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3. Creare falle nella narrazione: ellissi
3.1. Ellissi narrative
La teoria del romanzo definisce ellissi le interruzioni della narrazione, l’omissione di
periodi di tempo o di situazioni. Ebbene, tutte le volte che la narrazione viene tagliata, il
lettore è indotto a scrivere “capitoli fantasma”1, in cui cerca di fare ipotesi su quanto
potrebbe essere successo. Un narratore alle prime armi, probabilmente, immaginerà la
sua storia secondo il naturale corso del tempo: succede questo, poi quest’altro, poi
quest’altro ancora. Diremo che pensa in termini di fabula. È vero che nella vita non c’è
altra possibile successione che quella dettata dal tempo, però se si decide di raccontare
una vita, si scelgono gli episodi più significativi. L’ellissi perciò fa parte di qualunque
tipo di narrazione, ma può essere strategicamente collocata al fine di aumentare la
partecipazione del lettore.
Nabokov ad esempio fa spesso uso di ellissi, bruschi passaggi, quasi come tagli
cinematografici. Egli stesso ha paragonato l’ellissi temporale de La difesa a una mossa
di scacchi inaspettata, attraverso la quale in un singolo paragrafo si saltano sedici anni
della vita dell’eroe.
Hemingway sostiene che una parte molto importante del suo lavoro di scrittore consiste
nel decidere cosa non dire, quali parti eliminare. Il vecchio e il mare ad esempio
avrebbe anche potuto essere lungo mille pagine, avrebbe potuto raccontare le vite degli
abitanti del villaggio, spiegare come sbarcano il lunario, come sono nati, se hanno
studiato, tutte informazioni che Hemingway aveva, ma che ha deciso di non inserire nel
romanzo. Tuttavia le storie sul villaggio dei pescatori non sono del tutto assenti,
semplicemente sono la parte nascosta dell’iceberg.
Ammesso che a qualcuno possa interessare, io cerco sempre di scrivere secondo il
principio dell’iceberg: i sette ottavi di ogni parte visibile sono sempre sommersi. Tutto
quel che conosco è materiale che posso eliminare, lasciare sott’acqua, così il mio
iceberg sarà sempre più solido. L’importante è quel che non si vede. Ma se uno
scrittore omette qualcosa perché ne è all’oscuro, allora le lacune si noteranno.2
I vuoti, dunque, gli spazi bianchi del testo, sono molto utili affinché il lettore immagini
e ricostruisca, oppure completi le parti mancanti. Quindi ciò che non viene detto non è
davvero un vuoto ma crea una certa tensione, in quanto permette al lettore di ricostruire,
immaginare, creare relazioni tra oggetti e personaggi. Là dove il testo è ellittico, non
dice o non dice esplicitamente, lascia spazio alle deduzioni e al completamento del
lettore.
3.2. Ellissi architettoniche
Appreso il significato dell’ellissi nella narrazione, ci chiediamo: là dove l’edificio si
interrompe, l’osservatore viene a trovarsi in una situazione analoga a quella del lettore
di fronte all’ellissi? Possiamo considerare ad esempio le aperture delle ‘ellissi’ praticate
nella continuità ‘narrativa’ del muro?
1
2
Cfr. Umberto Eco, Lector in fabula, la cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Bompiani, Milano 1976, p. 176.
Ernest Hemingway, Il principio dell’iceberg, a cura di George Plimpton, Il melangolo, Genova 1996, p. 61.
75
54. Palazzo del XVIII secolo a Lisbona.
Secondo Arnheim le stesse bucature sono motivo di ambiguità. Un fabbricato è pensato
o come contenitore chiuso, nel quale vengono praticati i fori indispensabili, o come una
serie di unità – scatoloni, assi e puntelli – aggiunti l’uno all’altro finché lo spazio non è
sufficientemente chiuso. Qualunque composizione architettonica si colloca in qualche
punto fra i due estremi. Di conseguenza, c’è un’ambiguità percettiva nelle aperture
delle pareti.3
Se le stesse bucature possono risultare ambigue,
a maggior ragione dovrebbero esserlo ‘elisioni’
ben più consistenti, se non altro perché non si
intuisce immediatamente il motivo. Cerchiamo
di capire allora come funziona in questi casi
l’immaginazione
dell’osservatore,
come
avviene
la
necessaria
operazione
di
completamento.
Ci sono casi ad esempio di architetture che
presentano, del tutto intenzionalmente, delle
parti mancanti, che appaiono come tagliate via,
asportate. L’impressione che si ha è che
l’edificio, originariamente completo, sia stato
poi modificato per sottrazione. Ma se abbiamo
questa impressione, significa che la prima cosa
che abbiamo fatto è stata quella di completare
in qualche modo l’edificio, ricostruirlo
idealmente; solo dopo abbiamo interpretato la
parte mancante come un taglio.
Ebbene, questa ricostruzione ideale di un
edificio non ci sembra tanto diversa da quella
55. Palazzo del XVIII secolo a Lisbona,
che si fa con i testi ellittici.
particolare.
Birindelli mostra l’esempio di un palazzo del
XVIII secolo che si trova su una delle alture orientali di Lisbona. Come spesso accade
sui suoli in pendenza, le strade delimitano aree dalla forma irregolare. In questo caso
l’architetto, per ottenere all’interno ambienti squadrati, fa aggettare sulla strada un
angolo dell’edificio. Il risultato è quello che si vede nella fotografia (fig.54). La maniera
più lineare per leggere una simile facciata è quella di pensare a una ‘precedente’ unità
3
Rudolph Arnheim, La dinamica della forma architettonica, Feltrinelli, Milano 1981, p. 253.
76
completa – e dunque interamente
simmetrica e subito riconoscibile – alla
quale, in basso, a destra, sia stato tolto
qualcosa. Anche se è chiaro che
materialmente non è mai stato tolto
niente. Anzi, l’asimmetria è qui un
incidente cui si cerca di ovviare: in
corrispondenza della parte mancante,
l’architetto fa proseguire lo stesso
bugnato liscio che riveste, a quel livello,
il resto della facciata, con un risultato,
come si vede abbastanza curioso.4
Naturalmente in architettura le ragioni
che portano un edificio ad avere parti
mancanti possono anche essere di
carattere pratico. Questo però non è molto
importante. Ci interessa più che altro
ragionare in termini di ‘effetto’ e stabilire
che, proprio come avviene nel romanzo,
56. Chiesa di São Roque, particolare della facciata.
una parte mancante mette in moto le
capacità immaginative dell’osservatore.
Per altro, in altri casi, ‘tagliare’ delle parti di edificio può essere il risultato di una scelta
consapevole. Un altro esempio, sempre a Lisbona, è rappresentato dalla facciata della
chiesa di São Roque (costruita su disegno di Filippo Terzi, e rifatta dopo il terremoto
del 1755). All’estremo sinistro
troviamo una situazione molto simile a
quella appena descritta, però c’è una
differenza. Infatti, in questo caso, in
corrispondenza della parte mancante,
l’edificio mostra una superficie
perfettamente liscia. Nel punto lasciato
scoperto dalla ‘sottrazione’, anziché
predisporre un trattamento per quanto
possibile uguale a quello delle parti
‘intere’,
il
responsabile
della
costruzione fa realizzare una superficie
verticale piana, che seziona con la
massima
precisione
tutte
le
modanature e tutti i risalti presenti in
quel particolare punto della facciata.
L’impressione
è
quella
di
un’architettura
comunemente
simmetrica, alla quale con un filo
elicoidale, sia stato poi tagliato, in
basso uno spigolo.5 Che si tratti di una
scelta formale consapevole, osserva
57. Venezia, rimozione d’angolo.
Birindelli, si può essere certi. Lisbona
è uno di quei posti in cui si è stati a
4
5
Massimo Birindelli, Ordine apparente, architettura e simmetrie irregolari, Edizioni Kappa, Roma 1987, p. 54.
Ibidem, p. 60.
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lungo attratti da forme di questo genere.
Ma anche a Venezia, non è raro,
aggirandosi tra le calli, trovare edifici con
angoli rimossi.
Un esempio recente di procedimento per
‘rimozione’ è rappresentato dal centro
meteorologico di Alvaro Siza a Barcellona.
Sembra proprio che il metodo seguito sia
stato quello di partire da una forma
perfettamente cilindrica e tagliare via delle
porzioni. In questo caso i tagli laterali
operati nei primi piani permettono la
continuità della circolazione veicolare e
pedonale all’esterno dell’edificio.
Altre volte ad essere incompleto è un
particolare elemento architettonico.
Sempre a Lisbona, nel deambulatorio
gotico della Sé Patriarcal (XIV secolo), si
58. Alvaro Siza, Centro meteorologico a Barcellona.
può vedere un’intera serie di lesene
troncate di netto da piani obliqui, cosa che
può essere motivata solo dal
desiderio di esibire una cesura.
Ad Ascoli Piceno, nella facciata
della
cattedrale
(Cola
dell’Amatrice,
1529-39),
facciamo caso al portale (fig.61).
Volendo attenersi a quel che
materialmente c’è, si deve dire
che il vano è fiancheggiato da
due elementi verticali, dalla
59. Centro meteorologico, pianta piano terra e secondo livello.
pianta semicircolare, ognuno
sormontato da qualcosa che
assomiglia a un capitello ionico. Di fatto chiunque riconosce subito, ai lati della porta,
due colonne ioniche mutile, due colonne il cui fusto è stato tagliato esattamente a metà
60. Sé Patriarcal a Lisbona.
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da un piano verticale parallelo alla parete.
L’elemento così com’è non ha le simmetrie
della colonna ionica, ma nell’elemento così
com’è ci sono tutti i dati che servono per
ricostruire la simmetria compiuta di una forma
nota. Il modo più diretto per arrivare
all’elemento dalla pianta semicircolare e alla
sua forma bizzarra, è quello di partire dalla
forma di una colonna ionica completa, e di
immaginare poi un piano di sezione che dimezzi
per lungo il suo fusto.6
A Roma, un altro esempio, forse meno
evidente, ma offerto da un’architettura illustre:
si tratta del chiostro del San Carlino alle quattro
fontane del Borromini.
Se si osserva la sezione trasversale del piccolo
portico anulare, si coglierà una situazione di
61. Cattedrale di Acoli Piceno.
simmetria, anche se non perfetta: da una parte le
forme circolari di una colonna, dall’altra, a
corrispondergli sulla parete perimetrale, le forme rettangolari di una parasta. Le paraste
però si concludono, in alto e in basso, con degli elementi che si stenta un po’ a
identificare come basi e come capitelli. Il confronto con le dodici colonne centrali fa
subito capire il procedimento: le paraste disposte lungo la parete avrebbero in realtà basi
e capitelli perfettamente uguali a quelli delle colonne centrali, se non fosse per il fatto
63. Chiostro del San Carlino alle quattro fontane,
particolare della parasta.
62. Chiostro del San Carlino alle quattro fontane,
particolare della colonna.
che, in ogni parasta, base e capitello sono recisi di netto da un unico piano verticale sul
quale si disegnano, come in una sezione, i profili del plinto, del toro, dell’echino e
dell’abaco.
L’osservatore può ricostruire idealmente basi e capitello‘tagliati’ perché gli vengono
fornite le indicazioni per farlo. La presenza delle colonne complete detta la regola per
ricostruire le paraste incomplete.
Di elementi incompleti, appiattiti, sezionati, si serve Bob Venturi per dar luogo a
un’interpretazione in termini astratti degli ordini classici. Ad esempio nella rustica casa
6
Ibidem, p. 64.
79
64. R. Venturi, Casa Izenour, Stony Creek, Connecticut.
di Stony Creek, colonne piatte, ridotte a pura silhouette, tanto da sembrare ritagliate
nella superficie della facciata, dichiarano che l’architettura antica non rinasce, ma è
soltanto rappresentata, citata tra virgolette.
L’ellissi è ciò che il testo non dice e che il lettore immagina; può essere più o meno
ampia, riguardare cose più o meno importanti. Se collocata in maniera strategica
richiederà uno sforzo immaginativo da cui il lettore trarrà soddisfazione.
Allo stesso modo ciò che si elide di un’immagine architettonica può variare. Se ne può
tagliare una parte, oppure si possono indicare solo dei punti fondamentali e lasciare che
la mente ricostruisca le connessioni. Questo è possibile perché ciò che viene percepito
dalla mente va al di là della pura immagine visiva. È noto ad esempio che una
configurazione formata da quattro puntini su un foglio di carta può essere vista come un
quadrato, anche se di fatto non è stata tracciata alcuna connessione tra loro. Arnheim
ribadisce più volte la validità di questo principio percettivo fondamentale: una linea o
un piano non ha bisogno di essere tracciato da capo a fondo, ma è in grado di
completarsi nella mente dell’osservatore purchè la sua struttura risulti sufficientemente
rappresentata. L’immagine di una piazza può esser data da quattro punti che ne fissano
gli spigoli, e analogamente, su scala architettonica, una piazza cittadina può essere
adeguatamente delimitata dai quattro edifici d’angolo. […] due file di colonne che
separano la navata centrale di una chiesa romanica dalle due laterali, creano
partizioni
trasparenti
ma
saldamente presenti.
Oppure, si prenda il caso di una
merlatura. Essa delimita la
sommità di un muro a due livelli:
più spiccatamente in quello
65. Completamento di linee intermittenti.
inferiore, ma del tutto visibilmente
anche in quello superiore. A
entrambi i livelli le orizzontali vengono indicate a intermittenza, ma l’occhio è
obbligato a completarne i bordi per la forza del pattern implicito.7
Affinché scatti l’operazione di completamento è necessario che l’intervallo da
completare abbia certe caratteristiche che sono indipendenti dalla sua ampiezza. Deve
7
Rudolph Arnheim, op. cit., p. 255.
80
66. Figure che richiedono il completamento da parte
dell’osservatore.
67. Figure indipendenti che non richiedono
completamento.
essere evidente che i due oggetti separati richiedono un reciproco collegamento; se
invece risultano spiccatamente indipendenti il collegamento non avviene.
Per far comprendere come la mente sia portata a riempire il vuoto percettivo, Arnheim
fa un paragone con la musica. Da un punto di vista fisico, ogni momento in cui non c’è
suono musicale può dirsi vuoto. Percettivamente, però, il carattere di questi intervalli
varia in larga misura. Il susseguirsi delle note di un pizzicato le lega insieme come un
laccio di perle, giacché le piccole pause fra i toni vengono interamente assorbite dalla
sequenza continuativa. Le pause più lunghe vengono percepite come silenzi, ma
nondimeno anche come parti integrali della musica. Durante uno di questi intervalli il
tono che lo precede acquista il suo
peso e il suo significato ritmico
indugiando per il
tempo prescritto dalla struttura della
composizione. Simili intervalli di
tempo possono essere interamente
privi di suono, ma non sono vuoti.
Sono pervasi dalla tensione.8
8
Ibidem, p. 31.
81
Finora abbiamo visto esempi di edifici o porzioni di essi che, molto chiaramente,
presentavano parti mancanti. Ma un edificio può apparire ‘ellittico’ anche quando dà
l’impressione di non finire con la linea di terra, ma di continuare dentro il suolo.
Arnheim fa notare come, a causa della proprietà che hanno le forme lineari di
prolungarsi visivamente a meno di non essere bloccate, ci sono edifici che sembrano
continuare sotto terra perché l’osservatore è portato a continuare idealmente le sue linee.
Del resto per semplificare si può considerare una semplice linea. In una semplice linea
dritta tracciata sulla carta, il movimento può andare nell’una o nell’altra direzione,
finché essa non viene fissata a una delle due estremità.9
Allo stesso modo ciò che di un albero è visibile ci appare incompleto, in quanto la base
di un albero non è il terreno, ma il sotterraneo sistema di radici. Un’immagine del
genere potrebbe essere utile se volessimo che il nostro edificio apparisse incompleto. Di
solito, naturalmente non c’è una simile intenzione, eppure, sta di fatto, osserva
Arnheim, che il battistero del duomo di Pisa sembra spuntare dal terreno come una testa
d’asparago. Innanzitutto perché ci ricorda qualcosa che siamo abituati a vedere come il
coronamento di un edificio. Ma la spiegazione è anche
68. Battistero del Duomo di Pisa.
nella sagoma della costruzione. Come già osservato le
configurazioni a direzione lineare tendono a prolungarsi
a meno che non vengano arrestate. Evidentemente nel caso del battistero, l’ampio
spiazzo orizzontale che lo circonda, non è sufficiente a staccare la struttura dal terreno.
In configurazioni del genere, osserva Arnheim, non vi sono che due possibili soluzioni:
o si ha l’impressione che il terreno passi sotto l’edificio, oppure sarà l’edificio a dare
l’impressione di affondare nel terreno. Nel caso del battistero di Pisa, al piano terra, solo
pochi e deboli elementi definiscono la divisione fra edificio e terreno: le aperture delle
quattro porte, piuttosto anguste e le piccole basi delle semicolonne che sorreggono gli
archi. Nel complesso, il piano terreno appare come un ‘fusto’ che non ha alcuna
intenzione di fermarsi al livello del suolo. Inoltre si viene a creare una sorta di
simmetria tra il piano terra e la cupola per cui è necessario che il primo bilanci la
seconda con un sufficiente contrappeso,
cosa che si può ottenere mediante una
massa
maggiore,
ad
esempio
aumentando l’altezza del piano terra.
Questa
altezza
aggiuntiva
è
potenzialmente disponibile sotto il
livello del suolo, e ciò rafforza
l’impressione che l’edificio continui
sotto terra […]. Se la mia analisi del
battistero di Pisa è corretta, ne risulta
anche quale importanza abbia la
penetrazione nel terreno per il progetto
architettonico di un edificio. Le
proporzioni
complessive
e
la
distribuzione
dei
pesi
vengono
inevitabilmente influenzate dal fatto di
vedere la costruzione fuori terra
completa o incompleta. Qualsiasi
ambiguità in proposito fa sorgere un
problema architettonico…Naturalmente
da un punto di vista fisico, la maggior
69. Figure complete e incomplete.
9
Ibidem, p. 619.
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parte degli edifici sono in pratica radicati al suolo grazie alle fondamenta, ai basamenti
ecc. Visivamente, però, l’equilibrio del progetto può fare affidamento solo su ciò che è
visibile all’occhio.10 Arnheim utilizza alcune figure come esempi. Si ha penetrazione nel
terreno quando una figura risulta incompleta e quando questa incompletezza determina
una tendenza abbastanza forte al completamento. Ad esempio la figura a (fig.69) sarà
vista penetrare nel terreno. Se invece una figura sembra già completa come è il caso
della figura c, la penetrazione è impedita. I solidi qui indicati, cilindri, piramidi, coni
ecc., sono da questo punto di vista ambigui, perché possono sembrare completi o
incompleti a seconda del contesto. Essi risultano ambigui perché per un verso un
cilindro, un cubo o una piramide sembrano abbastanza completi da essere visti
poggiare sul terreno, mentre per un altro i loro muri dritti tendono prolungarsi nel
suolo a meno che qualcosa non li blocchi.11
Per quanto abbiamo imparato sull’ellissi nel romanzo, possiamo dunque ricavare che,
dare l’impressione che un edificio prosegua dentro il suolo, può anche essere un
‘effetto’ da perseguire intenzionalmente, perché significherà sfruttare le capacità
cooperative dell’osservatore.
Secondo Victor Hugo, ciò che di una chiesa, di un palazzo, di un carcere medievali
emerge fuori terra è soltanto metà dell’intero corpo dell’edificio. Le cantine di un
edificio erano un altro edificio dove si discendeva invece di salire, e i cui piani
sotterranei continuavano la serie dei piani esterni, come quelle foreste e quelle
montagne che vediamo specchiate a rovescio nell’acqua scintillante di un lago, sotto
alle foreste e alle montagne della riva.12
Il ragionamento fatto per gli edifici viene esteso da Arheim anche all’elemento colonna.
Ovvero, se essa non è esplicitamente bloccata alla base e in sommità, può facilmente
70. Site, negozio della Swatch a Nantucket.
dare l’impressione di continuare attraverso pavimento e soffitto, i quali quindi non
sarebbero che semplici e momentanee interruzioni. Le colonne moderne, come i pilotis
di Le Corbusier, sono cilindri puri e semplici, ed entrano visivamente sia nel soffitto
che nel pavimento, giacché nulla in essi indica completezza, né sono muniti di tamponi.
In certe condizioni un effetto del genere può assecondare gli intenti dell’architetto,
qualora egli desideri che le strutture di sostegno siano viste salire attraverso l’edificio
senza impedimenti da parte dei pavimenti che attraversano.13
10
Ibidem, p. 55.
11
Ibidem, p. 56.
Victor Hugo, Notre-Dame deParis, Einaudi, Torino 1972, cit. in Arnheim, op.cit., p. 261.
13
Rudolph Arnheim, op.cit., p. 54.
12
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D’altra parte se le estremità della colonna sono ribadite e segnalate con base e capitello,
non potremo immaginarla come continua nei due sensi.
Naturalmente non è detto che sia proprio la colonna l’elemento che deve dare
l’impressione di passare senza ostacoli attraverso pavimenti e soffitti.
Si veda per esempio il progetto dei Site per un negozio della Swatch a Nantucket, nel
Massachussets: surreali sagome umane (manichini molto realistici), danno vita ad una
fluttuante processione e, mentre avanzano dal retro del negozio fino alla vetrata, si
sollevano sempre più fino a penetrare nel soffitto. Un espediente di questo tipo, che ha
degli evidenti effetti psicologici, serviva anche a risolvere un problema pratico: quello
di uno spazio ristretto e dal soffitto molto basso; soffitto che, tuttavia, proprio perché
attraversato da questi corpi in movimento, dà l’impressione di sparire.
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