lo sguardo come comunicazione e linguaggio

LO SGUARDO COME COMUNICAZIONE E LINGUAGGIO
(J.A. Merino, visione francescana della vita quotidiana, Cittadella Editrice pp. 81 ss)
L’incontro dell’uomo con gli altri si realizza in molte forme…Lo sguardo ha
un potere prodigioso di creare rapporti vincolanti o paralizzanti., si può distinguere
per la superficialità o profondità con cui si guarda; per la sua carica emozionale,
intellettiva, volitiva o concupiscente con la quale l’occhio guarda.
Ciascuno è ciò che guarda e ciascuno vede ciò che gli interessa…Ogni sguardo
è proiezione dell’io, e ciò che non è l’io gli resta estraneo. Per questo si può dire, a
ragione, che io sono il mio sguardo…
Il fatto usuale del vedere non è cosa semplice, perché se è l’occhio a guardare,
è lo spirito a vedere.
“Lampada del tuo corpo è l’occhio. Per questo, se il tuo occhio è sano tutto il
tuo corpo sarà nella luce, mentre se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà
tenebroso. (Mt 6,22)”…
Lo sguardo è tanto importante nella vita quotidiana da costituire il vincolo vivo
tra la persona e il mondo, tra l’io e gli altri…
L’uomo biblico ha un forte sentimento di stare davanti a Dio e lo sguardo
divino viene interpretato come un’esperienza di benevolenza e di misericordia o
come vergogna e ferita per il peccato manifesto al Dio che tutto vede…
Lo sguardo ha anche un’importanza singolare nella vita di Gesù…
La sua anima si trasmette attraverso i suoi occhi, capaci di trasformare la
persona guardata e di trasmetterle un universo di relazioni interpersonali. Il suo
sguardo, lungi dal cosificare o annichilire, acuisce e potenzia la soggettività
dell’altro, che in ogni momento la considera e la accoglie come libertà e progetto…
Lo sguardo aperto e creatore di Dio rende l’uomo libero e gli imprime
un’eterna inquietudine e un divino scontento, che lo sospingono ad una ricerca mai
finita. Lo sguardo divino non tormenta la coscienza, ma è frutto di un amore trinitario
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e segno di una presenza personale creatrice e benevola. E’ lo sguardo creatore che
chiama e porta ad esistere; è lo sguardo selettivo che dà l’essere…
Il volto di Dio si manifesta nel volto umano e ogni uomo è immagine visibile
del Dio invisibile.
L’immagine divina che l’uomo porta impressa nella sua interiorità si configura
o si deforma secondo il gioco della libertà personale. Qui si situano le radici
dell’ateismo, quale deformazione e distruzione dell’immagine-sguardo di Dio.
Quando l’uomo si oppone al piano divino, allora appaiono i tratti accentuati di una
caricatura: “quel “volto sfigurato…,i suoi tratti distrutti sono immagine di satana,
una sorta di segno diabolico, marcato con ferro rovente”, di cui parla San
Bonaventura nelle sue opere, dove campeggiano costantemente i concetti di visione,
intuizione e co-intuizione, come mezzi atti a far scoprire le varie presenze di Dio nel
mondo.
Se la Trinità creatrice si manifesta nella creazione come impronta, immagine e
somiglianza, l’uomo la recepisce in una triplice visione: con l’occhio carnale, con
l’occhio della ragione e con l’occhio della contemplazione. Ma tale visione si attua
grazie all’illuminazione di colui che tutto vede…
Un testo dello stesso Bonaventura ci mostra la massima importanza che egli
accorda alla visione e allo sguardo: “E’ dunque strana, la cecità dell’intelletto, che
non considera ciò che vede immediatamente e senza il quale non può conoscere
nulla. Gli capita come all’occhio che, attento alle differenze dei vari colori, non vede
la luce per la cui virtù vede il resto; e anche se la vede non l’avverte, allo stesso
modo, l’occhio della nostra mente, paragonato agli esseri universali e particolari,
non avverte quell’essere che sta al di sopra di ogni genere, anche se è il primo che si
offre alla mente e le altre cose si presentano ad essa solo in virtù di questo stesso
essere.”. (Itinerarium, c.5, n.4)
Vedere o non vedere, nel pensiero di Bonaventura non è una semplice
questione metafisica; è anche un impegno teologico e un motivo di salvezza…
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Lo stesso Bonaventura afferma di san Francesco che “non cessava di lavare
continuamente con copiose lacrime i suoi occhi interiori, non importandogli molto la
menomazione, che in conseguenza di ciò, potevano subire i suoi occhi corporei.
Preferiva, infatti, perdere la luce della vista corporale, anziché reprimere la
devozione dello spirito e cessare di versar lacrime, con le quali illimpidiva l’occhio
interiore per poter vedere Dio”. (LM 5,8)
Per Francesco l’occhio dello spirito è oggetto di attenzione costante, in quanto
deve scoprire l’autore dello sguardo, che gli si presenta nella propria interiorità e che
pure vede in tutti gli altri esseri. Lo sguardo detiene una forza particolare nella vita
del Poverello, non come descrizione e attenzione specifica, ma come esperienza e
dimensione vissuta. Quando Francesco inizia il processo di conversione, sente
profondamente nel suo intimo la presenza divina…
Quando Francesco si sente guardato da Dio, tutto il suo essere si illumina.
Allora comincia a vedere la vita con occhi nuovi. Il suo sguardo, il suo modo di
vedere e di interpretare gli altri, i poveri, la fraternità, il clero, i ricchi, la natura con
tutti i suoi esseri riflettono sempre la scoperta della presenza totale in tutti loro e si
concretano in un comportamento pieno di rispetto, di cortesia e di servizio.
Francesco non si è mai sentito solo, perché ovunque ha scoperto presenze con
le quali creare rapporti di amicizia , di fraternità e di lode.
L’anima si manifesta attraverso gli organi visivi. Per questo gli occhi devono
trasmettere la vita e non la morte. Nella lettera scritta dal santo a un ministro lo
afferma chiaramente: “Non ci sia nel mondo un solo frate che, per quanto abbia
molto peccato, si allontani da te, dopo di averti guardato negli occhi senza aver
ottenuto la tua misericordia, se te la chiede”.
Lo sguardo tra il superiore e il suddito non è quello tra il padrone e il servo,
aggressivo e conflittuale, ma è uno sguardo fraterno, vincolante, oblativo.
Lo sguardo divino crea trasparenza. Per questo l’uomo guardato da dio deve
escludere ogni ipocrisia, ogni doppio gioco, ogni complice ambiguità.
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