DIOTTI DE MEDICINA

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RICCARDO DIOTTI
Scheda di riflessione personale sul libro “De medicina corporis” di Immanuel Kant
A Immanuel Kant, Königsberg
Cesano Maderno, 08 Dicembre 2010
Carissimo Signor Kant,
le scrivo per discutere delle sue riflessioni scritte nel libro “De medicina corporis”.
Innanzitutto mi congratulo con lei (poi mi dirà se posso permettermi di darle del “tu”) per aver scritto un'opera talmente
precoce nel suo genere. Già perché, nonostante l'impianto ancora troppo rigoroso e davvero privo di sorprese del suo
libro, lei anticipa un tema che nel mio secolo è ancora molto dibattuto. Potrei iniziare col parlarle dell'eutanasia,
dell'aborto o della pillola RU486, ma lei forse non capirebbe e anzi penserebbe che le stia parlando un alieno da un
chissà quale mondo fantascientifico. Ah! Che sbadato: ho dimenticato di presentarmi. Mi chiamo Riccardo Diotti, ho
diciassette anni e vivo in un paese del Nord Italia. Ho appena finito di studiare le sue riflessioni in filosofia a scuola, e
credo rimarrà sorpreso dal fatto che nel XXI secolo c'è qualcuno che si ricorda di lei. Lei che ha speso una vita a capire
come l'uomo si rapporta con il mondo circostante e che tutti consideravano, nella sua piccola cittadina di Königsberg,
una persona estremamente seria e noiosa. Detto fra noi, il suo è stato un gran bel secolo (il 1800 intendo), pieno di
innovazioni scientifiche e pensatori illuminati e moderni.
Ma veniamo al dunque: mi trovo ora davanti al suo libro, elegantemente introdotto da Reihard Brandt, uno dei più
grandi studiosi della sua filosofia, mio caro Immanuel. Ebbene, le parti che più ho gradito di questo volumetto sono
state proprio l'introduzione e la sua opera. Invece mi è sembrato noioso e ripetitivo il lavoro di Vincenzo Bochicchio,
che ha scritto la postfazione del libro.
Il titolo della sua riflessione è accattivante: De medicina corporis. Breve ed efficace. Anche interessante, perché nel mio
tempo tutto ciò che ha qualche parvenza di antico e erudito, come il latino, diviene affascinante. Dovendo scegliere tra
alcune sue opere, questa mi ha attratto per prima proprio per questo motivo e anche perché sarebbe nei miei interessi
diventare medico. Nel suo libro si propone di evidenziare la differenza tra medico e filosofo, trattando soprattutto la
dietetica, giusto? Devo dire che ci è riuscito: ha separato i compiti di uno e dell'altro e ha introdotto il problema della
morale in medicina. Come prima le accennavo, sono rimasto piacevolmente sorpreso dal fatto che, a distanza di
duecento anni, il tema da lei affrontato sia ancora attuale. All'inizio ho detto che l'impianto era forse un po troppo
rigoroso, infatti avrei preferito che lei scrivesse una sorta di dialogo su modello platonico, che attraverso un discorso
maieutico facesse ragionare il solito ignorante di turno: no so, per esempio un empirista come Hume oppure un saldo
razionalista quale è Leibniz. È interessante, e spero che lei concordi con me, come tutti i filosofi, o quasi, considerano i
loro predecessori come modelli negativi da non prendere mai ad esempio. Avrebbe potuto farlo anche lei, no?
Per quanto riguarda i contenuti è estremamente moderno che lei abbia previsto il legame tra mente e corpo nella
guarigione da una malattia oppure in una terapia. Alcuni pazienti di oggi guariscono secondo i medici, per miracoli,
poiché la scienza non riesce a spiegarlo. Lei crede in Dio mio caro Immanuel? Io penso che prima di chiamare in causa
forze soprannaturali o divine, si debba leggere il suo libro e pensare che potrebbe essere tutto dovuto ad una forza di
volontà tenace.
Devo ammettere invece che per alcuni tratti il suo libro mi ha annoiato, per esempio riguardo il discorso sull'ipocondria:
mi sembrava di sentir parlare Ippocrate o Galeno. Questi sono discorsi troppo antiquati per un rivoluzionario della
filosofia come lei. Mi è piaciuto invece l'approfondimento sulla dietetica e sui suoi principi, perché anch'io penso che
per curare l'animo bisogna preservare il corpo e viceversa. Il nostro stato d'animo infatti influisce sempre spesso sulle
attività che facciamo e questo non riguarda solo l'ambito medico, come trattato nel suo libro. Ognuno di noi in fondo è
un po' filosofo di sé stesso, anche se devo ammettere che nel mio secolo la gente pensa che la filosofia non abbia a che
fare con la realtà di tutti i giorni. Infatti quando ho proposto ai miei amici o genitori di parlare del suo libro, mi hanno
considerato come un saggio eremita che non ha nulla a che fare con la concretezza di oggi. Vorrei chiederle infatti
perché ha scelto di essere un filosofo e non, per esempio, un venditore di panini con würstel e crauti in una birreria di
Königsberg, magari in pieno Oktoberfest, ammesso che esistesse ai suoi tempi.
La mia visione della medicina prima di leggere il libro era semplicemente razionalista. Io ero il medico di cui lei parla
nel libro, ma ora penso che prenderò in considerazione anche il punto di vista del filosofo. Riguardo però la sua
posizione assunta nel trattare il caso del vaiolo sono assolutamente contrario alle sue riflessioni. Iniettando il virus
latente in piccole dosi si creano nel paziente gli anticorpi necessari per combattere il vero virus, quando si presenterà
l'occasione. Esso non costituisce nessun torto morale nei confronti del paziente, ma è una pratica necessaria per
salvaguardarne l'integrità della salute. Inoltre se il paziente si rifiuta di sottoporsi alla cura, il medico non può
obbligarlo. Mi scusi per l'atteggiamento fin troppo cinico, ma il medico così è libero da ogni dovere nei confronti del
paziente. Oggi però il vaiolo è stato debellato, e fossi in lei tirerei un grande sospiro di sollievo, quindi per me forse è
facile parlarle in questo modo. Sebbene molte delle sue teorie in ambito medico siano state ampiamente riviste e
corrette, devo ammettere che lei è stato lungimirante. Sarebbe interessante sottoporle alcuni rompicapo del mio tempo,
come quelli annunciati all'inizio, ma penso di sapere che cosa avrebbe risposto alla luce del suo “De medicina corporis”.
Concludo ringraziandola di aver allargato il mio punto di vista delle cose: spesso infatti tendo a trascurare la forza di
volontà e l'influenza dei miei stati d'animo, pensando solo alle mie capacità di ragionamento e sintesi. Spero di non
averla annoiata troppo e soprattutto di non aver sconvolto la sua visione del mondo. Le riferisco da amico che molti in
futuro la “criticheranno”. Ironico vero? Lei che, per costruire la sua filosofia, ha messo in dubbio ogni cosa per
comprenderne il limite, verrà a sua volta criticato da altri che inventeranno i limiti della sua filosofia. Ma non se la
prenda mio caro Immanuel: la consoli il fatto che almeno questo suo libro è stato utile al sottoscritto.
Dato che sarebbe utopistico pensare ad una sua risposta, e nel caso la ricevessi ciò mi farebbe sospettare molto delle mie
facoltà psichiatriche, mi accontenterò di aver scritto qui le mie critiche e riflessioni sulla sua opera.
Un suo giovane studioso del XXI secolo
Diotti Riccardo
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