Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed
elementi per una sua restituzione*
Giorgio Rocco
Premessa
Non è questa la sede per ripercorrere la storia degli studi sul sito del tempio, peraltro già delineata in più occasioni da Roberto Spadea1; è opportuno però ricordare come
la scarsità di dati relativamente al tempio non ha sino ad oggi consentito di presentare
un’attendibile restituzione dell’edificio, neppure a livello planimetrico. Le ipotesi presentate a tale riguardo sono peraltro problematiche ed hanno di conseguenza condotto in passato alla formulazione di una soluzione planimetrica inconsueta per il panorama cronologico in cui si inquadra di solito l’edificio, il secondo quarto del V secolo a.C.: una peristasi allungata, di sei per sedici o sei per quindici colonne, resa ancor più insolita da un doppio colonnato sulla fronte2, che rimanda a modelli arcaici occidentali con la conseguente esigenza di spiegare le ragioni, in età severa, di scelte architettoniche arcaicistiche in
uno dei più importanti santuari della Magna Grecia.
Ben più significativo il contributo di Dieter Mertens3 sulla colonna e sul tratto di crepidoma superstite, unici elementi architettonici sopravvissuti allo spoglio metodico dell’edificio. Al riguardo l’A. ha chiaramente evidenziato l’appartenenza della colonna e del
suo capitello al contesto culturale occidentale, evidenziandone le affinità con la coeva
produzione siracusana; ha inoltre potuto riscontrare la voluta inclinazione dell’asse della
colonna nonché la curvatura dello stilobate e l’assenza dell’entasis. Significative sono
anche le sue osservazione sulla fondazione del crepidoma, laddove l’eterogeneità dei
blocchi per dimensioni e materiale suggerisce un consistente ricorso a materiali recuperati da un precedente edificio.
Il presente contributo è inteso a presentare le nuove acquisizioni emerse dallo
scavo del tempio svoltosi nel 2003, traendo da queste gli elementi utili a fornire una nuova
interpretazione dei resti dell’edificio4. Le indagini sul sito non si sono naturalmente esaurite con quella campagna di scavo, che ha di fatto interessato la parte occidentale della
peristasi dell’edificio templare, e future ricerche sono indispensabili per liberare integralmente l’area della cella e la parte orientale delle fondazioni.
Quanto viene qui esposto deve conseguentemente essere inteso come una presentazione preliminare dell’architettura del tempio e in quanto tale necessariamente
incompleta e per più di un aspetto ancora ipotetica; approfondimenti e verifiche appaiono necessari ad una più compiuta conoscenza dell’edificio e l’auspicabile rinvenimento
di ulteriori elementi dell’elevato contribuirebbe a fare luce su questioni ancora aperte e
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: L’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
1
Fig. 1
Prospetto orientale del crepidoma (rilievo D. Perrone).
controverse.
Le preesistenze
Prima di analizzare i dati emersi dallo scavo in ordine alla comprensione del tempio
classico, è opportuno sottolineare quanto nell’area fornisce indicazioni riguardo alla presenza di strutture ascrivibili a fasi precedenti, ciò sia in relazione ai nuovi scavi sia ai resti
gia noti perché sempre rimasti in vista.
L’opportunità di un esame delle evidenze in relazione alle preesistenze nasce dalla
possibilità che il tempio classico non sia il primo edificio dedicato a Hera sul sito, ma che
vi sia stato un predecessore arcaico; una possibilità che trovava un valido supporto nelle
già citate osservazioni di Dieter Mertens5 sul tratto orientale delle fondazioni del tempio,
ma che sembra acquisire ulteriore vigore dai recenti rinvenimenti, per i quali si rimanda
ad altre relazioni in questa stessa sede6. D’altronde, se è esistito un predecessore arcaico del tempio classico, questo doveva certamente trovare posto sullo stesso sito, come
è prassi costante in questi casi; da ciò la particolare attenzione a tutte quelle evidenze che
potrebbero e dovrebbero rivelarne l’esistenza.
Un primo dato significativo è senza dubbio riconoscibile nel prospetto a mare del
crepidoma del tempio (fig. 1), dove infatti si distingue facilmente, al di sotto della gradinata che raccorda il tempio alla terrazza orientale, conservata solo nel tratto più settentrionale, almeno cinque filari di blocchi sovrapposti e con il medesimo allineamento nordsud che si configurano come il prospetto orientale di uno spesso muro di terrazzamento
(?), necessariamente antecedente alla realizzazione dello stereobate del tempio che lo
sopravanza. Che si tratti del prospetto di un muro, e non di parte del nucleo dello stesso
2
3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione
crepidoma, si evince chiaramente non solo dall’allineamento verticale dei filari, a formare
un vero e proprio prospetto, ma anche dal trattamento a bugnato con periteneia della
superficie esterna orientale dei tre filari superiori che venivano a costituire la faccia a vista
dello stesso muro (fig. 2); tale finitura non era evidentemente idonea a favorire il contatto
con blocchi adiacenti e ha infatti determinato successivamente il distacco del nucleo
interno della terrazza orientale proprio in corrispondenza di questa struttura (fig. 3).
Il muro è costituito da blocchi di arenaria; dei cinque filari visibili, solo i tre superiori sembrano essere stati a vista e presentano, oltre alle bugne, una tessitura pseudoisodomica, mentre il secondo filare dal basso potrebbe costituire l’euthynteria e restituire
così il livello dello spiccato. Lo spessore del muro, chiaramente distinguibile dall’alto
anche in considerazione dell’omogeneità della struttura nonché dell’evidente soluzione di
continuità con il nucleo interno del crepidoma ad ovest, è pari a m 3.50 e suggerisce che
fosse finalizzato a costituire un terrazzamento verso oriente mantenendo la quota più
occidentale del banco roccioso, che poi degrada rapidamente verso il mare, in modo da
realizzare uno spazio sufficientemente ampio per ospitare un qualche edificio, verosimilmente il predecessore arcaico del tempio di età classica.
Sempre nella stessa area, al limite occidentale del nucleo di fondazioni e arretrato
di circa m 8.15 rispetto al limite orientale del muro di terrazzamento, è identificabile un’altra struttura (?) che appare distinguersi dalla pur eterogenea fondazione del tempio classico (fig. 4). Gli elementi di distinzione sono una composizione più omogenea, tutta di
blocchi di arenaria, una evidente discontinuità con la restante parte del nucleo della fondazione e soprattutto un dislivello nella quota dei filari di circa m 0.24, pari a circa la metà
dello spessore medio dei blocchi (fig. 5); nonostante che l’evidente ricorso a materiali di
spoglio nella fondazione, già segnalato dal Mertens, abbia richiesto in più di un caso
l’adattamento dei letti di attesa, tale rilavorazione è sempre stata contenuta nell’ordine di
Fig. 2
Particolare del trattamento bugnato con periteneia della faccia
orientale dei tre filari superiori del muro di terrazzamento arcaico
(rilievo D. Perrone).
Fig. 3
Particolare della linea di distacco tra nucleo del crepidoma (a
destra) e faccia vista del muro di terrazzamento arcaico (foto
dell’A.).
Fig. 4
Dettaglio planimetrico dell’angolo nord-est con evidenziati i
blocchi pertinenti il muro di terrazzamento arcaico e la possibile
fondazione orientale (?) del tempio arcaico (dis. dell’A.).
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: L’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
3
Fig. 5
Particolare della fondazione ? (in primo piano); si noti il signifi
cativo dislivello rispetto alle fondazioni del tempio classico (foto
dell’A.).
Fig. 6
Veduta delle cavità circolari tagliate dalla trincea di fondazione
del lato occidentale della peristasi del tempio classico (foto
dell’A.).
Fig. 7
Particolare di una delle cavità circolari del lato occidentale chi
ramente tagliata dalla trincea di fondazione della peristasi del
tempio classico (foto dell’A.).
4
qualche centimetro, mentre la struttura a cui si fa riferimento risulta composta da una
decina di blocchi, relativamente omogenei e tutti caratterizzati da una medesima quota
del letto di attesa, ben distinta da quella della restante parte del nucleo del crepidoma.
Questi dati portano a suggerire una fondazione autonoma, spessa m 2.40, e orientata
nord-sud, parallelamente alla terrazza preclassica e lievemente divergente rispetto al tempio di età severa. In questo caso però i riscontri sono d’obbligo e solo con l’estensione
dello scavo a questo settore sarà possibile attribuire con certezza questo lacerto murario
ad una fase precedente. Se però tale ipotesi dovesse rivelarsi corretta, si potrebbero
porre i presupposti per l’identificazione di tale struttura come la fondazione della fronte
orientale del precedente arcaico del tempio di Hera.
Ulteriori indicazioni relative a fasi antecedenti la costruzione del tempio classico
sono rintracciabili in ciò che è emerso dai nuovi scavi (tav. I-III f.t.); in particolare, è motivo di notevole interesse il rinvenimento di numerose cavità circolari tagliate nella roccia
rintracciate lungo il perimetro del tempio a nord, ovest e sud. Tali cavità, profonde intorno
a m 0.70, si presentano con un diametro mediamente compreso tra m 1.10 e 1.25, ma
non mancano cavità di misure notevolmente diverse (m 1.36-0.73); la disposizione delle
buche è in parte regolare, in particolare sul lato sud, ma diventa irregolare allontanandosi dalle trincee di fondazione del tempio classico. Un numero consistente di tali cavità
7)7, attestando una loro anterioappare chiaramente tagliato dalle stesse trincee (figg. 6-7
rità alla costruzione dello stesso tempio classico, la qual cosa costringe a mettere in relazione le cavità con una fase precedente, forse in coincidenza con la realizzazione della
terrazza e del precedente edificio templare. All’atto dello scavo, le cavità erano riempite
di terra a forte contenuto sabbioso con pochissimi resti ceramici8; allo stato attuale delle
conoscenze mi sembra che l’ipotesi più probabile sia quella di fosse per la piantumazione di arbusti o alberelli in diretta correlazione con una prima sistemazione del santuario e
che in tali apprestamenti sia conseguentemente da riconoscere parte dell’alsos dedicato
ad Hera e descritto dalle fonti9. Il boschetto avrebbe circondato il tempio arcaico, di
minori dimensioni rispetto al suo successore classico, e sarebbe stato parzialmente
smantellato all’atto della costruzione di quest’ultimo, pure evidentemente conservandosi
per la parte non interessata dalla nuova costruzione10.
L’eventuale sovrapposizione di due templi pertinenti a fasi cronologiche distinte
comporta la presenza di due sistemi di fondazioni indipendenti; la presenza sul sito di un
esteso banco roccioso che digrada verso il mare solo nell’estremità orientale dell’edificio,
dove già in età preclassica dovette essere realizzato un muro di terrazzamento inteso
forse proprio ad ampliare l’area destinata alla realizzazione di un tempio, richiede una
particolare attenzione all’identificazione di eventuali indicazioni superstiti. Le fondazioni
consistono, in presenza di uno spoglio sistematico del monumento, prevalentemente in
trincee tagliate nella roccia e su tali trincee devono concentrarsi le indagini, poiché difficilmente infatti i due templi potevano avere le stesse dimensioni; la presenza di anomalie potrebbe conseguentemente rivelare preziose indizi di un primo impianto e vanno di
conseguenza attentamente esaminate.
Nonostante lo scavo abbia liberato solo parzialmente i cavi di fondazione, vi sono
in effetti alcune particolarità che potrebbero spiegarsi con la probabile sovrapposizione
dei tagli nella roccia pertinenti a due fondazioni distinte; in particolare, sono le trincee pertinenti alle fondazioni dei bracci nord e sud della peristasi a suscitare qualche perplessità al riguardo (tav. II f.t.). L’ampiezza della trincea nord è infatti inferiore a quella della trincea sud - misura infatti circa m 3.85 contro circa m 4.90 - ed entrambe sono significativamente ampie, al punto che il rispettivo asse mediano non è coincidente con quello del
colonnato della peristasi, dal momento che le colonne sono infatti disposte su di un alli-
3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione
Fig. 8
Restituzione ipotetica dell’area occupata dal precedente tempio
di età arcaica (dis. dell’A.).
neamento più esterno; ciò è poco comprensibile e se, infatti, un disallineamento può
essere ipotizzato, questo dovrebbe essere determinato dalla presenza della crepidine e
quindi dovrebbe comportare una traslazione dell’asse della peristasi verso l’interno dell’edificio e non verso l’esterno. Entrambi queste anomalie sembrano suggerire che le trincee di fondazione nord e sud siano il risultato dell’accorpamento di due diverse trincee.
Lo spessore eccedente verso l’interno dell’edificio potrebbe costituire l’attestazione di
una precedente fondazione pertinente ad un tempio evidentemente meno ampio di quello classico, mentre la diversa ampiezza tra i cavi di fondazione nord e sud testimonierebbe di una lieve traslazione verso sud dell’edificio templare di età classsica rispetto al suo
predecessore. In sostanza, l’ampliamento del tempio sarebbe avvenuto prevalentemente in questa direzione, forse per mantenere un’area di rispetto lungo i bordi della via sacra
che corre a nord11.
Nonostante lo scavo non abbia interessato l’area interna del tempio, alcune tracce
di tagli nella roccia comunque visibili nell’area che doveva essere occupata dalla cella
potrebbero fornire ulteriori indizi. In particolare, due tagli in senso longitudinale (? e ? in
fig. 8) sembrano male accordarsi con quanto è possibile ricostruire della cella dell’edificio classico; in via del tutto ipotetica si potrebbe allora ritenere che tali tracce siano riconducibili alla cella di un tempio precedente, evidentemente più stretto e soprattutto lievemente traslato a nord, concordemente con quanto desunto dall’esame dei cavi di fondazione della peristasi.
In conclusione, per quel che concerne il predecessore del tempio classico, il quadro complessivo che da tali osservazioni si desume induce a ipotizzare un limite est in
corrispondenza della fondazione nord-sud ?, i limiti nord e sud da rintracciarsi all’interno
dei rispettivi cavi di fondazione, rispettivamente traslati verso sud e verso nord, mentre il
limite ovest potrebbe, in via del tutto ipotetica, essere identificato nel consistente salto di
livello della roccia chiaramente leggibile in corrispondenza della fronte dell’opistodomo
(fig. 8). La cavità relativa alla fondazione di quest’ultimo presenta, d’altronde, più aspetti
insoliti: oltre al significativo dislivello della roccia, appaiono infatti indicativi sia l’estender-
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: L’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
5
Fig. 9a,b –a)
Prospetto meridionale dei resti della fronte orientale del tempio
di età classica con indicazione dei livelli dello stilobate e della
terrazza antistante (rilievo D. Perrone); b) Restituzione ipotetica
del tempio con l’antistante terrazza (dis. V. Caprioli).
si del cavo di questa sino a raccordarsi con quello della fondazione perimetrale, sia la sua
ampiezza, assai prossima a quella della peristasi esterna, con una dimensione del tutto
ingiustificata per il colonnato dell’opistodomo privo di crepidine.
Evidentemente, allo stato attuale delle ricerche, il livello di approssimazione delle
osservazioni ora esposte non consente se non di formulare ipotesi utili al prosieguo delle
indagini; si tratta dunque di ipotesi di lavoro che si spera possano trovare ulteriori riscontri nelle future campagne di scavo.
La terrazza orientale
Sembra opportuno, prima di passare all’analisi delle strutture dell’edificio classico,
definire la situazione ad oriente della fronte del tempio, dove presumibilmente doveva trovar posto l’altare; i resti superstiti, seppure sopravvissuti in minima parte e obliterati dai
successivi interventi di restauro e consolidamento, permettono comunque di delineare in
6
3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione
Fig. 10
Resti della terrazza orientale, si noti il rivestimento di calcare e il
nucleo di arenaria (foto dell’A.).
maniera sufficientemente sicura la sistemazione dell’area. In primo luogo deve essere
identificato il livello dello stilobate riconoscibile, sia pure con qualche approssimazione
dovuta al cedimento delle fondazioni verso est, nell’angolo sud-occidentale dell’unico
blocco superstite, a quota m 19.71 s.l.m12; al di sotto, la crepidine si articola in tre gradini, alti complessivamente m 1.11 (rispettivamente m 0.32, 0.38 e 0.41 a partire dal
basso), per una profondità di circa m 0.73513. Tale crepidine era presente naturalmente
su tutti i lati del tempio, ma la situazione ad est vede la presenza di due ulteriori gradini a
raccordare il piano dello stilobate con una terrazza quasi completamente smottata verso
il ripido declivio che conduce a mare. I due ulteriori gradini erano collocati subito a seguire la crepidine del tempio, ma si estendevano a nord e a sud anche al di là della fronte
del tempio a collegare l’intera area su cui insisteva l’edificio con la terrazza orientale che
con buona probabilità doveva ospitare l’altare (figg. 9a,b); tale particolarità è facilmente
riscontrabile a nord, dove i resti dei gradini si conservano oltre il limite del tempio; è d’altronde evidente che l’accesso alla terrazza dovesse essere consentito anche a chi non
proveniva direttamente dal tempio richiedendo di conseguenza un raccordo tra questa e
l’area circostante sia a nord che a sud dello stesso edificio. La quota della terrazza veniva a trovarsi a circa a m 1.85 al di sotto dallo stilobate, una misura desumibile dall’altezza della crepidine sommata a quella dei due successivi gradini, che misurano appunto
complessivamente m 0.72.
L’identificazione di una terrazza a questa quota deriva dall’osservazione di quanto
è sopravvissuto della struttura; l’esame dei resti evidenzia al di sotto della crepidine tre
filari di blocchi in calcare reciprocamente aggettanti e un nucleo interno di arenaria (fig.
10); i due filari più alti sono certamente riconoscibili come gradini, mentre il più basso
costituisce senza dubbio la pavimentazione del piano della terrazza, sisitemata al di
sopra del più tenero nucleo di arenaria, come attestano l’anathyrosis sulla faccia esterna
dei blocchi ancora in situ e gli incassi per le leve di posizionamento (fig. 11), chiare indicazioni della originaria presenza di altri blocchi destinati a prolungare il piano pavimenta-
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: L’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
Fig. 11
Particolare della faccia esterna di uno dei blocchi del filare più
basso di calcare con tracce di anathyrosis e incasso per la leva
di posizionamento (foto dell’A.).
7
Fig. 12
Blocchi e-?-? pertinenti al gradino più basso della scalinata che
raccorda la terrazza orientale; si noti come gli elementi si ammor
sano nel crepidoma del tempio.
Fig. 13
Frammenti del triglifo rinvenuti negli scavi del 2003 (foto
dell’A.).
8
le verso oriente. L’uso di riservare l’arenaria al nucleo interno e di rivestire l’esterno con il
più resistente calcare è d’altronde documentato sia per il crepidoma del tempio classico,
sia, come si è visto, per il terrazzamento arcaico e rientra in una pratica comune.
Infine, un’ultima ipotesi può essere avanzata riguardo alla cronologia della terrazza
orientale; tre blocchi in calcare di notevole lunghezza (m 2.20, 2.40 e 2.60), preservati
subito a nord-est della colonna ancora in situ (figg. 1 e 12, ?-?-?), sono riconducibili al
gradino più basso della terrazza orientale e si addentrano all’interno del crepidoma del
tempio sino a raggiungere l’asse della peristasi orientale, mentre al tempo stesso scavalcano il muro di terrazzamento arcaico. Necessariamente, la terrazza orientale deve essere posteriore al muro di terrazzamento arcaico, che oblitera, e antecedente o coeva alla
costruzione del tempio classico, la cui crepidine è costruita al di sopra dei blocchi che si
estendono oltre, verso est, di circa m 1.15. Ritengo che l’ipotesi più probabile sia proprio
quella che vede le due strutture nascere insieme: non ci sarebbe stata necessità, infatti,
di ricorrere per la terrazza orientale a blocchi di tali dimensioni, disposti in quella posizione, se non per la volontà di ammorsare i gradini di questa con la fondazione del tempio;
è d’altronde credibile che se il primo terrazzamento era funzionale al tempio arcaico, la
nuova sistemazione della terrazza orientale, traslata verso oriente, nascesse dalle esigenze legate alla ricostruzione ampliata del tempio, che richiedeva quindi un nuovo limite sul
fronte a mare.
Il tempio classico
Per quel che concerne le nuove acquisizioni emerse nella campagna di scavo del
2003, un dato di sicuro interesse può essere riconosciuto nella liberazione dei cavi di fondazione della peristasi sia lungo l’intero fronte ovest, sia per i tratti più occidentali dei fronti nord e sud; tali informazioni infatti, unitamente ai resti delle fondazioni da sempre in vista
sul prospetto orientale, ci forniscono l’ingombro complessivo della fondazione dell’edificio.
Lo scavo ha inoltre liberato una parte consistente della trincea di fondazione della
fronte dell’opistodomo, portando alla luce parte degli stessi blocchi in arenaria che lo
riempivano, e al tempo stesso ha fatto emergere, sia pure solo a livello superficiale, i limiti del cavo di fondazione del muro di fondo dello stesso opistodomo. Si tratta di informazioni che, combinate con i dati relativi alla peristasi, si riveleranno estremamente utili ai fini
della conoscenza dell’edificio.
I cavi di fondazione della peristasi erano tagliati nella roccia per oltre due terzi dell’area complessiva, mentre la parte più orientale, come si è visto, a causa del digradare
del banco roccioso, era sostruita e contenuta da un muro di terrazzamento che delimitava non solo l’area del tempio, ma anche una terrazza antistante, di poco più bassa (v.
supra), oggi completamente perduta e che doveva quasi certamente accogliere l’altare
di Hera. All’interno della trincea, in cui la roccia appare tagliata accuratamente per fornire un letto di attesa regolare, i blocchi della fondazione si sono conservati solo sporadicamente14 e solo in corrispondenza della fronte dell’opistodomo rimane ancora una consistente quantità dei blocchi di arenaria; va inoltre segnalato che la fondazione della fronte dell’opistodomo non è limitata all’edificio della cella, ma si spinge oltre, sino a congiungersi con la fondazione della peristasi15.
Dalla campagna di scavi del 2003 provengono inoltre alcuni importanti rinvenimenti destinati a gettare una nuova luce sulla configurazione del tempio di Hera. Si tratta di
un certo numero di elementi in arenaria appartenenti all’ordine architettonico dell’edificio,
comprendenti un frammento di capitello, due frammenti di triglifo (fig. 13), uno di sottocornice orizzontale (fig. 14) e almeno tre blocchi del geison frontonale (fig. 15), cui si
3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione
aggiungono alcuni frammenti di più piccole dimensioni dello stesso elemento e dell’epicranitis, nonché numerose guttae, pertinenti sia alle regulae, sia ai mutuli. Questi elementi si aggiungono a quanto già era noto dell’elevato: nel passato, infatti, erano già stati rinvenuti cinque frammenti del kyma dorico di coronamento del geison orizzontale (fig. 16),
e parti di tegole, coppi e sima, tutti di marmo pario, cui si aggiungono alcuni nuovi frammenti portati alla luce dallo scavo recente. Si tratta di elementi della massima importanza
non solo per quanto riguarda la conoscenza delle forme dell’ordine, ma per tutto ciò che
da queste deriva, compresi gli aspetti cronologici, dal momento che i frammenti architettonici portati alla luce confermano una datazione intorno agli anni settanta del V secolo,
contribuendo a meglio inquadrare il tempio nell’ambito della produzione protoclassica
occidentale.
Sono in particolare i blocchi frammentari di triglifo a rivelarsi di grande importanza:
si tratta infatti di due grossi frammenti, uno pertinente alla parte alta e l’altro alla parte
bassa dell’elemento; quest’ultimo in particolare si conserva per tutta la sua larghezza e
restituisce una misura di circa 84 cm. Purtroppo l’altezza complessiva dell’elemento non
è nota, ma la conoscenza della sua ampiezza riveste un particolare interesse soprattutto
in relazione alla possibilità che ne deriva di restituire, a partire da questa, l’interasse dell’edificio. Già in età tardo arcaica, e più diffusamente in età classica, il rapporto tra triglifo e metopa è comunemente attestato, sia in madrepatria che in occidente, su 2: 3, valore che, con un’ampiezza del triglifo di cm 84, comporterebbe metope di 126 cm e un interasse di 4.20 m, anche se non mancano esempi in occidente di templi con rapporti tra triglifo e metopa in parte diversi, quali, ad Agrigento, il tempio di Eracle (2: 2.6) o
l’Olympieion (2: 2.5 ca.), o il tempio A di Selinunte (2: 2.77).
Ulteriori indicazioni provengono dal frammento di sottocornice recentemente rinvenuto: la porzione di via conservata, infatti, consente di restituire metope con un’ampiezza
comunque non inferiore a m 1.14, fornendo dunque interassi non inferiori a m 3.96; nemmeno questo dato è però conclusivo poiché, per quanto poco probabile, non si può
escludere la presenza di interassi differenziati tra i lati brevi e lunghi dell’edificio, per cui
un’eventuale appartenenza del frammento di sottocornice ad una delle fronti potrebbe
teoricamente permettere di scendere anche al di sotto della misura minima proposta.
I dati relativi al rapporto triglifo-metopa devono però essere incrociati con le misure
complessive del tempio, definibili sulla base dei cavi di fondazione portati alla luce nei
recenti scavi; in tal senso il valore massimo di lunghezza delle fondazioni consente,
essendo noto il numero e l’ampiezza della pedata dei gradini della crepidine16, nonché
il diametro di base del fusto, di verificare il possibile numero di colonne della peristasi laterale e i relativi interassi. Nell’ipotesi che l’elemento di sottocornice presenti una via completa e che non vi sia differenza tra gli interassi della fronte e dei lati, ne deriva un interasse di m 3.96 che, tenendo conto della contrazione angolare, consentirebbe di restituire
una lunghezza complessiva dell’edificio all’euthynteria di m 54.64 m o di m 58.62 a
seconda che si restituiscano sui lati quattordici o quindici colonne. Entrambi i valori appaiono però incompatibili con la misura riscontrabile per le fondazioni, l’uno per difetto (oltre
m 3.27 in meno), l’altro per eccesso (circa m 0.80 al di là del limite del cavo di fondazione occidentale), il che impone di escludere tale soluzione (fig. 17). Ne consegue che l’unica possibilità per ricostruire quindici colonne sui lati del tempio, essendo da escludersi il
numero di sedici tradizionalmente proposto, e al tempo stesso mantenere una concordanza con la misura massima possibile dell’edificio, è quella di adottare interassi di m
3.92, con metope di cm 1.12, valore comunque al di sotto della misura minima deducibile dal frammento di sottocornice, richiedendo conseguentemente la ricostruzione di interassi differenziati sulla fronte e sui lati; anche questa soluzione non appare tuttavia appli-
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: L’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
Fig. 14
Frammento di sottocornice orizzontale rinvenuto negli scavi del
2003 (foto dell’A.).
Fig. 15
Elementi del geison rinvenuti negli scavi del 2003 (foto dell’A.).
Fig. 16
Kyma dorico di coronamento del geison (foto dell’A.).
9
Fig. 18
Ipotesi di restituzione planimetrica con 15 colonne sui lati lunghi
e interasse di m 3.92; alla compatibilità con il cavo di fondazio
ne occidentale non fa però da riscontro la posizione della fronte
e del muro di fondo dell’opistodomo (dis. dell’A.).
Fig. 17
Ipotesi di restituzione planimetrica con 14 e 15 colonne sui lati
lunghi e interasse pari a m 3.96, determinato sulla base della
porzione di via superstite (dis. dell’A.).
10
cabile, non solo per la consistente riduzione degli interassi, ma soprattutto perché
determina una relazione del tutto improponibile tra il colonnato della peristasi e le
fondazioni trasversali pertinenti alla fronte
ed al muro di fondo dell’opistodomo, le
quali infatti verrebbero a cadere rispettivamente in corrispondenza del terzultimo e
quintultimo interasse (fig. 18).
L’unica soluzione possibile per i
colonnati laterali è dunque con quattordici
colonne, secondo una configurazione
decisamente più consona a quanto documentato per l’architettura templare di età
classica in occidente; ne deriva il necessario venir meno dell’ipotesi di un raddoppio
del colonnato sulla fronte o su entrambi i
lati brevi, come pure era stato proposto,
perché incompatibile con un numero di
quattordici colonne, prendendo così consistenza la possibilità di ricondurre l’edificio
nell’ambito di una ‘norma’ che rende senza
dubbio meno problematico il suo inserimento nel contesto cronologico di appartenenza.
Volendo a questo punto cercare di
determinare con maggiore accuratezza la
misura dell’interasse, si vedrà come, adottando il valore ‘canonico’ di rapporto triglifo-metopa pari a 2: 3 e optando quindi per
un interasse di circa m 4.20, lo sviluppo
della planimetria, che si attesta su una lunghezza di circa m 57.40 all’euthynteria, si
rivela perfettamente congruente con le
dimensioni della fondazione.
Il dato si rivela interessante soprattutto alla luce di alcune altre osservazioni: la
misura del triglifo è infatti pressocché identica a quella di due templi sicelioti cronologicamente vicini e riconducibili all’attività
edilizia dei Dinomenidi, il tempio di Athena
a Siracusa17 ed il tempio della Vittoria a
Himera18, entrambi peripteri di sei per
quattordici colonne e già tradizionalmente
accomunati tra loro per numerosi tratti. I triglifi dei due templi sicelioti misurano infatti
rispettivamente 83.3-83.9 e 84.2 e sono in
un rapporto con le metope di circa 2:3 (le
metope misurano rispettivamente cm 1.25
3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione
Fig. 19a,b – a)
la soluzione con contrazione angolare semplice evidenzia un’in
terferenza della crepidine restituita con il cavo di fondazione sud;
b) la soluzione con doppia contrazione angolare risulta compati
bile con il cavo di fondazione sud (dis. dell’A.).
e 1.255) con conseguenti interassi di m 4.166 (4.20 sulla fronte) e m 4.193; ne deriva una
trabeazione simile a quella del tempio di Hera Lacinia che, combinata con il medesimo
numero di colonne per la peristasi laterale, determina dimensioni complessive molto
prossime, evidenziando un’affinità di fondo destinata ad accentuarsi ulteriormente con
l’approfondirsi dell’analisi dell’edificio.
La determinazione del valore dell’interasse sui lati non esaurisce però le problematiche inerenti la distribuzione delle colonne; riportando il valore degli interassi laterali sulla
fronte e introducendo la prevedibile contrazione angolare19, si ottengono infatti risultati
solo approssimativamente congruenti con i limiti desumibili dallo stato di fatto costituito
sia dai cavi di fondazione settentrionale e meridionale, sia dalla posizione dell’unica
colonna ancora in situ. Rimangono infatti difficoltà derivanti da un’eccessiva estensione
verso sud del limite del tempio (fig. 19a); il limite meridionale teorico dell’euthynteria eccede infatti, sia pure di poco, il limite della trincea, a fronte di una situazione a prima vista
opposta a nord. La soluzione di tale incongruenza, tenendo presente il punto fermo costituito dalla seconda colonna da nord ancora in situ, conduce necessariamente ad ipotizzare la presenza di una doppia contrazione angolare la quale, infatti, consente di ridurre
la contrazione dell’ultimo interasse da Nord trasferendo tale valore al secondo interasse
e di determinare cosi, rispetto alla colonna in situ, una lieve traslazione del tempio verso
Settentrione (fig. 19b). La restituzione planimetrica risulta a questo punto perfettamente
concorde con il limite imposto dai cavi di fondazione della peristasi; inoltre, applicata la
doppia contrazione angolare anche ai lati lunghi dell’edificio, si ottiene una significativa
corrispondenza tra la decima e la dodicesima colonna della peristasi e gli assi mediani
rispettivamente del muro di fondo e della fronte dell’opistodomo, configurazione planimetrica non inconsueta nell’architettura dorica occidentale di età classica, con confronti nei
templi di Eracle ad Agrigento, di Segesta, nel tempio A di Selinunte e nello stesso tempio
della Vittoria ad Himera, e che costituisce una conferma della correttezza della ricostruzione della peristasi proposta in questa sede (tav. III f.t.). È utile a questo proposito ricordare che proprio nei templi di Athena a Siracusa e della Vittoria ad Himera appare per la
prima volta in Occidente la doppia contrazione angolare, confermando quell’apparenta-
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: l’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
11
Fig. 20
Planimetria dei templi di Athena a Siracusa e “della Vittoria” ad
Himera.
Fig. 21
Restituzione dell’interasse del tempio di Hera Lacinia e dei rela
tivi rapporti proporzionali (dis. dell’A.).
12
mento con il tempio di Hera già precedentemente evidenziato.
Inoltre, i tagli nella roccia portati alla luce durante la campagna del 2003 forniscono
ulteriori indicazioni per quel che concerne l’edificio della cella: sono infatti in parte riconoscibili le trincee pertinenti i muri longitudinali del corpo centrale che inducono a ricostruirne il tracciato secondo una convenzione largamente diffusa nella madrepatria sin dall’età
arcaica, ma attestata in età classica anche in architetture occidentali, che vede il filo esterno del muro allineato con l’interasse della seconda e della quinta colonna dei lati brevi
(tav. III f.t.). Tale particolarità, pure se non trova un riscontro diretto nel tempio di Himera,
che presenta una cella più stretta e in parte ancora legata ad una tradizione occidentale
in via di superamento, ha un significativo parallelo ancora una volta nel tempio di
Siracusa.
Più complesso appare invece determinare la configurazione della parte orientale della
cella e del pronao poiché lo scavo non è ancora arrivato ad interessare questa parte dell’edificio. L’unico dato che è possibile considerare acquisito è l’allineamento dell’asse
delle colonne del pronao con la terza colonna a partire da est della peristasi laterale; l’allineamento della fronte dell’opistodomo con la terz’ultima colonna non permette infatti di
elaborare valide alternative ad una soluzione che appare di fatto scontata. Decisamente
più problematico appare invece ipotizzare la configurazione del muro di fondo del pronao: in assenza di dati provenienti dalle fondazioni, non è possibile conoscere la profondità effettiva del pronao stesso, se era pari ad un interasse e mezzo, come l’opistodomo,
o se era più profondo, né verificare l’eventuale presenza di rampe di scale ai lati del portale, nella cella. Anche l’interno di quest’ultima richiede ulteriori indagini: in assenza di uno
scavo sistematico, infatti, le occasionali emergenze di tagli nella roccia non permettono
di appurare se tali evidenze siano riconducibili a strutture antecedenti al tempio classico
o ad eventuali sistemazioni interne, quale la presenza, anche se poco probabile, di colonnati.
Ad ogni modo, l’impianto planimetrico nel suo complesso sembra richiamare la soluzione adottata ad Himera e a Siracusa (fig. 20): tipologia dell’ impianto, dimensioni parziali e complessive, numero delle colonne, presenza della doppia contrazione angolare
sono caratteri che evidenziano la dipendenza del progetto del tempio dai modelli di
Siracusa ed Himera, confermando l’influenza esercitata dall’architettura siceliota, e in particolare dinomenide, sulla produzione architettonica occidentale della prima età classica.
Il quadro complessivo cambia però in maniera significativa quando l’analisi si sposta
dall’impianto planimetrico all’elevato; la colonna conservata fornisce infatti dati discordi
rispetto a quanto evidenziabile rispettivamente nei due templi sicelioti20: la snellezza relativa è infatti pari a ca. 4.68 diametri a Crotone contro i 4.44 di Siracusa, mentre la rastremazione è sostanzialmente simile, intorno al 25% del diametro di base. Ne deriva una
colonna di minori dimensioni oltre che di maggiore snellezza, con conseguente riduzione
dello spessore dell’architrave.
Nel caso del tempio di Hera lo spessore dell’architrave si può desumere sia dalle tracce visibili sul letto di attesa dell’abaco del capitello, nonché dal diametro al sommoscapo; un’ulteriore indicazione è inoltre desumibile dalla profondità della cornice frontonale,
che nel tempio di Hera è nota. Ne consegue che lo spessore dell’architrave si può stimare con buona approssimazione in ca. m 1.70 contro i m 1.886 di Siracusa; come è facile
prevedere, vi è una ricaduta diretta sull’entità della contrazione angolare che, nel caso del
tempio di Hera, si dovrebbe attestare su m 0.43, contro i m 0.527 di Siracusa. Tale entità,
come di norma?, verrebbe assorbita per circa ? dalla trabeazione e la quantità rimanente ripartita tra i due intercolumni angolari in proporzione di ? nell’intercolumnio più estremo (m 0.22) e ? (m 0.11) in quello più interno; ne consegue un dimensionamento degli
3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione
interassi a partire dall’angolo pari a m 3.98, 4.09 e 4.20 (interasse normale), confrontabili con i corrispettivi valori di Siracusa: m 3.906, 4.036 e 4.166 (peristasi laterale), 3.88,
4.085 e 4.20 (fronte), e di Himera: 3.947 (3.989 fronte), 4.111 e 4.193.
Se i valori della contrazione non determinano significative differenze rispetto a quanto riscontrabile nei due edifici dinomenidi, ben più sensibili sono le conseguenze del
diverso dimensionamento della colonna per quel che concerne l’alzato. Può essere interessante a questo riguardo sottolineare alcune analogie tra le misure dell’elevato del tempio del Lacinion con i corrispettivi valori della fronte del tempio tardoarcaico di Apollo a
Delfi; nel tempio degli Alcmeonidi si trova infatti, secondo Courby22, un diametro all’imoscapo stimato in ca. m 1.80 e un’altezza della colonna che dovrebbe misurare un valore
compreso tra m 8.10 e 8.2023 a fronte di un interasse che, sulla fronte, si attesta su m
4.104.24 Un dato importante che emerge dai valori proposti per il tempio delfico è senz’altro il rapporto tra interasse e altezza della colonna prossimo a 1: 2, una proporzione
destinata a divenire significativa negli edifici tardoarcaici e protoclassici della madrepatria25; un simile valore si riscontra in effetti anche nel tempio di Hera (fig. 21) e, dato certamente indicativo, si tratta di una proporzione che, salvo casi sporadici26, si rivela piuttosto inconsueta nell’architettura protoclassica dell’Occidente greco. In effetti, i valori corrispettivi nel tempio di Siracusa (1: 2.10) (fig. 22) e, in generale, negli altri edifici occidentali vedono interassi più contratti, con valori in larga parte compresi tra 1: 2.14 e 1: 2.20.
Un raffronto diretto tra il prospetto del tempio di Hera Lacinia e quelli di Athena a
Siracusa e Zeus ad Olimpia (fig. 23) evidenzia quale sia l’incidenza dell’adozione di un
tale rapporto proporzionale nell’immagine d’insieme dell’edificio: se infatti nell’impianto
planimetrico le assonanze con gli sviluppi innovativi dell’architettura dinomenide sono evidenti, l’alzato, al contrario, evidenzia fortemente la dipendenza del tempio crotoniate piuttosto dall’architettura della madrepatria.
La ripresa di modelli provenienti dalla madrepatria è d’altronde la manifestazione di
un fenomeno di più ampia portata, che vede in ambito occidentale la progressiva diffusione e affermazione di soluzioni ormai consolidate in Grecia; contestualmente si verifica
un generalizzato, e relativamente rapido, abbandono di forme e modi di costruire propri
della cultura architettonica locale, secondo un processo che deve aver avuto inizio proprio nei templi di Siracusa ed Himera per poi proseguire con ulteriori varianti e trasformazioni, delle quali quella rappresentata dal tempio di Hera a Crotone rappresenterebbe la
più aderente ai modelli di importazione. Quali che siano le ragioni di fondo di un tale processo - la concomitanza delle rispettive affermazioni militari su Persiani e Cartaginesi, un
rinnovato senso di appartenenza ad una comune koiné, una ripresa di coscienza delle
proprie origini e della propria discendenza - esse sono di centrale importanza per comprendere l’evoluzione delle poleis d’Occidente in questa fase della loro storia, ma non è
questa la sede per indagarle; quella che appare certa però è la rilevanza del fenomeno
sotto l’aspetto architettonico, sia per la rapidità della sua diffusione, sia per la vastità, dal
momento che appare coinvolgere tutte le principali città d’Occidente.
L’adozione dei modelli della madrepatria non comporta però repliche fedeli: le specificità proprie dei modi di lavorazione delle maestranze occidentali si conservano nella persistenza di tratti peculiari che continueranno a fare la differenza tra le realizzazioni architettoniche della Grecia propria e quelle delle poleis d’Occidente. Mertens ha messo bene
in evidenza i tratti specifici del capitello del tempio di Hera, le sue assonanze con la produzione occidentale e in particolare con gli esemplari di Siracusa ed Himera ad ulteriore
conferma del filo che lega i due templi sicelioti e l’esemplare del Lacinio27. Più in generale, ci si deve aspettare un attardamento nelle proporzioni e nei profili, nonché un sovradimensionamento delle modanature rispetto ai coevi modelli della madrepatria, come
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: l’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
Fig. 22
Restituzione dell’interasse del tempio di Athena a Siracusa.
13
Fig. 23
Raffronto tra i prospetti frontali dei templi di Athena a Siracusa, di
Hera Lacinia a Crotone e di Zeus ad Olimpia.
14
emerge d’altronde in una letteratura scientifica ormai consolidata.
V f.t.), anche gli
Tornando all’illustrazone del prospetto del tempio di Crotone (tavv. IV-V
elementi della trabeazione rinvenuti nell’ambito dello scavo, pur costituendo motivo di
interesse per la comprensione dell’architettura dell’edificio, al tempo stesso suscitano
dubbi e perplessità che richiederebbero per essere del tutto dissipati il prosieguo delle
ricerche.
Dell’architrave non sono stati portati alla luce frammenti significativi se si eccettuano
alcune guttae, volutamente staccate durante lo spoglio sistematico condotto dagli
Spagnoli per regolarizzare quei blocchi che più facilmente si potevano prestare al riuso.
Le guttae appaiono lavorate a tutto tondo e sono di forma appena troncoconica, mentre
l’altezza è pari a cm 5.3, a fronte di un diametro di cm 6.5/7. Le dimensioni dell’architrave non sono note: solo lo spessore, come si è visto, può essere dedotto con buona
approssimazione dalle misure di altri elementi conservati (abaco, cornice frontonale).
Il fregio può essere invece delineato con maggiore sicurezza: la larghezza del triglifo
è nota (cm 84) e l’ampiezza della metopa può essere restituita con adeguata precisione
(cm 126); meno certa è l’altezza che, non essendo conservata, può oscillare tra m 1.26 e
1.40, a seconda che si conformi ad una proporzione tra base e altezza di 2:3, diffusa
soprattutto nella madrepatria, o più probabilmente a quel rapporto proporzionale di 3:5
documentato nella madrepatria in età tardoarcaica28 e diffuso in Occidente, dove proporzioni allungate del triglifo sono frequenti e costituiscono un’ulteriore manifestazione di
quell’attardamento nelle proporzioni degli elementi dell’ordine già segnalato (fig. 24).
L’elemento più interessante è costituito però dalla sottocornice orizzontale: la sua
principale particolarità risiede infatti proprio nell’essere un blocco costituito dalla sola sottocornice, lavorata separatamente dal gocciolatoio che le si sovrapponeva mediante una
superficie di contatto sagomata secondo un profilo costituito da due piani sfalsati raccordati da una superficie inclinata (fig. 14). Il frammento rinvenuto è incompleto, ma sulla
superficie inferiore del mutulo è chiaramente visibile l’attacco di una gutta spezzata (fig.
14), la prima della fila mediana a partire dalla via, che permette di restituire con sufficiente precisione la sua sezione complessiva (fig. 25), mentre l’ampiezza dei diversi elementi (mutuli e viae) deriva direttamente dalla dimensione nota del triglifo e da quella restituita della metopa.
La particolarità della lavorazione non può non sorprendere; non si tratta certamente di una procedura costruttiva comune e la sua singolarità induce a chiedersi se non
possa trattarsi di un intervento a posteriori, un restauro, giustificato magari dall’esigenza
di reintegrare la fragile estremità del gocciolatoio, per qualche motivo danneggiata. Un
confronto con quanto documentato nel blocco di cornice orizzontale del tempio di Apollo
a Delos (fig. 26) rende sufficientemente l’idea del tipo di intervento cui si fa riferimento,
3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione
Fig. 24
Ricostruzione della trabeazione frontale del tempio di Hera
Lacinia sulla base dei frammenti rinvenuti (dis. dell’A.).
Fig. 25
Crotone, tempio di Hera Lacinia, ricostruzione della sottocornice
orizzontale sulla base del frammento superstite (dis. dell’A.).
ma nel caso di Delos l’integrazione è limitata alla parte più estrema del gocciolatoio, quella evidentemente più fragile, e l’intervento conseguentemente riduce al minimo la rilavorazione del blocco e lo smontaggio della parte sovrastante; nel caso del tempio di Hera
l’integrazione, pur nell’incompletezza del frammento, mostra di entrare molto più in profondità, comportando una lavorazione assai laboriosa dell’eventuale blocco danneggiato
e comportando soprattutto un più esteso smontaggio degli elementi sovrastanti, probabilmente sino a coinvolgere i puntoni del tetto che appunto trovano contrasto nella parte
superiore della cornice. Restano inoltre difficili da comprendere le ragioni dell’intervento,
essendo poco probabile che il danneggiamento del blocco abbia coinvolto una parte
tanto interna e protetta dell’elemento da richiedere una così complessa rilavorazione del
pezzo.
Non si può escludere d’altronde la possibilità che l’elemento sia stato realizzato sin
dall’inizio in due parti distinte, sia per un qualche non meglio precisato problema di lavorazione, sia perché composto di due diversi materiali, arenaria, evidentemente, per la sottocornice e forse marmo per il gocciolatoio.
Fig. 26
Particolare del restauro della cornice del tempio di Apollo a Delfi
(da COURBY 1915).
Fig. 27
Delfi, tempio di Apollo “degli Alcmeonidi”, profilo della sottocornice orizzontale e restituzione ipotetica dell’intero elemento completo di geison (da COURBY 1915).
Un dato che contribuisce a indebolire ulteriormente l’ipotesi di un intervento di
restauro, se non ad escluderla, può essere riconosciuto in un interessante, quanto singolare, confronto con un importante edificio della madrepatria. Nonostante la singolarità del
blocco frammentario di sottocornice di cui si sta trattando, esiste infatti un significativo
parallelo conla cornice del tempio di Apollo a Delfi; come informa Courby29, infatti, Replat
identificò ben ventinove blocchi frammentari di sottocornice in marmo pertinenti al tempio
di Apollo degli Alcmeonidi, caratterizzati dall’assenza del gocciolatoio e dalla presenza di
un letto di attesa in tutto simile a quello del tempio di Hera (fig. 27). I frammenti di sottocornice furono correttamente interpretati come parte di una cornice bicomposta, entrambi gli elementi della quale, secondo Courby, erano realizzati di marmo30. Nessun frammento del gocciolatoio fu identificato, ma, dall’elevato numero di elementi della sottocornice rinvenuti, tali da consentire di restituire oltre 30 m lineari di cornice31, appare quanto mai evidente come in questi non possa essere riconosciuto un intervento di restauro,
così come sembra perdere di consistenza l’ipotesi che la lavorazione bicomposta sia
riconducibile ad una differenza di materiale tra le due parti, essendo poco probabile l’in-
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: l’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
15
Fig. 28
Sovrapposizione dei profili delle sottocornici dei templi di Hera a
Crotone (in rosso) e di Apollo a Delfi (in nero) (dis. dell’A.).
Fig. 29
Sezione attraverso il frontone del tempio tardo arcaico di Aphaia
ad Egina; si noti il profilo del soffitto del geison frontonale.
Fig. 30a,b,c
Modanatura di coronamento del geison orizzontale: a) Crotone,
tempio di Hera Lacinia; b) Himera, tempio “della Vittoria”; c)
Siracusa, tempio di Athena; d. Delfi, thesauros dorico della
Marmarià.
16
serzione di un gocciolatoio in poros tra una sima ed una sottocornice entrambe in marmo.
D’altronde, le affinità tra i blocchi di sottocornice del tempio di Apollo a Delfi e quelli
del tempio di Hera al Capo Lacinio non si limitano ad una somiglianza superficiale, poiché la sovrapposizione dei profili delle due sottocornici, ricondotte al medesimo rapporto di scala, evidenzia ulteriori concordanze (fig. 28): la sagoma dei due letti di attesa è
infatti pressoché coincidente, come identico è il grado di inclinazione del piano di raccordo (46°), uguale la misura del tratto rettilineo antistante, solo di poco più alto il piano rettilineo arretrato del tempio di Apollo; del pari identico è l’aggetto dei mutuli, appena diversa la rispettiva inclinazione (12° a fronte di 11°), identica la distanza tra il letto di posa del
blocco e la via, identica la spaziatura delle guttae. Appare difficile pensare ad una coincidenza, dal momento che l’analogia nelle misure complessive si combina con una lavorazione del tutto inconsueta in due blocchi distinti, raccordati dalla medesima superficie
sagomata, un particolare che poteva essere noto solo alle maestranze che avevano montato gli elementi, dato che al termine della costruzione sarebbe risultato naturalmente non
visibile.
Il dato si incrocia con la già sottolineata similitudine tra alcune delle misure dei due
templi, in particolare l’ampiezza del triglifo della fronte (secondo Courby m 0.845) e il rapporto interasse-altezza delle colonne (1:2); la concordanza tra le dimensioni e le particolarità nella lavorazione del geison suggeriscono una qualche relazione tra i due edifici
sulla quale si avrà modo di ritornare successivamente.
Un ulteriore motivo di interesse nel tempio di Hera riveste anche la particolare configurazione del geison frontonale; se il grande kyma dorico posto alla base a raccordare il
timpano con il soffitto del gocciolatoio è un tratto che si potrebbe definire canonico, lo
stesso non si può dire per il profilo rettilineo del soffitto del geison (fig. 15) che mostra una
marcata somiglianza con l’esemplare del cd. tempio di Poseidone a Poseidonia, inducendo a riconoscervi un tratto peculiare riconducibile ad una tradizione propriamente occidentale. Questa interpretazione, che si fonda sull’uso largamente esteso nella madrepatria, ma non solo32, di realizzare il soffitto del geison con un profilo concavo, una sorta di
ampio cavetto disposto orizzontalmente, suscita però qualche dubbio dal momento che
una lavorazione a profilo rettilineo si trova nel tempio di Aphaia ad Egina (fig. 29), ma altre
particolari correlazioni che legano quest’ultimo edificio al tempio di Hera contribuiscono
a destare ulteriori perplessità sulle possibili linee di influenza.
Nell’ambito dei recenti interventi di scavo nel santuario si è potuto anche procedere
al recupero di numerosi frammenti della modanatura di coronamento del geison orizzontale (fig. 16). Della modanatura, già presentata dall’Orsi33, si conservano cinque frammenti di kyma dorico, tutti di marmo pario; il profilo (fig. 30a), normale a questa data
anche in Occidente, si rivela però di particolare interesse, soprattutto in rapporto con la
coeva produzione siceliota e magnogreca. Già la Shoe aveva notato la sua incongruenza con una cronologia alla prima età classica e aveva infatti suggerito che tale modanatura, così come la sima, dovesse essere piuttosto riconducibile ad una ricostruzione del
tetto da porsi non prima della seconda metà del secolo34. Un confronto tra il profilo del
kyma dorico del tempio di Hera e il corrispettivo elemento del tempio di Himera (fig. 30b),
datato subito dopo il 480 a.C., mostra in tutta la sua evidenza la discrepanza tra i due
kymata; d’altra parte, un confronto con la stessa modanatura del tempio di Athena a
Siracusa (fig. 30c) rivela al contrario evidenti affinità, che richiedono parimenti di essere
interpretate.
Non credo che la particolarità del profilo del kyma dorico del tempio di Hera debba
essere spiegata con una ricostruzione, avvenuta dopo circa mezzo secolo, della parte
alta dell’edificio: oltre a mancare attestazioni in tal senso, bisognerebbe supporre che una
3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione
simile successione di fasi costruttive si sia verificata anche per il tempio siracusano35, il
che renderebbe l’ipotesi ulteriormente improbabile. Per altri versi, i templi di Crotone e
Siracusa hanno in comune un tetto di marmo pario, non presente invece ad Himera, e ciò
rimanda necessariamente al coinvolgimento di maestranze cicladiche; l’utilizzo del
marmo pario per il tetto richiede infatti la presenza di quelle botteghe artigiane che
accompagnavano le spedizioni di materiale e lavoravano in situ gli elementi della copertura, tra i quali in questo caso possiamo senza dubbio includere la modanatura di coronamento del geison. La similitudine tra le modanature dei templi di Athena e di Hera e la
diversità dei loro profili rispetto a quanto si riscontra nello stesso periodo in Occidente
devono essere interpretate come l’opera di maestranze della madrepatria, nello specifico
insulari, piuttosto che occidentali. Ne consegue che quell’attardamento nell’evoluzione
dei profili tipico della produzione occidentale non interessa i due edifici che, per quel che
concerne queste specifiche modanature e, come avremo modo di osservare, anche la
sima, devono essere analizzati piuttosto in rapporto alla produzione della madrepatria. È
in questo senso particolarmente interessante un confronto con il coronamento del geison
del thesauros dorico della Marmarià a Delfi (fig. 30d): l’edificio, cronologicamente vicino
ai templi di Crotone e di Siracusa - si data infatti al 475-470 a.C. -, è interamente realizzato di marmo pario ed è riconducibile all’opera di officine insulari. Pur nella diversità dimensionale, il profilo del suo kyma dorico è molto simile a quello del tempio di Hera, confermando l’affinità di quest’ultimo al contesto greco proprio e la sua attribuzione all’opera di
maestranze provenienti dallo stesso ambito culturale; parallelamente si viene a confermare una datazione alla prima età classica, credibilmente ai primi anni del secondo quarto
del V secolo a.C.
Una più attenta osservazione dei kymata dorici di Crotone e di Siracusa non manca
però di rivelare come le affinità tra loro vadano anche oltre: la sovrapposizione delle due
modanature ricondotte al medesimo rapporto di scala (fig. 31) evidenzia infatti non solo
uguali dimensioni, ma anche una sostanziale identità degli stessi profili. Tale singolare
affinità deve indurre a ritenere le due lavorazioni opera della medesima officina, evidentemente impegnata, in tempi diversi, in entrambi i cantieri.
I frammenti di kyma dorico recuperati forniscono anche un’altra importante indicazione: provenendo infatti dalla sommità dei geisa laterali, presentano il letto di attesa, destinato ad accogliere la sima laterale, inclinato secondo la pendenza delle falde dela copertura che può essere così restituita pari a 14.5°; il dato permette di ricostruire il frontone
con la corretta inclinazione e di definire con adeguata precisione l’ampiezza del timpano
e quindi lo spazio disponibile per i relativi gruppi frontonali36. A tale riguardo può essere
utile precisare che la presenza di sculture frontonali nel tempio di Hera è ulteriormente
attestata dall’arretramento del piano del timpano rispetto alla superficie dei triglifi (piano
dei femori) e dell’architrave (fig. 24), deducibile dal maggiore aggetto del geison frontonale rispetto a quello orizzontale, espediente che trova una sua ragione proprio nell’esigenza di aumentare la profondità per accogliere e proteggere le statue.
Molte delle osservazioni avanzate per il kyma dorico di coronamento del geison possono essere espresse anche per la sima; pure in questo caso, infatti, le peculiarità del
profilo avevano indotto la Shoe a ritenerlo relativo ad una sostituzione dell’elemento avvenuta appunto insieme alla sostituzione della modanatura del geison nel tardo V secolo37.
L’elemento si configura come una gola rovescia con fascia alla base, da intendersi come
una modificazione della sima corinzia38, costituita da un ovolo al di sopra di una fascia,
introdotta a partire dalla metà del VI secolo a.C.; il progressivo attenuarsi dello stacco al
raccordo tra l’ovolo e la fascia sottostante avrebbe in seguito condotto ad un profilo prossimo ad una gola rovescia con un’ampia fascia di base, profilo destinato poi ad evolver-
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: l’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
Fig. 31
Sovrapposizione dei profili delle modanature di coronamento del
geison dei templi di Hera Lacinia a Crotone, in rosso, e di Athena
a Siracusa, in nero (dis. dell’A.).
17
si, nel corso del V e IV secolo, attraverso la progressiva riduzione della fascia. La soluzione è documentata nella madrepatria per la prima volta nel tempio pisistratide di Athena
Polias sull’Acropoli di Atene e nel tempio di Apollo a Delfi; in seguito è possibile ritrovarla nel tempio di Aphaia ad Egina, nei templi di Athena a Karthaia e di Korissia, entrambi
sull’isola di Keos, nell’edificio a corte (cd. Thesmophorion) di Delos, nel tesoro dorico
della Marmarià a Delfi, nel tempio di ‘Hera’ (?) di Mon Repos a Corfù, a Kalauria39 e in
numerosi esemplari in terracotta dall’Acropoli di Atene40; nel V secolo a.C. questo profilo è documentato anche in Occidente, come attestano le simae del tempio ‘A’ (Hera) a
Metaponto e del tempio dorico di Kaulonia41.
Contrariamente a quanto sostenuto da Buschor42 prima e da Østby43 e Ohnesorg44
poi, tale particolare variante della sima corinzia, piuttosto che un’elaborazione attica,
sembra doversi ricondurre alla produzione cicladica, come rivelano in particolare gli
esemplari ancora di VI secolo, tutti riconducibili direttamente o indirettamente a tale ambito; d’altronde, anche per le simae di V secolo provenienti sia dalla madrepatria che
dall’Occidente, quando non direttamente riferibili a templi cicladici, non è certamente
casuale l’associazione dell’elemento con tetti in marmo insulare, di cui peraltro costituisce parte integrante, riscontrabile in larga parte degli edifici precedentemente citati45.
Appare in questo senso evidente come tali simae siano ascrivibili alle stesse maestranze
impegnate nella realizzazione del tetto, evidentemente quelle stesse botteghe cicladiche
che accompagnavano le partite di marmo insulare destinate ai grandi cantieri della Grecia
continentale e occidentale.
Quanto emerge dalla ricostruzione del tempio di Hera a Capo Lacinio suscita però
alcuni quesiti: l’apparentamento tra la sua planimetria e quelle dei templi di Siracusa e
Himera non è casuale, come dimostrano le significative similitudini dimensionali e tipologiche. Certamente il tempio di Athena a Siracusa costituisce, insieme a quello di Himera,
un passaggio determinante nella profonda svolta che caratterizza l’architettura occidentale agli esordi dell’età classica46: molti dei tratti emersi per la prima volta in questi edifici, comunemente riconosciuti come una scelta di adeguamento ai modelli di riferimento
della madrepatria, sono destinati a diffondersi rapidamente nei principali centri della
Sicilia e della Magna Grecia, così come alcune peculiari soluzioni formali quali la doppia
contrazione angolare47. Più difficile risulta però capire quali siano i tramiti che hanno
determinato le trasformazioni dell’architettura siracusana, nonché attraverso quale percorso i nuovi sviluppi dell’architettura dinomenide siano pervenuti a Crotone. Il particolare contesto di alleanze geopolitiche del secondo quarto del V secolo a.C. non permette
infatti di ipotizzare un’influenza diretta di Siracusa su Crotone: gli indizi di una ripresa conflittualità tra i due centri sono infatti numerosi e la prevista spedizione siracusana contro
Crotone ne costituisce solo il dato più evidente48. È chiaro che in questa situazione la
presenza di maestranze siracusane al Lacinio deve essere esclusa, ma certamente tra
coloro che hanno realizzato il tempio di Hera vi era qualcuno che conosceva molto da
vicino le recenti realizzazioni dinomenidi, al punto da poter riproporre lo stesso impianto
planimetrico e le medesime dimensioni principali, un dato, quest’ultimo, che accomuna
di fatto, nel contesto dell’architettura dell’Occidente, solo i due templi sicelioti e l’Heraion
del Lacinio. Al tempo stesso, un altro aspetto induce ad associare l’Athenaion di Siracusa
al tempio crotoniate, la presenza di un tetto di marmo pario, realizzato da botteghe insulari itineranti coerentemente con una tendenza largamente diffusa nel periodo. Come si è
visto, però, le similitudini tra alcuni particolari strettamente connessi allo stesso tetto,
come il coronamento del geison, suggeriscono che quei dettagli così somiglianti, realizzati senz’altro facendo uso dello stesso modino, siano opera della medesima officina che
operò in tempi diversi nei due cantieri.
18
3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione
Non sono estranee a questa riflessione le osservazioni condotte su alcuni aspetti dell’architettura del tempio di Apollo a Delfi (v. infra), la quale, almeno per quel che concerne la copertura e il prospetto orientale, rimanda ancora una volta all’impegno di maestranze insulari, la cui consistente attività nel santuario, tra l’età tardoarcaica e protoclassica, è ampiamente documentata49. In particolare, la singolare soluzione adottata per la
cornice orizzontale nei due templi, almeno allo stato attuale delle conoscenze, non trova
riscontro in altri edifici, mentre le proporzioni dell’elevato e i dettagli morfologici e dimensionali contribuiscono a metterne in rilievo le affinità.
Note sul tempio di Apollo a Delfi
Un riesame dell’architettura del tempio degli Alcmeonidi, anche se interamente fondato sull’edito50, soprattutto su quanto pubblicato da M.F. Courby nel secondo fascicolo del II volume dei Fouilles de Delphes, può contribuire ad una rilettura dell’architettura
del tempio alla luce di quanto fin qui esposto. Nella pubblicazione, l’A. elenca infatti i
frammenti rinvenuti, fornendo con precisione misure e indicazioni tecniche utili all’analisi
e alla comprensione dell’elevato. Ne emergono alcuni dati rilevanti: la peristasi era con
buona probabilità interamente in poros dal momento che si conservano i frammenti di
150 rocchi di colonna tutti di poros; gli architravi dei lati lunghi e del retro erano in poros,
come attestano due frammenti sopravvissuti, mentre quelli della fronte orientale erano in
marmo pario ed erano articolati in tre filari sovrapposti, di cui sopravvivono quattro frammenti del filare superiore e alcuni di quello intermedio; del fregio dorico, realizzato con
elementi lavorati separatamente, si conservano una metopa di poros e due triglifi di
marmo pario e l’A. inoltre sembra suggerire che tutti i triglifi fossero di marmo e non solo
quelli della fronte; la cornice era realizzata da due filari sovrapposti, uno per la sottocornice e uno per il gocciolatoio, dei quali si conservano ventinove blocchi tutti di sottocornice e tutti di marmo pario: : pure se non sopravvivono elementi del gocciolatoio, né di
marmo, né di altro materiale, secondo l’A. la cornice era realizzata in marmo in entrambi
i filari e per tutto il suo sviluppo. Il tetto, pure di marmo di Paros, era bordato da una sima
a sezione rettilinea sui lati, con pluviali a trombetta, e profilata a gola rovescia con fascia
di base lungo il frontone, secondo la stessa variante della tipologia corinzia che si ritrova
nel tempio di Hera al Lacinio. L’edificio della cella presentava un elevato in blocchi isodomici di poros sollevati su ortostati di marmo e dello stesso materiale erano anche le colonne del pronao51.
Da quanto emerge dalla pubblicazione, si evince che i frammenti superstiti consentono di ricostruire elementi della trabeazione di dimensioni diverse: dalle regulae, triglifi e
mutuli sopravvissuti si possono infatti identificare, secondo Courby, tre varianti dimensionali per i triglifi (m 0.891÷0.893, 0.845÷0.847 e 0.815÷0.822; valori medi 0.892, 0.846,
0.820) e altrettante per la coppia mutulo/via (valori medi m 0.892+0.18=1.072,
0.846+0.18=1.026, 0.82+0.18=1.000); l’A. attribuisce i primi due alla fronte e il terzo ai
lati e propone una ricostruzione dell’edificio con interassi differenziati sulla fronte e sui lati
e con contrazione angolare semplice, per uno sviluppo complessivo degli interassi della
fronte, dedotto dall’ampiezza del timpano, pari a m 19.68, riconducibile alla sequenza
3.68, 4.10, 4.10, 4.10, 3.68.
Pure in assenza di un auspicabile riesame dei frammenti, una più attenta disamina
dei dati pubblicati porta però a conclusioni in parte diverse e scopo di questa breve
appendice è proprio la revisione dei dati, in quanto consentono di evidenziare l’adozione
di alcune soluzioni che rafforzano i parallelismi con il tempio di Hera al Lacinio.
Il dato di partenza è costituito da quegli elementi la cui attribuzione può considerarsi
sicura, tra i quali va annoverato innanzi tutto il triglifo angolare52 che, seppure frammen-
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: l’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
19
tario, può ricostruirsi con un’ampiezza di m 0.89. Il dato evidenzia chiaramente che, in
corrispondenza degli angoli, gli elementi del fregio sono ampliati, probabilmente per
ridurre almeno in parte l’entità della contrazione angolare. Tale indicazione è confermata
dagli elementi del filare superiore dell’architrave marmoreo, i quali erano lavorati con
dimensioni rispettivamente uguali ai triglifi e alle metope soprastanti, i primi articolati in
taenia, regula e guttae e i secondi lavorati con la semplice taenia. Due di questi elementi presentano regulae ampie m 0.89 e la loro posizione può essere facilmente riconosciuta, come ha già evidenziato Courby, grazie alle lettere ? e ?, incise sul rispettivo letto di
posa, che consentono di identificarli come il terzo e il diciannovesimo blocco del filare
superiore dell’architrave, corrispondenti al secondo e al decimo triglifo della fronte; appare infatti evidente che i blocchi di marmo sono pertinenti alla sola fronte orientale, dato
che l’architrave dei restanti lati del tempio era realizzata in poros, come si evince dai due
blocchi superstiti.
Lo studioso francese non sembra però trarre tutte le conclusioni possibili dai dati
disponibili; esiste infatti un blocco di sottocornice costituito da un mutulo e due viae tra
loro diverse, e precisamente un mutulo di m 0.847 e due viae rispettivamente di m 0.194
e 0.179; considerando che la misura delle altre viae conservate è di m 0.179, che costituisce evidentemente il valore canonico, appare chiaro che l’elemento di sottocornice in
oggetto era collocato su di un triglifo ampio m 0.847 (0.845) ai lati del quale erano due
metope di diversa ampiezza. L’esistenza di triglifi di tali dimensioni è d’altronde confermata da due mutuli rispettivamente da m 0.845 e 0.847 e forse da una regula della stessa misura (m 0.847), lavorata in un blocco del filare superiore dell’architrave marmoreo53.
Tra i dati di partenza è opportuno a questo punto annoverate anche l’ampiezza delle
metope, deducibile dalla misura dei mutuli e delle viae; risultano anche per queste tre
varianti dimensionali: m 1.28 (0.194+0.891+0.194), 1.205 (0.179+0.847+0.179) e 1.18
(0.179+0.822+0.179), laddove sembra naturale combinare le viae di maggiori dimensioni con mutuli di m 0.891, non conservati ma certamente esistenti, considerata la presenza di triglifi di tale misura. Dalla presenza di metope di maggiori dimensioni deriva necessariamente una loro collocazione in associazione con i triglifi più ampi (m 0.89).
Costituendo inoltre il triglifo da m 0.847 lo snodo tra due metope diverse, è credibile che
possa essere identificato come il terzo triglifo della fronte; l’ampiezza delle metope adiacenti può quindi essere ricostruita, sulla base della misura delle relative viae e del mutulo interposto, pari rispettivamente a m 1.28 e 1.205.
Riassumendo, i due triglifi in prossimità dell’angolo devono essere ricostruiti con
un’ampiezza di m 0.89, in combinazione con le due metope più estreme, che dovevano
misurare m 1.28; seguivano almeno altri due triglifi per ciascun lato (il terzo e il quarto e
l’ottavo e il nono) di m 0.847 e altre due metope per parte larghe m 1.205; rimangono a
questo punto i tre triglifi e le due metope centrali che secondo l’A. presentavano le stesse misure di quelli adiacenti; Courby, infatti, che come si è visto, non prende in considerazione le viae più ampie, suggerendo metope angolari di m 1.205, restituisce i tre interassi centrali tutti della medesima dimensione (m 4.104), prevedendo l’adozione della singola contrazione angolare. Sopravvivono però altri frammenti che sono a mio parere particolarmente indicativi per la ricostruzione del prospetto: si tratta in particolare di un elemento in marmo del filare superiore dell’architrave, della misura di m 1.174, ritenuto
dall’A. integro e destinato ad inserirsi tra due elementi provvisti di regulae e quindi corrispondente alla dimensione della metopa54. Il dato è tanto più importante in quanto gli
elementi di architrave in marmo sono attribuibili al solo prospetto frontale, essendo documentati del pari elementi di architrave in poros; conseguentemente se ne deduce la presenza sullo stesso prospetto di metope di circa m 1.174, misura corrispondente a viae e
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3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione
mutuli rispettivamente di m 0.179 e 0.82 (0.179+0.822+0.179=1.180); lo stesso Courby
d’altronde elenca sei elementi di sottocornice composti da un mutulo ed una via per
un’ampiezza complessiva compresa tra 0.993 e 1.005, nonché quattro mutuli di ampiezza compresa tra m 0.815 e 0.820 e otto viae di dimensioni oscillanti tra 0.178, e 0.183.
Evidentemente, se sulla fronte era una metopa di 1.174/1.18, ne deriva la presenza di triglifi da m 0.82 e in effetti un triglifo di marmo di tali dimensioni si conserva, anche se era
stato ritenuto dal Courby pertinente ai lati dell’edificio. L’attribuzione del triglifo marmoreo
ai lati, proposta dall’A., lascia però perplessi soprattutto in considerazione della presenza di una metopa di poros; è alquanto inconsueta infatti una combinazione di triglifi di
marmo e metope di poros, essendo al contrario largamente attestata la combinazione
opposta.
In conclusione, sembra obbligato restituire un prospetto frontale dell’edificio che vede
le parti componenti del fregio, e quindi della sottocornice e dell’architrave, variare dal centro verso gli angoli secondo un progressivo ampliamento degli elementi (fig. 32).
Tale soluzione risponde ad una logica precisa e presenta significative ricadute; supponendo infatti una disposizione delle colonne canonica, ovvero in corrispondenza del
terzo, quinto, settimo e nono triglifo, la sequenza degli interassi sarebbe m 3.82, 4.09,
4.00, 4.09, 3.82, con una ampiezza per il secondo e quarto interasse maggiore di quella
dell’interasse mediano, soluzione evidentemente impossibile. Appare quindi evidente che
la seconda e la quinta colonna devono necessariamente disallinearsi rispetto al terzo e al
nono triglifo, restringendo il secondo e il quarto interasse e ampliando il primo e il secondo; d’altronde, l’adozione di triglifi e metope più ampi deve essere connessa ai problemi
correlati al conflitto angolare, laddove lo scopo è quello di fare assorbire al fregio parte di
quella misura necessaria a traslare il triglifo in angolo, riducendo di conseguenza l’entità
della contrazione angolare. Il fatto che l’ampliamento degli elementi del fregio coinvolga,
sia pure in diversa misura, sia quelli relativi agli interassi angolari, sia quelli inerenti il
Fig. 32
Delfi, tempio di Apollo “degli Alcmeonidi”, restituzione dell’A.
del prospetto orientale sulla base dei dati forniti da Courby
(COURBY 1915).
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: l’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
21
secondo e quarto interasse, unitamente all’inevitabile disallineamento della seconda e
quinta colonna rispetto ai relativi triglifi, induce a concludere per una adozione della doppia contrazione angolare, di cui entrambi i dati sono una manifestazione strettamente correlata.
Definita la scansione del fregio, il prospetto del tempio e in particolare il proporzionamento degli interassi possono essere ricostruiti con buona approssimazione. Mentre l’interasse centrale è dato, infatti, l’interasse angolare e quello adiacente sono noti solo
come valore complessivo, essendo da escludersi, come si è visto, la corrispondenza
della seconda e quinta colonna con il terzo ed il nono triglifo; la misura complessiva dei
due interassi adiacenti è di circa m 7.91, con un’entità di contrazione piuttosto esigua
(poco meno di m 0.10), che, come è frequente, può ipotizzarsi ripartita per due terzi all’interasse angolare e per un terzo a quello adiacente. La successione degli interassi può
allora essere così ricostruita: 3.93, 3.97, 4.00, 3.97, 3.93. Può essere interessante notare
come, pur essendo l’entità complessiva della correzione angolare pari a m 0.535 (spessore architrave – larghezza triglifo / 2), la gran parte del valore sia recuperato dall’ampliamento progressivo degli elementi del fregio, ridotti sino a portare il valore della contrazione a meno di un quinto della consistenza originaria, a fronte di valori più canonici prossimi ai due terzi; tale misura viene inoltre ripartita sui due interassi, rendendo così pressoché impercettibile lo spostamento delle colonne55. Sembrerebbe dedursi una volontà di
risolvere il conflitto angolare soprattutto riducendo le alterazioni dell’architettura sino a
renderle quasi inavvertibili. Appare inoltre decisamente interessante la possibilità di
un’origine ionica della doppia contrazione angolare: la soluzione applicata ad un edificio
esastilo comporta infatti una spaziatura decrescente delle colonne a partire dall’interasse
mediano, il più ampio, che richiama assai da vicino la soluzione adottata per le fronti
colonnate degli edifici ionici.
Dalla stessa ricostruzione dell’elevato della fronte derivano inoltre altre osservazioni:
una volta riscontrata la presenza sul prospetto frontale di triglifi di m 0.82, appare probabile la pertinenza dello stesso triglifo marmoreo sopravvissuto alla fronte, mentre ai lati
apparterrebbe la metopa di poros; sembra quindi credibile che, così come per l’architrave, gli elementi marmorei del fregio fossero limitati alla sola fronte orientale; per altri versi,
il cospicuo numero di frammenti della sottocornice e il consistente sviluppo lineare che
ne consegue inducono a ritenere che sottocornice e gocciolatoio di marmo potessero, in
effetti, svilupparsi lungo l’intero perimetro del tempio. In secondo luogo, la misura dell’interasse centrale della fronte, pari a circa m 4.00, verrebbe a coincidere con quello dei lati,
forse solo appena più ravvicinati, se la dimensione del triglifo documentata dal frammento di architrave in poros (m 0.815) non è il prodotto di oscillazioni occasionali nelle misure dell’elemento. L’ampiezza della metopa in poros, m 1.21, evidentemente pertinente ai
lati o al retro, attesta la presenza di triglifi di m 0.845/0.847, peraltro documentati da una
regula di m 0.847 presente su di un secondo frammento di architrave in poros.
Infine, un dato senza dubbio significativo è quello relativo all’interasse angolare della
fronte che, in base alla ricostruzione proposta, si amplia rispetto a quanto suggerito da
Courby di m 0.14 (da m 3.68 a m 3.82); tale ampliamento accentua una particolarità, già
evidenziata dallo stesso studioso56, riconoscibile nella contrazione degli ptera laterali,
conseguenza del mancato allineamento tra il filo esterno dei muri longitudinali della cella
e l’asse della seconda e quinta colonna, un tratto considerato canonico nella madrepatria. Più specificatamente, la sovrapposizione del colonnato frontale, così come è stato
determinato, al rilievo dello stato attuale57 (fig. 33) evidenzia una particolarità difficilmente riconducibile al caso: l’accentuazione del fenomeno già osservato da Courby determinato dalla traslazione della seconda e quinta colonna verso il centro del prospetto, che
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3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione
deriva dalla nuova proposta di articolazione degli interassi sulla fronte, si concretizza in
un allineamento pressoché esatto tra l’asse della seconda e quinta colonna e l’asse delle
fondazioni dei muri longitudinali della cella del tempio degli Alcmeonidi, inglobate nel crepidoma del tempio di IV secolo.
Tale caratteristica, comunemente ritenuta peculiare dell’architettura ionica, non è del
tutto priva di riscontri nella madrepatria dove trova sporadici confronti in alcuni edifici templari dorici i quali, come nel caso del tempio di Aphaia ad Egina, pur senza pervenire
all’allineamento degli assi, presentano ptera laterali fortemente ridotti. Una simile condizione si verifica ad esempio anche nel coevo tempio di Athena Polias sull’Acropoli di
Atene, edificio particolarmente interessante proprio per i mumerosi punti di contatto con
il tempio di Delfi, tali da inserire il tempio di Apollo in un contesto più ampio, in parte riconducibile ad un ambiente culturale che si potrebbe definire cicladico-attico, in cui una
costante sembra essere la presenza, nei principali cantieri ateniesi, di maestranze insulari, favorite da quella crescente richiesta di marmo, soprattutto per le coperture, che sembra caratterizzare la gran parte dei cantieri della madrepatria.
Conclusioni
Tornando al tempio di Hera al Lacinio, appare importante sottolineare nuovamente i
Fig. 33
Delfi, tempio di Apollo “degli Alcmeonidi”, sovrapposizione del
rilievo delle strutture pertinenti alla fronte (da HANSEN, ALGREENUSSING, BRAMSNAES 1975) con lo schema restituito sulla base
della doppia contrazione angolare (dis. dell’A).
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: l’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
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singolari parallelismi con il tempio di Apollo a Delfi, e non solo; questi investono infatti,
oltre alla particolare lavorazione della cornice, il rapporto interasse/altezza della colonna
pari a 1: 2, carattere che rimanda, come si è visto, ad altri edifici della madrepatria, come
il coevo tempio di Zeus ad Olimpia, ma anche i più antichi templi di Athena Polias ad
Atene58, di Athena a Karthaia e di Aphaia ad Egina59; si tratta di una caratteristica tanto
più significativa in quanto si associa alla presenza di coperture in marmo pario riconducibili all’opera di maestranze cicladiche60.
Tutt’altro che marginale, in relazione alle ipotesi avanzate, appare anche il tema dell’improvvisa apparizione della doppia contrazione angolare a Siracusa e ad Himera e
della conseguente successiva rapida diffusione nell’Occidente greco; la presunta specificità occidentale di tale soluzione è stata già messa in dubbio, per ultimo in anni recenti
da E. Østby61; la documentata presenza della doppia contrazione angolare a Karthaia,
sull’isola di Keos, già alla fine del VI secolo, appare ai nostri fini di particolare rilevanza,
giacché testimonia la sua adozione nell’ambito dell’architettura dorica cicladica ad una
data certamente antecedente alle architetture dinomenidi e siceliote. Il dato acquista inoltre ulteriore rilevanza dalle osservazioni già esposte riguardo alla presenza della doppia
contrazione angolare nel prospetto orientale del tempio di Apollo a Delfi e nello stesso
tempio di Athana Polias sull’Acropoli di Atene: l’adozione di una tale soluzione si incrocia,
infatti, con altre concordanze presenti tra questi importanti edifici e il tempio di Hera, concordanze che acquisiscono un particolare valore se si tiene presente la significativa partecipazione al cantiere del tempio degli Alcmeonidi così come a quello pisistratide, ancora una volta, di officine insulari, in un ruolo che, stante il largo impiego del marmo di Paros,
non solo per la copertura ma anche per buona parte del prospetto orientale, e non solo,
nel tempio delfico62 e per numerose altre parti della costruzione nel tempio ateniese, può
difficilmente essere messo in dubbio.
Senza entrare nel merito di chi abbia inizialmente introdotto questa particolare e sofisticata soluzione al problema del conflitto angolare, ovvero se si tratti di un sistema da
tempo noto all’architettura peloponnesiaca, come ritiene Østby, o se sia piuttosto una
specifica elaborazione avvenuta nell’ambito dello stesso mondo cicladico, come sembrerebbero suggerire le evidenti affinità con gli impianti ionici, appare ad ogni modo evidente come tale soluzione fosse tutt’altro che sconosciuta a quest’ultimo ambiente e come
fosse stata di fatto sperimentata nei cantieri insulari con largo anticipo sulle prime apparizioni in Occidente. Non può essere ritenuto puramente incidentale il fatto che la prima
documentata apparizione della doppia contrazione angolare in Occidente, nei templi di
Athena a Siracusa e della Vittoria ad Himera, sia avvenuta, almeno nel primo caso, in una
fabbrica dove è sicuramente attestata la presenza di maestranze cicladiche; se nella sua
apparizione si deve d’altronde leggere un portato di quelle stesse officine itineranti, è allo
stesso modo probabile che queste possano aver rivestito un importante ruolo di tramite
nella diffusione del modello dorico della madrepatria in Occidente.
Emergono quindi alcuni caratteri, oltre naturalmente alla presenza di coperture in
marmo, che sembrano poter essere assunti come indicatori della presenza di tali officine
insulari nel cantiere: i particolari allineamenti planimetrici, che rimandano alla progettazione di ambiente ionico, la doppia contrazione angolare con il conseguente ampliamento
dell’interasse centrale, la particolare snellezza delle colonne, le proporzioni dell’elevato,
con il ricorrente rapporto di 1:2 tra ampiezza dell’interasse e altezza della colonna, il profilo della sima, la configurazione degli acroteri a volute. Naturalmente non tutti questi
caratteri sono contemporaneamente presenti nella stessa fabbrica e le architetture possono ugualmente rivelare in forma più o meno evidente soluzioni e caratteristiche da
ascrivere a tradizioni locali.
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3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione
Come è facile intuire, il tema investe il modo e le forme della trasmissione dei modelli architettonici della madrepatria in Occidente e il ruolo che in tale trasmissione potrebbero aver rivestito le maestranze insulari itineranti; ferme restando, infatti, le ragioni politiche e culturali dell’adeguamento, che possono forse essere individuate nello specifico
contesto degli eventi storici che sul finire del primo quarto del V secolo a.C. segnano
parallelamente il mondo della madrepatria e della grecità occidentale, riveste un’importanza centrale l’individuazione dei tramiti di tali trasformazioni.
In tal senso bisogna credere, concordemente con quanto sostenuto da Schuller, che
tali officine non fossero composte semplicemente da scalpellini, ma anche da architetti e
che proprio queste figure più specializzate possano aver contribuito a trasmettere e diffondere le soluzioni architettoniche templari della madrepatria in Occidente; questa intermediazione non deve essersi limitata ad esportare forme e modelli elaborati nel mondo
cicladico, ma, proprio per l’organizzazione itinerante del lavoro nei cantieri, deve aver
costituito il medium di diffusione di soluzioni architettoniche acquisite nei diversi centri in
cui le maestranze si trovarono ad operare, favorendo così la trasmissione di forme e
modelli tra le diverse realtà del mondo greco.
Una conferma è costituita da quanto emerso riguardo al tempio di Hera Lacinia: la
dipendenza dal modello planimetrico e dimensionale dinomenide, insieme all’evidenza di
più marcati influssi dell’architettura della madrepatria riscontrabili nell’elevato e destinati
peraltro a dare luogo ad ulteriori e successivi sviluppi, nonché a molteplici assonanze, sia
nelle forme che nei dettagli costruttivi, con la produzione architettonica tardoarcaica e
protoclassica cicladica, inducono a riconoscere alle maestranze cicladiche impegnate
nella realizzazione del tetto, credibilmente le stesse già attive nell’Athenaion di Siracusa,
un ruolo di tramite che, solo, può spiegare, nello specifico contesto storico, le particolarità della costruzione. Se queste officine possono essere ritenute responsabili dell’esportazione del modello dinomenide a Crotone, ma con quelle trasformazioni dell’elevato che
rafforzano gli apparentamenti con la madrepatria - sollevandoci dal difficile compito di
giustificare interrelazioni dirette con Siracusa, storicamente improbabili -, allora un ripensamento sul loro ruolo appare non solo opportuno ma necessario, un ruolo che si definisce nella trasmissione e diffusione delle soluzioni architettoniche templari della madrepatria in Occidente e naturalmente, in s
econda istanza e tenuto conto delle difficili relazioni che caratterizzano i rapporti tra
Siracusa e Crotone in questa fase, nella funzione di intermediazione svolta da tali maestranze, impegnate in entrambi i centri, in tempi diversi ma cronologicamente vicini, nell’esportazione dei nuovi modelli architettonici dinomenidi in Magna Grecia e in primis nel
tempio di Hera a Crotone. D’altronde, la richiesta di tetti in marmo pario, sia pure in ritardo rispetto alla madrepatria, si incrementerà rapidamente in Sicilia e Magna Grecia:
Siracusa, Agrigento, Gela, Selinunte, Megara Hyblaea, Crotone, Poseidonia, Metaponto,
Caulonia, Nocera saranno tra i centri dove la presenza di queste particolari coperture è
documentata e altri potrebbero ancora aggiungersi con il prosieguo delle ricerche, ma
appare già evidente l’ampia diffusione e la concentrazione degli interventi in non più di
mezzo secolo; in questo specifico fenomeno ritengo si possa riconoscere il presupposto
più significativo per la diffusione del modello della madrepatria in Occidente.
La portata del problema è però di gran lunga più ampia e coinvolge gli stessi sviluppi dell’architettura della madrepatria a partire dall’età tardoarcaica; le osservazioni sui
due grandi templi di Delfi ed Atene permettono infatti di riconoscere innovazioni che investono alcuni dei principi fondamentali della progettazione dorica, ponendo le basi di una
‘scuola cicladico-attica’ che può render conto del notevole ruolo assolto dalle maestran-
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: l’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
25
ze insulari nell’ambito della produzione architettonica ateniese almeno sino allo sfruttamento delle cave del marmo pentelico e credibilmente ancora sino alla metà del V secolo. Quanta parte delle peculiarità dell’architettura ateniese tardoarcaica sia ascrivibile alle
officine ioniche e quanto invece debba essere attribuito a maestranze ateniesi è difficile
da stabilire, ma l’influenza cicladica nell’architettura egineta di fine VI secolo sembra confermare l’importanza del suo apporto nel processo di innovazione dell’architettura del
periodo.
Tav. II f.t.
Tempio di Hera Lacinia. Rilievo planimetrico dell’area dello scavo
(dis. B. Roma).
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3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione
Tav. III f.t.
Tempio di Hera Lacinia. Rilievo dell’area e restituzione della planimetria (dis. dell’A.).
Tav. IV f.t.
Tempio di Hera Lacinia. Restituzione del prospetto frontale orientale (dis. G. Passarelli, M. Bavaro).
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: l’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
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Tav. V f.t.
Tempio di Hera Lacinia.Restituzione del prospetto laterale meridionale (dis. D. Chieco, C. Solimando).
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3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione
* Questo contributo nasce in occasione della giornata di studi in onore di Elena Lattanzi, Scavi archeologici nel santuario di Hera Lacinia a Capo Colonna
(2003-2004): risultati, nuove ipotesi, prospettive,
organizzata dall’Istituto Archeologico Germanico di
Roma (3 novembre 2004). Ringrazio l’allora Direttore,
Dieter Mertens, per aver voluto ospitare l’interessante
iniziativa e colgo l’occasione per esprimere la mia
gratitudine alla dott.ssa Elena Lattanzi, già
Soprintendente Archeologo per la Calabria, e al dott.
Roberto Spadea, funzionario responsabile per l’area
del Lacinio, per avermi chiamato con grande liberalità a collaborare a tale importante progetto. Vorrei inoltre ricordare i miei collaboratori nella fase del rilievo e
della ricostruzione grafica (allora laureandi della
Facoltà di Architettura del Politecnico di Bari e oggi
arch.tti M. Bavaro, V. Caprioli, D. Chieco, G. Passarelli,
B. Roma, M.C. Solimando), ai quali si devono molti
degli elaborati grafici qui presentati. In particolare, a
Monica Livadiotti devo tutta la mia gratitudine per aver
curato, con la consueta pazienza e precisione, la
redazione dei contributi Aversa, Bavaro, Belli,
Passarelli, Rocco, Spadea, Verbicaro, uniformando le
citazioni bibliografiche e preparando inoltre l’elenco
generale delle abbreviazioni.
1 Si veda la sintesi di R. Spadea in questo stesso
volume.
2 Per lungo tempo si è attribuita al tempio una planimetria periptera con 6 x 16 colonne e raddoppio del
colonnato sul prospetto orientale (CLARKE, EMERSON
1887, pp. 42 ss.; KOLDEWEY, PUCHSTEIN 1899, pp. 41 s.)
o su entrambi i lati brevi (ORSI 1911, p. 79; DINSMOOR
1950, p. 110); tale impianto è stato ridimensionato dal
Mertens che lo ha ricondotto a 6x15 colonne (MERTENS
1983, si veda in particolare la fig. 1).
3 MERTENS 1983; MERTENS 1984, pp. 78-82; MERTENS
2006, pp. 276-278.
4 Si veda a questo proposito quanto già pubblicato in
ROCCO 2007.
5 Cfr. nota 3.
6 Cfr. in questa stessa sede la relazione di G. Aversa.
7 Si veda sull’argomento anche il contributo di G.
15.
Aversa e le relative figg. 14-1
8 Cfr. relazione Aversa.
9 LIV., XXIV, 3.
10 Gli sporadici frammenti ceramici di IV sec. a.C. rinvenuti in alcune buche potrebbero attestare il comprensibile ripristino degli arbusti a quella data; tenuto
conto delle possibili essenze impiegate, non è d’altronde concepibile che a distanza di secoli le piante
dovessero rimanere le stesse; occorre invece pensare a frequenti interventi di sostituzione.
11 Sulla via sacra e sulla configurazione generale del
santuario di vedano LATTANZI et al. 1996, pp. 235-260;
SPADEA 2006. Si vedano inoltre le sintesi di R. Belli
(Santuario, Edificio B) e G. Rocco (Tempio A) in
LIPPOLIS, LIVADIOTTI, ROCCO 2007, pp. 778-780
12 Il blocco di stilobate, a seguito di un cedimento
delle fondazioni verso mare, è inclinato nella stessa
direzione con una differenza di quota nel suo estremo
orientale di m 0.055. Certamente il valore riscontrato
ad ovest sembra aver risentito di meno del cedimento, anche se non si può escludere un lieve rialzamento.
13 Nonostante i gradini della crepidine siano fratturati, il limite del gradino inferiore è chiaramente leggibile sul letto di attesa del blocco sottostante; i gradini
possono così essere ipoteticamente restituiti con una
pedata di circa cm 36.75 ciascuno.
14 Fatto salvo l’occasionale sfruttamento di emergenze rocciose regolarmente tagliate quasi fossero blocchi ancora in situ.
15 Tale particolarità, già messa in evidenza precedentemente (cfr. supra), potrebbe contribuire, come si è
visto, a rafforzare l’ipotesi di un limite occidentale del
predecessore arcaico in corrispondenza della fronte
dell’opistodomo del tempio di età classica.
16 Vedi supra.
17 MERTENS, 2006, pp. 259, 268-273, con bibliografia
precedente.
18 MERTENS 2006, pp. 266-268, con bibliografia precedente.
19 Per la determinazione dell’entità della contrazione
angolare si veda infra.
20 Il diametro della colonna del tempio di Crotone è
infatti pari a m 1.779 all’imoscapo e 1.326 al sommoscapo contro i m 1.978 e 1,48 (1.54) di Siracusa, con
un’ampiezza dell’abaco pari a m 2.22 a fronte rispettivamente di m 2,474 a Siracusa e 2.336 a Himera,
mentre l’altezza è di ca. m 8,325 contro gli 8.783 di
Siracusa.
21 Non mancano sensibili variazioni nella ripartizione
di tale misura tra interassi e trabeazione; a questo
riguardo i valori qui riportati devono essere ritenuti
indicativi.
22 COURBY 1915.
23 I valori conseguenti dall’altezza stimata di 10 rocchi, fornita da Courby, presenterebbero una fascia di
oscillazione teorica maggiore, compresa tra 7.90 e
8.45 che discende dalla variazione dell’altezza media
dei rocchi compresa tra m 0.68 e 0.73; ma la fascia di
oscillazione possibile deve essere ristretta ai valori
medi attestati più correttamente tra m 8.10 e 8.20.
24 Contrariamente a quanto sostenuto da Courby, il
valore dell’interasse mediano potrebbe piuttosto attestarsi su m 4.004 (si veda infra).
25 Si ricorda al riguardo che la stessa proporzione tra
interasse e altezza della colonna si riscontra nei templi di Aphaia ad Egina e di Zeus ad Olimpia, ma è per
la verità più diffuso, come attestano gli esempi di
Athena Polias ad Atene e di Athena a Karthaia, riconducibile secondo Østby (ØSTBY 1980) ad un valore
similare.
26 Un’eccezione è costituita dai templi di Hera ad
Agrigento, che, almeno per l’interasse mediano della
fronte, presenta un valore assai prossimo a 1:2, e di
Il Santuario di Hera al Capo Lacinio: l’analisi della forma , il restauro e la ricerca archeologica
Poseidone a Poseidonia; può essere indicativo rilevare che entrambi gli edifici hanno tetti di marmo, nel
caso di Agrigento poi sostituito, in età romana, con un
manto di copertura in terracotta.
27 MERTENS 1984, pp. 78-82.
28 A tale valore si conformano tra gli altri il tempio
pisistratico di Athena Polias ad Atene, il tempio di
Apollo (degli Alcmeonidi) a Delfi (v. infra), il tempio di
Aphaia ad Egina (triglifi dei lati lunghi), per citare quegli edifici che, come si avrà modo di sottolineare,
mostrano di avere elementi in comune con il tempio di
Hera.
29 COURBY 1915, p. 102, n. 3.
30 In via del tutto ipotetica, in assenza di elementi pertinenti al gocciolatoio non si può escludere che questo fosse realizzato in altro materiale; ma la presenza
di un tetto di marmo con relativa sima dello stesso
materiale e di una sottocornice anch’essa di marmo
rende alquanto improbabile l’inserzione di un gocciolatoio in poros.
31 Secondo Courby, i bloccchi sono pertinenti sia alla
fronte che al lato del tempio (cfr. COURBY 1915, p.
110).
32 Numerosi esempi sicelioti presentano infatti un
soffitto del geison profilato con una sorta di cavetto.
33 ORSI 1911.
34 SHOE 1952.
35 SHOE 1952, p. 25 (dove si suggerisce l’utilizzo di
maestranze ateniesi) e p. 42 (dove l’elemento, assimilato agli esempi periclei, viene datato all’ultimo quarto del V secolo a.C.).
36 Per le sculture frontonali del tempio si veda in questo stesso volume il contributo di R. Belli Pasqua.
37 SHOE 1952,, p. 89.
38 SHOE 1936, pp. 34-35; 78-79.
39 ØSTBY 1980, n. 76, con bibliografia precedente.
40 VLASSOPOULOU 1990, con bibliografia precedente.
41 SHOE 1952, pp. 87-88; la sima del tempio ‘A’ è in
terracotta ed è riconducibile alla ricostruzione del tetto
avvenuta nella prima metà del V secolo a.C., mentre
la sima da Kaulonia è pertinente ad un tetto realizzato in marmo pario, evidentemente da maestranze
cicladiche, nella seconda metà del V secolo a.C.
42 BUSCHOR 1929.
43 ØSTBY 1980, p. 212 e n. 76.
44 OHNESORG 1993, p. 38 ss. La posizione della
Ohnesorg è in parte diversa, perché pur accettando la
definizione di sima attica per questa particolare
variante della sima corinzia, evidenzia la sua particolare ricorrenza in tetti di produzione cicladica.
45 Rimangono estranei ad un rapporto diretto con il
mondo cicladico gli esemplari in terracotta che
potrebbero però essere intesi come l’esito dell’influenza di quella stessa tradizione in aree, come ad
esempio Atene, da lungo tempo legate da stretti rapporti con l’area ionica insulare.
46 Un ruolo in qualche modo anticipatore sembra
essere stato svolto dal tempio di Ercole ad Agrigento
29
(MERTENS 2006, pp. 236-239), ma le trasformazioni
introdotte in questo edificio, sia pure certamente ispirate dall’architettura della madrepatria, appaiono
ancora immature se rapportate ai templi di Siracusa
ed Himera.
47 Cfr. il recente contributo sul tema in MERTENS 2006,
pp. 266 e ss.
48 Sull’organizzazione da parte di Ierone, nel 476
a.C., di un spedizione destinata a difendere i superstiti sibariti rifugiatisi a Laos e Skidros da minacce dei
Crotoniati cfr. Diod. XI.48.4; altrettanto significativi per
il contesto storico sono i buoni rapporti tra Siracusa e
Locri, tradizionale nemica di Crotone.
49 Oltre alla realizzazione di non meno di cinque thesauroi ionici, a produzioni cicladiche devono essere
infatti attribuiti anche il thesauros degli Ateniesi, il thesauros dorico della Marmarià e, con buona probabilità, anche la stoa degli Ateniesi.
50 In tal senso le interpretazioni qui riportate non
sono evidentemente conclusive e solo un attento riesame dei materiali conservati e della documentazione di scavo può eventualmente confermarne i risultati.
51 Queste presentavano un diametro minore rispetto
a quelle della peristasi (diam m 1.72).
52 Il triglifo si preserva per l’altezza originaria, pari a m
1.373; tale misura consente di restituire per i triglifi
correnti, ampi 0.822, proporzioni tra base e altezza di
3:5.
53 Courby, in questo caso, non è esplicito ed è quindi possibile che il blocco di architrave con regula di m
0.847 debba essere identificato con uno dei due elementi di architrave in poros (COURBY 1915, p. 96).
54 COURBY 1915, pp. 96 e 101. Il blocco è altresì riprodotto nella fig. 16, dove è erroneamente quotato con
una misura di m 1.10, in evidente contrasto con la
scala metrica che conferma la misura di 1.174.
55 Valori simili sono riscontrabili nel tempio di Hera
ad Agrigento dove, a fronte di un valore complessivo
di ca. m 0.36, la reale contrazione, peraltro ripartita
su due interassi, è pari a cm 17,4, mentre la restante
parte è assorbita dal fregio (MERTENS 1984, pp. 98108; MERTENS 2006, pp. 386-391).
56 COURBY 1915, p. 92 e fig. 71.
57 HANSEN, ALGREEN-USSING, BRAMSNAES 1975, tav. 12.
58 Secondo la ricostruzione del Riemann (RIEMANN,
1950).
59 Il tempio di Aphaia rivela ulteriori punti di contatto
con il tempio crotoniate: nella cornice frontonale, nella
sima o ancora nel grande acroterio centrale (per quel
che concerne il grande acroterio frontonale ed una
sua ipotesi di restituzione si vedano in questo stesso
volume i contributi di R.Belli Pasqua, V.M. Bavaro e G.
Passarelli).
60 SCHULLER 1985; SCHULLER, OHNESORG 1991; BANKEL
1993.
61 ØSTBY 1980, pp. 189-223; ØSTBY 1990-91, pp. 285391.
30
62 Tra queste,lo stilobate, gli ortostati della cella, le
colonne del pronao e l’intera cornice, oltre naturalmente all’apparato scult
3.4. Il tempio di Hera al Capo Lacinio: nuove acquisizioni ed elementi per una sua restituzione