IMPRESA PROSPETTIVA • I M P R E S A • COMITATO DI REDAZIONE Flavio Felice (Coordinatore) Fabio G. Angelini Antonio Campati Riccardo Gotti Tedeschi Sergio Lanza Massimiliano Padula Maurizio Serio Pierluigi Torre REDAZIONE c/o Lungotevere Raffaello Sanzio, 9 00153 Roma [email protected] L’inserto Prospettiva Impresa è realizzato con il contributo del Centro Studi Tocqueville-Acton. Il Centro Studi Tocqueville-Acton è un think-tank indipendente, di ispirazione cattolico-liberale, che intende favorire l'incontro tra studiosi dell'intellettuale francese Alexis de Tocqueville (1805-1859) e dello storico inglese Lord Acton (1834-1902), nonché di cultori ed accademici interessati alle tematiche filosofiche, storiografiche, epistemologiche, politiche, economiche, giuridiche e culturali, avendo come riferimento la prospettiva antropologica ed i principi della Dottrina Sociale della Chiesa. Il riferimento a Tocqueville e Lord Acton non è casuale. Entrambi hanno perseguito per tutta la vita la possibilità di avviare un fecondo confronto con quella componente del liberalismo che, rinunciando agli eccessi di razionalismo, utilitarismo e materialismo, ha evidenziato la contiguità delle proprie posizioni con quelle tipiche del pensiero occidentale ed in particolar modo con la tradizione ebraico-cristiana. OROS intende operare per la promozione di un umanesimo autentico, globale e integrale. In particolare vuol offrire un contributo di alto profilo per la lettura e interpretazione dei fenomeni socio-culturali, con particolare riferimento agli ambiti della intrapresa umana, alla luce della antropologia cristiana e nell’orizzonte della Dottrina sociale cattolica (DSC), per tracciare linee di orientamento etico, modelli e forme di impegno e di impresa; l’ideazione e attuazione di modelli economici e forme d’impresa capaci di affrontare con efficacia le nuove problematiche, innovando i paradigmi dell’economia di mercato; la messa in atto di iniziative promozionali in tal senso, con attenta valorizzazione del territorio e apertura alla mondialità (ricerca-diffusione-formazione). I “beni comuni” contro lo “Stato padrone” Flavio Felice – Presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton Fabio G. Angelini – Direttore Centro Studi Tocqueville-Acton “…assegnare allo ‘Stato’ il monopolio del servizio pubblico rappresenta il cedimento ad una logica feudale, baronale e servile: che si chiami barone tal dei tali o ‘Stato’, sempre ‘padrone’ è; e il fatto che conserviamo il diritto di voto non ci affranca dalla miserabile condizione di ‘sudditi’’’. L’articolo di Francesco Cundari su “l’Unità” del 12 agosto, intitolato “Beni comuni dimenticati” è un raro esempio di legittimo smarrimento a sinistra. Opportunamente, l’autore constata che le parole del Ministro Tremonti sulla necessità di privatizzare i servizi pubblici locali rappresentano forse il punto in cui il consenso tra le forze politiche è più largo. Ecco, allora, che Cundari si domanda che fine abbia fatto quel “vento nuovo” che spirava nel Paese e che ha portato alla “clamorosa vittoria” referendaria e che cosa sia successo per mutare tanto radicalmente non solo le opinioni politiche, “ma pure il vento, il clima, l’orientamento dell’intero dibattito politico”. Le domande sono molto interessanti ed aprono un dibattito a sinistra che non ci riguarda. Invero, siamo stati colpiti dalla riproposizione della nota equazione: bene comune = gestione statale, come se lo “Stato” (Cundari usa la lettera maiuscola) fosse antecedente alle persone, alle famiglie e alle comunità intermedie. Sembra che lo “Stato” possegga, per ragioni quasi mistiche, gli attributi della “carità” e della “giustizia”. Fino a prova contraria, invece, le persone e le associazioni precedono lo stato (noi lo scriviamo con la lettera minuscola). Ne consegue che i “beni comuni” sono le condizioni materiali e immateriali che consentono a ciascuna persona di perseguire la propria nozione di felicità, di libertà e di bene, senza ledere la nozione altrui, semmai cooperando in una clima pluralistico e sussidiario a definire un ordinamento poliarchico 62 N. 77-78/11 PROSPETTIVA •P E R S O N A• IMPRESA dove la prima virtù sociale è quella di dar vita ad associazioni per il bene di tutti e di ciascuno. Come abbiamo avuto modo di scrivere in un altro articolo su “Avvenire” del 9 giugno, assegnare allo “Stato” il monopolio del servizio pubblico rappresenta il cedimento ad una logica feudale, baronale e servile: che si chiami barone tal dei tali o “Stato”, sempre “padrone” è; e il fatto che conserviamo il diritto di voto non ci affranca dalla miserabile condizione di “sudditi”. Alla base del nostro ragionamento c’è la convinzione che gli uomini sono uomini; forse i funzionari pubblici sono virtuosi per natura? Oppure, servizio pubblico di stato significa che a gestirlo saranno manager indicati dai leader di partito? E poi, chi lo ha detto che i partiti conoscono più di altri quale sia l’ottimo sociale? Forse l’ottimo sociale è un attributo dello “Stato”? Ovvero della poliarchica società civile, articolata secondo il principio di sussidiarietà? La prospettiva che intendiamo esprimere è quella delineata dalla tradizione del cattolicesimo liberale, di matrice sturziana, e dell’economia sociale di mercato che affida allo stato il compito di stabilire con metodo democratico e partecipativo le regole del gioco e di farle rispettare. Dunque, delimitare il campo di gioco, aprire linee di concorrenza, impedire gli oligopoli, fare l’arbitro, punire chi non rispetta le regole e, nel caso, espellerlo dal campo. Proprio perché abbiamo a che fare con “beni comuni”, necessitiamo di un arbitro severo e imparziale, e lo sanno anche i bambini che l’arbitro per essere tale non può essere anche giocatore. In definitiva, sulla scorta dell’insegnamento sturziano, mentre non ci fidiamo del privato, ci terrorizza l’idea che il pubblico possa essere arbitro e giocatore. Contro il paradigma baronale, feudale-statalista, proponiamo quello liberale della sussidia- PROSPETTIVA •P E R S O N A• rietà e della poliarchia, il cui carattere economico si riassume nell’affermazione che lo stato non deve avocare a sé le competenze di ambiti che, invece, appartengono ad istituzioni di ordine inferiore, ma, semmai, deve sorvegliare che questi livelli adempiano adeguatamente ai loro compiti, e deve intervenire solo nel caso in cui essi non ce la facciano, prima per sostenerli, e solo dopo, qualora non riuscissero a rispondere ai bisogni, per sostituirli. In conclusione, non crediamo che sia cambiato il “vento”, da molti anni ormai anche tra gli economisti e i giuristi di riferimento della sinistra italiana la fasulla equazione “beni comuni = Stato” appariva superata, così come pure quella visione superficiale secondo cui liberalizzare la gestione del servizio comporta automaticamente il venir meno della natura “pubblica” di tali beni (per esempio, dell’acqua!). A dire il vero, siamo rimasti colpiti di come quel “vento” liberale che da anni aveva iniziato a soffiare sulla rive gauche italiana fosse tanto flebile da apparire il 12 e il 13 giugno impercettibile. SCULTORE MARCHIGIANO e STEFANO FOLCHETTI?, Madonna orante, 47x58, Firenze, Museo del Bargello N. 77-78/11 63