Economia e Mercati Finanziari
Servizio Studi e Ricerche
n. 130 - 14 aprile 2005
Economia e Mercati
Finanziari
Studi e Ricerche – www.bancaintesa.it – www.caboto.it
14 aprile 2005
In sintesi
3
L’enigma dei tassi rimane irrisolto
4
Dollaro meno vulnerabile
5
Stati Uniti: il canale estero frena la crescita e aggrava gli
9
squilibri
Focus: alla ricerca dell’output gap
13
Politica monetaria USA: rischi di inflazione in aumento
16
Area euro: crescita moderata ma profitti in ascesa
22
Inflazione verso il 2,2% nel 2005
25
Politica monetaria: tassi fermi, ma la neutralità è molto più in alto
29
La ristrutturazione industriale frena la crescita italiana
31
Mercato obbligazionario: gli scenari di rischio
35
Gli spread intra UEM rispondono alla riforma del Patto, ma non solo
36
Corporate bonds: il settore auto incrina il clima di fiducia
38
Mercato azionario – passaggio del testimone dalle
Telecoms alle Banche
39
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
2
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
In sintesi
„
I rialzi dei tassi ufficiali americani faticano ancora ad avviare un rimbalzo sulla
parte lunga della curva, che mostra tuttora tassi di rendimento più bassi
rispetto al 22 marzo. Il rallentamento della domanda interna americana,
sebbene insufficiente a incidere sulla politica monetaria, frena il ribasso del
mercato obbligazionario. Ma la Fed potrebbe aver bisogno di alzare i tassi
ancor più di quanto noi e il mercato scontiamo e, perciò, la curva UST è da
ritenersi troppo cara.
„
Sulla curva Bund e BTP privilegiare strategie di pendenza, almeno fino al
peggioramento dei segnali tecnici. Infatti il peggioramento degli indici di fiducia
sta allontanando il prossimo rialzo dei tassi ufficiali BCE. La crescita del Pil
dovrebbe essere rimbalzata a 0,4% t/t a inizio 2005, ma la crescita
tendenziale continuerà con il rallentamento iniziato nella seconda metà del
2004. Solo nell’estate prossima sarà possibile rivedere una vera
accelerazione della crescita. Tuttavia, difficilmente il tasso di inflazione andrà
incontro ad un rallentamento marcato; una stabilizzazione fino ai primi mesi
del 2006 sopra il 2% è lo scenario più probabile.
„
In Italia, la crisi dell’industria scatena nuove revisioni al ribasso delle previsioni
di crescita 2005, ora scese a 0,9%. La mancanza di segnali di ripresa implica
che perfino questa correzione potrebbe rivelarsi troppo prudente.
„
La pressione ribassista sul dollaro è sempre meno convinta. Si attende una
stabilizzazione dell’euro sotto quota 1,30, con possibilità di riuscire finalmente
a mettere sotto pressione il supporto cruciale di 1,2729.
Cosa è cambiato nelle nostre previsioni
„
Abbiamo tagliato al 3,4% la crescita economica prevista per gli Stati Uniti
quest’anno. A nostro giudizio, i dati del primo semestre saranno meno brillanti
di quanto previsto dal consenso. Al contrario, sono state riviste al rialzo le
stime di inflazione per il 2005 e il 2006.
„
Per quanto riguarda l’area euro, è stata rivista al rialzo, da 2,1% a 2,2%, la
previsione di inflazione per il 2005.
„
Nel 2005 la crescita italiana si fermerà allo 0,9%. I rischi rimangono verso il
basso.
3
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
L’enigma dei tassi rimane irrisolto
Il richiamo delle banche centrali a una più attenta considerazione dei rischi legati
al rialzo dei tassi di interesse è stato raccolto con fatica e riluttanza dagli
investitori. Nonostante 175 centesimi di rialzo dei tassi ufficiali, il livello dei tassi
decennali americani è lo stesso di un anno fa ed è più basso di 25 centesimi
rispetto al giorno dell’ultimo intervento da parte della Federal Reserve. Non basta:
l’allargamento degli spread sui mercati emergenti è in larga parte rientrato con la
ripresa dei treasuries. Soltanto il mercato corporate ha sperimentato un netto
allargamento dei premi al rischio, ma questo è stato avviato più dalla crisi dei
grossi nomi dell’auto (GM, Ford) che da una riconsiderazione autonoma dello
scenario da parte degli investitori. Perfino sul mercato americano, dunque, gli
investitori continuano a non credere che i tassi reali di interesse saliranno molto.
E dire che i segnali sono stati quasi tutti contrari a questa opinione:
„
Il fatto che lo shock petrolifero stia assumendo natura permanente ne
accresce le potenziali implicazioni inflazionistiche e, quindi, l’eventuale
impatto al rialzo sul livello dei tassi. Il recente ribasso delle quotazioni del
petrolio greggio, che pure potrebbe estendersi sotto quota $50, non deve
ingannare: il mercato rimane tirato e l’accumulo di scorte che si sta
osservando è proprio un riflesso dell’accresciuto livello di allarme per il
rischio che l’offerta non riesca a tenere, in futuro, il passo con la domanda.
„
La mancata correzione fiscale americana riduce il rischio di rallentamento
economico e aumenta quello di un deprezzamento del dollaro che faccia
importare inflazione.
„
Contrariamente agli investitori, la Federal Reserve si è convinta che la
ripresa è solida e, quindi, comincia a interrogarsi apertamente sul fatto che,
visto quanto detto sopra, una politica monetaria neutrale possa non essere
sufficiente a prevenire l’instabilità futura dei prezzi.
Lo stridente contrasto fra l’evoluzione della congiuntura e la reazione del mercato
ci rende molto negativi sulle prospettive del mercato obbligazionario americano.
Va detto, comunque, che i dati delle prossime settimane potrebbero apparire
relativamente deboli e, quindi, scoraggiare ancor di più il rimbalzo dei tassi di
mercato. Molto incerte ci appaiono anche le prospettive dei mercati azionari,
stretti fra il rallentamento della crescita da una parte, l’aumento dell’inflazione e il
rialzo dei tassi di interesse dall’altra. Per quanto il livello delle valutazioni appaia
nella norma, c’è il rischio che il movimento correttivo degli indici americani,
arrivato a lambire supporti tecnici importanti, si estenda.
Soltanto in Europa i fautori del tasso fisso hanno trovato ampio motivo di conforto.
Il clima di fiducia degli imprenditori, in rapida discesa, prospetta un rallentamento
della crescita tendenziale e rende francamente incerte le prospettive del secondo
trimestre. Il quadro è addirittura peggiore per l’economia italiana: la domanda
interna cresce poco, e una quota importante dell’incremento va ad alimentare il
flusso di importazione più che la produzione domestica; d’altra parte, alcuni settori
produttivi hanno perso competitività sui mercati esteri e sono in fase di drastico
ridimensionamento. Di fronte all’ultima svolta in negativo dei dati macroeconomici
nessuno si è potuto stupire del fatto che la BCE abbia fatto marcia indietro sul
rialzo dei tassi, cessando di segnalarlo come un rischio imminente. Sul nostro
mercato, la diversa condizione dell’economia europea rende le scommesse
direzionali sulla curva molto pericolose e consiglia di operare soprattutto sulla
pendenze, che prevediamo in calo sul tratto 2-10 anni.
(Luca Mezzomo)
4
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Dollaro meno vulnerabile
„
EUR/USD. La pressione ribassista sul dollaro è sempre meno convinta. Si
attende una stabilizzazione sotto quota 1,30, con possibilità di riuscire
finalmente a mettere sotto pressione il supporto cruciale di 1,2729.
„
USD/JPY. Il range temporaneamente si sposta da 103-106 a 106-110.
Alla chiusura del precedente numero di Economia e Mercati Finanziari l’euro
aveva appena terminato la prima onda correttiva scivolando fino a 1,2729
EUR/USD, e allora si ipotizzò una pausa di rintracciamento prima che si potesse
approfondire ulteriormente il calo (v. fig 1). La nostra tesi era che gli sviluppi del
cambio sarebbero stati guidati soprattutto dall’evoluzione delle aspettative sui
tassi Fed.
Fig. 1 - Lo scenario di crescita e tassi è consistente
con un euro meno forte
1,36
EUR/USD
Prev. a 1 mese
Proiezioni
Proiez. aggiust.
1,34
1,32
1,30
1,28
1,26
1,24
1,22
Proiezioni
1,20
1,18
gen
apr
2004
lug
ott
gen
apr
lug
ott
2005
Gli sviluppi ci hanno complessivamente dato ragione, ma il mercato fa ancora
fatica a seguire degli spunti direzionali precisi. Uno degli aspetti che
differenzia questo inizio 2005 dall’anno passato è l’influenza del tema del
disavanzo estero USA sul dollaro. Sia in marzo che in aprile, quando sono stati
pubblicati i dati di bilancia commerciale (pessimi), il dollaro ha perso terreno solo
per brevissimo tempo, invertendo la tendenza già nel corso della stessa sessione.
Questo effettivamente è un segnale che il mercato sta spostando la propria
attenzione verso altre variabili fondamentali. Tra crescita, inflazione e tassi
d’interesse, tuttavia, anche la prima sembra stia ricevendo scarso peso. Infatti
una reazione simile a quella sui dati di commercio estero si è avuta sugli ultimi
dati relativi più strettamente alla domanda interna (employment report e vendite al
dettaglio - entrambi deludenti). In questo caso una spiegazione potrebbe anche
essere data dalle aspettative che una domanda interna più debole implichi poi
meno importazioni e quindi aiuti a contenere il disavanzo di parte corrente.
Restano inflazione e tassi. Ed è qui che sta la risposta. Che infatti il disavanzo
non si vada chiudendo facilmente e magari nel breve rischi di allargarsi ancora è
un’ipotesi condivisa. Che dopo i ritmi del 2004 la crescita, sia negli USA che in
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Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Europa, sia entrata in una fase di rallentamento, anche questo è uno scenario
condiviso. L’incognita più grande invece – ed è qui che quindi il mercato si
mostrerà più reattivo – è sul sentiero dei tassi, sia negli USA che in Europa,
sia per quanto riguarda il punto di arrivo che per la velocità da tenere durante il
percorso. La prospettiva che per rispondere ad un rischio inflazione crescente la
Fed alla fine debba intervenire più pesantemente sui tassi ha agito in senso
favorevole al dollaro. E sarà in prossimità del punto di massimo differenziale tra
area euro e Stati Uniti, in uno scenario dove la BCE potrebbe trovarsi costretta a
rinviare piuttosto che ad anticipare la prima stretta monetaria, che l’euro
raggiungerà il punto di minimo in corso d’anno. Tornando alla Fed tuttavia la
(mancata) reazione di mercato alla pubblicazione dei verbali dell’ultimo FOMC è
stata a dir poco peculiare. I toni delle minutes infatti sono stati esplicitamente
aggressivi, ma il dollaro non ne ha quasi beneficiato. È possibile che abbia a
propria volta risentito della reazione (al contrario) dei rendimenti che appunto
sono scesi. Questo strano comportamento potrebbe indurre qualcuno a credere
che nemmeno le prospettive di inflazione e tassi siano allora così rilevanti per il
dollaro. Ma non è così. Infatti il mercato dopo essere stato avvisato aspetta di
vedere i fatti, ovvero, nella fattispecie, che ad esempio il rischio di cui parla la Fed
si materializzi visibilmente nei dati. E probabilmente sarà su questi che verranno
finalmente infranti quei livelli che finora hanno consentito la salvaguardia di un
range che, pur essendo orientato in senso favorevole al dollaro, tuttavia ancora
non permette di inaugurare una tendenza definita.
Il comportamento del bilaterale EUR/USD è, a tale riguardo significativo. Sia
sull’employment report che sul trade balance (entrambi deludenti) l’euro ha fatto
un’incursione in area 1,30 ma non ha nemmeno provato a mettere sotto
pressione la resistenza 1,3080, che delimita dall’alto il fronte propriamente
ribassista. Tuttavia, nelle fasi calanti, il livello di supporto a 1,2840 ha sempre
retto ai molteplici assalti condotti nell’arco di più di due settimane. Per quanto il
fatto che il cambio si stia mantenendo perfettamente in quella che è l’area
ribassista in senso stretto sia un segnale importante di mancata forza propria
della divisa europea, fino a che non si va a ripristinare lo spazio di 1,27, dove si
colloca il minimo locale di febbraio (1,2729), in realtà è come se non accadesse
nulla. Vi sono quindi delle resistenze ad abbracciare una scommessa di
deprezzamento dell’euro, dove parlare di deprezzamento ha senso solo se si
ipotizza una correzione importante sotto i minimi di 1,27. Anche sul fronte
speculativo si sta ridimensionando sempre più l’esposizione lunga in euro, ma si
fa fatica ad andare corti. Tuttavia, proprio a questo proposito, è interessante
notare che dall’inizio dell’anno gli speculativi sono andati ad allungarsi o ad
incrementare l’esposizione in euro solo da quota 1,3100 in su. Questo significa
che il livello di prudenza è aumentato o – simmetricamente – che il livello di
fiducia nelle possibilità rialziste dell’euro è diminuito, poiché da 1,3100 in giù non
ci si fida a comprare in quanto si teme che possa scendere ancora di più.
Laddove negli ultimi mesi del 2004 invece la predisposizione speculativa aveva
raggiunto livelli record. A conferma dell’accresciuta avversione al rischio anche da
parte degli speculativi da inizio anno in poi viene anche il fatto che i livelli sopra
menzionati non sono casuali, ma sono perfettamente coerenti con un approccio di
tipo puramente tecnico al mercato da parte degli operatori. Infatti l’andare lunghi
sopra 1,3100 dimostra consapevolezza che il limite superiore del fronte ribassista
è lì vicino, ovvero a 1,3080. Mentre l’area possibilista è quella compresa tra
1,3080 e 1,3315, livello quest’ultimo dove invece si inaugura il fronte rialzista. Per
cui in questo caso un’operatività strettamente tecnica è indiscutibilmente indice di
grande prudenza.
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Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Fig. 2 – Euro: fronte ribassista in corso
1.40
EUR/USD
1.30
1.20
Canale
ribassista
in atto da
inizio anno
1.10
1.00
0.90
0.80
2002
Trendline rialzista di
lungo periodo
2003
2004
2005
Concludendo, per quanta fatica stia dimostrando di fare l’euro a scendere sotto
certi livelli, sembra più probabile in questa fase che in caso di uno strappo fuori da
range questo sia verso il basso piuttosto che verso l’alto. A parte infatti la
stabilizzazione sopra menzionata all’interno del fronte ribassista nel corso delle
ultime tre/quattro settimane, vi sono altri elementi che confermano l’assenza di
spunti rialzisti (nel senso di trend importanti verso e/o oltre 1,34/36), ad esempio
sia la prevalenza di oscillazioni nel medesimo arco temporale citato al di sotto
della importante trendline rialzista di lungo periodo partita nel 2002 sia la
concentrazione dei movimenti nella fascia inferiore del canale ribassista in auge
da inizio anno (v. fig. 2). Al di là della configurazione tecnica le prospettive di
crescita e tassi continuano a suggerire che l’euro è sopravvalutato e dovrebbe
tornare sotto 1,25 (riv. fig. 1). Il recente deterioramento del quadro macro
nell’area euro ne è una conferma, per non parlare del rischio di perdita di
credibilità delle istituzioni europee dopo le modifiche apportate al Patto di Stabilità
e Crescita e dopo il coro di no alla costituzione europea da parte dei francesi
rilevato nei sondaggi recenti (il referendum si terrà il 29 maggio). La tendenza
dunque dovrebbe essere quella ad una stabilizzazione sotto quota 1,30, con
possibilità di riuscire finalmente a mettere sotto pressione il supporto
cruciale di 1,2729. Uno sfondamento di tale livello sarebbe certamente uno
sviluppo notevole dal momento che provocherebbe un’accelerazione ribassista
verso 1,25 se non anche poco sotto (1,24/23).
YEN – Non solo il quadro dell’euro ma anche quello dello yen si è deteriorato
nei confronti del dollaro. In questo caso però hanno inciso sfavorevolmente
soprattutto dati deludenti dall’economia giapponese. Il range temporaneamente
si sposta dunque da 103-106 a 106-110 USD/JPY. Questo non significa che la
precedente previsione di apprezzamento fino a quota 100 non sia più valida. Fino
a che non viene sfondata quota 110,50 lo scenario di fondo infatti non cambia.
Comporta però uno slittamento in avanti nel tempo del raggiungimento
dell’obiettivo 100.
STERLINA – Simile all’euro come andamento – perchè il driver comunque è il
dollaro – ma più favorevole come livelli mantenuti è stato negli ultimi mesi
l’andamento della sterlina. Come lo yen anche la sterlina è infatti più sensibile
dell’euro agli sviluppi sul fronte dell’economia domestica. E per quanto il flusso
dell’informazione macro sia di tenore misto, tuttavia la prospettiva di un’ultima
stretta monetaria entro l’estate non è ancora stata abbandonata. Infatti rispetto a
inizio anno sul cross EUR/GBP la sterlina è in vantaggio rispetto all’euro.
7
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Nel corso del mese a venire i dati continueranno ad essere di tenore misto.
L’inflazione di marzo registrerà un’accelerazione, ma non sufficiente da sola a
mettere troppo in allerta la Bank of England. Le vendite al dettaglio invece
resteranno deboli, mentre la dinamica del credito al consumo si confermerà
robusta e, infine, la pubblicazione del Pil del primo trimestre mostrerà un lieve
rallentamento rispetto al 2004.IV. Anche in maggio dunque la BoE dovrebbe
lasciare i tassi fermi. Quindi possibili assalti a quota 1,90 GBP/USD sono da
interpretarsi nel breve come occasioni per alleggerire le posizioni più che
come segnali di incoraggiamento ad esporsi ulteriormente sulla sterlina. Il 5
maggio si terranno le elezioni generali, e le attese sono per una riconferma
laburista. L’appuntamento elettorale non dovrebbe avere però più che
temporanee ricadute sul cambio. Una vittoria piena dei laburisti dovrebbe essere
favorevole alla sterlina sia contro dollaro che contro euro perchè associata
virtualmente alla figura del cancelliere Gordon Brown considerato l’artefice della
buona performance dell’economia britannica degli ultimi anni. Un risultato meno
favorevole genererebbe invece pressioni ribassiste sul cambio, ma di entità e
durata contenute. In termini di cross EUR/GBP la sterlina dovrebbe restare
tendenzialmente ancora favorita.
(Asmara Jamaleh)
8
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Stati Uniti: il canale estero frena la crescita e
aggrava gli squilibri
„
Abbiamo rivisto al ribasso la crescita del 2005.T1 dal 3,7% t/t (ann.) al 3,2% t/t
(ann.). La crescita del 2005 è rivista al ribasso al 3,4% dal 3,6%. L’aumento
del prezzo del petrolio ha vivacizzato la dinamica inflattiva dei primi mesi del
2005 spostando verso l’alto il profilo tendenziale (a/a) del 2005. La variazione
media del CPI è ora al 2,6% dal 2,5% precedente.
„
Le ultime indicazioni congiunturali confermano che è in atto un significativo
rallentamento dei consumi privati. Le nostre previsioni sono per una crescita
al 3,2% t/t (ann.).
„
Gli investimenti delle imprese seppur in rallentamento sono ancora molto
vivaci. L’edilizia residenziale ha dato segnali di un inatteso recupero ma il
quadro generale resta quello di un raffreddamento del settore.
„
Le indagini ISM e l’aumento delle ore lavorate confermano le indicazioni che
ricaviamo dalle variabili di domanda
„
La importazioni continuano a crescere a tassi a doppia cifra mentre le
esportazioni languono. Il deficit delle partite correnti continua a stabilire nuovi
record, che minano la stabilità dell’economia e la fiducia dei mercati finanziari.
Consumi privati
Le vendite al dettaglio di marzo sono cresciute dello 0,3% m/m. Al netto della
componente auto e materiali edili le vendite sono invariate rispetto a febbraio.
Questa voce è la più rilevante per il suo forte legame con l’andamento dei
consumi privati. Assumendo un aumento dello 0,4% m/m del consumo totale di
merci (dovuta alla ripresa delle vendite di auto) e dello 0,6% m/m per i servizi, la
crescita della spesa nominale dovrebbe attestarsi intorno allo 0,5% m/m.
Assumendo un aumento del deflatore dello 0,2% m/m ciò dovrebbe tradursi in
una crescita dei consumi reali dello 0,3% m/m. Considerando l’aumento di
gennaio (-0,1% m/m) e febbraio (+0,3% m/m), la crescita dei consumi non
dovrebbe andare oltre il 3,2% t/t (ann.). Questa stima è sensibilmente inferiore al
consenso, attestato a +3,5% t/t (ann.).
L’andamento della fiducia delle famiglie americane a marzo ha risentito del rialzo
dei prezzi del petrolio, della crescita occupazionale sotto tono e della deludente
performance dei mercati azionari. Il calo della fiducia (University of Michigan e
Conference Board) dovrebbe estendersi anche ad aprile.
Edilizia residenziale
Il recupero del settore edile iniziato a fine 2004 si è esteso ai primi mesi del 2005.
Sulla base dei dati di gennaio e febbraio (preliminare) la spesa privata (nominale)
in costruzioni residenziali è infatti aumentata dell’11,4% t/t, una variazione che
dovrebbe garantire una crescita del 6,7% t/t (ann.) in termini reali.
9
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Ordinativi
Gli ordinativi di beni durevoli sono aumentati dello 0,3% m/m a febbraio mentre
gennaio è stato rivisto al rialzo (da -1,3% m/m a -1,1% m/m). Al netto dei
trasporti, cresciuti dell’1,6% m/m, gli ordini registrano un calo dello 0,2% m/m. In
parte il calo è l’effetto di un gennaio particolarmente vivace e rivisto al rialzo da
+0,3% m/m a +0,9% m/m. I due aggregati più importanti nel monitoraggio degli
investimenti industriali e cioè le consegne e gli ordini di beni capitali al netto di
trasporti e difesa calano rispettivamente del 2,6% m/m e del 2,1% m/m. Per
questi indicatori il calo è da attribuire al balzo registrato a gennaio
(rispettivamente +3,6% m/m e +4,4% m/m). In sintesi il trend degli investimenti
dimostra ancora un discreto vigore e nonostante l’accelerazione registrata alla
fine del 2004 le prospettive di crescita nella prima metà del 2005 sono positive.
Produzione industriale
L’indice ISM del settore manifatturiero è calato marginalmente a marzo a 55,2 da
55,3. La disaggregazione del dato evidenzia il calo notevole (-4,1)
dell’occupazione (a 53,3) e marginale (-0,2) della produzione (56,5). I nuovi ordini
guadagnano 1,3 punti a 57,1. In forte aumento (+7,5) l’indice dei prezzi pagati (a
73,0). L’indagine ISM del non manifatturiero sale a 63,1 da 59,2 registrato a
febbraio. La ripresa dell’indice non manifatturiero non segnala comunque una
inversione di tendenza. Seppure in ritardo ed in modo meno marcato anche il non
manifatturiero condivide il trend discendente del manifatturiero. Le due indagini
puntano ancora verso un rallentamento dell’economia.
ISM Totale e Pil
6%
62
P il a/a (sx)
5%
ISM To tale (dx)
4%
60
58
56
54
3%
52
2%
50
1%
48
46
0%
Q1 Q3
Q1 Q3 Q1 Q3
Q1 Q3
Q1 Q3
2000 2000 2001 2001 2002 2002 2003 2003 2004 2004
L’andamento della produzione industriale (manifatturiero, minerario e utilities)
evidenzia una ripresa dell’attività verso la fine del 2004 seguita da un
rallentamento nei primi mesi del 2005. La produzione industriale di febbraio è
cresciuta dello 0,3% m/m, rivisto al rialzo il dato di gennaio ora a +0,1% m/m. Il
disaggregato settoriale evidenzia la crescita del settore manifatturiero (+0,5%
m/m), il settore delle utilities segna un calo (-1,1% m/m) mentre il minerario
cresce solo marginalmente (+0,2% m/m). L’utilizzo degli impianti aumenta dello
0,2% a quota 79,4%. Al netto del comparto high-tech l’utilizzo delle strutture
produttive tocca quota 80,2%: il comparto dei computer (77,1%) e quello dei
semiconduttori (76,3%) continuano a mostrare tassi inferiori alla media del
manifatturiero (78,5%).
10
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Mercato del lavoro
In marzo la crescita degli occupati
aspettative: +110 mila, contro attese
febbraio sono stati rivisti al ribasso
disoccupazione (al 5,2% dal 5,4%)
rappresentano certamente uno degli
ripresa dei salari (+0,3% m/m) anche
l’inflazione.
nel settore non agricolo ha deluso le
di +225 mila. Anche i dati di gennaiodi 27 mila unità. Il calo del tasso di
e la tenuta degli indici di diffusione
aspetti positivi del rapporto. Positiva la
se non ancora sufficiente a compensare
Il tasso di disoccupazione appare su un trend di moderato calo: la media del
primo trimestre del 2005 resta al di sotto di quella del 2004.IV. La crescita degli
occupati (non farm payrolls) tra i 150 ed 175 mila unità al mese dovrebbe
continuare a erodere il tasso di disoccupazione grazie alla stabilizzazione della
partecipazione al mercato del lavoro.
In media trimestrale l’aumento delle ore lavorate non va oltre il 2,0% t/t in
rallentamento rispetto al +2,4% t/t registrato negli ultimi due trimestri del 2004. Il
dato conferma le nostre attese di una crescita USA in moderato rallentamento.
Pil ed ore lavorate
7.0
5.0
3.0
1.0
c
-1.0
-3.0
Q1 Q4 Q3
Q2
Q1 Q4
Q3 Q2
Q1 Q4
1998 1998 1999 2000 2001 2001 2002 2003 2004 2004
P revisio ne basata su co rrelazio ne co n le o re lavo rate
P il % t/t ann.
Inflazione
L’inflazione continua ad accelerare dolcemente. A febbraio l’indice dei prezzi al
consumo è cresciuto dello 0,4% m/m, al di sopra delle attese di mercato. In
termini tendenziali (media degli ultimi 12 mesi) la variazione resta stabile al 3,0%
a/a. Al netto delle componenti alimentari (+0,1% m/m) ed energia (+2,0% m/m)
l’aumento dei prezzi è stato dello 0,3% m/m, anche in questo caso superiore alle
attese. In termini tendenziali l’indice core guadagna un decimo passando dal
2,3% a/a di gennaio al 2,4% a/a.
Il rincaro delle materie prime energetiche aggiunge lo 0,16% alla variazione
mensile del dato totale. Anche al netto di questa componente tuttavia si assiste
ad una significativa accelerazione dell’inflazione a febbraio. In parte ciò
rappresenta un recupero rispetto a gennaio leggermente inferiore al trend degli
ultimi mesi.
11
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Su di un orizzonte di 6 mesi le prospettive per l’inflazione core sono ancora per un
aumento moderato: il maggior pricing power delle imprese dovuto alla chiusura
dell’output gap, la pressione dal lato dei costi dovuti al rincaro delle materie prime
ed il rallentamento della produttività del lavoro indicano possibili tensioni sul fronte
inflattivo.
Il canale estero
Il deficit della bilancia commerciale ha raggiunto un nuovo record assoluto a
febbraio: US$ -61,0 mld, contro i US$ -58,5 mld di gennaio. Il peggioramento dei
conti con l’estero è dovuto in parte al rincaro del prezzo del petrolio che ha
gonfiato la bolletta energetica: le importazioni di greggio sono infatti aumentate
dell’11,8% m/m spiegando circa i due terzi dell’incremento complessivo delle
importazioni di merci (+1,8% m/m). Ex petrolio il deficit passa da US$ -43,3 mld a
US$ -44,6 mld. Al di là dell’effetto petrolio l’aumento del deficit è sostenuto dalla
stagnazione delle esportazioni. In termini reali il deficit raggiunge i US$ 61,8 mld
(ex petrolio US$ -49,4 mld), portando la media provvisoria del 2005.T1 a US$
61,2 mld.
A meno di inattesi miglioramenti a marzo, il canale estero continuerà ad
esercitare un forte freno alla crescita anche nel trimestre in corso. In termini reali
le esportazioni dovrebbero crescere solo del 4,7% t/t (ann.) contro il +11,5% t/t
(ann.) delle importazioni. Il deficit di parte corrente dovrebbe peggiorare
ulteriormente raggiungendo il 6,5% del Pil. Il deprezzamento asimmetrico del
dollaro fin qui osservato è inadeguato a risolvere il problema del disavanzo
esterno.
(Sergio Capaldi)
2004
2005
2006
2004
2005
2006
2
3
4
1
2
3
4
1
4.8
3.3
1.6
12.4
16.5
2.2
7.3
12.6
0.2
4.0
4.0
5.1
13.0
1.6
0.7
6.0
4.6
-0.2
3.9
3.8
4.2
14.5
3.4
0.8
3.2
11.4
0.1
3.6
3.2
3.2
8.7
6.7
1.8
4.7
11.5
0.1
3.5
3.2
3.3
7.2
1.6
1.7
6.8
4.7
-0.1
3.3
3.0
2.9
7.0
-1.5
1.2
7.4
7.6
0.1
3.0
2.8
2.9
6.7
-3.4
1.0
8.4
3.8
0.0
3.0
3.1
2.9
5.4
-2.0
1.0
9.1
4.2
0.0
PIL (US$ 1996,a/a)
- trim./trim. annualizzato
Consumi privati
IFL - privati non residenziali
IFL - privati residenziali
Consumi e inv. pubblici
Esportazioni
Importazioni
Var. scorte (contrib., % Pil)
4.4
3.4
3.0
3.8
10.6
9.7
1.9
8.6
9.9
0.4
3.5
9.9
3.3
1.4
5.7
8.4
0.2
2.9
6.2
-1.9
1.0
9.1
4.6
0.0
Partite correnti (% Pil)
Deficit Federale (% Pil)
Debito pubblico (% Pil)
-5.7
-3.7
63.4
-6.6
-3.5
65.0
-6.0
-3.2
66.2
-5.7
-5.7
-6.4
-6.5
-6.8
-6.8
-6.6
-6.5
CPI (a/a)
Produzione Industriale
Disoccupazione (%)
2.7
4.1
5.5
2.6
3.1
5.3
2.2
2.5
5.0
2.8
4.3
5.6
2.7
2.7
5.4
3.4
4.4
5.4
3.0
3.5
5.3
2.7
2.0
5.3
2.7
2.2
5.3
2.3
2.5
5.2
2.3
2.2
5.1
Variazioni percentuali annualizzate sul periodo precedente - salvo quando diversamente indicato.
12
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Focus: alla ricerca dell’output gap
Il tema delle implicazioni di politica monetaria legate ai problemi di misurazione
dell’output gap non è nuovo in letteratura. Come è noto, la “Taylor Rule” (TR)
nella sua versione originaria fissa il tasso di interesse “ottimale ” in funzione
(lineare) dei valori correnti dell’output gap e dello scostamento dall’obiettivo di
inflazione. La costruzione di una funzione di reazione rappresenta un utile punto
di partenza del processo decisionale della politica monetaria: offrendo un quadro
di riferimento potrebbe consentire di focalizzare l’attenzione sui fenomeni
economici fondamentali, migliorare il grado di trasparenza nei confronti dei
mercati e aumentare la credibilità della banca centrale. In pratica, le indicazioni
della TR sono solo un elemento di valutazione di un processo decisionale più
ampio ed articolato che coinvolge l’analisi e la valutazione di informazioni, anche
aneddotiche, non sempre facilmente quantificabili.
Il problema della trasparenza coinvolge in primo luogo la misurazione delle
variabili che compaiono nella TR, sotto questo aspetto emerge una forte
asimmetria tra inflation gap (scostamento dall’obiettivo di inflazione) ed output
gap (scostamento del prodotto interno lordo dal potenziale). Sebbene esistano
varie misure di inflazione e non ci sia un esplicito obiettivo di inflazione sancito
ufficialmente dalla Fed, non c’è un problema di osservabilità per questa variabile.
I numerosi interventi sia scritti che verbali delle Fed hanno nel tempo precisato il
significato di stabilità monetaria, restringendo il campo di valori associati
all’obiettivo sui prezzi. Il target di inflazione per il CPI (core) è ritenuto quasi
universalmente essere di poco inferiore al 2%, obiettivo che si traduce in un
valore per il deflatore dei consumi core (dal 1998 la misura di riferimento per la
Fed sull’inflazione) tra l’1,5-1,8% a/a. L’esperienza delle autorità monetarie che
hanno adottato un più o meno esplicito obiettivo di inflazione ha universalizzato
questo concetto ed è oggi pressoché unanime intendere la stabilità dei prezzi
come un livello di inflazione compreso tra l’1 ed il 3%. Se la verificabilità del primo
obiettivo risulta decisamente agevole, il giudizio sul grado di utilizzo delle risorse
produttive, porta con sé un elevato grado di incertezza.
Questa variabile economica non è osservabile direttamente e la Fed non produce
una stima ufficiale dell’output gap cosicché spetta al pubblico (banche, operatori
finanziari, economisti) formulare ipotesi sul valore di questa grandezza aiutati
magari dalle stime di autorevoli istituti indipendenti (CBO) e di organizzazioni
internazionali (OECD ed IMF). Gli interventi verbali dei membri del FOMC
vengono attentamente seguiti ed analizzati dai mercati finanziari con l’intento di
decifrare il “Fed-pensiero” sul grado di risorse inutilizzate e le pressioni inflattive
da esso generate. L’incertezza sull’entità dell’output gap non coinvolge solo il
rapporto tra pubblico e policy maker ma entra nel cuore del processo decisionale
della Fed. Sotto quest’ultimo aspetto disporre di una stima affidabile e
sufficientemente precisa dell’output gap aumenterebbe l’efficacia della Fed nella
sua opera di stabilizzazione del ciclo economico. L’esperienza inflattiva degli anni
‘70 evidenzia il costo associato all’errata valutazione del margine di risorse
inutilizzate. L’errata percezione di un ampio bacino di risorse inutilizzate ha
portato la Fed ad adottare una politica troppo espansiva causando l’ondata
inflattiva che ne segui. Tra il 1974 ed il 1984 la variazione tendenziale del CPI
(core) fu in media del 7,9% con picchi che superarono il 13%, nel decennio
precedente (1965-1975) l’inflazione media era stata del 3,8% con un picco
inflattivo di poco sopra il 6% agli inizi degli anni ’70.
L’incertezza che avvolge l’output gap condiziona fortemente la politica monetaria
anche per altri canali. Ciò dipende dal fatto che esso oltre ad entrare nella
funzione obiettivo della banca centrale gioca un ruolo centrale nella misurazione
di una altra variabile latente della politica monetaria, il tasso naturale. Disporre di
13
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
una stima accurata ed affidabile dell’eccesso di domanda consentirebbe una più
precisa definizione di ciò che può definirsi una politica monetaria neutrale. In
assenza di un tale riferimento è più difficile dosare lo stimolo monetario
appropriato alle correnti condizioni del ciclo. Infine, dato il carattere anticipatore
che si vorrebbe avesse la politica monetaria, l’entità dell’output gap permette di
valutare il grado di pressioni inflattive presenti nel sistema prima che esse si
manifestino concretamente nei prezzi.
Per risultare utilizzabile dal policy maker la misura di output gap deve possedere
forti caratteristiche di stabilità alla fine del campione: l’aggiunta di informazione
marginale non deve cambiare in modo significativo ne l’entità ne la dinamica
recente. Il giudizio su questo aspetto coinvolge sia l’entità delle revisioni dello
storico che la metodologia utilizzata, qualunque sia l’origine la presenza di ampie
differenze tra le stime preliminari e quelle finali svilirebbe la significatività
dell’indicatore nel processo decisionale del policy maker.
Un altra caratteristica desiderabile è quella di non richiedere assunzioni sulla
struttura dell’economia. L’imposizione di ipotesi ad hoc (ad esempio sullo sviluppo
tecnologico) oltre a non essere sempre ben fondate dal punto di vista economico
abbassa il livello di trasparenza della procedura.
La metodologia proposta utilizza serie storiche nell’ultima versione disponibile. La
ricchezza di dati richiesta infatti va ben oltre la copertura delle fonti real time per
le quali sono di solito disponibili poche serie storiche (a frequenza mensile). La
misura appartiene al rango delle stime quasi-real time, nel senso che a differenza
della stima corrente si suppone di conoscere l’ultima revisione ma solo fino ad un
certo punto del campione. La metodologia ha come finalità quella di essere
estremamente semplice, di non imporre assunti sulla struttura economica, di
sfruttare un ampio volume di informazione e di produrre stime stabili nel tempo.
La distorsione introdotta dall’aver utilizzato dati nella loro versione più recente e
non in real time è mitigata dall’aver scelto ed utilizzato in maggioranza serie
storiche che in larga maggioranza subiscono revisioni minori dovute solo al
ricalcolo dei fattori di destagionalizzazione.
L’output gap è la prima componente principale (PCA) di una serie di indicatori
ognuno proxy del grado di utilizzazione delle risorse produttive. L’utilizzo della
matrice di correlazione si traduce in una standardizzazione delle serie su cui si
applica la PCA (cumulative sample); la prima componente è quindi interpretabile
come l’utilizzo in eccesso rispetto alla media storica.
Misure dell’output gap a confronto
8
6
4
2
0
-2
-4
-6
01/84
01/87
01/90
CB O
14
01/93
01/96
B ancaIntesa
01/99
01/02
OECD
01/05
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
La banca dati è composta da tassi di disoccupazione (13), di selezione del
personale (1), della fiducia delle famiglie (2) e da quelli di utilizzazione degli
impianti (9). In totale le serie utilizzate per la costruzione di questo indicatore
sono 25. Il campione delle serie storiche è limitato dai dati sull’utilizzo degli
impianti industriali, di cui non esiste una disaggregazione settoriale mensile prima
del 1972. I tassi di disoccupazione sono sottoposti a revisioni di lieve entità. Pur
essendo parte della rilevazione sulla popolazione (CPS) notoriamente molto
sensibile alle assunzioni demografiche del Bureau of Census, i tassi di
disoccupazione sono molto meno influenzati dalle variazioni delle ipotesi
demografiche: le revisioni coinvolgono in modo proporzionale le grandezze in
rapporto ed anche ampie revisioni lasciano il più delle volte inalterati il profilo ed il
livello dei tassi di disoccupazione. Gli indici di utilizzazione degli impianti sono
soggetti ad una revisione annuale che si estende all’ultimo anno di rilevazioni.
Conclusioni
L’output gap così calcolato presenta una elevata correlazione con le stime del
CBO (92,7%) e dell’OECD (80,0%). Le maggiori difformità riguardano la seconda
metà degli anni ’90. Mentre per le nostre stime, la chiusura del gap si sarebbe
verificata nel corso del ’94, per l’OECD questo traguardo sarebbe stato raggiunto
soltanto nel ’96; il CBO sposta il raggiungimento della piena utilizzazione della
capacità produttiva addirittura agli inizi del ’99. L’andamento della nostra stima
trova una indiretta validazione nel comportamento della Fed. Il ciclo di rialzi dei
tassi del 1994 mal si concilia con uno scenario di calo dell’inflazione e abbondanti
risorse inutilizzate nel sistema.
Più recentemente la necessità di ritornare verso condizioni monetarie meno
espansive trova piena conferma nella chiusura dell’output gap. Il valore corrente
(0,1%) è leggermente più elevato di quello dell’OECD (-0,3%) e decisamente
superiore alle indicazioni del CBO (-0,9%). Il livello dei tassi reali resta ancora
lontano da qualsiasi livello ragionevolmente definibile di neutralità ed il ritmo della
ripresa, sebbene in rallentamento, è previsto sopra il potenziale per tutto il 2005.
Se il ritorno in campo positivo del gap rende necessari ulteriori rialzi il punto di
arrivo dipenderà da come reagirà l’economia nel frattempo. L’aleatorietà della
stima del tasso neutrale (a cui abbiamo dedicato l’articolo di Ecomef del 20
gennaio 2005) e dell’output gap e la loro variabilità nel tempo complicano
tremendamente il lavoro delle banche centrali, a questa incertezza la Fed reagirà
aumentando il peso che le variabili di crescita hanno nel processo decisionale.
(Sergio Capaldi)
15
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Politica monetaria USA: rischi di inflazione in aumento
„
La valutazione dei rischi di inflazione sta peggiorando alla Fed, anche se
ufficialmente i rischi sono “bilanciati”. I verbali, i discorsi e i dati puntano a
rischi di inflazione verso l’alto.
„
Qual è la politica monetaria appropriata a mantenere i rischi bilanciati? I
verbali segnalano che è aumentata la probabilità di un’accelerazione del
ritmo dei rialzi o di un punto di arrivo più elevato per i fed funds. I mercati
hanno ignorato, per ora, queste conclusioni, che tuttavia verranno rinforzate
dai dati di inflazione in uscita.
La Fed percepisce rischi crescenti sull’inflazione. Nell’ultimo comunicato, emesso
il 22 marzo, la valutazione dei rischi sui prezzi, pur restando “bilanciata”, era
condizionata all’adozione di una “politica monetaria appropriata”. Nel comunicato
precedente, a inizio febbraio, i rischi erano semplicemente “bilanciati”. Cosa è
cambiato? Tre elementi, che agiscono nella stessa direzione, stanno alla base
delle crescenti preoccupazioni della Fed: petrolio, prezzi alle importazioni (cioè
effetti del deprezzamento del dollaro) e chiusura dell’output gap (con
conseguente aumento di pricing power delle imprese).
Di queste tre variabili di rischio, il petrolio sta entrando con maggiore rilievo nelle
considerazioni che determinano la politica monetaria americana. Fra inizio
febbraio e il 22 marzo, date delle due riunioni FOMC, il WTI è passato da 46$ a
circa 55$; quel che più conta è che in tale periodo le previsioni ufficiali (IEA, IMF,
DoE) e delle istituzioni private si sono spostate verso l’alto, con uno scenario di
prezzi permanentemente alti per il futuro prevedibile. Come ha segnalato
Greenspan in un discorso a inizio aprile, il recente rialzo dei prezzi del petrolio
è più preoccupante di quello registrato nel 2004: i prezzi dei futures a cinque
anni segnalano oggi la percezione di uno shock permanente al livello dei
prezzi energetici. Questo rende particolarmente difficile la posizione della Fed,
che deve garantire che il rialzo permanente del prezzo del petrolio non si
trasferisca sulle aspettative di inflazione, anche sopportando un costo in termini di
minor crescita.
Dai verbali del 22 marzo emergono rischi di inflazione e di rialzi più
ampi
I verbali della riunione del FOMC del 22 marzo non hanno generato reazioni
negative sui mercati, ma contengono molti segnali di preoccupazione
sull’inflazione e di rischi di accelerazione del ritmo dei rialzi.
I verbali registrano un diffuso aumento di timore di un’accelerazione
dell’inflazione: l’accordo sulla valutazione di rischi “bilanciati” per i prezzi è un
chiaro compromesso, ottenuto grazie all’aggiunta della condizione “con la
politica monetaria appropriata”. Questo rende assolutamente non
informativa la valutazione sui rischi di inflazione, perchè essendo
condizionata alla politica monetaria, affermare che ci sono rischi verso l’alto
equivale a dire che la Fed non persegue (o non ha perseguito) la politica
monetaria appropriata a mantenere la stabilità dei prezzi. Ciò che conta invece è
che le opinioni dei partecipanti sono per un aumento dell’incertezza e per un
aumento dei rischi, anche se con gradi diversi di preoccupazione. Il gruppo degli
ottimisti riteneva che alla luce dell’atteso calo dell’inflazione headline nei prossimi
mesi, le pressioni sull’inflazione core non dovrebbero aumentare: questo scenario
16
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
dipende dall’andamento del prezzo del petrolio e richiede che le tensioni sul
mercato energetico si riducano nei prossimi mesi.
Per quanto riguarda il sentiero dei rialzi, anche qui il comunicato di marzo è
rimasto invariato, ma solo grazie a un compromesso. Un gruppo di partecipanti
avrebbe voluto eliminare il riferimento a misurato poiché secondo loro la
probabilità di rialzi più aggressivi è aumentata e il mercato interpreta “misurato”
come un segnale di rialzi di 25 pb. Tuttavia, la scelta di continuare a includere
il riferimento a “misurato” deriva dal fatto che secondo altri “il linguaggio
non esclude sia l’accelerazione del ritmo dei rialzi sia eventuali pause nel
processo di rimozione dello stimolo monetario se le circostanze lo
richiedono”. Il compromesso inoltre è basato sul fatto che “anche se
l’ammontare cumulato richiesto di restrizione può essere aumentato” non si ritiene
necessario accelerare il ritmo “in questo momento”. Pertanto anche il valore
segnaletico di “misurato” sta rapidamente scendendo e il comunicato
attualmente, essendo il risultato di un (abile) compromesso, non è altrettanto
indicativo delle opinioni di fondo del FOMC come in passato.
Si conclude che i rischi di inflazione secondo la Fed sono verso l’alto e che le
probabilità di vedere qualche rialzo più ampio, o un sentiero di rialzi più lungo,
sono aumentate. Prima o poi queste considerazioni si trasferiranno sul mercato:
l’elemento cruciale sarà comunque il comportamento dell’inflazione.
Le tendenze dell’inflazione dei beni e dei servizi puntano a un
aumento dell’inflazione complessiva
L’inflazione core è meno volatile dell’inflazione headline, ma ne segue i rialzi e le
riduzioni permanenti. La politica monetaria non risponde alle variazioni coincidenti
dell’inflazione, ma guarda avanti su un orizzonte di circa 9-12 mesi. Il rischio di
un’ulteriore accelerazione dell’inflazione energetica può essere l’elemento
catalizzatore che, insieme alla chiusura dell’output gap (v. WEM 23/03/05), porta
a un rialzo dell’inflazione core oltre il limite superiore dell’intervallo obiettivo
(implicito) della Fed. Questo spiega la crescente preoccupazione della banca
centrale e giustifica una probabilità positiva, anche se per ora di gran lunga
inferiore al 50%, di un’accelerazione del ritmo dei rialzi.
L’inflazione core è meno volatile, ma segue i trend
dell’inflazione headline
15,0
12,5
Percentuale
10,0
7,5
5,0
2,5
0,0
60
65
70
CPI core, % a/a
75
80
CPI, % a/a
85
90
95
00
05
Fonte: EcoWin
17
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Una caratteristica dell’inflazione americana degli ultimi dieci anni è la
stabilità, evidente dal grafico della pagina precedente. Da inizio 1994 a febbraio
2005, l’inflazione core è rimasta in un intervallo compreso fra l’1 e il 3%.
Un’occhiata al grafico su un arco di quasi cinquant’anni mostra che questa
caratteristica non è stata la norma per l’inflazione USA: una stabilità simile si
ritrova, nei dati, soltanto nel periodo 1958-66.
L’inflazione dell’ultimo quinquennio ha un’altra caratteristica inusuale: la
deflazione dei beni. Un andamento così marcatamente negativo come quello dei
prezzi dei beni nel periodo 2001-2003 non si trova in nessun altro periodo dal
secondo dopoguerra in poi. Un dato di fatto del periodo più recente però è che la
fase di deflazione dei beni, grazie anche alle politiche aggressivamente espansive
degli ultimi anni, è conclusa e lascia il posto a una netta inversione di tendenza
per i prezzi dei beni core. Questa considerazione è rilevante, considerando che
l’inflazione core, misurata con il deflatore dei consumi, si sta avvicinando al limite
del range che implicitamente la Fed ritiene coerente con la definizione di stabilità
dei prezzi.
Inflazione core: quale stabilità se l’inflazione
dei beni continua ad aumentare?
20,0
17,5
15,0
Percentuale
12,5
10,0
7,5
5,0
2,5
0,0
-2,5
-5,0
60
65
70
75
80
85
Servizi ex-energia, a/a, meno beni core, a/a
Servizi ex-energia, a/a
Inflazione Core, a/a
Beni core, a/a
90
95
00
05
Fonte: EcoWin
Il trend dell’inflazione core, con qualunque indice sia misurato, è al rialzo da quasi
un anno. Questo andamento è il risultato delle misure straordinarie di riduzione
dei tassi di intervento e dimostra l’efficacia della politica monetaria. Da ora in poi,
il problema della Fed è diventato quello di difendere la stabilità dell’inflazione sui
livelli recenti.
Come mostra il grafico, il (modesto) rialzo dell’inflazione core complessiva è
coincidente con la chiusura del differenziale fra inflazione dei servizi e inflazione
dei beni core. Questo differenziale, rimasto piuttosto stabile da metà degli anni
’80 alla fine degli anni ’90, si era allargato fino a essere superiore a 5 punti
percentuali nel 2003, dopo essere rimasto per circa un decennio intorno a 2,5
punti percentuali. A inizio 2005, il differenziale è tornato verso la media del
18
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
periodo precedente. Un recente lavoro della Fed 1 mostra che nel periodo 19672002, il differenziale fra inflazione dei servizi e inflazione dei beni core è
relativamente stabile e ha la tendenza a ritornare verso la media in seguito a
episodi di deviazione dalla media stessa. Quando il differenziale si allarga, come
nel caso osservato fino a inizio 2003, un’accelerazione dell’inflazione dei beni e
un rallentamento di quella dei servizi tendono a richiudere il differenziale.
Nell’ultimo anno, la chiusura del differenziale è stata determinata dal deciso
aumento dell’inflazione dei beni che, dopo quattro anni di deflazione, è tornata
positiva. L’inflazione dei servizi, invece, dopo un periodo di trend in calo iniziato
alla fine degli anni ’90, è scesa dai picchi intorno al 4,5% fino a un minimo poco
sotto il 3% a inizio 2003. Da allora, si è registrato un modestissimo trend al rialzo
che si è stabilizzato sui livelli attuali intorno al 3%.
È vero che il peso dei beni sul totale del deflatore (e del CPI) è molto minore di
quello dei servizi, tuttavia, in assenza di un rallentamento dell’inflazione dei
servizi, un ulteriore, anche se modesto, incremento dell’inflazione dei beni
porterebbe a un rialzo dell’inflazione core verso (ed eventualmente oltre) il limite
superiore dell’intervallo di inflazione accettabile per la Fed, intorno al 2% per il
deflatore core. Questo punto discende dai pesi relativi dei beni e dei servizi sul
totale dell’inflazione. I servizi, con circa il 60% del peso sul totale dell’indice dei
prezzi e con un’inflazione più alta della media, esercitano una pressione verso
l’alto sull’inflazione. In media, dal 1947 al 2004, i servizi hanno aggiunto circa 0,15
punti percentuali per trimestre all’inflazione totale2.
Deflatore dei consumi: peso relativo di
beni durevoli, non durevoli e servizi
0,6
Percentuale
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
50
55
60
65
Beni durevoli
Servizi
70
75
80
85
90
95
00
05
Beni non durevoli
Fonte: EcoWin
1
R. Peach, R. Rich, A. Antoniades, The Historical and Recent Behavior of Goods and
Services Inflation, Federal Reserve Bank of New York Economic Policy Review, Dic.
2004.
2
A. Wolman, F. Ding, Inflation and changing expenditure shares, Federal Reserve
Bank of Richmond Economic Quarterly, vol. 91-1, Winter 2005.
19
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Il calo dell’inflazione core dal 2001 in poi è quindi in larga misura merito
dell’inflazione (o meglio, della deflazione) dei beni core. Questo giustifica la
preoccupazione di Greenspan per gli effetti di un ulteriore deprezzamento del
dollaro e del persistere dello shock al prezzo del petrolio, che si sommano
all’aumento di pricing power delle imprese conseguente al miglioramento
del ciclo.
Implicazioni per la politica monetaria
L’inflazione core è ora su livelli coerenti con la definizione implicita di stabilità dei
prezzi della Fed. Nel Monetary Policy Report di febbraio, la proiezione centrale di
inflazione per fine 2005, uguale a quella per la fine del 2006, è pari a 1,5-1,75%. Il
deflatore core è stabilmente a 1,6% da settembre ’04, perfettamente al centro
dell’intervallo desiderato dalla Fed.
Federal Reserve Governors e presidenti delle Reserve Banks
2005
2004
Deflatore dei
consumi core,
a/a, Q4
1,6
2006
Intervallo
Tendenza
centrale
Intervallo
Tendenza
centrale
1,5-2
1,5-1,75
1,5-2
1,5-1,75
Fonte: Monetary Policy Report, Federal Reserve Board, febbraio 2005
Difficilmente l’inflazione mensile dei servizi scenderà al di sotto della media degli
ultimi anni – 0,25 fra inizio 2003 e febbraio 2005 per l’indice dei servizi rilevato nel
CPI, in linea con la media dell’ultimo decennio – e, visto il suo peso, pone uno
supporto sotto l’inflazione media complessiva. Gli aumenti medi dei beni totali
nello stesso periodo sono stati pari a 0,17, con un aumento medio di -0.06 per i
beni core. Su questi ultimi pesa il rischio legato agli effetti del deprezzamento del
dollaro e della chiusura dell’output gap, mentre le variazioni dei prezzi dei beni
totali risentiranno degli effetti del rialzo del petrolio. Come si osserva nel grafico,
periodi di significativa divergenza dei trend dell’inflazione dei beni e dei
servizi si sono registrati fra il 1982 e il 1985, in coincidenza con una fase
prolungata di apprezzamento del dollaro; e fra il 2001 e il 2003, con l’aumento
della globalizzazione e, ancora una volta, con l’apprezzamento del dollaro.
Difficilmente il 2005-2006 darà luogo a dinamiche divergenti dei prezzi delle
due componenti beni e servizi.
La pubblicazione dei dati di inflazione di marzo la prossima settimana
confermerà gli effetti del rincaro del petrolio sul sentiero dei prezzi: la nostra
previsione di una variazione dell’indice headline di 0,5%, dopo il +0,4% di
febbraio, mantiene l’inflazione a/a intorno al 3% per un altro mese. Sulla base
delle previsioni d petrolio stabile sui livelli attuali per gran parte dell’anno, il CPI
dovrebbe restare su fra il 2,5 e il 2,7% fino alla fine del terzo trimestre (vedi Il
punto). Questo mette a rischio le previsioni di un picco per l’inflazione core nella
parte centrale dell’anno, seguito da un graduale calo a fine 2005, portando
l’inflazione core fuori dall’intervallo “obiettivo”, se pure implicito, della Fed. In
questa prospettiva, ci si deve quindi aspettare un proseguimento della retorica
aggressiva sull’inflazione nei discorsi e forse anche nel comunicato della
prossima riunione.
(Giovanna Mossetti)
20
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Aprile: Le opinioni del FOMC
Poole
[v]
Santomero
Philldelphia [v]
Geithner
Scenario macroeconomico:
crescita, inflazione
Strategia di politica monetaria:
obiettivo di inflazione, sentiero dei tassi
“La reazione del mercato al comunicato (di marzo)
era molto appropriata e rifletteva la mia valutazione di
un quadro inflazionistico cambiato”. La “maggiore
incognita” per l’economia riguarda la trasmissione del
rialzo dei prezzi del petrolio sull’inflazione . “C’è
evidenza aneddotica che mostra che le imprese
trovano un po’ più facile passare aumenti di prezzi”.
A marzo, “il cambiamento di linguaggio non solo spiegava
il rialzo di 25 pb (...) ma la ripetizione della frase sul ritmo
misurato indica che il FOMC prevede ulteriori rialzi del
tasso di intervento alle prossime riunioni”. “Se vedessimo
evidenza che stiamo veramente entrando in un problema
più fondamentale di inflazione, allora vedreste la Federal
Reserve reagire più vigorosamente”.
“L’inflazione è da guardare”. “Se vedo dei piccoli
segni di inflazione arrivare dai dati e sento dai contatti
locali che stanno alzando i prezzi e che hanno di
fronte prezzi degli input in continuo aumento, quei
piccoli segni di inflazione sono più preoccupanti”.
L’economia probabilmente resterà su un sentiero di
“crescita robusta” nel 2005 e nel 2006.
“Un obiettivo di inflazione è un’idea che è diventata
attuale”. Una politica monetaria ria graduale “riduce la
probabilità di overshooting con tutti i suoi costi, ma il
policymaker
non
può
permettersi
di
essere
sistematicamente dietro la curva” “Questo può essere
almeno tanto costoso quanto l’overshooting”. “Se segni di
aumento di pressioni sui prezzi emergeranno in modo
sistematico, dovremo considerare di accelerare il ritmo a
cui ci muoviamo”
“
“La sfida è come mantenere le aspettative di lungo
termine stabili”. C’è uno spettro di opzioni “ per dare più
chiarezza su quali sono gli obiettivi del comitato” Vale la
pena di valutare “se i benefici siano convincenti e su quali
siano i costi”.
“Ci sono ora un po’ più preoccupazioni sull’inflazione.
(...) energia, prezzi all’import e abbiamo anche sentito
degli aneddoti di grandi pressioni sui prezzi”. “Credo
ancora che ci siano risorse inutilizzate nell’economia”.
“Guardiamo i dati. (...) Quando ci riuniamo decidiamo
quello che faremo avanti. Non c’è nessuno che possa
prevedere in anticipo quello che questo comitato farà”.
Sui rendimenti “adesso è meno un enigma, (...) ma c’è
ancora un puzzle sul perchè i tassi a lungo termine siano
stati così bassi come sono stati”:
New York [v]
Moskow
Chicago
[v]
Lacker
Richmond
[nv]
GREENSPAN
(Chairman del
Board)
“I mercati del petrolio e del gas naturale sono stati
soggetti nell’ultimo anno a una pressione che non si
era vista in una generazione”. Lo shock al prezzo del
petrolio appare più permanente di quello del 2004:
“mentre il prezzo dei futures sul light sweet crude a
sei anni non raggiungeva l’aumento di prezzi spot
l’autunno scorso, nelle ultime settimane ha in larga
misura tenuto dietro ai prezzi spot portando a livelli
record i contratti in scadenza nel 2011”.
Minehan
L’evidenza empirica supporta “l’opinione che
rimangano delle risorse inutilizzate” nel mercato del
lavoro. “I rischi alla crescita del PIL reale sembrano
ben equilibrati” intorno al 4%. “Con i prezzi del
petrolio adesso di nuovo sopra i 50 $/bl, ci si può
aspettare di vedere persistenti effetti sull’inflazione
totale, e in misura minore, su quella core”. Finora “gli
aumenti dei costi sono stati in larga misura
ammortizzati dalla produttività e dai margini di profitto,
ma ultimamente i contatti nel mondo delle imprese
segnalano che “prezzi più alti possono adesso essere
passati “ lungo la catena distributiva.
Boston [nv]
Gramlich
Board
Kohn
Board
Bernanke
Board
L’obiettivo della Fed “dovrebbe sempre essere la
stabilizzazione dell’economia , non i prezzi degli asset”.
“Dovremmo rispondere ai prezzi degli asset solo nel
contesto della nostra reazione complessiva al PIL”.
Sull’inflation targeting “ci sono molte opinioni diverse nel
comitato. (...) È difficile trovare un consenso”. Sulla
questione “sono uno scettico. L’inflation targeting non è
ben adatto allo stile di gestione del rischio della politica
monetaria”.
La Fed influenza i tassi di mercato attraverso le “parole”.
“Per influenzare i tassi a lungo termine, il FOMC deve in
qualche modo segnalare ai mercati finanziari il proprio
programma per determinare i tassi a breve futuri”.
Nota: i partecipanti al FOMC sono in ordine decrescente da più “falco” a più “colomba”. v= votante nel 2005, nv= non votante nel 2005
21
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Area euro: crescita moderata ma profitti in
ascesa
„
La crescita del Pil dovrebbe essere rimbalzata a 0,4% t/t a inizio 2005, ma la
crescita tendenziale continuerà con il rallentamento iniziato nella seconda
metà del 2004. Solo nell’estate prossima sarà possibile rivedere una vera
accelerazione della crescita.
„
In Italia, la crisi dell’industria scatena nuove revisioni al ribasso delle
previsioni di crescita 2005, ora scese a 0,9%. La mancanza di segnali di
ripresa implica che perfino questa correzione potrebbe rivelarsi troppo
prudente.
„
Difficilmente il tasso di inflazione andrà incontro ad un rallentamento marcato;
una stabilizzazione fino ai primi mesi del 2006 sopra il 2% è lo scenario più
probabile.
„
La BCE ha assunto un tono più cauto riguardo alle future mosse sui tassi di
interesse. Le probabilità che il primo rialzo dei tassi arrivi entro luglio
appaiono ora più ridotte.
Il completamento della pubblicazione degli indici di fiducia relativi al 2005.I
consente l’aggiornamento definitivo delle stime dell’€-index. Queste confermano
che esistono le prospettive per un rimbalzo della crescita del Pil a 0,4% t/t a inizio
2005, ma la dinamica trimestrale attesa prolungherà la fase di rallentamento della
crescita tendenziale. Solo nell’estate prossima sarà possibile rivedere
un’accelerazione della crescita del Pil. Pertanto, l’€-index si allinea con le
previsioni della Commissione UE e della BCE che puntano ad un rallentamento
all’1,6% della crescita nel 2005 rispetto all’1,8% segnato l’anno passato. Tuttavia,
le prospettive dell’economia dell’area euro sono oggi meno fragili di 12 o 18 mesi
fa, quando non sembrava vi fossero segnali di risveglio per la domanda
domestica.
Infatti, nonostante il rallentamento dell’attività nella seconda parte del 2004, la
redditività delle imprese europee rimane solida: nel 2004.IV la crescita del
risultato operativo lordo è stata comunque positiva, 0,3% t/t, e sufficiente a
mantenere la variazione tendenziale al 4,0%. Nella media dell’anno, la crescita è
pari al 5,0%, in chiara accelerazione dal 2,6% del 2003 e prossimo a quello del
2000 (5,2%). Conseguentemente, la quota di profitti sul Pil, seppure in lieve calo,
è rimasta al 38,7%, prossima al massimo da inizio degli anni 90. La Banca
Centrale Europea ha spesso fatto riferimento alla brillante redditività dell’attività
imprenditoriale a motivazione dell’ottimismo sulle prospettive degli investimenti e,
conseguentemente, dell’economia. Tuttavia, una spinta robusta agli investimenti
può concretizzarsi solo se anche in prospettiva la crescita dei profitti è allettante,
altrimenti il miglioramento della redditività potrebbe più facilmente tradursi in una
distribuzione di dividendi o in semplici accantonamenti da parte delle imprese.
Allo scopo di valutare le determinanti della dinamica dei profitti aziendali abbiamo
stimato un modello di regressione ECM, la cui capacità esplicativa risulta elevata
(R2 aggiustato = 0,9). Sulla base dei risultati ottenuti e di diversi scenari per le
variabili esplicative, abbiamo ottenuto delle proiezioni “coerenti” per i profitti. I
risultati di questo semplice esercizio sono decisamente incoraggianti: la crescita
stimata nel biennio 2005-06 per i profitti di contabilità nazionale per l’intera area
euro è superiore alla media storica anche prendendo in considerazione scenari
peggiorativi per le variabili esogene.
22
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Crescita moderata ma profitti record
130
4.5%
39.5
120
3.5%
39.0
110
2.5%
38.5
100
1.5%
38.0
90
0.5%
37.5
-0.5%
37.0
80
Pil area euro t/t
€-index Anticipatore Banca Intesa
Pil area euro a/a
70
36.5
-1.5%
60
36.0
-2.5%
98
99
00
01
02
03
04
Profitti/Pil
91
05
93
95
97
99
01
03
Secondo il modello stimato, la dinamica di breve termine dei profitti di contabilità
nazionale dipende positivamente dalla crescita reale del Pil, dal mark-up,
approssimato dalla differenza tra dinamica del deflatore del Pil e costo unitario del
lavoro (CLUP), mentre è negativamente influenzata dal cambio effettivo reale
dell’euro ritardato di tre trimestri, una proxy della competitività delle merci europee
sui mercati internazionali, e dal prezzo del petrolio espresso in euro, una proxy
per i costi degli input materiali del processo produttivo, che è significativa con un
periodo di ritardo. Il modello identifica inoltre una relazione di lungo periodo tra
crescita dei profitti, crescita dell’economia e andamento del mark-up.
La tenuta dei margini porterà a profitti elevati
4
11%
3
9%
2
7%
1
5%
0
3%
-1
1%
-2
Mark-up
-1%
-3
Profitti, a/a (dx)
-3%
-4
-5%
92
94
96
98
00
02
04
06
Sulla base del nostro scenario centrale per le variabili esogene, abbiamo ottenuto
una proiezione per il profilo dei profitti nel biennio 2005-06: la variazione
attesa è pari al 5,1% in entrambi gli anni dell’orizzonte previsivo. Tale proiezione
non solo è superiore al 5,0% segnato nel 2004, ma è anche un punto percentuale
superiore alla media del periodo 1992-2004, pari a 4,1%. Va segnalato che il
nostro scenario è allineato al consenso per quanto riguarda la crescita del Pil (1,6
e 2,0% rispettivamente nei due anni considerati). Per quanto riguarda la dinamica
dei prezzi, il profilo utilizzato per il deflatore del Pil è stato stimato sulla base della
relazione di lungo periodo esistente tra questa variabile, il CPI e il tasso di cambio
effettivo. Quest’ultima variabile a sua volta è stimata sulla base del profilo del
cambio €/$. Il profilo previsto per il CPI, oltre che dalle condizioni
macroeconomiche generali, è dipendente dal cambio e dal prezzo del petrolio.
Pertanto, il nostro scenario di inflazione del CPI pari a 2,2% e 1,8%
23
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
rispettivamente è coerente con un prezzo medio del Brent a $50 e $47,5 nel
biennio 2005-06, mentre il cambio €/$ è atteso in media annua a 1,28 quest’anno
e a 1,27 il prossimo anno. Infine, sulla base delle nostre proiezioni di crescita del
Pil, dell’occupazione e delle retribuzioni, stimiamo che la dinamica del CLUP si
mantenga all’1,2% in media nel biennio in corso, superiore allo 0,5% del 2004 ma
inferiore alla media dal 1992 pari a 1,7%.
Stime di crescita dei profitti lordi 2005-06
8
7
Profitti lordi, a/a %
Profitti lordi - scenario di rischio
6
Avg. 92-04: 4.1%
previsioni
5
4
3
2
1
0
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
Al fine di valutare i rischi sulla previsione, abbiamo simulato uno scenario di
rischio, penalizzante per le prospettive della redditività aziendale. In particolare,
abbiamo considerato le implicazioni per i profitti derivanti da una dinamica
trimestrale del Pil pari alla media 2001-04, che nella fattispecie restituisce una
crescita media annua di solo 1,1%, 0,7% inferiore allo scenario base. Inoltre,
abbiamo ipotizzato che il tasso di cambio €/$, il tasso di cambio effettivo ed il
prezzo del petrolio si mantenessero ai penalizzanti livelli raggiunti all’inizio del
2005 invece di evolvere in maniera favorevole come nello scenario centrale.
Coerentemente con questo profilo per le esogene, abbiamo stimato l’andamento
del deflatore del Pil che risulta più marcato di circa lo 0,2% nel 2005 e dello 0,1%
nel 2006. Infine, abbiamo considerato un profilo del CLUP il 30% superiore a
quello base per catturare gli effetti negativi sul costo del lavoro unitario della più
bassa produttività e delle maggiori richieste salariali in seguito alla più alta
inflazione. Come atteso, nel biennio 2005-06 il tasso di crescita medio dei profitti
lordi è inferiore allo scenario base, ma al 4,2% si mantiene leggermente superiore
alla media storica.
Le positive prospettive per la redditività aziendale nel biennio in corso, ed i riflessi
delle eccezionali dinamiche recenti, sono un importante fattore a supporto
della prevista accelerazione della crescita degli investimenti nell’area euro.
Questa è inoltre sostenuta dal “ritardo” accumulato nel livello dello stock di
capitale rispetto alla media durante la recente stagnazione economica. Tuttavia,
la dinamica dell’accumulazione di capitale da parte delle imprese nell’area euro
sarà inferiore al passato ed a quanto suggerito dai fondamentali. La discrepanza
può in parte ricondursi alla globalizzazione che incentiva le imprese a sviluppare
impianti al di fuori dell’area euro alla ricerca di condizioni più vantaggiose in
termini di costo del lavoro. Un’altra parte della spiegazione per la relativamente
contenuta attività di investimento è però probabilmente data da una maggiore
attenzione da parte delle imprese alla remunerazione degli azionisti tramite la
24
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
distribuzione di una quota degli utili maggiore che in passato. Tale valutazione
trova una preliminare conferma nel forte incremento atteso dagli analisti per i
dividendi in pagamento nel 2005 (+25%), superiore a quello degli anni passati
(7,8% la media 92-04), ed a quanto pronosticabile sulla base della pur notevole
crescita degli utili lordi (“solo” il 22% superiori alla media storica). In questo caso,
le beneficiarie ultime sarebbero le famiglie che troveranno sostegno al reddito
disponibile anche da questa fonte oltre che da alcune misure fiscali e dal
miglioramento del mercato del lavoro.
Alta redditività, carburante per il recupero degli investimenti
12
2.01
1.98
1.95
1.92
1.89
1.86
1.83
1.80
1.77
1.74
1.71
1.68
1.65
1.62
10
8
6
4
2
0
-1.5%
8%
-1.0%
6%
4%
-0.5%
2%
0.0%
0%
0.5%
-2%
-2
Profitti/ investimenti fissi (sx)
Investimenti fissi lordi, a/a %(dx)
IFL ex costr. Germania, a/a %(dx)
-4
-6
95
97
99
01
03
05
07
-4%
IFL/Pil, scarti dalla media (-7T)
1.5%
-8
-10
93
1.0%
-6%
IFL, a/a %(dx)
2.0%
-8%
92
94
96
98
00
02
04
06
Inflazione verso il 2,2% nel 2005
La BCE ha preso atto all’inizio di aprile che il tasso di inflazione rimarrà per i
prossimi mesi sopra il 2%. La motivazione principale è il sostenuto prezzo del
petrolio, elemento che è ritenuto per ora transitorio e che consente alla BCE di
non modificare il giudizio favorevole sulle prospettive di medio termine. Infatti
come ben sintetizzato da Papademos: “le nostre ultime analisi hanno confermato
che le pressioni inflazionistiche rimangono contenute e che l’inflazione è attesa
scendere nel medio periodo”. In seguito Issing ha ribadito la previsione della
banca centrale che il tasso di inflazione torni sotto il 2% nel corso del 2005, anche
se più tardi di quanto atteso in precedenza. Contrariamente alla BCE ed al
consenso, riteniamo che le condizioni fondamentali per il tasso di inflazione non
siano più favorevoli ad un rallentamento marcato e che una stabilizzazione fino ai
primi mesi del 2006 sopra il 2% sia lo scenario più probabile.
Gli elementi a sostegno della tesi della BCE prendono spunto dal minimo
raggiunto dal CPI core a febbraio (1,6%), che potrebbe essere anche migliorato a
1,5% a marzo, proiezione su cui esiste un rischio verso il basso. Infatti, se la
stima flash ha confermato il tasso di inflazione al 2,1% a/a, l’impatto del capitolo
energia è tornato a superare i sette decimi di punto vanificando così per l’indice
complessivo l’effetto base favorevole.
25
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
CPI ex-energy ancora in calo ma l’inflazione ciclica ha già superato il minimo
3.6
3.6
4.0
3.2
3.2
3.5
2.8
2.8
2.4
2.4
2.0
2.0
1.6
1.6
1.2
1.2
CPI desta, var. 6mesi ann. (-6m)
CPI, ex energy, var. a/a
0.8
0.4
01
02
03
04
05
Tasso di inflazione headline
Tasso di inflazione "ciclico"
Tasso di inflazione "ciclico" ex-energia
3.0
2.5
2.0
1.5
0.8
1.0
0.4
0.5
99
00
01
02
03
04
05
Però, proprio un effetto base favorevole sull’indice core, legato alla fuoriuscita
dal computo degli aumenti nei capitoli sanità e tabacchi avvenuti all’inizio del
2004 (0,35%), spiega una parte rilevante del repentino rallentamento tra dicembre
e marzo (0,58%). Un altro elemento di carattere estemporaneo, riconducibile alla
sensibilizzazione da parte di alcuni governi delle catene della grande
distribuzione, spiega lo 0,05% in meno dovuto alla moderazione nel comparto
degli alimentari trasformati. Il restante 0,2% è dovuto alla dinamica dei beni
industriali non energetici, all’interno dei quali spicca il contributo di 0,08%
attribuibile al capitolo abbigliamento e calzature, almeno in parte spiegabile con la
maggiore penetrazione di prodotti a basso costo di produzione cinese. Pertanto,
la parte di rallentamento del CPI core attribuibile ai fondamentali di cambio e
costo del lavoro unitario è stimabile in uno 0,15% soltanto. Inoltre, la non
replicabilità di molti dei fattori esplicativi della dinamica recente rende probabile
una riaccelerazione del CPI core al più tardi dalla metà dell’anno. In effetti, la
nostra misura preferita per cogliere le dinamiche sottostanti dell’inflazione, ovvero
il CPI al netto di energia e prezzi amministrati, sembra avere già superato il
minimo di 0,9% a/a segnato tra settembre e dicembre 2004, è già tornato all’1,1%
a febbraio e nel nostro scenario è atteso all’1,5% già a metà anno.
Questo tipo di scenario non è alieno al dibattito interno alla BCE. Come illustrato
nel Bollettino mensile di maggio, l’eccesso di moneta, misurato dal real money
gap, aveva raggiunto a fine 2004 quasi il 3% al netto delle riallocazioni di
portafoglio. Sulla base di questo e di altri fattori esclusivamente monetari
aggiornati alla fine dello scorso anno, la BCE stima che l’inflazione core acceleri a
partire dal 2005.II e si stabilizzi sopra il 2% fino alla metà del 2006 in termini di
variazioni
trimestrali
destagionalizzate
ed
annualizzate.
Alla
luce
dell’accelerazione di M3 e del credito al settore privato nel bimestre gennaiofebbraio, è probabile che l’aggiornamento dell’esercizio previsionale della BCE
porterebbe ad una previsione sopra il 2% anche nel 2006.III.
26
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Eccesso di moneta e proiezioni di inflazione3
Ma non è solo la dinamica monetaria a segnalare che i rischi verso l’alto per il
tasso di inflazione stanno aumentando, e che questi non sono legati solo al
prezzo del petrolio. La dinamica dei prezzi delle materie prime al netto
dell’energia ed espressi in euro, comprensive quindi della protezione offerta
dall’apprezzamento della valuta, è stata ed è tuttora sensibilmente più accentuata
che fino alla fine del 2003. Finora, le ricadute principali sono state sulla dinamica
del PPI dei beni intermedi, ma da metà 2004 anche quella dei beni di
investimento ha accelerato, mentre quella dei beni di consumo si mantiene su un
trend di moderata accelerazione dalla metà del 2002.
Area euro: commodities core e PPI
30
5
10.0
5.5
PPI -beni intermedi (sx)
20
10
4
8.0
3
6.0
2
4.0
1
2.0
0
0.0
-1
-2.0
-2
-4.0
PPI -beni di investimento
PPI- beni di consumo
4.5
3.5
2.5
0
-10
-20
Mat prime in € (ex-energy, sx)
PPI ex-energy (dx)
-30
98
99
00
01
02
03
04
05
1.5
0.5
-0.5
99
00
01
02
03
04
05
L’apprezzamento della valuta ha avuto un ruolo determinante nel contenere le
pressioni esterne sui prezzi alla produzione. Ma non va trascurato che le
importazioni dell’area euro sono composte anche da beni di consumo che entrano
direttamente nel paniere del CPI. Prendendo come riferimento la Germania, è
evidente il legame tra i prezzi all’importazione al netto dell’energia ed il CPI
core. La rottura della relazione all’inizio del 2004 è chiaramente da attribuire alle
misure fiscali decise dal governo tedesco nell’ambito della riforma del sistema
3
Fonte: Bollettino mensile BCE di marzo. La figura mostra l’intervallo osservato negli
ultimi trimestri delle previsioni sull’inflazione annualizzata provenienti da sette modelli
bivariati che includono indicatori anticipatori. Ciascuna previsione è formulata sulla base
dell’informazione disponibile fino al momento in cui la previsione è stata formulata. Per
esempio, la previsione sull’orizzonte 4° trimestre 2004 - 2° trimestre 2006 contiene
informazioni sulla moneta e l’inflazione fino al 4° trimestre del 2004. Per una descrizione
della metodologia di calcolo delle previsioni nei sette modelli si veda S. NicolettiAltimari, Does money lead inflation in the euro area?, Working Paper della BCE n. 63,
maggio 2001.
27
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
sanitario e sulle accise sul tabacco nel tentativo di contenere il passivo del
bilancio pubblico. Correggendo per questi fattori, i cui effetti si stanno come detto
esaurendo, la relazione appare ancora solidamente radicata: data
l’accelerazione dei prezzi core all’importazione è prevedibile che il CPI core
tedesco, attualmente a 0,7% al netto delle misure fiscali, ritorni stabilmente
verso l’1,2% nella seconda parte del 2005.
I prezzi internazionali premono sul CPI core
20%
7%
AE- prezzi importazioni
5%
10%
4%
2.7
Prezzi importazioni ex-en., -18m
CPI core ex-adm. (dx)
CPI-core (dx)
6%
PPI OCSE in $ (sx)
15%
14
9
2.4
2.1
1.8
4
1.5
3%
5%
2%
0%
1%
-5%
1.2
-1
0.9
0.6
-6
0.3
0%
-10%
-1%
97
98
99
00
01
02
03
04
0.0
-11
05
-0.3
96
97
98
99
00
01
02
03
04
05
06
Ma non vi sono solo elementi di natura internazionale a spingere i prezzi nell’area
euro. Le imprese europee sembrano avere ritrovato pricing power, almeno a
giudicare dal profilo dell’indice sintetico dei prezzi praticati dell’indagine PMI.
Questo indicatore, la cui serie storica inizia purtroppo solo a fine 2002, ha
registrato il valore massimo a febbraio poco sotto quota 53 e segnala stabilmente
un aumento dei listini praticati dalla primavera dello scorso anno. Ciò non si può
certo attribuire ad una sopravvenuta necessità di trasferire a valle i maggiori costi
dopo che i margini erano stati compressi: la crescita dei profitti di contabilità
nazionale ha infatti segnato nel 2004 una crescita del 5,0%, superiore alla media
storica ed quasi doppia rispetto al 2003.
La tentazione di aumentare i margini potrebbe farsi più forte per mantenere un
alto livello di redditività aziendale alla luce del profilo atteso del costo del lavoro
unitario. Dopo avere raggiunto un minimo a 0,1% a/a nel 2004.III, complice una
lieve riaccelerazione delle retribuzioni e il rallentamento delle produttività,
prevediamo che il CLUP si stabilizzi su una crescita dell’1,2% nel biennio 200506.
PMI dei prezzi praticati in crescita, e il CLUP non decelera più
30
70
Gap prezzi (dx)
65
Prezzi output
Prezzi input
25
6%
5%
5.0%
CLUP, a/a (sx)
CPI core, a/a (dx)
4%
20
60
15
55
10
3.0%
2%
2.5%
2.0%
1%
45
11/02 2/03 5/03 8/03 11/03 2/04 5/04 8/04 11/04 2/05
28
5
-1%
0
-2%
4.0%
3.5%
3%
1.5%
0%
50
4.5%
1.0%
0.5%
0.0%
92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Conclusioni
La variazione dell’indice generale dei prezzi rimane al 2,1% a marzo, ancora una
volta sopra il target della banca centrale, e ciò dà sostegno al nostro scenario, più
pessimista di quello della BCE e del consenso, che il tasso di inflazione sarà in
media al 2,2% anche nel 2005. La BCE non ha finora mostrato particolare
nervosismo al riguardo, confortata dal rallentamento del CPI core verso l’1,5%.
Tuttavia la discesa dell’inflazione core è dovuta in gran parte a fattori
estemporanei. Al contrario, i fondamentali fanno pensare che la tendenza al
rallentamento dell’inflazione core è destinata quanto meno ad esaurirsi, se
non ad invertirsi, in un orizzonte temporale di pochi mesi. Considerato che
nel nostro scenario il prezzo del petrolio rimane sostenuto per tutto il biennio
2005-06, e con esso il CPI energy, appare verosimile uno scenario in cui il CPI
headline rimane sopra il 2% per diversi trimestri ancora. Ciò darà maggiore fiato a
coloro che all’interno del Consiglio Direttivo già da tempo esprimono disagio per il
livello eccezionalmente basso dei tassi reali e contribuirà a mantenere toni
aggressivi nella comunicazione della BCE.
Inoltre, la prospettiva di non riuscire a raggiungere l’obiettivo per il sesto anno
consecutivo ed aumentati rischi che questo non accada nemmeno il prossimo
anno verosimilmente contribuiscono ad abbassare la soglia minima dei dati di
crescita sufficiente a convincere la BCE a passare all’azione sui tassi dopo mesi
di segnalazione che lo stimolo monetario ad un certo punto dovrà essere rimosso.
Politica monetaria: tassi fermi, ma la neutralità è molto
più in alto
L’atteggiamento della BCE di fronte ai rinnovati dubbi sulla solidità della ripresa
suscitati dagli ultimi indicatori di fiducia è stato ancora una volta pragmatico. Non
solo ha lasciato il tasso refi invariato al 2%, ma ha assunto un tono più cauto
sulle future mosse sui tassi di interesse. Infatti, al contrario di quanto fatto
trapelare sui contenuti delle ultime riunioni, “non c’è stata discussione su un
aumento dei tassi in questo Consiglio Direttivo”. Il motivo dell’atteggiamento
più attendista è che i più recenti dati economici indicano “la continuazione della
ripresa a ritmo moderato nel breve termine, senza chiari segni fino ad ora di un
rafforzamento della dinamica sottostante”. Una volta di più viene quindi
sottolineata l’attenzione prestata dalla banca centrale nelle decisioni sui tassi alle
prospettive della crescita a prescindere dall’andamento corrente del CPI.
D’altronde, nonostante le pressioni inflazionistiche siano contenute in assenza di
effetti di seconda battuta, “persistono dei rischi di medio termine per la
stabilità dei prezzi che necessitano di essere valutati attentamente.” Tra
questi spiccano gli sviluppi del prezzo del petrolio che, “assieme a diversi altri
fattori [...] stanno cambiando le nostre [della BCE] prospettive” sull’inflazione. Un
altro fattore è l’eccessiva crescita di M3, ed in particolar modo delle sue
componenti più liquide, su cui gli effetti di stimolo dal basso livello dei tassi sono
dominanti.
Pertanto, la BCE rimane vigile e ricorda ai mercati che “se necessario,
alzeremmo immediatamente i tassi.” Ciò contribuisce a mantenere bassi i tassi
a lungo termine e ad ancorare le aspettative, aiutando la crescita. Altrimenti, si
chiede la BCE, “cosa succederebbe se di fronte ad una situazione che richiede un
aumento dei tassi non lo facessimo perché così aiuteremmo la crescita?”
29
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Posto quindi che la normalizzazione monetaria inizierà quando la BCE avrà
piena fiducia nella “autosufficienza” della domanda domestica senza
bisogno del supporto della politica monetaria, le probabilità che il primo
rialzo dei tassi arrivi entro luglio appaiono ora più ridotte. Sarebbe infatti
necessario non solo che i dati del 2005.I confermassero l’informazione
preliminare positiva per consumi e investimenti, ma anche che gli indici di fiducia
recuperassero repentinamente il terreno perso negli ultimi due mesi.
Rimane comunque chiaro che la direzione dei tassi ufficiali è verso l’alto poiché
l’attuale livello è, nelle parole di Issing, “largamente inferiore a quello che si
potrebbe definire neutrale”. Conseguentemente, la politica monetaria della BCE è
“decisamente accomodante”, una situazione che non richiede una crescita
eccezionale per essere modificata. Dopo due trimestri come quelli a cavallo
dell’anno, in cui la domanda finale domestica dovrebbe contribuire per lo 0,5%
alla crescita del Pil, sarebbe probabilmente sufficiente per dare il via libera al
primo rialzo dei tassi che la crescita non sia deludente nel trimestre in corso, i cui
dati saranno pubblicati a metà agosto.
(GianLuigi Mandruzzato)
Area Euro – quadro di previsione
Pil (prezzi costanti, a/a)
- t/t
Consumi privati
Investimenti fissi
Consumi pubblici
Esportazioni
Importazioni
Var. scorte (contrib., % Pil)
Partite correnti (% Pil)
Deficit pubblico (% Pil)
Debito pubblico (% Pil)
Prezzi al consumo (IPCA,a/a)
Produzione industriale (a/a)
Disoccupazione (ILO, %)
2004
2005
2006
1.8
1.6
2.0
1.1
1.6
1.6
5.8
6.0
0.4
1.6
2.4
1.7
4.0
4.4
-0.1
2.1
3.6
2.0
5.1
5.6
-0.3
0.6
-2.7
70.3
0.4
-2.5
70.7
2.1
1.9
8.8
2.2
1.2
8.7
2004
2005
3
1.8
0.3
0.1
0.5
0.6
1.0
2.6
0.6
4
1.6
0.2
0.6
0.6
0.2
0.3
0.7
-0.2
1
1.3
0.4
0.5
0.4
0.5
0.3
-0.3
-0.3
2
1.4
0.5
0.4
0.6
0.4
1.6
1.5
0.0
3
1.7
0.6
0.5
0.9
0.4
1.3
1.3
0.0
4
1.9
0.4
0.5
0.9
0.5
1.3
1.4
-0.2
1
1.9
0.4
0.4
0.7
0.7
1.2
1.4
0.0
0.4
-2.1
70.6
0.4
0.5
0.6
0.6
0.6
0.3
0.3
0.4
1.8
2.5
8.3
2.3
1.1
8.8
2.2
0.3
8.8
2.3
-0.3
8.8
2.0
0.5
8.9
2.2
0.1
8.8
2.3
0.8
8.6
2.4
0.5
8.5
2.3
0.4
8.4
Variazioni % sul periodo precedente, se non diversamente indicato
30
2006
2
2.2
0.5
0.0
0.5
0.3
3.1
2.9
0.1
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
La ristrutturazione industriale frena la crescita italiana
La crisi dell’industria italiana scatena nuove revisioni al ribasso delle
previsioni di crescita 2005, ora scese a 0,9%.
La fragilità della ripresa economica dell’area euro è amplificata dai problemi
dell’economia italiana, che sembrano essersi repentinamente aggravati alla fine
del 2004. Il dettaglio dei conti nazionali italiani del 2004.IV mostra un calo più
ampio rispetto alla stima preliminare (-0,4% t/t). Ma, ancor peggio, Istat ha
rilevato un forte contributo negativo delle esportazioni nette (-1,4%) e della
domanda interna (-0,2%), bilanciato da un forte accumulo di scorte. Quest’ultimo
fattore, se non riflette una sottostima di altre componenti della domanda,
rappresenterà un forte condizionamento per il primo trimestre 2005: l’eventuale
smaltimento dell’eccesso di magazzino potrebbe deprimere la crescita della
produzione, a parità di domanda finale. Questi timori sono rafforzati dal fatto che,
diversamente da altri periodi, il notevole accumulo di scorte non è associato a una
crescita elevata dell’import.
I consumi delle famiglie registrano invece una crescita bassa (0,2% t/t) ma
persistente e si conferma il previsto spostamento dai beni durevoli verso i non
durevoli e i servizi. A fronte di questa tendenza positiva, che dovrebbe
consolidarsi quest’anno, i dati mettono a nudo due problemi di fondo:
„ in primo luogo, una crisi dell’export, calato addirittura del 4,7% t/t, che riflette
le difficoltà di alcuni settori produttivi italiani di fronte alla pressione
competitiva del cambio e alla fine del regime di quote nel tessile; la crisi
dell’export è associata anche a un aumento della penetrazione dell’import;
„ in secondo luogo, una crisi di fiducia che penalizza la spesa in conto capitale
delle imprese, principale causa dietro il declino della domanda interna; un
segnale è che il credito erogato alle imprese manifatturiere è fermo sui livelli di
fine 2004 (+0,1% a/a nel dicembre 2004), mentre la crescita degli impieghi nei
confronti delle costruzioni e dei servizi è robusta (+8,0% e +10,8%
rispettivamente).
È soltanto una coincidenza?
-12
Moda, saldo commerciale, sx
200
Cambio (dx, scala invertita)
-7
100
-2
0
3
-100
8
-200
-300
gen-00
Var. % a/a
Variazione annua del saldo
300
gen-01
gen-02
gen-03
gen-04
gen-05
Variazione in milioni di euro del saldo commerciale sullo
stesso periodo dell’anno precedente, comparti tessile e
calzature, medie mobili di 3 mesi. Cambio: cambio effettivo
nominale,
media
mensile,
variazione
%
a/a
(+:
apprezzamento).
31
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
I problemi riguardano soprattutto il comparto della moda, dei beni per la casa e
dell’auto e si stanno manifestando sia in un peggioramento della performance
aggregata, sia in un aumento della dispersione dei risultati aziendali. Per fare un
esempio, nel tessile le imprese vicentine sono riuscite a contenere il calo di
fatturato fra il 2001 e il 2003 al -3,4%, contro il -10,9% e il -12,8% rispettivamente
dei distretti di Prato e Biella. Ma nello stesso distretto di Vicenza se il 25% delle
imprese ha realizzato incrementi di fatturato di almeno il 18%, il 25% ha patito
una contrazione di almeno il 20%. Questi numeri confermano che è ancora in
corso un processo di ristrutturazione del sistema industriale italiano caratterizzato
sia dalla scomparsa delle imprese meno competitive, sia dallo spostamento di
produzione verso i paesi emergenti. Ma anche il fatto che gli investimenti siano
effettuati sempre più dalle imprese dei servizi che da quelle manifatturiere non è
privo di implicazioni, perché tende a recare meno benefici ai produttori italiani di
beni strumentali, che devono affidarsi ancor di più alla domanda estera.
PMI manifatturiero, nuovi ordinativi
PM I - indici di attività
56
60
54
52
55
50
48
46
50
44
Servizi
Manifatturiero
Nuovi ordini - totali
Export
42
45
40
1/04
7/04
1/05
1/04
7/04
1/05
Le prospettive di breve termine
I segnali per il primo trimestre 2005 provenienti dalle indagini congiunturali
prospettano un ritorno alla crescita, ma su ritmi molto modesti. In particolare, il
rimbalzo dell’indice di produzione nel PMI manifatturiero è abbastanza ampio (da
49,7 a 51,0) e l’indice dei servizi, pur se calato di un punto, rimane sopra 52. Il
livello di 51,9 (-0,3) per l’indice composito è compatibile con una variazione
trimestrale positiva del PIL. Tuttavia, l’ottimismo trova un limite nell’esito
dell’indagine ISAE, che ha mostrato gravi segnali di sofferenza soprattutto nei
settori tessile-abbigliamento e cuoio-pelli-calzature, oltre a un diffuso pessimismo
sulla ripresa delle esportazioni nei prossimi mesi. L’indice sul livello della
produzione è sceso di oltre 5 punti rispetto al 2004.IV. Anche i dati ufficiali sulla
produzione industriale del primo bimestre sono stati molto deludenti, registrando
un incremento di appena lo 0,1%. La media trimestrale registrerà dunque un
nuovo calo, nell’ordine dello 0,5/0,6%.
Di fronte a questi numeri così poco incoraggianti, sembra improbabile che nel
2005.I la variazione del PIL possa tornare sui livelli di metà 2004. Le nostre stime
per il primo e il secondo trimestre vengono perciò tagliate rispettivamente a
+0,3% e +0,4% t/t. (v. tabella).
32
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
2004
3
4
1
2
3
4
2006
1
1.2
0.4
-0.4
1.1
0.2
3.7
2.6
0.1
1.2
0.4
0.2
-1.2
0.2
4.8
1.1
-0.6
0.8
-0.4
0.2
-1.7
0.2
-4.7
0.1
1.2
0.6
0.3
0.3
1.2
0.1
0.2
0.8
0.0
0.8
0.4
0.4
0.9
0.3
2.3
1.6
-0.3
1.6
0.5
0.4
0.8
0.4
2.4
2.0
-0.1
1.7
0.4
0.4
0.9
0.6
0.2
0.8
0.1
1.7
0.4
0.4
0.8
0.8
2.3
1.8
-0.3
-0.8
-3.8
105.6
-1.9
1.3
-1.2
-1.9
-2.2
1.3
-1.2
-1.9
2.1
1.4
7.7
2.3
1.2
8.0
2.2
-0.6
8.0
2.0
-2.0
8.0
1.9
-0.5
8.0
2.1
0.4
8.1
2.1
2.1
7.9
2.5
2.2
7.8
2.6
1.0
7.6
2005
2006
1.0
0.9
1.8
1.0
1.9
0.7
3.2
2.5
-0.3
1.1
0.9
1.0
2.8
4.5
0.4
1.8
2.9
2.6
6.9
6.3
-0.6
Partite correnti (% Pil)
Deficit (% Pil)
Debito (% Pil)
-0.7
-3.0
105.8
-0.9
-3.6
105.7
CPI (a/a)
Produzione Industriale
Disoccupazione (%)
2.2
-0.4
8.0
2.2
0.1
8.0
PIL (prezzi 1995, a/a)
t/t
Consumi delle famiglie
Investimenti fissi
Consumi collettivi
Esportazioni
Importazioni
Var. scorte (contr. % PIL)
2005
2
2004
Variazioni percentuali sul periodo precedente - salvo ove diversamente indicato.
Per quanto riguarda la media annua (+0,9% a/a), la revisione totale rispetto alla
precedente stima risulta così pari a 0,3%, di cui 0,1% dovuto alla modifica dei dati
storici e 0,2% di intervento sui dati previsionali. Le nuove stime dovrebbero
collocarsi vicine alla media di consenso, dopo le probabili revisioni che saranno
pubblicate nei prossimi giorni. Sia la stima della Commissione Europea (+1,2%
a/a), sia quelle ufficiose verso le quali sembrerebbe orientato il governo (+1,5%)
appaiono troppo alte, alla luce dei dati di fine 2004 attualmente disponibili e della
mancanza di chiari segnali di rimbalzo in questi mesi.
Pil Italia: contributi alla crescita
2.5
1.5
0.5
-0.5
-1.5
Dom.Int.
Scorte
Canale estero
-2.5
2001
2002
2003
2004
2005
Fonte: Istat e Banca Intesa. 2005.I-II: previsioni Banca Intesa.
Nel primo semestre la crescita sarà basata soprattutto sulla domanda interna, in
parte soddisfatta attraverso il decumulo delle scorte e l’aumento delle
importazioni. L’aumento dei redditi consente la continuazione di una moderata
espansione dei consumi; l’erosione di potere d’acquisto causata dall’aumento del
prezzo dell’energia sarà in parte compensata dall’andamento favorevole dei
prezzi nel comparto tessile. Dopo ben due trimestri di contrazione, inoltre, anche
la spesa in conto capitale dovrebbe tornare a salire, sostenuta dall’investimento in
infrastrutture, dall’edilizia residenziale (che però dovrebbe rallentare) e dal
tentativo di parte delle imprese di migliorare la propria competitività. Quest’ultimo
rimane l’aspetto più incerto dello scenario di ripresa, vista la polarizzazione che si
sta manifestando nel panorama industriale italiano.
33
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Nuovi problemi per la finanza pubblica
Di fronte a una crescita che potrebbe essere pari a meno delle metà di quella
incorporata nella proiezioni di fine 2004, la gestione della finanza pubblica italiana
si troverà ad affrontare problemi ardui. In primo luogo, non è ancora chiusa la
diatriba con Eurostat sui conti 2004, che potrebbe far salire il disavanzo dello
scorso anno al 3,3% e mettere in discussione l’efficacia di alcune delle entrate
straordinarie previste dal 2005.
Inoltre, nonostante i dati di inizio anno siano risultati in linea con il primo bimestre
2004, la Commissione Europea prevede che il rapporto deficit/PIL salga al 3,6%
quest’anno (stima, questa, uguale alla nostra) e al 4,6% il prossimo. Le previsioni
di consenso sul deficit 2005 sono in forte aumento e la stima della Commissione
potrebbe presto trovarsi fra quelle più basse. Il margine di flessibilità introdotto
con la riforma del patto di stabilità non dovrebbe avallare sfondamenti superiori al
mezzo punto percentuale, soprattutto in assenza di una prospettiva credibile di
rientro del deficit: quindi, o si sceglierà di mantenere la disciplina fiscale o si
rischierà lo scontro con le autorità europee. Il commissario Almunia ha
prospettato l’invio di un avvertimento ufficiale all’Italia nel mese di giugno.
Il ministro dell’economia sembra escludere una manovra correttiva per riportare i
conti 2005 in linea con gli obiettivi: “con una congiuntura così debole e con i dati
dei primi tre mesi dell’anno non ne vedo le condizioni“. La linea di difesa sarà
probabilmente quella di sottolineare il forte scarto della crescita rispetto alle
attese. Per quanto riguarda il 2006, la sconfitta patita dalla coalizione di governo
alle elezioni regionali sta facendo crescere la pressione politica per adottare
misure capaci di riconquistare consensi in tempo per la cruciale consultazione
elettorale del 2006 e intacca la credibilità della promessa di contenere il deficit al
3% del PIL. A causa del livello dei disavanzi tendenziali, infatti, Il rispetto dei
parametri richiederebbe manovre correttive di grande ampiezza (2% del PIL) e
una chiusura dei contratti per il pubblico impiego su livelli ben più bassi rispetto a
quelli di cui si parla attualmente. Lo stesso ministro dell’economia ne ammette
indirettamente il rischio, quando sostiene che “come mostra l’esperienza recente
del governo di centro-sinistra, le finanziarie elettorali non pagano; spero di
convincere i miei colleghi con questo esempio”. Prima del voto, il presidente del
consiglio aveva già preannunciato nuovi tagli alle imposte sui redditi per 12mld a
partire dal 2006, da finanziarie con tagli alla spesa “parassitaria”. Alla luce del
scarso ritorno elettorale dei precedenti sgravi fiscali e della necessità di riformare
l’IRAP, la questione è oggetto di un acceso dibattito all’interno della coalizione
che potrebbe portare allo spostamento degli sgravi verso la tassazione del reddito
di impresa. Un altro rischio, quest’ultimo legato alle promesse elettorali di ben
sette governatori regionali del centro-sinistra, è l’abolizione del contributo alla
spesa sanitaria (il cosiddetto ticket sanitario): più che il mancato introito
(comunque stimato in oltre 200mln all’anno) preoccupa il rischio che acceleri la
spesa sanitaria, aumentata già del 7% nel 2004 e avviata a superare i target
anche nel 2005.
(Luca Mezzomo)
34
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Mercato obbligazionario: gli scenari di rischio
Il rialzo dei tassi a medio e lungo termine che ha preceduto la riunione Fed del 22
marzo è già rientrato. Rispetto a un mese fa, i rendimenti obbligazionari sulle
scadenze 5 e 10 anni sono calati rispettivamente di 10 e 24pb in Europa, di 18 e
21pb negli Stati Uniti. Questo movimento dimostra che il mistero della curva
obbligazionaria è ancora tutto da sciogliere.
Le nostre previsioni centrali rimangono coerenti con un aumento dei tassi a medio
e lungo termine. Tuttavia, gli scenari di rischio rispetto alle nostre previsioni
centrali per le politiche monetarie della Fed e della BCE sono opposti: la Fed
potrebbe diventare più aggressiva, almeno nei toni, in presenza di un’inflazione
core in aumento nei prossimi mesi, mentre la BCE potrebbe essere costretta a
mantenere i tassi fermi fino alla seconda metà dell’anno per la debolezza
dell’economia.
Sul mercato obbligazionario, i rischi rispetto alle previsioni centrali sono perciò
riassumibili come segue:
1. per la curva in dollari, un sell-off più consistente della parte medio-lunga della
curva, accompagnato da uno allargamento 10-2 anni. Nel caso in cui la Fed in
presenza di maggiore inflazione decidesse di passare ad incrementi dei tassi
di 50pb, la curva si appiattirebbe.
2. per la curva euro una discesa dei tassi a medio-lungo termine accompagnato
da calo della pendenza 10-2 anni.
Le posizioni che rimangono interessanti sia rispetto alle nostre previsioni sia
rispetto agli scenari di rischio sono direzionali corte sulla curva USA e di
chiusura della pendenza 10-2 anni sulla curva europea. L’enorme incertezza
legata alle decisioni BCE rende molto rischioso aprire esposizioni direzionali sulla
curva euro, mentre posizioni di chiusura della pendenza 10-2 anni possono
essere interessanti sia nel caso in cui gli indicatori economici confermino la
debolezza del ciclo (bull flattening) sia nel caso in cui la BCE riesca a trovare una
finestra di opportunità per alzare i tassi (bear flattening). Il rischio di steepening
sulla curva euro sarebbe giustificato solo da tassi ufficiali stabili e sell-off della
parte medio-lunga trainato da un analogo movimento sulla curva del dollaro. Va
detto che anche la curva UST fatica a salire, oltre la scadenza quinquennale: forti
movimenti tendono a generare flussi in ingresso dai comparti del debito corporate
ed emergente, con il risultato di spegnere la spinta al rialzo dei tassi. Inoltre, gli
ultimi dati macroeconomici segnalano un raffreddamento della domanda interna
(in parte imputabile al rincaro del petrolio) che tende a contrastare il formarsi di
aspettative ribassiste sul mercato obbligazionario.
Il movimento al ribasso della curva euro ha determinato un nuovo allargamento
del differenziale T-Note/Bund. Lo spread a 10 anni è salito a 93pb, quello a 2
anni a 137pb. Restiamo scettici su un ulteriore allargamento del differenziale sul
tratto lungo della curva, mentre gli scenari più probabili per quanto riguarda la
politica monetaria delle due aree, ovvero una BCE ferma e una Fed più
aggressiva, suggeriscono di posizionarsi ancora per un allargamento dello spread
in area 2-3 anni.
L’ampio allargamento della pendenza 30/10 anni sia sull’euro che sul dollaro
sembra legato a chiusura di posizioni di flattening in un contesto di bassa
volatilità, piuttosto che ad eventi specifici legati alle riforme dei fondi pensione
(l’Olanda ha negato il posticipo della riforma). La valutazione fondamentale non
cambia: sulla curva euro il fair value del 10/30 anni con il 2 anni a 2,55% è circa
70pb vs 56 spot, sulla curva swap dollaro il fair value è 35pb vs 33pb spot.
L’allargamento dell’ASW spread sul Treasury bond a 30 anni continua a
35
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
confermare un eccesso di domanda strutturale in USA; al contrario, sulla parte
lunga della curva europea gli ASW spread sono rimasti praticamente immobili.
Gli asset swap spread sui Treasury si sono allargati nel corso dell’ultimo mese di
circa 5-6pb su tutte le scadenze. Questo movimento degli spread si è verificato a
pendenza costante mentre la relazione “normale” suggerisce uno steepening
della curva degli ASW spread in presenza di un allargamento degli stessi. In
Europa, gli ASW spread sono rimasti pressoché stabili (+1pb su Bund 10Y).
Gli spread intra UEM rispondono alla riforma del Patto,
ma non solo
Nell’ultima settimana, Il mercato ha dato la sua risposta agli eventi relativi alla
posizione fiscale dell’UE.
La riforma del Patto di stabilità (PS), nei termini finora concordati, non introduce
delle riforme radicali rispetto a quanto nei fatti si è verificato negli ultimi anni. Due
sono gli elementi importanti:
1. da un lato si rende formale il fatto che non si arriverà mai all’applicazione delle
sanzioni, e quindi si elimina il principio coercitivo del PSC;
2. dall’altro lato, con l’introduzione di varie eccezioni al calcolo del deficit e con la
decisione finale affidata al voto del Consiglio, si rende sostanzialmente una
questione politica l’applicazione del PSC.
Fatti salvi questi punti negativi della riforma in discussione, la posizione fiscale
dell’UEM non è un elemento di preoccupazione in sé, in quanto il deficit a livello
aggregato per la Zona euro è stato pari al 2,7% nel 2004 ed è aumentato di solo
un punto percentuale del Pil dal 2001. L’Unione monetaria è ancora quindi in
grado di assorbire gli squilibri fiscali dei singoli paesi senza che venga messa in
dubbio l’uscita di alcuni di essi dall’Unione stessa. Emblematico a tale riguardo il
caso della revisione dei conti della Grecia. Il punto cruciale non è quindi il livello
del deficit aggregato, ma la necessità di evitare una eccessiva dispersione dei
deficit dei singoli paesi intorno a tale livello.
La proposta di riforma del Patto aumenta la possibilità di “dispersione” della
posizione fiscale dei singoli paesi UEM e può rendere il valore del premio al
rischio emittente più sensibile alle variazioni dei tassi d’interesse.
Nell’ultimo mese, l’aumento delle aspettative di rialzo dei tassi da parte della BCE
si è sommato alle notizie riguardanti la riforma del PSC generando un significativo
movimento degli spread intra-UEM. Negli ultimi anni gli spread hanno infatti
beneficiato del basso livello dei tassi d’interesse e della continua riduzione del
premio al rischio, rispondendo poco e per breve durata agli eventi riguardanti la
posizione fiscale dei singoli paesi. La dinamica degli spread intra- UEM ha
rispecchiato infatti fedelmente dalla partenza dell’UEM, quella degli asset swap
spread.
Un’analisi dell’impatto sull’onere da interessi derivante da un aumento di 100pb
dei tassi d’interesse su tutta la curva mostra significative differenze tra i paesi
UEM. Applicando un incremento dei tassi di 100pb al rifinanziamento del deficit e
dei titoli in scadenza nel 2005, sulla base delle nostre previsioni di crescita del Pil
nominale ’05, i paesi con una sensibilità più bassa al rialzo dei tassi sono Francia,
Germania e Olanda. Il paese con la sensibilità più alta è l’Italia, dove lo stock in
circolazione di CCT contribuisce da solo ad aggiunge circa 0,1% al deficit nel
caso di aumento dei tassi di 100pb.
36
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Effetto sul rapporto deficit/PIL di un rialzo
dei tassi di 100pb
Spread Ita/Ger e ASW spread
70
10y Bund asset swap spread (bp)
60
Germania
Francia
Italia
Spagna
Paesi Bassi
Belgio
Austria
Portogallo
Grecia
10Y BTP-Bund spread (bp)
50
40
30
20
0.11%
0.12%
0.38%
0.07%
0.12%
0.16%
0.02%
0.13%
0.14%
10
0
Jan-99
Jan-00
Jan-01
Jan-02
Jan-03
Jan-04
Fonte: stime Banca Intesa
Jan-05
L’Italia presenta inoltre un ulteriore fattore di rischio legato al fatto che l’obiettivo
di riduzione del deficit al 2,7% nel 2005 è basato su un’ipotesi di crescita del
2,1%, che risulta ottimistica rispetto alla nostra previsione di 1,2%.
Riteniamo quindi che l’allargamento dello spread BTP/Bund dell’ultima settimana
sia una risposta strutturale del mercato ad una serie di fattori che sono destinati a
peggiorare in uno scenario di inizio del ciclo di rialzo dei tassi.
Nell’ultima settimana, il BTP a 10 anni benchmark 1/2/2015 ha perso circa 3pb in
termini di rendimento contro DBR 1/2015 e lo stesso movimento negativo si
riscontra in termini di asset swap spread (grafico sotto). Anche la Grecia ha
sottoperformato sulle notizie di Eurostat, con il nuovo 30 anni 2037 che ha
allargato di 4pb in ASW contro un restringimento di quasi 2pb del DBR ’37. Non ci
attendiamo che questo aumento del premio al rischio attribuito dal mercato ad
entrambi i paesi rientri a breve.
Asset swap spread sui benchmark 30 anni
25
Asset swap spread sul BTP 2/15 e Bund 1/15
0
GGB 37 (left axis)
DBR 37
SPGB '37
BGB 35
9.0
-2
8.0
20
-4
7.0
15
-6
-5
-5.5
-6
-6.5
6.0
-7
-8
10
5.0
-10
5
-12
0
02/03/05
-14
07/03/05
12/03/05
17/03/05
22/03/05
4.0
3.0
-7.5
-8
-8.5
09/04 10/04 10/04 11/04 12/04 12/04 01/05 01/05 02/05 03/05
I paesi core, Francia e Germania, torneranno ad essere privilegiati nonostante
parametri fiscali non particolarmente virtuosi, sia per il maggior peso politico
37
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
all’interno dell’Unione sia per la bassa sensibilità del costo del debito ai tassi. La
maggiore liquidità e spessore del mercato di titoli governativi di questi due paesi
continuerà inoltre a favorirli rispetto a paesi più virtuosi dal punto di vista fiscale,
ma con uno stock di titoli in circolazione molto più piccolo.
Corporate bonds: il settore auto incrina il clima di fiducia
Sul mercato corporate, dopo il forte allargamento dei premi al rischio avvenuto
in marzo e causato dai profit warning di GM, l’inizio di aprile ha visto un
consolidamento sui nuovi valori. In effetti, il premio al rischio dell’Indice Corporate
All rimane esattamente sugli stessi livelli di inizio mese, nonostante il flusso di
notizie sfavorevole (downgrade di GM e GMAC, creditwatch negativo di Ford da
parte di Moody’s, profit warning di Ford, variazione dell’outlook di S&P a
negativo). Nel breve termine il tema dominante rimarrà il possibile downgrade di
GM e Ford, che si fa sempre più probabile; saranno proprio questi i nomi che
continueranno a fornire un aumento di volatilità sull’intero mercato, anche se non
necessariamente in occasione delle trimestrali (GM il 19 e Ford il 20 aprile) dato
che queste ultime difficilmente si discosteranno dai nuovi target appena
comunicati al mercato. Rischi specifici a parte, il tono più cauto assunto dalla
BCE rispetto ai futuri rialzi dei tassi di interesse potrà determinare un affievolirsi
delle tensioni sulla curva di credito per scadenza riaprendo qualche opportunità in
particolare sui tratti a breve termine. La curva BBB-AAA (indici JPM Maggie),
attualmente a 84 bp, continuerà il suo percorso di irripidimento.
Curve di credito – area euro
90
85
80
75
70
65
60
55
50
45
40
35
30
25
20
15
Apr-05
Mar-05
Feb-05
Jan-05
Dec-04
Nov-04
Oct-04
Sep-04
Aug-04
Jul-04
Jun-04
Iboxx BBB
Iboxx A
(Chiara Manenti)
38
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Mercato azionario – passaggio del testimone
dalle Telecoms alle Banche
Il contesto di riferimento
L’andamento dei mercati europei nel corso degli ultimi due mesi è stato piuttosto
altalenante, e caratterizzato da un aumento generalizzato della volatilità. Il
mercato domestico ne è un buon esempio, con una variazione sui due mesi del
+0,3%, frutto però di un recupero particolarmente accentuato nel corso dell’ultimo
mese (+3,3%). In contrazione i mercati americani, su cui hanno pesato negli ultimi
giorni anche dati macroeconomici al di sotto delle attese (bilancia dei pagamenti,
retail sales): il Nasdaq ha perso nei due mesi il 5,5%, leggermente meglio lo
S&P500 (-3,0%).
-1 mese
da inizio anno
-1 anno
BANKING
6,90
13,02
27,36
AUTO
-3,5
0,7
9,38
INSURANCE
-1,0
2,2
13,65
TELECOMMUNICATIONS
CONSTRUCTION & PROPERTIES
4,4
0,2
16,61
-0,2
13,3
28,72
FOOD & DISTRIBUTION
4,8
4,6
13,77
MEDIA
5,9
12,2
16,38
TEXTILE & LUXURY GOODS
ENGINEERING & ELECTRONICS
PHARMACEUTICALS
3,7
5,6
20,12
-3,5
-2,4
-17,68
5,4
15,7
41,16
Italia: Comit Globale
In termini di raffronto con l’indice europeo, il Mibtel si conferma a premio sul
multiplo P/E, che nelle stime di consensus arriva a 15,6x gli utili 2005, riducendo
però nel corso del mese di 4% il distacco (15%) rispetto al multiplo comparabile
dell’Eurostoxx. Il P/E italiano implica una long-term growth del 1,2%, mantenendo
i circa 80 punti base di differenza di due mesi fa rispetto a quanto invece scontato
dall’Eurostoxx. Il mercato italiano, così come il campione europeo del DJ
Eurostoxx, sono stati infatti entrambi interessati da una revisione al rialzo degli
utili di consensus al 2005, pari al 3,7% e allo 0,5%, rispettivamente. Questo
spiega la riduzione del premio del multiplo italiano rispetto all’Eurostoxx, date le
performances di mercato sostanzialmente analoghe nell’intervallo dei due mesi.
Negli ultimi due mesi, l’attenzione dei mercati è stata diretta principalmente verso
(i) i dati del 4Q04/FY04 e (ii) il processo di consolidamento del settore bancario. I
risultati del FY04 sono stati migliori delle attese, specie per quanto riguarda le
small/mid caps: questo risulta evidente, comparando la revisione dell’EPS 04
operata negli ultimi due mesi dagli analisti, pari al +5% per il Mibtel ma inferiore
per le blue chips (+1,6%). L’interesse da parte dei maggiori players europei nel
settore banche si è concretizzato nei bids di ABN Amro e BBVA su Antonveneta e
BNL, e questo ha attirato l’attenzione sulle potenziali “prede” verso le quali
potrebbero essere dirette eventuali altre offerte: il settore ha quindi
sovraperformato l’indice Mibtel del 6,4% negli ultimi due mesi, portandosi in linea
con il mercato in termini di P/E di consensus (da 13,5x 05E a 14,4x). Dopo le
operazioni straordinarie di fine 2004, le Telecom riducono il premio rispetto al
mercato: a fronte di una sostanziale stabilità nelle stime di crescita (Cagr 03-05:
3,2%), il settore ha infatti sottoperformato il mercato (Telecom Italia: -5,5%
2m/2m), confermandosi non particolarmente appealing anche alla luce della
dividend policy più cauta che dovrebbe essere implementata da TI nel prossimo
triennio per permettere la convergenza verso il target di Net Debt 2007 di 31 €
mld.
39
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Mercato Italia - P/E adj. e dividend yield per settore
Mkt cap
Sector
P/E adj
15/02/05
Banks
RE(*) Cagr
2003
2004
164.553
22,1
17,2
14,4
26,6%
13.909
28,5
23,4
21,8
25,3%
Diversified Financials
Real Estate
2005
‘03-‘05
Yield
2003
2004
2005
2,42%
3,07%
3,64%
1,98%
2,76%
3,13%
6.820
22,3
23,5
19,3
12,1%
2,30%
2,69%
15,12%
Insurance
62.814
24,2
19,4
16,9
19,6%
2,18%
2,70%
3,09%
Materials
10.997
13,5
13,4
12,8
6,9%
1,93%
1,97%
2,17%
Capital Goods
11.347
21,9
20,9
15,4
76,6%
2,40%
2,19%
2,28%
Transportation
17.574
28,5
21,0
20,3
18,3%
1,70%
2,09%
2,11%
Auto & Components
11.129
16,8
13,0
9,3
175,3%
0,76%
1,20%
1,70%
Consumer Durable
3.958
11,8
12,1
10,9
13,3%
2,21%
2,40%
2,63%
Apparel & Leisure
23.748
27,4
23,4
20,5
16,1%
1,84%
2,00%
1,96%
372
NM
NM
NM
NM
0,00%
0,00%
0,00%
Retailing
Food & Beverage
2.372
6,3
19,0
16,4
10,0%
2,90%
1,73%
2,00%
Technological
11.226
24,4
15,3
15,8
20,8%
1,05%
1,54%
1,82%
Media
29.612
26,0
22,7
21,5
10,0%
6,85%
3,96%
2,73%
TLC
96.414
17,3
19,7
16,3
3,2%
3,99%
4,32%
4,38%
Utilities
77.720
19,7
16,5
17,2
7,0%
3,71%
5,94%
4,55%
Oil&Gas
88.455
15,0
11,9
11,3
15,1%
3,51%
4,08%
4,21%
3.388
29,2
22,2
25,4
25,8%
0,82%
1,02%
1,19%
636.409
19,7
16,5
14,9
16,4%
3,05%
3,60%
3,72%
Pharma & Biotech
Market
(*) RE = Recurring Earnings.
Fonte: Dati JCF e elaborazioni Banca Caboto s.p.a.
Multipli Mercato
Country
Stock Index
2004
2005
2004
2005
Usa
S&P500
17,8
15,9
23,4
11,9
17,5%
-1,9%
1,1%
77,7%
69,4%
Nasdaq Composite
29,2
22,9
69,3
27,5
46,9%
0,0%
2,5%
127,7%
100,2%
DJ Ind.
16,5
15,6
15,9
5,8
10,7%
-2,1%
0,8%
71,9%
68,0%
DJ Euro Stoxx 50
13,7
12,8
28,6
6,6
17,1%
-4,3%
0,3%
48,5%
45,5%
DJ Euro Stoxx
15,0
13,5
35,9
10,7
22,7%
-3,9%
0,4%
53,1%
48,0%
Dax30
15,3
12,7
64,4
20,7
40,9%
-4,4%
-0,6%
53,9%
44,7%
Dax100
16,4
13,3
58,9
23,8
40,2%
-4,0%
-0,4%
57,7%
46,7%
Cac40
13,4
12,4
33,8
8,1
20,2%
-4,5%
-0,1%
47,6%
44,0%
Sbf120
14,6
13,2
51,9
11,1
29,9%
-4,1%
0,3%
51,9%
46,7%
Spain
Ibex35
14,9
13,6
24,0
10,3
16,9%
-3,8%
0,9%
52,8%
47,8%
Italy
Mibtel
17,8
15,6
39,7
14,5
26,5%
-2,8%
1,2%
65,2%
75,0%
Mib30
17,3
15,4
33,0
12,4
22,3%
-2,8%
1,2%
63,2%
56,2%
Euroland
Germany
France
P/E
Earnings Growth (%)
(*) I = 10 years gvt. Bond; K = cost of equity.
Fonte: Dati JCF e elaborazioni Banca Caboto s.p.a.
40
CAGR
2003-2005
Long Term Growth
Equity vs Bond
I-(E/P) 05 K-(E/P) 05 (I/(E/P04))
(I/(E/P05))
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Revisione delle stime di utili
Utile 2004 rivisto da
Utile 2005 rivisto da
31/12/2004
-1m
31/12/2004
-1m
S&P500
-0,5%
-1,1%
0,6%
-0,1%
Nasdaq Composite
-3,6%
-2,6%
-3,3%
-2,0%
DJ Ind.
0,3%
-0,6%
-0,8%
-1,4%
DJ Euro Stoxx 50
2,6%
1,1%
0,8%
1,1%
DJ Euro Stoxx
1,5%
0,5%
0,3%
0,5%
Dax30
-3,8%
-3,7%
-0,9%
0,5%
Dax100
-4,4%
-3,3%
-1,4%
-0,3%
Cac40
4,0%
2,6%
1,6%
1,7%
Sbf120
4,4%
2,5%
1,6%
1,6%
Ibex35
-0,1%
1,3%
-0,6%
-0,2%
Mibtel
3,6%
5,0%
2,6%
3,7%
Mib30
1,3%
1,6%
0,3%
1,7%
Fonte: Dati JCF e elaborazioni Banca Caboto s.p.a.
INDICI
Valore al
Var. % dal
Var. %
Var. %
Massimo dal
Minimo dal
12/04/05
30/12/04
settimanale
mensile
30/12/04
30/12/04
U.S.A. (S&P Comp)
1.187,8
-2,1
0,5
-1,0
1.225,3
1.163,8
U.S.A. (Nasdaq)
2.005,4
-7,9
0,3
-1,8
2.178,3
1.973,9
R. UNITO (FT-100)
4.946,2
2,6
0,1
-0,7
5.060,8
4.783,6
GERMANIA (Dax)
4.372,1
2,7
0,2
0,3
4.428,1
4.201,8
FRANCIA (Cac 40)
4.096,8
7,0
0,2
1,2
4.124,4
3.816,1
OLANDA (EOEI)
370,3
6,6
0,3
-0,5
379,8
347,3
SVIZZERA (SMI)
5.988,1
5,2
0,7
0,3
6.023,7
5.669,6
11.670,3
1,6
-0,9
-2,1
11.966,7
11.238,4
GIAPPONE (Nikkei 225)
SPAGNA (Ibex 35)
9.303,1
2,5
0,1
-0,3
9.634,3
8.945,7
HONG KONG (Hang Seng)
13.658,1
-3,6
1,1
-1,7
14.237,4
13.387,0
SINGAPORE (Straits Times)
2.173,6
5,4
0,7
0,2
2.184,3
2.061,6
MALESIA (Kuala Lumpur Comp.)
866,2
-4,8
-0,4
-3,9
937,6
861,5
KOREA (Kospi)
981,8
9,6
-0,1
-4,0
1.022,8
870,8
THAILANDIA (Set)
698,3
4,5
2,4
-1,8
741,6
668,1
INDONESIA (Jakarta Comp.)
1.110,9
11,1
1,3
0,3
1.152,6
1.000,2
BRASILE (Bovespa)
26.206,0
0,0
0,7
-6,7
29.455,0
23.609,0
ITALIA (BCI Globale)
1.569,98
6,4
1,2
3,4
1.573,0
1.475,1
281,0
5,1
0,3
0,5
284,3
266,6
AREA EURO (EBCI-9)
Fonte: Thomson Datastream e Servizio Studi e Ricerche Banca Intesa
41
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Andamento delle principali borse mondiali
125
125
Italia
Stati Uniti
Regno Unito
Italia
Svizzera
Giappone
120
120
115
115
110
110
105
105
100
100
95
95
90
85
90
apr mag giu lug ago set ott
2004
125
Italia
apr mag giu lug ago set
2004
nov dic gen feb mar apr
2005
Germania
Olanda
120
125
Italia
ott
nov dic gen feb mar apr
2005
Francia
Spagna
120
115
115
110
110
105
105
100
100
95
95
90
90
85
apr mag giu lug ago set
2004
42
ott
nov dic gen feb mar apr
2005
apr mag giu lug ago set
2004
ott
nov dic gen feb mar apr
2005
Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
Germania
15/04/2005
Italia
Var.mens.
giu '05
set '05
dic '05
mar '06
15/04/2005
Var.mens.
giu '05
set '05
dic '05
mar '06
Refi rate
2,00
-
2,25
2,50
2,75
3,00
3m Euribor
2,14
+0
2,50
2,75
3,05
3,20
3m Euribor
2,14
+0
2,50
2,75
3,05
3,20
2 anni
2,34
-11
3,10
3,30
3,40
3,50
2 anni
2,37
-6
3,15
3,35
3,43
3,53
5 anni
2,90
-17
3,50
3,75
3,80
3,80
5 anni
2,93
-6
3,57
3,82
3,85
3,85
10 anni
3,48
-29
4,00
4,20
4,25
4,25
10 anni
3,65
-6
4,20
4,40
4,43
4,41
30 anni
4,07
-20
4,40
4,60
4,55
4,55
30 anni
4,32
-7
4,68
4,88
4,81
4,79
Spread 10-2a
114
-18
90
90
85
75
Spread 10-2a
129
+0
105
105
100
88
Spread 30-10a
59
+9
40
40
30
30
Spread 30-10a
66
-1
48
48
38
38
Spread 10-5a
58
-12
50
45
45
45
Spread 10-5a
72
+0
63
58
58
56
3
Spread USA-Germania
Spread Italia-Germania
2 anni
122
-9
94
94
95
95
2 anni
2
+1
5
5
3
5 anni
106
-11
95
70
60
60
5 anni
4
+2
7
7
5
5
10 anni
88
+9
96
76
51
51
10 anni
17
+4
20
20
18
16
30 anni
63
+6
77
51
36
36
30 anni
25
+1
28
28
26
24
set '05
dic '05
mar '06
USA
15/04/2005
Var.mens.
Regno Unito
giu '05
set '05
dic '05
mar '06
15/04/2005
Var.mens.
giu '05
Fed Funds
2,75
-
3,25
3,75
4,00
4,25
Base rate
4,75
-
5,00
5,00
5,00
5,00
Libor 3m
3,15
+13
3,60
4,00
4,20
4,30
Libor 3m
4,93
-6
5,10
5,00
4,90
4,90
2 anni
3,53
-19
4,00
4,20
4,30
4,40
2 anni
4,54
-28
4,70
4,60
4,40
4,40
5 anni
3,92
-27
4,40
4,40
4,35
4,35
10 anni
4,61
-25
5,00
4,90
4,80
4,80
10 anni
4,31
-20
4,90
4,90
4,70
4,70
30 anni
4,65
-13
5,10
5,05
4,85
4,85
6
+3
30
30
40
40
Spread 10-2a
Spread Regno Unito-Germania
Spread 10-2a
78
-0
90
70
40
30
2 anni
220
-17
160
130
100
90
Spread 30-10a
34
+7
20
15
15
15
10 anni
113
+4
90
90
100
110
Spread 10-5a
39
+7
50
50
35
35
Giappone
Tassi di cambio
15/04/2005
Var.mens.
giu '05
set '05
dic '05
mar '06
15/04/2005
Var.mens.
1-mese
3-mesi
6-mesi
12-mesi
ODR
0,10
-
0,10
0,10
0,10
0,10
EUR/USD
1,2859
-3,7%
1,3000
1,2700
1,2300
1,2800
Overnight
0,00
-
0,00
0,00
0,00
0,00
USD/JPY
108,32
+3,1%
104,00
102,00
100,00
99,00
Libor 3m
0,05
+0
0,10
0,10
0,10
0,20
GBP/USD
1,8818
-1,6%
1,9000
1,8900
1,8500
1,8100
JGB 2 anni
0,09
-5
0,30
0,50
0,60
0,80
EUR/CHF
1,5539
+0,1%
1,5500
1,5200
1,5100
1,5000
JGB 10 anni
1,32
-20
1,50
1,60
1,60
1,70
USD/CAD
1,2415
+2,8%
1,2200
1,1800
1,2000
1,2300
AUD/USD
0,7676
+10,0%
0,8000
0,7900
0,7800
0,7600
Spread 10-2a
123
-15
120
110
100
90
EUR/SEK
9,1860
+0,2%
9,0500
8,9500
8,9300
8,9000
Spread 10a-3m
126
-20
140
150
150
150
EUR/NOK
8,2350
-9,5%
8,2500
8,2800
8,3000
8,3400
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Economia e Mercati Finanziari – 14 aprile 2005
STUDI E RICERCHE
Responsabile
Gregorio De Felice
Gruppo di lavoro:
Luca Mezzomo
Macroeconomia
Sergio Capaldi
Gianluigi Mandruzzato
Giovanna Mossetti
Reddito fisso
Chiara Manenti
Mercati valutari
Asmara Jamaleh
Database Management
Simonetta Melotto
Mercati azionari
Marco Pisanti
Alessandro La Scalia
Fabio Picardi
Nucleo Editoriale
Sonia Papandrea
Aldo Perego
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LIFFE.
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