LA VOCE
DEL POPOLO
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il pentagramma
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58 • Mercoledì, 25 a
De contaminationibus musicis
di Patrizia Venucci Merdžo
Gentilissimi,
dal momento che la musica europea ha ormai alle
spalle una plurisecolare e colta tradizione, ci si ritrova
nella privilegiata posizione di poter guardare in retrospettiva l’ampio e imponente panorama dell’arte dei suoni dei
tempi andati. Dall’alto della nostra “vetta“ culturale, che
si presenta piuttosto esaurita e in crisi, possiamo ammirare le metaforiche “vallate“ sottostanti, in tutta la loro dovizia e varietà di afflati, generi e poetiche. A questo punto,
per il musicista, spesso diventa inevitabile attingere qua
e là, a quelle fresche fonti, per rinfrancarci dalla nostra
tendenziale aridità. In questo modo viene ad attualizzarsi
una contaminazione da parte del patrimonio passato rispetto alle esperienze più recenti. Contaminazione che diventa risorsa propulsiva, in quanto la vitalità dell’ antico
e i suoi permeanti fermenti vengono assimilati e trasfigurati dalla sensibilità nuova, che a sua volta si arricchisce.
Lunga è la lista dei compositori del Novecento che si
rivolsero al rinascimento, al barocco, al classicismo per
trarre nuova linfa. Emblematico, dalle nostre parti, il geniale “Omaggio a Bach“ di Boris Papandopulo (con riferimenti settecenteschi), e i suoi coloratissimi, incalzanti “Affreschi istriani“, in cui il melos (croato) dell’Istria
scintilla nel linguaggio del nostro tempo in ideale sposalizio. Peccato che l’ Orchestra di Fiume, nel 2006, non abbia riproposto questi brani nell’ anniversario della nascita di Papandopulo.
La zaratina Katarina Livljanić, musicologa medievalista, docente alla Sorbona, cantante ed interprete carisma-
tica, ripropone invece, in tutta la sua arcaica e metafisica suggestione, il canto liturgico della tradizione gregoriana e glagolitica della Dalmazia e dell’Italia medievale.
Assieme al suo complesso „Dialogos“, uno dei migliori
al mondo nel suo genere, interpreta brani da lei composti
alla maniera antica, riscuotendo successo nelle maggiori
sale da concerto del globo e ai festival più ambiti.
Questo tipo di prestiti stilistici non si verifica però solo
nel campo della musica colta, bensì ha toccato in maniera significativa anche ambiti più leggeri e di vasta popolarità. Chi non canticchia, per es. i ritornelli di Branduardi,
il menestrello della musica italiana, che è andato a frugare e recuperare addirittura nel medioevo profano le sue
orecchiabili filastrocche scandite dal ritmo della batteria?
Un connubio davvero indovinato, in quanto il fantasioso
strumentario del Medio evo prevedeva, tra vielle, pifferi e
ghironde, pure diversi tipi di tamburelli e di strumenti a
percussione con i quali si cadenzavano i vivacciuti temi.
Pertanto, Branduardi è stato fautore di una riscoperta del
patrimonio musicale antico non solo nazionale ma anche
europeo (come dimostrano d’altronde gli album dall’ emblematico titolo Futuro antico I, II, III, IV, V e VI) ed è
apprezzato tuttora a livello internazionale.
Gridano vendetta - da un punto di vista della dignità
del brano in quanto tale - invece, certe estrapolazioni di
singoli temi tratti da composizioni famose (Mozart, Beethoven, Vivaldi) che quindi vengono ripetuti, masticati,
sbattuti, miscelati fino alla banalità. Oppure l’esecuzione
di brani a carattere romantico „accompagnati“ magari
dall’incessante fracasso della batteria. Come fa Maksim
Mrvica con lo studio di Chopin in do min. (“Rivoluzione“), snaturandone completamente lo spirito.
Ci sono poi i genialoidi della classica, che da veri figli
del nostro tempo, con spiccato senso pragmatico, si danno alla scena pop rock.
Stjepan Hauser e Luka Šulić, due assi del violoncello ormai noti come 2Cellos, paradossalmente, non sono
assurti a fama internazionale per i concorsi che hanno
vinto, o per i concerti che hanno fatto, ma per l’arrangiamento di “Smooth Criminal“, la peggior cosa che abbiano mai fatto nella loro vita professionale! E da qui
la fama, i contratti, le registrazioni, i concerti con Elton
John...Mah, così va il mondo!
Da non dimenticare l’affascinante Ana Rucner che,
violoncello elettrico alla mano e gonnellini civettuoli, fa
sbrego di platee proponendo temi e melodie di grandi autori miscelati in salsa etno-pop-rock. Tuttavia, non mi
pare sia il caso di biasimarli troppo, se hanno saputo cogliere il momento opportuno e l’onda giusta da cavalcare
per arrivare al successo, sebbene per vie traverse; anche
perché nei loro concerti, spesso, ci mettono pure qualche
brano classico in versione originale, contribuendo alla
diffusione di questo alto genere musicale.
Resta il fatto che scelte di tale tipo per un musicista di
estrazione classica rappresentano un compromesso notevole.
Peccati di gioventù?
Crossoveristicamente Vostra
2 musica
Mercoledì, 25 aprile 2012
VITA NOSTRA La fondazione della sede polesana risale al 1990. Oggi il Centro «
«Dallapiccola», un autentico
musicale sia in Croazia che
di Daria Deghenghi
POLA - Il ticchettio del metronomo, gli acuti delle corde tese
del violino, il suono del martelletto che percuote la corda del pianoforte, il pizzicato deciso ma gentile della chitarra, le parole rassicuranti dei docenti che riprendono e
confortano al tempo stesso: un rumore costante che si farà armonia
non appena l’esercitazione lascerà il posto alle esibizioni in pubblico... Due volte la settimana, le
stanze e gli uffici della Comunità
degli Italiani di Pola si trasformano in aule di una scuola di musica a tutti gli effetti. E non è una
scuola qualunque, per intenderci.
Il Centro studi di musica classica
dell’Unione Italiana, “Luigi Dallapiccola”, ha come minimo due
là avrebbe accorpato anche i corsi di
Fiume e solo in un secondo momento assunto con onore il nome di Luigi Dallapiccola. Resta il fatto che il
primo nucleo dell’odierno istituto
si ebbe a Verteneglio già negli anni
Ottanta: un esperimento che inizialmente non aveva particolari pretese
ed ha da tempo superato ogni aspettativa dei fondatori.
Un vivaio di piccoli
concertisti
Oggi la sede polese del “Dallapiccola” è frequentata da 27 allievi di pianoforte, 8 di flauto e 7 a testa per violino e chitarra classica.
La predilezione per il pianoforte è
una costante negli anni, benché an-
Particolarmente gradito è l’invito
del Centro di Cultura Italiano
di Zagabria a sostenere
un concerto nella capitale,
su iniziativa dell’Ambasciata
della Repubblica Italiana
enormi vantaggi in più rispetto
agli altri istituti che impartiscono
lezioni di musica. Per prima cosa,
un elevato grado di personalizzazione dei programmi di studio, che
partono identici al primo incontro
col docente e con lo strumento,
ma poi si diramano in altrettanti
adattamenti quanti sono gli allievi del corso. In secondo luogo, di
particolare c’è la sua accessibilità
economica, rispettosa delle limitazioni di ogni famiglia, e di fatto la
modesta quota di iscrizione pari a
cinquanta kune mensili non rappresenta che un impegno formale
alla frequentazione delle lezioni e
di certo non incide in maniera negativa sui bilanci di casa. Quanto
basta per sfatare il mito per cui una
valida educazione musicale sarebbe prerogativa esclusiva delle famiglie più benestanti. Il fatto poi,
che il centro abbia tre sedi distinte, ciascuna con un elevato grado
di autonomia artistica, i propri docenti e corsi diversi, rende il “Dallapiccola” un autentico gioiello
della didattica della musica sia in
Croazia che all’estero.
Istituzione
e sviluppo
del Centro Studi
Musica Classica
La fondazione della sede polese risale al 1990, anno in cui a dirigere la Comunità degli Italiani di
Pola era Olga Milotti, alla quale si
deve la saggia idea di portare anche al “circolo” le lezioni di chitarra classica che all’epoca il maestro Mauro Masoni teneva al Liceo italiano per le future maestre
elementari. Da lì a poco si sarebbero uniti a Masoni anche Orietta
Šverko, con le sue lezioni di storia
della musica e solfeggio cantato
e dettato, nonché Fulvio Colombin, con i corsi di solfeggio parlato e teoria della musica. Ben presto prese forma e sostanza la seconda sede del centro che più in
che gli altri corsi abbiano conosciuto, a turni, picchi di interesse fuori
norma. Abbiamo incontrato Laura Šverko a lezione di pianoforte
con Orietta Šverko. Laura appartiene alla cerchia ristretta degli “affezionati”: studia al “Dallapiccola”
da ben sette anni e non ha nessuna
intenzione di mollare. Anzi, a breve passerà alla cattedra “superiore” di Tatiana Šverko, avendo ormai
superato ogni ostacolo del corso di
base. In questi giorni sta preparando la Sonata numero XIV di Donato
Cimarosa, un autentico gioiello tra
gli spartiti dedicati al pianoforte che
spera di portare in concerto entro la
fine dell’anno scolastico, ma esegue
correttamente anche Bach, Scarlatti, Dora Pejačević, Beethoven... “Il
fatto che le lezioni siano individuali
e gli allievi pochi – ci spiega Orietta
Šverko – è determinante per il nostro proposito di adeguare il programma di studio alle necessità, alla
sensibilità, al talento e alle capacità
di assimilazione dello studente, fermo restando che vanno passati in
rassegna tutti gli elementi dell’esecuzione strumentale, come da manuale. In pratica, si può scegliere tra
i compositori e le composizioni più
disparate a patto di apprendere una
determinata tecnica corrispondete all’età e al livello di formazione
dell’allievo”.
Questo perché, al termine di ogni
ciclo, lo studente deve essere in grado di vantare la stessa preparazione di un coetaneo che abbia seguito
percorsi di studio affini presso altri
istituti. Contrariamente a quanto si
è portati a credere, infatti, il centro
studi dell’Unione Italiana non è un
mondo a sé stante solo perché non
appartiene alla rete degli istituti scolastici statali. Al contrario. Il “Dallapiccola” è perfettamente in grado di
interagire, e di fatto interagisce con
scuole e accademie ad ogni livello,
di qua e di là dal confine di Stato,
preparando i suoi allievi ad affacciarsi al mondo della musica in tutte
le sue dimensioni. Passare dal centro
studi dell’Unione a qualsiasi scuola
Samantha Stell e la sua classe
di musica, conservatorio o università che sia, non solo è possibile, ma
succede regolarmente. “Per gli allievi particolarmente dotati i nostri docenti mettono a punto lezioni speciali”, ci spiega inoltre Orietta Šverko”, che cita con immensa
soddisfazione il caso di Ana Ćuić,
per la quale è stato necessario integrare il programma con lezioni aggiuntive di armonia e contrappunto.
Inutile dire che ne è valsa la pena:
Ana Ćuić si è laureata al Conservatorio di Trieste con massimi voti e
oggi insegna pianoforte a sua volta
presso la sede del Centro di Verteneglio. Similmente, Tatiana Giorgi
aveva studiato sei anni chitarra classica con Mauro Masoni. In seguito
si è laureata in Educazione musicale
all’Università di Pola e oggi insegna
alla scuola elementare di Castagner.
Ma, sia chiaro, frequentare il Centro studi di musica classica, proprio
come qualsiasi altra scuola di musica, non significa mica che uno debba per forza fare di professione il
musicista o il professore. Imparare a
suonare uno strumento è edificante
in sé anche senza farsene un mestiere che renda in termini economici:
giova, infatti, alla crescita spirituale dell’individuo, incrementandone
il bagaglio culturale e plasmandone
l’identità.
Il violino, questo
strumento tanto
difficile...
Lucia Lyon frequenta la terza
classe dell’elementare italiana “Giuseppina Martinuzzi”, studia violino e
pianoforte al “Dallapiccola”, pianoforte e solfeggio alla scuola di musica “Ivan Matetić Ronjgov”, canta
nel coro di voci bianche “Zaro” e in
più fa pattinaggio artistico per tenere in allenamento non solo il cervello ma anche il fisico. Insomma, è la
classica bambina modello, una specie che al centro studi non è per niente rara, anzi. Il corso di violino di
Nataša Goranović Ranković è particolare come lo strumento che sta
al centro del suo interesse. Per arrivare a maneggiare correttamente un
Tatjana Šverko e le promesse della tastiera
violino ce ne vuole, e basti ricordare in proposito che quattro sole corde devono sostituire l’abbondanza
di sette ottave del pianoforte, quindi, è chiaro che le lezioni propedeutiche dureranno più a lungo. Inutile
dire che l’intonazione è fondamentale per imparare a distinguere tutti i suoni che sarà possibile produrre
premendo le corde con le dita di una
mano e muovendo l’arco sul ponticello con l’altra. “In pratica – osserva la nostra interlocutrice – sono sei
mesi di ‘note a vuoto’ solo per arrivare ad azzeccare il suono desiderato e poi saperlo riprodurre. Diverso è il caso del pianoforte, dove un
tasto premuto più volte darà sempre
lo stesso risultato. In secondo luogo
le limitazioni dell’età, e quindi delle
capacità di apprendimento dei bambini, faranno sì che nello studio dello strumento non si vada oltre alla
quinta posizione su sette complessive in cui è suddivisa la lunghezza
delle corde.
Ciò detto, vorremmo sfatare un
altro mito ricorrente intorno al violino. Lo strumento mantiene infatti
la cattiva fama di essere precluso ai
ragazzi che non affondano nel lusso,
ma non è così, anzi. Un violino didattico, chiarisce Nataša Goranović,
non costa più di cento euro e, benché si tratti pressappoco di uno “scatolone”, è sufficiente a stabilire se il
bambino abbia del talento e la voglia per dedicargli il suo tempo libero e il suo interesse. In un secondo
momento, qualora ci fossero i requisiti necessari per procedere e investire ulteriori risorse, si può sempre
ripiegare su uno strumento decente
di due-tre mila kune. Troppo? Alzi
la mano chi non ha mai pensato di
spendere altrettanto per regalare al
figlio un I phone...
Santa pazienza
anche
per la chitarra
Analogo, per certi versi, è il
caso della chitarra classica, altro
strumento intorno al quale aleggia un alone di pregiudizi, e prima,
l’erronea convinzione che tutti, ma
proprio tutti, possono imparare a
suonarla, ed ancora che questo sia
possibile senza una guida, un maestro. “Certo – afferma Ivan Štekar,
che guida il corso di chitarra clas-
musica 3
Mercoledì, 25 aprile 2012
«Dallapiccola» è frequentato complessivamente da 49 allievi
gioiello della didattica
all’estero
Ivan Štekar insegna la chitarra
Nataša Goranović Ranković, l’
insegnante di violino del Centro
Lezione di pianoforte con Orietta Šverko
Lusia Lyon, concertista in erba
Paradisi, Hyden, Granados, Bartok e, recentemente, anche del nostro Smareglia.
Naturalmente l’approccio è sempre individuale e differisce notevolmente da soggetto a soggetto. In tutti i casi si ha però quella leggerezza caratteristica del “Dallapiccola”
che lo rende diverso da ogni altra
scuola, conservatorio o accademia.
L’aria che si respira in questa sede
è più familiare e meno convenzionale, e l’interscambio tra docente e
studente più immediato. Insomma,
se c’è da instaurarsi un rapporto di
fiducia e di affiatamento tra maestro
e allievo, la cosa accadrà qua prima
che altrove, e a confermarlo sono i
ragazzi stessi.
poeticamente parlando, dalle stelle alle stalle e viceversa, per dire
della differenza che passa tra il
terzo movimento della “Patetica”
di Beethoven, che Greta presenterà al prossimo saggio “incrociato”
del centro studi, ai primi colpi impacciati che la piccola Ana azzarda ancora insicura sull’enorme tastiera che ha di fronte.
Ad esclusione della piccina e
casi analoghi, il corso di Tatiana
Šverko è piuttosto ambizioso essendo strettamente finalizzato al
perfezionamento delle tecniche.
Lo dimostra anche il vocabolario
che l’accompagna. Qua si parla di
“fraseggio”, di “staccato”, “legato” e “portato”, di “contrappunto”, di “tocco” e di “sonorità”,
“dinamica” e “virtuosità” mentre
gli spartiti sono ormai quelli di
Tschaikovski, Diabelli, Mozart,
Respighi, Charpentier, Debussy,
Ravel, Rameau, Bach, Scarlatti,
Dulcis in fundo, il corso di flauto, diretto negli ultimi quattro anni
da una solista affermata quale Samanta Stell. Altro strumento peculiare per le sue proprietà fisiche,
altra via crucis per imparare a maneggiarlo correttamente, badando
anche ad una corretta postura, prima di passare alla prova decisiva
dell’imboccatura che, trattandosi di
uno strumento a fiato dal suono delicato, dev’essere eseguita alla perfezione prima di azzardare il soffio.
L’inizio è sempre faticoso, specie se
ad abbozzare il primo suono sono
bambini piccoli come quelli che attualmente frequentano le lezioni di
Samanta. Ne sa qualcosa la giovanissima Marta Ninković, che tra gli
ostacoli “del mestiere” annovera anche la perdita di un dentino da latte,
Gita premio d'istruzione a Pesaro,
che i migliori studenti delle tre
sezioni avranno l’opportunità di
visitare dal 27 al 30 aprile grazie
al contributo del fondatore,
l’Unione Italiana
sica al “Dallapiccola”, non senza
una punta di ironia – ma ciò che ne
scaturisce raramente può sperare
di avere la sufficienza, perché una
cosa è fare confusione, e un’altra
è suonare. La fretta poi, è nemica
dello strumento. Ci vogliono due
anni per esercitare la tecnica e arrivare a concedersi il lusso di suonare delle canzoni. Generalmente,
invece, i genitori dei nostri allievi
hanno la pazienza corta e credono
che si possa sfornare un concertista al primo semestre. Purtroppo le
cose vanno diversamente. Anche
perché lo strumento è per sua natura poco maneggevole”.
Insomma, come per il violino,
bisogna imparare ad impugnarlo
correttamente, ed è per questo che
si sconsiglia di bruciare le tappe.
La chitarra è grande e ingombrante,
benché leggera. Le sue corde sono
spesse e resistenti, ed è chiaro che ci
vuole un minimo di forza fisica necessaria a manipolarla. Inoltre, sarebbe utile avere una certa familiarità con il pentagramma, saper leggere le note insomma, prima di approcciare lo strumento, e tutto questo è
quasi impossibile prima della terza
elementare. “Superato l’apprendi-
stato, però, la soddisfazione di essere in grado di riprodurre una melodia così come essa sia stata concepita dal compositore, è a dir poco immensa”, conclude Štekar.
Predomina
l’interesse
per il pianoforte
Tornando al pianoforte, strumento sovrano al centro studi,
una volta apprese e consolidate le
basi, gli allievi possono accedere
al corso per così dire avanzato di
Tatiana Šverko, che segue un programma più articolato nella scelta dei compositori e nel perfezionamento delle tecniche. Tuttavia
la distinzione tra “piccoli e grandi”, “principianti ed esperti” delle
due cattedre non è poi così rigida
come appare. Non a caso una volta
la settimana s’incontrano nell’aula di Tatiana Šverko l’allieva più
giovane e quella più grande del
“Dallapiccola”: la dolcissima Ana
Chiavalon e una seria ed estremamente diligente Greta Šverko, studentessa quindicenne del liceo italiano “Dante Alighieri”. Così accade che in un solo giorno si passi,
Laura Burić,
piccola regina
del flauto
un inconveniente di non poco conto
nel caso del flauto traverso perché
arresta ogni tentativo di apprendimento del soffio. In compenso però,
Gabriel Bertetić e Filip Škatar si
stanno già esercitando alla grande. Il
primo è erede di una famiglia di musicisti e non poteva mancare all’appello. L’altro è reduce da un’esperienza precedente alla scuola di musica dove aveva studiato pianoforte.
Tra le due scuole preferisce il centro studi “Dallapiccola” perché “è
meno esigente eppure si impara di
più”. Ma la regina del corso è certamente la piccola Laura Burić, che
col flauto ha fatto più strada di tutti
e prova ne sia l’ottimo quarto posto
tra una cinquantina di concorrenti della stessa età al Premio Paolo
Spinchich istituito dall’Accademia
Ars Nova di Trieste. Brava Laura.
Ora, il premio di tanto impegno è
certamente ciò che psicologi e pedagogisti chiamano una “sana formazione della personalità”, con tanto
di valore aggiunto in un solido bagaglio culturale. Ma siccome questi
sono termini che i ragazzi stentano
a comprendere, è bene premiarli anche con manifestazioni di orgoglio
esplicite e tangibili, come gli applausi dei familiari ai saggi di fine semestre. Ben venga anche la gita premio
d’istruzione a Pesaro, che i migliori studenti delle tre sezioni avranno
l’opportunità di visitare dal 27 al 30
aprile grazie ad al contributo del fondatore, l’Unione Italiana. Ma è stato particolarmente gradito l’invito
del Centro di Cultura Italiano di Zagabria a sostenere un concerto nella
capitale su iniziativa dell’Ambasciata della Repubblica Italiana. Se non
sono soddisfazioni, queste...
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mus
Mercoledì, 25 aprile 2012
A LA RECHERCHE DE LA MEMOIRE PERDUE
Personaggio carismatico, negli anni Tr
Conchita Riveira eccelsa arti
di Patrizia Venucci Merdžo
«C
onchita Riveira ha
mostrato di essere in
possesso di una rara
intelligenza. Vero è che di questa
ha dimostrato tutta la genialità,
come l’uditorio ebbe modo di coglierne gli aspetti vari attraverso il
gusto, l’arte, lo spirito e il fervore onde cantò, mimò, sospirò, animò tutti i brani così ottimamente
interpretati. La voce della Riveira
è salda, fluida, agile, ben modulata, eguale nei vari registri, una
vocalità che riesce a conservare
a ogni stile il proprio carattere …
una spiritualità musicale in piena
aderenza con la sensibilità artistica. V’è nella sua voce un’anima
in cui l’emozione è sempre desta,
sia che questa s’infervori all’abbandono lirico, sia che s’accende
di brio e di vivezza giocosa. Per
queste sue doti tutti i brani ebbero il loro tipico risalto, un fascino diverso… e alla fine una prolungata ovazione”. In questi termini si esprimeva il critico de “Il
Messaggero” di Roma a proposito dell’arte della cantante da concerto fiumana Conchita Riveira
nome d’arte di Maria Concetta
Mohovich (sorella del noto avvocato fiumano Gastone Mohovich)
che nasceva nella città di San Vito
il 14 settembre del 1900.
Purtroppo il nome di questo
straordinario personaggio, oggi,
per i fiumani, risulta sconosciuto
al pari di tante persone di valore
e di successo della vecchia Fiume. Anche questa artista, in seguito alle drammatiche vicende
storiche che coinvolsero il capoluogo quarnerino nel secondo dopoguerra, è stata ingiustamente
obliata.
Cantante di rare doti ed artista
di grande carisma, persona colta e
raffinata, donna affascinante (aveva la silhouette di un’indossatrice)
Conchita Riveira negli anni Trenta e Quaranta conquistò il pubblico e la critica di Vienna, Budapest,
Praga, Colonia, dell’Aja, di Brno,
Milano, Torino, Roma, Trieste,
Venezia, Firenze, Bologna, Palermo, Parma, Piacenza, Pesaro, Catania, Fiume, Pola, Zara ecc. ecc.
ottenendo successi invidiabili.
“Successo pieno, completo,
incondizionato” scriveva “Il Gaz-
zettino di Venezia”… … la serata straordinariamente affascinante dell’artista italiana fu coronata
da vivissimi applausi” riportava il
“Der Neue Tag” di Colonia. “Ebbe
un successo grande, serio, meritato” così l’”Uj Magyarsag” di Budapest. “… trascinò il pubblico al più
schietto entusiasmo” notava il “Haagsche Courant” dell’Aja.
Nel dopoguerra la Riveira, pur
amando moltissimo la città natale,
prese la via dell’Italia continuando
la sua carriera ed operando come
docente di canto presso il Conservatorio di Stato di Cagliari. Si spense a Firenze nel 1990.
L’arte di Conchita
Riveira
Non abbiamo avuto il privilegio di conoscere l’ Artista e la Sua
maestria, tuttavia le numerose, particolareggiate recensioni dei critici, tanto competenti quanto viziati,
di mezza Europa, concordano puntualmente sulle peculiarità di questa
“eletta contatrice”, di questa vera e
propria sacerdotessa dell’arte”, “di
questa artista completa ed aristocratica”, per cui, noi ci permetteremo
di tentare un’analisi dell’arte della
Riveira.
Conchita Riveira fu cantante da
concerto per eccellenza, e in questo contesto bisogna rilevare che
il canto da camera per certi aspetti è anche più “difficile” della lirica, in quanto non ci sono né costumi, né scene, né effetti scenici,
né orchestra (tutto “fattori d’aiuto”) che possano in qualche modo
distrarre lo spettatore da eventuali lacune del cantante. Il concertista cantante si ritrova solo soletto
sul podio da concerto, con un accompagnamento spesso esile del
pianoforte e può fare affidamento
unicamente sulle proprie doti vocali e di interprete per guadagnarsi i favori del pubblico.
Interprete
straordinaria
Le critiche che l’artista fiumana si guadagnò sono tante, laudative, scritte spesso in toni entusiastici, che rivelano in quale misura la cantante avesse affascinato
Programma del concerto tenuto dalla Riveira
a Livorno nel 1948
persino i recensori più esigenti. La
Riveira fu indubbiamente una cantante ed artista di finissima e profonda intelligenza e spiritualità, di
qualità interpretative fuori dal comune come testimonia “La Tribuna” di Roma (“cantanti intelligenti
come Conchita Riveira ce ne sono
poche” … la sua volontà ch’è sempre una volontà cosciente ed intelligente...”), il “Kolnische Zeitung”
(“una forte personalità artistica che
plasma le sue interpretazioni con
un’intelligenza superiore… soffuse
di spiritualità”), il “Kolnische Volkszeitung” di Colonia (“una soprano
italiana di somma intelligenza… le
sue interpretazioni così riccamente
spirituali”) l’”Uj Magyarsag” (“la
sua luminosa intelligenza… grandissima potenza d’espressione”), e
tante altre importanti testate europee.
Cantante dai gusti raffinatissimi, artista di grande versatilità (nel
corso di una serata cantava addirittura in sei lingue), cultura e nobiltà
la Riveira aveva un modo di interpretare assolutamente individuale
“alato di vivo temperamento e luminoso di fascino”; una cantante
che viveva con ricca fantasia ogni
singolo brano – a qualsiasi autore
o stile appartenesse – ed era in grado con il suo sicuro e vero intuito
artistico di penetrarne l’ atmosfera
rendendola in interpretazioni di fascino straordinariamente suggestivo, trascinando il pubblico all’entusiasmo.
La «veggenza»
della Riveira
Personalmente riteniamo che la
Riveira fosse una “visionaria”, una
“veggente”, nel senso che non solo
riusciva ad immaginare con grande vivezza le situazioni “concrete”
presenti nei vari brani, bensì era capace di captare, di sentire e di vivere le circostanze di sentimenti, atmosfere ed emozioni con una tale
chiarezza coscienze e “lucidità “al
punto da “vederle” e quindi riprodurle con maestria, rarissima geniale. Dunque, un’intelligenza talmente intuitiva da giungere a delle “illuminazioni”, “visioni” sul modo di
rivivere il brano alla luce di quella
verità dalla quale esso era scaturi-
La lussuosa villa a Draga di Moschiena sul lungomare, oggi residenza di rappresentanza del governo, è
stata costruita da Andrea Mohovich, zio dell’artista
to. Da questa grande energia psichica, spirituale e vitalità derivavano il
fascino, l’aura che circondavano la
sua persona e che rimaneva nel ricordo del pubblico anche a distanza di tempo.
L’aspetto vocale
e il repertorio
Vocalmente, Conchita Riverira
era stata educata alla scuola del belcanto. Tecnica prodigiosa dell’antica scuola italiana, il “non plus ultra” in ambito canoro che, purtroppo, a cominciare dalla seconda metà
dell’Ottocento, è stata man mano
soppiantata dalla scuola di canto tedesca, fino quasi alla sua estinzione totale. In seguito a ciò, in ambito
vocale e specie operistico, si è verificata una crisi acuta, stagnante,
la quale tuttora perdura, e che si è
palesata soprattutto nelle voci femminili.
La Riveira è stata tra le ultime
generazioni formatesi nell’arte del
belcanto, in senso tecnico. La critica riferisce di una voce vibrante
di passione contenuta, squillante,
sonora, “ottimamente impostata
sul bel canto”. Si parla di perfezione tecnica, di grande agilità di canto “da ascoltarsi ad occhi chiusi”
(“Il Corriere della sera”), di timbri
magnifici, (“la sua bellissima voce
ci accompagna ad un’alta cultura
vocale… dicitrice più unica che
rara… la voce limpida ed educatissima, eccellentemente modulata
è per il suo colore e le sue sonorità
di un effetto affascinante”), di una
voce che è sonora e viva nei soffi
dei pianissimi estremi e che è velluto pure nei forti più sonori.
Insomma panegirici veri e propri, recensioni che sono musica per
le orecchie ed è un peccato non poter dar loro più spazio in questa
sede. Quante cantanti contemporanee possono esibire simili critiche?
La Riveira sceglieva i programmi con intelligenza e gusto raffinato; programmi che di regola erano
molto variegati sia in senso linguistico che di stile.. Non era, Conchita Riveira una di quelle cantanti che
rimescolano, più o meno, la stessa minestra. Il suo repertorio contava trentotto autori antichi, classici e romantici, più di settanta autori moderni e contemporanei, canti
popolari italiani, tedeschi, spagnoli
ecc. e cantava perlomeno in sei lingue. Quindi una versatilità e degli
orizzonti musicali e culturali d’eccezione.
Rara integrità
artistica
C’è poi nell’arte di questa “finissima e gentilissima cantatrice”
un altro elemento che potremmo
definire etico-professionale. Conchita Riveira non era solo una “seria professionista”; era molto di più.
“Temperamento artistico veramente
eccezionale”, la Riveira si, in quanto viveva l’arte come manifestazio-
sica
Mercoledì, 25 aprile 2012
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renta, la fiumana Maria Concetta Mohovich conquistò risonanza internazionale
ista del canto da camera
ne dell’anima, come un qualcosa di
sacro. Da qui quell’aria da vestale,
“da sacerdotessa dell’arte, da artista
eletta” che irradiava e di cui parlano le recensioni del tempo.
Nei tempi andati in special
modo, l’uomo si poneva al servizio
dell’arte, quasi sempre nella maniera più disinteressata. Purtroppo, oggigiorno, e non di rado, l’arte viene
“usata”, e pure degradata, da non pochi, a fini di “successo” personale.
D’altra parte, la società del consumo, macina e “digerisce” tutto, arte
compresa, come fosse pastasciutta.
Conchita Riveira fu cantante da
camera per eccellenza e mai si sentì
attratta né si cimentò nell’opera lirica. Riteneva forse Conchta Riveira che certi drammi scontati, certi
effettoni, certi libretti deboli, le incongruenze e i tanti paradossi presenti in non poche opere liriche offuscassero, turbassero in qualche
modo quell’ideale di arte superiore
e pura da lei coltivato e perciò questa natura d’artista intellettuale e
raffinata preferiva le preziosità e la
verità dei testi poetici, le atmosfere sottili e composite, l’aderenza tra
testo e musica, tra contenuto e forma, l’intimità dei “lieder” dei grandi compositori tedeschi ed europei.
A Moschiena
le radici
della famiglia Mohovich
In questa poche righe abbiamo tentato di fare un ritratto della
Riveira diva, musa del canto, ma,
ci pare doveroso soffermarci, per
quanto possibile, pure sul piano privato dell’artista.
A questo proposito, a suo avevamo raccolto la testimonianza, la signora Mine Rudan Lehmann - che
purtroppo, nel frattempo è venuta a
mancare -, cognata di Maria Concetta
Mohovich, sorella dell’esimio pianista e compositore sussaciano-fiumano
Bruno Rudan (spentosi a Bologna nel
1978) e madre della valente pianista e
concertista italiana di origine fiumana Maria Cristina Mohovich Bianconi. “Mia cognata Concetta – in famiglia la chiamavano affettuosamente
Conciù – nacque il 4 settembre 1900
a Fiume, nella casa di proprietà paterna sita in Corso Vittorio Emanuele
36, da Donato Mohovich, titolare di
una grossa ditta di import-export che
commerciava con tutti i cinque continenti, e dalla triestina Olga Bellen,
discendente di una famiglia di avvocati. La famiglia possedeva, per trascorrervi l’estate, una casa a Draga di
Moschiena la quale risultava di loro
proprietà fin dal 1526, in base al testamento dell’avo Giorgio Mohovich (il
documento è in glagolitico e ne conserviamo una fotocopia in famiglia)
che, profugo dalla Macedonia, si rifugiò in Istria. Costui edificò, per adempiere ad un voto, la chiesetta di Kraj
(Riva), paese che si trova prima di
Moschiena, e dove, detto testamento,
fu conservato, fino all’esodo.
Conciù iniziò lo studio del canto a
ventidue anni, dapprima a Vienna con
Carlo Lafite e poi a Roma con Bice
Soldini Calcagni. Debuttò a Vienna
con grande successo nel 1928. Girò
parecchio per l’Europa, ma,nonostante
ciò era legatissima alla sua città e in
special modo a Moschiena.
Era un’ottima nuotatrice; in acqua sembrava un pesce. Conciù era
molto slanciata ed aveva un modo
particolare di vestire, direi un po’ eccentrico. Aveva moltissime amicizie,
era molto colta, aveva tanti interessi.
Prlava benissimo il tedesco, il francese e l’ inglese, e cantava sempre
nei testi originali. Pur avendo avuto
diverse occasioni, non volle mai sposarsi. Era credente e osservante.
Con l’esodo prese la via dell’Italia e, oltre alla sua attività di concertista, operò per diversi anni come docente di canto presso il Conservatorio
di Cagliari. Da pensionata si ritirò a
Firenze, raggiungendo il padre. Sono
stata spesso a trovarla a Firenze e l’ho
assistita nelle sue ultime ore di vita,
nel convento delle suore Domenicane,
dove si era ritirata negli ultimi anni. Si
è spenta a quasi novant’anni.”
“Era una persona di grandissimo carisma, un’artista eccezionale”
ricorda la nipote, la pianista Maria
Cristina Mohovich Bianconi.
Le tre stelle fiumane del firmamento internazionale
Conchita Riveira, Maria Scarpa de Bernal – cantante lirica di risonanza intermnazionale - e Paola Takacz (figlia della Scarpa), primadonna dell’Opera di Budapest,
sono state le tre grandi artiste fiu-
La casa natale di Maria Concetta Mohovich
mane del Novecento, le tre stelle luminose che hanno brillato alto nel
firmamento del canto internazionale, rendendo onore e prestigio anche alla loro città natale.
Ed essa, se è vero che gli artisti sono il lievito di un mondo più
alto, non le può né le deve ignorare. Queste artiste fanno parte della
storia e della cultura della città di e
quindi vanno ricordate ed onorate.
E’ importante avere coscienza di
quali e quanti spiriti siano germogliati in questa parte di terra. E’ necessario, per noi e per quelli che verranno, avere coscienza delle proprie
radici ed origini, soprattutto culturali, per sapere che cosa e chi siamo.
Queste righe non sono che un
modesto omaggio a Conchita Riveira la quale andrebbe ricordata
almeno con una targa ricordo sulla casa in Corso, o intitolandole un
concorso, una compagine corale,
un’istituzione musicale...
Un omaggio all’artista, sotto
forma di mostra, era stato tributato nel 1999 alla CI di Fiume, dalla
sottoscritta, sotto il patrocinio della Sezione storica della Comunità
degli Italiani del capoluogo quarnerino.
6 musica
Mercoledì, 25 aprile 2012
LA RECENSIONE Superba realizzazione discografica del «Trionfo di Clelia»
Risplendono le pagine obliate
di Christoph Willibald Gluck
CHRISTOPH WILLIBALD GLUCK (1714-1787)
Il trionfo di Clelia Opera in tre atti (Bologna 1763)
Hélène Le Corre - Clelia soprano
Mary-Ellen Nesi - Orazio mezzo soprano
Irini Karaianni - Tarquinio mezzo soprano
Burçu Uyar - soprano Larissa
Vassilis Kavayas - Porsenna tenore
Florin Cezar Ouatu - Mannio controtenore
Armonia Atenea
Giuseppe Sigismondi de Risio – direttore
MDG 609 1733 (3 CD)
U
na bellissima registrazione
viene ad arricchire il panorama ahimè ancora scarso
della discografia dedicata all’opera
seria di Christoph Willibald Gluck.
Si tratta de Il trionfo di Clelia, su
libretto di Pietro Metastasio, data
per la prima volta a Bologna nella
primavera del 1763 e qui egregiamente eseguita dall’orchestra Armonia Atenea diretta da Giuseppe
Sigismondi de Risio.
Lo stesso Sigismondi de Risio
ha ritrovato la copia manoscritta della partitura che giaceva dimenticata in una biblioteca italiana, uno dei nostri tanti giacimenti
culturali, e che mostrava differenze con le altre copie manoscritte
a noi giunte. L’opera, che dopo la
prima non fu più eseguita a causa probabilmente delle complicazioni inerenti sia l’ampio organico orchestrale necessario (mai più
eguagliato in Gluck) sia le difficoltà vocali delle arie, fu commissionata al musicista dal direttore del Nuovo Pubblico Teatro di
Bologna, conte Luigi Bevilacqua,
che con questa importante produzione andava ad inaugurare quello che poi divenne il Teatro Comunale.
I retroscena
Il 10 luglio 1762 l’incaricato
del conte, Lodovico Preti, si recava a Vienna per condurre i negoziati con Gluck che pur non gradendo
la scelta del libretto (avrebbe infatti preferito musicare L’Olimpiade
dello stesso Metastasio) alla fine
accettò di comporre la musica per
questo libretto, che solo l’anno precedente aveva conosciuto un successo trionfale a Vienna nell’intonazione di Johann Adolf Hasse. Il
trionfo di Clelia si adattava infatti meglio all’occasione inaugurale del nuovo teatro bolognese, non
solo per il soggetto di argomento
romano, tratto da Tito Livio, ma
soprattutto per la possibilità di una
messa in scena più grandiosa e fastosa, che avrebbe dovuto colpire
l’immaginario del pubblico, che
come vedremo accorrerà numerosissimo, di concerto con la musica
del celebre musicista.
Nelle clausole si chiedeva
espressamente a Gluck, appena
reduce dal successo dell’Orfeo
ed Euridice, un’opera nello spirito della tradizione del Dramma
per Musica, senza caratteri innovativi, che pure Gluck inserì fra le
pieghe della composizione. Tra i
termini del contratto c’era la clausola che l’autore doveva recarsi a
partire dall’aprile del 1763 a Bologna (la prima si terrà il 14 maggio dello stesso anno) per seguire
i cantanti, dirigere le ripetizioni e
successivamente le prime tre esecuzioni al clavicembalo o al fortepiano.
Strepitosa
inaugurazione
bolognese
La compagine era sontuosa,
cinquantotto musicisti e i migliori cantanti sulla piazza, alcuni già
conosciuti da Gluck e che avevano cantato anche nella versione di
Hasse, come il tenore Giuseppe Tibaldi (Porsenna) e il soprano Antonia Girelli-Anguilar (Clelia), i
soprani castrati Giovanni Manzoli (Orazio) e Giovanni Toschi (Tarquinio), il castrato contralto Gaetano Ravanni (Mannio) e il soprano
Cecilia Grassi (Larissa), tutti ingaggiati per ruoli di grandissimo
virtuosismo. Il successo fu enorme: 27 rappresentazioni sempre
esaurite, una vendita di più di trentamila biglietti in poco più di un
mese, che indicavano una massiccia partecipazione anche dal resto
d’Italia e di viaggiatori stranieri.
L’opera è superba, con una
splendida ouverture in tre tempi,
19 arie per i solisti, due sinfonie,
sei recitativi accompagnati e lunghissimi recitativi di grande impegno drammatico. Gluck fece in
questa opera un grande uso del recitativo accompagnato, che spesso
procede da un recitativo secco, in
alcuni casi segue delle arie che rinunciano alla tradizionale sortita,
arie comunque in gran parte con il
da capo anche se Gluck interviene
allungando o accorciando le riprese per condurre ed approfondire la
tenuta drammatica del testo.
Un capolavoro del Metastasio
Un testo strepitoso, questo di
Metastasio, con Clelia vera protagonista assoluta del dramma:
la fanciulla che acquisisce, man
mano che procede l’azione, spessore e identità, acquistando verso
la fine, nel monologo del terzo atto,
una statura di dimensione eroica,
ma velata da una umanità dolente
per la sua debolezza che le deriva
soprattutto dall’intenso sentimento
d’amore che prova per Orazio, figura viceversa più stereotipata e di
una virtù senza concessioni e sfumature. Interessanti i personaggi
di Porsenna, re etrusco affascinato dalla virtus romana e Tarquinio,
che nella sua malvagità è pur tuttavia personaggio complesso, consapevolmente peccatore, mentre Larissa e Mannio svolgono i loro ruoli di comprimari nel segno soprattutto dell’amicizia.
La storia è quella della fanciulla romana Clelia che, ostaggio del
re Porsenna in pegno di pace fra
Roma ed Etruria, si trova a contrastare le mire amorose di Tarquinio, mentre il suo cuore è tutto per
il valoroso Orazio, nobile romano.
Tarquinio tenterà il colpo di mano
sia nei confronti di Roma che di
Clelia, cercando una conquista che
sarà contrastata da Orazio, che da
solo sul Ponte Sublicio ricaccerà l’esercito etrusco, distruggendo infine il ponte e salvando la città, mentre Clelia si getterà a nuoto
nel Tevere pur di sfuggire al rapimento. A Porsenna che crede, suo
malgrado, che siano i romani ad
aver infranto il patto, risponderanno Orazio e soprattutto Clelia, che
recando la prova inconfutabile del
tradimento di Tarquinio, riporterà
la pace tra i due popoli.
Partitura di grande
potenza drammatica
Come dicevo la musica di
Gluck è strepitosa, le arie di bravura ricchissime di colorature le
più complesse da realizzarsi, ma
anche arie già legate in parte alla
sua riforma, con un’espressione più naturale e un’armonia melodica e cantabile che ha nell’aria
di Larissa Ah ritorna età dell’oro
il suo momento più alto; diversi
momenti lirici come nella bellis-
Christoph Willibald Gluck
“Clelia attraversa il Tevere” di Rubens
sima aria di Orazio Saper ti basti
e stupendi recitativi, anche accompagnati, dalla potenza drammatica
veramente esemplare. In particolare nel secondo atto il lungo brano dalla scena X alla XII che inizia
con una marcia di piglio guerresco,
continua in un recitativo accompagnato in cui Orazio decide di combattere da solo contro gli Etruschi,
in cui il tremolo degli archi rende
il momento dell’estrema decisione, prosegue una sinfonia con gli
archi all’unisono e un nuovo recitativo accompagnato, con Tarquinio e Clelia che intervengono a
potenziare l’effetto di drammaticità. Anche il lunghissimo monologo di Clelia all’inizio del terzo atto
è reso da Gluck in modo eccezionale, con i sentimenti contrastati e
dilanianti dell’eroina che vengono
resi in un recitativo accompagnato
dall’affascinante teatralità.
Tutto questo è reso in modo eccellente dall’esecuzione della Armonia Atenea, il cui direttore Sigismondi de Risio ha impresso un
ritmo, un contrasto dinamico di colori, un timbro musicale da lasciare senza respiro, nelle arie di bravura come nei momenti sinfonici,
potentissimi, in una orchestrazione e concertazione superlativa che
esalta la bravura dei singoli musicisti che spesso si trovano ad accompagnare il canto come i corni
nell’aria di Mannio Vorrei che almen per gioco, o i soli archi che
sottolineano il lirismo dell’aria di
Larissa Ah celar la bella face. I recitativi sono resi in modo assolutamente eccezionale e contribuiscono grandemente all’efficacia
drammatica dell’opera.
Interpretazioni
di alto livello
L’Orazio di Mary Ellen Nesi è
un capolavoro di bravura e drammaticità che rende con pregnanza
un personaggio capitale; sia il lungo brano del secondo atto che il finale con l’aria “allegro assai” De’
folgori di Giove la mostrano al suo
apice, forse una delle sue migliori
interpretazioni, ma non di meno la
Clelia di Hélène Le Corre, bravissima nelle colorature come nell’aria
Mille dubbi mi destano in petto ma
anche nei momenti drammatici dei
recitativi accompagnati.
Colpiscono anche Vassilis Kavayas, un Porsenna agile nelle colorature e dal bel timbro tenorile
di grazia, e il soprano Burçu Uyar,
le cui arie richiedono una agilità scolvolgente ma che anche nei
momenti di affascinante lirismo si
dimostra assolutamente in grado di
sostenere il ruolo. Irini Karaianni
offre a Tarquinio il suo morbido
timbro scuro, anche lei a suo agio
Pietro Metastasio
nelle terribili difficoltà delle colorature, come in Non speri onusto il
pino, e buono anche il Mannio del
controtenore Florin Cezar Ouatu.
Tutti rendono efficacemente i recitativi secchi, con un senso della
parola e della sua funzione teatrale
assai marcata e in cui non è di secondo piano lo splendido fortepiano di George Petrou che scolpisce
ed accompagna il testo con magnifica musicalità.
Insomma una esecuzione a mio
avviso superba che dovrebbe affascinare tutti gli amanti della musica del secondo Settecento, con un
Gluck che pur restando nei canoni della tradizione introduce già i
primi elementi della sua riforma
dell’opera e con Metastasio incomparabile autore di un testo dalla potente drammaturgia.
Isabella Chiappara
musica 7
Mercoledì, 25 aprile 2012
MUSICA SACRA «Regina coeli», fonte d’ispirazione di tanti artisti
I mille anni dell’antifona mariana
L
a “Regina Caeli”, o “Regina Coeli”
(Regina del Cielo, o Regina del Paradiso), è una delle quattro antifone mariane in uso nella liturgia cattolica.
Questa gioiosa preghiera (“Regina del
cielo, rallegrati, alleluia: Cristo, che hai
portato nel grembo, alleluia, è risorto, come
aveva promesso, alleluia. Prega il Signore per noi, alleluia”) viene rivolta a Maria
nei vespri del giorno di Pasqua e dell’ottava
fin dal XII secolo.
Ogni domenica del tempo pasquale, viene recitata solennemente anche dal Papa, al
posto dell’Angelus, preghiera mariana che
viene recitata durante il resto dell’anno.
Dante, nel canto XXIII del Paradiso, descrive il coro dei diletti che si rivolgono alla
Madonna con le parole del Regina coeli:
Regina coeli, laetare, alleluia:
Quia quem meruisti portare. alleluia,
Resurrexit, sicut dixit, alleluia,
Ora pro nobis Deum, alleluia
madre del Risorto e, dal 1742, viene tradizionalmente cantata o recitata nel tempo pasquale, cioè dalla domenica di Pasqua
fino al giorno di Pentecoste in sostituzione
dell’Angelus.
Le altre tre antifone mariane sono: la
Salve Regina, l’Alma Redemptoris Mater e
l’Ave Regina Coelorum. Esse vengono tradizionalmente cantate al termine della compieta, la preghiera della Liturgia delle Ore recitata al termine della giornata.
La composizione della “Regina coeli” risale al X secolo, ma l’autore è sconosciuto.
La tradizione vuole che papa Gregorio Magno, una mattina di Pasqua in Roma,
udisse degli angeli cantare le prime tre righe del Regina caeli, alla quale aggiunse la
quarta. Un’altra infondata teoria afferma che
l’autore sarebbe papa Gregorio V.
La melodia in uso risale al XII secolo, ma
è stata semplificata nel XVII. L’antifona trova la sua collocazione liturgica al Magnificat
E come fantolin che ‘nver’ la mamma
tende le braccia, poi che ‘l latte prese,
per l’animo che ‘nfin di fuor s’infiamma;
ciascun di quei candori in su si stese
con la sua cima, sì che l’alto affetto
ch’elli avieno a Maria mi fu palese.
Indi rimaser lì nel mio cospetto,
”Regina celi” cantando sì dolce,
che mai da me non si partì ‘l diletto.
Regina caeli, laetare, alleluia:
Quia quem meruisti portare. alleluia,
Resurrexit, sicut dixit, alleluia,
Ora pro nobis Deum, alleluia.
L’antifona mariana fu messa in musica
da moltissimi autori del Cinquecento, come
pure nei secoli successivi (Lully, Brahms...)
Mozart scrisse addirittura tre “Regina coeli”, KV 108, KV 127 e KV 276, ad uso
della cattedrale di Salisburgo, al tempo del
cardinale Colloredo. Quest’ultimo brano
fu composto per quattro voci soliste, coro,
piccola orchestra e organo. Composizione
“Incoronazione della Vergine” di El Greco
gioiosa e solare, stranamente, nella puntuale esclamazione corale dell’alleluia, ricorda in modo incredibile l’inizio del celebre
“Alleluia” di Haendel, che Mozart non conosceva affatto. Elezioni affettive tra due
grandi della musica?
Celeberrimo infine il “Regina coeli” del
Mascagni, in “Cavalleria rusticana”.
Ricordiamo che l’antifona è una frase,
spesso breve, che viene recitata o di preferenza cantata in una salmodia durante una
celebrazione liturgica dell’ufficio o della
messa. Solitamente si tratta di un versetto
di un salmo o scrittura, ma può essere anche
una semplice composizione ecclesiale che
ha lo scopo di inquadrare il salmo cantato
all’interno dell’occasione liturgica celebrata. Musicalmente l’antifona è la prima forma
di ritornello e la sua origine è antichissima.
Il repertorio del Canto gregoriano conta mi-
gliaia di antifone, la maggior parte delle quali dell’uffico suddivisi in due generi indipendenti: l’antifona salmodica, cantata insieme
ad un salmo o ad un cantico, l’antifona libera
che è una preghiera messa in musica e senza
versetti associati.
La parola è di origine greca, da αντί (opposto) + φωνη (suono) e stava ad indicare
una voce che si alternava ad un’altra nella
recitazione salmodica. Le antifone dell’ufficio sono raccolte in un libro liturgico detto
Antifonario
Esegeta di antifone e responsoriali fu
l’abate benedettino Regino di Prüm, che
all’inizio del X secolo a Treviri ne scrisse abbondantemente. La forma antifonale è
particolarmente diffusa nella tradizione musicale anglicana, con due gruppi di cantori
che si dispongono su due lati contrapposti
del coro.
IL LIBRO Presentata alla CI di Fiume la prima edizione in croato di «Chopin» di Franz Liszt
Erudita testimonianza dell’arte chopiniana
a cura di Bruno Bontempo
FIUME - Tutti lo conosciamo come virtuoso del pianoforte e compositore, ma probabilmente pochi sanno che Franz
Liszt ha provato a cimentarsi
anche come scrittore, sia pure
con scarso successo. Anzi, dalla sua (?) penna sarebbe uscito
un solo libro, una biografia di
Fryderyk Chopin, che sentì suonare per la prima volta il 26 febbraio 1832 a Parigi, nel primo
concerto tenuto dal musicista
polacco nella capitale francese. Poi, con la straordinaria generosità e curiosità intellettuale
che gli era propria, Liszt gli aprì
le porte della Parigi colta, divenendone il più grande amico e
protettore. Nel 1851, a meno di
due anni di distanza dalla morte
di Chopin, uscì questo libro che,
più che come una biografia, si
presenta piuttosto come un ec-
cezionale ritratto dal vero. Nessuno, del resto, meglio di Liszt
avrebbe potuto conoscere e capire Chopin, e non solo dal punto di
vista musicale, essendo stati entrambi tra i principali innovatori
dell’arte concertistica e gli indubbi creatori della figura del moderno concertista; ma anche dal punto di vista strettamente umano, e
in questo senso la vita di Chopin è
uno degli esempi più alti di quella identificazione romantica tra
arte e vita che segnerà intere generazioni. Liszt si rivela non solo,
com’è naturale, eccellente critico musicale, ma anche finissimo
e attento testimone della straordinaria storia d’amore che legò
Chopin a George Sand, offrendo
un ritratto a tutto tondo anche di
questa splendida figura di donna
e del suo tormentato rapporto con
il grande musicista.
Meriti e demeriti
Una biografia, questa, che per
quasi tre quarti sembra scordarsi di Chopin, un libro che la critica ha definito non certo brillante,
con molte pagine di considerazioni
sull’arte e sulla sua interpretazione,
di ridondanti descrizioni sulla Polonia, sul suo carattere e sulle sue
usanze, con una sintassi ampollosa
Franz Liszt
Fryderyk Chopin
e affettata. I primi capitoli, infatti,
quasi dimenticano il geniale pianista polacco. Chopin è solo una figura sullo sfondo, opaco, indefinito. Poi, nella seconda metà del libro, anche tra piccole imprecisioni,
Liszt si rammenta del compositore amico e la lettura diventa meno lagnosa, ma
non si perdono i richiami colti, tipicamente di spirito ottocentesco,
l’esagerato e mieloso romanticismo, l’uso ossessivo di similitudini e di retorica. Le descrizioni sono
spesso aleatorie, effimere e, anche
se Chopin è il paesaggio da dipin-
Segue a pagina 8
8 musica
IL LIBRO
Erudita
testimonianza
dell’arte
chopiniana
Mercoledì, 25 aprile 2012
LE VOCI STORICHE Cesira Ferrani, prima interprete di Manon
La cantante prediletta di Puccini
Nel 1901 prese parte alla prima
rappresentazione de Le maschere
di Pietro Mascagni.
Interpretò con successo la versione
italiana dell’opera di Debussy
Pelléas et Mélisande al Teatro
alla Scala di Milano, sotto
la direzione di Arturo Toscanini.
La sua versione della protagonista
è ancora considerata una icona
Dalla pagina 7
gere, il quadro è appena abbozzato, senza luce. Non si raccontano
nei dettagli aneddoti, quasi nessuna
curiosità biografica, sparutissime le
chicche; solo lunghissime e verbosissime disquisizioni sull’arte e sul
carattere dei contemporanei. Attraverso le pagine dedicate a Chopin,
si intravede, invece, il profilo, differente ma al contempo ugualmente
geniale, di Liszt, rivale ma estimatore dell’amico pianista. I “demeriti” del libro, però, si devono spartire
tra Liszt e Carolyne Sayn Wittgenstein, scrittrice e compagna del musicista ungherese che tanto, a quanto pare, ha scritto e riveduto.
Immaginazione
ardente
Che cosa resta di Chopin in un
libro a lui dedicato? Niente che
non si sapesse già di un uomo dolce, malaticcio, misantropo, poetico, preciso, solitario, aristocratico
nei modi, timido, geniale: “L’immaginazione di Chopin era ardente
e i suoi sentimenti arrivavano sino
alla violenza. La sua struttura fisica era debole e malaticcia. Chi può
misurare le sofferenze scaturite da
queste cose opposte? Devono esser state tremende, ma non ne diede mai spettacolo. Ne conservò il
segreto, lo nascose a tutti gli sguardi sotto l’impenetrabile serenità di
una fiera rassegnazione”. E poi ancora: “La sua ispirazione era imperiosa, bizzarra, irriflessiva... Mai il
carattere di Chopin ha nascosto un
solo movimento, un solo impulso
dettato dal più delicato sentimento d’onore e dalla più nobile intesa
degli effetti. Eppure, mai natura fu
più atta a giustificare degli scatti,
dei difetti, dei capricci e delle singolarità brusche...”
Echi
di un bicentenario
Uscito nell’edizione italiana per
la prima volta nel 1949 e poi ancora nel ‘63, ‘83, 2006..., in aprile
alla Comunità degli Italiani di Fiume è stata presentata la prima edizione croata di “Chopin”, che Sanja
Lovrenčić ha tradotto dal francese
per l’editore zagabrese Mala Zvona, con prefazione del noto pianista e musicologo Veljko Glodić.
La presentazione fiumana di “Chopin” firmato da Franz Liszt ha avuto una cornice quanto mai pertinente, il Salone delle Feste di Palazzo Modello, e si è conclusa con
un’apprezzata appendice, le Reminiscenze sulla Norma di Bellini di
Franz Liszt, eseguite dall’ormai
affermato pianista fiumano Goran
Filipec e tratte dal suo doppio Cd,
uscito il mese scorso e dedicato al
bicentenario della nascita del grande compositore ungherese. L’album è frutto del Premio promozione ottenuto all’ultima partecipazione di Filipec a Istria Nobilissima, nel 2005: la presentazione del
CD - che la musicologa e critica
musicale Bosiljka Perić Kempf ha
definito “miglior progetto realizzato in Croazia per il bicentenario lisztiano” in quanto contiene pagine
tra le più interessanti ma anche più
impegnative sotto il profilo tecnico
ed interpretativo - era stata preceduta da un vibrante recital del virtuoso concertista quarnerino al Teatro Zajc di Fiume.
C
Nella parte di Manon Lescaut
esira Ferrani, nome d’arte di Cesira Zanazzio
detta “Cimbi” (Torino, 8
maggio 1863 – Pollone, 4 maggio 1943), è stata un soprano
italiano il cui operare artistico
ha avuto un aspetto storico significativo.
Oltre a essere la prima interprete di Manon nella Manon Lescaut e di Mimì ne La
gio Liceo Musicale di Torino. Fu
favorita nella sua ascesa al successo nel campo della lirica dallo
zio materno Luigi Ernesto Ferraria, maggiore di lei di undici anni
e suo mentore specialmente nella
fase iniziale della sua carriera.
Voce tipicamente lirica, si accostò al contemporaneo repertorio verista da prima con L’amico
Fritz (1892 al Teatro Carlo Feli-
«Una elegante e graziosa figura,
una bella, dolce, espressiva voce
di soprano lirico, un
temperamento eccezionale,
un'arte scenica raffinata»
bohème, entrambe di Giacomo Puccini, partecipò alle prime esecuzioni di Fior d’Alpe di Alberto Franchetti (Teatro alla Scala di Milano 1894),
Consuelo di Giacomo Orefice
(Teatro Comunale di Bologna
1895), Inno all’arte di Francesco Ghin (Teatro La Fenice di
Venezia 1899), Theora di Edoardo Trucco (Teatro Carlo Felice di Genova 1901) e Storia
d’amore di Spiro Samara (Teatro Lirico di Milano 1903).
Tra il 1902 e il 1904 registrò
alcune arie su mezzo magnetico a Milano, tra cui Si, mi chiamano Mimì.
Non è da confondere con
Cesira Ferrari, soprano emiliana nata nel 1895.
Figlia dell’avvocato Giovanni Zanazzio di Sostegno
(baritono dilettante) e di Agata Ferraria di Camburzano, era
sorella della rinomata pianista
Lidia Zanazzio, più giovane di
lei di nove anni, ed è stata la più
celebre allieva del soprano austriaco Antonietta Fricci al Re-
ce di Genova, 1895 al Théâtre du
Casino di Montecarlo) e nel 1893
l’opera che la rese celebre nella
storia, dato che fu la prima interprete del ruolo della protagonista
nella Manon Lescaut di Giacomo
Puccini suo estimatore e anche
amante, al Teatro Regio di Torino nel 1893. Replicò in diversi teatri il successo di Manon, tra cui
anche a Buenos Aires. Sempre di
Puccini fu interprete celebrata del
ruolo di Mimì ne La bohème, che
la fece considerare la più apprezzata interprete pucciniana del momento.
Nel 1901 prese parte alla
prima rappresentazione de Le
maschere di Pietro Mascagni,
Come prima interprete di Mimì
nell’allestimento del Teatro Carlo Felice di Genova.
Si dedicò in seguito al repertorio romantico francese e nel 1908
vide un notevole successo nella
versione italiana dell’opera di
Debussy Pelléas et Mélisande al
Teatro alla Scala di Milano, sotto
la direzione di Arturo Toscanini.
La sua versione della protagonista è ancora considerata una icona. Nel 1909 si ritirò dalle scene,
dopo la ripresa della stessa opera
al Teatro Costanzi di Roma (ora
L’Opera di Roma).
Dopo il ritiro dalle scene, sempre seguita dalla sorella Lidia Zanazzio (nota all’epoca come “la
Ferrani che non si vede”), si de-
dicò all’insegnamento del canto,
prima a Torino, successivamente
a Santa Margherita Ligure, infine
a Pollone.
Cesira Ferrani: “una elegante e graziosa figura, una bella,
dolce, espressiva voce di soprano lirico, un temperamento eccezionale, un’arte scenica raffinata”, scrive Guido Maffiotti.
E ancora: “Generosa e cordiale
con i colleghi d’arte, elegante e
arguta nella conversazione, amabilissima con tutti, specie con i
camburzanesi che volentieri facevano due chiacchiere con tota
Cesira, ha lasciato il miglior ricordo in coloro che l’hanno avvicinata”.
Anno VII / n. 58 del 25 aprile 2012
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
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Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MUSICA [email protected]
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Željka Kovačić
Collaboratori: Daria Deghenghi, Bruno Bontempo
Foto: Daria Deghenghi e archivio