I “beni comuni” contro lo “Stato padrone”

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COMITATO DI REDAZIONE
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REDAZIONE
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L’inserto Prospettiva Impresa è realizzato con il contributo del Centro Studi
Tocqueville-Acton.
Il Centro Studi Tocqueville-Acton è un think-tank indipendente, di ispirazione cattolico-liberale, che intende favorire l'incontro tra studiosi dell'intellettuale francese Alexis de Tocqueville (1805-1859) e dello storico inglese Lord
Acton (1834-1902), nonché di cultori ed accademici interessati alle tematiche filosofiche, storiografiche, epistemologiche, politiche, economiche, giuridiche e culturali, avendo come riferimento la prospettiva antropologica ed i principi della Dottrina Sociale della Chiesa. Il riferimento a Tocqueville e Lord Acton non è casuale. Entrambi hanno
perseguito per tutta la vita la possibilità di avviare un fecondo confronto con quella componente del liberalismo che,
rinunciando agli eccessi di razionalismo, utilitarismo e materialismo, ha evidenziato la contiguità delle proprie posizioni con quelle tipiche del pensiero occidentale ed in particolar modo con la tradizione ebraico-cristiana.
OROS intende operare per la promozione di un umanesimo autentico, globale e integrale. In particolare vuol offrire un contributo di alto profilo per la lettura e interpretazione dei fenomeni socio-culturali, con particolare riferimento agli ambiti della intrapresa umana, alla luce della antropologia cristiana e nell’orizzonte della Dottrina sociale cattolica (DSC), per tracciare linee di orientamento etico, modelli e forme di impegno e di impresa; l’ideazione
e attuazione di modelli economici e forme d’impresa capaci di affrontare con efficacia le nuove problematiche, innovando i paradigmi dell’economia di mercato; la messa in atto di iniziative promozionali in tal senso, con attenta
valorizzazione del territorio e apertura alla mondialità (ricerca-diffusione-formazione).
I “beni comuni”
contro lo “Stato padrone”
Flavio Felice – Presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton
Fabio G. Angelini – Direttore Centro Studi Tocqueville-Acton
“…assegnare allo ‘Stato’ il monopolio del servizio
pubblico rappresenta il cedimento ad una logica
feudale, baronale e servile: che si chiami barone tal
dei tali o ‘Stato’, sempre ‘padrone’ è; e il fatto che
conserviamo il diritto di voto non ci affranca dalla
miserabile condizione di ‘sudditi’’’.
L’articolo di Francesco Cundari su “l’Unità” del 12 agosto, intitolato “Beni comuni dimenticati” è un raro esempio di legittimo smarrimento a sinistra. Opportunamente, l’autore constata che le parole
del Ministro Tremonti sulla necessità di privatizzare i servizi pubblici
locali rappresentano forse il punto in cui il consenso tra le forze politiche è più largo. Ecco, allora, che Cundari si domanda che fine abbia
fatto quel “vento nuovo” che spirava nel Paese e che ha portato alla
“clamorosa vittoria” referendaria e che cosa sia successo per mutare
tanto radicalmente non solo le opinioni politiche, “ma pure il vento,
il clima, l’orientamento dell’intero dibattito politico”. Le domande sono molto interessanti ed aprono un dibattito a sinistra che non ci riguarda.
Invero, siamo stati colpiti dalla riproposizione della nota equazione: bene comune = gestione statale, come se lo “Stato” (Cundari usa
la lettera maiuscola) fosse antecedente alle persone, alle famiglie e alle comunità intermedie. Sembra che lo “Stato” possegga, per ragioni
quasi mistiche, gli attributi della “carità” e della “giustizia”. Fino a prova contraria, invece, le persone e le associazioni precedono lo stato
(noi lo scriviamo con la lettera minuscola). Ne consegue che i “beni
comuni” sono le condizioni materiali e immateriali che consentono a
ciascuna persona di perseguire la propria nozione di felicità, di libertà e di bene, senza ledere la nozione altrui, semmai cooperando in una
clima pluralistico e sussidiario a definire un ordinamento poliarchico
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dove la prima virtù sociale è quella di dar vita ad associazioni per
il bene di tutti e di ciascuno.
Come abbiamo avuto modo
di scrivere in un altro articolo su
“Avvenire” del 9 giugno, assegnare allo “Stato” il monopolio del
servizio pubblico rappresenta il
cedimento ad una logica feudale,
baronale e servile: che si chiami
barone tal dei tali o “Stato”, sempre “padrone” è; e il fatto che conserviamo il diritto di voto non ci
affranca dalla miserabile condizione di “sudditi”.
Alla base del nostro ragionamento c’è la convinzione che gli
uomini sono uomini; forse i funzionari pubblici sono virtuosi per
natura? Oppure, servizio pubblico di stato significa che a gestirlo
saranno manager indicati dai leader di partito? E poi, chi lo ha detto che i partiti conoscono più di
altri quale sia l’ottimo sociale? Forse l’ottimo sociale è un attributo
dello “Stato”? Ovvero della poliarchica società civile, articolata secondo il principio di sussidiarietà?
La prospettiva che intendiamo
esprimere è quella delineata dalla
tradizione del cattolicesimo liberale, di matrice sturziana, e dell’economia sociale di mercato che
affida allo stato il compito di stabilire con metodo democratico e
partecipativo le regole del gioco e
di farle rispettare. Dunque, delimitare il campo di gioco, aprire linee di concorrenza, impedire gli
oligopoli, fare l’arbitro, punire chi
non rispetta le regole e, nel caso,
espellerlo dal campo.
Proprio perché abbiamo a che
fare con “beni comuni”, necessitiamo di un arbitro severo e imparziale, e lo sanno anche i bambini che l’arbitro per essere tale
non può essere anche giocatore.
In definitiva, sulla scorta dell’insegnamento sturziano, mentre
non ci fidiamo del privato, ci terrorizza l’idea che il pubblico possa essere arbitro e giocatore.
Contro il paradigma baronale, feudale-statalista, proponiamo quello liberale della sussidia-
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rietà e della poliarchia, il cui carattere economico si riassume
nell’affermazione che lo stato
non deve avocare a sé le competenze di ambiti che, invece, appartengono ad istituzioni di ordine inferiore, ma, semmai, deve
sorvegliare che questi livelli
adempiano adeguatamente ai loro compiti, e deve intervenire solo nel caso in cui essi non ce la
facciano, prima per sostenerli, e
solo dopo, qualora non riuscissero a rispondere ai bisogni, per sostituirli.
In conclusione, non crediamo
che sia cambiato il “vento”, da
molti anni ormai anche tra gli
economisti e i giuristi di riferimento della sinistra italiana la fasulla equazione “beni comuni =
Stato” appariva superata, così come pure quella visione superficiale secondo cui liberalizzare la
gestione del servizio comporta
automaticamente il venir meno
della natura “pubblica” di tali beni (per esempio, dell’acqua!). A
dire il vero, siamo rimasti colpiti
di come quel “vento” liberale che
da anni aveva iniziato a soffiare
sulla rive gauche italiana fosse
tanto flebile da apparire il 12 e il
13 giugno impercettibile.
SCULTORE MARCHIGIANO e STEFANO FOLCHETTI?, Madonna orante, 47x58, Firenze, Museo del Bargello
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