2009-S1-6_02 05-24 - Giornale Italiano di Cardiologia

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WORKSHOP I
Epidemiologia, diagnosi e stratificazione
di rischio delle sindromi coronariche acute
senza sopraslivellamento del tratto ST
(G Ital Cardiol 2009; 10 (Suppl 1-6): 5S-24S)
Epidemiologia
Le malattie cardiovascolari rappresentano la
principale causa di mortalità e morbilità nei
paesi occidentali. Malgrado si sia osservata
nell’ultimo decennio una riduzione dei decessi legata a più efficaci trattamenti medici e
chirurgici, la mortalità e la morbilità sono in
aumento nei paesi dell’Est Europa e dell’Africa per l’adozione di stili di vita tipici dei paesi
industrializzati1.
In Italia, la mortalità per cardiopatia ischemica rappresenta il 12% di tutte le morti (l’infarto acuto del miocardio l’8%) nella popolazione di età 35-74 anni ed è maggiore negli
uomini rispetto alle donne. Dagli anni ‘80 a
oggi, il tasso di mortalità è diminuito in maniera lenta e graduale in entrambi i sessi2.
Il grafico riportato nella Figura 1 illustra il
trend del tasso di mortalità per malattie ischemiche del cuore (ICD-9-CM 410-414) e per infarto miocardico acuto (ICD-9-CM 410) dal
1980 al 2002 in Italia. I tassi di mortalità (per
100 000) sono elaborati per la fascia di età 3574 anni, separatamente per uomini e donne, e
sono standardizzati con metodo diretto utilizzando la popolazione europea come standard. I dati di origine provengono dalla banca
dati sulla mortalità in Italia dell’Ufficio di Statistica dell’Istituto Superiore di Sanità. La mortalità per infarto del miocardio è passata da
166 per 100 000 nel 1980 a 64.6 per 100 000
nel 2002 negli uomini; nelle donne invece da
43.57 a 17.33 per 100 000.
Le stime ISTAT3 più recenti indicano per il
2004 un tasso di mortalità per infarto del miocardio di 73 per 100 000 negli uomini e 49 per
100 000 nelle donne (tutte le fasce di età).
Al di là della classificazione basata sui codici ICD-9-CM, da un punto di vista strettamente clinico nella cardiopatia ischemica è
uso comune definire le sue manifestazioni
acute con la denominazione di sindromi coronariche acute (SCA), delle quali l’infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) rappresenta la forma più grave4.
Accanto allo STEMI, vi sono forme nelle
quali il tratto ST non è sopraslivellato (SCA-
5S
NSTE). In questi casi la diagnosi è più complessa e dal punto di vista epidemiologico è
più difficile stabilirne la reale prevalenza.
Questa difficoltà è accresciuta dall’introduzione di una nuova definizione dell’infarto la
quale, grazie anche all’utilizzo di marcatori
di necrosi miocardica ultrasensibili, può
estenderne notevolmente i criteri diagnostici. In particolare, il documento congiunto European Society of Cardiology/American College of Cardiology (ESC/ACC) del 20005,6, ha
attribuito ai marcatori di necrosi un ruolo
centrale nella diagnosi di infarto miocardico
acuto, sia esso con (STEMI) o senza (NSTEMI)
sopraslivellamento persistente del tratto ST,
o di angina instabile. Quest’ultimo caso, caratterizzato dalla presenza di sintomi ed alterazioni elettrocardiografiche ma non associato a rialzo dei marcatori di necrosi, appartiene alle SCA-NSTE insieme al NSTEMI. Più
recentemente, il documento del 2000 è stato
rivisto da una task force internazionale che
ha pubblicato un documento sulla definizione universale dell’infarto miocardico7. Se da
un lato resta difficile valutare l’esatta prevalenza delle SCA-NSTE, da un punto di vista
epidemiologico il problema è di estrema rilevanza.
Secondo quanto riportato nel rapporto
American College of Cardiology/American
Heart Association (ACC/AHA) del 20078, riguardante le linee guida per il trattamento
dei pazienti con angina instabile/NSTEMI, nel
2004 negli Stati Uniti si sono verificati oltre 1.5
milioni di ospedalizzazioni per SCA, delle quali circa 670 000 per angina instabile e 896 000
per infarto.
Come dimostrabile dall’analisi di alcuni sistemi di sorveglianza attivi nel nostro paese,
quale il Registro Nazionale delle Malattie Cardiovascolari (RNMC)2, le cifre sono molto importanti anche in Italia. Il RNMC è un sistema
di sorveglianza degli eventi coronarici e cerebrovascolari, fatali e non fatali, realizzato nella popolazione di età compresa fra 35 e 74 anni. L’obiettivo del RNMC è di stimare la frequenza degli eventi coronarici e cerebrovascolari acuti in otto aree rappresentative e
G Ital Cardiol Vol 10 Suppl 1-6 2009
410-14 Uomini
410 Uomini
410-14 Donne
410 Donne
250
Tassi std x 100.000
200
150
100
50
0
1980
1982
1984
1986
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
Anno
Figura 1. Mortalità per 100 000 per malattie ischemiche del cuore (codice ICD-9-CM 410-14) e infarto miocardico acuto (codice ICD-9-CM 410). Uomini e donne 35-74 anni. Dati standardizzati per età con la popolazione europea.
Fonte: www.cuore.iss.it.
che studi internazionali quali il registro MONICA10 indicano la letalità preospedaliera intorno al 30% di tutti gli infarti, si può stimare che, nello stesso anno, circa 44 000 pazienti siano deceduti prima ancora di arrivare in ospedale.
Pertanto il totale, quantificabile intorno a 147 000 infarti
del miocardio nell’anno 2004, conferma l’ordine di grandezza ottenuto attraverso i dati raccolti dal RNMC.
Nella Figura 2B è riportato il numero complessivo di
eventi SCA (STEMI e SCA-NSTE; codici ICD-9CM 410-411)
calcolato dalle SDO nazionali relative agli anni 2001-2005.
Anche in questo caso sono stati esclusi i falsi infarti e gli
eventi ripetuti nell’arco dei 30 giorni dalla data del ricovero indice. Nel 2004 si sono registrati in Italia 159 142 eventi SCA.
geograficamente strategiche del nostro paese: Brianza,
Caltanissetta, Firenze, Friuli-Venezia Giulia, Modena, Napoli, Roma e Veneto. Nel Registro Nazionale convergono i
dati raccolti sul territorio, sotto il coordinamento dell’Istituto Superiore di Sanità.
Il RNMC permette di produrre stime attendibili dei tassi di incidenza, di quelli di attacco e della letalità degli
eventi coronarici e cerebrovascolari, oltre alla frequenza
nell’utilizzo di procedure diagnostiche e terapeutiche in
fase acuta e post-acuta per Nord, Centro e Sud-Isole.
Dal punto di vista metodologico, la raccolta dati si realizza attraverso l’utilizzo di due fonti di informazione: i
certificati di morte (ISTAT) e le diagnosi desunte dalle schede di dimissione ospedaliera (SDO). Dall’insieme di questi
dati appaiati e grazie al controllo della durata della degenza, è possibile identificare gli eventi coronarici e cerebrovascolari sospetti. Un sottocampione di questi eventi viene
validato attraverso l’applicazione delle procedure e criteri
diagnostici del progetto MONICA9.
Allo stato attuale l’analisi delle SDO nazionali non
consente di quantificare con esattezza la prevalenza
del NSTEMI rispetto a quella dello STEMI.
Da un punto di vista strettamente tecnico è importante discutere le modalità di codifica nella SDO delle SCA.
L’infarto miocardico acuto è descritto nella ICD-9-CM 2002
dalla categoria 410. La quarta cifra del codice indica la sede dell’infarto, ma viene anche utilizzata per distinguere
gli infarti STEMI dagli infarti NSTEMI.
I dati raccolti nell’ambito del RNMC permettono di
stimare un tasso di attacco di eventi coronarici nella popolazione adulta (35-74 anni) di 33.9 per 10 000 negli
uomini e 4.1 per 10 000 nelle donne. Da queste valutazioni, calibrate sulla popolazione italiana residente all’anno 2004, si può stimare che in 1 anno oltre 135 000
individui siano colpiti da un evento coronarico e che di
questi 45 000 siano eventi fatali.
Tutte le quarte cifre, ad eccezione della .7_, identificano l’infarto STEMI e contemporaneamente ne indicano la sede. Secondo le linee guida prodotte dai Centers for Medicare and Medicaid Services e dal National
Center for Health Statistics11 e quelle già adottate in alcune regioni italiane come l’Emilia Romagna12, in caso
di NSTEMI deve essere utilizzata la quarta cifra .7_, privilegiando quindi il criterio che identifica questo tipo di
infarto, rispetto alla sede.
Tuttavia le modalità di codifica delle SDO non sono omogenee in Italia e le stime di prevalenza delle
due condizioni (STEMI e SCA-NSTE) possono essere
Dati relativi all’analisi delle SDO nazionali per gli anni
2001-2005 di fatto confermano queste stime. In particolare, come riportato nella Figura 2A, su circa 125 000 ricoveri ospedalieri per infarto del miocardio (STEMI e NSTEMI)
per l’anno 2004, si contano 102 867 “eventi” infarto. Per
definire correttamente il numero di eventi, sono stati
esclusi i falsi infarti (pazienti dimessi a domicilio entro 2
giorni dalla data di ammissione) e gli eventi infarto ripetuti nell’arco dei 30 giorni dal ricovero indice. Considerando
6S
Workshop I
A
IMA
IMA
140000
120000
100000
80000
Ricoveri
Eventi
60000
40000
20000
0
2001
2002
2003
2004
2005
Anno
B
SCA - EVENTI TOTALI
165000
160000
159142
158381
2004
2005
154172
155000
150000
146786
145000
140000
138483
135000
130000
125000
2001
2002
2003
Anno
Figura 2. A: numero di ricoveri e di eventi per infarto miocardico acuto (IMA) (codice ICD-9-CM 410) desunto dalle schede di dimissione ospedaliera 20012005. Per definire il numero di eventi, sono stati esclusi i falsi infarti (pazienti dimessi a domicilio entro 2 giorni dalla data di ammissione) e gli eventi IMA
ripetuti nell’arco dei 30 giorni dal ricovero indice. B: numero di eventi per sindrome coronarica acuta (SCA) (infarto miocardico con sopraslivellamento
del tratto ST e SCA senza sopraslivellamento del tratto ST, codice ICD9-CM 410-411) desunto dalle schede di dimissione ospedaliera 2001-2005.
e SCA-NSTE. Tra il 2001 e il 2005 gli eventi STEMI sono passati da 19 733 a 17 574 mentre gli eventi NSTEMI sono più
che raddoppiati passando da 6194 a 12 951. Le angine instabili sono leggermente diminuite (da 16 783 a 14 647) e quindi, tra le SCA, la proporzione di casi con SCA-NSTE è passata
dal 53.8% nel 2001 al 61.1% nel 2005. Al contrario la proporzione di STEMI è passata negli stessi anni dal 46.2% al
38.9%. Chiaramente, come già segnalato, nel 2002 la variazione dei criteri diagnostici, con in primis l’utilizzo di analisi
biochimiche molto più sensibili, ha contribuito in maniera
decisiva a modificare questo assetto aumentando i casi di infarto miocardico acuto ed in particolare quelli di NSTEMI.
prodotte solo in quelle regioni che hanno adottato linee guida nelle quali, in presenza di diagnosi di infarto del miocardio (ICD-9-CM 410), si raccomanda quel
particolare criterio di codifica per le forme senza sopraslivellamento del tratto ST.
A questo proposito lo studio IN-ACS Outcome, condotto dall’ANMCO tra il 2005 e il 2007 in 44 centri italiani (Cardiologie e Medicine)13, si è posto l’obiettivo di verificare la
corrispondenza tra la diagnosi di dimissione ospedaliera
ed i dati amministrativi, attraverso operazioni di linkage
tra scheda clinica dello studio e SDO. In 3 regioni che utilizzano il criterio della quarta cifra .7_ per indicare il NSTEMI
(Emilia Romagna, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia) è stata osservata un’ottima sovrapposizione tra la codifica ICD9-CM STEMI-SCA-NSTE ed i criteri diagnostici adottati nell’IN-ACS Outcome.
Nella Figura 3A è riportato il grafico che riguarda l’analisi SDO 2001-2005 delle regioni Emilia Romagna, Lombardia e
Friuli-Venezia Giulia e che illustra il trend degli eventi STEMI
Al momento l’analisi delle SDO 2004 delle 3 regioni con codifica ICD-9-CM validata, come sopra indicato, permette di stimare un tasso di ricovero per infarto del miocardio di 2.5 per 1000 abitanti per anno e,
più in particolare, un tasso di ricovero per NSTEMI
(ICD-9-CM 410.7) di 1 per 1000 abitanti per anno e per
tutte le SCA-NSTE di 2 per 1000 abitanti per anno.
7S
G Ital Cardiol Vol 10 Suppl 1-6 2009
Il punto di vista degli internisti, secondo i quali i pazienti più anziani potrebbero non essere stati ammessi in
reparti di Cardiologia, ma trattati prevalentemente in reparti medici, pare supportato da quanto rilevabile dai sistemi informativi correnti. Ancora una volta, utilizzando le
SDO 2006-2007 messe a disposizione dalle regioni Emilia
Romagna, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia, è stato possibile identificare il passaggio dei pazienti ricoverati con diagnosi di SCA in un reparto di Cardiologia [o unità di terapia intensiva coronarica (UTIC) o Cardiochirurgia]. L’analisi, riportata nella Figura 4A, ha evidenziato che, almeno
per le età più avanzate (>75 anni), circa il 24% delle SCANSTE, ma anche il 34% degli STEMI, vengono trattati in reparti di Medicina. Questa proporzione si riduce solo per i
pazienti più giovani (età <65 anni), dove è pari al 6.2% per
le SCA-NSTE e 5.7% per gli STEMI.
Il panel auspica l’adozione e l’implementazione
della codifica con la quarta cifra .7_ per le SCA-NSTE
mediante linee guida nazionali e regionali per la codifica delle SDO in modo da ottenere dati epidemiologici omogenei ed accurati su tutto il territorio nazionale,
che consentano l’analisi dei trend temporali in Italia.
La prognosi delle SCA-NSTE è diversa e vede un decorso ospedaliero più favorevole rispetto a quello dei pazienti STEMI. L’analisi SDO rivela, infatti, una mortalità intraospedaliera fino a 30 giorni dal ricovero indice intorno al
15% per lo STEMI e al 3-4% per le SCA-NSTE. Questo parametro si mantiene più o meno stabile negli anni, con un debole trend temporale discendente per gli STEMI e crescente
per le SCA-NSTE (Figura 3B).
Come è facilmente prevedibile, la mortalità intraospedaliera è molto diversa in relazione all’età dei pazienti, triplicando o addirittura quintuplicando nella fascia di età
più anziana (>75 anni) rispetto alle classi di età più giovani. D’altra parte, l’età è uno tra i più importanti fattori di
rischio e spesso porta con sé una serie di altre condizioni
notoriamente sfavorevoli per l’esito (comorbilità croniche).
Considerando tutte le età, circa il 15% delle SCANSTE e il 19% degli STEMI non transitano attraverso
un reparto di Cardiologia; da rilevare che solo il 15%
delle SCA-NSTE e meno del 9% degli STEMI non transitati in reparti cardiologici sono stati sottoposti a co-
A
% 70
60
50
40
SCA-NSTE
STEMI
30
20
10
0
2001
2002
2003
2004
2005
Anno
B
%
Mortalità
20
18
16
14
STEMI a 30gg
SCA-NSTE a 30gg
STEMI a 6 mesi
SCA-NSTE a 6 mesi
12
10
8
6
4
2
0
2001
2002
2003
2004
2005
Anno
Figura 3. Schede di dimissione ospedaliera 2001-2005, regioni Lombardia, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia Romagna. A: proporzione di eventi per infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) e sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST (SCA-NSTE). Per definire il numero di eventi, sono stati esclusi i falsi infarti e gli eventi ripetuti nell’arco dei 30 giorni dal ricovero indice. B: mortalità ospedaliera a 30
giorni e a 6 mesi per eventi STEMI e SCA-NSTE.
8S
Workshop I
bilità dei pazienti (diabete, dislipidemia, ipertensione,
broncopneumopatia cronica ostruttiva, nefropatie, cardiopatie, malattie ematiche, tumori, precedenti rivascolarizzazioni) registrate nel ricovero indice o durante ricoveri
precedenti.
ronarografia e/o angioplastica (Figura 4B). Di contro,
tra coloro che hanno avuto la possibilità di essere ricoverati nei reparti specialistici appropriati, circa il 76%
dei pazienti con SCA-NSTE e l’81% dei pazienti con
STEMI è stato sottoposto a coronarografia o angioplastica.
Nei pazienti con SCA-NSTE transitati in Cardiologia, la mortalità intraospedaliera a 30 giorni dal ricovero indice, aggiustata per le diverse comorbilità, è risultata circa la metà di quella dei pazienti trattati in
reparti non cardiologici, indipendentemente dalla fascia di età.
Inoltre, i pazienti >75 anni ricoverati in reparti non cardiologici beneficiano delle procedure di rivascolarizzazione in misura ancora minore (8.2% per SCA-NSTE e 4.5%
per STEMI): questo reperto è simile a quanto rilevato in altri studi internazionali14-17.
Come atteso (Figura 5), la mortalità intraospedaliera a
30 giorni è molto diversa nelle differenti fasce di età, ma
anche in relazione al reparto di ricovero18. Per limitare gli
effetti confondenti della preselezione e del diverso profilo
di rischio, i dati di mortalità analizzati delle SCA-NSTE e degli STEMI sono stati aggiustati tenendo conto delle comor-
Il dato più allarmante è comunque quello relativo alla
mortalità intraospedaliera a 30 giorni dei pazienti con
STEMI. In questo caso il rischio relativo dei soggetti ricoverati in reparti di Medicina, rispetto a quello dei ricoverati
in Cardiologia, è di 8.6 per i pazienti più giovani (mortali-
A
B
STEMI
STEMI
100
100
94,3
88,3
90
93,3
87,2
90
81,2
80,8
80
80
65,7
70
70
60
60
50
50
40
60,1
40
34,3
24,2
30
30
18,8
20
11,7
5,7
10
17,6
20
0
0
≤64
<65
≥75
>75
65-74
65-75
<65
≤64
Totale
Totale
classi di età
Cardiologia
Cardiologia
Altro
Altro
SCA-NSTE
SCA-NSTE
100
93,8
90,2
90
90
85,4
76,2
80
70
60
60
50
50
40
40
30
6,2
82,3
75,8
60,3
34,8
26,1
30
23,8
20
87,8
80
70
10
>75
≥75
65-75
65-74
classi di età
100
8,6
4,5
10
15,0
20
14,6
9,8
8,2
10
0
0
≤64
<65
65-74
65-75
≥75
>75
≤64
<65
Totale
Cardiologia
65-74
65-75
≥75
>75
Totale
classi
classi di
di età
età
classi di età
Altro
Cardiologia
Altro
Figura 4. Schede di dimissione ospedaliera 2006-2007, regioni Lombardia, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia Romagna. A: proporzione di pazienti con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) e sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST (SCA-NSTE) che transitano in un reparto di Cardiologia (o unità di terapia intensiva coronarica o Cardiochirurgia) suddivisi per fasce di età. B: proporzione di pazienti con
STEMI e SCA-NSTE che vengono sottoposti ad una coronarografia o procedura di angioplastica suddivisi per fasce di età.
9S
G Ital Cardiol Vol 10 Suppl 1-6 2009
STEMI - Mortalità aggiustata per comorbilità
30
26,4
23,3
25
19,6
%
20
16,7
Cardiologia
Altro
15
10
6,3
5
2,3
0
<65
≤64
>75
≥75
65-75
65-74
classi di età
SCA-NSTE - Mortalità aggiustata per comorbilità
30
25
%
20
Cardiologia
Altro
15
10
7,7
5
0,6
1,5
1,6
2,9
4,2
0
<65
≤64
65-75
65-74
≥75
>75
classi di età
Figura 5. Schede di dimissione ospedaliera 2006-2007, regioni Lombardia, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia Romagna. Mortalità intraospedaliera a 30
giorni per eventi infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) e sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST
(SCA-NSTE) e per reparto. La mortalità è aggiustata per le comorbilità dei pazienti (diabete, dislipidemia, ipertensione, broncopneumopatia cronica
ostruttiva, nefropatie, cardiopatie, malattie ematiche, tumori, precedenti rivascolarizzazioni).
tà 19.6 vs 2.3%), 3.7 per quelli di età 65-74 anni (23.3 vs
6.3%) e 1.6 (26.4 vs 16.7%) per i pazienti più anziani.
che in Italia le SCA-NSTE sono in progressivo aumento ed oggi hanno una frequenza quasi doppia rispetto allo STEMI. Al
momento del ricovero, le SCA-NSTE presentano un minore
rischio di eventi precoci rispetto allo STEMI. Poi, colpendo
soggetti con un profilo di rischio elevato, perdono a distanza gran parte del vantaggio prognostico iniziale sullo STEMI.
Età e sede del trattamento determinano non solo differenze negli eventi dei pazienti con SCA, ma anche nelle
terapie. Solo un terzo dei pazienti più anziani ha infatti la
possibilità di ricevere il trattamento adeguato in un reparto di Cardiologia, indipendentemente dalla diagnosi di
STEMI o SCA-NSTE.
Queste differenze tra i vari reparti si riducono, ma
rimangono statisticamente significative, quando la
mortalità viene aggiustata, soprattutto per la fascia di
età più anziana (Figura 5).
Purtroppo, come è noto, l’analisi della mortalità intraospedaliera a 30 giorni dal ricovero indice non è esaustiva e pienamente descrittiva delle SCA. È noto infatti che
la prognosi delle SCA-NSTE si fa progressivamente e rapidamente peggiore con il trascorrere del tempo dall’evento
indice, raggiungendo a 4 anni livelli di mortalità >20%19.
È inoltre necessario sottolineare che qualunque descrizione delle SCA fatta a partire dai dati amministrativi (ad
es. SDO) riguarda una popolazione selezionata di “sopravvissuti” che riescono a raggiungere “vivi” l’ospedale e quindi a lasciare traccia della propria esperienza. Studi importanti e riconosciuti a livello internazionale, quale il progetto MONICA10, ci insegnano che, sebbene esista con un minimo di variabilità legata alla zona geografica, la letalità
preospedaliera rappresenta circa il 70% di tutte le morti
che si verificano entro 28 giorni dall’insorgenza dei sintomi.
In conclusione, da questa analisi si può desumere che an-
In generale, soltanto 1 paziente su 10 dei non trattati in Cardiologia viene sottoposto ad una coronarografia o ad una procedura di rivascolarizzazione: questa disparità di trattamento nei soggetti non trattati in
Cardiologia rimane anche dopo l’aggiustamento dei
dati secondo il profilo di rischio (comorbilità e fattori
di rischio individuali) ed indipendentemente dalle caratteristiche dell’infarto (STEMI o SCA-STE) e provoca
un aumento della mortalità nei pazienti trattati in Medicina, più evidente nelle fasce di età più giovani della popolazione.
10S
Workshop I
La diagnosi differenziale delle sindromi
coronariche acute senza sopraslivellamento
del tratto ST nella pratica clinica
Tabella 1. Chest pain score per la valutazione del dolore toracico.
Punti
Localizzazione
Restrosternale, precordiale
Emitorace sinistro, collo, mandibola, epigastrio
Apice
Carattere
Oppressivo, strappamento, morsa
Pesantezza, restringimento
Puntorio, pleuritico, pinzettante
Irradiazione
Braccia, spalla, posteriore, collo, mandibola
Sintomi associati
Dispnea, nausea, sudorazione
Gestione clinica e organizzativa del dolore toracico
Il dolore rappresenta il sintomo cardine delle SCA. Il
panel ritiene che la sua corretta interpretazione assuma nel contesto delle SCA-NSTE un valore determinante in quanto spesso per l’età avanzata di molti pazienti, le numerose comorbilità (diabete, ecc.) la sintomatologia può essere meno evidente rispetto a quanto osservato nello STEMI.
Il primo passo nella gestione del dolore toracico in ambiente ospedaliero è il triage dei pazienti al Pronto Soccorso20, cioè l’attuazione di un percorso decisionale che
consenta, attraverso un processo diagnostico e di stratificazione prognostica, di definire la priorità di accesso dei
pazienti alle visite e alle cure, di ridurre i tempi di attesa e
di attribuire la priorità al trattamento dei pazienti più critici21.
+3
+2
-1
+3
+2
-1
+1
+2
Risultato: score <4 = dolore “atipico”, bassa probabilità di angina pectoris; score ≥4 = dolore “tipico”, probabilità intermedia-alta di angina
pectoris.
Da Conti et al.24, modificata.
Il dolore toracico legato alle coronaropatie ha di solito
un’intensità variabile (da lieve ad insopportabile), carattere oppressivo, è localizzato in sede retrosternale o precordiale, ma talvolta si localizza o si irradia in sede epigastrica, al giugulo, agli arti superiori e al dorso. Il dolore può
comparire durante lo sforzo (intenso ma anche lieve) o a riposo. Esso è di durata variabile (da pochi a 20-30 min, talvolta più lungo). Il dolore coronarico è scarsamente influenzato dalla posizione del paziente, dal respiro, dal movimento, dalla digitopressione e dall’ingestione di cibo e
bevande. Spesso il dolore toracico coronarico è accompagnato da sintomi neurovegetativi, quali astenia intensa,
diaforesi, dispnea, nausea, vomito, presincope o sincope. Il
dolore può essere alleviato dall’interruzione dello sforzo o
da farmaci quali i nitrati. È utile ricordare che lo scarso effetto dei nitrati non esclude la diagnosi di SCA; infatti anche in questo caso potremmo avere un infarto causato da
un’occlusione trombotica coronarica.
Proprio per questo, come vedremo in seguito, un dolore toracico continuo, resistente alla terapia è una condizione di elevato rischio potenziale e richiede un’attenta valutazione. All’opposto in alcuni pazienti (particolarmente
negli anziani, donne, diabetici), l’intensità del dolore toracico può essere molto lieve o addirittura assente anche in
caso di SCA e questa potrebbe anche manifestarsi con sintomi sfumati o fuorvianti; in questi casi la dispnea, l’ipotensione o le aritmie vanno considerate come “equivalenti ischemici”.
È evidente come la medesima sintomatologia abbia un
valore diverso a seconda della prevalenza della malattia
nella popolazione a cui il paziente appartiene e quindi
un’accurata valutazione anamnestica ha un ruolo chiave
per raccogliere informazioni sulla presenza di fattori di rischio cardiovascolare, quali la familiarità, i precedenti cardiovascolari, cerebrovascolari o di arteriopatie periferiche
o la presenza di diabete, dislipidemie, ipertensione, tabagismo25 (Tabella 2).
Il dolore toracico
Il dolore toracico rappresenta la causa medica più frequente di accesso al Pronto Soccorso. Esso può essere secondario a diverse patologie, alcune delle quali sono di notevole gravità, quali le SCA, l’embolia polmonare, la dissezione
aortica, ecc. La corretta diagnosi della causa del dolore toracico è di fondamentale importanza per ricoverare correttamente tutti i pazienti che ne abbiano reale indicazione e
per evitare invece di accogliere soggetti a basso rischio, nei
quali la causa del dolore è difficilmente ascrivibile ad una
grave patologia cardiovascolare e la valutazione diagnostica completa può essere agevolmente espletata in regime ambulatoriale22.
Nel recente documento ANMCO-SIMEU23 viene definito come dolore toracico qualsiasi dolore localizzato in una
zona che va anteriormente dalla radice del naso all’ombelico e posteriormente dalla nuca alla dodicesima vertebra
dorsale. Questo dolore non deve riconoscere una causa
traumatica o comunque clinicamente identificabile. Le caratteristiche qualificanti del dolore toracico sono: la sua
qualità, l’irradiazione, l’ampiezza dell’area interessata,
l’intensità, il tempo di insorgenza e la persistenza.
Le caratteristiche del dolore, la presenza o meno di
una storia di malattia coronarica, l’età del paziente e
la presenza di fattori di rischio di coronaropatia sono
gli elementi discriminanti per la diagnosi di dolore toracico. Un “punteggio” di dolore toracico può essere
utilizzato per distinguere, nel modo più specifico e ripetibile, la “tipicità” del dolore toracico, rispetto ai caratteri più “atipici” (Tabella 1)24.
Il dolore toracico può essere dovuto a:
- ischemia miocardica legata a coronaropatia aterotrombotica;
- ischemia miocardica in assenza di coronaropatia;
- altre patologie cardiovascolari (ad es. dissezione aortica);
- patologie non cardiache (gastroesofagee, pleuropolmonari, ecc.).
Elettrocardiogramma
L’ECG deve essere registrato, in Pronto Soccorso, entro 10
min dall’arrivo del paziente, qualora il dolore toracico sia
11S
G Ital Cardiol Vol 10 Suppl 1-6 2009
Tabella 2. Probabilità che il dolore toracico sia espressione di una sindrome coronarica acuta secondaria a patologia coronarica.
Anamnesi
Alta probabilità
Media probabilità
Bassa probabilità
Una qualsiasi delle seguenti
Assenza di caratteristiche di alta
Assenza di caratteristiche di alta o media
caratteristiche
probabilità ed una qualsiasi delle seguenti
probabilità, ma una qualsiasi delle seguenti
Dolore toracico, al braccio sinistro o altri
Dolore toracico, al braccio sinistro come
Sintomi da probabile ischemia in assenza di
sintomi in precedenza definiti come angina
unico sintomo, senza precedente diagnosi
caratteristiche di probabilità intermedia
di coronaropatia
Recente uso di cocaina
Diagnosi precedente di coronaropatia
Età >70 anni
Sesso maschile
Diabete mellito
Esame obiettivo
Insufficienza mitralica transitoria,
Vasculopatia extracardiaca
Dolore toracico riprodotto con la palpazione
Nuove, o probabilmente nuove, alterazioni
Onde Q patologiche,
T piatte o invertite nelle derivazioni con
ST (>0.05 mV) o inversione dell’onda T
alterazioni ST e dell’onda T, preesistenti
onde R dominanti
(>0.2 mV) in presenza di sintomi
e stabili
Troponine o creatinchinasi-MB elevate
Marcatori cardiaci normali
ipotensione, sudorazione, edema
polmonare, rantoli
ECG
Marcatori cardiaci
ancora presente, o appena possibile, qualora il dolore toracico sia già cessato.
Le SCA-NSTE sono caratterizzate da una o più delle seguenti modificazioni elettrocardiografiche:
- nuovo sottoslivellamento del tratto ST, ad andamento
orizzontale o discendente, >0.05 mV, in più di 2 derivazioni contigue;
- negativizzazione dell’onda T >0.01 mV in più di 2 derivazioni contigue, che abbiano un’onda R evidente o un rapporto R/S >1.
Anche una pseudonormalizzazione di onde T negative
a livello basale può essere espressione di ischemia miocardica acuta.
Marcatori cardiaci normali
Per migliorare la sensibilità dell’ECG, qualora il primo tracciato non sia diagnostico ma vi sia comunque un
forte sospetto clinico di SCA, è indicata l’esecuzione di
ECG seriati o di un monitoraggio continuo dell’ECG.
Nella fase di instabilità delle SCA quasi due terzi di tutti gli episodi ischemici sono silenti e non facilmente evidenziabili dall’ECG: ulteriori informazioni diagnostiche e prognostiche possono essere fornite dal monitoraggio continuo del tratto ST a 12 derivazioni. Numerosi studi27 hanno
confermato che il 15-30% dei pazienti con SCA-NSTE ha fasi di transitorie modificazioni del tratto ST (sopra- o sottoslivellamento): questi pazienti hanno un aumentato rischio di eventi. Oltre al suo ruolo diagnostico, l’ECG riveste
anche un importante ruolo prognostico: sia la tipologia sia
l’entità delle modificazioni elettrocardiografiche sono predittive degli eventi nei pazienti con SCA-NSTE7,28.
Oggi le tradizionali 12 derivazioni devono essere
integrate nei casi sospetti dall’analisi di derivazioni
aggiuntive [ventricolari destre (V4R-V6R), posteriori (V7V9)]26. Le derivazioni posteriori aumentano la sensibilità dell’ECG per la diagnosi di SCA-NSTE, soprattutto
nei casi di malattia della circonflessa.
Il panel attribuisce un ruolo diagnostico e prognostico determinante all’ECG e raccomanda l’esecuzione
di un ECG entro 10 min dal primo contatto medico in un
paziente con dolore toracico sospetto per SCA; auspica
l’utilizzo di derivazioni aggiuntive (destre e posteriori)
e la ripetizione del tracciato a distanza nei casi dubbi.
Va poi ricordato che un sottoslivellamento del tratto ST
in V1-V3, specie se associato ad un’onda R alta e ad un’onda T positiva, può essere una rappresentazione speculare
di un sopraslivellamento del tratto ST, espressione di uno
STEMI posteriore.
Marcatori miocardici
I marcatori di necrosi hanno un ruolo chiave nella definizione della natura miocardica ischemica del dolore toracico. Infatti l’aumento della loro concentrazione plasmatica
identifica una necrosi miocardica.
Un nuovo documento di consenso7, elaborato congiuntamente dalle 4 principali Società Cardiologiche mondiali
(AHA, ACC, ESC, World Heart Federation), ha recentemente rifinito ed espanso la definizione di infarto miocardico
individuando cinque categorie distinte di infarto miocardico basate su differenze fisiopatologiche e sul fatto che l’evento sia spontaneo o collegato a procedure di rivascolarizzazione coronarica percutanea o chirurgica. La nuova
definizione di infarto, considerata giustamente “universale”7, afferma l’importanza dell’individuazione del danno
cellulare per la corretta diagnosi della malattia; questa
Nel contesto delle SCA-NSTE va poi ricordato che
un marcato sopraslivellamento del tratto ST in aVR
può essere espressione di un coinvolgimento del tronco comune della coronaria sinistra.
Vi sono modificazioni elettrocardiografiche di base che
ostacolano la diagnosi di ischemia miocardica acuta (blocco di branca, in particolare sinistra, ritmo da pacemaker) e
condizioni che, invece, generano modificazioni elettrocardiografiche simili a quelle ischemiche acute, quali la miopericardite, alcune alterazioni elettrolitiche, la preeccitazione ventricolare, la sindrome di Brugada, l’embolia polmonare e l’emorragia subaracnoidea. Nei casi sospetti, il
cardiologo deve rivedere criticamente il tracciato tenendo
conto delle diverse diagnosi differenziali.
12S
Workshop I
L’incremento dei marcatori riflette il verificarsi di una
necrosi miocardica, ma non fornisce informazioni sul meccanismo di questa necrosi e molteplici condizioni cliniche,
alcune delle quali piuttosto frequenti, possono causare incrementi dei marcatori anche al di fuori delle SCA (scompenso cardiaco, valvulopatia aortica, aritmie, embolia polmonare, insufficienza renale, ictus, cardiomiopatie infiltrative o infiammatorie, pazienti critici in particolare con sepsi o insufficienza respiratoria acuta).
Il reinfarto può essere diagnosticato in presenza di un
incremento >20% dei marcatori miocardici misurati 3-6h
dopo l’evento ischemico (ad es. una recidiva di dolore toracico), rispetto al valore immediatamente successivo all’evento stesso, con almeno un valore >99° percentile.
I metodi point-of-care hanno tempi di risposta più rapidi del laboratorio centrale (15-20 min rispetto a 60-90
min), ma una sensibilità inferiore, con falsi negativi a livello di concentrazioni basse di troponina cardiaca (vicine al
99° percentile o al limite superiore di riferimento della metodica) (Tabella 3).
può essere ottenuta misurando nel sangue un marcatore
specifico di morte della cellula miocardica, la troponina
cardiaca. Tuttavia è il contesto clinico e l’informazione che
viene dall’ECG, talora completati da tecniche di imaging
del cuore, che permettono di accertare se la morte delle
cellule miocardiche sia dovuta ad un evento coronarico
acuto primario o sia invece espressione di un danno miocardico secondario.
In passato in Italia e nel resto del mondo venivano impiegati sette differenti criteri biochimici per stabilire se il paziente con malattia coronarica acuta avesse avuto un infarto28, cosicché il raggiungimento di un consenso rappresenta
il presupposto per una classificazione omogenea della malattia coronarica su scala mondiale. Il marcatore di necrosi
oggi preferito è rappresentato dalla troponina, ma il documento segnala che qualora la misurazione della troponina
non sia disponibile, si possa utilizzare per la diagnosi anche
la creatinfosfochinasi (CPK)-MB massa, mentre la CPK-MB
misurata come attività, la CPK totale, la latticodeidrogenasi
e altri marcatori debbano essere considerati obsoleti e non
utilizzabili per la diagnosi di infarto miocardico.
La sensibilità della troponina nell’individuazione del
danno miocardico è tale da consentire la diagnosi anche
quando l’ECG non sia alterato: questa elevatissima sensibilità consente di individuare quasi il 25% di infarti in più rispetto ai metodi tradizionali, rendendo meno probabile
una scorretta diagnosi di SCA. La misurazione della troponina al di fuori del contesto del dolore toracico può consentire l’individuazione di un danno miocardico in malattie sistemiche, riflettendo la gravità della malattia e svelando talvolta la coesistenza di un’importante malattia coronarica misconosciuta. Peraltro, il riscontro di valori elevati della troponina pone problemi talvolta complessi di
diagnosi differenziale con l’infarto miocardico acuto. La
nuova definizione di infarto fornisce anche precisi criteri
quantitativi per la diagnosi di infarto iatrogeno nel contesto delle procedure di rivascolarizzazione coronarica percutanea o chirurgica dove il danno miocellulare conseguente al trattamento è spesso inevitabile. È utile ricordare che, indipendentemente dalla diagnosi o meno di infarto miocardico, un’elevazione anche minima della troponina è legata a una prognosi peggiore della patologia in oggetto, anche non coronarica29.
Metodiche non invasive di imaging
L’ecocardiogramma è utile nella valutazione diagnostica
del dolore toracico, per rilevare eventuali anomalie della
cinesi regionale, legate all’ischemia miocardica, anomalie
evidenziabili anche dopo la risoluzione dell’ischemia, per i
fenomeni di stunning del miocardio; inoltre, l’ecocardiogramma è utile nella diagnosi differenziale di altre patologie legate al dolore toracico, quali la dissezione aortica,
l’embolia polmonare, la pericardite essudativa. I limiti del-
Tabella 3. La nuova classificazione dell’infarto miocardico.
Tipo 1
Infarto miocardico spontaneo correlato all’ischemia dovuta ad
un evento coronarico primario, come nel caso di erosione e/o
rottura, fissurazione o dissezione della placca
Tipo 2
Infarto miocardico secondario ad ischemia dovuta ad uno squilibrio tra richiesta ed offerta di ossigeno, come nel caso di spasmo coronarico, embolizzazione coronarica, anemia, aritmie,
ipertensione o ipotensionea
Tipo 3
Morte cardiaca improvvisa e inattesa, con arresto cardiaco, spesso accompagnata da sintomi suggestivi di ischemia miocardica,
verosimilmente associata a nuovo sopraslivellamento del tratto
ST, o nuovo blocco di branca sinistra o riscontro angiografico e/o
autoptico di recente trombosi coronarica. In ogni caso, morte verificatasi prima del prelievo di sangue o quando i livelli dei marcatori biochimici cardiaci non erano ancora rilevabili
Tipo 4a
Infarto miocardico correlato ad intervento coronarico percutaneob
Tipo 4b
Infarto miocardico associato a riscontro angiografico o autoptico di trombosi dello stent
Tipo 5
Infarto miocardico correlato ad intervento di bypass aortocoronaricoc
Il panel raccomanda l’esecuzione dei prelievi per la
valutazione della troponina al momento dell’ingresso
ed a 6-9h; occasionalmente anche a 12-24h, qualora i
primi valori risultino nella norma e vi sia un forte sospetto di SCA.
L’ingresso delle nuove troponine supersensibili potrà
abbreviare l’iter dei prelievi ematici seriati30.
Si ribadisce il concetto che per la diagnosi di infarto l’incremento dei marcatori di necrosi deve essere
accompagnato da almeno una delle seguenti caratteristiche:
- sintomi compatibili con ischemia miocardica;
- modificazioni elettrocardiografiche indicative di
nuova ischemia o sviluppo di onde Q patologiche;
- evidenza di nuova perdita di miocardio vitale o nuova anomalia della contrattilità, mediante tecniche di
imaging.
acriterio
biochimico: elevazione del marcatore cardiaco (preferibilmente la troponina) superiore al 99° percentile della popolazione di riferimento; bcriterio biochimico: elevazione del marcatore cardiaco (preferibilmente la troponina) superiore di 3 volte il 99° percentile della popolazione di riferimento; ccriterio biochimico: elevazione del marcatore cardiaco (preferibilmente la troponina) superiore di 5 volte il 99° percentile della popolazione di riferimento.
13S
G Ital Cardiol Vol 10 Suppl 1-6 2009
la metodica sono legati alla presenza di asinergie preesistenti, alla possibile ridotta estensione dell’asinergia e all’esperienza dell’operatore.
ri per SCA è di circa 2 milioni/anno e quasi il 20% di questi
pazienti, specialmente le donne, non ha una malattia coronarica critica. Nonostante questo apparente vantaggio, i
soggetti con patologia coronarica non ostruttiva devono
essere trattati in modo aggressivo con tutti i presidi medici efficaci per le SCA, per evitare che essi soffrano di un’evidente disparità di trattamento.
Il panel raccomanda l’esecuzione dell’ecocardiogramma nei casi sospetti per SCA nei quali i marcatori
biochimici e l’ECG non chiariscano inequivocabilmente la diagnosi. Si sottolinea inoltre l’opportunità di
eseguire un ecocardiogramma prima dello studio coronarografico nei pazienti nei quali venga applicata
una strategia invasiva immediata od urgente.
Il dolore prolungato persistente
La gestione dei pazienti con dolore toracico persistente e
SCA-NSTE pone diversi problemi gestionali non completamente affrontati dalle recenti linee guida ESC35. Prima di
tutto, all’interno del gruppo di soggetti con dolore toracico persistente occorre distinguere quelli con diagnosi di
SCA certa e dolore refrattario alla terapia medica ottimale, da quelli con il medesimo quadro clinico, ma per i quali la diagnosi di SCA è ancora da verificare. Nel primo caso
l’approccio è più semplice35: infatti, nei pazienti con SCANSTE, è noto il peso prognostico negativo dell’entità, dell’estensione e della persistenza delle alterazioni elettrocardiografiche27,36. Pertanto, pur in assenza di studi clinici randomizzati e con la sola forza di un consenso di esperti, in
questi pazienti le linee guida consigliano un approccio invasivo immediato [“Nei pazienti con angina ricorrente o
refrattaria associata ad alterazioni del tratto ST, scompenso cardiaco, aritmie potenzialmente fatali o instabilità
emodinamica è raccomandata la coronarografia d’urgenza (classe I-C)”]35; infatti, in questi casi, l’obiettivo di un approccio invasivo rapido è quello di risolvere con la rivascolarizzazione la sintomatologia clinica e di migliorare poi la
prognosi a breve e lungo termine35.
Diversa è la gestione dei soggetti con dolore toracico
persistente nei quali la diagnosi di SCA non sia altrettanto
chiara, per l’assenza di alterazioni elettrocardiografiche
evidenti. In questi casi bisogna ricorrere a derivazioni elettrocardiografiche aggiuntive (V3R e V4R, V7-V9) per individuare alterazioni ischemiche nel territorio del ventricolo
destro o nella parte posteriore del cuore. Infatti, nella piccola, ma non trascurabile quota di pazienti con dolore toracico persistente, ma senza sopraslivellamento del tratto
ST, arruolati nello studio CADILLAC37, vi era una netta prevalenza di occlusione dell’arteria circonflessa (33% NSTEMI
vs 15% STEMI) e la prognosi a distanza non era particolarmente favorevole.
Il test ergometrico è in grado di incrementare la capacità diagnostica nei pazienti con probabilità medio-bassa
di SCA, in presenza di dolore toracico atipico, ECG non diagnostico e marcatori miocardici persistentemente negativi.
Il test ergometrico ha, in questo ambito, un’elevata sensibilità e valore predittivo negativo (avendo raggiunto >6
METS o >85% della frequenza cardiaca teorica) e consente, quindi, di dimettere il paziente con un elevato grado di
sicurezza. La sicurezza di un test ergometrico massimale in
questa tipologia di pazienti è ampiamente documentata.
La scintigrafia miocardica con tecnezio-99m, utilizzando un tracciante a scarsa ridistribuzione, consente una valutazione a distanza di tempo della perfusione miocardica,
identificando l’area miocardica a rischio di necrosi. Può essere indicata nei pazienti con ECG e marcatori di necrosi
non diagnostici, pur con le difficoltà logistiche ed organizzative legate alla metodica31. Si consiglia di limitare l’uso di
stress farmacologici (adenosina, ecc.) ai soli soggetti non in
grado di effettuare uno sforzo.
La tomografia computerizzata multistrato (TCMS) a 64
strati (e ancora di più le generazioni successive a 128 e 256)
ha un’elevata sensibilità e specificità per la diagnosi di malattia coronarica32,33. Nelle popolazioni ad alta prevalenza
di malattia, la TCMS ha un elevato valore predittivo positivo (ma non negativo), mentre ha un elevato valore predittivo negativo (ma non positivo) nelle popolazioni a bassa
prevalenza di malattia. L’assenza di studi di grandi dimensioni e la considerevole esposizione radiologica non consigliano un’applicazione estensiva della TCMS per escludere
una coronaropatia critica nei pazienti con dolore toracico
a basso rischio; la TCMS può trovare indicazione, invece,
nei pazienti con SCA sospetta, a rischio cardiovascolare intermedio, con marcatori miocardici negativi e stress test
dubbi o discordanti e soprattutto quando sia necessaria
una diagnosi differenziale con l’embolia polmonare o la
dissezione aortica.
Il panel ritiene che, qualora anche questa valutazione non confermi la diagnosi di SCA, in presenza di
dolore toracico protratto e persistente di sospetta origine coronarica sia opportuna l’esecuzione immediata
di un ecocardiogramma.
Nell’ambito delle SCA-NSTE sono identificabili alcuni
contesti particolari che meritano una breve riflessione. Essi sono rappresentati dal crescente numero di pazienti con
SCA-NSTE nei quali non viene riscontrata alla coronarografia una patologia coronarica ostruttiva e dai soggetti con
dolore toracico prolungato persistente.
Questa indagine, in mani esperte, consente di riconoscere durante ischemia alterazioni della cinetica segmentaria,
magari transitorie e localizzate, che possono poi regredire
alla risoluzione dei sintomi38. L’ecocardiogramma, inoltre,
facilita la diagnosi differenziale con altre temibili patologie
eventualmente responsabili del dolore toracico, quali la dissezione aortica, l’embolia polmonare, la stenosi valvolare
aortica, la cardiomiopatia ipertrofica ed altre ancora35,39.
Purtroppo queste patologie a volte simulano una SCA, in
quanto i marcatori cardiaci possono essere elevati40,41. In
questo sottogruppo di soggetti con dolore toracico persi-
La malattia coronarica non ostruttiva
In alcuni pazienti con SCA-NSTE, la coronarografia non
identifica una patologia coronarica critica come responsabile dei loro sintomi: è senso comune ritenere questi soggetti a basso rischio e con una buona prognosi a distanza.
Purtroppo è accertato che il 2% di questi pazienti con una
malattia coronarica non ostruttiva va incontro a infarto o
morte entro 1 anno34. Negli Stati Uniti il numero di ricove-
14S
Workshop I
stente, ma senza alterazioni elettrocardiografiche diagnostiche, l’ecocardiogramma assume quindi un ruolo fondamentale nella diagnostica differenziale e può essere eseguito direttamente da un cardiologo esperto in Pronto Soccorso35,41. In alcuni casi, quando l’ECG, i marcatori biochimici,
l’ecocardiogramma od altre indagini non invasive (TC toracica per escludere dissezione aortica od embolia polmonare)
non consentano di confermare la diagnosi di SCA, ma il sospetto clinico sia comunque importante e la sintomatologia
refrattaria ai trattamenti, una strategia invasiva in urgenza
può essere considerata per chiarire la diagnosi.
li di alto rischio delle linee guida ESC del 2002 erano presenti nella popolazione di SCA nelle UTIC italiane e l’assenza di chiari criteri di priorità hanno contribuito, insieme alla scarsa attenzione dei cardiologi verso la stratificazione
prognostica, ad aumentare la discrezionalità dei trasferimenti e dell’uso delle risorse.
Le nuove linee guida ESC35 sono a favore di una valutazione prognostica globale, basata su una combinazione di anamnesi clinica, sintomi, ECG, marcatori
biochimici e score di rischio clinico.
Per gli score di rischio è espressa una preferenza per il
GRACE score. Questo score è stato sviluppato con l’analisi
multivariata dalla popolazione di 11 389 pazienti con SCA
del registro GRACE; la predittività delle variabili ricavate è
stata validata su 3972 pazienti del GRACE e su 12 142 pazienti del GUSTO-IIb. Si tratta in questo caso di variabili
predittive di mortalità intraospedaliera ed a 6 mesi, a ciascuna delle quali, nel calcolo dello score globale, viene attribuito un punteggio parziale44,45. Le variabili considerate
per la previsione della mortalità intraospedaliera, sulla base delle caratteristiche di presentazione della SCA-NSTE all’ingresso, sono ovviamente quelle più rilevanti ai fini della scelta di una strategia terapeutica: classe Killip, età,
pressione arteriosa sistolica, frequenza cardiaca, creatininemia, arresto cardiaco all’ingresso, deviazione del tratto
ST, incremento della troponina.
È evidente la differenza profonda rispetto al TIMI risk
score, le cui variabili, ricavate dall’analisi dei dati del TIMI
11B e dell’ESSENCE, erano invece predittive dell’endpoint
combinato a 6 mesi di mortalità, infarto miocardico ed
ischemia severa richiedente rivascolarizzazione entro 2
settimane46. In questo modo, nelle nuove linee guida ESC
si è voluto privilegiare l’utilizzo di predittori globali di
eventi “hard”.
È opportuno osservare come nello stesso registro GRACE47
la presenza di scompenso indicasse una prognosi particolarmente negativa in tutto lo spettro delle SCA, ponendo
lo scompenso cardiaco stesso come elemento fondamentale della valutazione prognostica. Nel BLITZ-3 (dati non
pubblicati) i pazienti con SCA-NSTE con età >75 anni erano
il 38% dei pazienti ammessi in UTIC con questa diagnosi:
va ricordato come l’età rappresenti il fattore di rischio più
importante e come l’evoluzione delle terapie e dei trattamenti renda sempre più praticabile una strategia invasiva
in questi soggetti.
La distinzione tra indicazione a coronarografia immediata in emergenza o in urgenza entro 72h è in questa edizione delle linee guida più chiara: alla prima devono essere avviati i soggetti ad altissimo rischio, con angor persistente, ricorrente o refrattario alla terapia, con segni clinici di scompenso o instabilità emodinamica progressiva o
con aritmie ventricolari maggiori potenzialmente fatali.
L’indicazione a coronarografia entro 72h comprende
invece tutti i soggetti con le caratteristiche che negli studi
hanno avuto una prognosi peggiore e, spesso, un vantaggio dalla strategia invasiva precoce: incremento della troponina, alterazioni dinamiche dell’ST-T, diabete mellito,
insufficienza renale, riduzione della frazione di eiezione
ecocardiografica sotto 0.40, pregresso infarto miocardico,
angioplastica coronarica negli ultimi 6 mesi, pregresso
bypass aortocoronarico.
La stratificazione del rischio nelle sindromi
coronariche acute senza sopraslivellamento
del tratto ST
È ormai riconosciuto che le SCA-NSTE hanno una prognosi
a medio termine non molto diversa da quella dello STEMI.
Nella sezione “Epidemiologia” del Workshop I è descritto
come la mortalità a 30 giorni nelle SCA-NSTE sia minore di
quella degli STEMI, ma in aumento negli ultimi anni e come quella a distanza si avvicini invece a quella dello STEMI.
Questo rende opportuno l’utilizzo ottimale delle risorse
nei casi più gravi, che devono essere avviati ad una strategia invasiva, anche se inizialmente accolti da centri sprovvisti di emodinamica. Nella stessa sezione si è evidenziato
come in Italia il numero delle SCA-NSTE sia pari al doppio
degli STEMI ed ancora in crescita. Da qui l’importanza di
una stratificazione prognostica precoce ed efficace, capace di fornire non solo le indicazioni ma anche le priorità
delle indicazioni stesse alla coronarografia.
La stratificazione prognostica ai fini della scelta
della strategia
La stratificazione prognostica delle SCA-NSTE è tradizionalmente basata sull’uso di variabili il cui valore prognostico è stato determinato negli studi clinici randomizzati e
nei registri più importanti degli ultimi anni.
Sulla base dei risultati di questi studi, la Task Force dell’ESC nelle linee guida del 200242 ha sintetizzato gli elementi predittivi di prognosi a breve ed a lungo termine ed
ha fornito un elenco di variabili predittive di prognosi da
utilizzare per la selezione dei pazienti da avviare ad una
strategia interventistica precoce. Questo approccio “monovariato”, in cui cioè la presenza di una singola variabile
di alto rischio determinava l’indicazione ad una strategia
precocemente invasiva, si mostrava però nel tempo poco
adatto a guidare la scelta della strategia terapeutica in un
sistema sanitario fortemente differenziato dal punto di vista strutturale ed organizzativo, come quello italiano.
Nello studio BLITZ-243, che includeva una popolazione
a basso rischio con mortalità ospedaliera del 2%, l’80% dei
pazienti arruolati era classificato ad alto rischio in base ai
criteri dell’ESC, mentre d’altra parte la percentuale dei trasferiti per coronarografia era solo del 25%. Questi trasferimenti interospedalieri, inoltre, non erano sostanzialmente
influenzati dal livello globale di rischio, valutato per mezzo del TIMI risk score o delle variabili di rischio risultate
nello studio predittive della prognosi a breve termine, cioè
l’età e la classe Killip >1. Si può quindi ragionevolmente affermare che l’elevata frequenza con cui le singole variabi-
15S
G Ital Cardiol Vol 10 Suppl 1-6 2009
L’elenco di questi parametri richiama una stratificazione prognostica basata sulla singola variabile, ma le linee
guida stesse enfatizzano un approccio multiparametrico.
Una strategia decisionale basata sul singolo parametro, diffusa in questi ultimi anni soprattutto nei centri dove è possibile effettuare una coronarografia in sede, appare di problematico utilizzo da parte di quel 50% di UTIC
che nell’ultimo censimento della Federazione Italiana di
Cardiologia (FIC) risultano sprovviste di emodinamica48 ed
inoltre sembra non essere validata negli studi, come
l’ICTUS, in cui erano state selezionate popolazioni di pazienti a rischio medio-basso, anche se con troponina positiva49.
Già nel Documento di Consenso sulla rete per lo STEMI
del 2005, la FIC50 aveva sottolineato la necessità di definire
i criteri di alto rischio, contestualizzandoli rispetto alle caratteristiche della rete interospedaliera ed adattandoli
alle capacità organizzative in uno specifico territorio:
quanto minori le risorse tanto più restrittivi i criteri di rischio, per selezionare una popolazione meno numerosa e
perciò realisticamente trasferibile verso i centri Hub di riferimento.
te, infarto o scompenso cardiaco 17%), mentre nel restante 70% dei pazienti l’incidenza di eventi avversi
era solo del 4.8%. In questo 30% dei pazienti si concentrava infatti la larga maggioranza (61%) degli
eventi avversi registratisi nello studio.
È importante a questo punto sottolineare che alcune
variabili di rischio hanno, prese singolarmente, un significato prognostico scalare: l’angor, ad esempio, se protratto e persistente al momento dell’osservazione ha un significato molto negativo, essendo associato in una consistente percentuale di casi all’occlusione coronarica con beneficio dal trattamento immediato con angioplastica37; un
numero molto elevato di episodi anginosi nelle ultime
48h è d’altra parte indicativo di elevata instabilità, specie
se associato ad alterazioni elettrocardiografiche di nuova
comparsa. Ancora, la presenza di un sottoslivellamento
del tratto ST >1 mm è un elemento che ha di per sé un valore prognostico negativo, anche se esso non è in definitiva una variabile indipendente dall’insieme delle caratteristiche cliniche del soggetto51. Queste ed altre semplici
considerazioni basate sulla clinica devono far parte di
quella valutazione globale del rischio che le linee guida
raccomandano nelle SCA-NSTE52, come esemplificato nella Tabella 4.
Considerazioni analoghe a quelle contenute nel
Documento di Consenso FIC del 2005 spingono il panel
a raccomandare anche per le SCA-NSTE la stessa strategia che per lo STEMI, con l’uso prioritario della rete
interospedaliera per l’emergenza coronarica per i pazienti più gravi.
Per la selezione di questi pazienti può essere usato
lo score GRACE-terzili: basso rischio (1-108), medio rischio (109-140) ed alto rischio (141-372) o comunque
con un cut-off determinato dalle potenzialità organizzative dell’area di rete. In alternativa, per facilitare le
valutazioni tra ospedali dell’area di rete interospedaliera, può essere usato il numero di variabili di alto rischio identificabili in un soggetto alla sua presentazione in ospedale.
Nel BLITZ-2 la presenza di tre o più variabili di rischio tra le seguenti cinque: 1) età >75 anni, 2) classe
Killip >1, 3) diabete mellito, 4) elevazione della troponina, 5) pressione arteriosa sistolica <100 mmHg, identificava un 30% dell’intera popolazione del registro
che aveva un elevato rischio di eventi a 30 giorni (mor-
La stratificazione prognostica ai fini della scelta
del timing della coronarografia
Come già ricordato, un piccolo gruppo di pazienti ad altissimo rischio ha una indicazione immediata all’angiografia
coronarica. È ragionevole poi ritenere che il gruppo di pazienti che ha indicazione ad eseguire una coronarografia
entro 72h non sia del tutto omogeneo, ma che al suo interno esista e sia identificabile un ulteriore gradiente di rischio: senz’altro i pazienti con coesistenza di più variabili
hanno una più elevata incidenza di eventi di quelli con un
numero minore di variabili di rischio. Poiché è noto come
nelle SCA-NSTE gli eventi siano spesso precoci53, come d’altronde abbiamo verificato nello stesso BLITZ-2, è altrettanto ragionevole ritenere che i pazienti a rischio più alto in
questo gruppo debbano eseguire la coronarografia più
precocemente degli altri. Questa ipotesi sembra confermata dai primi risultati comunicati dello studio TIMACS54: qui
3000 pazienti con SCA-NSTE erano randomizzati a corona-
Tabella 4. Valutazione del rischio di morte o infarto a breve termine in pazienti con sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del
tratto ST.
Anamnesi
Rischio alto
Rischio intermedio
Rischio basso
Almeno uno delle seguenti variabili
Nessuna variabile di alto rischio
Nessuna variabile di rischio intermedio o
ma almeno una delle seguenti
alto ma una delle seguenti
Angina ingravescente nelle ultime 48h
Pregresso infarto, vasculopatia periferica,
uso di aspirina
Caratteristiche
Dolore a riposo, protratto (>20 min)
Dolore protratto ma regredito, angina notturna, Riduzione della soglia dell’angina da sforzo,
del dolore
e persistente
angina di recente insorgenza (<2 settimane)
Segni clinici
EPA, comparsa IM, ipotensione,
Età >70 anni
angina insorta da più di 2 settimane
età >75 anni
ECG
Marcatori cardiaci
ST in basso >0.5 mm
Onda T negativa
Comparsa di BBS
Onde Q
Netto incremento di troponine o CK-MB
Lieve incremento di troponine o CK-MB
BBS = blocco di branca sinistra; CK = creatinchinasi; EPA = embolia polmonare acuta; IM = insufficienza mitralica.
16S
Normale
Marcatori normali
Workshop I
spetto all’uomo, nelle SCA l’età media delle donne è di 6
anni più alta rispetto agli uomini.
Nel BLITZ-2 la percentuale delle donne era inferiore
(32.1%), ma non sono disponibili dati per fasce di età43.
Nei vari trial la percentuale delle donne arruolate varia
tra il 25% e il 40%: essa risulta del 25.5% nel VINO55, del
26% nell’ICTUS49, del 32% nel FRISC II56, del 34% nel TACTICS-TIMI 1857, del 37.5% nel RITA-358 e del 38% nel CURE59.
La proporzione fra uomini e donne affetti da SCA,
quindi, non è molto diversa tra la popolazione dei registri
e quella dei trial: le donne con SCA-NSTE sono complessivamente meno numerose degli uomini, i quali prevalgono
nettamente nei gruppi di età più giovane, mentre le donne riacquistano numerosità a mano a mano che l’età avanza, raggiungendo una netta maggioranza nelle classi di
età più elevata.
rografia precoce entro 24h o a coronarografia ritardata oltre le 36h. Non vi erano differenze significative tra i due
gruppi riguardo all’endpoint primario di morte, infarto ed
ictus a 6 mesi, mentre vi era una riduzione dell’ischemia refrattaria. Dividendo però i pazienti in tre terzili secondo il
GRACE score, si osservava come nel terzile a rischio più alto la differenza dell’endpoint primario (14.1 vs 21.6%) fosse statisticamente significativa (hazard ratio 0.65, intervallo di confidenza 0.48-0.88, p <0.005). Per quanto i risultati
dello studio non siano stati ancora pubblicati, la convinzione che sia opportuno eseguire entro le prime 24h la coronarografia nei sottogruppi a rischio maggiore esce rafforzata da questi primi dati.
Il panel ritiene che i pazienti con GRACE risk score
elevato (>140) oppure con tre o più delle variabili di rischio sopra elencate, debbano essere sottoposti a coronarografia preferibilmente entro 24h, attivando la
rete interospedaliera in caso di indisponibilità del laboratorio di emodinamica in sede.
In sintesi è indicata una coronarografia immediata
nelle SCA-NSTE in presenza di:
a) angor continuo persistente alla prima osservazione,
angina refrattaria o ricorrente;
b) segni di scompenso, ipotensione (pressione arteriosa <100 mmHg) o instabilità emodinamica;
c) aritmie ventricolari maggiori potenzialmente letali
(tachicardia ventricolare, fibrillazione ventricolare).
È indicata una coronarografia entro 72h ma preferibilmente entro le prime 24h in presenza di:
a) elevato score di rischio clinico (GRACE >140);
b) associazione di tre o più variabili di rischio tra quelle sopra elencate.
Questi due gruppi di pazienti devono essere trasferiti preferibilmente a centri Hub di riferimento, se
non è disponibile l’emodinamica in sede.
È indicata una coronarografia entro 72h per i restanti pazienti identificati in base alle indicazioni delle linee guida ESC come a rischio medio-alto e questi
pazienti possono essere trasferiti nei centri Hub di riferimento se non disponibile l’emodinamica in sede e
se le potenzialità organizzative della rete interospedaliera locale lo consentono.
Nei restanti pazienti è indicata la strategia conservativa.
Presentazione clinica
Come sopra accennato, le donne vengono colpite da SCA
in età più avanzata rispetto agli uomini e questo fa sì che
con maggiore frequenza le donne con SCA soffrano anche
di comorbilità importanti quali ipertensione arteriosa,
obesità, diabete e insufficienza renale; meno frequenti sono invece la presenza in anamnesi di un precedente infarto o di una precedente procedura di rivascolarizzazione60.
Per quanto riguarda più propriamente la sintomatologia clinica, è interessante rilevare come le donne con SCA
lamentino più frequentemente una sintomatologia atipica
e spesso nausea, mentre è nettamente più rara la sudorazione61.
L’atipicità della presentazione clinica nelle donne non
riguarda solo le SCA; nello studio WISE62, che esplorava la
patologia ischemica, non necessariamente acuta, nelle
donne, una sintomatologia caratterizzata da angor tipico
era presente solo nel 35% dei casi.
Accanto a una sintomatologia soggettiva atipica e
spesso fuorviante, anche il quadro elettrocardiografico
può confondere e suggerire falsi positivi. È noto infatti come spesso, nel sesso femminile, siano presenti, in condizioni di normalità, alterazioni riguardanti l’onda T, che si presenta spesso negativa nelle derivazioni precordiali anterosettali.
Questo dato e la frequente associata ipertensione arteriosa con iniziale impegno del ventricolo sinistro e relativa
espressione elettrica, può rendere conto di quanto rilevato nello studio CURE, in cui è stata riscontrata nelle donne,
al momento della prima osservazione, una maggiore frequenza di quadri elettrocardiografici alterati, rispetto ai
tracciati elettrocardiografici registrati negli uomini59. Invece, sempre dallo studio CURE59, nelle donne con sospetto
di SCA solo il 18.8% mostrava anormalità nel dosaggio dei
marker di lesione miocardica.
È anche noto come i test di induzione di ischemia nel
sesso femminile siano caratterizzati da sensibilità e specificità più basse. La differenza fra i due sessi in termini di fattori di rischio (ad es. il livello di HDL è più importante per
le donne che per l’uomo) può portare, inoltre, alla sottostima della probabilità pre-test di malattia.
Tutte queste osservazioni spiegano perché possa essere
più difficile nelle donne con il sospetto di SCA raggiungere una certezza diagnostica e un’adeguata stratificazione
del rischio.
Sindromi coronariche acute senza
sopraslivellamento del tratto ST
in popolazioni particolari
Le donne
Nel registro CRUSADE14 su 56963 pazienti con SCA-NSTE
meno della metà (40.5%) erano donne; tra tutte le donne
il 45.9% aveva un’età ≥65 anni. Nel confronto con i maschi,
la presenza femminile aumentava con l’avanzare dell’età,
dominando poi nettamente nell’età più avanzata (30.1%
nel gruppo di età <65 anni, 39.5% fra 65 e 74 anni, 48% fra
75 e 84 anni e 62% nel gruppo di età ≥85 anni). Se in genere le prime manifestazioni cliniche della cardiopatia
ischemica compaiono nella donna circa 10 anni più tardi ri-
17S
G Ital Cardiol Vol 10 Suppl 1-6 2009
Aspetti fisiopatologici
sa a pazienti con “coronarie normali” e nelle quali la sintomatologia soggettiva è spesso attribuita ad uno stato
d’ansia.
Sempre nell’ambito delle SCA con vasi angiograficamente non ostruiti riscontrabili nelle donne, a parte le rare forme di vasculite coronarica segnalate nell’ambito della sindrome da anticorpi antifosfolipidi69, un cenno a parte meritano i casi attribuiti alla sindrome di takotsubo, caratterizzata da una disfunzione acuta transitoria del ventricolo sinistro70, tipicamente preceduta da un evento fortemente stressante. Essa è più frequente nelle donne non
più giovani e ha una sintomatologia clinica, oltre che un
quadro enzimatico ed elettrocardiografico, difficilmente
distinguibili da quelli di una SCA (generalmente però associata a sopraslivellamento del tratto ST)71. L’eziologia di
questa sindrome, finora non definita, è stata attribuita a
una disfunzione microvascolare, oppure a un vasospasmo
coronarico o ad una miotossicità acuta catecolamine-dipendente72. Sebbene possa andare incontro a complicanze
anche gravi, fortunatamente la maggior parte delle pazienti ha un esito favorevole, mostrando un completo recupero della funzione ventricolare sinistra.
Il più importante aspetto fisiopatologico della cardiopatia
ischemica nelle donne è rappresentato dalla frequenza
con cui al quadro clinico di una SCA si associa un quadro
angiografico caratterizzato da vasi indenni o con lesioni
ostruttive non critiche.
Nello studio CURE60 il 26.7% delle donne aveva un quadro angiografico normale, rispetto al 13.2% degli uomini,
mentre il 34.9% mostrava una coronaropatia critica, rispetto al 44% degli uomini.
Nello studio WISE63,64, solo il 38% aveva una stenosi coronarica del 50% o più severa, anche se, in un sottostudio
sempre del WISE, molti dei casi con angiogrammi normali
hanno poi mostrato la presenza di ateromasia non evidente all’angiografia ma documentata dall’esame con ecografia intravascolare65. È anche noto, inoltre, quanto sia frequente nelle donne una complicanza trombotica su erosioni di placche non ostruenti e non ulcerate66.
In una metanalisi pubblicata nel 2005, Bugiardini et
al.66 hanno descritto nelle SCA una percentuale variabile
fra il 10% e il 25% di donne con SCA e coronarie angiograficamente normali o con lesioni non significative; nei pazienti di sesso maschile questa percentuale si riduceva al
6-10%.
Se le donne con SCA e malattia coronarica ostruttiva
hanno un follow-up peggiore dei maschi, non è provato
che le donne con SCA e angiogrammi normali abbiano, come prima si è sempre ritenuto, una prognosi assolutamente favorevole. A prescindere da una cattiva qualità di vita
(continuano ad essere sintomatiche) e dal costo assistenziale che ne deriva64, nel WISE67, in un follow-up di 4 anni, il rischio di morte o infarto non fatale per le pazienti con minime o nessuna lesione angiografica evidente è risultato del
9.4%, quasi il 2.7% per anno.
L’interpretazione fisiopatologica di questi quadri di angina con coronarie “normali” non ha trovato finora una
definizione univoca. Che la sintomatologia e le alterazioni
elettrocardiografiche, anche in assenza di lesioni ostruttive, possano essere dipendenti da un flusso miocardico insufficiente è stato provato sia da studi metabolici che da
tecniche di immagine65.
Per quel che riguarda la causa di questa discrepanza
fra consumo miocardico e apporto di ossigeno, il meccanismo non è univoco. Se solo una minoranza ha una malattia vasospastica pura, del tipo angina di Prinzmetal, una
patologia della vasomotilità arteriosa coronarica per una
disfunzione endoteliale è stata documentata in un certo
numero di pazienti con lo studio delle variazioni del flusso coronarico all’acetilcolina. Nello studio WISE68, circa un
terzo della popolazione di donne senza lesioni ostruttive
presentava una disfunzione endoteliale e tale caratteristica aggiunge un rischio prognostico sfavorevole di circa 4
volte più alto, rispetto a quello delle donne senza significativa malattia coronarica e senza evidenza di disfunzione
endoteliale.
È necessario inoltre ricordare che, come sopra accennato, in molte di queste pazienti sono presenti importanti fattori di rischio coronarico, quali ipertensione, fumo,
dislipidemia e diabete, i quali possono giocare un ruolo
considerevole nel determinare eventi coronarici nel follow-up. Il peso di tali fattori di rischio è probabilmente
più alto proprio per la scarsa attenzione che viene conces-
Considerazioni sulla terapia
Le donne con SCA non solo sono sottoposte ad una procedura diagnostica invasiva e successiva rivascolarizzazione
meno frequentemente di quanto avviene nei pazienti di
sesso maschile59, ma l’efficacia di una strategia terapeutica
aggressiva risulta meno evidente. Nel FRISC II56 e nel RITA358 era stato osservato che, nelle donne, la strategia invasiva non aveva dato lo stesso vantaggio, rispetto al sottogruppo maschile. Nel TACTICS-TIMI 1857 la percentuale di
eventi risultava minore nel gruppo di donne assegnato alla strategia invasiva (17 vs 19.6%), ma la differenza non
raggiungeva la significatività statistica, mentre nell’ICTUS49 il vantaggio della strategia invasiva non era confermato per entrambi i sessi. L’OASIS-573,74 era stato disegnato per studiare l’efficacia del trattamento con fondaparinux vs enoxaparina. Un sottostudio di questo trial ha cercato di vedere se una precoce strategia invasiva fornisse alle donne un vantaggio, rispetto a una strategia più conservativa, che considerava un’angiografia in modo elettivo
solo in caso di persistenza di sintomi durante l’ospedalizzazione o di positività al test da sforzo. Il dato più impressionante di questo studio è stato quello di aver arruolato solo 184 pazienti su 1600, che era la numerosità prevista.
Malgrado questa scarsa numerosità, in un follow-up di 2
anni il gruppo assegnato alla strategia invasiva ha mostrato una mortalità 4 volte più alta e un significativo aumento degli eventi combinati.
Una recente metanalisi, tuttavia, ha suggerito che
le donne con un elevato profilo di rischio (ECG e marcatori positivi) ricevono dalla strategia invasiva un beneficio a lungo termine analogo a quello degli uomini, ma a spese di un rischio immediato maggiore75.
Importanti risultano nelle donne le complicanze emorragiche legate alla terapia antiaggregante aggressiva76-78:
questa maggiore propensione all’emorragia può in parte
essere anche spiegata con una clearance della creatinina
spesso ridotta, per la maggiore anzianità e per le eventua-
18S
Workshop I
percentuale salirà al 22.3% e i cittadini con più di 80 anni
costituiranno il 6% dell’intera popolazione.
Se cerchiamo dati che si riferiscano alla patologia di cui
si tratta e tenendo presente che nelle linee guida ESC sulle SCA-NSTE35 l’età avanzata è attribuita alla popolazione
>75 anni, in Italia, nella popolazione esaminata nello studio BLITZ-243, su circa 2000 pazienti con SCA NSTEMI un
terzo dei pazienti aveva un’età ≥75 anni. Nel registro CRUSADE14 il 58% aveva ≥65 anni e ben l’11.2% aveva un’età
>85 anni, con il paziente più vecchio di 103 anni. Se in questo registro si calcola la prevalenza dei pazienti di età ≥75
anni, il dato si avvicina a quello dello studio BLITZ-2
(35.5%), ma su una numerosità di pazienti ben più alta
(56 963 pazienti arruolati). In altri registri riportati nelle linee guida81,82, la prevalenza varia fra il 27% e il 34%.
Si può quindi concludere che questa speciale popolazione rappresenta una sensibile fetta dei pazienti che entrano in ospedale affetti da SCA-NSTE (circa un terzo dei
casi) e che tale proporzione sarà inevitabilmente destinata
ad aumentare accompagnando l’invecchiamento progressivo della popolazione. Inoltre, malgrado la durata media
della vita più elevata nel sesso femminile, non sembra che,
nel complesso di questa popolazione, i pazienti di sesso
femminile siano largamente più numerosi in tutte le fasce
di età >75 anni. Nel CRUSADE14 i maschi erano il 51% nell’età fra 75 e 84 anni, ma le donne dominavano la popolazione oltre gli 85 anni (62%).
li comorbilità come l’ipertensione e il diabete, così che
spesso la terapia antitrombotica risulta sovradosata79.
Non è possibile ricavare nessun dato sull’eventuale diversità di efficacia della rivascolarizzazione chirurgica nei
due sessi dai trial che hanno paragonato la chirurgia vs la
terapia medica. Infatti, nella metanalisi di Yusuf et al.80 su
10 anni di chirurgia coronarica, a fronte di una popolazione di 2600 pazienti con angina stabile da sforzo, solo 85
erano donne. In una analisi post-hoc dei dati del CURE, risultava come la popolazione femminile con SCA venisse
meno frequentemente sottoposta ad angiografia e quindi
ad angioplastica coronarica o a bypass aortocoronarico.
Nel follow-up le donne non avevano un’incidenza più alta
di morte o di infarto non fatale, ma era più frequente osservare una recidiva di angina che richiedesse riospedalizzazione e ciò era ancora più evidente nel gruppo di donne
a rischio più alto59.
Pazienti con coronarie angiograficamente “normali”
Come si è visto, la benignità di questa situazione è stata da
molti contestata, ma la probabile disomogeneità della fisiopatologia rende molto difficile stabilire un iter terapeutico razionale. Una prima importante osservazione riguarda l’obbligo di non trascurare, in questi pazienti, il trattamento anche aggressivo dei fattori di rischio cardiovascolare frequentemente associati, quali ipertensione, dislipidemia, dismetabolismo glucidico, obesità e fumo. È certamente importante escludere una patologia vasospastica,
sebbene questa sia poco frequente. La diagnosi di angina
indotta da spasmo coronarico è tuttavia non solo facilmente sospettabile dai dati clinici, ma anche facile da confermare con l’aiuto di note procedure diagnostiche e facile da controllare, tranne rari casi, con terapia medica appropriata.
Una volta escluse altre patologie extracardiache (dolore toracico parietale, patologie organiche o funzionali delle prime vie digerenti), nella rimanente popolazione resta
ancora abbastanza difficile confermare l’origine “ischemica” del dolore al petto (in assenza di facilitazioni diagnostiche strumentali, non alla portata di tutti), e stabilirne la
causa.
Il sospetto di una disfunzione endoteliale può essere
confermato con test la cui esecuzione non è difficile da attuare in molti laboratori di emodinamica e talvolta anche
in laboratorio di ecocardiografia. Se l’iter diagnostico non
è facile, ancora meno facile è poi disegnare una strategia
terapeutica che possa portare ad un miglioramento della
qualità di vita e, a lungo termine, a influenzare un esito a
distanza che, come si è visto, può essere molto meno favorevole di quel che si è, per molti anni, ritenuto. La variabilissima risposta individuale di una variegata serie di farmaci finora impiegati con esito alterno sta a confermare, ove
ce ne fosse bisogno, la grande disomogeneità patogenetica che caratterizza questo gruppo di pazienti.
Presentazione clinica
Due sono le caratteristiche più importanti segnalate nei
vari registri:
1) sintomatologia spesso non tipica e frequentemente
espressa più come insufficienza cardiaca che come angina14,83-85;
2) presenza di comorbilità (ipertensione, ictus, broncopneumopatia cronica ostruttiva, insufficienza renale) e
di precedenti eventi coronarici o procedure di rivascolarizzazione14.
Interessante osservare invece che, con l’avanzare dell’età, tendono a ridursi i fattori di rischio cardiovascolare
quali diabete, dislipidemia e fumo14. L’ECG è spesso non
diagnostico, anche perché spesso già alterato per altri motivi (disturbi di conduzione, quadri di ipertrofia/sovraccarico).
Opportunamente, le linee guida suggeriscono inoltre
di prestare attenzione alla difficoltà diagnostica che, in
questa popolazione di pazienti, potrebbe ritardare l’inizio
della terapia.
Stratificazione del rischio e strategia terapeutica
Rilevante l’osservazione che i pazienti di età avanzata arruolati nei grandi trial rappresentano non solo una netta
minoranza86, ma che anche quando siano presenti, l’incidenza di comorbilità sia nettamente inferiore a quella che
è possibile ritrovare in coetanei nella popolazione generale; ciò evidentemente genera un notevole bias nella stratificazione del rischio e nell’interpretazione dei risultati delle procedure.
I vecchi con SCA-NSTE si presentano quindi come una
popolazione fragile, a rischio elevato sia per l’età, che rappresenta di per sé un dato di rischio e per le patologie cardiovascolari preesistenti o attuali (pregresso infarto, ictus,
Pazienti anziani
L’Italia risulta un paese di longevi. Dati ISTAT riferiti al 2001
calcolano che 10 556 519 persone hanno più di 65 anni e,
tra questi, 4.3 milioni di uomini e oltre 6.3 milioni di donne. Gli anziani hanno anche superato il numero dei giovani con meno di 25 anni. La stima è che nel 2010 la popolazione con più di 65 anni sarà pari al 19.5%, nel 2020 tale
19S
G Ital Cardiol Vol 10 Suppl 1-6 2009
Nel CRUSADE14, nel gruppo di pazienti di età fra 75 e
84 anni, sono state registrate nel 2.6% dei casi controindicazioni alla terapia con statine, nell’8% verso aspirina, nel
7% nei confronti dell’eparina, nell’8% dei betabloccanti e
nel 18% degli inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa.
insufficienza cardiaca), sia per le comorbilità. Tra queste
sono da ricordare l’anemia e l’insufficienza renale. L’incidenza dell’anemia nei vecchi aumenta con il progredire
dell’età ed è più frequente nei maschi; la sua presenza è significativamente associata ad una minore sopravvivenza
ed è tanto più importante in quanto spesso misconosciuta,
trovandosi fino a 4-5 volte più frequentemente di quanto
sospettata clinicamente87. L’anemia, infine, rappresenta un
fattore prognostico indipendente di più alta mortalità nei
pazienti anziani che, per una sindrome coronarica, vengono sottoposti a procedura interventistica88.
Anche l’insufficienza renale ha un grosso impatto sulla
prognosi dei pazienti in età avanzata sottoposti a procedura di rivascolarizzazione: se i pazienti con clearance della
creatinina ≥70 ml/min hanno una mortalità per anno
dell’1.5%, questo valore aumenta fino al 18.3% nei pazienti con clearance della creatinina <30 ml/min89.
Nel registro CRUSADE14 il rischio di morte intraospedaliera aumenta progressivamente con il crescere dell’età,
dall’1.9% nei pazienti di età <65 anni a circa il 12% nei pazienti di età >85 anni; valori di mortalità inferiori sono descritti nello studio BLITZ-243, ma sempre maggiori nei pazienti più anziani (3% >75 anni vs 0.5% 55-74 anni e 0%
<55 anni).
A questa maggiore mortalità si aggiunge l’aumentato
rischio di emorragie iatrogene legate alla terapia antitrombotica utilizzata di routine nelle SCA; questo determina un rischio globale molto alto.
Tuttavia, nonostante questi limiti, già dai trial della
trombolisi nell’infarto acuto si era appreso come proprio
nei pazienti anziani ed esposti a maggiore rischio il beneficio assoluto dell’intervento risultasse maggiore.
Le linee guida ricordano i dati derivati dal TACTICSTIMI 1890 che ha mostrato come nel sottogruppo di pazienti con SCA >75 anni, che trattati conservativamente mostrano una frequenza di eventi molto alta (21.6% di morte o infarto non fatale), una strategia invasiva abbia ridotto il rischio a meno della metà (10.8%), guadagno rappresentato soprattutto dalla riduzione dell’infarto acuto non
fatale. In parte questo vantaggio può essere annullato dal
rischio emorragico che i pazienti più anziani possono correre sia per la terapia con eparina sia con quella antiaggregante. Questi rischi sono documentati dall’elevata necessità di trasfusioni (nel CRUSADE14: 17.9% nei pazienti fra 6 e
74 anni, 19.6% fra 75 e 84 anni, 15.7% in quelli ancora più
vecchi, rispetto al 10.1% di trasfusioni necessarie nel gruppo ≤65 anni).
Uguale vantaggio offerto da una precoce strategia invasiva è stato dimostrato nei pazienti anziani >75 anni arruolati nello studio TIME e nello studio APPROACH, dove
la strategia aggressiva ha concesso ai pazienti più anziani
una riduzione del rischio assoluto più grande di quella ottenuta nei più giovani91-94.
Il timore di procurare un danno piuttosto che un beneficio gioca certamente un ruolo importante nella minore
intensità dei trattamenti terapeutici che i soggetti di età
più avanzata con SCA ricevono durante la loro degenza.
Oltre alle precedenti giustificazioni (rischio di eventi aumentato per il fattore età e rischio emorragico iatrogeno),
la minore copertura terapeutica trova giustificazione anche per le frequenti controindicazioni legate soprattutto
alla presenza di comorbilità.
Tutto questo, aggiunto al frequente riconoscimento difficile e tardivo di una SCA nei pazienti in età
avanzata, fa sì che la popolazione anziana riceva
un’incompleta assistenza terapeutica, più spesso conservativa, con minore uso dei farmaci e minore aderenza ai protocolli riportati nelle linee guida.
Sebbene vi siano ripetute osservazioni che l’uso
precoce di aspirina, betabloccanti, clopidogrel e inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa abbia mostrato gli stessi vantaggi anche nei pazienti anziani, questi presidi
vengono usati sempre di meno a mano a mano che l’età aumenta14. Lo stesso accade per le procedure invasive, cui i vecchi hanno meno probabilità di essere sottoposti rispetto ai più giovani.
Nel CRUSADE14 la strategia invasiva con intervento coronarico percutaneo entro 48h passa dal 38.7% nei pazienti di età <65 anni al 29.6% nei pazienti di età fra 65 e
74 anni, al 21% nel gruppo di età fra 75 e 84 anni, per crollare al 10.1% nei pazienti più vecchi; solo il 23% dei pazienti anziani del BLITZ-243 veniva trattato con intervento
coronarico percutaneo, rispetto al 44% dei pazienti più
giovani.
Le linee guida ESC concludono il capitolo sugli anziani
e SCA-NSTE suggerendo molta attenzione nella diagnosi e
consigliando una scelta terapeutica individualizzata dove
venga valutato nel singolo paziente il rischio legato alla
malattia stessa, alle comorbilità e al trattamento proposto.
Tutto questo ricordando l’importanza di considerare la durata di vita attesa e la scelta individuale dello stesso paziente, ma non escludendo a priori gli anziani dalla terapia
invasiva precoce, ormai routinaria per i più giovani.
Se è infatti vero che il rischio complessivo è grande, anche il beneficio assoluto in termini di riduzione degli eventi maggiori può essere importante. In questo senso è interessante ricordare il suggerimento di sostituire la definizione “risk score” con “opportunity score”91, dove quest’ultimo rappresenta la stima di ottenere un beneficio attraverso un determinato trattamento. I pazienti vecchi con
più alto “risk score” di base hanno spesso un più alto “opportunity score”. In questo modo si potrebbe essere più
convinti ad applicare anche in questa popolazione di soggetti le linee guida usate di routine per i più giovani e non
escludere pertanto i primi dai benefici che queste terapie
hanno dimostrato di essere in grado di determinare.
Pazienti diabetici
Il diabete mellito rappresenta un fattore indipendente di
mortalità nei pazienti con SCA95,96. La prevalenza di tale
patologia, nei registri europei, si aggira intorno al 20-30%
dei pazienti con SCA. Come sottolineato sopra, la presenza di diabete mellito in un paziente con SCA-NSTE rappresenta un elemento di rischio che suggerisce un approccio
invasivo precoce.
Un accurato controllo dei valori glicemici rappresenta
un elemento fondamentale nella strategia terapeutica97,
da effettuarsi con infusione continua o iniezione sottocu-
20S
Workshop I
te di insulina, ragionevolmente anche nei pazienti con sola iperglicemia. L’utilizzo di antidiabetici orali nella fase
acuta dell’infarto miocardico ha molte limitazioni. Va ricordato che in previsione di uno studio angiografico è raccomandata la sospensione della metformina nelle 24h precedenti per ridurre il rischio di nefropatia da contrasto, ed
anche molti altri ipoglicemizzanti orali possono essere controindicati qualora coesista una disfunzione renale o vi siano segni di scompenso.
10.
11.
Poiché il beneficio derivante da un approccio invasivo precoce facilitato dalla somministrazione di inibitori delle glicoproteine IIb/IIIa è nei diabetici ampiamente documentato57,98,99, il panel ne raccomanda
fortemente l’utilizzo in questo gruppo di pazienti.
12.
In presenza di malattia coronarica multivasale è ancora consigliabile la rivascolarizzazione chirurgica100,101 anche se un incremento nell’uso degli stent medicati nei diabetici e un maggiore controllo dei fattori di rischio può
consentire alla strategia interventistica coronarica percutanea di avere migliore risultati102.
13.
14.
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