14 luglio 2016 Il Resto del Carlino Un team di patologi darà il nome alle vittime del tragico naufragio CENTINAIA di vittime ancora senza un nome. Ed un pool di patologi forensi pronti a lavorare in condizioni estreme, sia dal punto di vista fisico che psicologico, per restituirne l‟identità e riconsegnare i loro corpi, per come sarà possibile, alle famiglie. Parte domenica, la missione di un team dell‟Università guidato da Rosamaria Gaudio, e composto da sette specializzandi di Anatomia patologica; destinazione Melilli, in provincia di Siracusa, base logistica delle operazioni di recupero del peschereccio eritrea naufragato il 18 luglio 2015 al largo delle coste della Libia. Un evento tragico, con oltre 700 fra morti e dispersi: alle 169 salme già recuperare, grazie ad uno sforzo titanico della Marina e dei Vigili del Fuoco, se ne aggiungono circa 300 ancora pietosamente strette nella stiva della „carretta‟ del mare.ORA RESTA il compito più difficile, quello di dare un nome ai migranti morti in mare: «Lavoreremo anche sulle tracce più labili, oltre che compiendo esami del Dna e cercando di attuare la comparazione genetica con eventuali parenti – spiegano Rosamaria Gaudio e Rossana Cecchi, referente quest‟ultima del progetto per l‟ateneo di Parma –; molte delle salme hanno ancora i vestiti, ed anche questo elemento potrebbe essere utile per risalire alla loro identità, specie se troveremo ancora brandelli di documenti». Il team di patologi forensi lavorerà dodici ore al giorno, dentro un hangar su cui sono allestiti quattro tavoli settori: «Staremo a Melilli una settimana – sottolinea la Gaudio –, perché di più non si potrà fare; le condizioni di vita e di lavoro, ci hanno spiegato, non consentono di fare di più. Sia per l‟impegno fisico richiesto, sia per le difficoltà logistiche e di sopportazione psicologica di un evento tanto drammatico». Un banco di prova perciò durissimo, in particolare per i sette giovani specializzandi del Dipartimento guidato da Francesco Maria Avato. MA L‟ULTIMO aspetto di questa missione, anch‟esso estremanente rilevante, è che tutti i componenti dello staff, ad iniziare dai responsabili, non riceveranno alcuna indennità né il minimo rimborso. «Sarà tutto a nostre spese, dal viaggio ai pernottamenti ed ai pasti – conclude Rosamaria Gaudio –; l‟Università di Ferrara, al pari della altre che partecipano a questo progetto, metterà a disposizione le attrezzature necessarie, ma a tutto il resto dovremo provvedere noi. Diciamo che sarà un‟avventura di carattere umanitario e sociale, oltre che di formazione scientifica». Bardasi, un’uscita senza stile: ora serve un cambio di rotta» «LA BARDASI è uscita dalla porta sul retro, senza nemmeno salutare!». La Funzione Pubblica Cgil commenta con ironia le dimissioni del direttore generale dell‟Azienda Usl: «Da più di due settimane ha dato le sue dimissioni inaspettate e improvvise, uscendo così dalla porta sul retro, senza una parola di saluto, né tanto meno alcun ringraziamento a tutti gli operatori che ogni giorno, attraverso il proprio lavoro svolto con grande impegno permettono il funzionamento del servizio sanitario». E qui inizia la lettera: «Come direttore generale, cara dottoressa Bardasi, ha sempre dichiarato a parole l‟importanza nel coinvolgimento dei professionisti nelle numerevoli riorganizzazio ni, in primis tra tutte l‟integrazione tra l‟Azienda Usl e l‟Azienda OspedalieroUniversitaria, ma di fatto non ha mai sostenuto questa strategia – scrive il sindacato –.Oggi lo ha dimostrato ancora di più con il suo silenzio, senza alcun rispetto verso tutti quei lavoratori che hanno permesso il mantenimento dei servizi, nonostante gli innumerevoli tagli economici, l‟entrata in vigore della recente normativa sull‟or ario di lavoro, la mancanza totale di un piano assunzioni. Noi, come Funzione Pubblica Cgil, dato che non lo ha fatto lei, ringraziamo tutte le lavoratrici e i lavoratori dell‟Azienda Usl che ogni giorno svolgono il proprio lavoro e che permettono di mandare avanti una grande nave, che è stata abbandonata dal suo capitano, e che deve navigare in un mare tempestoso!». Poi, „archiviata‟ la Bardasi, la Cgil chiede «che il futuro direttore generale cambi rotta: bisogna investire sul personale e sulla professionalizzazione, solo così potrà essere garantito un servizio sanitario pubblico di qualità, perché solo attraverso investimenti sul personale e con il personale può essere realizzato il necessario e non più procastinabile processo di integrazione. Chiediamo il coinvolgimento vero dei professionisti nei processi riorganizzativi, e non solo a parole, ma attraverso il ripristino di corrette relazioni sindacali». ZIKA, primo caso a Ferrara IL VIRUS Zika arriva anche a Ferrara. Il primo caso registrato nella nostra provincia, è stato accertato in un paziente di 60 anni rientrato da poco da una vacanza di un mese a Santo Domingo, zona in cui il virus è piuttosto diffuso. L‟uomo in quel periodo ha subito diverse punture di zanzara, dalle quali avrebbe contratto la malattia. I primi sintomi si sono manifestati dopo quattro o cinque giorni dal suo rientro in Italia. Febbre, dolori articolari concentrati soprattutto alle mani e un rash pruriginoso a gambe e braccia. Insomma, tutti i sintomi tipici della Zika, tranne la congiuntivite, altro suo „marchio di fabbrica‟ L‟OTTO DI LUGLIO si è presentato al pronto soccorso dell‟ospedale di Cona e, dopo i primi controlli, è stato immediatamente ricoverato. Il sospetto, sin da subito, era che si trattasse proprio del virus che ha fatto tremare mezzo Sudamerica. Il 60enne è rimasto ricoverato nel reparto di malattie infettive fino a ieri mattina, quando è stato dimesso. A seguire il caso sin dall‟inizio è stato il professor Carlo Contini, direttore del reparto universitario di Malattie Infettive. «Già da sabato mattina – ha detto –, il rash era in regressione e la febbre era cessata. Lunedì mattina abbiamo avviato gli accertamenti con il centro specializzato di Bologna e il giorno successivo ci è arrivata la conferma: si trattava di Zika». La malattia, in genere, ha un decorso positivo. I sintomi si presentano dai 3 ai 7 giorni dopo il contagio e si risolve quasi sempre entro una settimana dalle prime manifestazioni. I segni tipici sono febbre, dolori muscolari e alle articolazioni, eruzioni cutanee, congiuntivite e forte spossatezza. Nella maggior parte dei casi la malattia si risolve senza complicanze. IL PRINCIPALE rischio, peraltro ancora non verificato con certezza, è per le donne in stato di gravidanza. In certi casi infatti, il virus può provocare microcefalia del feto. È trasmissibile, in tre modi: punture di zanzara, rapporti sessuali non protetti e trasfusioni di sangue. «Al momento – conclude Contini – non ci sono terapie né vaccino. Le uniche armi sono il riposo e gli antipiretici per sedare la febbre». Del caso sono state informate le autorità competenti, che hanno subito avviato la disinfestazione intorno all‟abitazione del paziente. La Nuova Ferrara Da più di due settimane il direttore generale dell'azienda Usl di Ferrara, dottoressa a Bardasi, ha dato le sue dimissioni inaspettate e improvvise, uscendo così dalla porta sul retro, senza una parola di saluto, né tanto meno alcun ringraziamento a tutti gli operatori che ogni giorno, attraverso il proprio lavoro svolto con grande impegno permettono il funzionamento del servizio sanitario. Come direttore generale, cara dottoressa Bardasi, ha sempre dichiarato a parole l'importanza nel coinvolgimento dei professionisti nelle numerevoli riorganizzazioni, in primis tra tutte l'integrazione tra l'Azienda USL e l'Az. Ospedaliero Universitaria, ma di fatto non ha mai sostenuto questa strategia. Oggi lo ha dimostrato ancora di più con il suo silenzio, senza alcun rispetto verso tutti quei lavoratori che hanno permesso il mantenimento dei servizi, nonostante gli innumerevoli tagli economici, l'entrata in vigore della recente normativa sull'orario di lavoro, la mancanza totale di un piano assunzioni. Noi, come Funzione Pubblica CGIL, dato che non lo ha fatto lei, ringraziamo tutte le lavoratrici e i lavoratori dell'Azienda USL che ogni giorno svolgono il proprio lavoro e che permettono di mandare avanti una grande nave, che è stata abbandonata dal suo capitano, e che deve navigare in un mare tempestoso! Chiediamo pubblicamente che il futuro direttore generale cambi rotta, bisogna investire sul personale e sulla professionalizzazione, solo così potrà essere garanti to un servizio sanitario pubblico di qualità, perché solo attraverso investimenti sul personale e con il personale può essere realizzato il necessario e non più procastinabile processo di integrazione. Chiediamo il coinvolgimento vero dei professionisti nei processi riorganizzativi, e non solo a parole,anche attraverso il ripristino di corrette relazioni sindacali. Per quanto riguarda lei cara Dott.ssa noi la salutiamo facendole gli auguri per il suo nuovo incarico! Funzione Pubblica CGIL Zika, primo caso di infezione a Ferrara Ha trascorso un mese in ferie nella Repubblica Dominicana, a Santo Domingo, uno dei paradisi caraibici più apprezzati dagli europei. Il rischio di ammalarsi per una puntura di insetto rientrava soltanto tra le eventualità della vacanza, che in alcune zone dell‟America centrale e del Sud America potrebbe incrociare le rotte delle zanzare del genere Aedes, diffuse in quella parte del continente e portatrici del virus Zika. Il turista sessantenne rientrato il 30 giugno scorso in provincia, dove risiede, ha iniziato ad avvertire la sensazione che la salute non fosse al meglio qualche giorno dopo il ritorno dalla meta esotica e ieri è giunta la conferma che l‟infezione che ne ha poi consigliato il ricovero è stata provocata proprio da una o più punture di insetti appartenenti al genere Aedes. L‟uomo è stato dimesso dal Sant‟Anna dopo un ricovero di alcuni giorni nell‟Unità operativa complessa di Malattie Infettive universitaria, diretta dal prof. Carlo Contini: sta bene e non presenta più i sintomi della patologia. Il paziente ha iniziato ad accusarli quattro giorni dopo il rientro (febbre, astenia, dolori articolari). A partire dall‟ottavo giorno si era presentata anche un‟eruzione cutanea localizzata alle gambe e al tronco. Quando è stato inviato nell‟Unità di Malattie Infettive sono state condotte le prime indagini diagnostiche e i relativi esami di laboratorio; nel frattempo è stato allertato anche il Crrem di Bologna, Centro di riferimento regionale per le emergenze microbiologiche. I medici lo hanno subito catalogato come un caso sospetto di infezione da puntura di zanzara. Nel sangue del paziente hanno cercato il virus della Chikungunya, della Dengue e di Zika. Alla fine la conferma è arrivata per quest‟ultimo e il siero è stato riscontrato positivo agli anticorpi specifici del virus. «Al paziente non è stata somministrata una terapia specifica in quanto non esiste - spiega il prof. Contini - ha sofferto di una sintomatologia lieve nella quale l‟evento più appariscente è stata una manifestazione cutanea simile al morbillo (diverso è il caso delle donne in gravidanza in cui, anche se non esistono prove definitive, il contatto con Zika sembra che sia collegato all‟insorgenza di microcefalia). Gli antipiretici hanno tenuto sotto controllo la febbre, nel frattempo sono scomparsi sia il rush cutaneo che il prurito». Un nuovo controllo medico sarà eseguito entro un paio di settimane. A Ferrara si tratta della prima infezione “importata” da virus Zika. Dai dati pubblicati dal Ministero della Salute risulta che sui 37 casi rilevati in Italia nel 2016, 5 sono stati individuati in Emilia Romagna. L‟infezione, anche se l‟evento è più raro, si può trasmettere anche per via sessuale (l‟Italia compare fra i Paesi dove è stata riscontrata questa modalità di trasmissione) per cui viene consigliato l‟uso del preservativo. C’è anche la zanzara tigre tra i possibili vettori in Italia Sul sito del Ministero della Salute si trovano molte informazioni sulla diffusione del virus Zika e sulle modalità di trasmissione dell‟infezione. Il vettore più frequente è la puntura di una zanzara infetta del genere Aedes. Anche la zanzara tigre (Aedes albopictus) presente in Italia potrebbe trasmettere l‟infezione. Questo tipo di insetto è più attivo di giorno, in particolare di primo mattino e nel tardo pomeriggio. In Italia è stato segnalato anche un caso di trasmissione sessuale (Toscana 2014). Dare un nome a 700 profughi annegati Restituire un nome a chi lo ha visto precipitare in mare, consolare per quanto possibile i familiari che ancora piangono a causa di quella maledetta notte. È il 18 aprile 2015 quando un peschereccio partito dalla Libia pieno di migranti affonda nel canale di Sicilia: 28 superstiti salvati, 58 vittime accertate e almeno 700 dispersi presunti. Tutti morti nella stiva dell'imbarcazione che pochi giorni fa, grazie a un'operazione umanitaria, è stata fatta riemergere. Ora la fase è quella dell'identificazione di quei poveri corpi, cui partecipa anche l'Istituto di Medicina legale dell'Università di Ferrara diretto da Francesco Maria Avato. «Alla base c'è un protocollo tra Ministero dell'Interno, Commissariato delle persone scomparse e Conferenza dei rettori - spiega Rosa Maria Gaudio, docente che coordina la missione assieme alla collega Rossana Cecchi -. Noi abbiamo aderito a un'avventura a scopo umanitario e sociale che è a tutti gli effetti un'occasione unica e irripetibile. Si parte domenica prossima e torneremo dopo una settimana». La meta è Melilli, in provincia di Siracusa, dove in un hangar della Marina militare sono state radunate le prime 200 salme recuperate dai vigili del fuoco. Lì lavoreranno sette giovani medici in formazione dell'ateneo estense (Erica Bacchio, Chiara Palazzo, Simone Onti, Paolo Frisoni, Raffaella Inglese, Enrica Calabrese e Letizia Alfieri, seguiti dal docente Antonio Banchini dell'Università di Parma) di concerto con altri specialisti del riconoscimento di cadaveri che si alterneranno durante questo periodo. «Studieremo elementi antropologici e genetici, isolando frammenti di ossa da cui verrà estratto il Dna di ognuno per poi verificarne la rispondenza con quello dei parenti che reclamano i loro morti. E non tralasceremo di analizzare i vestiti che i migranti portavano addosso», dice la professoressa Gaudio. Nel capannone l'attività sarà frenetica, su quattro grandi tavoli ciascuno dei quali presidiati da cinque medici. Dal punto di vista fisico e psicologico una prova tutt'altro che semplice ed ecco perché "non si può andare oltre la settimana, sarebbe insostenibile", racconta la specialista in patologia forense. La missione sarà interamente autofinanziata dai partecipanti, particolare che sta creando non pochi malumori tra i medici già impegnati sul posto. La pattuglia ferrarese dovrà accollarsi le spese di vitto e alloggio in albergo, persino il volo aereo su cui si salirà con il materiale occorrente (guanti, bisturi, sega elettrica) portato "da casa". Si conta almeno su un rimborso spese da parte di Unife. Lo spirito è di pieno volontariato, con l'obiettivo di ridare dignità a chi l'ha persa, assieme alla propria vita, tra le onde del Mediterraneo