Una fiaba in Rassegna Nazionale, a. XXII, 16 aprile 1900

UNA FIABA
Viveva tra le ricchezze e si chiamava Egoismo.
Nessuno si ricordava di averlo visto nascere eppure
non era vecchio; anzi, a vederlo, gli si sarebbero potuti
dare trent' anni appena, tanto erano giovanili le fattezze del
corpo e biondi i capelli che gli fluivano sulle spalle. Ma il
suo viso non aveva espressione, l'occhio era spento, le
labbra si atteggiavano a un sorriso pieno di disprezzo e di
effeminata lascivia. Si capiva che non aveva nè goduto nè
sofferto mai; che non aveva mai pianto. La dolcezza sublime delle lacrime, — questo riposo dello spirito affaticato
dal dolore, che l' umanità ha scoperto dopo tanti secoli in
fondo all'anima, nei crepuscoli della coscienza, — egli l' ignorava. Ignorava il mondo secreto dove si lotta e si geme, si
cade e si trionfa in silenzio; dove le anime sperano e amano:
lé une, erette sopra le cose umané e assetate di eternità, chinate le altre nell' ombra in cerca di una sorella da amare.
Non sapeva che vi è un desiderio inesausto 'di armonia tra
il finito e 1' Infinito che si chiama preghiera, per cui, consci
della nostra piccolezza, ci chiniamo di fronte al mistero dei
cieli, adorando.
Non lo sapeva.
Le mani bianche, fini, venate leggermente d' azzurro e
cariche di gemme e di cammei, non avevano toccato altro
che le viole, i gigli e i narcisi, le acque tepide come il latte
ed altre mani pallide come gli asfodeli. Qualche volta si
erano immerse nel calore mite del sole primaverile, o in un
freddo raggio di luna, ma da secoli omai esse ignoravano
questa voluttà.
Da quando la voce delle ninfe si era spenta nelle fontane e quella delle driadi nelle foreste.
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Rinchiuso in una torre di avorio, che artefici e maghi
avevano scolpito e tappezzato di lamine' d'oro, • l' Egoismo
si era dovuto rassegnare a vivere solitario tendendo curiosamente l'orecchio all'eco lontana dei tempi morti. Benché gli
uomini lo amassero e lo invocassero ancora, egli aveva capito che la terra non era più fatta per lui, perché un profeta era passato tra le turbe predicando l' amore, ma un
,amore nuovo e strano che si nutriva di sacrificio e che invocava il dolore.
Le vecchie divinità, uccise dalla malinconia, erano morte
nell' abbandono sulle vette solitarie; si erano spente, come
ombre, nei pallidi orizzonti della Illusione. E senza di esse
quale significato poteva mai avere la Natura, quale voce,
quale vita? Come uno 'scheletro gigantesco, la terra inanimata sotto ai cieli vuoti sarebbe diventata un ammasso caotico di materia che nutre generazioni senza gioia.., poichè
la legge è nemica del piacere; le foglioline e i fuscelli non
avrebbero più avuto fremiti armoniosi sotto i baci del vento,
nè le acque parole quasi umane. Le forme avrebbero languito
nella penombra della tristezza universale; il sorriso si sarebbe spento sulle labbra dei giovani, il canto su quelle dei
poeti!.. Tali erano i rimpianti dell' Egoismo.
Perciò (chiuse per sempre le finestre della torre che si
aprivano sul mondo), in una luce ambrea, tra i profumi più
delicati, tra gli oggetti più preziosi, tra stoffe esotiche capricciosamente istoriate, nascondendo sotto la porpora e l'oro
— come sempre — il corpo dissanguato e corroso dal vizio,
egli lasciava scorrere la vita. E la vita scorreva.
In una vaschetta di porfido egizio, lo stilicidio di una
vena sorgiva scandeva intanto il mistero del tempo ;... tac...
tac... uguale sempre e pauroso. Ma la voce monotona di
ogni cronometro è Vana per chi si crede eterno. Egli godeva
di vivere e non pensava che si possa morire. Le sue giornate erano uguali, tranquille, non disturbate mai dall'angoscia di indagini trascendenti o dallo sforzo di raggiungere
l'ideale. Ma per romperne la monotonia, poiché amava le
gioie dello spirito, si era messo a scriver versi, secondo i
precetti di un vecchio filosofo, chiamato Epicuro, che era stato
a fargli visita per invitano nei suoi giardini di Atene.
Sopra tavolette ben levigate di cera bianca, con uno stile
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d'oro che gli aveva lasciato in dono un Faraone d'Egitto, per
chè — povero vecchio! — si era addormentato per sempre nei
sotterranei della sua piramide senza avere mai n.è amato nè
pianto, l' Egoismo incideva le strofe, cesellate e limate con
mirabile artifizio, di un poemetto sulla Bellezza. Ne scriveva
pochi versi per giorno, effotidendovi 'però tutti i secreti
d' una metrica raffinata e tutte le mollezza della sua anima
corrotta. Non faceva altro. Quando era stanco, aspirava le
essenze delicate che odoravano nei tripodi e nelle fiale, e
sopiva il suo pensiero, pensando e amando se medesimo.
Ma un giorno, mentre appunto meditava oziosamente sul'
grande problema dell' io, nel quale l' orgoglio gli faceva
credere di aver scoperto la pietra filosofale d' ogni scienza
umana; mentre si stava beando nella illusione di aver imprigionato l'Infinito — come se una gocciola di rugiada pretendesse di aver raccolto la vastità dei cieli perchè ne riflette
il 'colore — scioccamente, come ognuno che adora sè medesimo; udi uno scricchiolio sulle scale di ebano. Poi una mano
battè leggermente contro la porta di argento massiccio, sulla
quale Fidia aveva • scolpito il mito di Narciso. L' Egoismo
andò ad aprirla non senza una secreta meraviglia ed un vago
timore. L'ultimo che aveva battuto a* quella porta era stato
un satrapo della Mesopotamia, e.he andava in cerca del secreto della felicità. Ma da secoli egli dormiva colla sua corona di zafiri, e col bel manto ricamato di perle, nel silenzio
della terra. Chi mai poteva essere?... Qualche volta dei giovani sciocchi che andavano cantarellando pel mondo le proprie lodi, e si battezzavano col nome sacro di poeta, lo avevano invocato con epiteti• retorici dai piedi della torre. Ma
essi non' avevano mai osato salire le scale, e se avessero
avuto questa intenzione, ne sarebbe stato avvisato un' ora
prima dalle loro grida ineducate...
Ed ecco il battente della porta si apri con lentezza e
nella penombra — poichè la luce diurna fluiva dalle pareti
d'avorio -- si delineò la figura alta e dignitosa di un vecchio
che entrava nella sala con attitudine di comando.
Era nudo, arso dal sole e dal vento dei suoi deserti,
fiero, vigoroso come una lama di acciaio che si spezzi e non
si fletta mai. L'occhio era limpido; il gesto solenne. Emanava
dalla persona, benchè i suoi capelli fossero bianchi, uno
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slancio cosi energico di virilità che la fragile gloventú. dell' Egoismo pareva al confronto una decrepitezza.
Entrò e si fermò di botto in mezzo alla sala, senza dire
una parola, perehè dal mondo dei simboli e delle astrazoni,
nel quale stiamo vagando, ogni banalità fp. bandita. Nel
silenzio si udiva solo la monotona goccia d' acqua cadere
nella vaschetta di marmo sanguigno. Poi una voce Umile,
quasi infantile osò chiedere: « Chi sei? »
Il vecchio non si mosse; ma, fissando le sue pupille
chiare nell'occhio languido del libertino, con una voce strana,
che era mansueta e faceva paura, gli rispose lentamente:
« Io sono il Rimorso ».
11 tac... tac... sembrava la pulsazione lenta di un cuore
malato.
« Che vuoi? perebè vieni a disturbarmi? Non ti conosco,
non ti voglio, via.., lasciami scrivere; tu spezzi il filo delle
mie idee, del mio capolavoro; voglio godere... »
Il vecchio continuava a guardare, immobile, col suo occhio chiaro, ebbro di spiritualità, indagatore di secreti, come
una sfinge vivente... Poi d' un tratto, con la violenza sdegnosa che hanno le risoluzioni subitanee, si precipitò contro
l' opaca finestra d' avorio chiusa da secoli, e, con ,la mano
educata alla roccia, l' infranse.
Era l' ora in cui il giorno declina: un mite giorno
d' Aprile. Le pecore si dissetavano ai ruscelli prima di rientrare all' ovile, le api suggevano le corolle dei fiori che l'indomani sarebbero già state appassite, le formiche ritornavano ai formicai, gli uccelli ai nidi, gli uomini ai casolari
perduti nelle campagne. E nel cielo, che è la patria del silenzio, brillava un mondo che a noi sembra una lacrima:
una stella. Ad una ad una le voci e le ali stanche si sopivano
nel sonno. Solo la vita multipla, nascosta, muta della materia;
l' attività febrile di tutte le molecole che si agitano nelle
forme, di tutte le fibrille che fanno ascendere la vegetazione
e la vita continuavano il corso regolare che il tempo non turba
mai. Una fatalità di lavoro emanava dalla terra, dal cielo;
come se la legge inflessibile che governa 1' oceano ondeggiante dei fenomeni non desse tregua alla perenne ascensione
delle cose.
L' Egoismo si affacciò spaventato alla finestra dalla quale
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penetravano, coi ten& riflessi del cielo crepuscolare, onde te
pide di profumi agresti, e tacque. Non riconosceva più la terra.
Gli sembrava di essersi chinato sul mondo dei Sogni da una
vetta alta, alta, perduta tra le nuvole, a cui ascendesse solo
di tratto in tratto il susurrlo di boschi e di fiumi, sopito dalla
lontananza. In quell' ora, per lui che la contemplava dopo
tanti secoli di cecità, la visione dell'universo suscitava nell'anima un vago senso di terrore, una indefinibile armonia. Gli
pareva di essere diventato di un tratto più piccolo della stella
che brillava appena allo zènith e che il suo poema si perdesse
nel flusso (incostante della forma) come il volo delle libellule.
Intuì confusamente le leggi supreme del Cosmo: l' amore
il dolore, la morte.... e pareva impietrito.
Ed ecco ruppe il silenzio un canto di lavoratore che
ancora reggeva l' aratro. Lo precedevano, miti e bianchi
due buoi, che davano all' umile opera dei solchi, una solennità rituale, e di tratto in tratto il muggito grave si
sRosava alla canzone del bifolco.
Che fanno? » domandò l' Egoismo.
Lavorano » rispose il vecchio. E il canto mori in
lontananza.
Le stelle sgorgavano una ad una nel cielo limpido come
una grande pupilla azzurra; il sonno serpeggiava già nelle
cose; attutiva la vita, il moto, il susurro ; sopiva l' anima
del mondo.
A un tratto — e una luce quasi d' alba li tradiva —
passarono sotto alla torre un uomo e una donna. Tornavano
dalle fatiche dei campi. Erano poveri e giovani. Non si
parlavano, ma si guardavano sorridendo, mentre da lontano un usignuolo cantava 'con trilli passionati la canzone
che non muore mai. E il Rimorso, sottovoce come se fossero
in un grande tempio mormorò « Si amano... »
Erano parole sacre infatti, poichè per esse le cose tendono a ricongiungersi nella suprema armonia della unità:
l' atomo a l' atomo, la goccia alla goccia, il ruscello al ruscello, la mano alla( mano, e l' anima all' anima finalmente,
in un bacio. Ma 1' Egoismo capi solo confusamente che l' ora
della sua agonia era vicina. Benché si fosse sempre creduto
giovane, egli era vecchio e doveva morire.
J. legge della simpatie, universale, per cui gli individui
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i popoli come le forze fisiche, come le spore vincono l' Ostacolo delle lentananze, si era sviluppata nel silenzio dei secoli preparando una nuova Primavera 'della vita. Bisognava
morire come, ogni espressione di vanità o di menzogna, come
le ninfe delle fontane e le 'driadi dei boschi; come erano
morte la tirannia e la schiavitù; eome si sarebbero spente
la lussuria, l' ingiustizia, la guerra. Quando ?....
"
Il vento strappava un fremito dagli ulivi lontani e poi
li lasciava tacere. La notte invadeva, confondendo le ombre,
i colori e le forme. Le pupille aperte nel vuoto non vedevano che tutti quei mondi che a noi sembrano tremule lacrime: le stelle.
Ma una voce ruppe il silenzio, piangendo; e supplicava
in lontananza, « Carità, carità.., il mio bambino muore, ha
fame.... ha freddo » Poi le parole diventando strazianti e
angosciose come ogni grido dell'anima, gemevano nella notte:
« In nome di Cristo apritemi 14 porta... io muoio ». L4 supplica sempre più passionata e desolante saliva verso i cieli,
alle stelle, a Dio.
Allora, livido, invecchiato di un tratto, tastando le sue
mani scarne e il viso rugoso senza riconoscersi, strozzato
dalla emozione e dalla paura, con un filo di voce, l'Egoismo
domandò al Rimorso: « Dimmi se questa melodia lontana è il
canto.... del cigno? »
Ma il vecchio fissando i suoi occhi chiari, ebbri di spiritualità su quel rudere di tempi morti che una forza nuova
sradicava dalla terra; lentamente, quasi sapesse che le sue
parole erano fatali: « no... » rispose « è la preghiera: degli
uomini ».
Una porta: di casolare lontano scricchiolò sui cardini;
poi una voce buona parlò nel silenzio. « Vieni,' diceva « nella
mia casa e' è un po' di fuoco, un po' di pane, di sale e di
' paglia anche per te, povera donna ,che piangi. Vieni; spezzeremo insieme la stessa focaccia, e ci riscalderemo alla
stessa fiamma ». E la porta si richiuse.
A1 piedi del Rimorso non rimaneva più che un mucchio
di porpora e d' oro, sotto cui si nascondono ancora molti cadaveri corrosi dal vizio.
F. T. GALLARATI-SCOTTI.