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• n. 3
9 • Martedì, 3 febbraio
UN CAFFÈ CON... Carlo Simoni Pagine 2-3 / LA RECENSIONE L’istruttoria, L’importanza
/ TEATROMESTIERI Carlo Turetta Pagina 6 / TEATRALIA Premio UBU 2008 Pagina 7
/ CARNET PALCOSCENICO Il cartellone del mese Pagina 8
di chiamarsi Ernesto
Pagine 4-5
2 palcoscenico
Martedì, 3 febbraio 2009
UN CAFFÈ CON...
Carlo Simoni
di Rossana Poletti
C
arlo Simoni è un bel signore, dai capelli argentei, che ha superato e non da poco la
sessantina, ma non sembra. Sulla scena si
muove con la sapienza e l’esperienza di chi vive
in palcoscenico da ormai quarant’anni. Ma il suo
primo amore fu la pittura. Nel 1967 si diplomò
infatti all’Accademia di Belle Arti e contemporaneamente anche all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma. Tuttora vive strettamente questa doppia passione perché alle continue tournée teatrali alterna mostre delle sue opeLo spettacolo che presentate è
“ortodosso”?
Sì, è il termine giusto. Ci siamo
imposti di essere il più possibile
fedeli al testo, che è poi quello che
Cechov ha chiesto.
i grandi autori
comunicano da soli
Si corre forse il rischio di non
essere vicini al sentire del pubblico di oggi?
Il testo si presta moltissimo
alla comunicazione: si parla di
giovani, di generazioni a confronto e questo già di per se è
un grande valore. D’altra parte
non possiamo non tener presente l’epoca storica in cui è stato
scritto, siamo alla fine dell’Ottocento. Ci siamo pertanto proposti di avvicinarci al contemporaneo con i sentimenti dell’uomo. I
grandi autori sono grandi e classici perché parlano dell’animo
umano. Shakespeare, Pirandello, ognuno a modo suo, parlano
dell’interiorità. Il fatto che ac-
re: l’ultima al Teatro Eliseo di Roma tra dicembre
e gennaio di quest’anno. I meno giovani ricorderanno le tante interpretazioni televisive dalla fine
degli anni Sessanta ne “I fratelli Karamàzov”, “Il
mulino del Po”, “Papa Goriot”, “Leonardo da
Vinci”, “Madame Bovary”, “Il ritorno di Casanova”, “Delitto e castigo” e tanti altri. E poi ancora tanto teatro, in coppia con Patrizia Milani dal
1993 nella compagnia del Teatro Stabile di Bolzano, cha ha allestito anche “Il gabbiano” di Cechov, in questa ultima stagione teatrale.
cade poi può essere dovunque e
in ogni tempo. Pertanto abbiamo preso costumi dell’epoca, accenni musicali che evocano. Non
d’ottobre. Ma in questa storia si
parla anche di arte, c’è l’esigenza da parte dei giovani di
fare un teatro nuovo, contestano
sto simbolicamente, appunto per
delineare il grande cambiamento epocale che abbiamo davanti
attualmente.
I grandi autori sono grandi e classici perché parlano
dell’animo umano. Shakespeare, Pirandello, ognuno
a modo suo, parlano dell’interiorità. Il fatto che
accade poi può essere dovunque e in ogni tempo
ci interessava però lavorare sul
contemporaneo estetico, perché i
grandi comunicano da soli, senza bisogno di fare revisioni temporali.
C’è una sorta di parallelismo
tra la Russia di Cechov e la realtà
di oggi: i giovani russi e quelli di
oggi ad un bivio di una crisi globale, che non si sa come andrà a
finire?
Sì, si sente una certa similitudine, a quel tempo in Russia
emergevano i prodromi di una
dissoluzione della borghesia che
aprirà la strada alla rivoluzione
il teatro naturalistico e anche la
pittura impressionistica, perché
noi, strumenti duttili
Torniamo a voi due, avete fatto assieme tanti titoli: “Una giornata particolare”, “Teatro comico”, “Il gabbiano”, “Danza di
morte”, “La locandiera”… quale
vi rappresenta di più?
Siamo strumenti molto duttili
e disponibili, che passano con abbastanza facilità dal classico, per
inciso abbiamo fatto per cinque
anni con un successo grandissimo
Carlo Simoni e Patrizia Milani, siete una coppia collaudata.
Il pubblico di Trieste è un po’
freddino, però io amo molto
questa città, ho molti amici e qui
ho fatto spettacoli eccezionali
fra poco si affaccerà alle ribalte la nuova corrente del simbolismo. Cechov descrive una perfetta fotografia della realtà in
cui vive, prendiamo tutto que-
Noi attori quando andiamo nelle comunità italiane
all’estero, l’ho fatto diverse volte, troviamo un entusiasmo
bellissimo. Noi siamo molto contenti, perché quello è un
pubblico che ha voglia di sentirci, non stando in Italia ha
una voglia enorme, che dà a noi ancora più entusiasmo.
Sentiamo un amore nei nostri confronti che il pubblico in
Italia non riesce ad esprimere
Collaudatissima, con affianco alcuni giovani, molto bravi, anche se non hanno grande
esperienza, proprio perché giovani. Hanno infatti l’età dei personaggi che interpretano. È una
novità che il regista Marco Bernardi ha voluto. Anch’io avevo
fatto Constantin, con Alida Valli, ma non ero così giovane, avevo già fatti i fratelli Karamazov
e altre cose in televisione. È interessante lavorare quindi con
questi ragazzi ancora freschi. Lo
spettacolo è corale e pertanto in
scena tutti quanti devono essere
bravi. Non ci possono essere zoppicamenti.
"La locandiera", al contemporaneo: abbiamo interpretato “Coppia aperta” di Dario Fo per quattro anni e siamo andati con questo
spettacolo pure a Parigi.
Ecco, questi autori contemporanei, al di là di Dario Fo che è
universalmente conosciuto, avete però recitato anche testi di Cavosi
Abbiamo fatto la "Medea" di
Euripide e abbiamo chiesto a lui
di scrivere una Medea e un Giasone contemporanei. Cavosi è di
Merano e noi lavoriamo con il
Teatro Stabile di Bolzano, c’è anche un fatto di conterraneità.
Insomma ha preso questi due personaggi della mitologia greca e li
ha messi nell’epoca fascista, con
un risultato straordinario.
quanto amore,
gli italiani di fuori
A proposito di Bolzano, il vostro è un teatro italiano in una
realtà in cui gli italiani sono una
minoranza, come ci si sente a recitare in un tale contesto, che assomiglia in qualche modo a quello dei nostri lettori?
Noi siamo attori a Bolzano
in Italia dove maggioritaria è
la comunità tedesca. Mentre qui
ci rivolgiamo a italiani, comunità minoritarie in nazioni come
Slovenia e Croazia. Noi attori
quando andiamo nelle comunità
italiane all’estero, l’ho fatto diverse volte, troviamo un entusiasmo bellissimo. Noi siamo molto
contenti, perché quello è un pubblico che ha voglia di sentirci,
non stando in Italia ha una vo-
palcoscenico 3
Martedì, 3 febbraio 2009
Il gabbiano
Trieste mi piace più di altre città. Più di Genova ad
esempio, perché Trieste è mitteleuropea. Saremo un
po’ demodè, nostalgici dell’epoca asburgica, ma la
letteratura che ci ha dato quel periodo, da Schnitzler
a Hofmannsthal, Schweig, Joyce, Svevo: grandissimi
personaggi di una letteratura moderna che in fondo parla
del disfacimento di un’era e del disfacimento simbolico
della vita. Letteratura sublime, di un livello magnifico
glia enorme, che dà a noi ancora più entusiasmo. Sentiamo un
amore nei nostri confronti che il
pubblico in Italia non riesce ad
esprimere.
caro pubblico, parla!
Il pubblico di Trieste poi in
particolare ha fama di essere
freddino.
Si è vero, però io amo molto questa città, ho molti amici e
qui ho fatto spettacoli eccezionali: “Il pellicano” di Strindberg
negli anni ’80. Spettacolo memorabile con il pubblico, che tu definisci freddino, che si alzava in
piedi urlando entusiasta. Ho fatto
“Moissi” di Pressburger e quindi
questa è casa mia, questo è il mio
camerino e questo il mio teatro. Al
pubblico dicevo “signori, se avete qualcosa da dire ditelo, esprimete le vostre emozioni, fateci capire cosa sentite”. Purtroppo ho
troppo poco tempo per stare qui.
Ho un sacco di amici che hanno
comprato casa a Trieste e quando possono, corrono, vengono a
starci. Ho anche qualche parente
da queste parti. Un sacco di gente
mi telefona quando arrivo per avvisarmi che verrà a vedermi ed io
sono felicissimo di sentirli, di incontrarli. Sono nato a Fano, dove
c’è il mare e a me il mare piace
moltissimo. Però Trieste mi piace
più di altre città. Più di Genova
ad esempio, perché Trieste è mitteleuropea. Saremo un po’ demodè, nostalgici dell’epoca asburgica, ma la letteratura che ci ha
dato quel periodo, da Schnitzler
a Hofmannsthal, Schweig, Joyce,
Svevo: grandissimi personaggi di
una letteratura moderna che in
fondo parla del disfacimento di
un’era e del disfacimento simboli-
“Il gabbiano” è un dramma in 4 atti scritto nel 1895
da Anton Cechov. Sembra che la sua prima rappresentazione a Pietroburgo fosse un insuccesso clamoroso e che
Vera Komissarzhevskaya, la quale impersonava Nina,
fosse stata così intimidita dall’ostilità del pubblico da
perdere la voce. Certo è che un paio d’anni dopo Stanislavsky e Nemirovic-Dancenko che, l’anno precedente avevano fondato a Mosca il Teatro d’Arte, misero in
scena una nuova versione dell’opera e questa volta fu un
trionfo.
Il dramma si svolge in una tenuta estiva, proprietà
di Sorin (Carlo Simoni), un ex impiegato statale di salute cagionevole. Sorin è il fratello della famosa attrice
Arkadina (Patrizia Milani), che è appena giunta nella tenuta con il suo amante, Trigorin (Maurizio Donadoni),
per una breve vacanza. Gli ospiti di Sorin sono riuniti
per assistere a un dramma scritto e diretto da Konstantin
Trepliov, il figlio di Arkadina. Recita Nina, una giovane
che vive in una vicina tenuta. Arkadina ride del dramma, trovandolo ridicolo e incomprensibile, e Konstantin
si infuria. Da qui prende l’avvio una lunga sequela di liti
e incomprensioni che condurranno alla fine tragica del
dramma. Ci sono molti triangoli romantici tra gli astanti.
Il maestro elementare Medvedenko ama Maša, la figlia
dell’amministratore della tenuta. Maša a sua volta ama
non corrisposta Konstantin, che fa la corte a Nina. Nina
sarà poi ammaliata, irretita e abbandonata da Trigorin,
che però continuerà a stare affianco ad Arkadina. In mezzo a tutto questo l’uccisione di un gabbiano, l’uccisione
simbolica della felicità e della libertà. Nessuno tra gli
scrittori della vecchia Russia ha saputo ritrarre nella sua
produzione artistica tutta la confusione spirituale della
vita russa, la tragedia sconfinata della grigia mediocrità,
l’esistenza scialba e gretta senza ideali e senza mete o al
contrario con troppi ideali e troppe mete, la vita sciupata di uomini corrosi dalla consapevolezza dell’inutilità
della loro vegetazione improduttiva, schiavi dell’abitudine di vivere.
co della vita. Letteratura sublime, di un livello magnifico. Ho
fatto “La torre” di Hofmannsthal per la regia di Ronconi,
tratto da “La vita è sogno”
di Calderon de la Barca, con
Branciaroli nella parte di mio
figlio anche se siamo coetanei.
Io facevo il re che deve decadere, anche per la mia fisicità, e
lui, più selvaggio, faceva il figlio, un po’ animale…
terre di civiltà
e rispetto
Che è un po’ il suo personaggio.
E poi, tornando a queste
terre, qui c’è un livello di civiltà che, io vivo a Roma, non
si trova dappertutto. C’è rispetto, c’è una sensibilità
civile che altrove si sta perdendo.
4
palcoscenico
Martedì, 3 febbraio 2009
Martedì, 3 febbraio 2009
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L’Istruttoria
Il silenzio complice
T
rieste. Politeama Rossetti. C’è una cosa che
lascia sempre disorientati, quando si parla di mafia,
la straordinaria naturalezza
dell’omertosa quotidianità di
quanti vivono in quel contesto. Paura, abitudine, tutte due le cose assieme. A noi
distanti, ma non troppo, osservatori televisivi di truffe,
rapine, intimidazioni, omicidi e stragi fa sempre un certo
effetto sentire le interviste dei
tanti “io non c’ero e se c’ero
non ho visto, non ho sentito
niente, a me sembrava una
brava persona”. L’omertà,
la connivenza sono un male
profondo che colpisce la società ed alcune parti di essa
in particolare. Sconvolge il
vedere poi che questi mali
si insinuano sempre più tra
di noi, che apparentemente
credevamo di esserne esenti.
Pensavamo che solo in Sicilia
o giù di lì certe cose potessero
accadere. E invece assistiamo
sempre più ad un dilagante
menefreghismo, alla fine di
quel senso civico profondo
che caratterizzò la nostra società fino a qualche decennio
fa, che fa voltare dall’altra
parte per non vedere. E intanto persone vengono derubate, violentate, uccise sotto
i nostri occhi, senza che noi
ci rendiamo conto di quanto
sia devastante il “farsi i fatti
propri”.
Giuseppe Fava, ucciso il 5
gennaio 1984 davanti al Teatro Stabile di Catania, era
un ottimo scrittore e un coraggioso giornalista che non
temeva di dire le cose così
come stavano e che ha pagato con la vita proprio per
aver posto in luce gli accordi
e le intese fra Cosa Nostra e i
cavalieri del lavoro catanesi.
Era uno che non voleva farsi i fatti propri, scriveva, anzi
dirigeva un giornale a Catania di denuncia e fu ucciso
dagli uomini di Santapaola,
L’importanza di chiamarsi Ernesto
Come si deforma la realtà
M
“per fare un favore ai siciliani e ai cavalieri”, come
ebbe a dire al processo uno
degli esecutori del crimine,
Maurizio Avola, collaboratore di giustizia, condannato quale esecutore materiale
del delitto.
“L’istruttoria” è il lavoro
teatrale che Claudio Fava, figlio del giornalista ucciso, ha
scritto. Una delle cose migliori che abbia saputo fare per
onorare la memoria del padre
e per far conoscere il drammatico contesto della società siciliana. Si basa su alcune significative deposizioni al
processo di un commissario di
polizia, di un giornalista collega e di un potente editore, di
un politico e dell’amica di un
mafioso. Emerge una società
farsesca, in cui tutti sanno e
tutti fanno finta di niente o
ancor peggio si adoperano
per dare una mano, coprire,
sviare. Giganteggia l’immagine di un mondo grottesco
senza morale, senza dignità,
una realtà schifosa, che fa
vomitare. Il testo è conciso e
comunque completo, l’allestimento di Ninni Bruschetta
è perfetto, i due attori Claudio Gioè e Donatella Finocchiaro, che ovviamente fanno più parti in scena, sono
semplicemente bravi. Sono
accompagnati da un gruppo
di musicisti Giovanni Arena (contrabbasso), Vincenzo
Gangi (chitarra), Riccardo
Gerbino (percussioni) e dalla
voce di Faisal Taher, che riproduce una nenia, la quale
richiama ad un profondo dolore arcaico e tribale. Un’interessante pagina di teatro
contemporaneo d’impegno
civile proposta tra gli “Altripercosri” dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia.
“Ogni processo è un palcoscenico irripetibile” spiega
l’autore. “Un luogo che incrocia destini, parole, follie.
Che ricostruisce la storia dei
fatti e quella dei pensieri che
li precedettero. Che mescola
menzogne a verità. In questo
senso, il processo in morte di
Giuseppe Fava è già teatro:
per la storia civile che rivela,
per l’umanità malata di certi suoi personaggi, i testimoni imbelli, i mafiosi arroganti, gli investigatori ignavi. Ma
anche per coloro che non si
piegarono, che conservarono
intatta la memoria delle cose
accadute e del loro perché”.
Il regista Ninni Bruschetta
rincara con partecipazione:
“Dopo aver letto questo testo
mi sono chiesto a cosa serva
un processo per omicidio. Là
dove il peggio è fatto si continua a celebrare il male, aggiungendo al dolore l’oscenità: il racconto dell’omicida,
la difesa immorale dei colpevoli, e fazioni di innocentisti
e colpevolisti, che fanno riecheggiare, come in un effetto
domino, la tragedia già consumata, ma non ancora finita”. (rp)
erito di Oscar Wilde se “L’importanza di chiamarsi Ernesto” è la
bella commedia teatrale (ma anche film) che è. Merito della sua mente
brillante, della profonda conoscenza dell’animo umano, del suo occhio più impietoso di una radiografia, della sua penna
deliziosamente graffiante. Con il sorriso
si può dire di tutto. E Wilde lo ha fatto.
Merito di Oscar Wilde se “L’importanza di chiamarsi Ernesto” è la bella
commedia teatrale (ma anche film) che
è. Merito della sua mente brillante, della
profonda conoscenza dell’animo umano,
del suo occhio più impietoso di una radiografia, della sua penna deliziosamente graffiante. Con il sorriso si può dire di
tutto. E Wilde lo ha fatto.
La commedia, così, ci lascia ridere
dell’incoerenza dell’uomo di oggi, della sua capacità di (r)esistere oltre l’apparenza. E ridiamo della figura meschina che fa loro (noi?) fare il gioco della
finzione, del voler apparire piuttosto che
essere, pur di raggiungere lo scopo.
Algernoon e John sono simpatici, ma
i personaggi che piacciono e che coinvolgono, dell’opera, sono quelli femminili: l’ingenua Cecily, Gwendalin pericolosamente intelligente e Lady Bracknell archetipo di tutte le donne cattive e
potenti.
Wilde prende in giro elegantemente il
mondo dell’aristocrazia britannica di un
secolo fa; oggi, potremmo dire che prende in giro il mondo falso di oggi, sottolinea di rosso l’impossibilità dell’uomo
moderno di vivere con onestà. Servono
occhiali con diottrie speciali, per vedere
il mondo e le persone che vorremmo far
credere di essere.
Tutti i personaggi della piece sono, in
questo, strabici: nessuno è chi è. Verissimo nei personaggi maschili di Jack-Ernest, e Algernoon-Bunbury , che gestiscono addirittura una doppia vita. Ma
“vede doppio” anche Cecily che per aver
sognato di fidanzarsi con il fratello dello zio Jack, quando Algernoon le si presenta come fratello di Jack non ha alcun
dubbio e conclude che l’uomo è il suo fidanzato. Cambia registro anche il dottor
Chasuble; non resta in debito Gwendolin
quando dichiara di essere stata allevata
in “un’estrema miopia”, per cui non può
“vedere niente senza le sue lenti”. La sua
miopia, a conti fatti, è sintomo della sua
incapacità di vedere un po’ più in là, oltre il proprio io.
Su questo gioco degli equivoci equivoci ed equivoci creati, si sviluppa la
commedia.
Il signor John Worthing, uomo assai ricco ma di ignoti natali si è creato
un fratello, Earnest, per poter scappare
a Londra ogniqualvolta vuole scappare
dalla sua vita reale. In città se la spassa
con l’amico Algernoon Moncrieff che si
scoprirà essere suo fratello. Quindi, bugia su bugia, John ha detto la verità. Il ritrovamento di John bambino è stato causato da Miss Prism che lo aveva perso
bambino riponendo nella carrozzina un
suo romanzo e mettendo il bambino nella
borsa. Può succedere solo sul palcoscenico (o forse no: quante madri e padri dimenticano i bambini in macchina?).
Insomma, vita rocambolesca e su due
binari, per John fin dall’infanzia e così
sarà fino alla chiusura del sipario. Tra risate, sarcastiche punzecchiature, equivoci, perfidie… Sì, Oscar Wilde ha saputo
ben cucire l’uomo di ieri per farlo andar
bene anche oggi.
Titoli di richiamo, “L’importanza
di chiamarsi Ernesto” (che nella traduzione dall’inglese, “The importance
of beoin Ernest” fa un po’ soffrire perché non consente il gioco di parole dell’inglese), che non ha perso niente della
sua sagacia. Messo in scena la settimana
scorsa dallo Hrvatsko Narodno Kazalište
di Zagabria, ha lasciato intuire una serata di prim’ordine. Adesso, viene da dire
“niente male”, ma non sono state scintille.
Belle le scene, un po’ esagerate nei
colori e nei disegni – forse a dimostrare con quanti colori e orpelli l’uomo interviene nell’apparire – quasi una Sono piaciuti, comunque, Dušan Bučan, Olga Pakalović e Alen Šalinović. Perchè,
casa di bambola dentro la quale sbir- Luka Dragić, Branka Cvitković, Zrinka checchè se ne dica, farà anche ridere, ma
ciare cosa fanno, appunto, le bambole. Cvitešić, Goran Grgić, Vlasta Ramljak, la commedia è una cosa seria. (Ro)
6 palcoscenico
Martedì, 3 febbraio 2009
TEATROMESTIERI Il dietro-le-quinte
Carlo Turetta,
tecnico del suono
Carlo Turetta,
tecnico del suono
Q
uando ho conosciuto Carlo Turetta, circa
vent’anni fa, portava ancora i capelli lunghi, neri. Una
bella chioma che sottolineava il
vare il suono. Le prime file godono pochissimo dell’amplificazione e sentono di più la voce
reale dell’attore, mentre le file
più lontane sentono quasi solo
Bisogna studiare sempre,
esce sempre materiale nuovo,
completamente diverso dal
precedente, e bisogna aggiornarsi
continuamente. Lavoriamo quasi
esclusivamente con il computer,
una tecnologia in continua
mutazione, ma studiare fa anche
bene
suo ruolo: come dire “vivo nel
mondo dello spettacolo”. Gli
anni sono passati, i capelli si
sono visibilmente accorciati e
Carlo conserva ancora quell’aria vivace e gentile della sua
gioventù. Da più di vent’anni
tecnico del suono al Teatro Rossetti di Trieste.
noi, la voce
degli attori
Qual è la funzione del tecnico del suono in un teatro di
prosa, in cui gli attori dovrebbero recitare senza essere amplificati?
In premessa bisogna dire
che una volta gli attori recitavano senza essere amplificati,
erano abituati a spingere il volume della propria voce. Allora i trenta metri, che separano
l’inizio del palco dal fondo della platea, venivano coperti benissimo dalla sola voce dell’attore. Da un po’ di anni a questa
parte gli attori si sono un po’
“impigriti”, i registi pretendono sfumature di intenzioni che
portano l’attore a usare un volume più basso per dare la sensazione giusta della scena. E allora si preferisce usare radiomicrofoni, quasi sempre.
Come intervenite voi fonici?
In due modi sostanzialmente. Con un’amplificazione panoramica: mettiamo microfoni
di vario tipo, a seconda di com’è costruita la scena, all’interno della scena stessa, o nascosti dietro varie attrezzerie mobili o dietro le quinte. Fucili o
mezzofucili, microfoni che permettono la ripresa a distanza, a
tre o cinque metri dalla bocca.
Strumenti che riprendono benissimo la voce, insomma, posti tutti attorno ad amplificare lo spazio scenico, in modo
che, in ogni punto in cui l’attore deve dire una battuta, ce n’è
uno in grado di riprenderlo e rimandare attraverso gli altoparlanti il suono, specialmente nella parte più lontana della platea.
Con questi nuovi impianti di
diffusione sonora non avviene
più che il suono si senta forte
vicino alla cassa e debole lontano. Oggi ci sono altoparlanti
direttivi che sparano il suono
a maggiore pressione sonora
dove è più necessario far arri-
il suono amplificato. Questo è
il modo più semplice e veloce
per amplificare, l’amplificazione panoramica appunto. Se invece c’è l’esigenza che un attore bisbigli e tutti devono sentire
bene quel bisbiglio, allora bisogna usare il radiomicrofono.
Che è quel bruttissimo aggeggio che spesso vediamo
appiccicato alla faccia degli
attori o dei cantanti.
Sì, c’è una scatolina che si
deve mettere addosso, a seconda dei costumi, o appiccicata sulla pelle o nelle tasche
apposite, e poi c’è una piccola
capsulina, le fanno sempre più
minuscole, che va messa o sulla guancia, in testa o addirittura
sul bavero della giacca, o come
una spilla sulla cravatta.
questione di memoria
Che cosa cambia per il
pubblico, rispetto ad una volta quando non c’era amplificazione?
Quelli che sono più lontani,
nelle ultime file, in loggione,
gli impianti di diffusione, con
la scoperta di nuovi sistemi di
diffusione acustica il nostro lavoro è migliorato, ed è agevolato anche molto. Mentre una
volta si faceva tutto a mano e
se per esempio dovevo amplificare uno spettacolo con venti attori, dovevo tener d’occhio
venti persone manualmente,
adesso con i mixer digitali si
possono creare delle memorie
e premendo un bottone si ac-
Ho avuto la fortunissima di
lavorare con grandi grandi!
Gassman, Mastroianni, Strehler.
Grandi maestri, ognuno di loro
mi ha insegnato qualcosa. Più
grandi sono e meglio si lavora, ti
mettono nelle condizioni di dare il
massimo. Poi bravi e gentili
colgono tutto, anche le sfumature della recitazione. Bisogna
tener presente che per esigenze di copione a volte gli attori sono chiamati a recitare con
le spalle al pubblico o al più di
fianco. In questo caso se non ci
fossero i radiomicrofoni si perderebbe molto del recitato.
Sono dettagli non irrilevanti, perché una volta i registi stavano molto attenti a
questi aspetti, oggi invece,
cambiati i canoni della recitazione, sono alla ricerca di stili
che senza amplificazione non
potrebbero esistere. Anche la
tecnologia vi viene incontro?
In questi ultimi dieci anni
la tecnologia del settore ha fatto passi da gigante. Con la digitalizzazione dei mixer, de-
cendono, si spengono e si modificano i volumi di venti persone assieme.
lavoro per passione
Come hai cominciato questo lavoro?
Già quando facevo l’istituto tecnico questo lavoro mi appassionava, avevo cominciato a
dare una mano all’unica ditta
che forniva service per l’amplificazione a Trieste, facevo
il tiracavi e avevo quattordici,
quindici anni.
La gavetta.
Si proprio la gavetta, poi cominciai a montare i primi impianti, alla fine degli anni settanta aprii con un amico anche
una ditta, poi la chiudemmo,
mancava ancora l’esperienza.
Ho fatto il fonico anche durante
il servizio militare, avevo detto
al comandante che facevo questo mestiere.
Ti è andata bene, non tutti potevano fare quello che gli
piaceva durante la leva, che
al tempo era ancora obbligatoria. E poi?
Poi sono arrivato in teatro.
A quel tempo non serviva ancora il fonico così come è inteso
ai giorni nostri. Nell’83 -84 si
mandavano le basi registrate su
bobine, musiche od effetti sonori, rumori insomma, il vento, tuoni, la pioggia… E questo
era un lavoro che veniva fatto
prevalentemente dal direttore
di scena o dall’attrezzista. In
quegli anni il lavoro dietro le
quinte cominciò a complicarsi
e si cominciò a delineare l’esigenza di questa nuova figura di
fonico, anche perché aumentarono vistosamente i materiali e
le attrezzature da usare.
E divennero anche più costosi?
Certo. Pensa che quando
frequentavo l’istituto tecnico
ho studiato valvole e transistor,
solo all’ultimo anno ho studiato
qualche circuito integrato. Oggi
ci sono solo circuiti integrati, è
tutto digitale. Quella volta si
lavorava tutto in analogico e
c’era un problema di rumori di
fondo, di poca qualità quindi
dei suoni riprodotti. Oggi con
la digitalizzazione i suoni sono
più belli, più precisi.
Più puliti.
Sì. Il problema è che bisogna studiare sempre, esce sempre materiale nuovo, completamente diverso dal precedente, e bisogna aggiornarsi continuamente. Lavoriamo quasi
esclusivamente con il computer, una tecnologia in continua
mutazione. Abbiamo macchine
che lavorano con il Linus con il
Windows, con il MacIntosh: bisogna studiare sempre, fa anche
bene a dire il vero.
Con chi hai lavorato meglio, con chi peggio?
Ho avuto la fortunissima
di lavorare con grandi grandi!
Gassman, Mastroianni, Strehler. Grandi maestri ognuno di
loro mi ha insegnato qualcosa.
Più grandi sono e meglio si lavora, ti mettono nelle condizioni di dare il massimo. Poi bravi
e gentili.
macchine in fumo
E incidenti te ne sono capitati?
Pochissimi e niente che non
fosse riparabile. Sai si può bruciare un mixer, un lettore di cd
prima delle spettacolo e allora
son dolori. Solo una volta prima dell’inizio di uno spettacolo in un teatro della regione
(ndr in Friuli), per un problema di corrente, si bruciarono
due o tre macchine e dovemmo
fare lo spettacolo senza fonica.
L’elettricista aveva sbagliato
l’allaccio, invece di darci 220
volt ce ne aveva dati 380 e le
macchine fumarono.
Il pubblico se ne accorse?
Che ci sia una musica o un
effetto sotto una battuta lo sappiamo noi, addetti ai lavori,
non il pubblico e infatti nessuno si accorse di nulla. A volte ci
si fa anche male durante gli allestimenti, si cade, ci si ferisce,
ma si va avanti anche con una
gamba rotta: “the show must
go on”.
Rossana Poletti
palcoscenico 7
Martedì, 3 febbraio 2009
TEATRALIA Il grande premio del teatro
Una Notte per gli UBU
Fondato nel 1979 dal critico,
saggista e traduttore Franco Quadri, il Premio UBU, nei primi anni
di percorso ha compreso anche di
cinema e di lirica. In seguito il premio si indirizzò al teatro, monito-
rando i palcoscenici e segnalando
le rappresentazioni, le regie, le interpretazioni più significative.
In trent’anni di significativa,
preparata presenza, il premio UBU
e la rivista “Il Patologo” sono di-
ventati punto di riferimento per
quanti fanno e si interessano di teatro.
Quest’anno la cerimonia di premiazione, prevista inizialmente al
“Piccolo”, è stata trasferita per mo-
tivi tecnici alla sede della “Fondazione Arnaldo Pomodoro”, sempre
a Milano: il 27 gennaio l’attribuzione dei premi, presentata da Mario
Perrotta (in lizza per la palma di
miglior attore).
I migliori del 2008
Spettacolo dell’anno: Trilogia della villeggiatura di Carlo Goldoni, regia Toni Servillo;
Miglior regia: Massimiliano Civica per Il mercante di Venezia, di William Shakespeare, Compagnia Civica Borgogni De Summa Feliziani Romagnoli;
Miglior attrice: Mascia Musy (Anna Karenina);
Miglior attore non protagonista: Paolo Pierobon (Anna Karenina);
Miglior attrice non protagonista: Elena
Ghiaurov (Itaca di Botho Strauss, L’antro delle
ninfe da Omero e Porfirio);
I tre (davvero) Speciali
Assegnati, per la Stagione anche tre premi speciali. Questi gli assegnatari e la motivazione:
Drodesera Fies, per il crescente impegno nel configurarsi come
emblematico crocevia di diverse generazioni di artisti e come luogo di
confronto in cui far maturare l’esperienza di ricerca di formazioni anche molto giovani, grazie alla creativa proposta di una Fies Factory
One in interessante sviluppo sul piano nazionale e internazionale
I Sacchi di Sabbia, per il complesso di un’attività caratterizzata dalla vivacità di una scrittura condotta con freschezza creativa e irridente,
giunta con “Sandokan o la fine dell’avventura” a un nuovo capitolo di
una ricerca sincera, lunga e appassionata
Pathosformel, giovane compagnia tesa a un teatro astratto e fisico
da perseguire con un segno già distinto e stratificato, che fa della ricerca sulla materia e sul corpo un punto di partenza per restituire una teatralità visionaria, frammentata, decostruita, di grande fascino, entrata
in modo dirompente nella scena nazionale e internazionale, realizzando un significativo intreccio tra arte concettuale e teatro.
Miglior attore: Alessandro Bergonzoni (Nel);
Miglior scenografia: Marius Nekrosius per
Anna Karenina;
Nuova attrice under 30: Chiara Baffi
Nuovo testo italiano o ricerca drammaturgica: La badante di Cesare Lievi (Centro Teatrale
Bresciano);
Migliore novità straniera: Hamelin di Juan
Mayorga (Psicopompo Teatro);
Miglior spettacolo straniero presentato in
Italia: Fragments da Samuel Beckett (regia Peter
Brook, Théâtre des Bouffes du Nord).
8 palcoscenico
Martedì, 3 febbraio 2009
CARNET PALCOSCENICO rubriche a cura di Carla Rotta
TEATRO Il cartellone del mese
IN CROAZIA
IN ITALIA
Teatro Nazionale Ivan de Zajc - Fiume Teatro lirico Giuseppe Verdi - Trieste
3, 4 e 5 febbraio ore 19,30;
6 febbraio ore 10 ZAJC OFF
La bella e la bestia da Jeanne-Marie Le Prince de Beaumont. Regia Vito Taufer. Interpreti Anastazija Balaž Lečić,
Tanja Smoje, Ana Vilenica,
Damir Orlić, Jasmin Mekić,
Žarko Radić, Dražen Mikulić,
Alen Liverić
20, 24 e 26 febbraio ore 20,30; 21 febbraio ore 16; 28 febbraio ore
17
Norma di Vincenzo Bellini. Regia Federico Tiezzi. Interpreti Roberto Aronica, Roberto De Biasio, Giacomo Prestia, Nikolaj Didenko, June
Anderson, Tatiana Serjan, Laura Polverelli, Renata Lamanda
Politeama Rossetti - Trieste
Ciclo:Prosa
4, 5, 6 e 7 febbraio ore 20,30; 5 e 8 febbraio
ore 16
L’agente segretodi Joseph Conrad. Regia Marco Sciaccaluga. Interpreti Roberto Alinghieri, Alice Arcuri, Gianluca Gobbi, Orietta Notari, Nicola
Pannelli, Federico Vanni
11, 12, 13 e 14 febbraio ore 21; 15 febbraio
ore 17
Cercivento di Riccardo Maranzana, Massimo
Somaglino
dal testo “Prima che sia giorno” di Carlo Tolazzi. Regia Massimo Somaglino. Interpreti Riccardo
Maranzana, Massimo Somaglino
reira, Vladimir de Freitas Rosa,
Marta Voinea, Danijela Menkinovski
6, 7 e 9 febbraio ore 19,30
Ero il fidanzato caduto
dal cielo di J. Gotovac. Regia
Krešimir Dolenčić. Interpreti
Ivica Čikeš, Siniša Štork, Nelli Manuilenko, Anđelka Rušin,
Valentina Fijačko, Vedrana
Šimić, Olga Šober, Miljenko
Đuran, Damir Fatović, Janez
Lotrič, Mirko Čagljević, Robert
Kolar, Marko Fortunato, Marijana Radić, Antonio Haller
20, 23, 24, 25 e 26 febbraio
ore 19,30
Il barbiere di Siviglia di G.
Rossini. Regia Ozren Prohić. Interpreti Sergej Kiselev, Zrinko
Sočo, Bojan Šober, Sarah Castle, Helena Lucić, Robert Kolar, Ljubomir Puškarić, Ivica
Čikeš, Siniša Štork, Dario Bercich, Saša Matovina, Arijana
Marić Gigliani
Ciclo: Altri percorsi
6 e 7 febbraio ore 20,30
Casa di bambola di Henrik Ibsen. Regia Leo
Muscato.
Interpreti Lunetta Savino, Paolo Bessegato,
Salvatore Landolina, Carlina Torta, Riccardo
Zinna
18, 19, 20 e 21 febbraio ore 20,30; 19 e 22 febbraio ore 16
Enrico IV di Luigi Pirandello. Regia Paolo Valerio. Interpreti Ugo Pagliai e Paola Gassman, Roberto Petruzzelli, Alessandro Vantini, Teodoro Giuliani, Roberto Vandelli, Giuseppe Lanino, Beatrice
Zardini, Andrea De Manincor, Francesco Godina,
Francesco Mei
23 e 24 febbraio ore 20,30
Viaggiatori di pianura di Gabriele Vacis e Natalino Balasso. Regia Gabriele Vacis. Interpreti
Laura Curino, Natalino Balasso, Cristian Burruano, Lyiu Jin
Ciclo: Fuori abbonamento
12 febbraio ore 21
Il cielo ha una porta sola Biagio Antonacci in
concerto
11, 12, 13, 14, 16 e 17 febbraio ore 19,30
Ana Karenjina balletto di R.
Sčedrin. Regia Dinko Bogdanić.
Interpreti Bojana Nenadović
Otrin, Cristina Lukanec,
Anna Ponomareva, Valeri
Rasskazov, Filip Viljušić, Zoran Jakšić, Paula Rus, Ronald
Savković, Andrei Köteles, Marina Grgurić, Dmitri Andrejčuk,
Oxana Brandiboura, Anka Popa,
Antonija Družeta, Svetlana
Andrejčuk, Camila Izabel Mo-
27 e 28 febbraio ore 19,30
Nunsense di Dan Goggin.
Regia Mojca Horvat. Interpreti Olivera Baljak /Andreja
Blagojević, Vivien Galletta / Leonora Surian, Andreja
Blagojević / Elena Brumini, Antonela Malis / Leonora Surian,
Anastazija Balaž Lečić / Kristina Kaplan
25, 26, 27 e 28 febbraio ore 20,30; 26 marzo
ore 16
Pipino il Brevecommedia con musiche di Tony
Cucchiara. Regia Giuseppe Di Martino. Interpreti
Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Anna Malvica,
Ilaria Spada, Mirko Petrini
13 e 14 febbraio ore 20,30
Concerto con Franco Battiato
Teatro cittadino - Pola
5 e 6 febbraio ore 20
Furbaćona/La moschetada Angelo Beolco-Ruzante.
Regia Jasminko Balenović.
15 febbraio ore 21
Solo show Vinicio Capossela in concerto
Interpreti
Denis
Brizić,
Romina Vitasović, Rade
Radolović, Teo Tiani, Alfredo Kocijančić
19, 20 e 21 febbraio ore 21; 22 febbraio ore 17
Tunnel di Fabio Alessandrini e Carlo Tolazzi
collaborazione artistica di Christophe Le Maitre
e Riccardo Maranzana. Interpreti Fabio Alessandrini, Damien Hennicker
La Contrada - Trieste
13, 14, 18, 19, 20 e 21 febbraio ore 20,30; 15,
17 e 22 febbraio ore 16,30
Ditegli sempre di sì di E. de Filippo. Regia Geppy Gleijeses. Interpreti Geppy Gleijeses, Gennaro
Canavacciuolo. Lorenzo Gleijeses, Gigi de Luca
27 e 28 febbraio ore 20,30
Scherzi di A. Cechov. Regia Massimo Chiesa. Interpreti Andrea Brambilla, Nino Formicola,
Eleonora D’Urso, Giovanni Vitaletti
Anno IV / n. 39 del 3 febbraio 2009
IN SLOVENIA
Teatro cittadino - Capodistria
Spettacoli fuori sede
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
Edizione: PALCOSCENICO
Redattore esecutivo: Carla Rotta
Impaginazione: Saša Dubravčić
Collaboratori: Rossana Poletti
La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano
con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004