CAPITOLO PRIMO GLI ORDINAMENTI GIURIDICI 1. Diritto e pluralità degli ordinamenti giuridici Il termine diritto, che etimologicamente deriva da directum ed indica il procedere in una direzione regolare, esprime l'idea del dirigere e, quindi, dell'ordinare, concetto che è anche espresso coi termini ordo, ordine, iussum, comando, da cui ius, giuridico. Per cui nel linguaggio comune i termini diritto, ordinamento, giuridico vengono adoperati per indicare la presenza nelle diverse comunità sociali di un complesso di prescrizioni che ne disciplinano la vita e in particolare regolano i rapporti tra i membri che la compongono. Il termine “ius” ha via via assunto significati specifici in relazione ai vari fenomeni cui dà luogo la vita organizzata delle comunità nel corso della storia, indicando varie tipologie di ordinamenti sociali: naturale, religioso, politico, e, attraverso ulteriori specificazioni, statale, internazionale, positivo, e così via. Di fronte alla molteplicità degli ordinamenti, che secondo questa accezione generale possono definirsi giuridici, si è poi fatto ricorso convenzionalmente ad un uso più ristretto e più “tecnico” del termine “giuridico” o “di diritto” per indicare in particolare fenomeni del mondo politico, relativi a comunità, unitariamente e globalmente intese, con strutture ed istituzioni perseguenti finalità di ordine generale valide per tutti i componenti della comunità. 2. Ordinamenti politici Gli ordinamenti politici hanno assunto configurazioni molteplici nel corso della storia dell'umanità, dando luogo a sistemi giuridici diversi nei quali sono prevalsi di volta in volta la considerazione dell'elemento personale, l'unità di un popolo, o quella di un territorio, la polis, la civitas, o di entrambi, fino alle moderne strutture di tipo statualistico o di derivazione statualistica. 3. Diritto pubblico e privato Nell'ambito degli ordinamenti giuridici statali è stata operata la distinzione tra diritto pubblico e diritto privato (o comune). In età moderna, specialmente con lo svilupparsi del giusnaturalismo, si è poi andata affermando l'esigenza di tutelare di fronte all'apparato statale e all'Autorità pubblica l'Amministrazione pubblica e l'apparato di governo. Nei Paesi a tradizione romana il diritto avente ad oggetto tali rapporti si è innestato in quella parte del diritto che secondo la tradizione veniva classificato come pubblico. In età contemporanea si è poi avuta una lenta evoluzione che ha portato via via all'elaborazione nelle scuole di diritto, specialmente nei secoli XIX e XX, di principi ritenuti propri del diritto pubblico, avendo peraltro come modello originario i principi propri del diritto civile inteso come diritto comune. La distinzione tra materie rientranti nel diritto pubblico o in quello privato è stata solitamente fondata sull'interesse preso in considerazione dalla disciplina giuridica, interesse dei privati o della comunità, oppure sulle finalità avute di mira. Così, materie come il diritto costituzionale, amministrativo, tributario, penale, processuale, internazionale rientrano nel diritto pubblico, mentre quelle come il diritto civile, societario, lavoristico (per la parte attinente ai rapporti privati) al diritto privato. È una ripartizione però relativa, in quanto numerosi istituti dell'uno o dell' altro settore potrebbero essere ricompresi per certi aspetti nel diritto privato e per altri in quello pubblico. 4. Fatti e atti giuridici Una nozione ampia e generale di fatto giuridico comprende qualsiasi fenomeno che in un dato ordinamento giuridico produce effetti giuridici. Si distingue peraltro tra fatti e atti. I fatti giuridici in senso stretto sono fenomeni del mondo naturale nei quali non entra in gioco la volontà umana per la produzione dell'evento (es.: terremoto, inondazione). 1 Gli atti giuridici sono i fatti nei quali invece entra in gioco la volontà umana in quanto diretta alla produzione dell'effetto giuridico. Ma la volontà umana può essere anche presa in considerazione dal diritto come mero fatto dal quale vien fatta discendere la produzione di effetti giuridici. In tal caso l'atto è del tutto assimilabile al fatto giuridico in senso stretto. 5.- Fattispecie e procedimento Col termine fattispecie giuridica si indica il fatto (o i fatti) che l'ordinamento giuridico (la norma) prevede come causativo di un evento giuridico. Al concetto di inesistenza si accompagna di solito quello di nullità assoluta . A quello di invalidità il concetto di annullabilità. Ma l'atto deve essere anche valido ed efficace sul piano giuridico. Esso è valido se è conforme alla disciplina specifica del potere di cui è espressione. È efficace quando è in condizione di produrre immediatamente gli effetti previsti. 6. Tempo e luogo Poiché i fatti e gli atti giuridici si realizzano in un dato momento temporale e in un determinato luogo, l'ordinamento giuridico dà rilevanza a tali modi di concretizzarsi del fatto o dell' atto prendendo in specifica considerazione tempo e luogo. Il tempo rileva ad esempio ai fini del computo della prescrizione e, dell'usucapione, della decadenza, per delimitare il potere conferito ad un soggetto o ad un organo oppure per disciplinare l'adempimento di un'obbligazione. CAPITOLO SECONDO FONTI DEL DIRITTO 1. Fonti di produzione e di cognizione. La norma giuridica Il concetto più specifico di fonte che di solito viene accolto è quello di fonte produttiva di diritto oggettivo mediante prescrizioni normative che stabiliscono regole di comportamento o di organizzazione non nell'interesse esclusivo dell'agente ma con carattere di eteronomia, dando così luogo a disciplina di situazioni, rapporti intersoggettivi, istituzioni, organi e cosi via. Viene quindi in considerazione un potere, riconosciuto previamente o posteriormente ad alcuni soggetti o organi o a comunità di consociati, di porre in essere siffatte prescrizioni o con singoli atti di volontà oppure attraverso comportamenti di fatto tenuti. Resta però da stabilire cosa si intende per prescrizioni normative e per diritto oggettivo. La norma giuridica, diversamente dalle regole descrittive dei fenomeni naturali è una regola giuridica che stabilisce un modello di comportamento o di organizzazione. Come tale essa è prescrittiva. Dal concetto di norma giuridica peraltro vanno esclusi atti a carattere generale, come i bandi di concorso, le gare di appalto, in quanto non costituiscono prescrizioni in senso proprio. Per quanto concerne la pretesa novità della norma giuridica, tale requisito in effetti è comune ad ogni manifestazione (fatto o atto) che produce effetti giuridici precedentemente non sussistenti. Alla norma giuridica è stato inoltre riconosciuto il requisito della imperatività nel senso che ad essa si accompagna una sanzione per assicurarne la osservanza. In effetti la sanzione non rientra nel concetto di norma giuridica, formando piuttosto il contenuto di una distinta norma giuridica la quale viene collegata ad altra o ad altre norme. L'imperatività della norma non è altro che il riflesso dell'imperatività del complessivo sistema dell' ordinamento giuridico nel quale essa è inserita. Né è possibile concepire una norma giudica avulsa da un sistema normativo dal quale le viene assicurata l'imperatività. Se poi si considera che gli ordinamenti giuridici costituiscono sistemi complessi in continua evoluzione, rispetto ad essi, oltre alle cd. fonti ordinate, cioè disciplinate alloro interno con atti normativi che 2 costituiscono fonti sulle fonti, possono formarsi anche fonti extra ordinem, le quali, pur non essendo predeterminate, si impongono tuttavia negli ordinamenti stessi determinando egualmente effetti giuridici rilevanti. Il concetto di fonte di diritto oggettivo è peraltro unitario e comprensivo anche del suo aspetto cognitivo, individuato dalla dottrina tradizionale col termine fonti di cognizione. 2. Gerarchia e competenza. Riserve normative Le fonti del diritto non hanno tutte lo stesso valore in ogni singolo ordinamento, ma sono ordinate secondo vari criteri che assicurano prevalenza o esclusività di disciplina alle une rispetto alle altre. Tali criteri vengono usualmente indicati con termini come gerarchia e competenza. Con il criterio gerarchico le fonti sono ordinate secondo un sistema gradualistico per cui vi sono fonti superiori e inferiori o primarie e subprimarie (ad esempio la Costituzione rispetto ad ogni altra fonte, la legge rispetto ai regolamenti). In base a tale criterio la fonte di grado superiore prevale su quella di grado inferiore, la quale però non è esclusa dalla disciplina in caso di mancanza della fonte superiore. 3. Fonti scritte e non scritte Le fonti del diritto si distinguono in fonti scritte o non scritte. Sono fonti scritte (dette anche fonti-atto) quelle che per venire ad esistenza necessitano di una particolare forma ad substantiam (es.: la legge formale), riconducibile all'espressione di volontà proveniente da un determinato soggetto. Le norme prodotte da fonti del diritto non scritto implicano quindi una indagine più penetrante per il loro rinvenimento rispetto a quelle prodotte da fonti del diritto scritto che hanno il pregio di essere agevolmente individuabili. Ciò spiega perché specialmente in epoche di razionalizzazione del sistema giuridico i soggetti cui è attribuito il potere di dettare disposizioni che si impongono alla collettività, siano essi singoli individui, siano collegi o corpi rappresentativi o meno di ceti, classi o del popolo unitariamente considerato, ricorrono preferibilmente al diritto scritto, ritenendo tra l'altro che questo assicura anche maggiore certezza per l'individuazione della disciplina esistente ed applicabile. 4. Legge Fonte scritta del diritto per eccellenza è la legge. Tale termine è peraltro polivalente, in quanto può indicare tanto la disciplina normativa quanto la fonte in cui questa è contenuta. Solitamente la legge, come del resto le altre fonti scritte, è redatta in articoli. Gli articoli si suddividono poi in commi. Il c o m m a, che indica la parte dell'articolo compresa tra due a capo, può comprendere una o più proposizioni, una o più prescrizioni normative. Di solito i commi vengono numerati progressivamente. 5. Consuetudine Tra le fonti non scritte (o fonti fatto) va annoverata la consuetudine. Col termine consuetudine o uso si indicano quei fenomeni che si concretano nella formazione, nell' ambito dei vari gruppi sociali, di tipi di comportamento generalizzati, ovverosia di regole sociali, in considerazione della abitualità e della costanza (od anche della periodicità) con cui sono protratti nel tempo i singoli comportamenti tenuti dai consociati, cosicché appare fondato prevedere che essi si ripeteranno, quando si presenteranno le medesime circostanze di fatto. È questo il modo, ad esempio, di formazione delle regole di cortesia, di galateo, di etichetta, di decenza, e così vi? A questo fenomeno ci si riferisce anche quando si parla di tradizioni di un dato gruppo sociale. Quando si verifica tale passaggio di stadio non è più l'uniformità numericamente e singolarmente considerata ciò che conta e che spinge ad ulteriori comportamenti uniformi. Assume invece valore la regola di comportamento dedotta per astrazione dal fatto stesso del radicarsi di tale uniformità nell' ambito sociale. Si verifica quindi un mutamento dell' atteggiamento spirituale dei singoli consociati ri3