiderio di una comunicazione che si vorrebbe totale, l’attesa di riconoscimento e di riconoscenza, lo scambio di esperienze e di motivi di senso, sono valori essenziali ma in famiglia non si danno mai in senso compiuto. Sono sempre eccedenti la possibilità di una concreta, esauriente e stabile realizzazione. La monotonia può prevalere sulla spontaneità e sulla schiettezza della comunicazione; l’eccesso dell’affetto può perseguire un'illusoria ricerca di fusione e cercare di dominare o di invadere lo spazio dell’altro. I capricci del bambino, l'indisponibilità dell'adulto, le quotidiane forme di nervosismo possono spingersi fino alla negazione dell’altro. L’amore può perdere i suoi connotati più specifici, manifestandosi in senso unidirezionale: "Mi sacrifico per te, anche se per te non provo nulla", "Obbedisco per paura o per convenienza", "compio quanto mi è chiesto solo per dovere"… La famiglia può trasformarsi così in un mondo chiuso e spento. Le attese spesso rimangono frustrate, i sogni sembrano svanire … Stare in coppia, vivere in famiglia non è, infatti, un’esperienza sempre gratificante. Nelle famiglie si nascondono spesso drammi e tragedie, si consumano violenze e gravi immaturità, si sperimentano limiti anche pesanti. È una pericolosa illusione, l’ideale dell’amore totale, del figlio “speciale”. L’accettazione della condizione del limite offre alle persone l’opportunità di vivere la forma forse più impegnativa del dono: accogliere serenamente l’ineliminabile condizione dell’ambivalenza affettiva. Non è dato sperimentare il bene assoluto, l’amore completo, l’affetto incondizionato. In famiglia le persone dimostrano quotidianamente il loro amore, proprio nell’accettazione realistica dell’incompiutezza dell’amore. Famiglia (modello di ogni socialità) non significa solo incontro, solidarietà, reciprocità, ma anche l’opposto: distanza, conflitto e rinegoziazione. Nella coniugalità, i partner possono così accettare progressivamente e a prezzo di fatica e dolore, la solitudine costitutiva della condizione umana e l’impossibilità di una comunicazione totale. Rielaborando il lutto delle inadeguatezze e delle delusioni, i partner possono gradualmente acconsentire che l’Altro non sia il “tutto” della vita, pur rimanendo sempre l’unico, cui si devono rispetto e fedeltà. I figli, considerando innanzi tutto l’immaturità e la fragilità del loro modo di amare, imparano progressivamente ad accettare il dono dell’educazione e la virtù dell’obbedienza. Il dono famigliare, gratuito per eccellenza, espressione dell’amore oblativo o agapico diventa un codice simbolico specifico d’interscambio tra la famiglia e l’intera società. Solo quando gli elementi del dono famigliare sono presenti e operano in sinergia, la famiglia si esprime in pienezza e come valore. Per essere generativa e per dare consistenza a un progetto concreto, alla famiglia serve un forte senso del suo valore e una piena consapevolezza delle sue funzioni pubbliche. In famiglia si propongono le esperienze fondanti del vivere e si costruisce innanzitutto l’umano (che è la più grande opera della vita). Le famiglie che accettano la sfida della rigenerazione del loro codice lanciata dallo scombussolamento sociale dell’individualismo nichilista, possono diventare autentici laboratori sociali di ricreazione sociale, e i genitori avamposti della ricerca di nuovi percorsi di civiltà. La relazione famigliare, infatti, può essere definita in sintesi come l’esperienza che permette di porre in sinergia quattro dimensioni del dono: la gratuità, l’empatia, la reciprocità e l’ambivalenza. Nasce così un mondo vitale caratterizzato da un’esperienza generativa (la massima personificazione di due adulti in vista della generatività), una donazione di senso (l’empatia), un codice etico (la reciprocità), una regola di vita (la rielaborazione del limite).