Chiesa di Bologna
Seconda Lettura per
l’Ufficio delle letture
nel Tempo Ordinario
fino all’Avvento
I
Dalla domenica 14 ottobre a martedì 27 novembre
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P RES EN T A ZION E
In occasione dell’Anno della Fede il Cardinale
Arcivescovo, tenendo presente la possibilità offerta dal n.
248 delle Premesse e norme per la Liturgia delle Ore, ha
desiderato venisse offerta a sacerdoti, religiosi e laici che
celebrano l’Ufficio delle Letture la possibilità di sostituire
il testo patristico con una lettura alternativa di commento al
Simbolo di fede, sempre dalla tradizione patristica.
Si intende così aiutare la preghiera personale e
comunitaria a sintonizzarsi e ad accompagnare il cammino
ecclesiale, come già accaduto nell’Anno Paolino e
dell’Anno Sacerdotale, con buoni frutti.
La proposta prevede l’interruzione solo nelle
memorie obbligatorie, feste e solennità, così come avviene
nel calendario della Liturgia delle Ore.
In questa prima parte, fino all’inizio dell’Avvento,
viene offerto il testo completo della Spiegazione del
Simbolo di Rufino di Aquileia.
Per chi lo desidera è possibile avere copia del
fascicolo presso il C.S.G., al terzo piano della Curia.
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Domenica 14 ottobre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
1-2
Riconoscere chi annunzia Cristo
Il mio animo, o fedelissimo papa Lorenzo, non tanto è riluttante a
scrivere quanto neppure capace, ed io so che non è senza pericolo
presentare al giudizio di molti un ingegno di modesta capacità. Ma,
per dirla col tuo permesso, temerariamente tu mi forzi, in nome dei
sacramenti di Cristo che noi riceviamo con la massima riverenza, a
scrivere per te qualcosa sulla fede secondo la tradizione e
l’interpretazione del Simbolo: perciò, anche se il peso della tua
imposizione è al di sopra delle nostre capacità (non ignoro infatti le
parole dei sapienti che molto giustamente affermano esser pericoloso
dire di Dio anche cose vere), tuttavia se tu aiuterai con la preghiera
l’obbligo derivante dalla richiesta che imponi, cercheremo di dire
qualcosa più per rispetto di obbedienza che per presunzione
d’ingegno; e questa esposizione non tanto sarà degna delle
meditazioni dei perfetti quanto sarà adattata all’ascolto di coloro che
sono piccoli in Cristo e si iniziano alla fede.
So che alcuni illustri scrittori hanno scritto su questo argomento
brevemente e in modo ortodosso. Invece l’eretico Fotino ha scritto in
proposito non per chiarire agli ascoltatori il significato delle parole
(del Simbolo) ma per trarre a sostegno della sua dottrina ciò ch’era
stato detto in forma semplice e conforme alla fede, dato che lo
Spirito Santo aveva provveduto che in queste parole non vi fosse
alcunché di ambiguo, di oscuro, di discordante col resto del discorso.
Infatti proprio a proposito di questo testo si realizza la profezia che
dice: "È parola infatti che conclude con brevità ed equità, poiché il
Signore parlerà con poche parole sulla terra" (Is 10, 23; Rom 9, 28).
Perciò noi cercheremo sia di conservare la semplicità propria delle
parole degli apostoli sia di completare ciò che è stato tralasciato dai
precedenti interpreti. Ma perché diventi più chiaro il significato di
questo testo che è – come abbiamo detto – di poche parole, esporrò
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dall’origine il motivo per cui questa tradizione è stata data alle
Chiese.
Come tramandano i nostri predecessori (At 2, 14), dopo l’ascensione
del Signore, quando per la venuta dello Spirito Santo sopra ad
ognuno degli apostoli si posarono lingue di fuoco perché essi
parlassero con diversi e svariati linguaggi sì che nessuna gente
straniera, nessuna lingua barbara sembrasse loro inaccessibile e
preclusa, fu loro comandato di partire alla volta di ogni singola
nazione per predicare la parola di Dio (At 1, 5). Sul punto di partire e
di separarsi gli uni dagli altri, stabiliscono in comune la norma della
loro futura predicazione, perché non avvenisse che, allontanandosi
gli uni dagli altri, comunicassero qualcosa di diverso a coloro che
invitavano ad abbracciare la fede di Cristo. Perciò stando tutti
insieme e ripieni di Spirito Santo, mettendo insieme ciò che ognuno
sentiva, compongono – come abbiamo detto – questa breve traccia
della loro futura predicazione, e stabiliscono di dare tale norma a
quanti avrebbero creduto.
La vollero chiamare simbolo per molte e motivate ragioni. Infatti in
greco la parola simbolo significa indizio e apporto collettivo, cioè ciò
che più persone mettono insieme: infatti proprio questo fecero gli
apostoli in quei loro discorsi, mettendo insieme ciò che ognuno
sentiva. È detto poi indizio e segno perché in quel tempo, come dice
l’apostolo Paolo ed è riferito negli Atti degli apostoli (2 Cor 11, 13;
At 15, 1; Rom 16, 18) molti dei Giudei circoncisi fingevano di essere
apostoli di Cristo e per guadagno e ingordigia partivano a predicare,
nominando, sì, Cristo ma annunziandolo non secondo le schiette
linee della tradizione. Perciò essi stabilirono questo segno, al fine che
si riconoscesse colui che annunziava Cristo veramente secondo le
norme apostoliche. Dicono infine che anche nelle guerre civili viene
osservata tale usanza: poiché uguale è la foggia delle armi e
medesimo il suono della voce e uno solo il modo di vivere e uguali le
norme del combattere, ognuno dei generali dà ai suoi soldati simboli
che sono tenuti segreti, che in latino sono definiti segni (signa) e
indizi (indicia): in tal modo, se per caso ci si imbatte in qualcuno di
cui non si è sicuri, questi interrogato sul simbolo, rivela se sia
nemico o amico.
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Stabilirono infine che tali norme non fossero trascritte su fogli di
qualsiasi genere bensì fossero ritenute a memoria, perché fosse certo
che nessuno le avrebbe apprese da un testo scritto, che talvolta può
anche venire nelle mani di chi non è credente, e che invece tutti le
avrebbero apprese dalla tradizione degli apostoli. Perciò, come
abbiamo detto, al momento di allontanarsi per andare a predicare, gli
apostoli stabilirono questa norma della loro concordia e della loro
fede: non come i figli di Noè, al momento di allontanarsi gli uni dagli
altri costruirono con mattoni cotti e catrame una torre la cui cima
toccasse il cielo (Gen 11, 1-9); ma con pietre vive e perle del Signore
edificarono una difesa della fede che potesse stare salda di fronte al
nemico: né i venti l’avrebbero spinta giù, né i fiumi in piena
l’avrebbero travolta, né i turbini delle tempeste l’avrebbero scossa
(1Pt 2, 5; Mt 13, 45; 7, 27). Perciò bene a ragione i figli di Noè, che
sul punto di separarsi fra loro costruirono la torre della superbia,
furono condannati a confondere le loro lingue, perché nessuno
potesse comprendere le parole del suo vicino; invece agli apostoli,
che costruivano la torre della fede, è stata donata la conoscenza di
tutte le lingue: così è stato dimostrato che quello era segno di
peccato, questo invece segno di fede.
RESPONSORIO
R. Con pietre vive e perle del Signore gli apostoli edificarono una
salda difesa della fede. * A loro fu donata la conoscenza di tutte le
lingue.
V. Lo vollero chiamare simbolo, perché è segno dell’unica fede.
R. A loro fu donata la conoscenza di tutte le lingue.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
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Martedì 16 ottobre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
3
La forza del credere precede tutto
È ormai tempo che noi diciamo qualcosa anche proprio riguardo a
questo tesoro, in cui in primo luogo è presentata la fonte e origine di
tutte le cose, con le parole: Credo in Dio Padre onnipotente. Ma
prima di cominciare a trattare proprio del significato delle parole,
ritengo che non sia fuor di luogo rammentare che in diverse Chiese
troviamo che qualcosa è stato aggiunto a queste parole. Invece non
consta che ciò sia avvenuto nella Chiesa di Roma, ritengo perché di lì
non ha tratto origine alcuna eresia e vi si conserva l’antica usanza
che coloro i quali stanno per ricevere la grazia del Battesimo ripetano
il Simbolo pubblicamente, cioè mentre ascolta il popolo dei fedeli; e
per certo quelli che li hanno preceduti nella fede e stanno ad
ascoltare non tollererebbero l’aggiunta di una sola parola. Invece in
altri luoghi, per quanto è possibile comprendere, a causa di alcuni
eretici è stata aggiunta qualche parola, per mezzo della quale si
pensava di respingere il significato della nuova dottrina. Noi poi
seguiamo la norma che abbiamo ricevuto nella Chiesa di Aquileia
con la grazia del Battesimo.
Innanzitutto è posta la parola Credo, come dice anche l’apostolo
Paolo scrivendo agli Ebrei: "È necessario infatti che prima di tutto
colui che si accosta a Dio creda che quello esiste e ricompensa quanti
credono in lui" (Eb 11, 6). E il profeta afferma: "Se non avrete
creduto, neppure comprenderete" (Is 7, 9). Al fine perciò che ti si
apra l’accesso alla comprensione, giustamente tu prima di tutto
affermi di credere, perché nessuno sale sulla nave e affida la propria
vita al mare profondo se prima non crede di potersi salvare; né il
contadino seppellisce i semi nei solchi e sparge in terra la biada, se
non avrà creduto che verranno le piogge e ci sarà anche il calore del
sole, sì che la terra nutrita e riscaldata produrrà abbondante messe e
la farà crescere con lo spirare dei venti. Non c’è insomma alcuna
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azione che si possa compiere in vita se non avrà preceduto il credere.
E allora che c’è da meravigliarsi se accostandoci a Dio innanzitutto
noi affermiamo di credere, là dove senza di questo non si può vivere
neppure la vita di tutti i giorni? Abbiamo premesso all’inizio queste
considerazioni, perché i pagani son soliti obiettarci che la nostra
religione, in quanto priva di fondamento razionale, si fonda soltanto
sulla forza di persuasione che deriva dal credere. Perciò abbiamo
dimostrato che nulla può esser fatto o può sussistere se non avrà
preceduto la forza del credere. Infatti anche i matrimoni vengono
fatti perché si crede che nasceranno i figli; e i giovani sono mandati a
scuola ad apprendere le varie discipline perché si crede che la scienza
del maestro si trasfonderà nei discepoli; e uno prende le insegne del
potere perché crede che gli ubbidiranno città e popoli e anche
l’esercito in armi. Che, se nessuno intraprende tutte queste azioni se
prima non avrà creduto che esse potranno realizzarsi, perché mai ben
più a ragione non si dovrebbe giungere alla conoscenza di Dio per
mezzo del credere?
RESPONSORIO
R. Si conserva l’antica usanza che coloro i quali stanno per ricevere
la grazia del battesimo ripetano il simbolo pubblicamente. * Quelli
che li hanno preceduti non tollererebbero l’aggiunta di una sola
parola.
V. Non c’è alcuna azione che si possa compiere in vita se non avrà
preceduto il credere.
R. Quelli che li hanno preceduti non tollererebbero l’aggiunta di una
sola parola.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
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Venerdì 19 ottobre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
3-4
Credo in Dio Padre
Ma vediamo ormai che cosa ci proponga il Simbolo col suo testo
abbreviato. Credo in Dio Padre onnipotente. Quasi tutte le Chiese
d’Oriente tramandano così: Credo in un solo Dio Padre onnipotente.
E ancora, nella frase che segue, dove noi diciamo: e in Gesù Cristo,
unico Figlio suo, nostro Signore, gli orientali tramandano: e in un
solo Signore nostro Gesù Cristo, unico Figlio suo, cioè professano
un solo Dio e un solo Signore, secondo l’autorità dell’apostolo Paolo
(1 Cor 8, 6). Ma questo punto lo riprenderemo appresso; ora invece
esaminiamo l’espressione in Dio Padre onnipotente. Dio, secondo
quanto può pensare la mente dell’uomo, è definizione di quella
natura o sostanza che è al di sopra di tutto. Padre è parola che
racchiude un mistero profondo e indicibile. Quando senti nominare
Dio, intendi una sostanza senza inizio e senza fine, semplice e senza
alcuna mescolanza, invisibile incorporea indicibile incomprensibile,
nella quale nulla c’è di aggiunto, nulla di creato. Non ha infatti
creatore colui che è il creatore di tutte le cose. Quando senti
nominare il Padre, intendi il Padre del Figlio, il quale Figlio è
immagine della suddetta sostanza (Eb 1, 3; Col 1, 15). Come infatti
nessuno è detto signore se non ha un possedimento o un servo su cui
esercita il dominio, e come nessuno è detto maestro se non ha un
discepolo, così anche un padre in nessun modo può essere definito
tale se non ha un figlio. Perciò con lo stesso nome con cui Dio è
definito Padre si dimostra che anche il Figlio deve parimenti
sussistere col Padre.
In che modo poi Dio Padre abbia generato il Figlio, non voglio che tu
lo esamini né che con troppa curiosità ti introduca nel mistero di
questa profondità: c’è infatti pericolo che, mentre scruti con troppa
insistenza lo splendore della luce inaccessibile, tu venga a perdere
anche quella modesta capacità visiva che per dono divino è stata data
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ai mortali (Prov 25, 27). Che se poi tu credi che su questo argomento
bisogna sforzarsi in ogni modo di comprendere, proponiti prima alla
mente le realtà che sono alla nostra portata: se riuscirai a spiegarle
coerentemente, allora spingiti dalle realtà terrestri a quelle celesti,
dalle visibili alle invisibili (Rom 1, 20). Dapprima spiega, se ne sei
capace, ed esponi in che modo la mente, ch’è dentro di te, generi la
parola e quale sia in essa lo spirare della memoria. Come mai queste
facoltà, pur diverse di fatto e per operazione, tuttavia sono una cosa
sola per sostanza e natura? E come mai, pur procedendo dalla mente,
non si distaccano mai da questa? Se poi queste facoltà, benché si
trovino in noi e nella sostanza della nostra anima, tuttavia ci
sembrano tanto più nascoste quanto più sono invisibili all’occhio
corporeo, esaminiamo realtà più accessibili. In che modo la fonte
genera da sé il fiume? Da quale forza è trasportata la rapida corrente?
Perché mai, pur costituendo il fiume e la fonte una sola e inseparabile
realtà, tuttavia né la fonte può essere intesa o chiamata come il
fiume, né il fiume come la fonte? E tuttavia chi avrà visto il fiume
vede anche la fonte. Esercitati prima nella spiegazione di queste cose
ed esamina, se sei capace, ciò che hai tra le mani: e allora passeremo
a realtà più sublimi. E non credere che io ti voglia convincere a salire
subito dalla terra al di sopra dei cieli; ma prima, se sei d’accordo, ti
condurrò a questo firmamento che si vede con gli occhi, e qui, se sei
capace, spiega la natura di questa luce visibile: in che modo questo
fuoco celeste generi da sé lo splendore della luce; in che modo
produce anche il vapore; e pur essendo tre di fatto, tuttavia nella
sostanza sono una cosa sola.
Se sarai riuscito a indagare tutte queste realtà, sappi che il mistero
della generazione divina è tanto più eccelso e trascendente quanto il
creatore è più potente delle creature, quanto l’artefice è superiore alla
sua opera, quanto colui che sempre è, è più nobile di colui che ha
cominciato ad essere dal nulla. Perciò bisogna credere che Dio è
Padre del suo unico Figlio e nostro Signore, non bisogna sottoporlo
ad esame. Infatti non è permesso allo schiavo discutere circa la
nascita del padrone. Lo ha affermato il Padre dal cielo dicendo:
"Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto:
ascoltatelo" (Mt 17, 5): il Padre afferma che quello è suo Figlio e
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comanda di ascoltarlo. Il Figlio dice: "Chi ha visto me ha visto anche
il Padre", e: "Io e il Padre siamo una cosa sola", e: "Io sono uscito da
Dio e sono venuto in questo mondo" (Gv 14, 9; 10, 30; 16, 28). Ma
allora chi oserà mettersi in mezzo, per discutere, fra queste parole del
Padre e del Figlio, e dividere la divinità, distinguere la loro volontà,
spezzare la sostanza, tagliare a mezzo lo Spirito, dire che non è vero
ciò che afferma la verità? Perciò Dio è vero Padre, in quanto Padre
della verità, e non crea dall’esterno ma da ciò ch’egli stesso è genera
il Figlio: in quanto sapiente genera la sapienza, in quanto giusto la
giustizia, in quanto eterno l’eternità, in quanto immortale
l’immortalità, in quanto invisibile l’invisibile, in quanto luce lo
splendore, in quanto mente la parola.
RESPONSORIO
R. Nessuno è detto signore se non ha un possedimento o un servo su
cui esercita il dominio, così anche un padre in nessun modo può
essere definito tale se non ha un figlio. * Padre è una parola che
racchiude un mistero profondo e indicibile.
V. Dio è vero Padre, in quanto Padre della verità, e non crea
dall’esterno, ma da ciò ch’egli stesso è genera il Figlio.
R. Padre è una parola che racchiude un mistero profondo e indicibile.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Sabato 20 ottobre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
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Credo in Dio Padre onnipotente, invisibile e impassibile
Quando abbiamo detto che la Chiesa d’Oriente tramanda un solo Dio
Padre onnipotente e un solo Signore, bisogna intenderlo in questo
modo: uno è detto non riguardo al numero, ma riguardo alla totalità.
Per esempio, se uno dice: un uomo, o: un cavallo, qui egli ha
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introdotto uno in senso numerico; infatti ci può essere un secondo
uomo e un terzo, e così per il cavallo. Ma là dove non si può
aggiungere un secondo e un terzo, se si dice uno, questo nome non ha
valore numerico, ma indica la totalità. Così, se, per esempio,
diciamo: un sole, qui uno è detto in modo tale che non si può
aggiungere un secondo e un terzo: infatti il sole è uno solo. Perciò
ben più a ragione quando si dice un solo Dio, uno è detto con valore
non di numero ma di totalità: cioè, egli è detto uno solo perché non
ce n’è altri. Analogamente anche riguardo al Signore bisogna
intendere che uno solo è il Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale
Dio Padre esercita la dominazione su tutte le cose. Di conseguenza la
parola che segue definisce Dio onnipotente.
Dio pertanto è detto onnipotente perché esercita il dominio su tutte le
cose. Ma tale dominio il Padre esercita per mezzo del Figlio, secondo
quanto dice anche l’Apostolo: "Perché per suo mezzo sono state
create tutte le cose, visibili e invisibili: sia i troni, sia le dominazioni,
sia i principati, sia le potenze" (Col 1, 16). E di nuovo, scrivendo agli
Ebrei, dice: "Per suo mezzo stabilì i secoli, e lui ha costituito erede di
tutte le cose" (Eb 1, 2). Che se per mezzo del Figlio il Padre ha
stabilito i secoli e per suo mezzo sono state create tutte le cose ed
egli è l’erede di tutte le cose, è anche per suo mezzo che il Padre
esercita il dominio su tutte le cose. Infatti, come la luce deriva dalla
luce e la verità dalla verità, così dall’onnipotente è nato
l’onnipotente, secondo quanto anche nell’Apocalisse di Giovanni è
detto dei Serafini: "E non si fermavano mai notte e giorno dicendo:
Santo, santo, santo il Signore Dio, che era, che è e che verrà,
l’onnipotente" (Ap 4, 8). È definito onnipotente colui che verrà: e chi
altro è colui che verrà se non Gesù Cristo il Figlio di Dio?
Qui è aggiunto nel Simbolo: invisibile e impassibile. È bene sapere
che queste due parole non si trovano nel Simbolo della Chiesa di
Roma. Ma sappiamo che presso di noi sono state aggiunte a causa
dell’eresia di Sabellio, cioè quella che i Latini definiscono
Patripassiana, in quanto afferma che proprio il Padre è nato dalla
Vergine e sostiene che egli si è fatto visibile e ha patito nella carne.
Pertanto, al fine di respingere tale empietà riguardo al Padre, i nostri
predecessori hanno aggiunto tali parole ed hanno definito il Padre
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invisibile e impassibile. Sappiamo infatti che il Figlio, non il Padre, è
nato nella carne e in forza della nascita carnale il Figlio è diventato
visibile e passibile. Ma per quanto attiene alla sostanza immortale
della divinità, che per lui è una sola e la stessa del Padre, in tal senso
non crediamo visibile e passibile né il Padre, né il Figlio, né lo
Spirito Santo. In quanto poi il Figlio si è degnato di assumere la
carne, egli nella carne è stato visto ed ha patito. Tutto ciò anche il
profeta aveva predetto con queste parole: "Questo è il nostro Dio: e
nessun altro sarà ritenuto tale a confronto con lui. Ha trovato ogni via
di conoscenza e l’ha data a Giacobbe suo figlio e ad Israele suo
diletto. Dopo è apparso in terra e si è trattenuto fra gli uomini" (Bar
3, 36-38).
RESPONSORIO
R. Bisogna intendere che uno solo è il Signore Gesù Cristo, per
mezzo del quale Dio Padre esercita il dominio su tutte le cose. * Dio
pertanto è detto onnipotente.
V. È definito onnipotente colui che verrà: e chi altro è colui che verrà
se non Gesù Cristo il Figlio di Dio?
R. Dio pertanto è detto onnipotente.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Domenica 21 ottobre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
6
Credo in Gesù Cristo
Il Simbolo continua così: e in Gesù Cristo unico Figlio suo nostro
Signore. Gesù è parola di lingua ebraica, che presso di noi significa
Salvatore. Cristo prende nome dal crisma, cioè dall’unzione.
Leggiamo nei libri di Mosè che Ause figlio di Nave, allorché fu
eletto capo del popolo, mutato nome da Ause fu chiamato Gesù
13
(Num 13, 16), e ciò fu al fine di dimostrare che questo è il nome che
si addice ai principi e ai capi, almeno a quelli che traggono a
salvezza i popoli che li seguono. Perciò fu chiamato Gesù quello che
introdusse nella terra promessa il popolo che era stato tratto fuori
dalla terra d’Egitto ed era stato liberato dalle peregrinazioni nel
deserto: ed è chiamato Gesù questi che, tratto fuori il popolo dalle
tenebre dell’ignoranza e richiamatolo dagli errori del mondo, lo
introduce nel regno dei cieli. Cristo poi è nome che è proprio del
pontefice e dei re: infatti anticamente i pontefici e i re venivano
consacrati con l’atto dell’unzione. Ma quelli, in quanto mortali e
corruttibili, venivano unti con l’unzione di materia corruttibile;
invece questo, unto dallo Spirito Santo, diventa Cristo, come di lui
dice la Scrittura: "Il Padre lo ha unto con lo Spirito Santo inviato dal
Cielo" (At 10, 38); ed Isaia aveva prefigurato, parlando in persona del
Figlio: "Lo Spirito del Signore è sopra di me: perciò mi ha unto e mi
ha mandato a predicare la buona novella ai poveri" (Is 61, 1).
Poiché abbiamo spiegato che cosa significhi Gesù, cioè colui che
salva il popolo, e che cosa significhi Cristo, cioè colui ch’è stato fatto
pontefice in eterno, (Eb 6, 20), da ciò che segue vediamo riguardo a
chi sono detti questi nomi: Unico Figlio suo nostro Signore. In
questo modo apprendiamo che questo Gesù, del quale abbiamo
parlato, e Cristo, del quale abbiamo trattato, è l’unico Figlio di Dio e
nostro Signore. Cioè, perché tu non creda che quei vocaboli umani ti
propongano un insegnamento terreno, perciò è stato aggiunto che
questo è l’unico Figlio di Dio e nostro Signore. Infatti uno nasce da
uno, perché uno solo è lo splendore della luce e una sola la parola del
cuore: la generazione incorporea non degenera in un numero plurale,
né c’è divisione là dove colui che nasce mai viene separato da colui
che lo genera. È unico, come l’intelligenza alla mente, come la
parola al cuore, come la potenza al forte, come la sapienza al
sapiente. Come infatti il Padre è definito dall’apostolo il solo
sapiente, così anche solo il Figlio è definito Sapienza (Rom 16, 27; 1
Cor 1, 24). Perciò il Figlio è unico: e poiché per gloria eternità forza
regno potenza egli è ciò che è il Padre, tuttavia tutte queste
prerogative non le ha senza principio, come il Padre, ma le deriva dal
14
Padre, in quanto Figlio; e mentre egli è il capo di tutto, tuttavia suo
capo è il Padre. Infatti è scritto: "Capo di Cristo è Dio" (1 Cor 11, 3).
RESPONSORIO
R. Fu chiamato Gesù quello che introdusse nella terra promessa il
popolo che era stato tratto fuori dalla terra d’Egitto. * Gesù è parola
di lingua ebraica, che significa Salvatore.
V. Perché tu non creda che quei vocaboli umani ti propongano un
insegnamento terreno, perciò è stato aggiunto che questo è l’unico
Figlio di Dio e nostro Signore.
R. Gesù è parola di lingua ebraica, che significa Salvatore.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Lunedì 22 ottobre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
7
Credo in Gesù Cristo unico Figlio di Dio, nostro Signore
Ma quando senti definire tutto ciò, Figlio, non voglio che tu pensi ad
una generazione carnale, ma ricorda che ciò si dice di una sostanza
incorporea e di una natura semplice. Se infatti, come già sopra
abbiamo detto, nella generazione della parola dal cuore, dell’idea
dalla mente, dello splendore dalla luce, non si ricerca alcunché di tal
genere, né in tale generazione si pensa ad alcunché di fragile, quanto
più puramente e santamente dobbiamo pensare del creatore di tutte
queste cose? Ma forse tu mi dirai che questa che ho portato come
esempio è una generazione non sostanziale: infatti la luce non
produce uno splendore sostanziale, né il cuore genera una parola
sostanziale: invece affermiamo che il Figlio di Dio è stato generato
sostanzialmente. A questa obiezione in primo luogo risponderemo
che anche riguardo ad altre cose, quando si portano degli esempi,
questi non possono avere completa somiglianza con la cosa per la
15
quale sono stati assunti, ma presentano somiglianza soltanto parziale,
in forza della quale sono stati presi come esempi. Per esempio, dato
che nel vangelo è detto: "Il regno dei cieli è simile al lievito che la
donna mette in tre misure di farina" (Mt 13, 33), crederemo forse che
il regno dei cieli sia così completamente simile al lievito che anche la
sua sostanza sia altrettanto palpabile e fragile al punto da potersi
inacidire e corrompere? O non piuttosto l’esempio è stato assunto
soltanto per dimostrare che grazie alla predicazione del Verbo di Dio
le menti umane possono crescere e svilupparsi insieme, grazie al
lievito della fede? Analogamente, quando diciamo: "Il regno dei cieli
è simile ad una rete calata in mare, che prende ogni genere di pesci"
(Mt 13, 47), crederemo forse che la sostanza del regno dei cieli sia
paragonata in tutto alla natura del lino, con cui si fa la rete, o ai nodi,
con cui si intrecciano le maglie? E invece il paragone non è stato
prodotto soltanto al fine di dimostrare che, come la rete trae sulla
spiaggia i pesci dal profondo del mare, così grazie alla predicazione
del regno dei cieli le anime umane sono liberate dal profondo errore
di questo mondo? Di qui è chiaro che gli esempi non sono in tutto
simili alle cose di cui sono esempi: altrimenti, se fossero in tutto
uguali, non sarebbero più detti esempi, ma sarebbero piuttosto
proprio quelle cose di cui ci si sta occupando.
Dobbiamo poi osservare che nessuna creatura può essere tale quale il
suo creatore: perciò, come è senza esempio la sostanza divina, così è
anche senza esempio la nascita divina. Aggiungeremo ancora che
tutte le creature derivano dal nulla. Se pertanto, in quanto creata dal
nulla, non è sostanziale quella creatura che genera da sé (un’altra
creatura), in questo essa conserva la condizione della sua origine:
invece la sostanza di quella luce eterna, che è sempre esistita, poiché
in sé non ha nulla di non sostanziale, non ha potuto produrre da sé
uno splendore non sostanziale. Perciò ben a ragione diciamo che il
Figlio è unico. Infatti è unico e solo colui ch’è nato in questo modo, e
ciò ch’è unico non può avere alcun termine di confronto, né colui
ch’è il creatore di tutte le cose può esser simile alle sue creature
quanto alla sostanza.
Pertanto questo è Gesù Cristo unico Figlio di Dio, ch’è anche nostro
Signore. Unico si può riferire sia a Figlio sia a Signore: infatti Gesù
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Cristo è il solo veramente Figlio e il solo veramente Signore. Gli
altri, anche se sono detti figli, sono detti tali per grazia di adozione,
non per realtà di natura. E se altri sono definiti signori, sono detti tali
in forza di un potere ch’è stato loro concesso, non senza origine. Ma
questo solo è unico Figlio e unico Signore come dice anche
l’Apostolo: "E un solo Signore Gesù Cristo, per mezzo del quale
tutte le cose" (1 Cor 8, 6). Così la norma di fede che ci è stata
proposta, dopo aver presentato l’indicibile mistero della nascita del
Figlio dal Padre, ora scende alla condiscendenza e all’economia della
umana salvezza e colui che sopra aveva definito unico Figlio di Dio,
ora lo definisce anche nostro Signore.
RESPONSORIO
R. Soltanto grazie alla predicazione del Verbo di Dio le menti umane
possono crescere e svilupparsi assieme, grazie al lievito della fede.
* Colui che è Figlio di Dio è anche nostro Signore.
V. Come la rete trae sulla spiaggia i pesci dal profondo del mare, così
grazie alla predicazione del regno dei cieli le anime umane sono
liberate dal profondo errore di questo mondo.
R. Colui che è Figlio di Dio è anche nostro Signore.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Mercoledì 24 ottobre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
8
Gesù nato da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo
Gesù è nato per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine. Questa
fra gli uomini è nascita dovuta all’economia della salvezza, mentre
quella è della sostanza divina: questa è di condiscendenza, quella di
natura. Nasce per opera dello Spirito Santo da Maria Vergine: e certo
a questo punto si richiedono più puri le orecchie e l’intelletto. Infatti
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a questi, che poco fa hai appreso nato indicibilmente dal Padre, ora
apprendi che dallo Spirito Santo è stato preparato un tempio nel
segreto del ventre verginale; e come nella santificazione dello Spirito
Santo non si deve intendere nessuna fragilità, così anche nel parto
della Vergine non si deve intendere alcuna corruzione. Ora infatti al
mondo è stato dato un nuovo parto e non senza ragione. Chi infatti in
cielo è unico Figlio, conseguentemente anche in terra è unico e nasce
in modo unico. Su questo argomento sono a tutti note e riecheggiate
nei vangeli le parole dei profeti, i quali affermano che "Una vergine
concepirà e partorirà un figlio" (Is 7, 14). E anche il meraviglioso
modo del parto il profeta Ezechiele aveva anticipatamente indicato,
definendo simbolicamente Maria porta del Signore, cioè attraverso la
quale il Signore è entrato nel mondo. Dice pertanto così: "La porta
che guarda ad oriente sarà chiusa e non verrà aperta e nessuno vi
passerà attraverso, perché proprio il Signore Dio d’Israele passerà
attraverso questa porta, e sarà chiusa" (Ez 44, 2). Che cosa di
altrettanto evidente si sarebbe potuto dire della consacrazione della
Vergine? Rimase in lei chiusa la porta della verginità; attraverso di
essa il Signore Dio d’Israele è entrato in questo mondo, e attraverso
di essa è venuto dal ventre della Vergine, e in eterno la porta della
Vergine è rimasta chiusa, poiché la verginità è stata preservata. Per
tal motivo lo Spirito Santo è detto creatore della carne del Signore e
del suo tempio.
Comincia già da qui a comprendere anche la maestà dello Spirito
Santo. Infatti riguardo a questo anche la parola del vangelo afferma
che, quando l’angelo parlò alla Vergine e le disse: "Partorirai un
figlio e gli darai nome Gesù: infatti salverà il suo popolo dai suoi
peccati", ed ella rispose: "In che modo avverrà questo, dal momento
che non conosco uomo", allora l’angelo di Dio le disse: "Lo Spirito
Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà: perciò
colui che da te nascerà santo sarà chiamato Figlio di Dio" (Lc 1,
31.34.35; Mt 1, 21). Osserva dunque la Trinità che coopera
scambievolmente. È detto che lo Spirito Santo viene sulla Vergine e
la potenza dell’Altissimo l’adombra. Ma qual è la potenza
dell’Altissimo, se non proprio Cristo, che è potenza di Dio e sapienza
di Dio? (1 Cor 1, 24). Ma questa potenza di chi è? Dell’Altissimo, è
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detto. Perciò è presente l’Altissimo, è presente anche la potenza
dell’Altissimo, è presente anche lo Spirito Santo. Questa è la Trinità,
che dovunque è nascosta e dovunque appare, distinta nei nomi e nelle
persone, sostanza inseparabile della divinità. E benché soltanto il
Figlio nasca dalla Vergine, tuttavia è presente anche l’Altissimo, è
presente anche lo Spirito Santo, perché venga santificato il
concepimento della Vergine e il suo parto.
RESPONSORIO
Cfr Ez 44, 2; Lc 1, 1, 31.34.35; Mt 1, 21
R. La porta che guarda ad oriente sarà chiusa e non verrà aperta e
nessuno vi passerà attraverso, perché proprio il Signore Dio d’Israele
passerà attraverso questa porta, e sarà chiusa. * Soltanto il Figlio
nasce dalla Vergine, tuttavia è presente anche l’Altissimo e lo Spirito
Santo.
V. Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti
adombrerà: perciò colui che da te nascerà santo sarà chiamato Figlio
di Dio.
R. Soltanto il Figlio nasce dalla Vergine, tuttavia è presente anche
l’Altissimo e lo Spirito Santo.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Giovedì 25 ottobre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
9
Maria ha partorito vergine
Le nostre verità, in quanto sono affermate sulla base dei libri dei
profeti, possono forse confutare i Giudei, per quanto essi siano
infedeli e increduli. Ma i pagani sono soliti prenderci in giro, quando
sentono che noi affermiamo il parto di una vergine. Perciò in poche
parole bisogna rispondere anche alle loro calunnie. Ogni parto esige
– come credo – tre condizioni: che la donna sia di età adulta, che ci
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sia l’uomo, che la donna non sia impedita dalla sterilità. Di queste tre
condizioni, in questo parto che noi affermiamo ne è mancata soltanto
una, l’uomo; e la sua funzione, poiché colui che nasceva non era un
uomo terreno ma celeste (1 Cor 15, 47), affermiamo ch’è stata
assunta dallo Spirito celeste, restando così preservata
l’incorruttibilità della Vergine. E d’altra parte, perché mai sembra
strano che una vergine abbia concepito, dal momento che l’uccello
d’Oriente, che chiamano Fenice, si sa che nasce e rinasce senza
coniuge a punto tale che è sempre uno solo e nascendo e rinascendo
succede sempre a se stesso? E certo tutti sanno che le api ignorano
l’accoppiamento e senza congiungimento producono la prole. Si sa
inoltre che anche alcune altre creature nascono in tal modo. Sembrerà
allora incredibile che per la restaurazione dell’intero universo sia
avvenuto per potenza divina ciò di cui l’esempio osserviamo anche
nella nascita degli animali?
E d’altra parte ci si deve meravigliare che ciò sembri impossibile
proprio ai pagani, i quali credono che la loro Minerva sia nata dal
cervello di Giove. Che cosa è più difficile a credere e che cosa è più
contro l’ordine di natura? Qui c’è una donna, qui è preservato
l’ordine di natura, qui a suo tempo ci sono stati concepimento e
parto. Invece lì non c’è neppure sesso femminile, ma soltanto l’uomo
e il parto. Chi crede una tale cosa, perché si deve meravigliare di
quell’altra? Ma anche Bacco affermano nato dalla coscia di Giove.
Ecco un portento d’altro genere, eppure viene creduto. Anche
Venere, che chiamano Afrodite, credono che sia stata generata dalla
spuma del mare, come dimostra anche la composizione del suo
nome. Affermano che Castore e Polluce sono nati da un uovo, i
Mirmidoni dalla formica. E mille altri portenti, che contravvengono
all’ordine di natura, eppure a loro sono sembrati degni di esser
creduti, come le pietre scagliate da Deucalione e da Pirra e la messe
di uomini nata di lì. E mentre prestano fede a tali e tante invenzioni,
soltanto questo sembra loro impossibile; che una donna in età adulta
abbia concepito un frutto divino non per contaminazione di uomo,
ma per ispirazione di Dio? Che se sono così difficili a credere, mai
avrebbero dovuto prestar fede a quelle tante e tanto turpi mostruosità.
Se invece sono facili a credere, molto più prontamente avrebbero
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dovuto accogliere queste nostre verità, così pure e così sante,
piuttosto che quelle loro storie tanto indegne e turpi.
RESPONSORIO
R. Mille portenti contravvengono l’ordine di natura per la nascita,
eppure ai pagani sono sembrati degni d’essere creduti.* Noi
affermiamo che Gesù è stato partorito da una vergine.
V. Se sono facili a credere, molto più prontamente i pagani avrebbero
dovuto accogliere queste nostre verità così pure e così sante.
R. Noi affermiamo che Gesù è stato partorito da una vergine.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Venerdì 26 ottobre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
10-11
Dio ha fatto sì che Gesù nascesse da Maria Vergine
I pagani forse obietteranno che certo Dio avrebbe potuto far sì che
una vergine concepisse e anche partorisse: ma sembra indegno che
quella così grande maestà sia passata attraverso gli organi genitali di
una donna: dove, anche se non ci fosse stata contaminazione
derivante da unione con un uomo, tuttavia ci sarebbe stata l’offesa
del vergognoso contatto prodotto dal puerperio. A costoro
rispondiamo brevemente secondo il loro modo di vedere. Se uno
vede un bambino che viene ucciso in mezzo al fango profondo e, pur
essendo uomo importante e potente, entra nel fango, per così dire, in
punta di piedi per liberare il bambino che sta morendo, tu accuserai
quest’uomo di essersi contaminato per aver calpestato un po’ di
fango ovvero lo loderai per la sua pietà, dato che ha salvato la vita a
uno che stava per morire? E questa considerazione può esser fatta
anche a proposito di un uomo comune. Torniamo invece ora alla
natura di colui ch’è nato. Quanto pensi che gli sia inferiore la natura
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del sole? Certamente quanto la creatura è inferiore al creatore. Ora
osserva: se un raggio di sole giunge al fondo di una fossa fangosa,
forse ne risulta di qui per qualche parte contaminato? O riterremo
offesa per il sole anche solo l’aver illuminato quella sozzura? Di
quanto la natura del sole è inferiore alle realtà di cui stiamo
parlando? Eppure non crederemo che una qualche materia sozza e
turpe messa sul fuoco possa contaminarlo.
Dato che evidentemente così è riguardo alle cose materiali, pensi tu
forse che quella trascendente e incorporea natura, che è al di sopra di
ogni fuoco e di ogni luce, possa in qualche modo essere insozzata e
contaminata? Osserva infine anche questo. Noi diciamo che Dio ha
creato l’uomo dal fango della terra (Gen 2, 6). Che se consideriamo
vergognoso per Dio riscattare la sua opera, molto più vergognoso
riterremo averla creata così dall’inizio. Ed è superfluo chiedere
perché mai egli sarebbe passato attraverso membra vergognose, dato
che potresti chiedere perché mai avrebbe creato tali membra. Del
resto non la natura, ma la consuetudine ci ha insegnato che tali parti
del corpo sono vergognose. Infatti tutte le parti del corpo sono state
fatte da un solo e stesso fango e si distinguono soltanto per gli usi e
le funzioni naturali.
Per risolvere completamente la difficoltà di accettare che Gesù sia
nato da Maria Vergine non tralascerò neppure di rilevare che la
sostanza di Dio, ch’è del tutto incorporea, non può inserirsi nei corpi,
né essere accolta da questi in modo primario, se non tramite la
mediazione di una sostanza spirituale che possa essere capace di
accogliere lo spirito divino. Per fare un esempio, la luce può
illuminare tutte le membra del corpo, ma non può essere percepita da
nessuna tranne che dal solo occhio: infatti soltanto l’occhio è capace
di percepire la luce. Così nasce il Figlio di Dio dalla Vergine non
unito in modo primario soltanto con la carne, ma generato essendo
l’anima mediatrice fra la carne e Dio. Pertanto, dato che l’anima è
un’entità intermedia ed è capace di accogliere il Verbo divino
nell’intimo recesso dello spirito razionale, Dio è nato dalla Vergine
senza contrarre quell’offesa che tu pensi. E così non dobbiamo
immaginare niente di vergognoso là dove era presente la
santificazione dello Spirito Santo, e l’anima, che era capace di
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accogliere Dio, diventava capace anche di accogliere la carne. Nulla
devi ritenere impossibile là dove era presente la potenza
dell’Altissimo; nulla devi pensare di umana fragilità là dove era
presente la pienezza della divinità.
RESPONSORIO
R. Se un raggio di sole giunge al fondo di una fossa fangosa, forse il
sole ne risulta per qualche parte contaminato? * Dio ha fatto sì che
una vergine concepisse e partorisse.
V. Pensi tu forse che quella trascendente e incorporea natura, che è al
di sopra di ogni fuoco e di ogni luce, possa essere in qualche modo
contaminata?
R. Dio ha fatto sì che una vergine concepisse e partorisse.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Sabato 27 ottobre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
12-13
Cristo con la sua croce ha assoggettato ogni potenza
Crocifisso sotto Ponzio Pilato e sepolto, discese nell’inferno.
L’apostolo Paolo insegna che gli occhi del nostro cuore debbono
essere illuminati per comprendere quale sia l’altezza e la larghezza e
la profondità (Ef 1, 18; 3, 18). Altezza larghezza profondità sono
descrizione della croce. Infatti Paolo ha chiamato profondità quella
parte ch’è conficcata in terra; altezza quella parte che protesa
nell’aria si erge in alto; larghezza infine quella parte che distesa si
allarga a destra e a sinistra. Poiché dunque ci sono tante specie di
morte, con le quali gli uomini sono soliti uscire da questa vita,
l’Apostolo vuole che noi con cuore illuminato conosciamo il motivo
per cui di tutte queste specie è stata scelta proprio quella della croce
per la morte del Salvatore.
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A tale proposito bisogna sapere che la croce era segno di trionfo:
infatti il trofeo è il segno del trionfo, in quanto è segno della vittoria
sul nemico. Poiché dunque Cristo col suo avvento ha sottomesso
parimenti a sé i tre regni (questo infatti indica Paolo là dove dice: "In
nome di Gesù si piegherà ogni ginocchio, delle creature celesti e
terrestri e infernali" [Fil 2, 10]) e tutti e tre li ha vinti con la sua
morte, è stata prescelta una specie di morte che fosse adatta ad
indicare il mistero: infatti sollevato in alto e sottomettendo le potenze
dell’aria, riportava vittoria su queste potenze eccelse e celesti; teneva
poi le mani distese tutto il giorno, come dice il profeta (Is 65, 2),
rivolto al popolo ch’è in terra, per accusare gl’increduli e invitare i
credenti; con quella parte poi della croce che è immersa sotto terra
sottometteva a sé i regni infernali.
Infatti – per dire in breve qualcosa anche sugli argomenti più segreti
– quando Dio all’inizio fece il mondo vi mise a capo alcune
gerarchie di potenze celesti da cui fosse retto e amministrato il
genere umano. Che così sia stato fatto indica Mosè nel cantico del
Deuteronomio, dove dice: "Quando l’Eccelso divideva i popoli,
stabilì i confini delle genti secondo il numero degli angeli di Dio"
(Deut 32, 8). Ma alcuni di costoro, come anche colui ch’è chiamato
principe del mondo (Gv 12, 31), usarono del potere ch’era stato dato
loro da Dio non secondo le norme con le quali l’avevano ricevuto; e
così insegnarono agli uomini a ubbidire non ai precetti divini bensì
alle loro prevaricazioni: perciò è stata scritta a nostro danno
l’obbligazione derivante dai peccati, perché, come dice il profeta,
siamo stati venduti a causa dei nostri peccati (Is 50, 1). Infatti
ognuno riceve un prezzo per la propria anima quando abbia
soddisfatto i suoi cattivi desideri.
Ma questa obbligazione di noi tutti, ch’era in mano di quei pessimi
reggitori, Cristo col suo avvento l’ha strappata via ed ha privato
quelli di tale potere. Proprio a questo allude Paolo con parole piene
di mistero, là dove dice di Cristo: "Distruggendo l’obbligazione che
era contro di noi e inchiodandola sulla croce, espose alla pubblica
derisione i principati e le potenze, trionfando su di loro in se stesso"
(Col 2, 14-15). Perciò quei reggitori, che Dio aveva messo a capo del
genere umano, voltisi alla tirannia con spirito di ribellione,
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intrapresero ad aggredire gli uomini ch’erano stati loro affidati e a
debellarli con l’arma del peccato, secondo quanto accenna con parole
nascoste il profeta Ezechiele dicendo: "In quel giorno avanzeranno
gli angeli affrettandosi a distruggere l’Etiopia, e ci sarà tra quelli
gran turbamento nel giorno dell’Egitto, perché quel giorno verrà" (Ez
30, 9). Perciò a ragione è scritto che Cristo, dopo averli privati di
tutto il loro potere, ha trionfato su di loro e ha trasferito il potere da
loro agli uomini come egli stesso dice nel Vangelo ai suoi discepoli:
"Ecco, vi ho dato il potere di calpestare i serpenti e gli scorpioni, e
tutta la forza del nemico" (Lc 10, 19). Così la croce di Cristo ha
assoggettato costoro, che male avevano usato del potere loro
concesso, a quelli che una volta erano stati loro soggetti.
A noi poi, cioè al genere umano, insegna per prima cosa a resistere
fino alla morte contro il peccato e ad accettare volentieri la morte per
la fede. Infine con questa sua croce propone a noi anche esempio di
ubbidienza, come a quelli, che una volta erano stati nostri reggitori,
ha stabilito pene per la loro protervia. Senti infatti come l’apostolo
vuole insegnarci l’ubbidienza per mezzo della croce di Cristo:
"Abbiate in voi gli stessi sentimenti ch’erano in Cristo Gesù: egli,
essendo nella natura di Dio, non tenne gelosamente per sé l’essere
uguale a Dio, ma annientò se stesso assumendo la forma di schiavo;
fatto a somiglianza degli uomini e reso nell’aspetto come un uomo,
fu ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce" (Fil 2, 5-8).
Poiché infatti è grande maestro colui che opera in conformità del suo
insegnamento, egli ha insegnato che le persone pie debbono
osservare l’ubbidienza anche a costo della morte, morendo egli
stesso per primo a causa sua.
RESPONSORIO
Cfr Fil 2, 5
R. Cristo con la sua croce al genere umano insegna per prima cosa a
resistere fino alla morte contro il peccato e ad accettare volentieri la
morte per la fede. * Abbiate in voi gli stessi sentimenti ch’erano in
Cristo Gesù.
V. Ha insegnato che le persone pie debbono osservare l’obbedienza
anche a costo della morte.
R. Abbiate in voi gli stessi sentimenti ch’erano in Cristo Gesù.
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Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Domenica 28 ottobre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
14-15
Cristo con la sua morte vince il potere del diavolo
Forse qualcuno si potrebbe spaventare ad ascoltare una tale dottrina:
infatti trattiamo ora della morte di colui che poco fa abbiamo detto
essere sempiterno insieme con Dio Padre e generato dalla sua
sostanza, e che abbiamo insegnato essere una cosa sola col Padre per
regno, eternità, maestà. Ma non voglio che ti spaventi, o fedele
ascoltatore: colui che ora senti dire morto, fra poco di nuovo lo
vedrai immortale. Infatti egli accoglie la morte per depredare la
morte.
Infatti il mistero dell’incarnazione, che or ora abbiamo esposto, è
stato determinato da questo motivo: che il Figlio di Dio nella sua
divina potenza, come un amo, rivestito di aspetto umano e, secondo
quanto ha detto or ora l’apostolo, reso nell’aspetto come un uomo
(Fil 2,7), potesse invitare alla lotta il principe del mondo.
Consegnando a questo la sua carne come esca, egli lo ha afferrato
grazie all’amo della divinità che gli si era profondamente conficcato
dentro, e con l’effusione del sangue immacolato – infatti solo lui non
conosce macchia di peccato – ha distrutto i peccati di tutti: di quelli
almeno che avevano segnato col suo sangue la porta della loro fede
(Es 12,7). Se un pesce afferra l’amo ch’è nascosto dall’esca, non
soltanto porta via l’esca insieme con l’amo, ma egli stesso è
strappato via dall’acqua, per essere poi esca per gli altri pesci: così
anche colui che esercitava l’impero della morte ha portato via il
corpo di Gesù per darlo alla morte, senza accorgersi che dentro quel
corpo era nascosto l’amo della divinità; così quando l’ha divorata,
egli stesso subito è rimasto attaccato e, rotti i cancelli dell’inferno, è
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tirato via quasi che fosse tratto fuori dal profondo del mare, al fine di
essere esca per altri.
Che così sarebbe stato già lo aveva prefigurato il profeta Ezechiele
con la stessa immagine dicendo: "Ti tirerò fuori con il mio amo e ti
distenderò sulla terra. I campi saranno ripieni di te e radunerò su di te
tutti gli uccelli del cielo e sazierò di te tutte le bestie della terra" (Ez
32, 3-4). Anche David dice: "Lo ha dato come esca ai popoli
d’Etiopia" (Sal 73, 14). E Giobbe parla in modo analogo sullo stesso
mistero: afferma infatti in persona di Dio che gli parla: "O condurrai
il dragone con un amo o porrai una cavezza intorno alle sue narici"
(Giob 40, 20).
Perciò Cristo ha patito nella carne senza danno o offesa per la sua
divinità, ma al fine di operare la salvezza per mezzo della debolezza
della carne, la natura divina è discesa nella morte, non per essere
trattenuta dalla morte secondo la legge delle creature mortali, ma per
aprire le porte della morte a quelli che grazie a lui sarebbero risorti. È
come se un re si recasse ad una prigione ed entrato dentro aprisse le
porte, sciogliesse catene e ceppi, infrangesse cancelli e chiavistelli,
conducesse fuori alla libertà quelli che erano incatenati e restituisse
alla luce e alla vita quelli che sedevano nell’oscurità e all’ombra
della morte (Sal 106, 10). Diremo allora che il re, certo, è stato in
prigione, ma tuttavia non nella condizione che era stata di quelli che
venivano tenuti in prigione: ma quelli vi erano tenuti per scontare le
pene, egli invece vi è entrato per rimettere le pene.
RESPONSORIO
R. Cristo ha patito nella carne senza danno o offesa per la sua
divinità, ma al fine di operare la salvezza. * Il re certo è stato in
prigione, ma vi è entrato per rimettere le pene.
V. La natura divina è discesa nella morte, non per essere trattenuta
dalla morte, ma per aprire le porte della morte a quelli che grazie a
lui sarebbero risorti.
R. Il re certo è stato in prigione, ma vi è entrato per rimettere le pene.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
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Lunedì 29 ottobre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
16-17
La croce di Cristo è potenza di Dio
Quelli che hanno tramandato il Simbolo hanno anche indicato nel
modo più preciso il tempo in cui tutto ciò è avvenuto: sotto Ponzio
Pilato, per evitare che la tradizione dei fatti, incerta e generica in
qualche parte, riuscisse meno probante. Bisogna poi sapere che nel
Simbolo della Chiesa di Roma non è aggiunta l’espressione discese
nell’inferno, ed essa non è in uso neppure nelle Chiese d’Oriente: ma
lo stesso concetto di queste parole è espresso là dove è detto che egli
è stato sepolto.
Ma poiché tu sei molto attaccato e interessato alle Sacre Scritture,
certamente mi dirai che tutte queste verità debbono essere confortate
da più perentorie testimonianze tratte appunto di lì. Quanto più infatti
è importante ciò che si deve credere, tanto più necessita di
testimonianze idonee e al di sopra di ogni dubbio. Ciò che tu chiedi è
giusto e ragionevole: ma noi, in quanto ci rivolgiamo a chi conosce la
Legge, per esigenza di brevità tralasciamo una gran massa di
testimonianze. Presenteremo tuttavia poche cose fra le tante, se ci si
accontenta anche di queste, sapendo che a quanti si dedicano allo
studio delle Sacre Scritture si spalanca a tal proposito un immenso
mare di testimonianze.
Innanzitutto bisogna sapere che il valore della croce non è uno solo e
lo stesso per tutti: ma essa ha un significato per i pagani, un altro per
i Giudei, un altro per i credenti, come anche l’apostolo dice: "Noi poi
predichiamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e pazzia per i
pagani, ma per quanti sono stati chiamati sia Giudei sia Greci
potenza di Dio e sapienza di Dio" (1 Cor 1, 23-24). E in un altro
luogo: "Infatti la parola della croce è pazzia per quanti periscono, ma
per coloro che si salvano è potenza di Dio" (1 Cor 1, 18). Infatti i
Giudei, che dalla Legge avevano appreso che il Cristo sarebbe
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rimasto in eterno (Gv 12, 34), traevano motivo di scandalo dalla sua
croce, perché non vollero credere nella sua resurrezione. Ai pagani
poi sembrava pazzia credere che Dio era morto, perché essi
ignoravano il mistero dell’incarnazione. I fedeli invece, che avevano
creduto che Cristo era nato, aveva patito ed era risorto dai morti,
giustamente credevano che era potenza di Dio quella che aveva vinto
la morte.
Per prima cosa dunque ascolta come dalla parola profetica di Isaia è
indicato che i Giudei, cui i profeti avevano predetto queste verità,
non avrebbero creduto, e invece avrebbero creduto quelli che mai
avevano ascoltato ciò dai profeti: "Coloro – egli dice – cui questo
non è stato annunziato, vedranno, e coloro che non hanno ascoltato,
comprenderanno" (Is 52, 15). Lo stesso Isaia in questo modo predice
che, mentre non credettero quelli che meditavano la legge di Dio
dalla fanciullezza alla vecchiaia, tutto il mistero della salvezza
sarebbe stato trasferito ai pagani: "Ecco – egli dice –, il Signore degli
eserciti preparerà a tutte le genti un banchetto su questo monte:
berranno la gioia, berranno vino, si ungeranno di profumi su questo
monte: dà ai pagani tutti questi beni. Questa è la volontà del Signore
onnipotente riguardo a tutti i pagani" (Is 25, 6-7).
Ma forse quelli che si vantano della conoscenza della Legge ci
obietteranno: Bestemmiate voi che affermate che il Signore è stato
soggetto alla corruzione della morte e alla passione della croce. Ma
allora leggete quanto trovate scritto nelle Lamentazioni di Geremia,
là dove egli dice: "Lo spirito del nostro volto, Cristo Signore, fu
preso a causa dei nostri peccati, riguardo al quale abbiamo detto:
Sotto la sua ombra vivremo fra i pagani" (Lam 4, 20). Ascolta come
quello profetizza che Cristo Signore è stato preso e per noi, cioè a
causa dei nostri peccati, è stato dato in preda alla corruzione; e
poiché il popolo ch’è rimasto incredulo è stato rigettato via, dice che
all’ombra del Signore vivremo non in Israele, ma fra i pagani.
RESPONSORIO
Cfr 1 Cor 1, 23-24
R. Noi predichiamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e pazzia
per i pagani, ma per quanti sono stati chiamati sia Giudei, sia Greci
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potenza di Dio e sapienza di Dio. * I fedeli giustamente credevano
che era potenza di Dio quella che aveva vinto la morte.
V. Cristo Signore è stato preso per noi, cioè a causa dei nostri
peccati, perché all’ombra del Signore vivremo non in Israele, ma fra i
pagani.
R. I fedeli giustamente credevano che era potenza di Dio quella che
aveva vinto la morte.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Martedì 30 ottobre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
18-19
Nelle Scritture è predetta tutta la passione di Cristo
Se non sembra troppo laborioso, voglio indicare come nei profeti
siano stati predetti tutti i particolari che riferiscono i vangeli: in tal
modo quelli che ricevono i primi rudimenti della fede possono tenere
scritte nel loro cuore queste testimonianze, perché non si insinui in
loro alcuna funesta incertezza riguardo al contenuto di questa loro
fede.
Il Vangelo ci insegna che Giuda, uno degli amici e dei commensali di
Cristo, lo tradì (Mt 26, 14-16): ascolta come ciò venga predetto nei
Salmi: "Uno che ha mangiato il mio pane, ha teso l’insidia contro di
me" (Sal 40, 10). E in un altro luogo: "I miei amici e i miei congiunti
si sono avvicinati e stettero contro di me" (Sal 37, 12). E ancora: "Si
sono ammorbidite le loro parole più dell’olio, ed esse erano dardi"
(Sal 54, 22). Vuoi vedere in che modo si sono ammorbidite? "Venne
– è detto – Giuda da Gesù e gli disse: Salve, Maestro, e lo baciò" (Mt
26, 49). Con l’allettamento dolce di un bacio infisse il dardo
esecrando del tradimento. Per cui il Signore gli dice: "Giuda, con un
bacio tradisci il Figlio dell’uomo?" (Lc 22, 48).
Senti dire che egli è stato valutato trenta monete d’argento dalla
cupidigia del traditore (Mt 26, 15). Ascolta anche su questo
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particolare la parola del profeta: "Dissi loro: Se vi par bene, datemi la
ricompensa oppure dite di no". E subito dopo: "E ricevetti trenta
monete d’argento e le gettai nella casa del Signore per essere fuse"
(Zac 11, 12-13). Non è proprio questo ciò che si legge nel Vangelo,
che Giuda preso da penitenza riportò indietro il danaro, lo gettò nel
tempio e si allontanò? (Mt 27, 3-5). Bene, anche il profeta ha parlato
della ricompensa di Giuda, col sentimento di chi accusa e
rimprovera. Infatti tante opere buone Gesù aveva fatto presso di loro:
aveva dato la vista ai loro ciechi, l’uso dei piedi agli zoppi, la
possibilità di muoversi ai paralitici; aveva restituito anche la vita ai
morti (Gv 10, 32; Mt 11, 5). In contraccambio di tutti questi benefici
gli danno la morte, valutata al prezzo di trenta monete d’argento. Nel
Vangelo è detto anche ch’egli fu legato. Lo aveva predetto la parola
del profeta, dicendo così per bocca di Isaia: "Guai alle loro anime,
perché hanno fatto un pessimo pensiero contro se stessi, dicendo:
Incateniamo il giusto, perché ci è molesto" (Is 3, 9; Ez 38, 10; Sap 2,
12).
Ma qualcuno obietterà: dobbiamo intendere tutto ciò del Signore?
Che forse il Signore poteva essere preso dagli uomini e tratto in
giudizio? Proprio di questo ti convincerà il medesimo profeta con
queste parole: "Il Signore verrà in giudizio con gli anziani e con i
capi del popolo" (Is 3, 14). Proprio il Signore viene giudicato
secondo la testimonianza del profeta: non solo giudicato ma
flagellato, percosso nel volto con le mani e sputacchiato (Gv 19, 1-3);
e per noi sopporta ogni offesa e indegnità. E poiché tutti si sarebbero
stupiti ad udire tali cose dagli apostoli, ecco che ancora il profeta in
loro persona esclama e dice: "Signore, chi ha creduto alla nostra
parola?" (Is 53, 1). Infatti era incredibile che si dicesse che Dio
Figlio di Dio avesse patito tali tormenti; perciò questi vengono
predetti dai profeti affinché non avessero a dubitare coloro che
avrebbero creduto. Ecco pertanto che lo stesso Cristo Signore dice in
sua persona: "Ho presentato la mia schiena ai flagelli e le mie guance
alle percosse, e non ho distolto la mia faccia dalla vergogna degli
sputi" (Is 50, 6).
Fra gli altri patimenti è scritto anche che legatolo lo condussero al
cospetto di Pilato (Mt 27, 2). Anche questo ha predetto il profeta, là
31
dove dice: "E legatolo lo condussero in dono al re Iarim" (Os 10, 6).
A meno che uno non faccia questa obiezione: Ma Pilato non era re.
Ma sta a sentire che cosa dice il Vangelo subito dopo: "Pilato, ad
udire ch’egli era della Galilea, lo mandò ad Erode, che allora era re
in Israele" (Lc 23, 6-7). Ed a ragione il profeta ha aggiunto il nome
Iarim, che significa selvatico. Infatti Erode non era della casa
d’Israele, né di quella vigna israelitica che il Signore aveva portato
fuori dall’Egitto e aveva piantato in cima ad un fertile colle (Is 5, 1);
ma era selvatico, cioè apparteneva alla selva degli stranieri: per
questo è chiamato selvatico, come quello che mai era cresciuto dai
tralci della vite d’Israele. E anche ciò che ha detto il profeta: "in
dono", si adatta benissimo. Allora infatti – come afferma il Vangelo
(Lc 23, 12) – Erode e Pilato, che prima erano nemici, fecero pace e
come dono per la loro riconciliazione mandavano legato Gesù l’uno
dall’altro. Ma che cosa importa questo, purché Gesù dovunque
riconcilii quelli che sono in discordia, ristabilisca la pace e la
concordia? Anche di questo è scritto in Giobbe: "Il Signore riconcilia
i cuori dei principi della terra" (Giob 12, 24).
RESPONSORIO
R. Nei profeti sono stati predetti tutti i particolari che riferiscono i
vangeli sulla passione di Cristo: in tal modo quelli che ricevono i
primi rudimenti della fede possono tenere scritte nel loro cuore
queste testimonianze. * Perché non si insinui fra i credenti alcuna
funesta incertezza riguardo al contenuto di questa loro fede.
V. Ma dobbiamo intendere tutto ciò del Signore? Che forse il Signore
poteva essere preso dagli uomini e tratto in giudizio? Proprio di
questo ti convinceranno le parole dei profeti.
R. Perché non si insinui fra i credenti alcuna funesta incertezza
riguardo al contenuto di questa loro fede.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
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Mercoledì 31 ottobre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
20-21
Nelle Scritture è predetto tutto della passione e morte di Cristo
È raccontato che, volendo Pilato lasciar libero Gesù, tutto il popolo
gridò: "Crocifiggilo, crocifiggilo" (Gv 19,12; Lc 23,21). Lo aveva
predetto il profeta Geremia, dicendo in persona proprio del Signore:
"La mia eredità è diventata per me come un leone nella selva: ha
lanciato contro di me la sua voce; per questo l’ho avuta in odio, e per
questo ho abbandonato – egli dice – la mia casa" (Ger 12,8.7). E
ancora in un altro passo: "Su chi avete aperto la vostra bocca e contro
chi avete sciolto le vostre lingue?" (Is 57,4). È scritto che, mentre
veniva giudicato, Gesù taceva (Mt 26,63). Molti passi della Scrittura
ne sono testimoni. Nei Salmi è scritto: "Sono diventato come uno che
non sente e che non ha nella sua bocca parole per rimproverare" (Sal
37,15). E ancora: "Ma io come un sordo non ascoltavo, ed ero come
muto che non apre la sua bocca" (Sal 37,14). E ancora un altro
profeta: "Come un agnello di fronte al tosatore, così non ha aperto la
sua bocca; nell’umiliazione fu portato il giudizio contro di lui" (Is 53,
7-8).
È scritto che gli fu imposta una corona di spine (Mc 15,17). Riguardo
a questo ascolta nel Cantico dei cantici, sull’iniquità di
Gerusalemme, la voce del Padre che si meraviglia dell’ingiuria fatta
al Figlio e dice: "Uscite e osservate, figlie di Gerusalemme, la corona
con la quale lo ha coronato sua madre" (Ct 3,11). E così un altro
profeta ricorda le spine: "Ho aspettato che (la vigna) producesse uva;
invece ha prodotto spine; non giustizia ma iniquità" (Is 5,2.7).
Tuttavia, perché tu conosca anche le verità più segrete, era necessario
che colui che era venuto a portar via i peccati del mondo, purificasse
anche la maledizione della terra; essa infatti, a causa del peccato del
primo creato, aveva ricevuto la sentenza per la prevaricazione, con
queste parole del Signore: "La terra sarà maledetta per la tua azione,
e produrrà per te spine e triboli" (Gen 3,17-18). Perciò Gesù viene
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coronato di spine, affinché quella prima sentenza di condanna fosse
abolita. È condotto alla croce, e al legno viene sospesa la vita di tutto
il mondo (Mt 27,35). Vuoi avere anche su questo la conferma delle
parole del profeta? Ascolta Geremia che dice: "Abbattiamo l’albero
nel suo rigoglio, strappiamolo dalla terra dei viventi" (Ger 11,19). E
ancora Mosè, quasi compiangendoli, dice: "E la tua vita sarà sospesa
davanti ai tuoi occhi, e temerai giorno e notte e non crederai alla tua
vita" (Deut 28,66). Ma dobbiamo passare oltre: infatti abbiamo già
oltrepassato il limite della brevità che ci eravamo proposti e abbiamo
protratto con lunga argomentazione il discorso abbreviato. Tuttavia
aggiungeremo ancora qualcosa, per non trascurare completamente
ciò che abbiamo incominciato.
È scritto che Gesù, colpito al fianco, emise insieme acqua e sangue
(Gv 19,34). Certo questo particolare ha significato occulto: infatti
proprio lui aveva detto: "Scaturiranno dal suo ventre fiumi di acqua
viva" (Gv 7,38). E ha emesso anche quel sangue che i Giudei
avevano chiesto che ricadesse su di loro e sui loro figli (Mc 27,25).
Perciò ha emesso l’acqua che purificasse i credenti, ed ha emesso il
sangue che condannasse gl’increduli. Ma si può anche intendere che
in questo particolare è simboleggiata la duplice grazia del Battesimo:
una è quella che viene data per mezzo dell’acqua battesimale; l’altra
è quella che viene cercata per mezzo del martirio con l’effusione di
sangue: infatti l’uno e l’altro sono chiamati Battesimo. Che se
ricerchi anche perché è detto che egli emise acqua e sangue non da
altro membro, ma proprio dal fianco, mi sembra che qui nel fianco
sia indicata, per tramite della costola, la donna. Infatti poiché la fonte
del peccato e della morte derivò dalla prima donna, che fu la costola
del primo Adamo (Gen 2,22), per questo anche la fonte della
redenzione e della vita scaturisce dalla costola del secondo Adamo.
RESPONSORIO
R. Era necessario che colui che era venuto a portar via i peccati del
mondo, purificasse anche la maledizione della terra. * Perciò Gesù
ha emesso l’acqua che purificasse i credenti, ed ha emesso il sangue
che condannasse gl’increduli.
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V. La terra, a causa del peccato del primo creato, aveva ricevuto la
sentenza per la prevaricazione.
R. Perciò Gesù ha emesso l’acqua che purificasse i credenti, ed ha
emesso il sangue che condannasse gl’increduli.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Sabato 3 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
22-24
Nelle Scritture è predetto tutto della passione e morte di Cristo
È scritto che durante la sua passione discesero le tenebre dall’ora
sesta all’ora nona (Mt 27, 45). Sta a sentire anche su questo punto la
testimonianza del profeta che dice: "Il sole tramonterà per te a
mezzogiorno" (Am 8, 9). E ancora il profeta Zaccaria: "In quel giorno
– dice – non ci sarà luce. Ci sarà freddo e gelo in un giorno, e quel
giorno è noto al Signore, e non ci sarà giorno né notte, e ci sarà luce
al tramonto" (Zac 14, 6-7). Che cosa di altrettanto evidente avrebbe
potuto dire il profeta, sì che sembrasse non tanto predire cose future
quanto raccontare cose già passate? Ha predetto anche il freddo,
anche il gelo: per questo infatti Pietro si riscaldava al fuoco (Gv 18,
18), perché era freddo; ed egli soffriva il freddo non soltanto del
tempo ma anche della fede. Il profeta ha aggiunto ancora: "E quel
giorno è noto al Signore, e non ci sarà né notte, né giorno". Che
significa: Non ci sarà notte, né giorno? Che forse non ha parlato
chiaramente delle tenebre che sono sopraggiunte durante il giorno, e
della luce che è stata richiamata indietro? Quello non fu un giorno:
infatti non cominciò col sorgere del sole. Né fu vera e propria notte:
infatti non intraprese dall’inizio il cammino che le è assegnato, dopo
ch’era stato completato il corso del giorno, né lo condusse fino al
termine stabilito: ma la luce, allontanata dal delitto degli empi, tornò
al tramonto. Infatti dopo l’ora nona, scacciate le tenebre, il sole è
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restituito al mondo. E di questo stesso fatto un’altra testimonianza
dice: "E di giorno si oscurerà la luce sopra la terra" (Am 8, 9).
La predicazione del Vangelo c’insegna anche che i soldati si divisero
le vesti di Gesù e trassero a sorte la sua tunica (Mt 27, 35). Anche
questo lo Spirito Santo ha avuto cura che fosse annunziato dalla
parola del profeta, che dice: "Si sono divise le mie vesti e hanno
gettato la sorte sul mio vestito" (Sal 21, 19). Ma i profeti non hanno
neppure taciuto di quella veste che – com’è scritto – i soldati gli
fecero indossare per schernirlo, cioè la veste purpurea (Mt 27, 28).
Ascolta infatti che cosa dice Isaia: "Chi è costui che viene da Edom?
e le sue rosse vesti da Bosra? Perché è rosso il tuo vestito, e le tue
vesti come quelle che vengono fuori da un torchio pigiato?" (Is 63, 12). Sì che egli stesso risponde: "Da solo ho pigiato il torchio, figlie di
Sion" (Is 63, 3). Uno solo è infatti colui che non ha commesso
peccato ed ha portato via il peccato del mondo (1 Pt 2, 22; Gv 1, 29).
Se infatti la morte è potuta entrare a causa del peccato di uno solo,
quanto più ha potuto essere restituita la vita per opera di un solo
uomo, ch’era anche Dio? (Rom 5, 12).
È scritto anche che Gesù è stato dissetato con aceto o con vino
mirrato, ch’è più amaro del fiele (Mt 27, 34.48). Ascolta che cosa su
questo aveva predetto il profeta: "Per cibo mi hanno dato fiele e nella
sete mi hanno dato da bere aceto" (Sal 68, 22). E riferendosi a questo
fatto già a suo tempo Mosè diceva di quel popolo: "Delle vigne di
Sodoma è la loro vite, e i loro tralci sono di Gomorra; la loro uva è di
fiele e il loro grappolo è amaro" (Dt 32, 32). E rimproverandoli dice
ancora: "Popolo sciocco e non saggio, hai contraccambiato così il
Signore?" (Dt 32, 6). Anche nel Cantico sono prefigurati gli stessi
fatti, dove è ricordato anche il giardino nel quale fu crocifisso. Infatti
il Signore dice così: "Sono entrato nel mio giardino, sorella mia
sposa, e ho vendemmiato la mia mirra" (Ct 5, 1), dove chiaramente
ha indicato il vino mirrato col quale fu dissetato.
RESPONSORIO
Cfr Rom 5, 12; 1 Pt 2, 22; Gv 1, 29
R. Se la morte è potuta entrare a causa del peccato di uno solo,
quanto più ha potuto essere restituita la vita per opera di un solo
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uomo, ch’era anche Dio? * Cristo ha portato via il peccato del
mondo.
V. Uno solo è colui che non ha commesso peccato.
R. Cristo ha portato via il peccato del mondo.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Domenica 4 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
25-26
Dopo la morte Gesù discese agli inferi
È scritto che Gesù, subito dopo gridato a gran voce, rese lo spirito
(Mt 27, 50). Anche questo era stato preannunziato dal profeta, che in
persona del Figlio diceva al Padre: "Nelle tue mani affido il mio
spirito" (Sal 30,6). È raccontato che fu sepolto e che all’entrata della
tomba fu apposta una grande pietra (Mt 27,60). Ascolta che cosa su
questo abbia predetto la parola profetica di Geremia: "Hanno messo a
morte in una fossa la mia vita e hanno posto una pietra su di me"
(Lam 3, 53). È questo un accenno chiarissimo fatto dalla parola del
profeta alla sua sepoltura. Ma stanne a sentire anche altri: "Il giusto –
è scritto – è tolto di mezzo a causa del male. Egli entra nella pace,
riposa sul suo giaciglio chi cammina per la via diritta" (Is 57,1). E
altrove: "Gli si diede sepoltura con gli empi" (Is 53,9). E ancora un
altro passo: "Si è sdraiato, si è accovacciato come un leone e come
una leonessa: chi oserà farlo alzare? (Gen 49,9).
Anche la sua discesa all’inferno (Rom 10,7; 1Pt 3,18-20) è
prefigurata con chiarezza nei Salmi, dove egli dice: "Mi hai tratto
nella polvere della morte" (Sal 21,16). E ancora: "Quale vantaggio
dalla mia morte, dalla mia discesa nella tomba?" (Sal 29,10). E
ancora: "Sono disceso nel fango profondo e non c’è sostegno per me"
(Sal 68,3). Anche Giovanni dice: "Sei tu che verrai? – senza dubbio
nell’inferno – o aspettiamo un altro?" (Lc 7,20). Sì che anche Pietro
dice: "Cristo messo a morte quanto alla carne, ma riportato in vita
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quanto allo spirito, con questo spirito va anche a predicare a quegli
spiriti che erano stati chiusi in carcere, che erano stati increduli nei
giorni di Noè" (1 Pt 3,18-20). Qui è anche spiegato che cosa egli
abbia operato nell’inferno. Ma proprio il Signore, quasi riferendosi al
futuro, dice per mezzo del profeta: "Non abbandonerai l’anima mia
nell’inferno e non permetterai che il tuo santo provi la corruzione"
(Sal 15,10). E nondimeno, con parola profetica egli dimostra ancora
che questo si è verificato, quando dice: "Signore, hai condotto fuori
dall’inferno la mia anima e mi hai salvato da quelli che discendevano
nella fossa" (Sal 29,4).
RESPONSORIO
Cfr 1 Pt 3, 18-20; Sal 15, 10; Sal 68, 3
R. Cristo con il suo spirito va anche a predicare a quegli spiriti che
erano stati chiusi in carcere, che erano stati increduli nei giorni di
Noè. * Non abbandonerai l’anima mia nell’inferno e non permetterai
che il tuo santo provi la corruzione.
V. Sono disceso nel fango profondo e non c’è sostegno per me.
R. Non abbandonerai l’anima mia nell’inferno e non permetterai che
il tuo santo provi la corruzione.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Martedì 6 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
27
Gesù è risorto il terzo giorno
Il Simbolo continua: Il terzo giorno è risorto. La gloria della
resurrezione ha dissolto in Cristo tutto ciò che appariva debole e
fragile. Se poco fa non ti sembrava possibile che l’immortale venisse
a morte, osserva ora come non possa essere mortale colui che, vinta
la morte, è detto essere risorto. E comprendi in questo la bontà del
creatore, perché egli avendo pietà di te è disceso fin là dove tu eri
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stato precipitato a causa del peccato. Né accuserai d’impotenza Dio
creatore di tutte le cose, sì da credere che la sua creatura a causa della
caduta sia stata imprigionata là dove egli non poteva arrivare per
liberarla. Parliamo di livelli inferiori e superiori in relazione a noi,
che chiusi in una ben delimitata forma corporea, siamo ristretti entro
i limiti della norma che ci è stata assegnata. Ma per Dio, ch’è
dovunque e non manca da nessuna parte, che cosa è inferiore e che
cosa superiore? E tuttavia nell’incarnazione si realizza anche questa
delimitazione.
È risorta la carne che era stata deposta nel sepolcro, perché si
adempisse ciò ch’era stato predetto dal profeta: "Non permetterai che
il tuo santo provi la corruzione" (Sal 15, 10). Perciò torna vincitore
dai morti, traendo con sé le spoglie dell’inferno: infatti ha condotto
fuori coloro ch’erano trattenuti dalla morte, come egli stesso aveva
predetto con queste parole: "Quando sarò innalzato, trarrò tutto a me"
(Gv 12,32). E di ciò è testimone anche il Vangelo, là dove dice: "Si
aprirono i sepolcri, e molti corpi di santi che vi riposavano risorsero e
apparvero a molti, ed entrarono nella città santa" (Mt 27,52-53): per
certo entrarono in quella città santa della quale l’apostolo dice: "Ma
la Gerusalemme di lassù è libera, essa ch’è la madre di tutti noi" (Gal
4,26). Come dice in altro passo anche agli Ebrei: "Era giusto che
colui, per il quale e dal quale sono state create tutte le cose, volendo
condurre alla gloria molti figli, elevasse a perfezione, per mezzo dei
patimenti, l’autore della loro salvezza" (Eb 2,10). Perciò (Cristo) ha
collocato nel più alto dei cieli alla destra del trono di Dio la carne
elevata a perfezione dai patimenti, per mezzo della quale con la
potenza della risurrezione aveva riparato il peccato del primo uomo;
sì che anche l’apostolo dice: "Insieme con lui ci ha risuscitato e
insieme ci ha fatto sedere nei cieli" (Ef 2,6). Infatti egli era il vasaio
che, come c’insegna il profeta Geremia, "il vaso che gli era sfuggito
di mano e si era rotto, di nuovo lo tirò su con le sue mani e lo plasmò
di nuovo, come volle" (Ger 18,4). Così il corpo, che aveva assunto
mortale e corruttibile, innalzato dalla pietra del sepolcro e fatto
immortale e incorruttibile, egli ha voluto collocare non già in terra
ma in cielo e alla destra del Padre. Di questi misteri sono piene le
Scritture del Vecchio Testamento: non ne ha taciuto nessun profeta,
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nessuno scrittore di leggi, nessuno scrittore di salmi; ma ne parla
quasi ogni pagina sacra. Mi sembra perciò superfluo indugiare a
radunare testimonianze. Addurremo tuttavia pochi passi, proprio
pochi, rinviando alle stesse fonti dei libri divini quanti vogliono
abbeverarsi più copiosamente.
RESPONSORIO
R. La gloria della risurrezione ha dissolto in Cristo tutto ciò che
appariva debole e fragile. * E comprendi in questo la bontà del
creatore, perché egli avendo pietà di te è disceso fin là dove tu eri
stato precipitato a causa del peccato.
V. Se prima non ti sembrava possibile che l’immortale venisse a
morte, osserva ora come non possa essere mortale colui che, vinta la
morte, è risorto.
R. E comprendi in questo la bontà del creatore, perché egli avendo
pietà di te è disceso fin là dove tu eri stato precipitato a causa del
peccato.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Mercoledì 7 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
28-29
Gesù è asceso al cielo
È detto nei Salmi: "Io mi corico e mi addormento, mi sveglio perché
il Signore mi sostiene" (Sal 3,6); e in un altro passo: "Per
l’oppressione dei miseri e il gemito dei poveri, io sorgerò, dice il
Signore" (Sal 11,6); e in un altro passo, come sopra abbiamo detto:
"Signore, hai condotto fuori dell’inferno la mia anima, mi hai salvato
da quelli che discendevano nella fossa" (Sal 29,4); e ancora: "Perché
rivolto a me mi hai ridato la vita e mi hai tratto fuori di nuovo dalla
profondità della terra" (Sal 70,20). E nel modo più chiaro nel Salmo
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87 è detto di lui: "E diventò come un uomo senza aiuto, libero fra i
morti" (Sal 87, 5-6). Il salmista non ha detto "uomo", ma "come un
uomo". Infatti era come un uomo, perché era disceso nell’inferno; ma
era libero tra i morti, perché la morte non lo poteva trattenere: perciò
una parola presenta la natura dell’umana fragilità, e l’altra la natura
della maestà divina. Il profeta Osea ha predetto con evidenza anche il
terzo giorno in questo modo: "Ci risanerà dopo due giorni; e il terzo
giorno risorgeremo e vivremo al suo cospetto" (Os 6, 3). Osea qui
parla nella persona di quelli che, risorgendo con lui il terzo giorno,
sono richiamati dalla morte alla vita; e sono questi che dicono: "Il
terzo giorno risorgeremo e vivremo al suo cospetto". Invece Isaia
dice apertamente: "Colui che trasse fuori dalla terra il grande pastore
delle pecore" (Is 63, 11).
Quanto poi al fatto che le donne avrebbero visto la sua risurrezione,
mentre gli scribi, i farisei e il popolo non avrebbero creduto, anche
questo Isaia predice con tali parole: "Donne, che venite dallo
spettacolo, accorrete: infatti non è un popolo che abbia raziocinio" (Is
27, 11). Quanto poi a quelle donne di cui si dice che vennero al
sepolcro, lo cercarono e non lo trovarono, come di Maria si dice che
venne prima dell’alba e, non avendolo trovato, disse piangendo
all’angelo che stava là: "Hanno portato via il Signore e non so dove
lo hanno messo" (Lc 24, 1-3; Gv 20, 1. 13), anche tutto ciò è predetto
nel Cantico dei cantici così: "Nel mio letto ho cercato quello che la
mia anima ha amato; di notte l’ho cercato e non l’ho trovato" (Ct 3,
1. 2). Anche riguardo alle donne che lo trovarono e abbracciarono i
suoi piedi, ecco la predizione nel Cantico dei cantici: "Lo abbraccerò
e non lo lascerò andar via, lui che l’anima mia ha amato" (Ct 3, 4).
Ecco per ora poche testimonianze fra le tante: infatti cerchiamo di
essere brevi e perciò non ne possiamo mettere insieme di più.
È asceso in cielo, siede alla destra del Padre: di là verrà a giudicare
i vivi e i morti. Questo contiene la continuazione del discorso
abbreviato sulla fede, dove è chiaro ciò che viene detto, ma bisogna
ricercare in che senso tutto ciò debba essere inteso: infatti una volta
che non intendiamo secondo la dignità della divinità l’essere asceso e
l’essere seduto e l’essere in procinto di venire, con tali espressioni
sarà indicato l’agire dell’umana fragilità. E infatti, realizzato
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completamente ciò che aveva operato in terra e richiamate
dall’inferno le anime prigioniere, si dice che Gesù ascende in cielo,
come aveva predetto il profeta: "Ascendendo in alto, ha condotto
prigioniera la prigionia, ha dato doni agli uomini" (Sal 67, 19; Ef 4,
8). Quei doni, cioè, che Pietro, negli Atti degli apostoli, indicava
nello Spirito Santo: "Perciò esaltato dalla destra di Dio, ha effuso
questo dono, che voi vedete e ascoltate" (At 2, 33). Perciò Cristo ha
dato agli uomini il dono dello Spirito Santo, perché i prigionieri, che
prima il diavolo aveva condotto giù nell’inferno a causa del peccato,
egli grazie alla resurrezione dalla sua morte li ha richiamati in cielo.
È asceso in cielo, non dove prima il Verbo Dio non era stato (infatti
egli era sempre in cielo e rimaneva presso il Padre), ma dove il
Verbo fatto carne prima non aveva seduto. Poiché infatti tale
ingresso appariva nuovo ai custodi e principi delle porte del cielo, al
vedere la natura della carne che entrava nel recesso più intimo del
cielo, essi dicono l’un l’altro, come riferisce David pieno di Spirito
Santo: "Alzate, principi, le vostre porte e innalzatevi, porte eterne, ed
entrerà il re della gloria. Chi è questo re della gloria? Il Signore forte
e potente, il Signore potente in battaglia" (Sal 23,7-8). Certo queste
parole vengono pronunziate non a causa della potenza della divinità,
ma per la novità rappresentata dalla carne che ascendeva alla destra
di Dio. E dice altrove lo stesso David: "È asceso Dio fra il giubilo, il
Signore al suono della tromba" (Sal 46,6). È costume infatti che il
vincitore ritorni dalla battaglia al suono della tromba. Di lui è detto
anche: "Egli stabilisce in cielo il suo trono" (Am 9,6). E ancora
altrove: "Egli è salito sui Cherubini ed ha volato, ha volato sulle ali
dei venti" (Sal 17,11).
RESPONSORIO
Cfr Sal 67, 19; Ef 4, 8
R. Gesù era come un uomo perché era disceso nell’inferno, ma era
libero tra i morti, perché la morte non lo poteva trattenere. Una
parola presenta l’umana fragilità, l’altra la natura della maestà divina.
* Ascendendo in alto ha condotta prigioniera la prigionia, ha dato
doni agli uomini.
V. È asceso al cielo, non dove prima il Verbo non era stato, ma dove
il Verbo fatto carne prima non aveva seduto.
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R. Ascendendo in alto ha condotta prigioniera la prigionia, ha dato
doni agli uomini.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Domenica 11 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
30-31
Gesù siede alla destra del Padre
Il sedere alla destra del Padre è mistero della carne assunta. Infatti
ciò non si adatta convenientemente alla incorporea natura di Cristo
senza l’assunzione della carne; ed è non la natura divina bensì quella
umana che progredisce fino alla sede celeste. Per cui è detto: "Da
allora, Signore, è preparata la tua sede: da ogni tempo tu sei" (Sal 92,
2). Perciò è preparata già da ogni tempo la sede in cui si sarebbe
seduto colui nel cui nome "si piegherà ogni ginocchio: delle creature
celesti e terrestri e infernali, e ogni lingua proclamerà che il Signore
Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre" (Fil 2, 10-11). Di questo
David dice così: "Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia
destra, finché io ponga i tuoi nemici sgabello dei tuoi piedi" (Sal 109,
1). Infatti proprio spiegando nel Vangelo queste parole, il Signore
diceva ai Farisei: "Ma se David, ispirato dallo Spirito, lo chiama
Signore, come può essere suo figlio?" (Mt 22, 45). Con ciò dimostra
che secondo lo spirito egli è Signore, e secondo la carne è figlio di
David. Sì che proprio il Signore dice ancora: "Anzi vi dico: D’ora in
avanti vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della potenza"
(Mt 26, 64). E l’apostolo Pietro dice di Cristo: "Egli, che siede in
cielo alla destra di Dio" (1 Pt 3, 22). E anche Paolo, scrivendo agli
Efesini: "Secondo l’operazione – dice – della sua smisurata potenza,
che egli ha realizzato in Cristo, risuscitandolo dai morti e facendolo
sedere alla sua destra" (Ef 1, 19-20).
Che verrà a giudicare i vivi e i morti, ce lo insegnano molte
testimonianze delle Sacre Scritture. Ma prima di riferire queste
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predizioni dei profeti, ritengo opportuno richiamare alla mente che
questa tradizione di fede vuole che noi giorno per giorno stiamo
attenti e preparati all’arrivo del giudice, sì da predisporre le nostre
azioni come se fossimo sul punto di render conto al giudice che sta
per arrivare (1 Pt 4, 5). Era proprio questo ciò che diceva il profeta
dell’uomo felice, che "dispone con giustizia le sue parole" (Sal 111,
5). Quanto poi al fatto che è detto che egli giudica i vivi e i morti, ciò
non significa che verranno al giudizio alcuni vivi e altri morti, bensì
che egli giudicherà insieme le anime e i corpi, dove come anime sono
indicati i vivi e come corpi i morti. Proprio il Signore dice così nel
Vangelo: "Non temete quelli che possono uccidere il corpo ma non
possono far nulla all’anima; ma temete piuttosto colui che può
mandare a perdizione nella Gehenna e l’anima e il corpo" (Mt 10,
28).
RESPONSORIO
Cfr Mt 10, 28
R. È preparata già da ogni tempo la sede in cui si sarebbe seduto il
Verbo incarnato. * Verrà a giudicare i vivi e i morti, ce lo insegnano
molte testimonianze delle Sacre Scritture.
V. Non temete quelli che possono uccidere il corpo ma non possono
far nulla all’anima, ma temete piuttosto colui che può mandare a
perdizione nella Gehenna e l’anima e il corpo.
R. Verrà a giudicare i vivi e i morti, ce lo insegnano molte
testimonianze delle Sacre Scritture.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
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Martedì 13 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
32
Gesù tornerà glorioso alla fine dei tempi
Ora, se sembra opportuno, dimostriamo brevemente che anche queste
verità sono state predette dai profeti. Se poi vorrai maggior numero
di testimonianze, tu stesso le metterai insieme da tutta l’ampiezza
delle Scritture. Ecco quel che dice il profeta Malachia: "Ecco, viene
il Signore onnipotente; e chi sosterrà il giorno del suo arrivo, o chi
sosterrà la sua vista? Poiché egli al suo arrivo sarà come il fuoco dei
fonditori e come la liscivia dei lavandai. E siederà per fonderli e
purificarli come l’argento e come l’oro" (Mal 3, 1-3). Ma perché tu
apprenda con maggiore chiarezza chi sia questo Signore, di cui si
parla in tal modo, sta a sentire cosa dice anche il profeta Daniele: "Io
contemplavo nella visione notturna: ed ecco che sulle nubi del cielo
veniva come un Figlio di uomo, e arrivò fino all’Antico dei giorni e
fu presentato al suo cospetto; e a lui fu dato principato onore e regno;
e tutti i popoli, tribù, lingue gli serviranno; e il suo potere è potere
eterno, che non passerà, e il suo regno non vedrà la corruzione" (Dan
7, 13-14). Di qui perciò impariamo a conoscere non soltanto la
venuta e il giudizio, ma anche il suo potere e il suo regno: cioè, che il
suo potere è eterno, e che il suo regno non vedrà né termine, né
corruzione. Come anche nel Vangelo si dice: "E del suo regno non ci
sarà fine" (Lc 1, 33). Per cui è del tutto estraneo alla fede chi sostiene
che un giorno il regno di Cristo avrà fine.
Dobbiamo tuttavia sapere che questa venuta di Cristo apportatrice di
salvezza il nemico cercherà di simulare con astuta frode, per trarre in
inganno tutti i fedeli; e in luogo del Figlio dell’uomo, di cui
aspettiamo la venuta nella maestà di suo Padre, presenterà il figlio
della perdizione con prodigi e miracoli menzogneri, sì da introdurre
in questo mondo, invece di Cristo, l’anticristo del quale proprio il
Signore ha fatto ai Giudei questa predizione nel Vangelo: "Io sono
venuto in nome del Padre mio e non mi avete accolto; verrà un altro
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in proprio nome, e questo lo accoglierete" (Gv 5, 43). E dice ancora:
"Allora vedrete l’abominazione della desolazione nel luogo santo,
come dice il profeta Daniele. Chi legge comprenda" (Mt 24, 15).
Infatti Daniele nelle sue visioni ci dà molti esaurienti insegnamenti
circa l’insorgere di questo errore; ma sarebbe troppo difficoltoso
addurre qui tali esempi, perché si tratta di racconti molto estesi:
perciò rinviamo chi vuole conoscere questo argomento in modo più
esauriente, a rileggersi piuttosto proprio le visioni. Ma di questo
parla anche l’Apostolo: "Nessuno v’inganni in alcun modo, perché
prima dovrà venire l’apostasia e si rivelerà l’uomo del peccato, il
figlio della perdizione, che avversa e si erige contro tutto ciò che
viene definito e venerato come Dio, sì da sedere nel tempio di Dio,
manifestando se stesso come se fosse Dio" (2 Tess 2, 3-4). E poco
dopo: "E allora si rivelerà l’empio, che il Signore Gesù ucciderà col
soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua
venuta. L’avvento di costui sarà accompagnato dalle opere di Satana,
con ogni potenza miracoli e prodigi menzogneri" (2 Tess 2, 8-9). E
ancora poco dopo: "Perciò Dio permetterà che essi cadano
nell’errore, perché credano alla menzogna, e siano giudicati tutti
quelli che non hanno creduto alla verità" (2 Tess 2, 11-12).
Perciò questo errore ci viene predetto dalle parole dei profeti, del
Vangelo e degli apostoli, al fine che nessuno, in luogo della venuta di
Cristo, creda alla venuta dell’anticristo. Ma, come ha detto proprio il
Signore, "quando vi diranno: Ecco, Cristo è qui, oppure: È lì, non
credete. Infatti verranno molti falsi cristi e molti falsi profeti e
trarranno in inganno molti" (Mt 24, 23-24). Ma vediamo come egli
abbia presentato il segno del vero Cristo: "Come il lampo – dice –
risplende da Oriente fino a Occidente, così sarà la venuta del Figlio
dell’uomo" (Mt 24, 27). Quando poi il vero Signore Gesù Cristo sarà
venuto, siederà e giudicherà, come è detto nel Vangelo: "Separerà le
pecore dai capretti" (Mt 25, 32), cioè, separerà i giusti dagli ingiusti.
Come anche l’Apostolo scrive: "Tutti noi dobbiamo presentarci
davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ognuno ciò che gli spetta
secondo quanto ha operato quando era nel corpo, sia bene sia male"
(2 Cor 5, 10). Infatti saremo giudicati non soltanto per ciò che
avremo fatto, ma anche per ciò che avremo pensato, secondo quanto
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dice ancora l’Apostolo: "Reciprocamente tra di loro con pensieri che
li accusano e anche li difendono, nel giorno in cui Dio giudicherà i
segreti degli uomini" (Rom 2, 15-16). E con ciò basta su questo
argomento.
RESPONSORIO
Cfr Dan 7, 13-14; Mt 25, 32
R. Io contemplavo nella visone notturna: ed ecco che sulle nubi del
cielo veniva come un Figlio di uomo, e arrivò fino all’Antico dei
giorni e fu presentato al suo cospetto e a lui fu dato principato, onore
e regno. * E del suo regno non ci sarà fine.
V. Quando il vero Signore Gesù Cristo sarà venuto, siederà e
giudicherà, come è detto nel Vangelo: “Separerà le pecore dai
capretti”.
R. E del suo regno non ci sarà fine.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Mercoledì 14 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
33-34
Credo nello Spirito Santo
In seguito, nell’esposizione di fede è scritto: E nello Spirito Santo. Le
verità che qui sopra sono state tramandate in forma un po’ più
particolareggiata su Cristo, riguardano il mistero della sua
incarnazione e della sua passione. Poiché esse riguardano la stessa
persona (del Figlio), sono inserite nella parte intermedia del Simbolo
e così hanno ritardato un po’ la menzione dello Spirito Santo. Se
invece si fosse tenuto conto soltanto della divinità, allo stesso modo
con cui all’inizio è detto: "Credo in Dio Padre onnipotente" e subito
dopo: "In Gesù Cristo suo unico Figlio nostro Signore", così subito
dopo seguirebbe: "E nello Spirito Santo". Infatti tutte le altre verità
che sono tramandate su Cristo, si riferiscono – come abbiamo detto –
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all’economia della carne. Perciò nella menzione dello Spirito Santo
si completa il mistero della Trinità.
Infatti come diciamo un solo Dio e non c’è altro Padre, e come
diciamo un solo Figlio unigenito e non c’è altro unigenito, così anche
lo Spirito Santo è uno solo e non ci può essere un altro Spirito Santo.
Pertanto al fine di distinguere le persone sono distinti i termini che
indicano le relazioni, con i quali intendiamo come Padre colui dal
quale derivano tutte le altre realtà e che non ha padre egli stesso;
questo è il Figlio, in quanto è nato dal Padre; questo è lo Spirito
Santo, in quanto procede dalla bocca di Dio e santifica ogni cosa. E
per dimostrare che una sola e la stessa è la divinità della Trinità,
come diciamo di credere in Dio Padre, aggiungendo, cioè, la
preposizione in, così diciamo di credere anche in Cristo suo Figlio e
così anche nello Spirito Santo. Ma perché risulti più chiaro ciò che
diciamo, comproviamolo con ciò che segue.
Infatti subito appresso il Simbolo continua: La santa Chiesa, la
remissione dei peccati, la resurrezione di questa carne. Non è detto:
"Nella santa Chiesa" né "nella remissione dei peccati" né "nella
resurrezione della carne". Se infatti fosse stata aggiunta la
preposizione in, uno solo e il medesimo sarebbe stato il valore
insieme con le espressioni che precedono. Invece in queste
espressioni, in cui si definisce la fede intorno alla divinità, si dice: "in
Dio Padre" e "in Gesù Cristo suo Figlio" e "nello Spirito Santo".
Invece nelle altre espressioni, che trattano non della divinità, ma
delle creature e dei misteri della salvezza, non si aggiunge la
preposizione in, sì che si dica: "nella santa Chiesa", ma si deve
credere soltanto "la santa Chiesa", cioè, non come se fosse Dio, ma
come Chiesa riunita insieme per Dio. Così si deve credere "la
remissione dei peccati" e non "nella remissione dei peccati"; e "la
resurrezione della carne" e non "nella resurrezione della carne". Così
grazie a questa preposizione di una sola sillaba si distingue il
Creatore dalle creature e le realtà divine sono separate da quelle
umane.
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RESPONSORIO
R. Come diciamo: un solo Dio e non c’è altro Padre, e come diciamo:
un solo Figlio unigenito e non c’è altro unigenito, così anche lo
Spirito Santo è uno solo e non ci può essere un altro Spirito Santo, *
il quale procede dalla bocca di Dio e santifica ogni cosa.
V. Al fine di distinguere le persone sono distinti i termini che
indicano le relazioni, con i quali intendiamo come Padre colui dal
quale derivano tutte le altre realtà e che non ha padre egli stesso;
questo è il Figlio, in quanto è nato dal Padre; questo è lo Spirito
Santo,
R. il quale procede dalla bocca di Dio e santifica ogni cosa.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Giovedì 15 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
34-36
Lo Spirito Santo ha ispirato gli autori delle Sacre Scritture
Lo Spirito Santo è colui che nel Vecchio Testamento ha ispirato la
legge e i profeti, e nel Nuovo i Vangeli e gli apostoli. Sì che anche
l’apostolo dice: "Ogni Scrittura ispirata da Dio è utile ad insegnarsi"
(2 Tim 3, 16). Perciò a questo punto sembra conveniente enumerare
uno per uno, come ho appreso dalle testimonianze dei padri, quali
siano i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, che, secondo la
tradizione dei nostri predecessori, noi crediamo ispirati proprio dallo
Spirito Santo.
Del Vecchio Testamento ci sono stati tramandati all’inizio i cinque
libri di Mosè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. Dopo
di questi Giosuè, figlio di Nave, e il libro dei Giudici insieme con
Ruth. Dopo di questi i quattro libri dei Re, che gli Ebrei contano
come due; quello dei Paralipomeni, che è detto libro dei Giorni, e
due libri di Esdra, che presso gli Ebrei sono contati come uno solo; e
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il libro di Esther. I libri dei profeti sono: Isaia, Geremia, Ezechiele,
Daniele; e inoltre un solo libro dei Dodici profeti. Libri isolati sono
anche quello di Giobbe e i Salmi di David. Di Salomone tre libri
sono stati tramandati alle Chiese: Proverbi, Ecclesiaste, Cantico dei
cantici. Con questi libri è concluso il numero dei libri del Vecchio
Testamento.
Fanno parte del Nuovo Testamento i quattro vangeli: di Matteo,
Marco, Luca, Giovanni; gli Atti degli apostoli, che scrisse Luca;
quattordici lettere dell’apostolo Paolo; due lettere dell’apostolo
Pietro; una di Giacomo, fratello del Signore e apostolo; una di Giuda;
tre di Giovanni, l’Apocalisse di Giovanni. Questi sono i libri che i
nostri padri hanno riunito nel canone e sui quali hanno voluto che
fossero fondate le verità della nostra fede.
È opportuno però sapere che ci sono anche altri libri, che i nostri
predecessori hanno chiamato non canonici, bensì ecclesiastici: la
Sapienza, ch’è detta di Salomone; e un’altra Sapienza, ch’è detta del
figlio di Sirach; questo libro presso i latini, con termine generico, è
chiamato Ecclesiastico, col quale nome non si indica l’autore del
libro, bensì la qualità del contenuto. Della stessa categoria fanno
parte il libro di Tobia, quello di Giuditta e i libri dei Maccabei.
Relativi al Nuovo Testamento sono il libro ch’è detto del Pastore
ovvero di Erma, e quello ch’è intitolato Due vie o Giudizio di Pietro.
Tutti questi libri i nostri padri vollero che fossero letti nelle Chiese,
ma non che fossero addotti per confermare l’autorità della fede. Tutti
gli altri scritti li hanno chiamati apocrifi e hanno proibito che fossero
letti nelle Chiese. Queste norme, che – come ho detto – ci sono state
tramandate dai nostri padri, mi è sembrato opportuno riportare in
questo punto del libro per istruzione di quelli che imparano i primi
rudimenti della fede, perché sappiano da quali fonti essi debbano
attingere la bevanda della Parola di Dio.
RESPONSORIO
R. Lo Spirito Santo è colui che nel Vecchio Testamento ha ispirato la
legge e i profeti, e nel Nuovo i vangeli e gli apostoli. * Perché così
sappiamo da quali fonti dobbiamo attingere la bevanda della Parola
di Dio.
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V. Questi sono i libri che i nostri padri hanno riunito nel canone e sui
quali hanno voluto che fossero fondate le verità della nostra fede.
R. Perché così sappiamo da quali fonti dobbiamo attingere la
bevanda della Parola di Dio.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Venerdì 16 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
37
Credo la santa Chiesa
Poi la tradizione di fede afferma: la santa Chiesa. Già sopra abbiamo
spiegato il motivo perché non sia detto anche qui: "nella santa
Chiesa", ma "la santa Chiesa". Perciò coloro che sopra hanno
appreso a credere in un solo Dio nel mistero della Trinità, debbono
credere anche questo: che una soltanto è la santa Chiesa, nella quale
una sola è la fede, uno solo il Battesimo, nella quale si crede in un
solo Dio Padre e in un solo Signore Gesù Cristo Figlio suo e in un
solo Spirito Santo. Questa perciò è la santa Chiesa, che non ha
macchia né ruga (Ef 5,27). Infatti anche molti altri hanno riunito
chiese intorno a sé, come Marcione, Valentino, Elione, Mani e tutti
gli altri eretici. Ma quelle chiese non sono senza macchia e ruga di
perfidia; perciò di loro diceva il profeta: "Ho odiato la chiesa dei
malvagi e non siederò insieme con gli empi" (Sal 25,5). Invece di
questa Chiesa, che conserva integra la fede di Cristo, ascolta che cosa
dice lo Spirito Santo nel Cantico dei cantici: "Una sola è la mia
colomba, la mia perfetta, ella è l’unica per sua madre" (Ct 6,9).
Perciò chi riceve questa fede nella Chiesa, non si volga ai concili di
vanità e non si metta con quelli che fanno il male (Sal 25, 4).
Infatti concilio di vanità è quello che fa Marcione, il quale nega che
il Padre di Cristo sia il Dio creatore, che per mezzo di suo Figlio ha
creato il mondo. Concilio di vanità è ciò che insegna Ebione, che
bisogna credere in Cristo in modo tale da praticare la circoncisione
51
della carne, l’osservanza del sabato, la solennità dei sacrifici e tutte le
altre osservanze secondo la lettera della Legge. Concilio di vanità è
ciò che insegna Mani, che per prima cosa ha affermato di essere
proprio lui il paraclito; poi dice che il mondo è stato fatto dal male,
nega che Dio sia il creatore, respinge il Vecchio Testamento; afferma
che ci sono una natura buona e una cattiva, reciprocamente coeterne;
sostiene, secondo la dottrina dei Pitagorici, che le anime degli uomini
secondo diversi cicli di generazione passano nelle pecore, nelle
bestie feroci e in altri animali; nega la resurrezione della nostra
carne, sostiene che la nascita e la passione di Cristo sono avvenute
non nella realtà della carne, ma in apparenza.
Concilio di vanità è anche ciò che ha sostenuto Paolo di Samosata e
poi il suo successore Fotino: che Cristo non è nato prima dei tempi
dal Padre, ma ha avuto inizio da Maria; e ritiene non che egli Dio sia
nato come uomo ma che da uomo sia diventato Dio. Concilio di
vanità è anche ciò che hanno insegnato Ario ed Eunomio, i quali
sostengono che il Figlio di Dio non sia nato dalla stessa sostanza del
Padre, ma sia stato creato dal nulla. Concilio di vanità è anche quello
che fanno coloro i quali affermano, sì, che il Figlio deriva dalla
sostanza del Padre, ma separano e distaccano lo Spirito Santo,
mentre invece il Salvatore nel Vangelo ha dimostrato che una sola e
la stessa è la potenza e la divinità della Trinità, dicendo: "Battezzate
tutte le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo"
(Mt 28, 19). Ed è evidentemente empio che l’uomo separi ciò che è
unito in forza della divinità. Concilio di vanità è anche quello che
non molto tempo fa ha riunito una ostinazione tenace e perversa,
affermando che Cristo certo ha assunto carne umana, ma non anche
un’anima razionale, mentre invece una sola e la stessa salvezza è
stata apportata da Cristo alla carne e all’anima e alla sensibilità e alla
mente. È concilio di vanità anche quello che Donato ha riunito in
Africa accusando falsamente la Chiesa di aver consegnato i libri
sacri; e quello che ha messo su Novaziano rifiutando la penitenza ai
peccatori e condannando le seconde nozze, anche se talvolta la
necessità abbia costretto a contrarle.
Perciò tutte queste fuggile quali riunioni di malvagi. E anche quelli,
se ce ne sono, di cui si dice che affermino che il Figlio di Dio non
52
vede e conosce il Padre allo stesso modo con cui è conosciuto e visto
dal Padre, che il regno di Cristo dovrà finire e che la carne non
risorgerà conservando intatta la sostanza della sua natura, che non ci
sarà il giusto giudizio di Dio nei riguardi di tutti gli uomini e che il
diavolo sarà assolto dalla meritata punizione: tutti costoro – lo ripeto
– i fedeli rifiutino di ascoltarli. Tieniti invece ben saldo alla santa
Chiesa, che afferma Dio Padre onnipotente e l’unigenito suo Figlio
Gesù Cristo nostro Signore e lo Spirito Santo, nell’unità di una
medesima sostanza; che crede che il Figlio di Dio è nato dalla
Vergine e ha patito per la salvezza degli uomini ed è risuscitato dai
morti con la medesima carne con la quale è nato; che spera che egli
stesso verrà giudice di tutti; e in lui predica la remissione dei peccati
e la risurrezione della carne.
RESPONSORIO
Cfr Mt 28, 19
R. Coloro che hanno appreso a credere in un solo Dio, nel mistero
della Trinità, debbono credere anche questo: che una soltanto è la
santa Chiesa, nella quale una sola è la fede, uno solo il Battesimo,
nella quale si crede in un solo Dio Padre e in un solo Signore Gesù
Cristo Figlio suo e in un solo Spirito Santo. * Perciò chi riceve
questa fede nella Chiesa, non si volga ai concili di vanità e non si
metta con quelli che fanno il male.
V. Il Salvatore nel vangelo ha dimostrato che una sola e la stessa è la
potenza e la divinità della Trinità, dicendo: "Battezzate tutte le genti
nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo".
R. Perciò chi riceve questa fede nella Chiesa, non si volga ai concili
di vanità e non si metta con quelli che fanno il male.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
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Domenica 18 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
38
Credo la remissione dei peccati
Quanto alla remissione dei peccati, dovrebbe bastare il solo credere.
A che infatti ricercare cause e motivazioni là dove è fondamentale il
perdono? E invece, mentre non è soggetta a critiche la generosità del
re terreno, la liberalità divina è messa in discussione dalla temerarietà
degli uomini. Infatti i pagani sono soliti irriderci dicendo che noi
inganniamo noi stessi ritenendo che possano essere espiati con parole
delitti che sono stati commessi con l’azione. E dicono: Che forse può
non essere omicida colui che ha commesso un omicidio o non essere
adultero chi ha fatto adulterio? In che modo uno che sia reo di tali
crimini vi sembra diventare d’un tratto santo e puro? Ma a tali
obiezioni, come ho detto, rispondo meglio con la fede che con la
ragione. Infatti colui che ci ha fatto questa promessa è re di tutti,
Signore del cielo e della terra. E a colui che mi ha creato uomo dalla
terra non vuoi che io creda che da peccatore mi può rendere
innocente? E colui che, quando ero cieco, mi ha fatto vedere e,
quando ero sordo, mi ha fatto sentire e che mi ha fatto camminare
quando ero zoppo, egli non potrà ridarmi l’innocenza che ho
perduto?
E tuttavia veniamo anche alla testimonianza della stessa natura. Non
sempre è criminoso uccidere un uomo: ma è criminoso ucciderlo per
malvagità e non secondo le leggi. Perciò, dato che talvolta questa
azione è giusta, se io mi trovo in tale situazione, non è l’azione che
mi condanna, ma l’anima che mi ha mal consigliato. Ma allora, se in
me viene corretta l’anima che è diventata peccatrice e nella quale c’è
stata l’origine del crimine, perché tu non credi che io possa diventare
innocente, così come prima sono stato peccatore? Infatti, come sopra
abbiamo detto, tutti sanno che il peccato sta non nell’azione, ma nella
intenzione. E allora, come la cattiva volontà, per malvagia
istigazione del demonio, mi ha assoggettato al peccato e alla morte,
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così la stessa volontà, volta al bene per il buon volere di Dio, mi
restituisce all’innocenza e alla vita. Simile ragionamento vale anche
per tutti gli altri peccati; e così vediamo che la nostra fede non è in
contrasto con la ragione naturale, in quanto la remissione dei peccati
è accordata non alle azioni, che non possono essere cambiate, bensì
all’anima, che certamente può passare dal male al bene.
RESPONSORIO
R. A colui che mi ha creato uomo dalla terra non vuoi che io creda
che da peccatore mi può rendere innocente? E colui che, quando ero
cieco, mi ha fatto vedere e, quando ero sordo, mi ha fatto sentire e
che mi ha fatto camminare quando ero zoppo, egli non potrà ridarmi
l’innocenza che ho perduto? * Il Signore che ci ha fatto questa
promessa è re di tutti, Signore del cielo e della terra.
V. La remissione dei peccati è accordata non alle azioni, che non
possono essere cambiate, bensì all’anima, che certamente può
passare dal male al bene.
R. Il Signore che ci ha fatto questa promessa è re di tutti, Signore del
cielo e della terra.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Lunedì 19 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
39
Credo la resurrezione dei morti
Le ultime parole del Simbolo, che affermano la resurrezione dei
morti, nella loro stringata brevità, portano a compimento la somma di
tutta la perfezione, benché anche a tal proposito la fede della Chiesa
sia impugnata non solo dai pagani ma anche dagli eretici. Infatti
Valentino nega nel modo più assoluto la risurrezione della carne, e
anche Mani, come sopra abbiamo dimostrato. Ma costoro non hanno
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voluto ascoltare il profeta Isaia che dice: "Risorgeranno i morti e si
sveglieranno quelli che sono nei sepolcri" (Is 26, 19), e neppure
Daniele, il più sapiente di tutti, che afferma: "Allora risorgeranno
quelli che sono nella polvere della terra: questi alla vita eterna, questi
altri invece alla vergogna e alla confusione eterna" (Dan 12, 2).
D’altra parte, anche dai Vangeli, ch’essi sembrano accettare,
avrebbero dovuto imparare dal Signore Salvatore nostro che,
insegnando ai Sadducei, dice: "Quanto poi al fatto che i morti non
risorgerebbero, non avete letto come venga detto a Mosè nel rovo: il
Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe? Non è Dio dei
morti ma dei vivi" (Mt 22, 31-32; Mc 12, 26-27). E in un passo
precedente di questo stesso contesto ha anche ricordato quale e
quanta sia la gloria della risurrezione, dicendo: "Nella risurrezione
dei morti né gli uomini avranno moglie, né le donne avranno marito,
ma saranno come gli angeli di Dio" (Mt 22, 30).
Perciò la potenza della risurrezione conferisce agli uomini la
condizione angelica, perché coloro che sono risorti dalla terra vivano
non più di nuovo in terra con gli animali, bensì in cielo con gli
angeli. Ma ciò vale per quelli che saranno ammessi a tale condizione
in forza di un modo di vita sufficientemente puro: cioè, coloro che
già ora custodendo la carne come compagna dell’anima nel servizio
di Dio, l’avranno assoggettata con il freno della pudicizia
all’obbedienza dello Spirito Santo; in tal modo, purificatala da ogni
sozzura di peccato e trasformatala in gloria spirituale per virtù della
santificazione, meriteranno di introdurla anche nel consorzio degli
angeli.
RESPONSORIO
Cfr Is 26, 19; Mt 22, 31-32
R. Risorgeranno i morti e si sveglieranno quelli che sono nei sepolcri.
* Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe non è Dio
dei morti, ma dei vivi.
V. La potenza della risurrezione conferisce agli uomini la condizione
angelica, perché coloro che sono risorti dalla terra vivano non più di
nuovo in terra con gli animali, bensì in cielo con gli angeli.
R. Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe non è Dio
dei morti, ma dei vivi.
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Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Martedì 20 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
40-41
Cristo è risorto, primizia di coloro che sono morti
Gli infedeli obiettano e dicono: ma la carne, che si dissolve putrefatta
o si muta in polvere e talvolta anche viene inghiottita dal profondo
del mare e viene dispersa dai flutti, in che modo può ricomporsi di
nuovo e reintegrarsi insieme, sì che da essa venga di nuovo formato
il corpo dell’uomo? A costoro indirizziamo subito una prima risposta
con le parole di Paolo: "Sciocco tu! Ciò che semini non prende vita
se prima non muore; e quello che tu semini non è il corpo che dovrà
nascere, ma semini un nudo chicco di grano o di qualche altra
semente. Dio poi gli dà corpo come vuole" (1 Cor 15, 36-38). E
perciò quel che vedi annualmente accadere per i semi che getti in
terra, non credi che possa verificarsi per la tua carne, che per legge
divina viene seminata in terra? Perché – ti prego – valuti tanto poco
la potenza di Dio da non ritenere possibile che la polvere dispersa di
una qualsiasi carne possa riunirsi e ricomporsi secondo la sua forma
originaria, mentre vedi che la capacità dell’uomo riesce a scorgere
anche le vene dei metalli immerse nel profondo della terra? Infatti
l’occhio del competente scorge l’oro là dove l’inesperto vede
soltanto terra. E a colui che ha creato l’uomo non concediamo
neppure tanto quanto può riuscire a fare l’uomo ch’è stato creato da
lui? Così, mentre la capacità dell’uomo mortale scopre che c’è una
vena propria dell’oro, un’altra propria dell’argento e una molto
diversa del bronzo, e che sotto la superficie della terra sono nascoste
vene diverse di piombo e di ferro, non crederemo che la potenza
divina sia in grado di individuare e ritrovare le componenti naturali
proprie di ogni corpo carnale, anche se esse sono disperse?
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Ma cerchiamo ancora di aiutare con ragionamenti naturali le anime
che vengono meno nella fede. Immaginiamo che uno mescoli
insieme semi diversi e indiscriminatamente li dissemini e li sparga
qua e là in terra. Che forse il principio formale di ogni seme,
dovunque questo sarà capitato, non farà nascere a tempo opportuno il
germe secondo la natura della sua specie e non riprodurrà lo stelo
secondo la sua forma e il suo corpo? Analogamente, ammettiamo
anche che la sostanza di una qualsiasi carne sia stata variamente
dispersa in diversi luoghi: tuttavia, allorché per volontà di Dio
arriderà la primavera per i corpi seminati in terra, il principio formale
che c’è in ogni carne, ed è immortale – infatti è carne dell’anima
immortale –, raccoglierà da terra e riunirà insieme le parti
componenti della sua sostanza e li restituirà a quella forma che una
volta la morte aveva dissolto. Così avviene che a ogni anima non
viene restituito un corpo estraneo o variamente mescolato, ma
proprio quello suo, che aveva già avuto: in tal modo, in ragione delle
prove della vita presente, la carne, insieme con la sua anima, o sarà
premiata, se si sarà ben comportata, o sarà punita, se si sarà
comportata male. Perciò la nostra Chiesa ha qui fatto al Simbolo una
prudente e provvidenziale aggiunta, sì che, mentre le altre Chiese
tramandano la “risurrezione della carne", essa tramanda, con
l’aggiunta di un solo aggettivo, "la resurrezione di questa carne", di
questa cioè, che colui che fa la professione tocca con la mano,
mentre fa sulla fronte il segno della croce. Così ognuno dei fedeli sa
che, se avrà custodito pura dal peccato la sua carne, questa sarà vaso
per uso onorevole, utile al Signore, adatto per ogni opera buona; se
invece la sua carne si sarà contaminata nel peccato, essa sarà vaso
d’ira per la morte (2 Tim 2, 21; Rom 9, 22).
Se poi uno a questo punto desidera saperne di più sulla gloria della
risurrezione e sulla grandezza delle promesse, troverà che questi
argomenti sono esposti quasi in ogni libro della Sacra Scrittura. Di
tutte queste testimonianze noi ora qui ne ricorderemo solo poche, che
servono di richiamo, e così termineremo l’opera che tu ci hai
richiesto. L’apostolo Paolo afferma che i morti risorgeranno portando
questi argomenti: "Se poi non c’è la resurrezione dei morti, allora
neppure Cristo è risorto. Ma se Cristo non è risorto, è vana la nostra
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predicazione e priva di senso la nostra fede" (1 Cor 15,13-14). E
poco dopo: "Ma ecco che Cristo è risorto dai morti, primizia di
coloro che sono morti. Come infatti per causa di un uomo è venuta la
morte, così per causa di un uomo ci sarà la risurrezione dei morti.
Come infatti tutti sono morti in Adamo, così tutti avranno vita in
Cristo; ma ognuno secondo il suo posto: prima di tutti Cristo, poi
quelli che sono di Cristo al momento della sua venuta; quindi ci sarà
la fine" (1 Cor 15,20-24). E dopo aggiunge anche queste parole:
"Ecco che vi svelo un mistero: tutti certo risorgeremo, ma non tutti
saremo trasformati (o, come troviamo in altri codici, "non tutti
saremo morti, ma tutti saremo trasformati"); in un attimo, in un batter
d’occhio, al suono dell’ultima tromba i morti risorgeranno
incorruttibili e noi saremo trasformati" (1 Cor 15,51-52). E scrivendo
ai Tessalonicesi dice così: "Non voglio, fratelli, che voi siate
nell’ignoranza riguardo a coloro che sono morti, perché non abbiate a
rattristarvi come quegli altri che non hanno la speranza. Infatti se
crediamo che Gesù è morto ed è risorto, così anche quelli che sono
morti Dio trarrà a sé per mezzo di Gesù e insieme con lui. Ecco
infatti che cosa vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo,
che siamo superstiti, all’arrivo del Signore non precederemo coloro
che sono morti. Infatti il Signore stesso al comando, dato dalla voce
dell’arcangelo e dalla tromba di Dio, scenderà dal cielo e i morti che
sono in Cristo risorgeranno per primi. Poi noi che viviamo, che
siamo superstiti, insieme con quelli saremo tratti sulle nubi incontro a
Cristo in aria: e così staremo sempre con il Signore" (1Tess 4,13-17).
RESPONSORIO
R. Perché valuti tanto poco la potenza di Dio da non ritenere
possibile che la polvere dispersa di una qualsiasi carne possa riunirsi
e ricomporsi secondo la sua forma originaria, mentre vedi che la
capacità dell’uomo riesce a scorgere anche le vene dei metalli
immerse nel profondo della terra? * La carne insieme con la sua
anima o sarà premiata, se si sarà ben comportata, o sarà punita, se si
sarà comportata male.
V. Così ognuno dei fedeli sa che, se avrà custodito pura dal peccato
la sua carne, questa sarà vaso per uso onorevole, utile al Signore,
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adatto per ogni opera buona; se invece la sua carne si sarà
contaminata nel peccato, essa sarà vaso d’ira per la morte.
R. La carne insieme con la sua anima o sarà premiata, se si sarà ben
comportata, o sarà punita, se si sarà comportata male.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Venerdì 23 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
42-43
Credo la resurrezione di questa carne
Perché poi tu non creda che la risurrezione dei morti sia annunziata
soltanto dalla nuova predicazione di Paolo, ascolta che cosa abbia
predetto già tanto tempo fa il profeta Ezechiele ispirato dallo Spirito
Santo: "Ecco, io aprirò i vostri sepolcri e vi trarrò fuori dalle vostre
tombe" (Ez 37,12). E sta a sentire con quanta chiarezza predica la
resurrezione dei morti anche Giobbe, tutto traboccante di parole
misteriose: "C’è speranza per l’albero – egli dice –: infatti se sarà
stato tagliato, potrà ancora germogliare, e il suo virgulto non viene
mai meno. Se sarà invecchiato, la sua radice è piantata nella terra; e
se il suo tronco sarà morto sulla roccia, rifiorirà al sentore dell’acqua
e farà nascere il ramo quasi fosse una pianta novella; e se l’uomo
sarà morto, se n’è andato, e se il mortale sarà caduto, ormai non
esisterà più?" (Giob 14,7-10). Non ti sembra che con queste parole
Giobbe ammonisca gli uomini in modo un po’ nascosto e dica così:
A tal punto sono sciocchi gli uomini che, mentre vedono germogliare
di nuovo da terra il tronco di un albero tagliato e il legno morto
ricevere di nuovo la vita, essi ritengono che per sé non ci sarà nulla
di simile al legno e all’albero? Perché poi tu sappia che si deve
leggere in forma interrogativa la frase: "e se il mortale sarà caduto,
non risorgerà?" (Giob 14,12), abbine prova da ciò che segue. Infatti
Giobbe subito aggiunge: "Se infatti l’uomo sarà morto, vivrà" (Giob
14, 14). E poco dopo dice: "Aspetterò fino a esistere di nuovo" (Giob
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14, 14). E dice ancora: "Egli risusciterà dalla terra la mia pelle,
questa che ora è secca" (Giob 19,25-26).
Questi passi sono stati addotti a comprovare la nostra professione di
fede, con la quale nel Simbolo affermiamo la risurrezione di questa
carne. Infatti l’aggiunta di "questa" osserva quanto sia in armonia
con tutti questi concetti che abbiamo ricordato dalle testimonianza
delle Sacre Scritture. Che cos’altro infatti è indicato nelle parole di
Giobbe che abbiamo riportato sopra, quando dice: "risusciterà la mia
pelle, questa che ora è secca" (Giob 19, 26), cioè, quella che patisce
questi tormenti? non dice forse apertamente che avverrà la
risurrezione di questa carne, di questa – dico – che ora sopporta i
patimenti delle tribolazioni e delle tentazioni? E quando l’apostolo
dice: "Bisogna che questo corpo corruttibile rivesta l’incorruttibilità e
questo corpo mortale rivesta l’immortalità" (1 Cor 15, 53), che forse
la sua non è parola di chi in certo modo tocca col dito il suo corpo?
Perciò questo corpo, che ora è corruttibile, sarà incorruttibile per la
grazia della risurrezione, e questo corpo, che ora è mortale, sarà
rivestito dalle prerogative della immortalità. In tal modo, come
Cristo, risorgendo dai morti, ormai non muore più e la morte non
dominerà più su di lui (Rom 6, 9), così anche quelli che risorgono in
Cristo, non saranno più soggetti alla corruzione e alla morte, non
perché venga abolita la natura della carne, ma perché sarà
trasformata la sua condizione e la sua qualità. Perciò il corpo che
risorgerà dai morti sarà incorruttibile e immortale, non solo il corpo
dei giusti, ma anche dei peccatori: dei giusti, perché possano
rimanere sempre con Cristo; dei peccatori, perché paghino le pene
dovute, senza mai essere distrutti e annientati.
RESPONSORIO
Cfr Giob 19, 25-26
R. A tal punto sono sciocchi gli uomini che, mentre vedono
germogliare di nuovo da terra il tronco di un albero tagliato e il legno
morto ricevere di nuovo la vita, essi ritengono che per sé non ci sarà
nulla di simile al legno e all’albero * Dio risusciterà sulla terra la mia
pelle, questa che ora è secca.
61
V. Perciò questo corpo, che ora è corruttibile, sarà incorruttibile per
la grazia della resurrezione, e questo corpo, che ora è mortale, sarà
rivestito dalle prerogative della immortalità.
R. Dio risusciterà sulla terra la mia pelle, questa che ora è secca.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Lunedì 26 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
44-45
Credo la risurrezione di questa carne
Che i giusti rimarranno sempre con Cristo Signore, già sopra lo
abbiamo spiegato, dove abbiamo addotto le parole dell’Apostolo:
"Poi noi che viviamo, che siamo superstiti, insieme con quelli saremo
tratti sulle nubi incontro a Cristo in aria: e così staremo sempre col
Signore" (1 Tess 4, 17). Non meravigliarti se la carne dei santi sarà
trasformata dalla risurrezione in tanta gloria da essere tratta al
cospetto del Signore sospesa sulle nubi e trasportata in aria, dal
momento che lo stesso apostolo, descrivendo quanta dignità Dio
conferirà a quelli che lo amano, dice: "Egli trasfigurerà il nostro
misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso" (Fil 3,21).
Perciò non c’è niente di assurdo nel dire che i corpi dei santi saranno
innalzati in aria sulle nubi, dato che viene detto che essi saranno
trasformati in conformità dell’aspetto del corpo di Cristo, che siede
alla destra di Dio. E il santo apostolo aggiunge ancora riguardo a sé e
a quanti gli sono pari per meriti e sede: "Ci ha risuscitato insieme con
Cristo e insieme ci ha fatto sedere in cielo" (Ef 2, 6).
Dal momento che la risurrezione dei morti comporterà, secondo le
promesse, tali magnificenze e molte altre a queste simili, non sarà
certo difficile credere anche a questo che i profeti hanno predetto: "I
giusti risplenderanno come il sole e come il fulgore del firmamento
nel regno di Dio" (Dan 12, 3). Infatti che difficoltà ci sarà a credere
che essi avranno lo splendore del sole e saranno adornati dal fulgore
62
delle stelle e di questo nostro firmamento, dal momento che è
preparata loro in cielo la vita e la compagnia degli angeli di Dio e di
loro si dice che saranno resi conformi alla gloria del corpo di Cristo
(cfr Fil 3, 20-21)? Proprio guardando a questa gloria promessa dalla
parola del Salvatore (cfr Mt 13, 43), il santo apostolo ha detto:
"Viene seminato un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale" (1
Cor 15, 44). Se infatti è vero, come certamente è vero, che la divina
bontà assocerà tutti i giusti e i santi al consorzio degli angeli, è certo
che trasformerà anche i loro corpi nella gloria del corpo spirituale.
Né tale promessa ti sembri essere in contrasto con i principi naturali
del corpo. Noi infatti crediamo, secondo quanto è scritto, che Dio,
prendendo fango dalla terra, plasmò l’uomo (cfr Gen 2, 7); e questo è
il principio naturale del nostro corpo, che per volontà di Dio la terra
si trasformi in carne: ma allora perché ti sembra assurdo e
contraddittorio se, per il medesimo principio per cui diciamo che la
terra ha progredito fino a formare il corpo animale, crediamo che a
sua volta il corpo animale progredisca fino a diventare corpo
spirituale? Tali affermazioni e molte altre simili a queste troverai
nelle Sacre Scritture riguardo alla risurrezione dei giusti. D’altra
parte, come sopra abbiamo detto, anche ai peccatori sarà dato, in
forza della risurrezione, uno stato di incorruttibilità e immortalità
che, come ai giusti serve alla perennità della gloria, così ai peccatori
serve al prolungamento della tristezza e della pena. Così attesta
anche la parola del profeta che abbiamo ricordato poco fa, là dove
dice: "E molti risorgeranno dalla polvere della terra: questi alla vita
eterna, questi altri alla confusione e alla vergogna eterna" (Dan 12,
2).
RESPONSORIO
Cfr 1 Cor 15, 44
R. Se infatti è vero, come certamente è vero, che la divina bontà
assocerà tutti i giusti e i santi al consorzio degli angeli, è certo che
trasformerà anche i loro corpi nella gloria del corpo spirituale. *
Viene seminato un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale.
V. D’altra parte, come sopra abbiamo detto, anche ai peccatori sarà
dato, in forza della risurrezione, uno stato di incorruttibilità e
63
immortalità che, come ai giusti serve alla perennità della gloria, così
ai peccatori serve al prolungamento della tristezza e della pena.
R. Viene seminato un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
Martedì 27 novembre
SECONDA LETTURA
Dalla «Spiegazione del simbolo» di Rufino di Aquileia
46
Credo la risurrezione di questa carne
A questo punto abbiamo compreso con quanta venerazione Dio
onnipotente sia detto Padre, per quale mistero il Signore nostro Gesù
Cristo sia ritenuto suo unico Figlio, con quale perfezione sia
nominato il suo Spirito Santo, e come la santa Trinità sia una cosa
sola quanto alla sostanza, ma distinta per relazione e persone.
Abbiamo anche compreso il significato del parto della Vergine, della
nascita del Verbo nella carne, del mistero della croce; quale sia
l’utilità della discesa di Dio nell’inferno, quale il significato della
gloria della risurrezione e del richiamo delle anime dalla prigionia
dell’inferno, dell’ascensione al cielo e dell’attesa del giudice venturo.
Infine abbiamo compreso quale conoscenza si debba avere della
santa Chiesa contro i concili di vanità, quale sia il numero dei libri
della Sacra Scrittura e quali le sètte eretiche da evitare; come nella
remissione dei peccati la ragione naturale non contrasti affatto con la
liberalità divina, e come la risurrezione della nostra carne sia
confermata non solo dalle parole della Scrittura, ma anche dallo
stesso esempio del nostro Signore e Salvatore e dalla logica coerenza
della ragione naturale. Se professiamo queste verità in modo
organico e completo, secondo la norma della tradizione presentata
sopra, allora preghiamo che a noi e ai nostri ascoltatori il Signore
conceda che, custodita la fede che abbiamo ricevuto e terminata la
corsa, noi aspettiamo la corona di giustizia che ci è riservata (2 Tim
4, 7-8) e siamo annoverati fra coloro che risorgono alla vita eterna,
64
liberi dalla confusione e dalla vergogna eterna, per Cristo nostro
Signore, per mezzo del quale è a Dio Padre onnipotente con lo
Spirito Santo gloria e onore nei secoli dei secoli. Amen.
RESPONSORIO
Cfr 2 Tim 4, 7-8
R. Se professiamo le verità della fede in modo organico e completo
secondo la norma della tradizione della Chiesa, * noi aspettiamo la
corona di giustizia che ci è riservata e siamo annoverati fra coloro
che risorgono alla vita eterna, liberi dalla confusione e dalla
vergogna eterna.
V. Preghiamo che a noi e ai nostri ascoltatori il Signore conceda che,
custodita la fede che abbiamo ricevuto e terminata la corsa, ci
accolga nel suo regno;
R. noi aspettiamo la corona di giustizia che ci è riservata e siamo
annoverati fra coloro che risorgono alla vita eterna, liberi dalla
confusione e dalla vergogna eterna.
Tutto prosegue come nella Liturgia delle Ore del giorno.
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Pro manuscripto
a cura dell’Ufficio Liturgico Diocesano e del Centro Servizi Generali dell’Arcidiocesi
Via Altabella, 6 - 40126 Bologna - tel. 051.64.80.777 - fax 051.235.207
posta elettronica: [email protected]
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