25.5.2011 - La Voce del Popolo

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DEL POPOLO
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50 • Mercoledì, 25 mag
Inter sanctum et profanum
di Patrizia Venucci Merdžo
Gentilissimi,
se il destino non avesse prematuramente mietuto la sua giovane vita, Dino Ciani, il grande pianista di origini fiumane, avrebbe compiuto, il prossimo
16 giugno, settant’anni. Possiamo solo immaginare
quale sarebbe stato il suo posto nel panorama pianistico internazionale-un ruolo da protagonista, certamente-se il suo percorso artistico non fosse stato
tragicamente interrotto nel marzo del 1974 da un disgraziato incidente automobilistico sulla Via Appia.
Nonostante la relativa brevità della sua parabola artistica, e il trascorrere del tempo, il mito di Dino
Ciani, invece di affievolirsi, cresce e contagia, e le
sue interpretazioni – ora reperibili anche sul mezzo telematico - infervorano e scuotono; è come se
la carica spirituale della sua rara personalità continuasse a irradiarsi nel tempo.
È difficile esprimere a parole ciò che Ciani è capace di dire con la musica; Riccardo Muti lo ha definito il più istintivo tra i musicisti. Ciò che colpisce
nelle sue interpretazioni è il suo meraviglioso e naturale senso poetico (Chopin) e in genere la straordinaria capacità di comunicare le pagine dei più disparati autori e stili. Si tratti di Balakirev, che egli
porta con travolgente irruenza; si tratti di Prokofjev
o Bartok, in cui ratio, immaginazione e selvaggia
elementarietà si fondono, o di pagine debussiane
restituite con l’immaginazione del visionario, oppure ancora del complesso e appassionato universo
schumanniano...E dietro a ogni interpretazione, immancabilmente, c’è un profondo e importante momento culturale.
Ero poco più di una bambina quando Dino Ciani
suonò all’ex Palazzo del Governo a Fiume; eppure
ricordo ancora quel suo poetare, quel suo immergersi nella musica, quel „farsi musica“. Interpretò, tra l’altro, Mozart (la Fantasia in do minore, se
non vado errata), Schumann e la Wanderer sonata
di Schubert. Di quest’ultimo brano mi sono rimasti
impressi gli slanci, una sensazione di squisita raffinatezza e la travolgente forza nell’esporre il tema
nel fugato finale. Fu un trionfo. Il pubblico – nota
bene, di quelli esigenti e preparati- era rimasto ammaliato, quasi soggiogato, da questa straordinaria
personalità d’artista.
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La visita apostolica di Benedetto XVI a Venezia
(7 e 8 maggio scorsi), evento di grande impatto comunicativo, mediatico e organizzativo, si è svolta in
una cornice musicale eccezionale. La celebrazione
della Messa nel Parco di San Giuliano a Mestre ha
visto la partecipazione di un coro di 1060 elementi,
nel quale sono confluite le migliori compagini polifoniche professionali e amatoriali del Triveneto, accompagnate da una megaorchestra sinfonica e da
diverse formazioni bandistiche della Regione. Un
dispiego di forze davvero imponente e di alta qualità. In esecuzione brani dei grandi maestri veneti e
italiani del Rinascimento: Pierluigi da Palestrina,
Claudio Monteverdi, i fratelli Gabrieli, Orlando di
Lasso.
Nella Basilica di San Marco, in un tripudio di
ori e mosaici bizantini, il Papa è stato accolto da un
vero e proprio concerto eseguito sui tre preziosi or-
gani settecenteschi di Gaetano Callido (op. 29, op.30
e op.31 del 1766) , massimo organaro della scuola
veneta del XVIII secolo, il quale “firmò” pure gli
organi di Piè di Monte e della cattedrale di Capodistria. Dunque, un evento pastorale importante che
è stato causa e motore di un “sinodo musicale” del
Veneto, mettendo in luce ed esponendo all’attenzione mediatica il suo grande patrimonio di musica sacra del passato. È interessante notare come ad ogni
visita apostolica del Pontefice, appassionato cultore
di musica classica e di canto gregoriano, l’ospitante
presti una cura particolare nella scelta delle musiche sacre. Superbe furono pure le esecuzioni corali degli antichi maestri inglesi durante la visita del
Papa nel Regno Unito.
Riccardo Muti, grande alleato di Benedetto XVI,
ha confessato la sua ammirazione per il Pontefice
che ha fatto della bellezza, della musica e del recupero della sacralità nella liturgia una delle cifre del
suo pontificato. Già il 21 ottobre del 2005, al termine di un concerto di musica classica eseguito in suo
onore nell’Aula Paolo VI, il Papa si era soffermato
sull’importanza universale della musica. “Formulo
voti - aveva detto - che l’armonia del canto e della
musica, che non conosce barriere sociali e religiose, rappresenti un costante invito per i credenti e per
tutte le persone di buona volontà, a ricercare insieme l’universale linguaggio dell’amore che rende gli
uomini capaci di costruire un mondo di giustizia e
di solidarietà, di speranza e di pace“.
Immancabilmente Vostra
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Mercoledì, 25 maggio 2011
RICORRENZE Colloquio musicale con Vlado Gašparović Gašo, insignito dello «Stem
I primi vent’anni del «Jazz time
di Ivana Precetti
FIUME - Si è appena conclusa a Fiume la 20.esima edizione
del festival “Jazz Time”, dedicato quest’anno al grande musicista
Boško Petrović, venuto a mancare improvvisamente il 10 gennaio
scorso all’età di 75 anni. Un giubileo importante, per un appuntamento ormai immancabile nel capoluogo quarnerino. Vent’anni di
percorso travagliato, non sempre
facile, a volte anche duro, ma alla
fine vincente, in cui la scena jazz
ha saputo ritagliarsi, pian piano,
timidamente ma con tenacia, uno
spazio tutt’altro che indifferente
in una città ritenuta da sempre
la culla del rock. Oggi possiamo
dire senza remore che il jazz a
Fiume è forte, forse anche più di
quel rock ormai un po’ dimenticato e che avrebbe bisogno di
nuova linfa vitale per poter raggiungere i livelli di un tempo.
Buona parte del successo
della musica jazz a Fiume la si
deve soprattutto al festival “Jazz
Time”, senza il quale forse non
avrebbe avuto lo stesso percorso e la stessa fortuna. Ne abbiamo parlato col diretto interessato, il direttore del festival,
Barbara Denerlein
Vlado Gašparović nello studio di Radio Fiume durante una trasmissione dedicata al jazz
fondatore dell’agenzia GIS, che
lo organizza, nonché musicista,
Vlado Gašparović Gašo, insignito quest’anno della Targa d’Oro
“Stemma della Città di Fiume”
per gli eccezionali successi raggiunti in campo musicale e, soprattutto, nella gestione organizzativa e artistica. Ci ha raccontato
che inizialmente, il primo anno,
il “Jazz Time” era stato soltan-
Boško Petrović al Jazz time
to un concerto di musicisti locali
di Fiume e della Riviera liburnica
per trasformarsi, già nell’edizione successiva, in un evento internazionale.
“Nei primi anni il festival si è
svolto nella Sala dei Marmi del
Palazzo del Governo, dopo di
che è passato alla Filodrammatica in Corso, per finire alla Casa
della cultura (HKD) – ha esordito
Gašparović –, dove viene ospitato anche oggi, con una piccola parentesi l’anno scorso al club Stereo, dove si è tenuto il concerto del
John Scofield Quartet. L’evento è
cresciuto negli anni diventando
uno dei festival più prestigiosi a
Fiume, ma anche in Croazia. Nelle
prime edizioni si articolava in due
giorni mentre oggi si svolge in tre
serate accompagnate dalle ‘jam
session’ dei musicisti eseguite nei
piano bar cittadini. Una prassi che
abbiamo introdotto ancora ai tempi in cui operava il ‘Gal’, locale
fiumano frequentatissimo da artisti di tutti i tipi”.
Città di Fiume, e precisamente di
Helena Semion Tatić, e più tardi di
Sandra Vujović, le quali hanno saputo riconoscere il valore del programma e con le quali collaboro
con successo da anni. Credo che
siamo riusciti a creare una manifestazione musicale di tutto rispetto, riconoscibile e di grande qualità. Il festival, oltre che attirare un
numero sempre più significativo
di appassionati del jazz, è riuscito a stimolare e sviluppare la scena musicale regionale, sollecitato i
giovani musicisti a occuparsi più
seriamente di musica e avvicinato
la scena jazz internazionale al nostro pubblico. È questo il suo maggior successo”.
- Che voto darebbe all’odierna scena jazz fiumana? Come la
giudica in rapporto alle altre in
Croazia, o nel mondo? Si differenziano in qualcosa i nostri
musicisti?
“La scena jazz fiumana si è rafforzata molto negli ultimi vent’anni e oggi è un segmento di tutto
Il risveglio del jazz a Fiume risale
alla metà degli anni Ottanta. In
quell’epoca sono emersi musicisti del
calibro di Darko Jurković-Charlie, Elvis
Stanić, Denis Razumović-Razz, Henry
Radanović, Tonči Grabušić e altri
Alfredo De La Fe durante un’esibizione fiumana al “Jazz time”
“Tre anni fa – ha proseguito
– la 18.esima edizione del ‘Jazz
Time’ si è tenuta in due spazi: all’HKD e al club ‘Tunel’, dove da
allora si svolgono le ‘jazz session’.
Questo nuovo concetto di festival
è piaciuto subito e abbiamo voluto
mantenerlo, nonostante il drastico calo dei fondi. Direi che è un
modo molto più democratico e...
variopinto di offrire musica a un
numero più ampio di spettatori”.
- Quali performance le sono
rimaste maggiormente impresse? A cosa e a chi si deve il successo del festival “Jazz Time”?
“Non potrò mai dimenticare
l’esibizione di Angela Brown in
Filodrammatica, di Kenny Burrell, del Benny Golson Quartet,
del Bobby Watson Quartet, del
sestetto di Alfredo De La Fe all’HKD e ovviamente quello del
John Scofield Quartet allo Stereo.
Il Festival ha goduto da sempre
dell’appoggio e del sostegno del
Dipartimento per la cultura della
rispetto della musica croata in generale. È ovvio che ad esempio a
Zagabria, come in ogni altra metropoli, il jazz sia ancor sempre a
livelli maggiori, ma quello fiumano ha un suo timbro particolare.
Direi che è più vicino al grande
Charlie Parker, mentre la scuola
zagabrese è cresciuta e si è sviluppata sulle note di John Coltrane. Credo che l’epoca dei jazzisti
fiumani debba appena arrivare. Il
loro potenziale e la loro creatività devono appena emergere. Qui
mi riferisco soprattutto ai giovani, molto ben istruiti jazzisti, che
hanno appena terminato o stanno
per terminare gli studi presso gli
istituti musicali di Trieste, Graz
e Klagenfurt. È ovvio che non
ci si possono aspettare traguardi
come ad esempio a New York, ma
in questa regione abbiamo grandi
motivi di soddisfazione”.
- Quando si è formata la scena jazz a Fiume e come si è sviluppata nel tempo? Chi sono
musica 3
Mercoledì, 25 maggio 2011
mma della Città di Fiume» per eccezionali meriti artistici
» fiumano, una storia favolosa
Foto di gruppo con Bobby Watson e Ralph Peterson
stati i suoi fondatori? Che cosa
è cambiato negli anni?
“Tutto è iniziato dopo la Seconda guerra mondiale, grazie soprattutto alle Big Band e a qualche
entusiasta, per arrestarsi negli anni
Settanta quando non esisteva affatto. Il risveglio del jazz a Fiume risale alla metà degli anni Ottanta,
di iniziare a occuparsi di organizzazione di concerti?
“Ho suonato tanto negli anni
Ottanta e Novanta ed è stata una
cosa naturale passare dal rock al
jazz. Quando Dorian Hatta è diventato f.f. di direttore dell’Ufficio concertistico, ha buttato lì quest’idea di organizzare un festival
Credo che siamo riusciti a creare una
manifestazione musicale di tutto rispetto,
riconoscibile e di grande qualità
grazie ad alcune rock band che
hanno deciso di cambiare... musica, di tornare alle origini. In quell’epoca sono emersi musicisti del
calibro di Darko Jurković-Charlie,
Elvis Stanić, Denis RazumovićRazz, Henry Radanović, Tonči
Grabušić, e più tardi anche Ivan
Popeskić, Branimir Gazdik, Marko
Lazarić, poi è tornata Lela col marito, il pianista Joe Kaplowitz, e
via dicendo. Con la scuola di Josip ‘Pepi’ Forembacher, Spartac
Črnjarić e Darko Mihelić ‘Bočo’,
questo è stato il primo grande
gruppo di musicisti, gruppo che
suona ancora oggi e che con i giovani talenti rappresenta uno dei
segmenti musicali più forti a Fiume e circondario”.
Ha il jazz fiumano un suo
pubblico?
“Devo dire che il pubblico jazz
a Fiume non è molto numeroso,
come d’altronde da nessuna par-
Mi piacciono
molto le cantanti
jazz Alba
Nacinovich,
Astrid Kuljanić
e Lela Kaplowitz
te. Il jazz è molto esigente, chiede
molto, sia dal punto di vista dell’interpretazione che dell’ascolto. Lo stesso vale per il pubblico
fiumano, che richiede molto e ha
un orecchio molto fine. In questi
vent’anni è riuscito a capire per
bene questo genere musicale e a
saper riconoscere il suo vero valore”.
- Quest’anno ha ricevuto la
prestigiosa Targa d’Oro “Stemma della Città di Fiume”. Che
cosa significa per lei questo riconoscimento? Quando ha deciso
jazz. Ho accettato senza pensarci
due volte e da qui è iniziato tutto.
Poco tempo dopo abbiamo cominciato a organizzare anche concerti
di musica classica, che anche oggi
è la nostra principale attività. Col
passare degli anni c’è stata la necessità di istituire un’agenzia concertistica (la GIS appunto, nda)
che in un certo senso ha riempito
il vuoto creatosi dopo la chiusura
dell’Ufficio Concerti e della Gioventù musicale (Glazbena omladina). Per quanto riguarda la Targa
d’Oro, devo dire, senza falsa modestia, che in un certo senso me
l’aspettavo. Nonostante ciò, per
me ha un grande valore e rappresenta un riconoscimento del mio
lavoro, di un’attività di cui mi occupo da tutta una vita e che ha lasciato un segno nel nostro piccolo.
Credo che abbiamo fatto un buon
lavoro per la cultura fiumana in generale. Oggi vado particolarmente
fiero delle 900 e passa trasmissioni radiofoniche a Fiume che in tutti
questi anni sono state dedicate alla
musica jazz”.
- Che cosa pensa della scena
musicale fiumana in generale?
Ci sono spazi sufficienti e soddisfacenti? Quanto è sensibile musicalmente il pubblico fiumano?
“Be’, vista la mancanza di media che potrebbero riportare con
qualità e competenza ciò che succede sulla scena, essa è ancora
molto buona. È difficile farsi...
sentire quando si è lontani dai media nazionali, ma nonostante ciò
osservo con piacere che i nostri
musicisti non hanno la tendenza di
‘fuggire’ nella metropoli come altri
e che pertanto la vita a Fiume non
è così male. Per quanto riguarda la
sensibilità musicale del pubblico
fiumano, posso dire con certezza
che essa si trova a livelli invidiabili, ma ancor sempre al di sotto di
quelli dell’Europa occidentale”.
Enzo Favata
- Chi la ispira dei grandi jazzisti storici? E tra quelli fiumani,
c’è qualcuno in particolare che
le piace?
“Personalmente sono un grande
fan di Miles Davis. Egli è stato uno
secondo lei il più grande jazzista
di tutti i tempi?
“Il jazz è un genere musicale che
non ha limiti e la libertà e la giocosità che esso offre dovrebbero essere
un modo di vita. Tutto sarebbe più
Non potrò mai dimenticare l’esibizione
di Angela Brown in Filodrammatica,
di Kenny Burrell, del Benny Golson
Quartet, del Bobby Watson Quartet,
del sestetto di Alfredo De La Fe
all’HKD e ovviamente quello del John
Scofield Quartet allo Stereo
dei pochi musicisti che ha avuto il
potere di sviluppare nuovi generi, di partecipare a una miriade di
piccole rivoluzioni musicali, con
innato e immenso spirito e creatività. Ultimamente trovo molto interessanti quei musicisti che combinano con successo il classico e
il jazz come Keith Jarrett, Brad
Mehldau e Wynton Marsalis. Ma
ascolto con piacere anche splendidi chitarristi quali Bill Frisell, John
Scofield, Pat Metheny... ”.
- Che cosa significa per lei il
jazz? Come lo definirebbe? Perché è così difficile capirlo? Chi è
bello e più facile se la gente accettasse e praticasse di più questo modo di
essere. Non esiste il più grande jazzista di tutti i tempi. Ce ne sono tanti,
da Armstrong a Duke, Basie, Monk,
Mingus, Parker, Miles, Jarett, fino ai
giorni nostri. Tutti hanno contribuito
a dare un qualcosa a questa storia infinita che è il jazz”.
- Che cosa sta preparando la
GIS in un prossimo futuro? C’è
qualche musicista o band in particolare che vorrebbe portare a
Fiume?
“Stiamo preparando per quest’anno ancora qualche concer-
Miles Grifith
to classico. Cercheremo inoltre
di registrare un CD con i jazzisti
fiumani. Un grandissimo lavoro
e contributo per lo sviluppo del
jazz a Fiume lo ha dato il bar-club
‘Tunel’ che ospita le jazz session.
Credo che questa sia una delle migliori cose successe a Fiume negli
ultimi anni, per quanto riguarda il
jazz. Sarebbe bello se si formasse
una vera Big Band professionista e
un Reparto jazz in seno al Dipartimento dell’accademia musicale.
Con la presenza, infine, di giornalisti competenti, il gioco sarebbe fatto. Ma credo che dovremo aspettare un po’ prima che ciò succeda”.
La mia ultima domanda riguarda i giovani talenti fiumani.
C’è qualcuno in particolare che
emerge?
“Vado particolarmente fiero di
questa nuova generazione di jazzisti che pian piano si sta facendo
valere. Sono musicisti giovani, che
hanno studiato o stanno ancora studiando nelle accademie e nei conservatori. Mi piacciono molto le
cantanti Alba Nacinovich, Astrid
Kuljanić e Lela Kaplowitz, mentre dei giovani musicisti sceglierei
i fratelli Zvjezdan e Vedran Ružić,
Damjan Grbac, Bruno Mičetić,
Andy Cech, Tonči Trinajstić,
Marko Duvnjak e molti altri”.
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Mercoledì, 25 maggio 2011
Mercoledì, 25 maggio 2011
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LA GRANDE MUSICA Le pagine violinistiche dimostrano la capacità mozartiana di dare un impulso radicale ad un genere musicale, raggiungendo immediatamente risultati di assoluta perfezione
I concerti per violino di Mozart e l’influenza della tradizione italiana
Il castello di Strasburgo che domina la città
I favolosi giardini rococò del castello di Strasburgo
Wolfgang Amadeus Mozart
di Michele Trenti
M
Arcangelo Corelli
Antonio Vivaldi
ozart compose i cinque
concerti per violino e orchestra nell’arco di pochi
mesi del 1775, all’età di 19 anni.
Negli anni seguenti non tornerà
più sul genere, salvo che, con approccio diverso, per il capolavoro
della Sinfonia Concertante K.364,
per violino, viola e orchestra, del
1779. Diversi fattori spinsero Mozart, nel periodo che va dal 1773
al 1777, ad approfondire il suo rapporto con il violino, ed in particolare con la forma del Concerto; dopo
di che il rapporto esclusivo con il
pianoforte, come strumento solistico prediletto, fu rotto solo per occasionali incursioni in campi diversi:
dal flauto, che ha due concerti (uno
dei quali trascritto anche per oboe)
più uno con l’arpa, al corno, che ha
quattro concerti; nella maturità fu il
clarinetto ad ispirare il meraviglioso
concerto in La maggiore K.622.
Alla Corte di Salisburgo, presso la quale Mozart era a quell’epoca impiegato, era dilagata la moda di
Serenate e Divertimenti con parti di
rilievo virtuosistico per il primo violino; ciò portò a Salisburgo valenti esecutori, fra i quali il napoletano
Antonio Brunetti. Mozart aveva avuto inoltre, attraverso numerosi viaggi
in Italia, contatti con la grande tradizione violinistica, che dagli albori era
giunta fino a Nardini e Pugnani, passando per autori-esecutori del calibro
di Corelli e Vivaldi.
Si consideri che il violino era nato
da appena un secolo e mezzo quando Mozart si accinse a scrivere i suoi
concerti; le grandi famiglie di liutai
lombardi, Amati, Maggini, poi Stradivari e Guarneri, avevano fornito
strumenti di straordinaria qualità a
musicisti che ne seppero sfruttare al
massimo le potenzialità: Cima, Co-
lino (K.207, 211, 216, 218, 219)
Mozart aveva composto solamente
due concerti per strumento solista e
orchestra: il concerto per pianoforte K.175 ed il concerto per fagotto
K.191; i primi approcci alla scrit-
All’epoca di Mozart la grande lezione
vivaldiana, con gli oltre 260 concerti
per violino, sovrasta ancora ogni altra
concezione del concerto violinistico
tura solistica con orchestra erano
avvenuti attraverso la trascrizione
di lavori altrui, arrangiati a concerti per piano e orchestra (K.37, 39,
40 e 41): era usanza per un giovane
compositore maturare un’esperienza artigianale su modelli dati, come
avava fatto Bach con i concerti di
Vivaldi.
A sette anni Mozart aveva già
composto le prime sonate per vio-
Cima, Corelli, Torelli, Veracini, Vivaldi,
Locatelli e Somis aprirono dall’Italia
una strada che presto si sviluppò in tutta
Europa, dilagando spesso come una vera
e propria moda presso corti e famiglie nobili
relli, Torelli, Veracini, Vivaldi, Locatelli e Somis, per citare alcuni esempi, aprirono dall’Italia una strada che
presto si sviluppò in tutta Europa,
dilagando spesso come una vera e
propria moda presso corti e familie
nobili. Il padre di Mozart, Leopold,
aveva a suo tempo subito il fascino
di questa moda, ed aveva scritto un
trattato di esecuzione violinistica, insegnando a Wolfgang la tecnica necessaria a comparire degnamente in
qualità di solista nei concerti di corte. Ciononostante la scrittura violinistica mozartiana non indulgerà mai a
virtuosismo fine a se stesso, puntando consapevolmente su un discorso
di impronta musicale-espressiva.
Prima di affrontare la composizione dei cinque concerti per vio-
zione, precedenti di cinquant’anni i concerti mozartiani, si erano
diffusi immediatamente in tutta
Europa ed avevano affermato uno
standard pressochè universale: articolazione in tre movimenti, pro-
lino e cembalo;la pratica si era poi
sviluppata prevalentemente sul genere delle Serenate e dei Divertimenti, in cui sovente il violino del
Konzertmeister assumeva il ruolo di
solista. Infine il Concertone K.190
per due violini e archi è il grande
precedente che annuncia la fioritura
del ciclo dei 5 concerti.
I modelli
di riferimento
All’epoca di Mozart la grande
lezione vivaldiana, con gli oltre
260 concerti per violino, sovrasta ancora ogni altra concezione
del concerto violinistico: le Quattro Stagioni e gli altri pezzi del Cimento dell’armonia e dell’inven-
cedimento per alternanza di parti
solistiche e parti orchestrali, contrasti dinamici frequenti di forte e
piano. Il modello vivaldiano è però
indirizzato alla ricerca dell’effetto
attraverso passaggi virtuosistici ed
inoltre la sintassi musicale di Vivaldi nel 1770 è decisamente superata. Sul trattamento mozartiano
del violino influisce la natura vocale del fraseggio, passata dallo stile
settecentesco dell’opera alla musica strumentale, il tipo di scrittura
della scuola boema, vicina al mondo musicale austriaco, mentre minore è l’attrazione esercitata dallo
stile brillante alla francese; Mozart
ambisce infine a forme di maggior
respiro: basti pensare che la durata
media di un concerto di Vivaldi è
di dieci minuti, mentre un concerto
di Mozart dura 25 minuti, pur essendo articolati allo stesso modo in
tre movimenti. Tra i modelli precedenti, quello più vicino alla ricerca di un ideale di aurea proporzione architettonica è Corelli, che nel
primo barocco aveva incarnato la
tendenza più classica, quasi neorinascimentale.
L’esigenza di trovare una risposta ai problemi di linguaggio che
si presentano e l’eccezionale senso
dell’equilibrio nell’armonia delle architetture, porteranno Mozart
alla formulazione di uno stile che
è a tuttoggi definito Classicismo
musicale. La perfezione delle soluzioni trovate non deve però far dimenticare il cammino di ricerca e
di sperimentazione di un linguaggio che all’epoca era nuovo ed in
rapida evoluzione.
Evoluzione
della forma
Il corpus dei concerti per violino costituisce un fulgido esempio di
come la geniale capacità di Mozart
potesse in brevissimo tempo dare
un impulso radicale ad un genere
musicale, raggiungendo immediatamente risultati di assoluta perfezione. In questo contesto appare chiara
ed inequivocabile la differenza stilistica fra i vari concerti e la maturazione progressivamente avvenuta nell’elaborazione personale della
scrittura compositiva. Il grande merito di Mozart è quello di aver cercato,
istintivamente, una solidità strutturale ed una dignità sinfonica in un genere che prestava il fianco ad atteggiamenti brillanti e superficiali, particolarmente durante l’epoca dello
di assoluta intensità; la forma-sonata, che governa la struttura dei primi
movimenti e di gran parte dei finali, è
sempre più ampia e chiaramente articolata, secondo un modello che Mozart stesso porterà a risultati eccelsi
nei concerti per pianoforte e orchestra della maturità.
Cenni
sull’interpretazione
L’evoluzione stilistica rilevata nella scrittura dei cinque concerti può essere sottolineata in maniera interessante in fase concertistica.
Una intenzione interpretativa in tale
direzione è acquisizione della recente prassi esecutiva, supportata da una
coscienza stilistica sconosciuta fino a
pochi decenni addietro.
La visione cameristica dei primi
due concerti, oltre a suggerire l’uso
di organici ridotti, si lega felicemente all’adozione di prassi esecutive di
derivazione tardobarocca e preclas-
Il grande merito di Mozart è quello di
aver cercato, istintivamente, una solidità
strutturale ed una dignità sinfonica in un
genere che prestava il fianco ad atteggiamenti
brillanti e superficiali, particolarmente
durante l’epoca dello Stile Galante
Stile Galante.
Decisamente marcata è la differenza di fondo fra i primi due concerti e gli ultimi tre, nei quali la scrittura solistica diventa più compiuta e
matura, il trattamento dell’orchestra
più sinfonico, il carattere musicale
più personale. Il primo ed il secondo concerto risentono ancora di una
scrittura di base a tre parti (due violini e basso), retaggio della triosonata
barocca, mentre nei successivi concerti la tessitura è più complessa, felicemente fecondata da moduli caratteristici del pensiero sinfonico e dell’opera settecentesca; la cantabilità
di impronta italiana raggiunge punte
Francesco Maria Veracini
sica, mentre è necessariamente più
sinfonico l’approccio agli ultimi tre
concerti, con un carattere più solido
ed una maggior imponenza sonora.
Nel quinto concerto, in cui Mozart si lascia andare all’originalità del proprio carattere, passando
dalla pura soavità dell’introduzione e dell’Adagio alle bizzarrie del
Rondò finale, è maggiore lo spazio
lasciato all’intervento dell’interprete, con il pericolo talvolta di perdere
il senso della classica proporzione
che governa mirabilmente la forma.
I concerti di Mozart sono considerati il banco di prova più arduo per
un solista, offrendo poche possibili-
Pietro Locatelli
tà di coprire imprecisioni tecniche
o una non convincente concezione
interpretativa con effetti virtuosistici; per lo stesso motivo sono brani
ideali a mettere in luce il senso artistico più raffinato di un interprete, cui non deve mancare la paletta
completa delle sfumature tecniche,
dai colpi d’arco al senso del vibrato, dall’articolazione al colore ed
alla dinamica. E’ inoltre necessario possedere un senso della forma
complessiva, per la resa delle meravigliose proporzioni architettoniche
dei concerti.
Le caratteristiche musicali che
contraddistinguono i concerti per
violino di Mozart non ne fanno brani di eccezionale impatto immediato, ma piuttosto opere il cui ascolto,
soprattutto se ripetuto, svela progressivamente gli armoniosi rapporti interni che governano la musica,
affidando agli esecutori un compito particolarmente delicato nel panorama del repertorio per violino e
orchestra.
Influssi di Mozart
sull’evoluzione del
concerto per violino
Diretta influenza dei concerti
per violino di Mozart sui composi-
tori successivi è ravvisabile in primo luogo nei tentativi nel genere,
giovanili, di Schubert e, attraverso
un’impronta personale di particolare significato, in Beethoven (Concerto op.61 e Romanze per violino
e orchestra).
La coerenza costruttiva di Mozart influenzerà positivamente
Giambattista Viotti, che, unendo la
cantabilità della concezione italiana,
la brillantezza del gusto francese e
la salda concezione strutturale tedesca, giungerà ad un nuovo modello
di concerto per violino; proprio da
questo modello muoverà Paganini
innestandovi le più audaci conqui-
ste della sua trascendentale tecnica
strumentale. I sei concerti di Paganini dovranno molto anche al linguaggio dell’opera contemporanea:
grande predecessore di questo procedimento è ancora una volta Mozart, che nell’ampio episodio alla
turca del Rondò del quinto concerto riesuma alcune idee da un progettato Gelosie del Serraglio, e che
trasferisce, qui come in successive
creazioni, dallo stile teatrale alla
musica strumentale inedite capacità
di movimento e di azione, venendo
definito da Alfredo Casella compositore d’opera anche nello scrivere
per strumenti.
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Mercoledì, 25 maggio 2011
VITA NOSTRA Intervista con Sabrina Stemberga Vidak instancabile animatrice e m
La gioia di accompagnare i più pi
di Patrizia Chiepolo Mihočić
ALBONA -A nove anni suonava già l’organo in chiesa e iniziava
a dirigere il coro. A quattordici era
alla guida dei minicantanti della
Comunità degli Italiani di Albona.
Da allora sono trascorsi tanti anni,
ma Sabrina Stemberga Vidak continua a lavorare nel campo della musica e a tramandare questa sua passione a tantissimi giovani. Dopo
aver terminato la Scuola di musica
a Pola e ottenuto la laurea in pianoforte al Conservatorio “Giuseppe
Tartini” di Trieste, Sabrina Stemberga Vidak si è dedicata sempre
all’insegnamento del canto, ma anche del pianoforte presso il Centro
studi di musica classica dell’Unione italiana” Luigi Dalla Piccola, sezione di Verteneglio. Ora la troviamo alla guida dei minicantanti, del
gruppo XL, presso la CI di Albona,
dello studio scenico musicale ‘Skiribico blu’, del coro della chiesa e
quant’altro”.
- Ci parli delle sue attività con
i bambini.
“Da 26 anni porto avanti il
gruppo dei minicantanti. Ora abbiamo 30 bambini, dalla III all’VIII classe che sono, a dir poco,
bravissimi. Non ci sono bambini
delle prime due classi perché non
avendo una scuola italiana, iniziano a studiare l’italiano appena in
anno, a quello di Natale… Una
volta avevamo fino a 20-25 concerti all’anno e devo dire che non
siamo ritornati mai a casa senza
aver ricevuto qualche premio. Solo
per fare un esempio due anni fa ci
siamo piazzati al secondo posto
durante il Mali Histria Fest. Tra le
uscite più belle ricordo il concerto
nella prestigiosa sala da concerti di
Zagabria ‘Vatroslav Lisinski’, sei
anni fa, dove assieme al coro degli adulti abbiamo preso parte alla
vedere come i bambini che parlano l’italiano, e di conseguenza capiscono la canzone, si stancano di
ripeterla prima di quelli che non lo
parlano. Questi ultimi la cantano
più volentieri perché ad ogni ripetizione imparano una nuova parola
e sono felici di farlo. Cantando in
una lingua straniera si canta meglio perché c’è più impegno per
impararla. Noi stiamo molto attenti alla dizione, alle doppie, al sorriso perché la canzone risulta subito
È difficile mantenere l’italianità senza
una Scuola elementare italiana. Per
questo motivo il 90% delle nostre
canzoni è in lingua italiana. Io parlo
solo l’italiano con i bimbi, li faccio
ripetere, tradurre le canzoni affinché
questa lingua diventi anche parte di loro
manifestazione per le minoranze.
In quell’occasione abbiamo cantato ‘Nessun dorma’, ‘Dimmi come
posso fare’ di Giorgia e altro ancora. Abbiamo partecipato pure alla
trasmissione ‘Latinica’, quando il
tema di quest’ultima era la multinazionalità in Istria. In quel periodo le minoranze presenti in Istria
più musicale se la cantiamo sorridendo. E poi è una caratteristica
della lingua italiana. Durante l’anno propongo ai ragazzi una quindicina di nuove canzoni. Tra queste anche ‘Piccolo grande amore’
di Baglioni, ‘Di sole e d’azzurro’
di Giorgia. Abbiamo imparato anche una vecchia canzone dal titolo
Sabrina Stemberga Vidak con i piccoli coristi
‘Angeli’ che ho proposto ai bambini
dopo il terremoto in Giappone. Tramite il suo testo hanno capito anche
i grandi problemi che affliggono le
popolazionici nel mondo.”
- I concerti vengono tenuti solo
ad Albona?
“Viaggiamo e cantiamo per tutta l’Istria. Poi abbiamo preso parte
Insegno la recitazione e il canto ai più
piccoli mediante giochi inventati da me.
La musica deve essere un gioco magico
terza classe. E quindi mi sembra
giusto farli cantare in italiano appena quando riescono a capirlo. “
- Qual è il repertorio? Ci
sono solo canzoni per bambini
o si cantano anche canzoni da
“adulti”?
“Il programma è molto vario.
Cantiamo canzoni per bambini, ad
esempio quelle presentate a Voci
nostre, ma anche canzoni del folclore, pezzi d’opera, brani sacri a
più voci. Siamo presenti in quasi
tutte le manifestazioni che si tengono ad Albona ma anche in altre
città. Cantiamo al Concerto di fine
erano undici e noi abbiamo dimostrato come si riesce a convivere
in armonia.“
- I piccoli cantanti parlano a
casa l’italiano o sono di nazionalità croata?
“Ci sono tre/quattro bimbi che
parlano bene l’italiano. È difficile
mantenere l’italianità senza avere una scuola elementare italiana.
Per questo motivo il 90% delle nostre canzoni è in lingua italiana. Io
parlo solo l’italiano con i bimbi, li
faccio ripetere, tradurre le canzoni affinché questa lingua diventi “Skiribico blu” al Teatro di Albona nell’ambito della manifestazioanche parte di loro. È interessante
ne “Albona città sana”
ai Festival di Zagabria, Osijek, Abbazia, siamo stati a Trieste, Muggia,
Monfalcone, Manzano. Una volta
registravamo pure le nostre canzoni, ora a causa della recessione non
succede più. Due anni fa abbiamo
registrato delle canzoni per il Mali
Histria Fest e tre anni fa per un progetto fatto dalla Croce rossa d’Italia, Slovenia e Croazia. Devo sottolineare che il nostro coro è il simbolo della città di Albona, ogni canzone ha una propria coreografia e noi
ci divertiamo da matti!”
- Credo bene! Viaggiare, cantare e divertirsi è sicuramente il
massimo per i piccolini. Ci parli
invece del gruppo XL.
“Questo gruppo è formato da
ragazze che prima cantavano nei
minicantanti ed hanno voluto continuare questa attività. Oltre al canto corale abbiamo anche delle soliste. Il repertorio comprende canzoni
conosciute e meno, nonché canzoni
inedite scritte da mia figlia. Si canta
a tre voci con tanto di coreografia.
Si segue comunque sempre l’interesse delle ragazze, non sono io a
imporre lo stile o il tipo di brani.
Il gruppo ha lo scopo di lavorare
con ragazze che hanno “una mar-
Al Metropolitan Museum of Art «Legendary
Dagli antichi maestri liu
I minicantanti della CI di Albona
NEW YORK - Nel solco di una
tradizione che affonda le sue radici
fino ad Antonio Stradivari, i grandi liutai italiani diventano a New
York “Guitar Heores” in una mostra a loro dedicata presso il Metropolitan Museum. In programma sino al 4 luglio, “Guitar He-
Angelo Mannello (cc 1900)
Un prezioso Andrea Amati (cc 1559)
musica 7
Mercoledì, 25 maggio 2011
aestra delle corali di Albona
ccoli nella loro crescita musicale
“Skiribico blu” in azione
Sabrina Stemberga Vidak
cia in più”. Fino ad alcuni anni fa
le ragazze dell’XL passavano poi
nel coro degli adulti. Ora questo è
cambiato da quando non ci sono più
io a guidare gli adulti. Le ragazze si
sono in un qual modo legate a me e
non hanno il desiderio di continuare
se non ci sono io.”
- Quindi lei è per loro molto di
più di una maestra?
“Certo. Vengono spesso da me
quando hanno qualche problemino,
si confidano, chiedono consigli…”
- Oltre a queste attività all’interno della Comunità, lei è alla
guida dello studio scenico-musicale “Skiribico blu”.
“Questo studio opera nell’ambito del progetto “Albona città sana”,
ed è patrocinato dalla città. Si balla, si canta e si recita. Facciamo dei
musical ai quali partecipano bambini e ragazzi dai 3 ai 15 anni circa.
Lavoriamo in più gruppi: dai 3 ai 7
anni, dai 7 ai 12 e dai 12 in avanti. I membri prendono parte a tutte
le attività, però le scelgono da soli.
Per quanto riguarda le lezioni di
musica/solfeggio prendiamo i bambini dalla prima classe in poi, quelli più piccoli purtroppo si stancano
presto. I prescolari imparano a can-
ticchiare e a stare sul palcoscenico,
e già questo è tanto per un frugoletto di 3 anni.”
I copioni e le coreografie vengono fatti da voi?
“Il copione e le sceneggiature
lo scrivo io, è tutto materiale originale. Lo spettacolo è in pratica un
musical, non ci sono presentazioni. Sono gli attori che tramite una
scenetta introducono la canzone o
il ballo che segue. Si recita in lingua croata, ma anche in italiano e
inglese. Il 20 maggio abbiamo preso parte allo spettacolo fatto da tutte
le “città sane”. Partecipiamo a quello di fine anno, per la giornata della
mamma e ogni qualvolta c’è qualcuno che ci invita. Le coreografie
dei più piccoli vengono pensate da
me, mentre per quelli più grandi da
Dina Bartolić. ”
- Come fa ad insegnare la recitazione e il canto ai più piccoli?
“Mediante giochi inventati da
me. La musica deve essere un gioco magico. Molti di questi bambini
poi continuano a cantare nei minicantanti e più avanti nelle XL. Siamo insomma come come una grande famiglia che si diverte grazie alla
musica.”
I minicantanti della CI di Albona
Craftmen from Italy to New York», favolosa esposizione dei più begli esempi di liuteria italiana e statunitense
utai italiani la nascita di una grande tradizione americana
roes: Legendary Craftsmen from
Italy to New York”, questo il titolo
della mostra, propone un parallelo
tra presente e passato, affiancando maestri classici come Antonio
Stradivari o come i maestri della
scuola napoletana a maestri artigiani immigrati dall’Italia verso
gli Stati Uniti, che in America hanno tenuto alta la tradizione.
Nell’esibizione, che non ha precedenti, sarà possibile ammirare
circa 80 strumenti molti dei quali
realizzati da John D’Angelico, James D’Aquisto e John Monteleone,
tre mastri liutai newyorkesi famosi
in tutto il mondo per i loro strumenti a corda realizzati a mano.
Gli strumenti realizzati da questi artisti sono stati usati negli anni
dai più influenti chitarristi del 20°
secolo, come Cheat Atkins, Les
Paul, George Benson, Paul Simon,
Steve Miller, Mark Knopfler, Jim
Hall e Grant Green.
Per complementare l’esibizione, contestualmente alla mostra è
stata lanciata un’App, la prima mai
realizzata dal Museo, che porta in
vita il processo creativo di questi
maestri e contiene performance
musicali espressamente commissionate dal museo ad hoc per l’esibizione, interviste e video inediti.
Questa dimanica guida multimediale, sviluppata dal Metropolitan’s Digital Media Department,
può essere scaricata gratis da iTunes. Molte delle App multimediali sono disponibili anche sul sito
del Met.
Il lavoro dei liutai italiani è
sempre stato ammirato fin dal 16°
secolo, quando gli artigiani di Venezia e di Cremona fornivano i più
importanti musicisti di tutta Europa. Nei secoli successivi artigiani
come Antonio Stradivari hanno
continuato questa antica tradizione. Alla fine del 18° secolo fu Na-
poli a diventare il centro dominante per gli strumenti a corda prodotti
in Italia e lì vi rimase fino a quando, a cavallo fra il 19° ed il 20°
secolo, moltissimi liutai del sud
d’Italia emigrarono a New York,
continuando questa antica tradizione tutta made in Italy dedicata
alla realizzazione di violini, chitarre e mandolini, che fra il 1890 ed
il 1920 in America raggiunsero il
loro picco di popolarità.
Alla fine degli anni ‘20 molti liutai italo-americani persero
commissioni a causa di un drastico cambio di gusti musicali che
invase l’America. Ed è in quegli
anni che il giovane John D’Angelico, insieme ad un piccolo gruppo
di artigiani, sopravvisse alla crisi
che invase il mondo dei liutai cominciando a costruire chitarre Archtop, uno strumento che combina
gli elementi del violino con quelli
della chitarra, basandosi sul mo-
John Monteleone e le sue chitarre
dello prodotto a quel tempo dalla
gibson Guitar Company. La tradizione venne portata avanti dal
suo apprendista James D’Aquisto
e continua oggi con John Monteleone.
8 musica
Mercoledì, 25 maggio 2011
LA RICORRENZA Sei titoli per la 89.esima edizione del Festival lirico all’Arena
Verona, la magia della lirica
che perdura nel tempo
Dieci anni di Notre Dame de Paris
VERONA - Il prossimo 17 giugno si riaccende la
magica atmosfera del Festival lirico all’Arena di Verona, giunto alla sua 89.esima edizione: 6 titoli in scena
fino al 3 settembre in un susseguirsi di 49 serate.
Il Festival 2011 inaugura e conclude con due nuove produzioni, La Traviata di Giuseppe Verdi per la
regia di Hugo de Ana e la direzione di Carlo Rizzi, e
Roméo et Juliette di Charles Gounod, direttore Fabio
Mastrangelo.
Nel cuore del Festival gli allestimenti storici delle opere verdiane per la regia di Gianfranco de Bosio:
Aida diretta da Daniel Oren, e Nabucco vede sul podio
Julian Kovatchev.
In programma anche le riprese de Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini per la regia di Hugo de
Ana e con il debutto areniano del giovane direttore
veronese Andrea Battistoni, e La Bohème di Giaco-
mo Puccini regia di Arnaud Bernard e direttore John
Neschling.
Titoli molto amati dal pubblico areniano, che vedono
impegnati tutti i settori artistici - Orchestra, Coro, Corpo
di ballo, comparse - e tecnici della Fondazione Arena di
Verona. In scena, come da tradizione, saranno protagoniste le voci più note del panorama lirico internazionale,
insieme agli attesi debutti di giovani artisti emergenti.
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
ha manifestato la volontà di partecipare il prossimo 17
giugno alla serata inaugurale del Festival Lirico veronese.
Accettando l’invito del Sindaco Flavio Tosi a celebrare a Verona la ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il Presidente assisterà alla Prima del
nuovo allestimento de La Traviata di Giuseppe Verdi,
aperta dall’esecuzione dell’Inno di Mameli.
Notre Dame de Paris, il musical tratto dal romanzo di Victor Hugo
rivisitato per l’Italia da Riccardo Cocciante e che ha affascinato oltre
15 milioni di spettatori in tutto il mondo, riparte in tour per festeggiare i dieci anni di successo e lo fa con un cast più giovane e completamente rinnovato. La tournee del decennale del meraviglioso spettacolo musicale applaudito nel nostro paese da oltre due milioni e mezzo
di persone nel corso di 842 repliche è partito l’11 maggio scorso dal
Teatro Regio di Parma per poi concludersi il 4 agosto all’Anfiteatro
Romano di Cagliari. Quando andò in scena per la prima volta in Italia,
“Notre Dame de Paris” era già stato visto ed applaudito in Francia da 3
milioni di spettatori. Tradotto in quattro lingue dal francese, lo spettacolo aveva spopolato in Russia, era andato in scena a Barcellona nella
versione spagnola e nel West End londinese in quella inglese.
“Le mie radici sono nell’opera - spiega Cocciante - Nato a Saigon,
da bambino trascorrevo molto tempo con una zia diplomata al Conservatorio. Sono cresciuto con Puccini e Rossini. A undici anni, in Italia, mi innamorai dei francesi”. Famoso in Italia e in Francia, il cantautore vive in Irlanda ma “mi sento mediterraneo. E forse è per questo
cosmopolitismo che “Notre Dame” viene applaudito allo stesso modo
a Roma, Mosca o a Seoul”.
Pagliacci e curiosità
LE GRANDI VOCI Ebe Stignani, regina del belcanto
2009), uno dei personaggi, Rorschach, scrive nel suo diario di
una barzelletta sentita una volta che coinvolge Pagliacci, in
riferimento alla morte di un altro personaggio , Il Comico. La
barzelletta consiste in un uomo
che va da un medico e si lamenta della depressione. Il medico
gli dice di andare allo spettacolo del “grande clown Pagliacci”
Nel 1943, per la regia di Giu- al fine di rincuorarlo. Tuttavia,
seppe Fatigati, viene girato il l’uomo scoppia a piangere, difilm ispirato alla scrittura del- cendo al medico che, in realtà,
l’opera e alla vicenda narrata, lui è il clown Pagliacci.
con Alida Valli nel ruolo della
L’opera di Ruggero Leonfiglia di Canio.
cavallo s’intitolava originariaNel film “Gli intoccabili di mente “Il Pagliaccio”. Ma, sicBrian De Palma” vi è una fa- come doveva rappresentarlo per
mosa sequenza in cui Al Capo- la prima volta il baritono franne, interpretato da un Robert De cese Victor Maurel, tipo molto
Niro sopra le righe e d’antolo- orgoglioso e puntiglioso, quegia, si commuove mentre assiste sti s’impuntò:” Nelle opere del
all’aria eseguita da Enrico Caru- mio repertorio la parte del baritono dev’essere nel titolo. Qui il
so di “Ridi pagliaccio”.
titolo comprende solo il tenore.
Nella città di Montalto Uffu- Pertanto, se non cambiate il tigo (CS) si tiene ogni anno un fe- tolo, io non canto!”. L’editore,
stival dedicato al Maestro Rug- per evitare di mettere a rischio
gero Leoncavallo. L’8 luglio la prima,ebbe un’idea genia2007 è stata rappresentata per le. Cambiò il titolo da singolala prima volta l’opera Pagliac- re a plurale: “I pagliacci”.Così
ci, integralmente, sulle scale nel titolo era compreso anche il
del duomo della Madonna del- baritono!Si andò in scena regola Serra, con la regia di Maria larmente e il successo fu trionFrancesca Siciliani e l’interpre- fale.
tazione, oltre che di professioniNel film “The mask - da
sti, di personaggi presi tra la popolazione.
zero a mito” del 1994,durante
la scena dell’officina che vede
Nella serie a fumetti limitata il protagonista Stanley Ipkiss
di Alan Moore e Dave Gibbons (Jim Carrey) truffato dai due
“Watchmen” (così come nel suo meccanici,si può sentire in sotadattamento
cinematografico tofondo il “Ridi pagliaccio”.
Il virtuosismo e il timbro cristallino
di un mezzosoprano da non dimenticare
La canzone dei Queen It’s
a Hard Life, scritta da Freddie
Mercury, inizia con l’aria “Ridi
pagliaccio”, con le parole “I
don’t want my freedom, there’s
no reason to living with a broken heart”. Mercury non ha mai
fatto mistero di amare l’opera, e
i compositori italiani in particolar modo.
Ebe Stignani (Napoli, 11 luglio
1903 – Imola), mezzosoprano italiano tra più prestigiosi e cantante lirica di caratura internazionale
nasce da famiglia romagnola originaria di Bagnacavallo. Nel 1916, a
13 anni, si iscrive al Conservatorio
San Pietro a Majella, dove studia
pianoforte con Rassomandi e composizione con De Nardis. Il suo desiderio è diventare insegnante, ma
durante un saggio di canto il maestro Roche ne scopre le doti di cantante e la invita a specializzarsi anche in quella disciplina. Nel 1923
si diploma in pianoforte e l’anno
successivo in canto.
Debutta al Teatro San Carlo
nel 1925, nel ruolo di Zephira ne
Il cavaliere della rosa di Strauss ed
inizia poi la carriera internazionale
esibendosi nei teatri del Sudamerica (specialmente Argentina e Cile),
dove diviene in breve tempo uno
dei mezzosoprano più richiesti.
Dagli anni trenta al 1956 è
ospite fissa del Teatro alla Scala,
interpretando svariati ruoli, tra cui
Eboli (Don Carlo), Adalgisa (Nor-
ma), Laura (La Gioconda), Azucena (Il trovatore), Leonora (La Favorita). Inaugura alla Scala almeno
venti stagioni d’opera.
Canta inoltre al Covent Garden
di Londra nel 1937, 1939, 1952, 55
e 57, a San Francisco nel 1938 e
48, a Dallas nel 1955.
Partecipa alle prime rappresentazioni de Le preziose ridicole di
Felice Lattuada (Cathos) nel 1929
e di Lucrezia di Ottorino Respighi
(Voce) nel 1937. Tra i suoi partner
preferiti Beniamino Gigli, Mario
Del Monaco, Renata Tebaldi, Maria Callas.
Nel 1935 si stabilisce a Imola
e nel 1941 sposa l’ingegner Alfredo Sciti; dall’unione nasce il figlio
Dino. Nel 1958, in seguito alla
scoperta di una malattia a un rene
che ne richiede l’asportazione, decide di ritirarsi dalle scene. Trascorre ad Imola il resto della vita e
scompare all’età di 71 anni. Riposa
a Bagnacavallo.
Ebe Stignani si caratterizzò per
la straordinaria tecnica belcantistica unita a una particolare estensio-
ne (dal fa grave al do sovracuto,
fa2 – do5), che le consentì di affrontare ruoli scritti anche per contralto e soprano drammatico. Alle
doti vocali unì una buona presenza scenica.
Come omaggio all’illustre concittadina, il 20 dicembre 1977 il
Consiglio Comunale di Imola intitolò alla sua memoria il Teatro
comunale.
Anno VII / n. 50 del 25 maggio 2011
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MUSICA [email protected]
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Denis Host-Silvani
Collaboratori: Patrizia Chiepolo Mihočić e Ardea Stanišić
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