DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww & il pentagramma musica An no VII • n. 1 201 o i g 50 • Mercoledì, 25 mag Inter sanctum et profanum di Patrizia Venucci Merdžo Gentilissimi, se il destino non avesse prematuramente mietuto la sua giovane vita, Dino Ciani, il grande pianista di origini fiumane, avrebbe compiuto, il prossimo 16 giugno, settant’anni. Possiamo solo immaginare quale sarebbe stato il suo posto nel panorama pianistico internazionale-un ruolo da protagonista, certamente-se il suo percorso artistico non fosse stato tragicamente interrotto nel marzo del 1974 da un disgraziato incidente automobilistico sulla Via Appia. Nonostante la relativa brevità della sua parabola artistica, e il trascorrere del tempo, il mito di Dino Ciani, invece di affievolirsi, cresce e contagia, e le sue interpretazioni – ora reperibili anche sul mezzo telematico - infervorano e scuotono; è come se la carica spirituale della sua rara personalità continuasse a irradiarsi nel tempo. È difficile esprimere a parole ciò che Ciani è capace di dire con la musica; Riccardo Muti lo ha definito il più istintivo tra i musicisti. Ciò che colpisce nelle sue interpretazioni è il suo meraviglioso e naturale senso poetico (Chopin) e in genere la straordinaria capacità di comunicare le pagine dei più disparati autori e stili. Si tratti di Balakirev, che egli porta con travolgente irruenza; si tratti di Prokofjev o Bartok, in cui ratio, immaginazione e selvaggia elementarietà si fondono, o di pagine debussiane restituite con l’immaginazione del visionario, oppure ancora del complesso e appassionato universo schumanniano...E dietro a ogni interpretazione, immancabilmente, c’è un profondo e importante momento culturale. Ero poco più di una bambina quando Dino Ciani suonò all’ex Palazzo del Governo a Fiume; eppure ricordo ancora quel suo poetare, quel suo immergersi nella musica, quel „farsi musica“. Interpretò, tra l’altro, Mozart (la Fantasia in do minore, se non vado errata), Schumann e la Wanderer sonata di Schubert. Di quest’ultimo brano mi sono rimasti impressi gli slanci, una sensazione di squisita raffinatezza e la travolgente forza nell’esporre il tema nel fugato finale. Fu un trionfo. Il pubblico – nota bene, di quelli esigenti e preparati- era rimasto ammaliato, quasi soggiogato, da questa straordinaria personalità d’artista. xxxxx La visita apostolica di Benedetto XVI a Venezia (7 e 8 maggio scorsi), evento di grande impatto comunicativo, mediatico e organizzativo, si è svolta in una cornice musicale eccezionale. La celebrazione della Messa nel Parco di San Giuliano a Mestre ha visto la partecipazione di un coro di 1060 elementi, nel quale sono confluite le migliori compagini polifoniche professionali e amatoriali del Triveneto, accompagnate da una megaorchestra sinfonica e da diverse formazioni bandistiche della Regione. Un dispiego di forze davvero imponente e di alta qualità. In esecuzione brani dei grandi maestri veneti e italiani del Rinascimento: Pierluigi da Palestrina, Claudio Monteverdi, i fratelli Gabrieli, Orlando di Lasso. Nella Basilica di San Marco, in un tripudio di ori e mosaici bizantini, il Papa è stato accolto da un vero e proprio concerto eseguito sui tre preziosi or- gani settecenteschi di Gaetano Callido (op. 29, op.30 e op.31 del 1766) , massimo organaro della scuola veneta del XVIII secolo, il quale “firmò” pure gli organi di Piè di Monte e della cattedrale di Capodistria. Dunque, un evento pastorale importante che è stato causa e motore di un “sinodo musicale” del Veneto, mettendo in luce ed esponendo all’attenzione mediatica il suo grande patrimonio di musica sacra del passato. È interessante notare come ad ogni visita apostolica del Pontefice, appassionato cultore di musica classica e di canto gregoriano, l’ospitante presti una cura particolare nella scelta delle musiche sacre. Superbe furono pure le esecuzioni corali degli antichi maestri inglesi durante la visita del Papa nel Regno Unito. Riccardo Muti, grande alleato di Benedetto XVI, ha confessato la sua ammirazione per il Pontefice che ha fatto della bellezza, della musica e del recupero della sacralità nella liturgia una delle cifre del suo pontificato. Già il 21 ottobre del 2005, al termine di un concerto di musica classica eseguito in suo onore nell’Aula Paolo VI, il Papa si era soffermato sull’importanza universale della musica. “Formulo voti - aveva detto - che l’armonia del canto e della musica, che non conosce barriere sociali e religiose, rappresenti un costante invito per i credenti e per tutte le persone di buona volontà, a ricercare insieme l’universale linguaggio dell’amore che rende gli uomini capaci di costruire un mondo di giustizia e di solidarietà, di speranza e di pace“. Immancabilmente Vostra 2 musica Mercoledì, 25 maggio 2011 RICORRENZE Colloquio musicale con Vlado Gašparović Gašo, insignito dello «Stem I primi vent’anni del «Jazz time di Ivana Precetti FIUME - Si è appena conclusa a Fiume la 20.esima edizione del festival “Jazz Time”, dedicato quest’anno al grande musicista Boško Petrović, venuto a mancare improvvisamente il 10 gennaio scorso all’età di 75 anni. Un giubileo importante, per un appuntamento ormai immancabile nel capoluogo quarnerino. Vent’anni di percorso travagliato, non sempre facile, a volte anche duro, ma alla fine vincente, in cui la scena jazz ha saputo ritagliarsi, pian piano, timidamente ma con tenacia, uno spazio tutt’altro che indifferente in una città ritenuta da sempre la culla del rock. Oggi possiamo dire senza remore che il jazz a Fiume è forte, forse anche più di quel rock ormai un po’ dimenticato e che avrebbe bisogno di nuova linfa vitale per poter raggiungere i livelli di un tempo. Buona parte del successo della musica jazz a Fiume la si deve soprattutto al festival “Jazz Time”, senza il quale forse non avrebbe avuto lo stesso percorso e la stessa fortuna. Ne abbiamo parlato col diretto interessato, il direttore del festival, Barbara Denerlein Vlado Gašparović nello studio di Radio Fiume durante una trasmissione dedicata al jazz fondatore dell’agenzia GIS, che lo organizza, nonché musicista, Vlado Gašparović Gašo, insignito quest’anno della Targa d’Oro “Stemma della Città di Fiume” per gli eccezionali successi raggiunti in campo musicale e, soprattutto, nella gestione organizzativa e artistica. Ci ha raccontato che inizialmente, il primo anno, il “Jazz Time” era stato soltan- Boško Petrović al Jazz time to un concerto di musicisti locali di Fiume e della Riviera liburnica per trasformarsi, già nell’edizione successiva, in un evento internazionale. “Nei primi anni il festival si è svolto nella Sala dei Marmi del Palazzo del Governo, dopo di che è passato alla Filodrammatica in Corso, per finire alla Casa della cultura (HKD) – ha esordito Gašparović –, dove viene ospitato anche oggi, con una piccola parentesi l’anno scorso al club Stereo, dove si è tenuto il concerto del John Scofield Quartet. L’evento è cresciuto negli anni diventando uno dei festival più prestigiosi a Fiume, ma anche in Croazia. Nelle prime edizioni si articolava in due giorni mentre oggi si svolge in tre serate accompagnate dalle ‘jam session’ dei musicisti eseguite nei piano bar cittadini. Una prassi che abbiamo introdotto ancora ai tempi in cui operava il ‘Gal’, locale fiumano frequentatissimo da artisti di tutti i tipi”. Città di Fiume, e precisamente di Helena Semion Tatić, e più tardi di Sandra Vujović, le quali hanno saputo riconoscere il valore del programma e con le quali collaboro con successo da anni. Credo che siamo riusciti a creare una manifestazione musicale di tutto rispetto, riconoscibile e di grande qualità. Il festival, oltre che attirare un numero sempre più significativo di appassionati del jazz, è riuscito a stimolare e sviluppare la scena musicale regionale, sollecitato i giovani musicisti a occuparsi più seriamente di musica e avvicinato la scena jazz internazionale al nostro pubblico. È questo il suo maggior successo”. - Che voto darebbe all’odierna scena jazz fiumana? Come la giudica in rapporto alle altre in Croazia, o nel mondo? Si differenziano in qualcosa i nostri musicisti? “La scena jazz fiumana si è rafforzata molto negli ultimi vent’anni e oggi è un segmento di tutto Il risveglio del jazz a Fiume risale alla metà degli anni Ottanta. In quell’epoca sono emersi musicisti del calibro di Darko Jurković-Charlie, Elvis Stanić, Denis Razumović-Razz, Henry Radanović, Tonči Grabušić e altri Alfredo De La Fe durante un’esibizione fiumana al “Jazz time” “Tre anni fa – ha proseguito – la 18.esima edizione del ‘Jazz Time’ si è tenuta in due spazi: all’HKD e al club ‘Tunel’, dove da allora si svolgono le ‘jazz session’. Questo nuovo concetto di festival è piaciuto subito e abbiamo voluto mantenerlo, nonostante il drastico calo dei fondi. Direi che è un modo molto più democratico e... variopinto di offrire musica a un numero più ampio di spettatori”. - Quali performance le sono rimaste maggiormente impresse? A cosa e a chi si deve il successo del festival “Jazz Time”? “Non potrò mai dimenticare l’esibizione di Angela Brown in Filodrammatica, di Kenny Burrell, del Benny Golson Quartet, del Bobby Watson Quartet, del sestetto di Alfredo De La Fe all’HKD e ovviamente quello del John Scofield Quartet allo Stereo. Il Festival ha goduto da sempre dell’appoggio e del sostegno del Dipartimento per la cultura della rispetto della musica croata in generale. È ovvio che ad esempio a Zagabria, come in ogni altra metropoli, il jazz sia ancor sempre a livelli maggiori, ma quello fiumano ha un suo timbro particolare. Direi che è più vicino al grande Charlie Parker, mentre la scuola zagabrese è cresciuta e si è sviluppata sulle note di John Coltrane. Credo che l’epoca dei jazzisti fiumani debba appena arrivare. Il loro potenziale e la loro creatività devono appena emergere. Qui mi riferisco soprattutto ai giovani, molto ben istruiti jazzisti, che hanno appena terminato o stanno per terminare gli studi presso gli istituti musicali di Trieste, Graz e Klagenfurt. È ovvio che non ci si possono aspettare traguardi come ad esempio a New York, ma in questa regione abbiamo grandi motivi di soddisfazione”. - Quando si è formata la scena jazz a Fiume e come si è sviluppata nel tempo? Chi sono musica 3 Mercoledì, 25 maggio 2011 mma della Città di Fiume» per eccezionali meriti artistici » fiumano, una storia favolosa Foto di gruppo con Bobby Watson e Ralph Peterson stati i suoi fondatori? Che cosa è cambiato negli anni? “Tutto è iniziato dopo la Seconda guerra mondiale, grazie soprattutto alle Big Band e a qualche entusiasta, per arrestarsi negli anni Settanta quando non esisteva affatto. Il risveglio del jazz a Fiume risale alla metà degli anni Ottanta, di iniziare a occuparsi di organizzazione di concerti? “Ho suonato tanto negli anni Ottanta e Novanta ed è stata una cosa naturale passare dal rock al jazz. Quando Dorian Hatta è diventato f.f. di direttore dell’Ufficio concertistico, ha buttato lì quest’idea di organizzare un festival Credo che siamo riusciti a creare una manifestazione musicale di tutto rispetto, riconoscibile e di grande qualità grazie ad alcune rock band che hanno deciso di cambiare... musica, di tornare alle origini. In quell’epoca sono emersi musicisti del calibro di Darko Jurković-Charlie, Elvis Stanić, Denis RazumovićRazz, Henry Radanović, Tonči Grabušić, e più tardi anche Ivan Popeskić, Branimir Gazdik, Marko Lazarić, poi è tornata Lela col marito, il pianista Joe Kaplowitz, e via dicendo. Con la scuola di Josip ‘Pepi’ Forembacher, Spartac Črnjarić e Darko Mihelić ‘Bočo’, questo è stato il primo grande gruppo di musicisti, gruppo che suona ancora oggi e che con i giovani talenti rappresenta uno dei segmenti musicali più forti a Fiume e circondario”. Ha il jazz fiumano un suo pubblico? “Devo dire che il pubblico jazz a Fiume non è molto numeroso, come d’altronde da nessuna par- Mi piacciono molto le cantanti jazz Alba Nacinovich, Astrid Kuljanić e Lela Kaplowitz te. Il jazz è molto esigente, chiede molto, sia dal punto di vista dell’interpretazione che dell’ascolto. Lo stesso vale per il pubblico fiumano, che richiede molto e ha un orecchio molto fine. In questi vent’anni è riuscito a capire per bene questo genere musicale e a saper riconoscere il suo vero valore”. - Quest’anno ha ricevuto la prestigiosa Targa d’Oro “Stemma della Città di Fiume”. Che cosa significa per lei questo riconoscimento? Quando ha deciso jazz. Ho accettato senza pensarci due volte e da qui è iniziato tutto. Poco tempo dopo abbiamo cominciato a organizzare anche concerti di musica classica, che anche oggi è la nostra principale attività. Col passare degli anni c’è stata la necessità di istituire un’agenzia concertistica (la GIS appunto, nda) che in un certo senso ha riempito il vuoto creatosi dopo la chiusura dell’Ufficio Concerti e della Gioventù musicale (Glazbena omladina). Per quanto riguarda la Targa d’Oro, devo dire, senza falsa modestia, che in un certo senso me l’aspettavo. Nonostante ciò, per me ha un grande valore e rappresenta un riconoscimento del mio lavoro, di un’attività di cui mi occupo da tutta una vita e che ha lasciato un segno nel nostro piccolo. Credo che abbiamo fatto un buon lavoro per la cultura fiumana in generale. Oggi vado particolarmente fiero delle 900 e passa trasmissioni radiofoniche a Fiume che in tutti questi anni sono state dedicate alla musica jazz”. - Che cosa pensa della scena musicale fiumana in generale? Ci sono spazi sufficienti e soddisfacenti? Quanto è sensibile musicalmente il pubblico fiumano? “Be’, vista la mancanza di media che potrebbero riportare con qualità e competenza ciò che succede sulla scena, essa è ancora molto buona. È difficile farsi... sentire quando si è lontani dai media nazionali, ma nonostante ciò osservo con piacere che i nostri musicisti non hanno la tendenza di ‘fuggire’ nella metropoli come altri e che pertanto la vita a Fiume non è così male. Per quanto riguarda la sensibilità musicale del pubblico fiumano, posso dire con certezza che essa si trova a livelli invidiabili, ma ancor sempre al di sotto di quelli dell’Europa occidentale”. Enzo Favata - Chi la ispira dei grandi jazzisti storici? E tra quelli fiumani, c’è qualcuno in particolare che le piace? “Personalmente sono un grande fan di Miles Davis. Egli è stato uno secondo lei il più grande jazzista di tutti i tempi? “Il jazz è un genere musicale che non ha limiti e la libertà e la giocosità che esso offre dovrebbero essere un modo di vita. Tutto sarebbe più Non potrò mai dimenticare l’esibizione di Angela Brown in Filodrammatica, di Kenny Burrell, del Benny Golson Quartet, del Bobby Watson Quartet, del sestetto di Alfredo De La Fe all’HKD e ovviamente quello del John Scofield Quartet allo Stereo dei pochi musicisti che ha avuto il potere di sviluppare nuovi generi, di partecipare a una miriade di piccole rivoluzioni musicali, con innato e immenso spirito e creatività. Ultimamente trovo molto interessanti quei musicisti che combinano con successo il classico e il jazz come Keith Jarrett, Brad Mehldau e Wynton Marsalis. Ma ascolto con piacere anche splendidi chitarristi quali Bill Frisell, John Scofield, Pat Metheny... ”. - Che cosa significa per lei il jazz? Come lo definirebbe? Perché è così difficile capirlo? Chi è bello e più facile se la gente accettasse e praticasse di più questo modo di essere. Non esiste il più grande jazzista di tutti i tempi. Ce ne sono tanti, da Armstrong a Duke, Basie, Monk, Mingus, Parker, Miles, Jarett, fino ai giorni nostri. Tutti hanno contribuito a dare un qualcosa a questa storia infinita che è il jazz”. - Che cosa sta preparando la GIS in un prossimo futuro? C’è qualche musicista o band in particolare che vorrebbe portare a Fiume? “Stiamo preparando per quest’anno ancora qualche concer- Miles Grifith to classico. Cercheremo inoltre di registrare un CD con i jazzisti fiumani. Un grandissimo lavoro e contributo per lo sviluppo del jazz a Fiume lo ha dato il bar-club ‘Tunel’ che ospita le jazz session. Credo che questa sia una delle migliori cose successe a Fiume negli ultimi anni, per quanto riguarda il jazz. Sarebbe bello se si formasse una vera Big Band professionista e un Reparto jazz in seno al Dipartimento dell’accademia musicale. Con la presenza, infine, di giornalisti competenti, il gioco sarebbe fatto. Ma credo che dovremo aspettare un po’ prima che ciò succeda”. La mia ultima domanda riguarda i giovani talenti fiumani. C’è qualcuno in particolare che emerge? “Vado particolarmente fiero di questa nuova generazione di jazzisti che pian piano si sta facendo valere. Sono musicisti giovani, che hanno studiato o stanno ancora studiando nelle accademie e nei conservatori. Mi piacciono molto le cantanti Alba Nacinovich, Astrid Kuljanić e Lela Kaplowitz, mentre dei giovani musicisti sceglierei i fratelli Zvjezdan e Vedran Ružić, Damjan Grbac, Bruno Mičetić, Andy Cech, Tonči Trinajstić, Marko Duvnjak e molti altri”. 4 musica Mercoledì, 25 maggio 2011 Mercoledì, 25 maggio 2011 5 LA GRANDE MUSICA Le pagine violinistiche dimostrano la capacità mozartiana di dare un impulso radicale ad un genere musicale, raggiungendo immediatamente risultati di assoluta perfezione I concerti per violino di Mozart e l’influenza della tradizione italiana Il castello di Strasburgo che domina la città I favolosi giardini rococò del castello di Strasburgo Wolfgang Amadeus Mozart di Michele Trenti M Arcangelo Corelli Antonio Vivaldi ozart compose i cinque concerti per violino e orchestra nell’arco di pochi mesi del 1775, all’età di 19 anni. Negli anni seguenti non tornerà più sul genere, salvo che, con approccio diverso, per il capolavoro della Sinfonia Concertante K.364, per violino, viola e orchestra, del 1779. Diversi fattori spinsero Mozart, nel periodo che va dal 1773 al 1777, ad approfondire il suo rapporto con il violino, ed in particolare con la forma del Concerto; dopo di che il rapporto esclusivo con il pianoforte, come strumento solistico prediletto, fu rotto solo per occasionali incursioni in campi diversi: dal flauto, che ha due concerti (uno dei quali trascritto anche per oboe) più uno con l’arpa, al corno, che ha quattro concerti; nella maturità fu il clarinetto ad ispirare il meraviglioso concerto in La maggiore K.622. Alla Corte di Salisburgo, presso la quale Mozart era a quell’epoca impiegato, era dilagata la moda di Serenate e Divertimenti con parti di rilievo virtuosistico per il primo violino; ciò portò a Salisburgo valenti esecutori, fra i quali il napoletano Antonio Brunetti. Mozart aveva avuto inoltre, attraverso numerosi viaggi in Italia, contatti con la grande tradizione violinistica, che dagli albori era giunta fino a Nardini e Pugnani, passando per autori-esecutori del calibro di Corelli e Vivaldi. Si consideri che il violino era nato da appena un secolo e mezzo quando Mozart si accinse a scrivere i suoi concerti; le grandi famiglie di liutai lombardi, Amati, Maggini, poi Stradivari e Guarneri, avevano fornito strumenti di straordinaria qualità a musicisti che ne seppero sfruttare al massimo le potenzialità: Cima, Co- lino (K.207, 211, 216, 218, 219) Mozart aveva composto solamente due concerti per strumento solista e orchestra: il concerto per pianoforte K.175 ed il concerto per fagotto K.191; i primi approcci alla scrit- All’epoca di Mozart la grande lezione vivaldiana, con gli oltre 260 concerti per violino, sovrasta ancora ogni altra concezione del concerto violinistico tura solistica con orchestra erano avvenuti attraverso la trascrizione di lavori altrui, arrangiati a concerti per piano e orchestra (K.37, 39, 40 e 41): era usanza per un giovane compositore maturare un’esperienza artigianale su modelli dati, come avava fatto Bach con i concerti di Vivaldi. A sette anni Mozart aveva già composto le prime sonate per vio- Cima, Corelli, Torelli, Veracini, Vivaldi, Locatelli e Somis aprirono dall’Italia una strada che presto si sviluppò in tutta Europa, dilagando spesso come una vera e propria moda presso corti e famiglie nobili relli, Torelli, Veracini, Vivaldi, Locatelli e Somis, per citare alcuni esempi, aprirono dall’Italia una strada che presto si sviluppò in tutta Europa, dilagando spesso come una vera e propria moda presso corti e familie nobili. Il padre di Mozart, Leopold, aveva a suo tempo subito il fascino di questa moda, ed aveva scritto un trattato di esecuzione violinistica, insegnando a Wolfgang la tecnica necessaria a comparire degnamente in qualità di solista nei concerti di corte. Ciononostante la scrittura violinistica mozartiana non indulgerà mai a virtuosismo fine a se stesso, puntando consapevolmente su un discorso di impronta musicale-espressiva. Prima di affrontare la composizione dei cinque concerti per vio- zione, precedenti di cinquant’anni i concerti mozartiani, si erano diffusi immediatamente in tutta Europa ed avevano affermato uno standard pressochè universale: articolazione in tre movimenti, pro- lino e cembalo;la pratica si era poi sviluppata prevalentemente sul genere delle Serenate e dei Divertimenti, in cui sovente il violino del Konzertmeister assumeva il ruolo di solista. Infine il Concertone K.190 per due violini e archi è il grande precedente che annuncia la fioritura del ciclo dei 5 concerti. I modelli di riferimento All’epoca di Mozart la grande lezione vivaldiana, con gli oltre 260 concerti per violino, sovrasta ancora ogni altra concezione del concerto violinistico: le Quattro Stagioni e gli altri pezzi del Cimento dell’armonia e dell’inven- cedimento per alternanza di parti solistiche e parti orchestrali, contrasti dinamici frequenti di forte e piano. Il modello vivaldiano è però indirizzato alla ricerca dell’effetto attraverso passaggi virtuosistici ed inoltre la sintassi musicale di Vivaldi nel 1770 è decisamente superata. Sul trattamento mozartiano del violino influisce la natura vocale del fraseggio, passata dallo stile settecentesco dell’opera alla musica strumentale, il tipo di scrittura della scuola boema, vicina al mondo musicale austriaco, mentre minore è l’attrazione esercitata dallo stile brillante alla francese; Mozart ambisce infine a forme di maggior respiro: basti pensare che la durata media di un concerto di Vivaldi è di dieci minuti, mentre un concerto di Mozart dura 25 minuti, pur essendo articolati allo stesso modo in tre movimenti. Tra i modelli precedenti, quello più vicino alla ricerca di un ideale di aurea proporzione architettonica è Corelli, che nel primo barocco aveva incarnato la tendenza più classica, quasi neorinascimentale. L’esigenza di trovare una risposta ai problemi di linguaggio che si presentano e l’eccezionale senso dell’equilibrio nell’armonia delle architetture, porteranno Mozart alla formulazione di uno stile che è a tuttoggi definito Classicismo musicale. La perfezione delle soluzioni trovate non deve però far dimenticare il cammino di ricerca e di sperimentazione di un linguaggio che all’epoca era nuovo ed in rapida evoluzione. Evoluzione della forma Il corpus dei concerti per violino costituisce un fulgido esempio di come la geniale capacità di Mozart potesse in brevissimo tempo dare un impulso radicale ad un genere musicale, raggiungendo immediatamente risultati di assoluta perfezione. In questo contesto appare chiara ed inequivocabile la differenza stilistica fra i vari concerti e la maturazione progressivamente avvenuta nell’elaborazione personale della scrittura compositiva. Il grande merito di Mozart è quello di aver cercato, istintivamente, una solidità strutturale ed una dignità sinfonica in un genere che prestava il fianco ad atteggiamenti brillanti e superficiali, particolarmente durante l’epoca dello di assoluta intensità; la forma-sonata, che governa la struttura dei primi movimenti e di gran parte dei finali, è sempre più ampia e chiaramente articolata, secondo un modello che Mozart stesso porterà a risultati eccelsi nei concerti per pianoforte e orchestra della maturità. Cenni sull’interpretazione L’evoluzione stilistica rilevata nella scrittura dei cinque concerti può essere sottolineata in maniera interessante in fase concertistica. Una intenzione interpretativa in tale direzione è acquisizione della recente prassi esecutiva, supportata da una coscienza stilistica sconosciuta fino a pochi decenni addietro. La visione cameristica dei primi due concerti, oltre a suggerire l’uso di organici ridotti, si lega felicemente all’adozione di prassi esecutive di derivazione tardobarocca e preclas- Il grande merito di Mozart è quello di aver cercato, istintivamente, una solidità strutturale ed una dignità sinfonica in un genere che prestava il fianco ad atteggiamenti brillanti e superficiali, particolarmente durante l’epoca dello Stile Galante Stile Galante. Decisamente marcata è la differenza di fondo fra i primi due concerti e gli ultimi tre, nei quali la scrittura solistica diventa più compiuta e matura, il trattamento dell’orchestra più sinfonico, il carattere musicale più personale. Il primo ed il secondo concerto risentono ancora di una scrittura di base a tre parti (due violini e basso), retaggio della triosonata barocca, mentre nei successivi concerti la tessitura è più complessa, felicemente fecondata da moduli caratteristici del pensiero sinfonico e dell’opera settecentesca; la cantabilità di impronta italiana raggiunge punte Francesco Maria Veracini sica, mentre è necessariamente più sinfonico l’approccio agli ultimi tre concerti, con un carattere più solido ed una maggior imponenza sonora. Nel quinto concerto, in cui Mozart si lascia andare all’originalità del proprio carattere, passando dalla pura soavità dell’introduzione e dell’Adagio alle bizzarrie del Rondò finale, è maggiore lo spazio lasciato all’intervento dell’interprete, con il pericolo talvolta di perdere il senso della classica proporzione che governa mirabilmente la forma. I concerti di Mozart sono considerati il banco di prova più arduo per un solista, offrendo poche possibili- Pietro Locatelli tà di coprire imprecisioni tecniche o una non convincente concezione interpretativa con effetti virtuosistici; per lo stesso motivo sono brani ideali a mettere in luce il senso artistico più raffinato di un interprete, cui non deve mancare la paletta completa delle sfumature tecniche, dai colpi d’arco al senso del vibrato, dall’articolazione al colore ed alla dinamica. E’ inoltre necessario possedere un senso della forma complessiva, per la resa delle meravigliose proporzioni architettoniche dei concerti. Le caratteristiche musicali che contraddistinguono i concerti per violino di Mozart non ne fanno brani di eccezionale impatto immediato, ma piuttosto opere il cui ascolto, soprattutto se ripetuto, svela progressivamente gli armoniosi rapporti interni che governano la musica, affidando agli esecutori un compito particolarmente delicato nel panorama del repertorio per violino e orchestra. Influssi di Mozart sull’evoluzione del concerto per violino Diretta influenza dei concerti per violino di Mozart sui composi- tori successivi è ravvisabile in primo luogo nei tentativi nel genere, giovanili, di Schubert e, attraverso un’impronta personale di particolare significato, in Beethoven (Concerto op.61 e Romanze per violino e orchestra). La coerenza costruttiva di Mozart influenzerà positivamente Giambattista Viotti, che, unendo la cantabilità della concezione italiana, la brillantezza del gusto francese e la salda concezione strutturale tedesca, giungerà ad un nuovo modello di concerto per violino; proprio da questo modello muoverà Paganini innestandovi le più audaci conqui- ste della sua trascendentale tecnica strumentale. I sei concerti di Paganini dovranno molto anche al linguaggio dell’opera contemporanea: grande predecessore di questo procedimento è ancora una volta Mozart, che nell’ampio episodio alla turca del Rondò del quinto concerto riesuma alcune idee da un progettato Gelosie del Serraglio, e che trasferisce, qui come in successive creazioni, dallo stile teatrale alla musica strumentale inedite capacità di movimento e di azione, venendo definito da Alfredo Casella compositore d’opera anche nello scrivere per strumenti. 6 musica Mercoledì, 25 maggio 2011 VITA NOSTRA Intervista con Sabrina Stemberga Vidak instancabile animatrice e m La gioia di accompagnare i più pi di Patrizia Chiepolo Mihočić ALBONA -A nove anni suonava già l’organo in chiesa e iniziava a dirigere il coro. A quattordici era alla guida dei minicantanti della Comunità degli Italiani di Albona. Da allora sono trascorsi tanti anni, ma Sabrina Stemberga Vidak continua a lavorare nel campo della musica e a tramandare questa sua passione a tantissimi giovani. Dopo aver terminato la Scuola di musica a Pola e ottenuto la laurea in pianoforte al Conservatorio “Giuseppe Tartini” di Trieste, Sabrina Stemberga Vidak si è dedicata sempre all’insegnamento del canto, ma anche del pianoforte presso il Centro studi di musica classica dell’Unione italiana” Luigi Dalla Piccola, sezione di Verteneglio. Ora la troviamo alla guida dei minicantanti, del gruppo XL, presso la CI di Albona, dello studio scenico musicale ‘Skiribico blu’, del coro della chiesa e quant’altro”. - Ci parli delle sue attività con i bambini. “Da 26 anni porto avanti il gruppo dei minicantanti. Ora abbiamo 30 bambini, dalla III all’VIII classe che sono, a dir poco, bravissimi. Non ci sono bambini delle prime due classi perché non avendo una scuola italiana, iniziano a studiare l’italiano appena in anno, a quello di Natale… Una volta avevamo fino a 20-25 concerti all’anno e devo dire che non siamo ritornati mai a casa senza aver ricevuto qualche premio. Solo per fare un esempio due anni fa ci siamo piazzati al secondo posto durante il Mali Histria Fest. Tra le uscite più belle ricordo il concerto nella prestigiosa sala da concerti di Zagabria ‘Vatroslav Lisinski’, sei anni fa, dove assieme al coro degli adulti abbiamo preso parte alla vedere come i bambini che parlano l’italiano, e di conseguenza capiscono la canzone, si stancano di ripeterla prima di quelli che non lo parlano. Questi ultimi la cantano più volentieri perché ad ogni ripetizione imparano una nuova parola e sono felici di farlo. Cantando in una lingua straniera si canta meglio perché c’è più impegno per impararla. Noi stiamo molto attenti alla dizione, alle doppie, al sorriso perché la canzone risulta subito È difficile mantenere l’italianità senza una Scuola elementare italiana. Per questo motivo il 90% delle nostre canzoni è in lingua italiana. Io parlo solo l’italiano con i bimbi, li faccio ripetere, tradurre le canzoni affinché questa lingua diventi anche parte di loro manifestazione per le minoranze. In quell’occasione abbiamo cantato ‘Nessun dorma’, ‘Dimmi come posso fare’ di Giorgia e altro ancora. Abbiamo partecipato pure alla trasmissione ‘Latinica’, quando il tema di quest’ultima era la multinazionalità in Istria. In quel periodo le minoranze presenti in Istria più musicale se la cantiamo sorridendo. E poi è una caratteristica della lingua italiana. Durante l’anno propongo ai ragazzi una quindicina di nuove canzoni. Tra queste anche ‘Piccolo grande amore’ di Baglioni, ‘Di sole e d’azzurro’ di Giorgia. Abbiamo imparato anche una vecchia canzone dal titolo Sabrina Stemberga Vidak con i piccoli coristi ‘Angeli’ che ho proposto ai bambini dopo il terremoto in Giappone. Tramite il suo testo hanno capito anche i grandi problemi che affliggono le popolazionici nel mondo.” - I concerti vengono tenuti solo ad Albona? “Viaggiamo e cantiamo per tutta l’Istria. Poi abbiamo preso parte Insegno la recitazione e il canto ai più piccoli mediante giochi inventati da me. La musica deve essere un gioco magico terza classe. E quindi mi sembra giusto farli cantare in italiano appena quando riescono a capirlo. “ - Qual è il repertorio? Ci sono solo canzoni per bambini o si cantano anche canzoni da “adulti”? “Il programma è molto vario. Cantiamo canzoni per bambini, ad esempio quelle presentate a Voci nostre, ma anche canzoni del folclore, pezzi d’opera, brani sacri a più voci. Siamo presenti in quasi tutte le manifestazioni che si tengono ad Albona ma anche in altre città. Cantiamo al Concerto di fine erano undici e noi abbiamo dimostrato come si riesce a convivere in armonia.“ - I piccoli cantanti parlano a casa l’italiano o sono di nazionalità croata? “Ci sono tre/quattro bimbi che parlano bene l’italiano. È difficile mantenere l’italianità senza avere una scuola elementare italiana. Per questo motivo il 90% delle nostre canzoni è in lingua italiana. Io parlo solo l’italiano con i bimbi, li faccio ripetere, tradurre le canzoni affinché questa lingua diventi “Skiribico blu” al Teatro di Albona nell’ambito della manifestazioanche parte di loro. È interessante ne “Albona città sana” ai Festival di Zagabria, Osijek, Abbazia, siamo stati a Trieste, Muggia, Monfalcone, Manzano. Una volta registravamo pure le nostre canzoni, ora a causa della recessione non succede più. Due anni fa abbiamo registrato delle canzoni per il Mali Histria Fest e tre anni fa per un progetto fatto dalla Croce rossa d’Italia, Slovenia e Croazia. Devo sottolineare che il nostro coro è il simbolo della città di Albona, ogni canzone ha una propria coreografia e noi ci divertiamo da matti!” - Credo bene! Viaggiare, cantare e divertirsi è sicuramente il massimo per i piccolini. Ci parli invece del gruppo XL. “Questo gruppo è formato da ragazze che prima cantavano nei minicantanti ed hanno voluto continuare questa attività. Oltre al canto corale abbiamo anche delle soliste. Il repertorio comprende canzoni conosciute e meno, nonché canzoni inedite scritte da mia figlia. Si canta a tre voci con tanto di coreografia. Si segue comunque sempre l’interesse delle ragazze, non sono io a imporre lo stile o il tipo di brani. Il gruppo ha lo scopo di lavorare con ragazze che hanno “una mar- Al Metropolitan Museum of Art «Legendary Dagli antichi maestri liu I minicantanti della CI di Albona NEW YORK - Nel solco di una tradizione che affonda le sue radici fino ad Antonio Stradivari, i grandi liutai italiani diventano a New York “Guitar Heores” in una mostra a loro dedicata presso il Metropolitan Museum. In programma sino al 4 luglio, “Guitar He- Angelo Mannello (cc 1900) Un prezioso Andrea Amati (cc 1559) musica 7 Mercoledì, 25 maggio 2011 aestra delle corali di Albona ccoli nella loro crescita musicale “Skiribico blu” in azione Sabrina Stemberga Vidak cia in più”. Fino ad alcuni anni fa le ragazze dell’XL passavano poi nel coro degli adulti. Ora questo è cambiato da quando non ci sono più io a guidare gli adulti. Le ragazze si sono in un qual modo legate a me e non hanno il desiderio di continuare se non ci sono io.” - Quindi lei è per loro molto di più di una maestra? “Certo. Vengono spesso da me quando hanno qualche problemino, si confidano, chiedono consigli…” - Oltre a queste attività all’interno della Comunità, lei è alla guida dello studio scenico-musicale “Skiribico blu”. “Questo studio opera nell’ambito del progetto “Albona città sana”, ed è patrocinato dalla città. Si balla, si canta e si recita. Facciamo dei musical ai quali partecipano bambini e ragazzi dai 3 ai 15 anni circa. Lavoriamo in più gruppi: dai 3 ai 7 anni, dai 7 ai 12 e dai 12 in avanti. I membri prendono parte a tutte le attività, però le scelgono da soli. Per quanto riguarda le lezioni di musica/solfeggio prendiamo i bambini dalla prima classe in poi, quelli più piccoli purtroppo si stancano presto. I prescolari imparano a can- ticchiare e a stare sul palcoscenico, e già questo è tanto per un frugoletto di 3 anni.” I copioni e le coreografie vengono fatti da voi? “Il copione e le sceneggiature lo scrivo io, è tutto materiale originale. Lo spettacolo è in pratica un musical, non ci sono presentazioni. Sono gli attori che tramite una scenetta introducono la canzone o il ballo che segue. Si recita in lingua croata, ma anche in italiano e inglese. Il 20 maggio abbiamo preso parte allo spettacolo fatto da tutte le “città sane”. Partecipiamo a quello di fine anno, per la giornata della mamma e ogni qualvolta c’è qualcuno che ci invita. Le coreografie dei più piccoli vengono pensate da me, mentre per quelli più grandi da Dina Bartolić. ” - Come fa ad insegnare la recitazione e il canto ai più piccoli? “Mediante giochi inventati da me. La musica deve essere un gioco magico. Molti di questi bambini poi continuano a cantare nei minicantanti e più avanti nelle XL. Siamo insomma come come una grande famiglia che si diverte grazie alla musica.” I minicantanti della CI di Albona Craftmen from Italy to New York», favolosa esposizione dei più begli esempi di liuteria italiana e statunitense utai italiani la nascita di una grande tradizione americana roes: Legendary Craftsmen from Italy to New York”, questo il titolo della mostra, propone un parallelo tra presente e passato, affiancando maestri classici come Antonio Stradivari o come i maestri della scuola napoletana a maestri artigiani immigrati dall’Italia verso gli Stati Uniti, che in America hanno tenuto alta la tradizione. Nell’esibizione, che non ha precedenti, sarà possibile ammirare circa 80 strumenti molti dei quali realizzati da John D’Angelico, James D’Aquisto e John Monteleone, tre mastri liutai newyorkesi famosi in tutto il mondo per i loro strumenti a corda realizzati a mano. Gli strumenti realizzati da questi artisti sono stati usati negli anni dai più influenti chitarristi del 20° secolo, come Cheat Atkins, Les Paul, George Benson, Paul Simon, Steve Miller, Mark Knopfler, Jim Hall e Grant Green. Per complementare l’esibizione, contestualmente alla mostra è stata lanciata un’App, la prima mai realizzata dal Museo, che porta in vita il processo creativo di questi maestri e contiene performance musicali espressamente commissionate dal museo ad hoc per l’esibizione, interviste e video inediti. Questa dimanica guida multimediale, sviluppata dal Metropolitan’s Digital Media Department, può essere scaricata gratis da iTunes. Molte delle App multimediali sono disponibili anche sul sito del Met. Il lavoro dei liutai italiani è sempre stato ammirato fin dal 16° secolo, quando gli artigiani di Venezia e di Cremona fornivano i più importanti musicisti di tutta Europa. Nei secoli successivi artigiani come Antonio Stradivari hanno continuato questa antica tradizione. Alla fine del 18° secolo fu Na- poli a diventare il centro dominante per gli strumenti a corda prodotti in Italia e lì vi rimase fino a quando, a cavallo fra il 19° ed il 20° secolo, moltissimi liutai del sud d’Italia emigrarono a New York, continuando questa antica tradizione tutta made in Italy dedicata alla realizzazione di violini, chitarre e mandolini, che fra il 1890 ed il 1920 in America raggiunsero il loro picco di popolarità. Alla fine degli anni ‘20 molti liutai italo-americani persero commissioni a causa di un drastico cambio di gusti musicali che invase l’America. Ed è in quegli anni che il giovane John D’Angelico, insieme ad un piccolo gruppo di artigiani, sopravvisse alla crisi che invase il mondo dei liutai cominciando a costruire chitarre Archtop, uno strumento che combina gli elementi del violino con quelli della chitarra, basandosi sul mo- John Monteleone e le sue chitarre dello prodotto a quel tempo dalla gibson Guitar Company. La tradizione venne portata avanti dal suo apprendista James D’Aquisto e continua oggi con John Monteleone. 8 musica Mercoledì, 25 maggio 2011 LA RICORRENZA Sei titoli per la 89.esima edizione del Festival lirico all’Arena Verona, la magia della lirica che perdura nel tempo Dieci anni di Notre Dame de Paris VERONA - Il prossimo 17 giugno si riaccende la magica atmosfera del Festival lirico all’Arena di Verona, giunto alla sua 89.esima edizione: 6 titoli in scena fino al 3 settembre in un susseguirsi di 49 serate. Il Festival 2011 inaugura e conclude con due nuove produzioni, La Traviata di Giuseppe Verdi per la regia di Hugo de Ana e la direzione di Carlo Rizzi, e Roméo et Juliette di Charles Gounod, direttore Fabio Mastrangelo. Nel cuore del Festival gli allestimenti storici delle opere verdiane per la regia di Gianfranco de Bosio: Aida diretta da Daniel Oren, e Nabucco vede sul podio Julian Kovatchev. In programma anche le riprese de Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini per la regia di Hugo de Ana e con il debutto areniano del giovane direttore veronese Andrea Battistoni, e La Bohème di Giaco- mo Puccini regia di Arnaud Bernard e direttore John Neschling. Titoli molto amati dal pubblico areniano, che vedono impegnati tutti i settori artistici - Orchestra, Coro, Corpo di ballo, comparse - e tecnici della Fondazione Arena di Verona. In scena, come da tradizione, saranno protagoniste le voci più note del panorama lirico internazionale, insieme agli attesi debutti di giovani artisti emergenti. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha manifestato la volontà di partecipare il prossimo 17 giugno alla serata inaugurale del Festival Lirico veronese. Accettando l’invito del Sindaco Flavio Tosi a celebrare a Verona la ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il Presidente assisterà alla Prima del nuovo allestimento de La Traviata di Giuseppe Verdi, aperta dall’esecuzione dell’Inno di Mameli. Notre Dame de Paris, il musical tratto dal romanzo di Victor Hugo rivisitato per l’Italia da Riccardo Cocciante e che ha affascinato oltre 15 milioni di spettatori in tutto il mondo, riparte in tour per festeggiare i dieci anni di successo e lo fa con un cast più giovane e completamente rinnovato. La tournee del decennale del meraviglioso spettacolo musicale applaudito nel nostro paese da oltre due milioni e mezzo di persone nel corso di 842 repliche è partito l’11 maggio scorso dal Teatro Regio di Parma per poi concludersi il 4 agosto all’Anfiteatro Romano di Cagliari. Quando andò in scena per la prima volta in Italia, “Notre Dame de Paris” era già stato visto ed applaudito in Francia da 3 milioni di spettatori. Tradotto in quattro lingue dal francese, lo spettacolo aveva spopolato in Russia, era andato in scena a Barcellona nella versione spagnola e nel West End londinese in quella inglese. “Le mie radici sono nell’opera - spiega Cocciante - Nato a Saigon, da bambino trascorrevo molto tempo con una zia diplomata al Conservatorio. Sono cresciuto con Puccini e Rossini. A undici anni, in Italia, mi innamorai dei francesi”. Famoso in Italia e in Francia, il cantautore vive in Irlanda ma “mi sento mediterraneo. E forse è per questo cosmopolitismo che “Notre Dame” viene applaudito allo stesso modo a Roma, Mosca o a Seoul”. Pagliacci e curiosità LE GRANDI VOCI Ebe Stignani, regina del belcanto 2009), uno dei personaggi, Rorschach, scrive nel suo diario di una barzelletta sentita una volta che coinvolge Pagliacci, in riferimento alla morte di un altro personaggio , Il Comico. La barzelletta consiste in un uomo che va da un medico e si lamenta della depressione. Il medico gli dice di andare allo spettacolo del “grande clown Pagliacci” Nel 1943, per la regia di Giu- al fine di rincuorarlo. Tuttavia, seppe Fatigati, viene girato il l’uomo scoppia a piangere, difilm ispirato alla scrittura del- cendo al medico che, in realtà, l’opera e alla vicenda narrata, lui è il clown Pagliacci. con Alida Valli nel ruolo della L’opera di Ruggero Leonfiglia di Canio. cavallo s’intitolava originariaNel film “Gli intoccabili di mente “Il Pagliaccio”. Ma, sicBrian De Palma” vi è una fa- come doveva rappresentarlo per mosa sequenza in cui Al Capo- la prima volta il baritono franne, interpretato da un Robert De cese Victor Maurel, tipo molto Niro sopra le righe e d’antolo- orgoglioso e puntiglioso, quegia, si commuove mentre assiste sti s’impuntò:” Nelle opere del all’aria eseguita da Enrico Caru- mio repertorio la parte del baritono dev’essere nel titolo. Qui il so di “Ridi pagliaccio”. titolo comprende solo il tenore. Nella città di Montalto Uffu- Pertanto, se non cambiate il tigo (CS) si tiene ogni anno un fe- tolo, io non canto!”. L’editore, stival dedicato al Maestro Rug- per evitare di mettere a rischio gero Leoncavallo. L’8 luglio la prima,ebbe un’idea genia2007 è stata rappresentata per le. Cambiò il titolo da singolala prima volta l’opera Pagliac- re a plurale: “I pagliacci”.Così ci, integralmente, sulle scale nel titolo era compreso anche il del duomo della Madonna del- baritono!Si andò in scena regola Serra, con la regia di Maria larmente e il successo fu trionFrancesca Siciliani e l’interpre- fale. tazione, oltre che di professioniNel film “The mask - da sti, di personaggi presi tra la popolazione. zero a mito” del 1994,durante la scena dell’officina che vede Nella serie a fumetti limitata il protagonista Stanley Ipkiss di Alan Moore e Dave Gibbons (Jim Carrey) truffato dai due “Watchmen” (così come nel suo meccanici,si può sentire in sotadattamento cinematografico tofondo il “Ridi pagliaccio”. Il virtuosismo e il timbro cristallino di un mezzosoprano da non dimenticare La canzone dei Queen It’s a Hard Life, scritta da Freddie Mercury, inizia con l’aria “Ridi pagliaccio”, con le parole “I don’t want my freedom, there’s no reason to living with a broken heart”. Mercury non ha mai fatto mistero di amare l’opera, e i compositori italiani in particolar modo. Ebe Stignani (Napoli, 11 luglio 1903 – Imola), mezzosoprano italiano tra più prestigiosi e cantante lirica di caratura internazionale nasce da famiglia romagnola originaria di Bagnacavallo. Nel 1916, a 13 anni, si iscrive al Conservatorio San Pietro a Majella, dove studia pianoforte con Rassomandi e composizione con De Nardis. Il suo desiderio è diventare insegnante, ma durante un saggio di canto il maestro Roche ne scopre le doti di cantante e la invita a specializzarsi anche in quella disciplina. Nel 1923 si diploma in pianoforte e l’anno successivo in canto. Debutta al Teatro San Carlo nel 1925, nel ruolo di Zephira ne Il cavaliere della rosa di Strauss ed inizia poi la carriera internazionale esibendosi nei teatri del Sudamerica (specialmente Argentina e Cile), dove diviene in breve tempo uno dei mezzosoprano più richiesti. Dagli anni trenta al 1956 è ospite fissa del Teatro alla Scala, interpretando svariati ruoli, tra cui Eboli (Don Carlo), Adalgisa (Nor- ma), Laura (La Gioconda), Azucena (Il trovatore), Leonora (La Favorita). Inaugura alla Scala almeno venti stagioni d’opera. Canta inoltre al Covent Garden di Londra nel 1937, 1939, 1952, 55 e 57, a San Francisco nel 1938 e 48, a Dallas nel 1955. Partecipa alle prime rappresentazioni de Le preziose ridicole di Felice Lattuada (Cathos) nel 1929 e di Lucrezia di Ottorino Respighi (Voce) nel 1937. Tra i suoi partner preferiti Beniamino Gigli, Mario Del Monaco, Renata Tebaldi, Maria Callas. Nel 1935 si stabilisce a Imola e nel 1941 sposa l’ingegner Alfredo Sciti; dall’unione nasce il figlio Dino. Nel 1958, in seguito alla scoperta di una malattia a un rene che ne richiede l’asportazione, decide di ritirarsi dalle scene. Trascorre ad Imola il resto della vita e scompare all’età di 71 anni. Riposa a Bagnacavallo. Ebe Stignani si caratterizzò per la straordinaria tecnica belcantistica unita a una particolare estensio- ne (dal fa grave al do sovracuto, fa2 – do5), che le consentì di affrontare ruoli scritti anche per contralto e soprano drammatico. Alle doti vocali unì una buona presenza scenica. Come omaggio all’illustre concittadina, il 20 dicembre 1977 il Consiglio Comunale di Imola intitolò alla sua memoria il Teatro comunale. Anno VII / n. 50 del 25 maggio 2011 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA [email protected] Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Denis Host-Silvani Collaboratori: Patrizia Chiepolo Mihočić e Ardea Stanišić Foto: Archivio