Il postmoderno ucciso dalle sue caricature

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Il postmoderno ucciso dalle sue caricature
È difficile accettare l´idea per cui tutto dipende esclusivamente dagli schemi concettuali. Se ne Il
postmoderno ucciso dalle sue caricature
di Diego Marconi
la Repubblica 3.12.11
Molti filosofi, e anche molti non filosofi, condividono la convinzione che la verità o falsità dell
´enunciato "Sulla Luna ci sono montagne alte più di 4000 metri" non dipenda da noi né dal nostro
linguaggio, ma dipenda soltanto da come è fatta la Luna, e in particolare da quanto sono alte le sue
montagne. Che alcune di esse sono più alte di 4000 metri era già vero prima che esistessero esseri
umani, e sarebbe stato vero anche se la nostra specie non fosse mai apparsa sulla Terra. Chiamiamo
questa convinzione "l´intuizione realista". D´altra parte, molti filosofi – e molti non filosofi –
condividono anche la convinzione che la realtà possa essere descritta in vari modi diversi, e che il
modo in cui la descriviamo dipenda dal nostro linguaggio, o, se si preferisce, dai nostri concetti. Se
non avessimo il concetto di montagna non potremmo né dire né pensare che sulla Luna ci sono
montagne alte più di 4000 metri. Chiamiamo questa seconda convinzione, non meno largamente
condivisa della prima, "intuizione ermeneutica".
Rinunciare all´una o all´altra delle due intuizioni è molto costoso. Se si rinuncia alla prima, rischia
di venir fuori che l´altezza delle montagne lunari dipende dalla nostra mente o dal nostro
linguaggio; ma sembra ovvio che né l´una né l´altro sono in grado di incidere sulla superficie lunare
e sui suoi corrugamenti. Se si rinuncia alla seconda intuizione, si giunge alla conclusione che c´è un
´unica descrizione corretta della realtà; ma quale? Pare strano dire che non è vero che nella stanza in
cui sto scrivendo ci sono libri, computer e pennarelli, ma è vero soltanto che ci sono particelle
elementari variamente assemblate; e poi, che cosa garantisce che i concetti che i fisici usano oggi
siano davvero quelli che «ritagliano la realtà secondo le sue articolazioni», come diceva Platone?
Sembrerebbe più sensato dire che è vero sia che ci sono (nella mia stanza) libri e computer, sia che
ci sono particelle elementari. Dunque i filosofi si sforzano di tenere insieme le due intuizioni, quella
realista e quella ermeneutica, e i diversi dosaggi dei due ingredienti generano le varie forme di
realismo, e anche forme di non-realismo moderato.
Qualche decennio fa l´intuizione realistica non era molto popolare, almeno da noi in Europa,
essendo considerata "ingenua", mentre l´intuizione ermeneutica andava forte. Ora il pendolo ha
compiuto la sua oscillazione, e il clima si è fatto più ospitale per il realismo anche nel nostro
continente (sotto altri cieli esso occupa saldamente il campo fin dal 1972, anno della pubblicazione
di Nome e necessità di Saul Kripke). Ma ciò che è condiviso, o più condiviso di qualche anno fa
non è tanto una versione ben definita del realismo, quanto il rifiuto delle posizioni
caratteristicamente postmodernistiche di fine Novecento: pochi ormai pensano che non ci sono fatti
(ma solo interpretazioni), o che la verità è un effetto del potere, o che la realtà è creata dal
linguaggio o dai nostri concetti, o che scienziati che sostengono teorie incompatibili vivono,
letteralmente, in mondi diversi, e via dicendo. In filosofia come altrove, si raggiunge più facilmente
il consenso su quali posizioni sono sbagliate che non su qual è quella giusta.
È a questo consenso soprattutto negativo che ha avuto il merito di dar voce la proposta di un nuovo
realismo. Una proposta che non si impegna a sostenere una forma precisa di realismo, ma intende
soprattutto suonare la fine della ricreazione per la vulgata postmodernista. Ora vari intellettuali a
suo tempo protagonisti della sbornia antirealista – di cui siamo stati tutti un po´ partecipi, chi più chi
meno – sostengono di non aver mai pensato né detto che non esistono le sedie, i pianeti e gli atomi
o che quando piove non è semplicemente vero che piove. Magari invece hanno detto cose di questo
genere; non perché le credessero davvero ma per l´amore della boutade che contraddistingue il loro
stile di pensiero. In ogni caso, questi filosofi fanno male a disconoscere le presunte boutades, perché
sono effettivamente conseguenze della loro scelta di privilegiare unilateralmente l´intuizione che ho
chiamato ermeneutica rispetto all´intuizione realistica. Se ogni cosa esiste solo per uno schema
concettuale, allora niente esiste semplicemente, neanche le sedie; se ci sono soltanto interpretazioni,
allora è un´interpretazione anche che piove, quando piove. Tutto questo è assai poco convincente. È
giustissimo dirlo; ma, per il filosofo, il lavoro vero resta la faticosa mediazione tra convinzioni
divergenti, ma tutte assai tenaci.
Repubblica 3.12.11
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