LA VOCE DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww musica An no VII • n. il pentagramma 12 e 20 l i r p 58 • Mercoledì, 25 a De contaminationibus musicis di Patrizia Venucci Merdžo Gentilissimi, dal momento che la musica europea ha ormai alle spalle una plurisecolare e colta tradizione, ci si ritrova nella privilegiata posizione di poter guardare in retrospettiva l’ampio e imponente panorama dell’arte dei suoni dei tempi andati. Dall’alto della nostra “vetta“ culturale, che si presenta piuttosto esaurita e in crisi, possiamo ammirare le metaforiche “vallate“ sottostanti, in tutta la loro dovizia e varietà di afflati, generi e poetiche. A questo punto, per il musicista, spesso diventa inevitabile attingere qua e là, a quelle fresche fonti, per rinfrancarci dalla nostra tendenziale aridità. In questo modo viene ad attualizzarsi una contaminazione da parte del patrimonio passato rispetto alle esperienze più recenti. Contaminazione che diventa risorsa propulsiva, in quanto la vitalità dell’ antico e i suoi permeanti fermenti vengono assimilati e trasfigurati dalla sensibilità nuova, che a sua volta si arricchisce. Lunga è la lista dei compositori del Novecento che si rivolsero al rinascimento, al barocco, al classicismo per trarre nuova linfa. Emblematico, dalle nostre parti, il geniale “Omaggio a Bach“ di Boris Papandopulo (con riferimenti settecenteschi), e i suoi coloratissimi, incalzanti “Affreschi istriani“, in cui il melos (croato) dell’Istria scintilla nel linguaggio del nostro tempo in ideale sposalizio. Peccato che l’ Orchestra di Fiume, nel 2006, non abbia riproposto questi brani nell’ anniversario della nascita di Papandopulo. La zaratina Katarina Livljanić, musicologa medievalista, docente alla Sorbona, cantante ed interprete carisma- tica, ripropone invece, in tutta la sua arcaica e metafisica suggestione, il canto liturgico della tradizione gregoriana e glagolitica della Dalmazia e dell’Italia medievale. Assieme al suo complesso „Dialogos“, uno dei migliori al mondo nel suo genere, interpreta brani da lei composti alla maniera antica, riscuotendo successo nelle maggiori sale da concerto del globo e ai festival più ambiti. Questo tipo di prestiti stilistici non si verifica però solo nel campo della musica colta, bensì ha toccato in maniera significativa anche ambiti più leggeri e di vasta popolarità. Chi non canticchia, per es. i ritornelli di Branduardi, il menestrello della musica italiana, che è andato a frugare e recuperare addirittura nel medioevo profano le sue orecchiabili filastrocche scandite dal ritmo della batteria? Un connubio davvero indovinato, in quanto il fantasioso strumentario del Medio evo prevedeva, tra vielle, pifferi e ghironde, pure diversi tipi di tamburelli e di strumenti a percussione con i quali si cadenzavano i vivacciuti temi. Pertanto, Branduardi è stato fautore di una riscoperta del patrimonio musicale antico non solo nazionale ma anche europeo (come dimostrano d’altronde gli album dall’ emblematico titolo Futuro antico I, II, III, IV, V e VI) ed è apprezzato tuttora a livello internazionale. Gridano vendetta - da un punto di vista della dignità del brano in quanto tale - invece, certe estrapolazioni di singoli temi tratti da composizioni famose (Mozart, Beethoven, Vivaldi) che quindi vengono ripetuti, masticati, sbattuti, miscelati fino alla banalità. Oppure l’esecuzione di brani a carattere romantico „accompagnati“ magari dall’incessante fracasso della batteria. Come fa Maksim Mrvica con lo studio di Chopin in do min. (“Rivoluzione“), snaturandone completamente lo spirito. Ci sono poi i genialoidi della classica, che da veri figli del nostro tempo, con spiccato senso pragmatico, si danno alla scena pop rock. Stjepan Hauser e Luka Šulić, due assi del violoncello ormai noti come 2Cellos, paradossalmente, non sono assurti a fama internazionale per i concorsi che hanno vinto, o per i concerti che hanno fatto, ma per l’arrangiamento di “Smooth Criminal“, la peggior cosa che abbiano mai fatto nella loro vita professionale! E da qui la fama, i contratti, le registrazioni, i concerti con Elton John...Mah, così va il mondo! Da non dimenticare l’affascinante Ana Rucner che, violoncello elettrico alla mano e gonnellini civettuoli, fa sbrego di platee proponendo temi e melodie di grandi autori miscelati in salsa etno-pop-rock. Tuttavia, non mi pare sia il caso di biasimarli troppo, se hanno saputo cogliere il momento opportuno e l’onda giusta da cavalcare per arrivare al successo, sebbene per vie traverse; anche perché nei loro concerti, spesso, ci mettono pure qualche brano classico in versione originale, contribuendo alla diffusione di questo alto genere musicale. Resta il fatto che scelte di tale tipo per un musicista di estrazione classica rappresentano un compromesso notevole. Peccati di gioventù? Crossoveristicamente Vostra 2 musica Mercoledì, 25 aprile 2012 VITA NOSTRA La fondazione della sede polesana risale al 1990. Oggi il Centro « «Dallapiccola», un autentico musicale sia in Croazia che di Daria Deghenghi POLA - Il ticchettio del metronomo, gli acuti delle corde tese del violino, il suono del martelletto che percuote la corda del pianoforte, il pizzicato deciso ma gentile della chitarra, le parole rassicuranti dei docenti che riprendono e confortano al tempo stesso: un rumore costante che si farà armonia non appena l’esercitazione lascerà il posto alle esibizioni in pubblico... Due volte la settimana, le stanze e gli uffici della Comunità degli Italiani di Pola si trasformano in aule di una scuola di musica a tutti gli effetti. E non è una scuola qualunque, per intenderci. Il Centro studi di musica classica dell’Unione Italiana, “Luigi Dallapiccola”, ha come minimo due là avrebbe accorpato anche i corsi di Fiume e solo in un secondo momento assunto con onore il nome di Luigi Dallapiccola. Resta il fatto che il primo nucleo dell’odierno istituto si ebbe a Verteneglio già negli anni Ottanta: un esperimento che inizialmente non aveva particolari pretese ed ha da tempo superato ogni aspettativa dei fondatori. Un vivaio di piccoli concertisti Oggi la sede polese del “Dallapiccola” è frequentata da 27 allievi di pianoforte, 8 di flauto e 7 a testa per violino e chitarra classica. La predilezione per il pianoforte è una costante negli anni, benché an- Particolarmente gradito è l’invito del Centro di Cultura Italiano di Zagabria a sostenere un concerto nella capitale, su iniziativa dell’Ambasciata della Repubblica Italiana enormi vantaggi in più rispetto agli altri istituti che impartiscono lezioni di musica. Per prima cosa, un elevato grado di personalizzazione dei programmi di studio, che partono identici al primo incontro col docente e con lo strumento, ma poi si diramano in altrettanti adattamenti quanti sono gli allievi del corso. In secondo luogo, di particolare c’è la sua accessibilità economica, rispettosa delle limitazioni di ogni famiglia, e di fatto la modesta quota di iscrizione pari a cinquanta kune mensili non rappresenta che un impegno formale alla frequentazione delle lezioni e di certo non incide in maniera negativa sui bilanci di casa. Quanto basta per sfatare il mito per cui una valida educazione musicale sarebbe prerogativa esclusiva delle famiglie più benestanti. Il fatto poi, che il centro abbia tre sedi distinte, ciascuna con un elevato grado di autonomia artistica, i propri docenti e corsi diversi, rende il “Dallapiccola” un autentico gioiello della didattica della musica sia in Croazia che all’estero. Istituzione e sviluppo del Centro Studi Musica Classica La fondazione della sede polese risale al 1990, anno in cui a dirigere la Comunità degli Italiani di Pola era Olga Milotti, alla quale si deve la saggia idea di portare anche al “circolo” le lezioni di chitarra classica che all’epoca il maestro Mauro Masoni teneva al Liceo italiano per le future maestre elementari. Da lì a poco si sarebbero uniti a Masoni anche Orietta Šverko, con le sue lezioni di storia della musica e solfeggio cantato e dettato, nonché Fulvio Colombin, con i corsi di solfeggio parlato e teoria della musica. Ben presto prese forma e sostanza la seconda sede del centro che più in che gli altri corsi abbiano conosciuto, a turni, picchi di interesse fuori norma. Abbiamo incontrato Laura Šverko a lezione di pianoforte con Orietta Šverko. Laura appartiene alla cerchia ristretta degli “affezionati”: studia al “Dallapiccola” da ben sette anni e non ha nessuna intenzione di mollare. Anzi, a breve passerà alla cattedra “superiore” di Tatiana Šverko, avendo ormai superato ogni ostacolo del corso di base. In questi giorni sta preparando la Sonata numero XIV di Donato Cimarosa, un autentico gioiello tra gli spartiti dedicati al pianoforte che spera di portare in concerto entro la fine dell’anno scolastico, ma esegue correttamente anche Bach, Scarlatti, Dora Pejačević, Beethoven... “Il fatto che le lezioni siano individuali e gli allievi pochi – ci spiega Orietta Šverko – è determinante per il nostro proposito di adeguare il programma di studio alle necessità, alla sensibilità, al talento e alle capacità di assimilazione dello studente, fermo restando che vanno passati in rassegna tutti gli elementi dell’esecuzione strumentale, come da manuale. In pratica, si può scegliere tra i compositori e le composizioni più disparate a patto di apprendere una determinata tecnica corrispondete all’età e al livello di formazione dell’allievo”. Questo perché, al termine di ogni ciclo, lo studente deve essere in grado di vantare la stessa preparazione di un coetaneo che abbia seguito percorsi di studio affini presso altri istituti. Contrariamente a quanto si è portati a credere, infatti, il centro studi dell’Unione Italiana non è un mondo a sé stante solo perché non appartiene alla rete degli istituti scolastici statali. Al contrario. Il “Dallapiccola” è perfettamente in grado di interagire, e di fatto interagisce con scuole e accademie ad ogni livello, di qua e di là dal confine di Stato, preparando i suoi allievi ad affacciarsi al mondo della musica in tutte le sue dimensioni. Passare dal centro studi dell’Unione a qualsiasi scuola Samantha Stell e la sua classe di musica, conservatorio o università che sia, non solo è possibile, ma succede regolarmente. “Per gli allievi particolarmente dotati i nostri docenti mettono a punto lezioni speciali”, ci spiega inoltre Orietta Šverko”, che cita con immensa soddisfazione il caso di Ana Ćuić, per la quale è stato necessario integrare il programma con lezioni aggiuntive di armonia e contrappunto. Inutile dire che ne è valsa la pena: Ana Ćuić si è laureata al Conservatorio di Trieste con massimi voti e oggi insegna pianoforte a sua volta presso la sede del Centro di Verteneglio. Similmente, Tatiana Giorgi aveva studiato sei anni chitarra classica con Mauro Masoni. In seguito si è laureata in Educazione musicale all’Università di Pola e oggi insegna alla scuola elementare di Castagner. Ma, sia chiaro, frequentare il Centro studi di musica classica, proprio come qualsiasi altra scuola di musica, non significa mica che uno debba per forza fare di professione il musicista o il professore. Imparare a suonare uno strumento è edificante in sé anche senza farsene un mestiere che renda in termini economici: giova, infatti, alla crescita spirituale dell’individuo, incrementandone il bagaglio culturale e plasmandone l’identità. Il violino, questo strumento tanto difficile... Lucia Lyon frequenta la terza classe dell’elementare italiana “Giuseppina Martinuzzi”, studia violino e pianoforte al “Dallapiccola”, pianoforte e solfeggio alla scuola di musica “Ivan Matetić Ronjgov”, canta nel coro di voci bianche “Zaro” e in più fa pattinaggio artistico per tenere in allenamento non solo il cervello ma anche il fisico. Insomma, è la classica bambina modello, una specie che al centro studi non è per niente rara, anzi. Il corso di violino di Nataša Goranović Ranković è particolare come lo strumento che sta al centro del suo interesse. Per arrivare a maneggiare correttamente un Tatjana Šverko e le promesse della tastiera violino ce ne vuole, e basti ricordare in proposito che quattro sole corde devono sostituire l’abbondanza di sette ottave del pianoforte, quindi, è chiaro che le lezioni propedeutiche dureranno più a lungo. Inutile dire che l’intonazione è fondamentale per imparare a distinguere tutti i suoni che sarà possibile produrre premendo le corde con le dita di una mano e muovendo l’arco sul ponticello con l’altra. “In pratica – osserva la nostra interlocutrice – sono sei mesi di ‘note a vuoto’ solo per arrivare ad azzeccare il suono desiderato e poi saperlo riprodurre. Diverso è il caso del pianoforte, dove un tasto premuto più volte darà sempre lo stesso risultato. In secondo luogo le limitazioni dell’età, e quindi delle capacità di apprendimento dei bambini, faranno sì che nello studio dello strumento non si vada oltre alla quinta posizione su sette complessive in cui è suddivisa la lunghezza delle corde. Ciò detto, vorremmo sfatare un altro mito ricorrente intorno al violino. Lo strumento mantiene infatti la cattiva fama di essere precluso ai ragazzi che non affondano nel lusso, ma non è così, anzi. Un violino didattico, chiarisce Nataša Goranović, non costa più di cento euro e, benché si tratti pressappoco di uno “scatolone”, è sufficiente a stabilire se il bambino abbia del talento e la voglia per dedicargli il suo tempo libero e il suo interesse. In un secondo momento, qualora ci fossero i requisiti necessari per procedere e investire ulteriori risorse, si può sempre ripiegare su uno strumento decente di due-tre mila kune. Troppo? Alzi la mano chi non ha mai pensato di spendere altrettanto per regalare al figlio un I phone... Santa pazienza anche per la chitarra Analogo, per certi versi, è il caso della chitarra classica, altro strumento intorno al quale aleggia un alone di pregiudizi, e prima, l’erronea convinzione che tutti, ma proprio tutti, possono imparare a suonarla, ed ancora che questo sia possibile senza una guida, un maestro. “Certo – afferma Ivan Štekar, che guida il corso di chitarra clas- musica 3 Mercoledì, 25 aprile 2012 «Dallapiccola» è frequentato complessivamente da 49 allievi gioiello della didattica all’estero Ivan Štekar insegna la chitarra Nataša Goranović Ranković, l’ insegnante di violino del Centro Lezione di pianoforte con Orietta Šverko Lusia Lyon, concertista in erba Paradisi, Hyden, Granados, Bartok e, recentemente, anche del nostro Smareglia. Naturalmente l’approccio è sempre individuale e differisce notevolmente da soggetto a soggetto. In tutti i casi si ha però quella leggerezza caratteristica del “Dallapiccola” che lo rende diverso da ogni altra scuola, conservatorio o accademia. L’aria che si respira in questa sede è più familiare e meno convenzionale, e l’interscambio tra docente e studente più immediato. Insomma, se c’è da instaurarsi un rapporto di fiducia e di affiatamento tra maestro e allievo, la cosa accadrà qua prima che altrove, e a confermarlo sono i ragazzi stessi. poeticamente parlando, dalle stelle alle stalle e viceversa, per dire della differenza che passa tra il terzo movimento della “Patetica” di Beethoven, che Greta presenterà al prossimo saggio “incrociato” del centro studi, ai primi colpi impacciati che la piccola Ana azzarda ancora insicura sull’enorme tastiera che ha di fronte. Ad esclusione della piccina e casi analoghi, il corso di Tatiana Šverko è piuttosto ambizioso essendo strettamente finalizzato al perfezionamento delle tecniche. Lo dimostra anche il vocabolario che l’accompagna. Qua si parla di “fraseggio”, di “staccato”, “legato” e “portato”, di “contrappunto”, di “tocco” e di “sonorità”, “dinamica” e “virtuosità” mentre gli spartiti sono ormai quelli di Tschaikovski, Diabelli, Mozart, Respighi, Charpentier, Debussy, Ravel, Rameau, Bach, Scarlatti, Dulcis in fundo, il corso di flauto, diretto negli ultimi quattro anni da una solista affermata quale Samanta Stell. Altro strumento peculiare per le sue proprietà fisiche, altra via crucis per imparare a maneggiarlo correttamente, badando anche ad una corretta postura, prima di passare alla prova decisiva dell’imboccatura che, trattandosi di uno strumento a fiato dal suono delicato, dev’essere eseguita alla perfezione prima di azzardare il soffio. L’inizio è sempre faticoso, specie se ad abbozzare il primo suono sono bambini piccoli come quelli che attualmente frequentano le lezioni di Samanta. Ne sa qualcosa la giovanissima Marta Ninković, che tra gli ostacoli “del mestiere” annovera anche la perdita di un dentino da latte, Gita premio d'istruzione a Pesaro, che i migliori studenti delle tre sezioni avranno l’opportunità di visitare dal 27 al 30 aprile grazie al contributo del fondatore, l’Unione Italiana sica al “Dallapiccola”, non senza una punta di ironia – ma ciò che ne scaturisce raramente può sperare di avere la sufficienza, perché una cosa è fare confusione, e un’altra è suonare. La fretta poi, è nemica dello strumento. Ci vogliono due anni per esercitare la tecnica e arrivare a concedersi il lusso di suonare delle canzoni. Generalmente, invece, i genitori dei nostri allievi hanno la pazienza corta e credono che si possa sfornare un concertista al primo semestre. Purtroppo le cose vanno diversamente. Anche perché lo strumento è per sua natura poco maneggevole”. Insomma, come per il violino, bisogna imparare ad impugnarlo correttamente, ed è per questo che si sconsiglia di bruciare le tappe. La chitarra è grande e ingombrante, benché leggera. Le sue corde sono spesse e resistenti, ed è chiaro che ci vuole un minimo di forza fisica necessaria a manipolarla. Inoltre, sarebbe utile avere una certa familiarità con il pentagramma, saper leggere le note insomma, prima di approcciare lo strumento, e tutto questo è quasi impossibile prima della terza elementare. “Superato l’apprendi- stato, però, la soddisfazione di essere in grado di riprodurre una melodia così come essa sia stata concepita dal compositore, è a dir poco immensa”, conclude Štekar. Predomina l’interesse per il pianoforte Tornando al pianoforte, strumento sovrano al centro studi, una volta apprese e consolidate le basi, gli allievi possono accedere al corso per così dire avanzato di Tatiana Šverko, che segue un programma più articolato nella scelta dei compositori e nel perfezionamento delle tecniche. Tuttavia la distinzione tra “piccoli e grandi”, “principianti ed esperti” delle due cattedre non è poi così rigida come appare. Non a caso una volta la settimana s’incontrano nell’aula di Tatiana Šverko l’allieva più giovane e quella più grande del “Dallapiccola”: la dolcissima Ana Chiavalon e una seria ed estremamente diligente Greta Šverko, studentessa quindicenne del liceo italiano “Dante Alighieri”. Così accade che in un solo giorno si passi, Laura Burić, piccola regina del flauto un inconveniente di non poco conto nel caso del flauto traverso perché arresta ogni tentativo di apprendimento del soffio. In compenso però, Gabriel Bertetić e Filip Škatar si stanno già esercitando alla grande. Il primo è erede di una famiglia di musicisti e non poteva mancare all’appello. L’altro è reduce da un’esperienza precedente alla scuola di musica dove aveva studiato pianoforte. Tra le due scuole preferisce il centro studi “Dallapiccola” perché “è meno esigente eppure si impara di più”. Ma la regina del corso è certamente la piccola Laura Burić, che col flauto ha fatto più strada di tutti e prova ne sia l’ottimo quarto posto tra una cinquantina di concorrenti della stessa età al Premio Paolo Spinchich istituito dall’Accademia Ars Nova di Trieste. Brava Laura. Ora, il premio di tanto impegno è certamente ciò che psicologi e pedagogisti chiamano una “sana formazione della personalità”, con tanto di valore aggiunto in un solido bagaglio culturale. Ma siccome questi sono termini che i ragazzi stentano a comprendere, è bene premiarli anche con manifestazioni di orgoglio esplicite e tangibili, come gli applausi dei familiari ai saggi di fine semestre. Ben venga anche la gita premio d’istruzione a Pesaro, che i migliori studenti delle tre sezioni avranno l’opportunità di visitare dal 27 al 30 aprile grazie ad al contributo del fondatore, l’Unione Italiana. Ma è stato particolarmente gradito l’invito del Centro di Cultura Italiano di Zagabria a sostenere un concerto nella capitale su iniziativa dell’Ambasciata della Repubblica Italiana. Se non sono soddisfazioni, queste... 4 mus Mercoledì, 25 aprile 2012 A LA RECHERCHE DE LA MEMOIRE PERDUE Personaggio carismatico, negli anni Tr Conchita Riveira eccelsa arti di Patrizia Venucci Merdžo «C onchita Riveira ha mostrato di essere in possesso di una rara intelligenza. Vero è che di questa ha dimostrato tutta la genialità, come l’uditorio ebbe modo di coglierne gli aspetti vari attraverso il gusto, l’arte, lo spirito e il fervore onde cantò, mimò, sospirò, animò tutti i brani così ottimamente interpretati. La voce della Riveira è salda, fluida, agile, ben modulata, eguale nei vari registri, una vocalità che riesce a conservare a ogni stile il proprio carattere … una spiritualità musicale in piena aderenza con la sensibilità artistica. V’è nella sua voce un’anima in cui l’emozione è sempre desta, sia che questa s’infervori all’abbandono lirico, sia che s’accende di brio e di vivezza giocosa. Per queste sue doti tutti i brani ebbero il loro tipico risalto, un fascino diverso… e alla fine una prolungata ovazione”. In questi termini si esprimeva il critico de “Il Messaggero” di Roma a proposito dell’arte della cantante da concerto fiumana Conchita Riveira nome d’arte di Maria Concetta Mohovich (sorella del noto avvocato fiumano Gastone Mohovich) che nasceva nella città di San Vito il 14 settembre del 1900. Purtroppo il nome di questo straordinario personaggio, oggi, per i fiumani, risulta sconosciuto al pari di tante persone di valore e di successo della vecchia Fiume. Anche questa artista, in seguito alle drammatiche vicende storiche che coinvolsero il capoluogo quarnerino nel secondo dopoguerra, è stata ingiustamente obliata. Cantante di rare doti ed artista di grande carisma, persona colta e raffinata, donna affascinante (aveva la silhouette di un’indossatrice) Conchita Riveira negli anni Trenta e Quaranta conquistò il pubblico e la critica di Vienna, Budapest, Praga, Colonia, dell’Aja, di Brno, Milano, Torino, Roma, Trieste, Venezia, Firenze, Bologna, Palermo, Parma, Piacenza, Pesaro, Catania, Fiume, Pola, Zara ecc. ecc. ottenendo successi invidiabili. “Successo pieno, completo, incondizionato” scriveva “Il Gaz- zettino di Venezia”… … la serata straordinariamente affascinante dell’artista italiana fu coronata da vivissimi applausi” riportava il “Der Neue Tag” di Colonia. “Ebbe un successo grande, serio, meritato” così l’”Uj Magyarsag” di Budapest. “… trascinò il pubblico al più schietto entusiasmo” notava il “Haagsche Courant” dell’Aja. Nel dopoguerra la Riveira, pur amando moltissimo la città natale, prese la via dell’Italia continuando la sua carriera ed operando come docente di canto presso il Conservatorio di Stato di Cagliari. Si spense a Firenze nel 1990. L’arte di Conchita Riveira Non abbiamo avuto il privilegio di conoscere l’ Artista e la Sua maestria, tuttavia le numerose, particolareggiate recensioni dei critici, tanto competenti quanto viziati, di mezza Europa, concordano puntualmente sulle peculiarità di questa “eletta contatrice”, di questa vera e propria sacerdotessa dell’arte”, “di questa artista completa ed aristocratica”, per cui, noi ci permetteremo di tentare un’analisi dell’arte della Riveira. Conchita Riveira fu cantante da concerto per eccellenza, e in questo contesto bisogna rilevare che il canto da camera per certi aspetti è anche più “difficile” della lirica, in quanto non ci sono né costumi, né scene, né effetti scenici, né orchestra (tutto “fattori d’aiuto”) che possano in qualche modo distrarre lo spettatore da eventuali lacune del cantante. Il concertista cantante si ritrova solo soletto sul podio da concerto, con un accompagnamento spesso esile del pianoforte e può fare affidamento unicamente sulle proprie doti vocali e di interprete per guadagnarsi i favori del pubblico. Interprete straordinaria Le critiche che l’artista fiumana si guadagnò sono tante, laudative, scritte spesso in toni entusiastici, che rivelano in quale misura la cantante avesse affascinato Programma del concerto tenuto dalla Riveira a Livorno nel 1948 persino i recensori più esigenti. La Riveira fu indubbiamente una cantante ed artista di finissima e profonda intelligenza e spiritualità, di qualità interpretative fuori dal comune come testimonia “La Tribuna” di Roma (“cantanti intelligenti come Conchita Riveira ce ne sono poche” … la sua volontà ch’è sempre una volontà cosciente ed intelligente...”), il “Kolnische Zeitung” (“una forte personalità artistica che plasma le sue interpretazioni con un’intelligenza superiore… soffuse di spiritualità”), il “Kolnische Volkszeitung” di Colonia (“una soprano italiana di somma intelligenza… le sue interpretazioni così riccamente spirituali”) l’”Uj Magyarsag” (“la sua luminosa intelligenza… grandissima potenza d’espressione”), e tante altre importanti testate europee. Cantante dai gusti raffinatissimi, artista di grande versatilità (nel corso di una serata cantava addirittura in sei lingue), cultura e nobiltà la Riveira aveva un modo di interpretare assolutamente individuale “alato di vivo temperamento e luminoso di fascino”; una cantante che viveva con ricca fantasia ogni singolo brano – a qualsiasi autore o stile appartenesse – ed era in grado con il suo sicuro e vero intuito artistico di penetrarne l’ atmosfera rendendola in interpretazioni di fascino straordinariamente suggestivo, trascinando il pubblico all’entusiasmo. La «veggenza» della Riveira Personalmente riteniamo che la Riveira fosse una “visionaria”, una “veggente”, nel senso che non solo riusciva ad immaginare con grande vivezza le situazioni “concrete” presenti nei vari brani, bensì era capace di captare, di sentire e di vivere le circostanze di sentimenti, atmosfere ed emozioni con una tale chiarezza coscienze e “lucidità “al punto da “vederle” e quindi riprodurle con maestria, rarissima geniale. Dunque, un’intelligenza talmente intuitiva da giungere a delle “illuminazioni”, “visioni” sul modo di rivivere il brano alla luce di quella verità dalla quale esso era scaturi- La lussuosa villa a Draga di Moschiena sul lungomare, oggi residenza di rappresentanza del governo, è stata costruita da Andrea Mohovich, zio dell’artista to. Da questa grande energia psichica, spirituale e vitalità derivavano il fascino, l’aura che circondavano la sua persona e che rimaneva nel ricordo del pubblico anche a distanza di tempo. L’aspetto vocale e il repertorio Vocalmente, Conchita Riverira era stata educata alla scuola del belcanto. Tecnica prodigiosa dell’antica scuola italiana, il “non plus ultra” in ambito canoro che, purtroppo, a cominciare dalla seconda metà dell’Ottocento, è stata man mano soppiantata dalla scuola di canto tedesca, fino quasi alla sua estinzione totale. In seguito a ciò, in ambito vocale e specie operistico, si è verificata una crisi acuta, stagnante, la quale tuttora perdura, e che si è palesata soprattutto nelle voci femminili. La Riveira è stata tra le ultime generazioni formatesi nell’arte del belcanto, in senso tecnico. La critica riferisce di una voce vibrante di passione contenuta, squillante, sonora, “ottimamente impostata sul bel canto”. Si parla di perfezione tecnica, di grande agilità di canto “da ascoltarsi ad occhi chiusi” (“Il Corriere della sera”), di timbri magnifici, (“la sua bellissima voce ci accompagna ad un’alta cultura vocale… dicitrice più unica che rara… la voce limpida ed educatissima, eccellentemente modulata è per il suo colore e le sue sonorità di un effetto affascinante”), di una voce che è sonora e viva nei soffi dei pianissimi estremi e che è velluto pure nei forti più sonori. Insomma panegirici veri e propri, recensioni che sono musica per le orecchie ed è un peccato non poter dar loro più spazio in questa sede. Quante cantanti contemporanee possono esibire simili critiche? La Riveira sceglieva i programmi con intelligenza e gusto raffinato; programmi che di regola erano molto variegati sia in senso linguistico che di stile.. Non era, Conchita Riveira una di quelle cantanti che rimescolano, più o meno, la stessa minestra. Il suo repertorio contava trentotto autori antichi, classici e romantici, più di settanta autori moderni e contemporanei, canti popolari italiani, tedeschi, spagnoli ecc. e cantava perlomeno in sei lingue. Quindi una versatilità e degli orizzonti musicali e culturali d’eccezione. Rara integrità artistica C’è poi nell’arte di questa “finissima e gentilissima cantatrice” un altro elemento che potremmo definire etico-professionale. Conchita Riveira non era solo una “seria professionista”; era molto di più. “Temperamento artistico veramente eccezionale”, la Riveira si, in quanto viveva l’arte come manifestazio- sica Mercoledì, 25 aprile 2012 5 renta, la fiumana Maria Concetta Mohovich conquistò risonanza internazionale ista del canto da camera ne dell’anima, come un qualcosa di sacro. Da qui quell’aria da vestale, “da sacerdotessa dell’arte, da artista eletta” che irradiava e di cui parlano le recensioni del tempo. Nei tempi andati in special modo, l’uomo si poneva al servizio dell’arte, quasi sempre nella maniera più disinteressata. Purtroppo, oggigiorno, e non di rado, l’arte viene “usata”, e pure degradata, da non pochi, a fini di “successo” personale. D’altra parte, la società del consumo, macina e “digerisce” tutto, arte compresa, come fosse pastasciutta. Conchita Riveira fu cantante da camera per eccellenza e mai si sentì attratta né si cimentò nell’opera lirica. Riteneva forse Conchta Riveira che certi drammi scontati, certi effettoni, certi libretti deboli, le incongruenze e i tanti paradossi presenti in non poche opere liriche offuscassero, turbassero in qualche modo quell’ideale di arte superiore e pura da lei coltivato e perciò questa natura d’artista intellettuale e raffinata preferiva le preziosità e la verità dei testi poetici, le atmosfere sottili e composite, l’aderenza tra testo e musica, tra contenuto e forma, l’intimità dei “lieder” dei grandi compositori tedeschi ed europei. A Moschiena le radici della famiglia Mohovich In questa poche righe abbiamo tentato di fare un ritratto della Riveira diva, musa del canto, ma, ci pare doveroso soffermarci, per quanto possibile, pure sul piano privato dell’artista. A questo proposito, a suo avevamo raccolto la testimonianza, la signora Mine Rudan Lehmann - che purtroppo, nel frattempo è venuta a mancare -, cognata di Maria Concetta Mohovich, sorella dell’esimio pianista e compositore sussaciano-fiumano Bruno Rudan (spentosi a Bologna nel 1978) e madre della valente pianista e concertista italiana di origine fiumana Maria Cristina Mohovich Bianconi. “Mia cognata Concetta – in famiglia la chiamavano affettuosamente Conciù – nacque il 4 settembre 1900 a Fiume, nella casa di proprietà paterna sita in Corso Vittorio Emanuele 36, da Donato Mohovich, titolare di una grossa ditta di import-export che commerciava con tutti i cinque continenti, e dalla triestina Olga Bellen, discendente di una famiglia di avvocati. La famiglia possedeva, per trascorrervi l’estate, una casa a Draga di Moschiena la quale risultava di loro proprietà fin dal 1526, in base al testamento dell’avo Giorgio Mohovich (il documento è in glagolitico e ne conserviamo una fotocopia in famiglia) che, profugo dalla Macedonia, si rifugiò in Istria. Costui edificò, per adempiere ad un voto, la chiesetta di Kraj (Riva), paese che si trova prima di Moschiena, e dove, detto testamento, fu conservato, fino all’esodo. Conciù iniziò lo studio del canto a ventidue anni, dapprima a Vienna con Carlo Lafite e poi a Roma con Bice Soldini Calcagni. Debuttò a Vienna con grande successo nel 1928. Girò parecchio per l’Europa, ma,nonostante ciò era legatissima alla sua città e in special modo a Moschiena. Era un’ottima nuotatrice; in acqua sembrava un pesce. Conciù era molto slanciata ed aveva un modo particolare di vestire, direi un po’ eccentrico. Aveva moltissime amicizie, era molto colta, aveva tanti interessi. Prlava benissimo il tedesco, il francese e l’ inglese, e cantava sempre nei testi originali. Pur avendo avuto diverse occasioni, non volle mai sposarsi. Era credente e osservante. Con l’esodo prese la via dell’Italia e, oltre alla sua attività di concertista, operò per diversi anni come docente di canto presso il Conservatorio di Cagliari. Da pensionata si ritirò a Firenze, raggiungendo il padre. Sono stata spesso a trovarla a Firenze e l’ho assistita nelle sue ultime ore di vita, nel convento delle suore Domenicane, dove si era ritirata negli ultimi anni. Si è spenta a quasi novant’anni.” “Era una persona di grandissimo carisma, un’artista eccezionale” ricorda la nipote, la pianista Maria Cristina Mohovich Bianconi. Le tre stelle fiumane del firmamento internazionale Conchita Riveira, Maria Scarpa de Bernal – cantante lirica di risonanza intermnazionale - e Paola Takacz (figlia della Scarpa), primadonna dell’Opera di Budapest, sono state le tre grandi artiste fiu- La casa natale di Maria Concetta Mohovich mane del Novecento, le tre stelle luminose che hanno brillato alto nel firmamento del canto internazionale, rendendo onore e prestigio anche alla loro città natale. Ed essa, se è vero che gli artisti sono il lievito di un mondo più alto, non le può né le deve ignorare. Queste artiste fanno parte della storia e della cultura della città di e quindi vanno ricordate ed onorate. E’ importante avere coscienza di quali e quanti spiriti siano germogliati in questa parte di terra. E’ necessario, per noi e per quelli che verranno, avere coscienza delle proprie radici ed origini, soprattutto culturali, per sapere che cosa e chi siamo. Queste righe non sono che un modesto omaggio a Conchita Riveira la quale andrebbe ricordata almeno con una targa ricordo sulla casa in Corso, o intitolandole un concorso, una compagine corale, un’istituzione musicale... Un omaggio all’artista, sotto forma di mostra, era stato tributato nel 1999 alla CI di Fiume, dalla sottoscritta, sotto il patrocinio della Sezione storica della Comunità degli Italiani del capoluogo quarnerino. 6 musica Mercoledì, 25 aprile 2012 LA RECENSIONE Superba realizzazione discografica del «Trionfo di Clelia» Risplendono le pagine obliate di Christoph Willibald Gluck CHRISTOPH WILLIBALD GLUCK (1714-1787) Il trionfo di Clelia Opera in tre atti (Bologna 1763) Hélène Le Corre - Clelia soprano Mary-Ellen Nesi - Orazio mezzo soprano Irini Karaianni - Tarquinio mezzo soprano Burçu Uyar - soprano Larissa Vassilis Kavayas - Porsenna tenore Florin Cezar Ouatu - Mannio controtenore Armonia Atenea Giuseppe Sigismondi de Risio – direttore MDG 609 1733 (3 CD) U na bellissima registrazione viene ad arricchire il panorama ahimè ancora scarso della discografia dedicata all’opera seria di Christoph Willibald Gluck. Si tratta de Il trionfo di Clelia, su libretto di Pietro Metastasio, data per la prima volta a Bologna nella primavera del 1763 e qui egregiamente eseguita dall’orchestra Armonia Atenea diretta da Giuseppe Sigismondi de Risio. Lo stesso Sigismondi de Risio ha ritrovato la copia manoscritta della partitura che giaceva dimenticata in una biblioteca italiana, uno dei nostri tanti giacimenti culturali, e che mostrava differenze con le altre copie manoscritte a noi giunte. L’opera, che dopo la prima non fu più eseguita a causa probabilmente delle complicazioni inerenti sia l’ampio organico orchestrale necessario (mai più eguagliato in Gluck) sia le difficoltà vocali delle arie, fu commissionata al musicista dal direttore del Nuovo Pubblico Teatro di Bologna, conte Luigi Bevilacqua, che con questa importante produzione andava ad inaugurare quello che poi divenne il Teatro Comunale. I retroscena Il 10 luglio 1762 l’incaricato del conte, Lodovico Preti, si recava a Vienna per condurre i negoziati con Gluck che pur non gradendo la scelta del libretto (avrebbe infatti preferito musicare L’Olimpiade dello stesso Metastasio) alla fine accettò di comporre la musica per questo libretto, che solo l’anno precedente aveva conosciuto un successo trionfale a Vienna nell’intonazione di Johann Adolf Hasse. Il trionfo di Clelia si adattava infatti meglio all’occasione inaugurale del nuovo teatro bolognese, non solo per il soggetto di argomento romano, tratto da Tito Livio, ma soprattutto per la possibilità di una messa in scena più grandiosa e fastosa, che avrebbe dovuto colpire l’immaginario del pubblico, che come vedremo accorrerà numerosissimo, di concerto con la musica del celebre musicista. Nelle clausole si chiedeva espressamente a Gluck, appena reduce dal successo dell’Orfeo ed Euridice, un’opera nello spirito della tradizione del Dramma per Musica, senza caratteri innovativi, che pure Gluck inserì fra le pieghe della composizione. Tra i termini del contratto c’era la clausola che l’autore doveva recarsi a partire dall’aprile del 1763 a Bologna (la prima si terrà il 14 maggio dello stesso anno) per seguire i cantanti, dirigere le ripetizioni e successivamente le prime tre esecuzioni al clavicembalo o al fortepiano. Strepitosa inaugurazione bolognese La compagine era sontuosa, cinquantotto musicisti e i migliori cantanti sulla piazza, alcuni già conosciuti da Gluck e che avevano cantato anche nella versione di Hasse, come il tenore Giuseppe Tibaldi (Porsenna) e il soprano Antonia Girelli-Anguilar (Clelia), i soprani castrati Giovanni Manzoli (Orazio) e Giovanni Toschi (Tarquinio), il castrato contralto Gaetano Ravanni (Mannio) e il soprano Cecilia Grassi (Larissa), tutti ingaggiati per ruoli di grandissimo virtuosismo. Il successo fu enorme: 27 rappresentazioni sempre esaurite, una vendita di più di trentamila biglietti in poco più di un mese, che indicavano una massiccia partecipazione anche dal resto d’Italia e di viaggiatori stranieri. L’opera è superba, con una splendida ouverture in tre tempi, 19 arie per i solisti, due sinfonie, sei recitativi accompagnati e lunghissimi recitativi di grande impegno drammatico. Gluck fece in questa opera un grande uso del recitativo accompagnato, che spesso procede da un recitativo secco, in alcuni casi segue delle arie che rinunciano alla tradizionale sortita, arie comunque in gran parte con il da capo anche se Gluck interviene allungando o accorciando le riprese per condurre ed approfondire la tenuta drammatica del testo. Un capolavoro del Metastasio Un testo strepitoso, questo di Metastasio, con Clelia vera protagonista assoluta del dramma: la fanciulla che acquisisce, man mano che procede l’azione, spessore e identità, acquistando verso la fine, nel monologo del terzo atto, una statura di dimensione eroica, ma velata da una umanità dolente per la sua debolezza che le deriva soprattutto dall’intenso sentimento d’amore che prova per Orazio, figura viceversa più stereotipata e di una virtù senza concessioni e sfumature. Interessanti i personaggi di Porsenna, re etrusco affascinato dalla virtus romana e Tarquinio, che nella sua malvagità è pur tuttavia personaggio complesso, consapevolmente peccatore, mentre Larissa e Mannio svolgono i loro ruoli di comprimari nel segno soprattutto dell’amicizia. La storia è quella della fanciulla romana Clelia che, ostaggio del re Porsenna in pegno di pace fra Roma ed Etruria, si trova a contrastare le mire amorose di Tarquinio, mentre il suo cuore è tutto per il valoroso Orazio, nobile romano. Tarquinio tenterà il colpo di mano sia nei confronti di Roma che di Clelia, cercando una conquista che sarà contrastata da Orazio, che da solo sul Ponte Sublicio ricaccerà l’esercito etrusco, distruggendo infine il ponte e salvando la città, mentre Clelia si getterà a nuoto nel Tevere pur di sfuggire al rapimento. A Porsenna che crede, suo malgrado, che siano i romani ad aver infranto il patto, risponderanno Orazio e soprattutto Clelia, che recando la prova inconfutabile del tradimento di Tarquinio, riporterà la pace tra i due popoli. Partitura di grande potenza drammatica Come dicevo la musica di Gluck è strepitosa, le arie di bravura ricchissime di colorature le più complesse da realizzarsi, ma anche arie già legate in parte alla sua riforma, con un’espressione più naturale e un’armonia melodica e cantabile che ha nell’aria di Larissa Ah ritorna età dell’oro il suo momento più alto; diversi momenti lirici come nella bellis- Christoph Willibald Gluck “Clelia attraversa il Tevere” di Rubens sima aria di Orazio Saper ti basti e stupendi recitativi, anche accompagnati, dalla potenza drammatica veramente esemplare. In particolare nel secondo atto il lungo brano dalla scena X alla XII che inizia con una marcia di piglio guerresco, continua in un recitativo accompagnato in cui Orazio decide di combattere da solo contro gli Etruschi, in cui il tremolo degli archi rende il momento dell’estrema decisione, prosegue una sinfonia con gli archi all’unisono e un nuovo recitativo accompagnato, con Tarquinio e Clelia che intervengono a potenziare l’effetto di drammaticità. Anche il lunghissimo monologo di Clelia all’inizio del terzo atto è reso da Gluck in modo eccezionale, con i sentimenti contrastati e dilanianti dell’eroina che vengono resi in un recitativo accompagnato dall’affascinante teatralità. Tutto questo è reso in modo eccellente dall’esecuzione della Armonia Atenea, il cui direttore Sigismondi de Risio ha impresso un ritmo, un contrasto dinamico di colori, un timbro musicale da lasciare senza respiro, nelle arie di bravura come nei momenti sinfonici, potentissimi, in una orchestrazione e concertazione superlativa che esalta la bravura dei singoli musicisti che spesso si trovano ad accompagnare il canto come i corni nell’aria di Mannio Vorrei che almen per gioco, o i soli archi che sottolineano il lirismo dell’aria di Larissa Ah celar la bella face. I recitativi sono resi in modo assolutamente eccezionale e contribuiscono grandemente all’efficacia drammatica dell’opera. Interpretazioni di alto livello L’Orazio di Mary Ellen Nesi è un capolavoro di bravura e drammaticità che rende con pregnanza un personaggio capitale; sia il lungo brano del secondo atto che il finale con l’aria “allegro assai” De’ folgori di Giove la mostrano al suo apice, forse una delle sue migliori interpretazioni, ma non di meno la Clelia di Hélène Le Corre, bravissima nelle colorature come nell’aria Mille dubbi mi destano in petto ma anche nei momenti drammatici dei recitativi accompagnati. Colpiscono anche Vassilis Kavayas, un Porsenna agile nelle colorature e dal bel timbro tenorile di grazia, e il soprano Burçu Uyar, le cui arie richiedono una agilità scolvolgente ma che anche nei momenti di affascinante lirismo si dimostra assolutamente in grado di sostenere il ruolo. Irini Karaianni offre a Tarquinio il suo morbido timbro scuro, anche lei a suo agio Pietro Metastasio nelle terribili difficoltà delle colorature, come in Non speri onusto il pino, e buono anche il Mannio del controtenore Florin Cezar Ouatu. Tutti rendono efficacemente i recitativi secchi, con un senso della parola e della sua funzione teatrale assai marcata e in cui non è di secondo piano lo splendido fortepiano di George Petrou che scolpisce ed accompagna il testo con magnifica musicalità. Insomma una esecuzione a mio avviso superba che dovrebbe affascinare tutti gli amanti della musica del secondo Settecento, con un Gluck che pur restando nei canoni della tradizione introduce già i primi elementi della sua riforma dell’opera e con Metastasio incomparabile autore di un testo dalla potente drammaturgia. Isabella Chiappara musica 7 Mercoledì, 25 aprile 2012 MUSICA SACRA «Regina coeli», fonte d’ispirazione di tanti artisti I mille anni dell’antifona mariana L a “Regina Caeli”, o “Regina Coeli” (Regina del Cielo, o Regina del Paradiso), è una delle quattro antifone mariane in uso nella liturgia cattolica. Questa gioiosa preghiera (“Regina del cielo, rallegrati, alleluia: Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia, è risorto, come aveva promesso, alleluia. Prega il Signore per noi, alleluia”) viene rivolta a Maria nei vespri del giorno di Pasqua e dell’ottava fin dal XII secolo. Ogni domenica del tempo pasquale, viene recitata solennemente anche dal Papa, al posto dell’Angelus, preghiera mariana che viene recitata durante il resto dell’anno. Dante, nel canto XXIII del Paradiso, descrive il coro dei diletti che si rivolgono alla Madonna con le parole del Regina coeli: Regina coeli, laetare, alleluia: Quia quem meruisti portare. alleluia, Resurrexit, sicut dixit, alleluia, Ora pro nobis Deum, alleluia madre del Risorto e, dal 1742, viene tradizionalmente cantata o recitata nel tempo pasquale, cioè dalla domenica di Pasqua fino al giorno di Pentecoste in sostituzione dell’Angelus. Le altre tre antifone mariane sono: la Salve Regina, l’Alma Redemptoris Mater e l’Ave Regina Coelorum. Esse vengono tradizionalmente cantate al termine della compieta, la preghiera della Liturgia delle Ore recitata al termine della giornata. La composizione della “Regina coeli” risale al X secolo, ma l’autore è sconosciuto. La tradizione vuole che papa Gregorio Magno, una mattina di Pasqua in Roma, udisse degli angeli cantare le prime tre righe del Regina caeli, alla quale aggiunse la quarta. Un’altra infondata teoria afferma che l’autore sarebbe papa Gregorio V. La melodia in uso risale al XII secolo, ma è stata semplificata nel XVII. L’antifona trova la sua collocazione liturgica al Magnificat E come fantolin che ‘nver’ la mamma tende le braccia, poi che ‘l latte prese, per l’animo che ‘nfin di fuor s’infiamma; ciascun di quei candori in su si stese con la sua cima, sì che l’alto affetto ch’elli avieno a Maria mi fu palese. Indi rimaser lì nel mio cospetto, ”Regina celi” cantando sì dolce, che mai da me non si partì ‘l diletto. Regina caeli, laetare, alleluia: Quia quem meruisti portare. alleluia, Resurrexit, sicut dixit, alleluia, Ora pro nobis Deum, alleluia. L’antifona mariana fu messa in musica da moltissimi autori del Cinquecento, come pure nei secoli successivi (Lully, Brahms...) Mozart scrisse addirittura tre “Regina coeli”, KV 108, KV 127 e KV 276, ad uso della cattedrale di Salisburgo, al tempo del cardinale Colloredo. Quest’ultimo brano fu composto per quattro voci soliste, coro, piccola orchestra e organo. Composizione “Incoronazione della Vergine” di El Greco gioiosa e solare, stranamente, nella puntuale esclamazione corale dell’alleluia, ricorda in modo incredibile l’inizio del celebre “Alleluia” di Haendel, che Mozart non conosceva affatto. Elezioni affettive tra due grandi della musica? Celeberrimo infine il “Regina coeli” del Mascagni, in “Cavalleria rusticana”. Ricordiamo che l’antifona è una frase, spesso breve, che viene recitata o di preferenza cantata in una salmodia durante una celebrazione liturgica dell’ufficio o della messa. Solitamente si tratta di un versetto di un salmo o scrittura, ma può essere anche una semplice composizione ecclesiale che ha lo scopo di inquadrare il salmo cantato all’interno dell’occasione liturgica celebrata. Musicalmente l’antifona è la prima forma di ritornello e la sua origine è antichissima. Il repertorio del Canto gregoriano conta mi- gliaia di antifone, la maggior parte delle quali dell’uffico suddivisi in due generi indipendenti: l’antifona salmodica, cantata insieme ad un salmo o ad un cantico, l’antifona libera che è una preghiera messa in musica e senza versetti associati. La parola è di origine greca, da αντί (opposto) + φωνη (suono) e stava ad indicare una voce che si alternava ad un’altra nella recitazione salmodica. Le antifone dell’ufficio sono raccolte in un libro liturgico detto Antifonario Esegeta di antifone e responsoriali fu l’abate benedettino Regino di Prüm, che all’inizio del X secolo a Treviri ne scrisse abbondantemente. La forma antifonale è particolarmente diffusa nella tradizione musicale anglicana, con due gruppi di cantori che si dispongono su due lati contrapposti del coro. IL LIBRO Presentata alla CI di Fiume la prima edizione in croato di «Chopin» di Franz Liszt Erudita testimonianza dell’arte chopiniana a cura di Bruno Bontempo FIUME - Tutti lo conosciamo come virtuoso del pianoforte e compositore, ma probabilmente pochi sanno che Franz Liszt ha provato a cimentarsi anche come scrittore, sia pure con scarso successo. Anzi, dalla sua (?) penna sarebbe uscito un solo libro, una biografia di Fryderyk Chopin, che sentì suonare per la prima volta il 26 febbraio 1832 a Parigi, nel primo concerto tenuto dal musicista polacco nella capitale francese. Poi, con la straordinaria generosità e curiosità intellettuale che gli era propria, Liszt gli aprì le porte della Parigi colta, divenendone il più grande amico e protettore. Nel 1851, a meno di due anni di distanza dalla morte di Chopin, uscì questo libro che, più che come una biografia, si presenta piuttosto come un ec- cezionale ritratto dal vero. Nessuno, del resto, meglio di Liszt avrebbe potuto conoscere e capire Chopin, e non solo dal punto di vista musicale, essendo stati entrambi tra i principali innovatori dell’arte concertistica e gli indubbi creatori della figura del moderno concertista; ma anche dal punto di vista strettamente umano, e in questo senso la vita di Chopin è uno degli esempi più alti di quella identificazione romantica tra arte e vita che segnerà intere generazioni. Liszt si rivela non solo, com’è naturale, eccellente critico musicale, ma anche finissimo e attento testimone della straordinaria storia d’amore che legò Chopin a George Sand, offrendo un ritratto a tutto tondo anche di questa splendida figura di donna e del suo tormentato rapporto con il grande musicista. Meriti e demeriti Una biografia, questa, che per quasi tre quarti sembra scordarsi di Chopin, un libro che la critica ha definito non certo brillante, con molte pagine di considerazioni sull’arte e sulla sua interpretazione, di ridondanti descrizioni sulla Polonia, sul suo carattere e sulle sue usanze, con una sintassi ampollosa Franz Liszt Fryderyk Chopin e affettata. I primi capitoli, infatti, quasi dimenticano il geniale pianista polacco. Chopin è solo una figura sullo sfondo, opaco, indefinito. Poi, nella seconda metà del libro, anche tra piccole imprecisioni, Liszt si rammenta del compositore amico e la lettura diventa meno lagnosa, ma non si perdono i richiami colti, tipicamente di spirito ottocentesco, l’esagerato e mieloso romanticismo, l’uso ossessivo di similitudini e di retorica. Le descrizioni sono spesso aleatorie, effimere e, anche se Chopin è il paesaggio da dipin- Segue a pagina 8 8 musica IL LIBRO Erudita testimonianza dell’arte chopiniana Mercoledì, 25 aprile 2012 LE VOCI STORICHE Cesira Ferrani, prima interprete di Manon La cantante prediletta di Puccini Nel 1901 prese parte alla prima rappresentazione de Le maschere di Pietro Mascagni. Interpretò con successo la versione italiana dell’opera di Debussy Pelléas et Mélisande al Teatro alla Scala di Milano, sotto la direzione di Arturo Toscanini. La sua versione della protagonista è ancora considerata una icona Dalla pagina 7 gere, il quadro è appena abbozzato, senza luce. Non si raccontano nei dettagli aneddoti, quasi nessuna curiosità biografica, sparutissime le chicche; solo lunghissime e verbosissime disquisizioni sull’arte e sul carattere dei contemporanei. Attraverso le pagine dedicate a Chopin, si intravede, invece, il profilo, differente ma al contempo ugualmente geniale, di Liszt, rivale ma estimatore dell’amico pianista. I “demeriti” del libro, però, si devono spartire tra Liszt e Carolyne Sayn Wittgenstein, scrittrice e compagna del musicista ungherese che tanto, a quanto pare, ha scritto e riveduto. Immaginazione ardente Che cosa resta di Chopin in un libro a lui dedicato? Niente che non si sapesse già di un uomo dolce, malaticcio, misantropo, poetico, preciso, solitario, aristocratico nei modi, timido, geniale: “L’immaginazione di Chopin era ardente e i suoi sentimenti arrivavano sino alla violenza. La sua struttura fisica era debole e malaticcia. Chi può misurare le sofferenze scaturite da queste cose opposte? Devono esser state tremende, ma non ne diede mai spettacolo. Ne conservò il segreto, lo nascose a tutti gli sguardi sotto l’impenetrabile serenità di una fiera rassegnazione”. E poi ancora: “La sua ispirazione era imperiosa, bizzarra, irriflessiva... Mai il carattere di Chopin ha nascosto un solo movimento, un solo impulso dettato dal più delicato sentimento d’onore e dalla più nobile intesa degli effetti. Eppure, mai natura fu più atta a giustificare degli scatti, dei difetti, dei capricci e delle singolarità brusche...” Echi di un bicentenario Uscito nell’edizione italiana per la prima volta nel 1949 e poi ancora nel ‘63, ‘83, 2006..., in aprile alla Comunità degli Italiani di Fiume è stata presentata la prima edizione croata di “Chopin”, che Sanja Lovrenčić ha tradotto dal francese per l’editore zagabrese Mala Zvona, con prefazione del noto pianista e musicologo Veljko Glodić. La presentazione fiumana di “Chopin” firmato da Franz Liszt ha avuto una cornice quanto mai pertinente, il Salone delle Feste di Palazzo Modello, e si è conclusa con un’apprezzata appendice, le Reminiscenze sulla Norma di Bellini di Franz Liszt, eseguite dall’ormai affermato pianista fiumano Goran Filipec e tratte dal suo doppio Cd, uscito il mese scorso e dedicato al bicentenario della nascita del grande compositore ungherese. L’album è frutto del Premio promozione ottenuto all’ultima partecipazione di Filipec a Istria Nobilissima, nel 2005: la presentazione del CD - che la musicologa e critica musicale Bosiljka Perić Kempf ha definito “miglior progetto realizzato in Croazia per il bicentenario lisztiano” in quanto contiene pagine tra le più interessanti ma anche più impegnative sotto il profilo tecnico ed interpretativo - era stata preceduta da un vibrante recital del virtuoso concertista quarnerino al Teatro Zajc di Fiume. C Nella parte di Manon Lescaut esira Ferrani, nome d’arte di Cesira Zanazzio detta “Cimbi” (Torino, 8 maggio 1863 – Pollone, 4 maggio 1943), è stata un soprano italiano il cui operare artistico ha avuto un aspetto storico significativo. Oltre a essere la prima interprete di Manon nella Manon Lescaut e di Mimì ne La gio Liceo Musicale di Torino. Fu favorita nella sua ascesa al successo nel campo della lirica dallo zio materno Luigi Ernesto Ferraria, maggiore di lei di undici anni e suo mentore specialmente nella fase iniziale della sua carriera. Voce tipicamente lirica, si accostò al contemporaneo repertorio verista da prima con L’amico Fritz (1892 al Teatro Carlo Feli- «Una elegante e graziosa figura, una bella, dolce, espressiva voce di soprano lirico, un temperamento eccezionale, un'arte scenica raffinata» bohème, entrambe di Giacomo Puccini, partecipò alle prime esecuzioni di Fior d’Alpe di Alberto Franchetti (Teatro alla Scala di Milano 1894), Consuelo di Giacomo Orefice (Teatro Comunale di Bologna 1895), Inno all’arte di Francesco Ghin (Teatro La Fenice di Venezia 1899), Theora di Edoardo Trucco (Teatro Carlo Felice di Genova 1901) e Storia d’amore di Spiro Samara (Teatro Lirico di Milano 1903). Tra il 1902 e il 1904 registrò alcune arie su mezzo magnetico a Milano, tra cui Si, mi chiamano Mimì. Non è da confondere con Cesira Ferrari, soprano emiliana nata nel 1895. Figlia dell’avvocato Giovanni Zanazzio di Sostegno (baritono dilettante) e di Agata Ferraria di Camburzano, era sorella della rinomata pianista Lidia Zanazzio, più giovane di lei di nove anni, ed è stata la più celebre allieva del soprano austriaco Antonietta Fricci al Re- ce di Genova, 1895 al Théâtre du Casino di Montecarlo) e nel 1893 l’opera che la rese celebre nella storia, dato che fu la prima interprete del ruolo della protagonista nella Manon Lescaut di Giacomo Puccini suo estimatore e anche amante, al Teatro Regio di Torino nel 1893. Replicò in diversi teatri il successo di Manon, tra cui anche a Buenos Aires. Sempre di Puccini fu interprete celebrata del ruolo di Mimì ne La bohème, che la fece considerare la più apprezzata interprete pucciniana del momento. Nel 1901 prese parte alla prima rappresentazione de Le maschere di Pietro Mascagni, Come prima interprete di Mimì nell’allestimento del Teatro Carlo Felice di Genova. Si dedicò in seguito al repertorio romantico francese e nel 1908 vide un notevole successo nella versione italiana dell’opera di Debussy Pelléas et Mélisande al Teatro alla Scala di Milano, sotto la direzione di Arturo Toscanini. La sua versione della protagonista è ancora considerata una icona. Nel 1909 si ritirò dalle scene, dopo la ripresa della stessa opera al Teatro Costanzi di Roma (ora L’Opera di Roma). Dopo il ritiro dalle scene, sempre seguita dalla sorella Lidia Zanazzio (nota all’epoca come “la Ferrani che non si vede”), si de- dicò all’insegnamento del canto, prima a Torino, successivamente a Santa Margherita Ligure, infine a Pollone. Cesira Ferrani: “una elegante e graziosa figura, una bella, dolce, espressiva voce di soprano lirico, un temperamento eccezionale, un’arte scenica raffinata”, scrive Guido Maffiotti. E ancora: “Generosa e cordiale con i colleghi d’arte, elegante e arguta nella conversazione, amabilissima con tutti, specie con i camburzanesi che volentieri facevano due chiacchiere con tota Cesira, ha lasciato il miglior ricordo in coloro che l’hanno avvicinata”. Anno VII / n. 58 del 25 aprile 2012 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA [email protected] Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Željka Kovačić Collaboratori: Daria Deghenghi, Bruno Bontempo Foto: Daria Deghenghi e archivio