Accelerazione ionica attraverso laser a ultra

Accelerazione ionica attraverso laser a
ultra-alta intensitá e impulso ultra-corto.
Mina Veltcheva
9 marzo 2009
Indice
1 Introduzione
3
1.1
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3
1.2
L’evoluzione della tecnologia laser . . . . . . . . . . . . . . . .
4
1.3
Applicazioni dei fasci di protoni . . . . . . . . . . . . . . . . .
9
1.3.1
Tomografia per emissione di positrone
9
1.3.2
Protonterapia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
1.3.3
Fusione per confinamento inerziale (FCI) . . . . . . . . 11
1.3.4
Radiografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
. . . . . . . . .
2 Interazione Laser-Plasma
15
2.1
Interazione del laser con un singolo elettrone . . . . . . . . . . 16
2.2
Effetti collettivi degli elettroni del plasma
2.3
Meccanismi di accelerazione elettronica nei plasmi . . . . . . . 24
2.4
Trasporto del fascio di elettroni attraverso il plasma sovracritico 25
2.5
Meccanismi di accelerazione protoni . . . . . . . . . . . . . . . 26
. . . . . . . . . . . 19
2.5.1
Accelerazione di protoni in faccia avanti . . . . . . . . 27
2.5.2
TNSA- Meccanismo di accelerazione protoni da faccia
dietro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
2.6
Espansione di un plasma semi-infinito . . . . . . . . . . . . . . 33
2.6.1
Descrizione cinetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
2.6.2
Descrizione fluida . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
1
INDICE
2
2.6.3
Massima energia protonica per l’accelerazione in faccia
dietro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
3 Strumentazione utilizzata
40
3.1
L’amplificazione attraverso CPA . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
3.2
Il laser salle jaune . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
3.3
Diagnostiche per i parametri laser . . . . . . . . . . . . . . . . 44
3.4
3.3.1
Misura della durata dell’impulso . . . . . . . . . . . . . 44
3.3.2
Misura di contrasto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
3.3.3
Cross Polarized Wave Generation (XPW) . . . . . . . . 47
3.3.4
Pockels rapide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
3.3.5
Misura dell’energia tiro a tiro . . . . . . . . . . . . . . 52
Diagnostiche di rivelazione protoni . . . . . . . . . . . . . . . 52
3.4.1
Micro Channel Plate (MCP) . . . . . . . . . . . . . . . 52
3.4.2
CR39 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
3.4.3
Image Plate (IP) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
4 Setup sperimentale e raccolta dati
4.1
60
Parabola Thomson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
5 Risultati sperimentali
72
5.1
Esperienza a singolo fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
5.2
Esperienza a doppio fascio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93
Capitolo 1
Introduzione
1.1
Introduzione
L’espansione di un gas é regolata dalla disomogeneitá della sua pressione
rispetto a quella del mezzo che lo circonda. Un fenomeno simile accade nel
caso dei plasmi per i quali la pressione dominante é quella delle particelle piú
calde al loro interno, gli elettroni. In un plasma quasi-neutro e spazialmente
limitato,gli elettroni caldi tendono a espendersi oltre il loro volume iniziale
creando cosı́ una separazione di carica nell’intorno del limite del plasma. Il
campo elettrico di guaina che si viene a creare in questo modo attira gli
ioni nella stessa direzione dell’espansione termica degli elettroni. Attraverso
questo modello semplicistico si sviluppano le diverse teorie sull’espansione
del plasma. Dato che l’energia acquisita dagli ioni dipende direttamente da
quella degli elettroni, si avrá un’espansione piú rapida all’inizio dell’interazione, quando la temperatura elettronica é piú importante.
Una delle fonti di energia piú comunemente usate per la creazione di un plasma é il laser e, grazie alla tecnologia CPA sviluppata negli ultimi vent’anni,
al giorno d’oggi vengono raggiunte intensitá superiori ai 1018 W/cm2 e impulsi
inferiori al picosecondo. L’irraggiamento di un target solido per mezzo di un
3
1.2
4
Figura 1.1: Emissione stimolata
laser da luogo a numerosi fenomeni tra cui l’emissione di ioni energetici. I
prodotti dell’interazione sono il soggetto dei nostri studi a causa delle importanti applicazioni, sopratutto in campo medico, che ne derivano.
1.2
L’evoluzione della tecnologia laser
Un laser (Light Amplifier by Stimulated Emission of Radiation) é una sorgente coerente e monocromatica di luce. L’effetto laser si basa sull’interazione
di un’onda elettromagnetica (fotone) con un mezzo (materiale amplificatore).
L’avvento del laser comincia all’inizio degli anni 60 con l’apparizione del primo laser a impulso a rubino capace di inviare una potenza di 1 kW. Da allora
la tecnologia laser é in continua evoluzione fino agli odierni laser di potenza
utilizzati nei laboratori.
Il fenomeno fisico alla base dell’amplificazione della luce é l’emissione stimolata scoperta da Einstein nel 1917 (fig.1.1)
L’energia interna di un atomo o di una molecola non puó che prendere
1.2
5
una serie di valori discreti (quantizzazione dei livelli energetici,[Bohr, 1913]).
Il passaggio di un elettrone da un livello a un altro necessita l’assorbimento
o l’emissione di energia. L’assorbimento porta un atomo dal livello fondamentale E1 al livello eccitato E2 . L’apporto di energia puó avvenire in
diversi modi (pompaggio ottico con un altro laser, lampade flash...) ma deve
soddisfare la regola di conservazione dell’energia, dunque Eabs = E2 − E1 .
Inversamente, nel caso del processo di emissione, questa energia sará resa
sotto forma di un fotone di energia hν0 = Eabs . Einstein ha mostrato che in
presenza di un fotone con tale energia, l’atomo eccitato si disecciterá verso lo
stato fondamentale emettendo un fotone identico (stessa frenquenza ν0 , stessa direzione di propagazione e stesso stato di polarizzazione). E’ l’emissione
stimolata. In modo simmetrico un atomo potrá assorbire questa energia ed
eccitarsi. Diventa allora possibile emettere dei fotoni, in maniera controllata,
che sono allo stesso tempo nella stessa direzioni, quindi coerenti spazialmente
e temporalmente.
Un secondo processo di generazione di fotoni é l’emissione spontanea o fluorescenza che proviene dal diseccitamento naturale dal livello E2 al livello E1 ,
essendo il livello E2 instabile per l’atomo. La luce prodotta in questo modo é
isotropa e porta a una depopolazione del livello eccitato, é quindi considerato
come una perdita per il sistema. I tempi caratteristici dell’emissione spontanea sono lunghi rispetto a quelli dell’emissione stimolata e la luce prodotta
non é coerente spazialmente e temporalmente. Il fascio laser in uscita risulta
dunque essere il risultato sia dell’amplificazione dei fotoni emessi in maniera
stimolata, sia di quelli emessi spontaneamente.
La generazione di fotoni necessita di un numero iniziale di atomi nello stato
eccitato. Questo popolamento si fa a scapito degli atomi del livello fondamentale. Il processo si chiama inversione di popolazione. La moltiplicazione
del numero di fotoni si fa mettendo il mezzo amplificatore all’interno di una
1.2
6
cavitá ottica che permette ai fotoni numerosi passaggi attraverso il mezzo
amplificatore, e un’amplificazione del loro numero ad ogni passaggio. La
cavitá é composta da uno specchio totalmente riflettente e da uno specchio
parzialmente riflettente, con rispettivi ragi di curvatura R1 ed R2 , separati
da una distanza L. Esistono numerosi tipi di cavitá: Perot-Fabry (specchi piani), confocale (specchi sferici), semisferica (uno specchio piano e uno sferico)
o concentrica. Una cavitá ottica é stabile quando la sua geometria permette
alla luce di propagarsi senza poter sfuggire, restando il fascio in prossimitá
dell’asse della cavitá. Nel caso di fasci gaussiani (profilo spaziale) la cavitá
confocale permette di ottenere una maggiore stabilitá. La risoluzione dell’equazione di propagazione di un’onda all’interno di una cavitá risonante
permette di far apparire dei modi trasversi tali che la loro transizione nella
cavitá porta a un aumento dell’ampiezza del campo elettrico, senza cambiamento della superficie dell’onda. Questi modi sono i modi gaussiani T EMmn .
Interferiscono in maniera costruttiva a ogni andata-ritorno nella cavitá, l’intensitá trasmessa, in uscita, presenta quindi una modulazione in frequenza.
Queste frequenze sono chiamate frequenze proprie della cavitá e sono associate ai paramenti L, R1 ,R2 , tale che la frequenza dell’ordine p per i modi
T EMmn si scrive:
νmn,p
√
arccos( g1 g2 ) i
c h
=
p + (n + m + 1)
2L
π
(1.1)
dove gi = 1 − L/Ri .
L’efficacia di una cavitá é funzione delle perdite di luce che avvengono ad
ogni passaggio. Queste possono essere di natura differente, per diffusione o
trasmissione sugli specchi,per assorbimento nel mezzo amplificatore o per
diffrazione. Definiamo allora il fattore di qualitá di una cavitá come
Q = 4πνL/cT dove T é il fattore di trasmissione dello specchio parzialmente riflettente.
1.2
7
Il funzionamento descritto fino ad ora é detto rilassato, cioé che l’effetto
laser opera nella misura in cui il popolamento del livello eccitato procede
a causa delle oscillazioni di una sola popolazione (popolamento del livello
eccitato per il quale il guadagno del laser é uguale alle perdite della cavitá).
Questi laser sono limitati dai tempi di recupero del sistema, cioé i tempi necessari per l’inversione di popolazione. L’impulso ottenuto é lungo e le potenze
limitate a qualche kW. Un modo di superare tali limiti é di far funzionare
il laser in modo (declanche? trovare giusta traduzione) che consiste in una
riduzione delle perdite attraverso un modulatore. Inizialmente le perdite sono
mantenute a un livello elevato, la popolazione é dunque maggiore di quella
ottenuta in modo rilassato. Poi le perdite vengono bruscamente diminuite
e tutta l’energia accumulata durante il tempo di pompaggio viene liberata
in un impulso luminoso molto breve (dell’ordine di 10 ns) e molto intenso
(centinaio di MW). La modulazione delle perdite puó essere ottenuta in modi
diversi: l’utilizzo di un assorbente saturabile, di una cella di pockels all’interno della cavitá o di elemento ottico-acustico.
L’avvento dei laser a modo bloccato ha permesso di diminuire ancora la
durata dell’impulso, arrivando a impulsi femtosecondo e potenze dell’ordine
dei GW. Il bloccaggio di modo, o di fase, permette di mettere in fase i modi
della cavitá, e di farle interferire in maniera costruttiva. Consideriamo una
modulazione di ampiezza di un modo a frequenza ν0 nella cavitá a frequenza f . Il risultato di una tale combinazione genererá delle bande laterali a
frequenza ν0 − f e ν0 + f . Scegliendo la frequenza di modulazione tale che
f = c/2L, le due bande laterali si ritroveranno alle frequenze ν1 e ν−1 . Il
modo centrale e i modi adiacenti saranno dunque in fase.
Si distinguono due tipi di bloccaggio di modo: il bloccaggio passivo (assorbente saturabile, lenti Kerr) e il bloccaggio attivo (modulatore ottico-acustico
o elettro-ottico).
1.2
8
L’apparizione della tecnologia CPA (Chirped Pulse Amplification) all’inizio
degli anni 80 a permesso di migliorare ulteriormente i parametri laser generando fasci di qualche fs e una potenza di molti GW. Il passaggio di tali fasci
attraverso i cristalli amplificatori provoca effetti non lineari che limitano l’amplificazione stessa. Nel mezzo amplificatore definiamo la variabile B come il
valore di perdita in fase del fronte d’onda del fascio:
Z L
2π
B=
n2 I0 (z)dz
λ0 n 0 0
(1.2)
con n0 ed n2 rispettivamente l’indice di rifrazione lineare e non lineare del
mezzo amplificatore e L la sua lunghezza. I materiali e le intensitá vengono scelte in modo da rimanere al di sotto del valore critico dell’integrale
(Bcrit ≈ 2 al di sopra del quale osserviamo delle distorsioni di fase nel fascio.
L’amplificazione a deriva di frequenza , CPA, consiste in un allargamento
temporale dell’impulso laser prima dell’amplificazione (per spiegazione vedi
capitolo + avanti) che permette di diminuire l’intensitá sul cristallo e restare
sotto la soglia di danno dei materiali.
La potenza laser si é vista moltiplicare di un fattore 100 dall’apparizione dei
primi laser a tecnologia CPA. In questo tipo di laser peró diventa obbligatorio
considerare l’emissione per fluorescenza. Infatti l’emissione spontanea viene
anche amplificata nei diversi passaggi. Questo da luogo all’ASE. La sua mancanza di coerenza temporale fa sı́ che il fascio abbia un’intesitá molto minore
di quella dell’impulso principale, comunque non trascurabile se focalizziamo
il laser su un target solido. Diverse tecniche (vedi capitolo 3) ci permettono
di pulire l’impulso dall’ASE.
1.3
1.3
9
Applicazioni dei fasci di protoni
I fasci di protoni sono al giorno d’oggi utilizzati in molti campi di ricerca, tra
cui quello medico in cui hanno diverse applicazioni, sia di tipo diagnostico, sia
come cura contro i tumori di superficie come per esempio quello dell’occhio.
Tali fasci devono avere energie piuttosto elevate per risultare utili allo scopo
e vengono creati attraverso appositi acceleratori a ciclotrone o sincrotrone
installati nelle cliniche specializzate e nei centri per questo tipo di ricerca.
1.3.1
Tomografia per emissione di positrone
La tomografia per emissione di positrone é molto utilizzata in campo medico. Questa tecnica richiede l’utilizzo di isotopo radioattivi che emettono
positroni (come
11
C,13 N ,15 O,18 F ). La creazione di questi isotopi necessita
dell’interazione di un fascio di protoni provenienti da un acceleratore a ciclotrone con un target arricchito. I positroni perderanno la loro energia nella
materia e si annichileranno in due fotoni propaganti in direzione opposta di
energia 0,511 MeV. Attraversando il corpo di un paziente i radio-isotopi rallenteranno, sino a fermarsi, in presenza di tessuti come il cuore, il cervello e
i tumori. Verranno quindi emessi man mano sempre piú positroni, permettendo la localizzazione di tumori anche in stadi davvero precoci, che nessuna
altra tecnica medica permette di individuare.
L’installazione di un ciclotrone per produrre i radio-isotopi ha un costo importante, sia per l’installazione stessa dell’acceleratore, sia per la radioprotezione degli ambienti circostanti. Questo limita fortemente lo sviluppo di
tale tecnica. Per questo motivo la ricerca si é rivolta verso la creazione di
fasci di radio-isotopi attraverso l’interazione laser-plasma. Il laser infatti ha
una dimensione piú piccola di un acceleratore di particelle e un costo minore.
1.3
1.3.2
10
Protonterapia
La protonterapia é una tecnica molto efficiente nella cura dei tumori avvantaggiata, ancora una volta, dal fatto che i protoni depositano la loro energia
localmente alla fine del loro moto (picco di Bragg). Il deposito di energia
protonica ha una sensibilitá dell’ordine del millimetro, facendo in modo di
irradiare precisamente un tumore senza intaccare i tessuti circostanti e permettendo di curare organi delicati come gli occhi e il cervello. Per applicare
la terapia sono necessari protoni molto energetici (da 60 a 250 MeV a seconda
della profonditá del tumore)(1.2).
Figura 1.2: Curve di Bragg per diverse radiazioni
1.3
11
Nell’applicazione pratica della teoria la regione esatta del tumore da cu-
rare viene prima definita attraverso la tomografia a emissione di positrone.
Questo permette di calcolare l’energia protonica necessaria. Successivamente
il tumore viene bombardato con un fascio di protoni di energia sufficiente.
Attualmente la strumentazione utilizzata per la produzione di tali protoni
sono gli acceleratori a ciclotrone e sincrotrone, installazioni che possono anche occupare un intero edificio. L’uso di laser permette di ridurre decisamente
sia il volume della strumentazione sia i canali per il trasporto del fascio fino
al paziente.
Il fascio richiesto per il trattamento é generalmente attorno ai 250 MeV e il
piú monoenergetico possibile (per evitare la distruzione dei tessuti circostanti).
Per una sessione di cura completa é richiesta una dose di 60-71 Gy da
depositare in sedute successive (2 Gy a seduta).
1.3.3
Fusione per confinamento inerziale (FCI)
La fusione per confinamento inerziale consiste nell’instaurare una reazione di
fusione termonucleare autosostenuta nel combustibile, per esempio un plasma
di deuterio e trizio, per liberare grandi quantitá di energia.
D + T = α(3, 5M eV ) + n(14, 1M eV )
(1.3)
Il criterio per innescare la reazione si chiama criterio di Lawson ed é
definito dalla relazione:
ne τ > 1014 cm−3 s
(1.4)
dove ne é la densitá elettronica e τ la durata di confinamento del plasma. Ci
sono allora due possibilitá: ottenere una densitá elevata durante tempi corti
o una densitá minore e tempi piú lunghi. La FCI utilizza il primo approccio
1.3
12
al problema. Innescare una reazione di fusione significa vincere le forze di
repulsione colombiana negli atomi.
Distinguiamo tre approcci diversi che portano alla FCI, diretto, indiretto e
accensione rapida. La FCI per approccio diretto si riassume in quattro
fasi:
• irradiare un target sferico di DT (deuterio-trizio) di raggio circa 1-2 mm
il piú uniformemente possibile con un’intensitá massimale dell’ordine
di 2 × 1015 W/cm2 . Le parti esterne del target vengono ionizzate e
formano una corona di plasma a una densitá che va da n ≈ 1019 cm−3
a n ≈ 1022 cm−3 ;
• l’energia laser continua a depositarsi nella corona fino a raggiungere
la densitá critica. L’energia trasportata dagli elettroni attraverso il
plasma sovra-critico accresce la temperatura del target e da inizio a un
processo di ablazione. Questo genera un’onda di shock convergente che
comprime il combustibile;
• la convergenza delle onde di shock crea nel centro un punto abbastanza
caldo per l’accensione. Le reazioni di fusione si innescano continuando
a riscaldare il punto caldo;
• l’aumento della temperatura del punto caldo lo rende sempre piú trasparente alle particelle α liberate nel corso della reazione di fusione e queste
cominciano a depositare la loro energia negli strati adiacenti, trasmettendo cosı́ le condizioni di accensione.
La realizzazione dell’innesto con laser necessita di un riscaldamento uniforme
sul target per conservare una simmetria sferica durante l’implosione, per
questo motivo si utilizzano un molti laser focalizzati sul target.
I limiti di tale sistema provengono dalle instabilitá idro-dinamiche (RayleighTaylor, Richtmeyer-Meshkov...) che si presentano nel caso di un riscaldamen-
1.3
13
to non completamente uniforme, che conducono a una rottura della simmetria
e riducono l’efficacia dell’implosione.
Nell’approccio indiretto i fasci laser non vengono focalizzati direttamente
sul target ma su una cavitá che lo circonda (Hohlraum) di solito realizzata
in oro che assorbe l’energia laser e riemette una parte dei raggi X incoerenti.
Il target viene dunque confinato in maniera simmetrica. Il tasso di conversione tra l’energia dei laser e quella trasmessa al target attraverso i raggi X
é ≈ 60%, percentuale che si abbassa ulteriormente calcolando l’energia effettiva assorbita dal target. Questo rende meno efficace l’approccio indiretto,
anche se vengono evitate le instabilitá idro-dinamiche.
Nel concetto di accensione rapida vengono separate le fasi di compressione
e riscaldamento. Il target é sempre compresso con i laser ma il riscaldamento
avviene per iniezione di un fascio di particelle energetiche che depositano la
loro energia nel combustibile. Distinguiamo tre fasi:
• la fase di compressione viene realizzata, come nell’approccio diretto,
focalizzando molti laser sul target, senza cercare di creare un punto
caldo centrale ma con un riscaldamento adiabatico che permette di
limitare le instabilitá idro-dinamiche. Si forma dunque un cuore denso
e una corona di plasma circostante;
• un primo fascio laser (I0 ≈ 1018 W/cm2 ) é inviato attraverso la corona
per creare un canale;
• un secondo fascio, piú energetico (I0 > 1020 W/cm2 , τ ≈ 1ps, viene
allora focalizzato il piú vicino possibile al cuore al fine di generare un
fascio di elettroni capaci di attraversare il plasma sovra-critico e di
termalizzarsi sulla superficie del cuore, creando un punto caldo laterale
alle condizioni di accensione.
1.3
14
Il riscaldamento del target é isocoro (volume costante) grazie ai tempi minori del laser rispetto ai tempi caratterstici dell’espansione idro-dinamica del
target. Il guadagno risulta piú elevato rispetto all’approccio diretto. Clark
et al.[[24]] hanno dimostrato che é possibile l’utilizzo di un fascio di protoni
per riscaldare il target. I protoni presentano caratteristiche adatte in quanto
il deposito di energia di un fascio monoenergetico é ben localizzato, a causa
del picco di Bragg, in piú i protoni perdono poca energia nel mezzi a bassa
densitá e la loro massa importante fa sı́ che siano meno sensibili ai campi
elettro-magnetici degli elettroni.
Il punto critico dello schema rimane l’efficacia di conversione tra l’energia
laser e il fascio di protoni ( tra 5 e 12 % a seconda dell’esperienza. Rimangono
quindi delle incertezze sull’utilizzo dei laser per la fusione inerziale.
1.3.4
Radiografia
La radiografia con fasci di protoni generati da laser presenta numerosi vantaggi rispetto alle tecniche classiche con i raggi X. I protoni, grazie al loro
picco di Bragg, hanno depositi di energia molto piú localizzati. La risoluzione
spaziale delle immagini é determinata dalla dimensione della sorgente di protoni, generalmente dell’ordine di una decina di µ(45µ per protoni da 5 MeV
e 15 − 20µ per protoni da 10 Mev. La risoluzione temporale dipende dalla durata del pacchetto di protoni. Questa non é mai stata determinata
sperimentalmente ma le simulazioni PIC prevedono una durata di 1 ps [[25]].
Capitolo 2
Interazione Laser-Plasma
Durante l’interazione tra impulsi laser ultracorti con picchi di intensitá superiori a 1018 W/cm2 con target solidi, la parte piú intensa dell’impulso interagisce con un preplasma ad alta temperatura e grado di ionizzazone sulla
faccia avanti del target. Questo preplasma viene formato dal preimpulso
del segnale laser che é giá sufficientemente intenso da ionizzare la materia e
proviene dall’amplificazione dell’emissione spontanea (ASE), presente in ogni
catena laser.
All’arrivo dell’impulso principale, gran parte dell’energia laser viene assorbita
e convertita in energia cinetica dagli elettroni. Questi elettroni caldi vengono
espulsi dallo spot focale del laser a causa della forza ponderomotiva. Si crea
cosı́ una distribuzione positiva di carica in faccia avanti del target. Inoltre
gli elettroni che acquisiscono un’energia dell’ordine dei MeV sono capaci di
propagare attraverso il target e di sfuggire dalla faccia dietro creando anche
lı́ un forte campo elettrico dato dalla separazione di carica.
I campi elettrici creati in questo modo sono capaci di accelerare gli ioni fino
a energie dell’ordine dei MeV.
Per comprendere i due meccanismi di accelerazione di ioni (da faccia avanti
e da faccia dietro) studiamo innanzitutto l’interazione tra l’impulso laser e
15
2.1
16
gli elettroni presenti nel preplasma.
2.1
Interazione del laser con un singolo elettrone
~ t) che é
L’impulso laser é descritto dal suo vettore vettore potenziale A(x,
parallelo al versore e~y e varia solo nello spazio x enel tempo t come:
~ = e~y A0 sin(kL x − ωL t)
A
(2.1)
dove ωL /2π é la frequenza del laser, kL = 2π/ηλL é il numero d’onda, λL =
2πc/ωL é la lunghezza d’onda del laser nel vuoto, η l’indice di rifrazione e c
la velociá della luce nel vuoto. In assenza di campi elettrostatici possiamo
scrivere il campo elettrico E~L e magnetico B~L attraverso le equazioni di
Maxwell:
~
∂A
E~L = −
= E~0 cos(kL x − ωL t), con E~0 = e~y ωL A0
(2.2)
∂t
~ ×A
~ = B~0 cos(kL x − ωL t), con B~0 = e~z kL A0 = e~z ηE0 (2.3)
B~L = ∇
c
Nel vuoto, con η = 1, l’intensitá del laser IL , che é l’ampiezza del vettore di
~ mediata sul periodo del laser TL = 2π/ωL si puó scrivere come:
Poynting S
~ = 1 h|E~L × B~L |i = 0 c E 2
IL = h|S|i
µ0
2 0
(2.4)
~ eB
~ é descritta
L’interazione di un singolo elettrone con i campi esterni E
dall’equazione del moto
d~p
d
~ + ~v × B)
~
= (γme~v ) = −e(E
dt
dt
(2.5)
p
con ~v e p~ la velocitá e il momento dell’elettrone e γ = 1/ 1 − β 2 , con β = v/c
il fattore relativistico di Lorentz.
2.1
17
~ = 0 e p~·d~p = 1/2d~p2 otteniamo
Moltiplicando la (2.5) per p~ e usando p~·(~v ×B)
l’evoluzione dell’energia cinetica , Ekin = me c2 (γ − 1), dell’elettrone come
dγ
dEkin
~ · ~v
= me c2
= −eE
dt
dt
(2.6)
Nel regime classico, cioé per velocitá v c dove γ ≈ 1, il moto dell’elettrone
é dettato dal campo elettrico del laser, dato che il fattore magnetico é moltiplicato per un fattore v/c e quindi puó venire trascurato.
Integrando, in questo caso, la (2.5) con condizioni iniziali x = 0,y = 0 e v = 0
otteniamo:
eE0
· sin(kL x − ωL t)
ωL me
(2.7)
eE0
· [cos(kL x − ωL t) − 1]
ωL me
(2.8)
~v = ~ey ·
y=
rispettivamente velocitá e spostamento dell’elettrone nel campo elettrico. In
questo caso l’elettrone oscilla parallelo al campo E.
Il modulo della velocitá v0 si avvicina a c quando il cosiddetto vettore
potenziale normalizzato
a0 =
eE0
eA0
=
ωL me c
me c
(2.9)
si avvicina all’unitá. In questo caso, una descrizione puramente classica, non
é piú valida.
a0 definisce tre regimi nell’interazione laser-plasma. Per a0 1 il movimento
dell’elettrone é classico e il regime é non-relativistico. Per a0 ≈ 1 l’interazione
dev’essere trattata in modo relativistico, infine per a0 1 il regime é ultrarelativistico.
Il laser utilizzato da noi ha le seguenti caratteristiche: lunghezza d’onda
λL = 820nm, durata dell’impulso 35 fs, spot focale di 4 µm, energia nello
spot di 700 mJ, da cui si ottiene un’intensitá sul target di 8 × 1019 W/cm2 .
Quindi calcoliamo a0 = 5, 1. Nel nostro caso quindi il regime trattato é quello
2.1
18
relativistico e la soluzione dell’equazione del moto non é piú quella classica.
Dalle equazioni (2.2) e (2.3) per il campo elettrico e magnetico, si ottiene:
dpy
dA
=e
dt
dt
py − eA = C1
(2.10)
(2.11)
~
~
~ A
~ , ~v × (∇
~ × A)
~ =
dove sono state utilizzate ∂ A/∂t
= dAdt
− (~v · ∇)
~ v · A)
~ − (~v · ∇)
~ A
~ e ∂ A/∂z
~
∇(~
= 0. La costante C1 é la prima invariante
del moto dell’elettrone ed é legata al momento iniziale dell’elettrone nella
direzione ey .
Considerando ora la (2.6), E0 k ey e B0 k ez , otteniamo, sempre dalla (2.5)
dpx
dγ
= evy B0 = me c
dt
dt
px
γ−
= C2
me c
(2.12)
(2.13)
C2 é la seconda invariante del moto dell’elettrone. Usando γ 2 = 1 +
(p/me c)2 si trova la seguente relazione tra px e py :
px
1 − C22 + (py /me c)2
=
me c
2C2
(2.14)
Inserendo le condizioni iniziali t = 0, x = 0 e p = 0, si trova che C1 = 0 e
C2 = 1 quando il campo elettrico é massimo. Questo porta a
Ekin
py = eAy
p2y
= cpx =
2e
(2.15)
(2.16)
e si ottiene γ = 1+a2 /2 come fattore relativistico di Lorentz per l’interazione
laser-singolo elettrone.
Per ottenere le coordinate x e y della traiettoia usiamo Φ = kL x − ωL t e
dΦ/dt = vx kL − ωL = ωL (βx − 1) = −ωL /γ, che portano a:
p~ = γme
d~r
d~r dΦ
d~r
= γme
·
= −me ωL
dt
dΦ dt
dΦ
(2.17)
2.2
19
Integrando quindi le componenti x e y del momento otteniamo:
x=
1
c a20 Φ − cos(2Φ)
ωL 4
2
c y=
a0 1 − cos Φ
ωL
(2.18)
(2.19)
L’elettrone é spinto nella direzione del laser. Nel sistema di riferimento del
laboratorio questo movimento viene descritto attraverso la velocitá di deriva
v~D =
DxE
t
=
a20
c · e~x
4 + a20
(2.20)
che proviene dalla prima parte dell’eq. (2.18). La seconda parte invece
descrive una rapida oscillazione dell’elettrone in direzione e~x .
2.2
Effetti collettivi degli elettroni del plasma
Equazione del moto relativistica nel plasma Per derivare l’equazione
del moto relativistica gli elettroni sono trattati come un fluido a T = 0 con
distribuzione di densitá e velocitá, ne (~r, t) e ve (~r, t), che dipendono dallo
spazio e dal tempo. Gli ioni, a causa della loro massa molto maggiore, sono
trattati come un fondo immobile con carica positiva.
Anche in questo caso il comportamento del fluido elettronico é descritto dalla
(2.5). I campi eletrici e magnetici si scrivono ora come
~ =∇
~ ×A
~
B
~
~ = −∇Φ
~ el − ∂ A
E
∂t
(2.21)
(2.22)
e questo porta a un’equazione del moto espressa come
h ∂A
i
~
~
~
~
~
+ ~v · ∇ p~ = −e −
− ∇Φel + ~v × (∇ × A)
∂t
∂t
∂
(2.23)
2.2
20
p
2
~ = (2γ)−1 · ∇(p/m
~
~×
Usando le relazioni γ = 1 + (p/me c)2 , ∇γ
v × (∇
e c) e ~
~ − (~v · ∇)~
~ p otteniamo l’ equazione relativistica del moto
p~) = me c2 ∇γ
del plasma come
∂
2
~
~
~
~
p~ − eA − ~v × ∇ × p~ − eA = ∇ eΦel − γme c
∂t
(2.24)
~ e e∇Φ
~ el = me c2 ∇γ.
~
Quest’equazione ha due soluzioni triviali: p~ = eA
In
2~
questo secondo caso la forza ponderomotiva me c ∇γ é bilanciata dalla forza
~ el , proveniente dalla separazione di carica indotta dal laser.
elettrostatica e∇Φ
√
Questo implica che γ = 1 + a2 che é diverso dall’espressione di γ trovata
per il singolo elettrone, e porta a un potenziale ponderomotivo nel plasma
Φpond = me c2 (γ − 1) = me c2
√
1 + a2 − 1
(2.25)
che dipende dall’intensitá locale del laser e scala con a2 .
Debye shielding Una delle caratteristiche di un plasma é la tendenza a
schermare i campi elettrici esterni. Le particelle con diverse cariche si dispongono in modo da creare un campo interno microscopico che si oppone ai
campi esterni, cosı́ da mantenere, su scala macroscopica, la quasi-neutralitá.
Gli ioni positivi vengono circondati dagli elettroni del plasma che ne schermano il potenziale elettrico.
Per una carica positiva Ze questo schermaggio modifica il potenziale colombiano di un fattore esponenziale
Φion (r) =
1 Ze
r · exp −
4π0 r
λD
(2.26)
con la caratteristica lunghezza di schermaggio λD dipendente dalla temperatuta Te e dalla densitá , ne , degli elettroni nel plasma circostante:
r
0 kB Te
λD =
ne e2
(2.27)
2.2
21
λD é la lunghezza di Debye del plasma e kB la costante di Boltzmann. In
un plasma imperturbato la neutralitá di carica si estende a scale piú grandi
della lunghezza di Debye.
Propagazione della luce in un plasma Se gli elettroni del plasma interagiscono con una perturbazione esterna e vengono mossi dalla loro posizione
iniziale, si crea una forza opposta all’effetto della perturbazione, data dal
campo elettrico indotto dalla separazione di carica. Una volta terminata la
perturbazione gli elettroni cominciano a oscillare attorno alla posizione di
equilibrio con una frequenza caratteristica ωpe che dipende unicamente dalla
densitá di elettroni ne nel plasma:
s
ωpe =
ne e2
0 m e
(2.28)
ωpe si chiama frequenza elettronica di plasma. Gli elettroni del plasma possono anche seguire una perturbazione esterna periodica, che varia con
frequenza minore di ωpe . Un’onda elettromagnetica con ωL < ωpe non puó
propagare in un plasma, dato che gli elettroni ne schermano il campo oscillante. Se il campo elettrico della perturbazione é cosı́ intenso che la velocitá
degli elettroni si avvicina a c nel corso dell’oscillazione, la massa effettiva dell’elettrone, γme , cresce, e ció modifica la ωpe . A causa di questa variazione
di massa durante il periodo dell’oscillazione, il moto dell’elettrone diventa
anarmonico. La ωpe é quindi data da:
s
ωpe =
ne e2
0 hγime
(2.29)
dove hγi é mediata sia sull’oscillazione veloce del campo laser sia, localmente,
su un grande numero di elettroni.
Quando invece la frequenza della perturbazione esterna é maggiore di ωpe gli
2.2
22
elettroni non riescono a seguire il campo variabile e rimangono inerti, quindi
l’onda esterna puó propagare indisturbata attraverso il plasma.
Quando invece un’onda elettromagnetica propaga attraverso un gradiente
di plasma, viene fermata alla densitá elettronica ncr , dove la frequenza ωL
dell’onda esterna eguaglia la ωpe . Questa densitá viene chiamata densitá
critica del plasma
0 hγime ωL2
ncr =
e2
(2.30)
Plasmi on densitá superiori a questo limite vengono chiamati sovracritici,
sotto questo limite sottocritici.
La propagazione di un’onda elettromagnetica attraverso un plasma a bassa
densitá é descritta dalla relazione di dispersione
2
ωL2 = kL2 c2 + ωpe
Usando l’indice di rifrazione , η del plasma, definito da
r
ω 2 r
n pe
e
η = 1−
= 1−
ωL
ncr
(2.31)
(2.32)
ricaviamo la velocitá di gruppo e di fase, vgr e vph , come
vgr =
∂ωL
ωL
1
= η · c , vph =
= ·c
∂kL
kL
η
(2.33)
Dato che l’indice di rifrazione η é sempre minore di 1, la velocitá di gruppo
é sempre minore, e la velocitá di fase é sempre maggiore, di c.
La dipendenza dell’indice di rifrazione η dall’intensitá, attraverso il fattore
di Lorentz, hγi = (1 + a2 )1/2 , ha numerose conseguenze sulla propagazione di
impulsi laser a intensitá relativistiche, attraverso il plasma.
2.2
23
• La frequenza di plasma diminuisce al crescere dell’intensitá laser. Puó
succedere che un plasma abbia una densité elettronica ne sovracritica
e quindi non essere trasparente per onde sub-relativistiche con a0 1.
Tale plasma diventa invece trasparente per un impulso laser con a0 ≈ 1
quando la condizione:
0 ωL2 me
0 ωL2 me
< ne <
·
me
me
q
1 + a20
(2.34)
é soddisfatta. Il fenomeno si chiama trasparenza autoindotta.
• Se abbiamo un impulso laser con intensitá moderata, vale a dire abbastanza bassa da essere trattato classicamente ma anche sufficiente ad
aumentare in modo significativo il grado di ionizzazione del plasma, la
densitá elettronica aumenta nel fuoco a causa della ionizzazione, mentre rimane invariata al di fuori. Questo causa un indice di rifrazione
minore nel centro del fascio laser, che porta ad un aumento della velocitá di fase, rispetto ai bordi. Quindi il plasma agisce da lente negativa,
defocalizzando il fascio. L’effetto viene chiamato defocalizzazione
ionica.
• Quando un fascio laser relativistico viene focalizzato su un plasma,
la massa elettronica media, hγime , aumenta durante l’oscillazione nel
campo del laser, dipendentemente dall’intensitá locale. Questo porta
a un aumento dell’indice di rifrazione nel centro del fascio rispetto ai
bordi. Se questo effetto domina sulla defocalizzazione ionica, il plasma agisce da lente positiva. L’effetto é chiamato autofocalizzazione
relativistica.
• Quando l’intensitá é alta gli elettroni vengono scatterati dalla forza
ponderomotrice fuori dal fuoco, diminuendo la densitá locale. Questo
effetto, chiamato autofocalizzazione ponderomotiva, contribuisce
ulteriormente alla focalizzazione del fascio.
2.3
24
La potenza limite oltre alla quale l’autofocalizzazione relativistica domina
sulla defocalizzazione ionica é data da
n me c2 4π0 me c3 ncr cr
Plim = 2
·
= 17.4GW ·
e
e
ne
ne
(2.35)
dove me c2 /e = 511kV corrisponde all’energia a riposo dell’elettrone e 4π0 me c3 /e =
17kA é la corrente di Alfvén, la massima corrente che puó essere trasportata
nel vuoto.
2.3
Meccanismi di accelerazione elettronica
nei plasmi
Quando un impulso laser ad alta intensitá interagisce con un plasma, la
situazione diventa piú complessa rispetto al caso del singolo elettrone e si
verifcano svariati effetti non lineari associati al comportamento collettivo.
Un grande numero degli elettroni del plasma possono essere accelerati con
impulsi laser del genere. Una percentuale dell’energia dell’impulso puó venire
convertita in elettroni con energie dell’ordine dei MeV formando un fascio
diretto.
A seconda delle condizioni sperimentali l’interzione é dominata da differenti
meccanismi di accelerazione. Nel nostro caso utilizziamo target solidi quindi
consideriamo gli elettroni accelerati nell’intorno della superficie sovradensa
del plasma, dove l’impulso laser non propaga e viene in parte riflesso.
Accelerazione di elettroni sulla supeficie critica Negli esperimenti
con target solidi il preimpulso laser dato dall’ASE é sufficientemente intenso
da generare un preplasma sulla faccia avanti del target, dove la densitá elettronica cresce da 0, nel vuoto, alla densitá dei solidi (≈ 1023 cm−3 ) su una
lunghezza di scala che dipende dalle caratteristiche del preimpulso. Quando
2.4
25
l’impulso principale ragiunge la superficie sovracritica (≈ 1021 cm−3 ) parallela alla supeficie inizile del target, viene in parte riflesso. Dal momento
che il fascio non puó propagare oltre tale superficie, il gradiente di campo é
massimo ed é normale alla superficie del target. La forza ponderomotrice,
che é antiparallela al gradiente, veicola gli elettroni perpendicolarmente nel
target. La superficie sovracritica é peró parallela alla superficie del target
solo inizialmente, poi si deforma a causa del laser che spinge gli elettroni sia
perpendicolarmente che di lato. A causa di questo effetto la direzione finale
degli elettroni é intermedia tra la normale al target e il fascio laser. L’energia media della popolazione elettronica accelerata in questo modo puó essere
stimata attraverso il potenziale ponderomotivo come
q
2
2
kB Te = me c
1 + a0 − 1
2.4
(2.36)
Trasporto del fascio di elettroni attraverso il plasma sovracritico
Se consideriamo che il processo di accelerazione avviene durante un tempo τL
che rappresenta la durata dell’impulso laser e calcoliamo la corrente prodotta dagli elettroni veloci come I ≈ Ne e/τL ci rendiamo conto che, per valori
tipici del laser, la corrente prodotta eccede di vari ordini di grandezza la
corrente di Alfvén. Nessuna corrente elettronica puó propagare liberamente
nel vuoto oltre questo limite. Nei plasmi peró questo é possibile laddove la
corrente prodotta dagli elettroni veloci viene compensata da una consistente
corrente di ritorno. Questa corrente di ritorno é prodotta dai campi elettrici
indotti dai campi magnetici, dovuti sia alla corrente di elettroni veloci che
alla separazione di carica nel target.
Il fascio di elettroni veloci é generato sulla superficie a densitá critica, ncr e ha
quindi una desitá dello stesso ordine (≈ 1021 cm−3 ); la densitá della corrente
2.5
26
di ritorno, nret , é invece dell’ordine della densitá del solido (≈ 1023 cm−3 ). Di
conseguenza la corrente di ritorno consiste in una lenta deriva degli elettroni
del reticolo.
Questa configurazione a due correnti é altamente instabile: una piccola perturbazione nelle densitá di corrente spezza l’equilibrio tra le due correnti e
da luogo a un campo magnetico azimutale, generato dalla corrente netta,
che tende a fermarla a causa dell’effetto di pinch e di espellere la corrente
di ritorno fuori dalla regione locale. Questo puó portare alla formazione di
fasci filamentati, ognuno portatore di una corrente di Alfvén, e circondato in
modo cilindrico dalla corrente di ritorno che cancella in gran parte il campo
magnetico esterno al filamento. Quando due di questi filamenti si uniscono
a causa della reciproca attrazione residua, parte dell’energia portata dalla
corrente di elettroni veloci viene convertita in riscaldamento trasversale del
plasma, fino a che il nuovo filamento ottenuto dai due di partenza si riduce
a una corrente di Alfvén. Questo effetto porta a una significativa perdita di
energia del fascio di elettroni veloci, che puó andare incontro ad uno stopping
anomalo.
2.5
Meccanismi di accelerazione protoni
L’interazione ´diretta´ tra i protoni, e gli ioni piú pesanti, e il laser, anche con intensitá considerevoli, non é capace di accelerare tali particelle fino
alle energie dei MeV. E’ per mezzo della mediazione degli elettroni del plasma, il cui movimento genera forti campi elettrici dovuti alla separazione di
carica, che protoni e ioni acquistano energie piú alte. Questi campi infatti
possono avere la stessa intensitá dei campi oscillanti del laser ma variano su
una lunghezza di scala comparabile a quella dell’impulso laser, quindi gli ioni
2.5
27
dispongono di un tempo molto maggiore per venire accelerati.
Ci sono due meccanismi differenti che hanno luogo una volta avvenuta l’interazione. Il primo consiste nell’accelerare i protoni nell’intorno del fuoco del
laser sulla faccia avanti del target, a causa degli elettroni esplusi dal target dalla forza ponderomotrice, che quindi si lasciano alle spalle una carica
positiva. Il secondo meccanismo, da faccia dietro, avviene quando gli elettroni, che sono stati accelerati dal laser in faccia avanti e hanno propagato
attraverso il target, formano un sottile schermo di Debye, che provoca un
intenso campo elettrico di lunga durata.
2.5.1
Accelerazione di protoni in faccia avanti
Il primo meccanismo per l’accelerzione protoni avviene in prossimitá della
posizione di fuoco ed é dovuto al campo elettrostatico generato dall’espulsione ponderomotiva degli elettroni del plasma dalla regione ad alta intensiá
del laser. Tale meccanismo é stato studiato da Y. Sentoku usando un codice
PIC 1-D. In queste simulazioni, l’impulso laser é focalizzato su un preplasma con una lunghezza di scala dell’ordine dei µm, formato dal preimpulso. Si suppone la quasi-neutralitá del plasma prima dell’arrivo dell’impulso
principale(2.1).
Quando l’impulso principale, a intensitá relativistiche, con il vettore potenziale normalizzato a0 arriva alla superficie critica, gli elettroni vengono espulsi dalla forza ponderomotrice fuori dal fuoco fino a quando il potenziale
elettrostatico Φel , dovuto alla separazione di carica, eguaglia il poteziale
ponderomotivo Φpond del laser(2.2). Questo porta a
q
2
2
Φel ≈ Φpond = me c
1 + a0 − 1
(2.37)
2.5
28
Figura 2.1: Quasi neutralitá del plasma a t=0
Quando un singolo protone interagisce con questo potenziale, puó guadagnare
un’energia cinetica massimale data dalla differenza tra i due potenziali. Questo
é vero quando il campo elettrostatico creato dura abbastanza a lungo da permettere al protone di acquistare tale energia. Si stima che la vita del campo
é dell’ordine della durata dell’impulso laser τL . Bisogna quindi comparare il
tempo necessario all’accelerazione, τacc , a τL , seguendo la derivazione fatta
da Sentoku.
L’equazione del moto 1-D per l’accelerazione di un protone dovuta al campo
Ex in faccia avanti dice
mp
dvp
dEp
=
= eEx
dt
dx
(2.38)
dove mp e vp sono massae velocitá del protone e Ep = 1/2mp vp2 é l’energia
cinetica. Per integrare quest’equazione si assume che il campo elettrostatico
Ex é costante, con un valore medio di Ex0 /2, su una lunghezza di acceler-
2.5
29
Figura 2.2: Espansione del plasma a t>0
azione xmax . Quindi l’energia cinetica, che é funzione della distanza é data
da
Ep (x) = e
Ex0
x
2
(2.39)
Dal momento che la massima energia protonica alla fine della lunghezza di
accelerazione eguaglia il potenziale ponderomotivo, cioé Ep (xmax ) = Φpond =
kB Te e il massimo valore del campo elettrico é Ex0 ≈ kB Te /eλD , la lunghezza
di accelerazione che otteniamo é xmax = 2λD .
Per ottenere il tempo di accelerazione τacc usiamo la relazione
mp dx 2
Ex0
dx
=e
x → dt = p
2 dt
2
(eEx0 /mp )x
e la integriamo da x = 0 a xmax = 2λD , con Ex0 supposto costante:
s
r
Z 2λD
dx
8mp λD
8mp λ2D
p
τacc =
=
≈
eEx0
kB te
(eEx0 /mp )x
0
(2.40)
(2.41)
2.5
30
La lunghezza di Debye alla densitá critica puó essere scritta come
λ2D =
0 kB Te
kB Te
kB Te
λ2L
≈
=
·
ncr e2
ωL2 me hγi
4π 2 me c2 hγi
Otteniamo quindi per iltempo di accelerazione:
s
8mp
TL
τacc =
·p
me hγi
hγi
(2.42)
(2.43)
dove TL = λL /c é il periodo del laser.
Ulteriori simulazioni di Sentoku mostrano che esiste un secondo effetto, collettivo, che aumenta ancora le energie dei protoni. Durante l’interazione con
l’impulso laser si forma un fronte protonico che presenta un marcato picco di
densitá. La temperatura locale é troppo alta (quindi la λD troppo grande)
per schermare le intense forze di repulsione elettrostatica tra i protoni del
fronte. Quindi questo esplode accelerando ulteriormente i protoni energetici.
Le simulazioni mostrano che questo effetto incrementa le eergie dei protoni
di un fattore (1.5)2 .
2.5.2
TNSA- Meccanismo di accelerazione protoni da
faccia dietro
La seconda possibilitá per ottenere un forte, e lentamente variabile, campo
elettrico, é il meccanismo di accelerazione ionica da faccia dietro. Verranno descritti in seguito il meccanismo fisico e una descrizione analitica per
l’evoluzione del campo responsabile dell’accelerazione.
Meccanismo fisico. Gli elettroni che hanno raggiunto il MeV, generati nel
fuoco del laser, propagano attraverso il target, come discusso nella sezione
2.5
31
precedente. Dopo che questi elettroni veloci abbandonano la faccia dietro del
target, si forma un forte potenziale elettrostatico, dovuto alla separazione di
carica in prossimitá alla superficie target-vuoto. Gli elettroni che vi giungono
successivamente sono cosı́ costretti, dal campo, a tornare indietro nel target.
A causa di questo meccanismo si crea una suerficie carica negativamente sulla
faccia dietro del target. Una stima dei campi elettrici in gioco mostra che
questi sono sufficientemente intensi da ionizzare gli atomi dulla superficie del
target. Gli ioni quindi vengono anche accelerati da questi stessi campi.
A causa delle inevitabili contaminazioni sulla superficie del target, le specie
ioniche favorite per l’accelerazione sono i protoni, a causa del rapporto q/m
che é massimo. Essi abbandonano il target assieme agli elettroni formando
una nube quasi-neutrale.
Le linee del campo elettrico sono parallele alla normale alla superficie del
target e di conseguenza anche i protoni emessi sono allineati lungo questa
direzione. Il meccanismo viene quindi chiamato Target Normal Sheat
Acceleration (TNSA). Questo meccanismo é stato descritto per la prima
volta da R.Snavely e S. Wilks e in seguito ampiamente accettato come un
meccanismo possibile per accelerare i protoni a energie superiori al MeV.
Il modello TNSA é stato descritto giá negli anni ’70 negli esperimenti di accelerazione di ioni attraverso impulsi ns. La differenza significativa con gli
esperimenti piú recenti á la minore durata dell’impulso laser, le piú alte temperature elettroniche e di conseguenza la diversa evoluzione temporale dei
campi elettrici. Nel caso di impulsi piú lunghi, il plasma in faccia dietro ha
un’espansione piú lenta. A causa di questa, il campo elettrico sul fronte ionico si riduce. L’accelerazione diventa inefficace giá durante il τL . Per impulsi
piú corti invece, il tempo dell’accelerazione é dominato dall’impulso laser e
non dall’espansione stessa. Il processo termina quando termina l’impulso.
Il meccanismo TNSA funziona anche in faccia avanti, nel caso in cui gli elettroni energetici (MeV) vengono riflessi da entrambe le superfici del target
2.5
32
a causa dei campi dovuti alla distribuzione di carica spaziale. Essi possono
viaggiare avanti e indietro nel target molte volte finché non hanno perso la
loro energia e diffondono lateralmente, riscaldando il centro del target.
I protoni accelerati per TNSA in faccia avanti lasciano il target lungo la
normale alla faccia avanti. A causa delle lunghezze di scala maggiori che
caratterizzano il plasma in faccia avanti, i campi elettrici sono molto minori.
Dato che la differenza di potenziale é uguale su entrambe le facce del target,
i campi elettrici, che sono proporzionali al gradiente di potenziale, sono inversamente proporzionali alla lunghezza di Debye. Quindi gli ioni accelerati
per TNSA in faccia avanti hanno un guadagno energetico molto minore (dato
che la lunghezza di Debye in faccia avanti é molto maggiore).
Stima del campo elettrico iniziale. Per trovare un’espressione per il
campo elettrico iniziale sulla faccia dietro il caso piú semplice é quello di
studiare un plasma di idrogeno con una distribuzione di densitá a gradino
sulla faccia dietro. Quando una popolazione elettronica con temperatura di
tipo Boltzmanniano, Te , e densitá iniziale, ne0 sfugge alla faccia dietro, un
potenziale elettrostatico Φel (x) viene generato ed é in equilibrio termico con
la distribuzione ne (x):
eΦ (x) el
ne (x) = ne0 · exp
kB Te
(2.44)
L’equazione di Poisson fornisce un ulteriore dipendenza del potenziale dalle
densitá di carica, e si ottiene
eΦ (x) ∂2
ρ(x)
ene0
el
Φ
(x)
=
−
=
·
exp
− 1 per x ≤ 0, (2.45)
el
∂x2
0
0
kB Te
eΦ (x) ∂2
ρ(x)
ene0
el
Φ
(x)
=
−
=
·
exp
per x > 0 (2.46)
el
2
∂x
0
0
kB Te
2.6
33
dove ρ(x) é la distribuzione di carica totale ed é supposto np = ne0 per x ≤ 0,
il che implica la neutralitá di carica per x → −∞. Il secondo caso (x ≥ 0)
puó essere integrato analiticamente e si ottiene
eΦel (x)
x
−1
= −2 ln 1 + √
kB Te
2eE λD
(2.47)
dove eE é la base del logaritmo naturale. Possiamo da qui ricavare anche il
comportamento della densitá elettronica nel vuoto, per x > 0, dalla (ref?)
−2
x
ne = ne0 exp − 1 + √
(2.48)
2eE λD0
Dall’espressione per il potenziale il campo elettrico, Ef r , ha un valore di picco
sulla superficie di separazione target-vuoto, in x = 0 a t = 0, e questo puó
essere derivato come:
r
r
r
∂Φel 2 kB Te
2 kB Te ne0
2
·
=
·
=
· E0 (2.49)
Ef r = −
=
∂x x=0
eE eλD
eE
0
eE
p
con E0 = kB Te ne0 /0 . Se calcoliamo l’energia massima che si ottiene in
questo modo scopriamo che é molto maggiore rispetto a quella ottenuta in
faccia avanti.
2.6
2.6.1
Espansione di un plasma semi-infinito
Descrizione cinetica
Partendo dal modello classico cinetico, cerchiamo delle soluzioni autoconsistenti per l’espansione del plasma nel vuoto. Tali soluzioni vengono utilizzate
per la risoluzione di problemi che non contengono le dimensioni caratteristiche delle condizioni iniziali e sono indipendenti dal sistema di riferimento.
Scegliamo di usarle perché attraverso le sole equazioni cinetiche classiche é
di solito impossibile trovare una soluzione non stazionaria valida per ogni
2.6
34
istante.
Il metodo di ricerca delle soluzioni consiste nell’introduzione di una ulteriore
variabile ζ che verifica
f (x, t) = f (ζ(x, t))
(2.50)
ζ(x, t) = Cxα tβ
(2.51)
dove f é una funzione soluzione delle equazioni ridotte, α e β dei parametri
reali che rendano la soluzione esistente e C una costante che serve a rendere
ζ adimensionale.
Questo trattamento permette di trasformare le equazioni alle derivate parziali
in equazioni alle derivate ordinarie e ottenere quindi delle soluzioni analitiche.
Supponiamo idealmente che il plasma occupi, all’istante iniziale t = 0, il
semispazio x < 0. L’espansione di un tale plasma nel vuoto agli istani t > 0
é descritta dalle equazioni cinetiche di Vlasov perle due popolazioni:
∂fi
∂fi Ze ∂Φ ∂fi
+v
−
=0
∂t
∂x
mi ∂x ∂v
∂fe
∂fe
e ∂Φ ∂fe
+v
+
=0
∂t
∂x
me ∂x ∂v
(2.52)
(2.53)
dove fi ed fe sono rispettivamente la funzione di distribuzione ionica ed
elettronica. Le quantitá Ze,−e me ed mi rappresentano la carica degli ioni e
degli elettroni e la loro massa; Φ é il potenziale elettrostatico autoconsistente
che segue l’equazione di Poisson:
∂2Φ
e
=
(ne − Zni )
∂x2
0
Z ∞
ne,i =
fe,i (x, v, t)dv
(2.54)
(2.55)
−∞
(2.56)
dove ni e ne sono le densitá fluide della popolazione ionica ed elettronica.
Nel nostro caso bisogna introdurre un ulteriore parametro caratteristico, la
2.6
35
lunghezza di Debye λD = (0 kB T /ne2 )1/2 .
Supponiamo che, inizialmente, la temperatura ionica sia molto inferiore a
quella elettronica. Infatti gli studi piú recenti mostrano che la popolazione
ionica tende a raffreddarsi molto piú velocemente nel corso dell’espansione
del plasma. Possiamo quindi assimilare la funzione di distribuzione ionica a
una delta di Dirac.
All’istante iniziale e durante un tempo dell’ordine di τ1 = λD /vthe (con vthe
la velocitá termica degli elettroni), una parte degli elettroni caldi si allontanano dagli ioni e formano un doppio strato elettrostatico di larghezza λD .
Il campo elettrostatico associato accelera gli ioni e comincia cosı́ l’espansione
del plasma. La parte di plasma lontana dal campo elettrostatico puó essere
considerata quasi-neutra e l’equazione (2.2) si riduce a Zni = ne . Inoltre,
sapendo che il plasma si espande alla velocitá degli ioni (quindi in modo relativamente lento) é anche giustificato fare l’ipotesi che gli elettroni restano
in equilibrio nel potenziale lentamente variabile. Questo significa trascurare
il termine ∂fe /∂t nell’equazione (2.2). La densitá elettronica segue allora
una distribuzione di Boltzman ne = n0 exp(eΦ/kB T ), con n0 la densitá elettronica nel plasma non perturbato. Nella parte quasi-neutra di plasma il
potenziale si scrive nella maniera seguente:
eΦ = kB T ln(
Zni
)
n0
(2.57)
(2.58)
e otteniamo dalla (2.1)
∂fi
∂fi ZkB T ∂fi ∂ +v
−
ln
∂t
∂x
mi ∂v ∂x
Z
∞
fi dv = 0
(2.59)
−∞
che non contiene piú alcun parametro spaziale. Quindi possiamo considerare
l’espansione del plasma, a un tempo τ2 > τ1 , autoconsistente.
(Gurevich et al. 1965) hanno dimostrato che la soluzione auto-consistente
2.6
36
della funzione di distribuzione ionica tende (per τ crescenti) a una delta di
Dirac.
2.6.2
Descrizione fluida
In questo modello ipotizziamo ancora che la popolazione elettronica sia in
equilibrio con il potenziale elettrostatico, quindi che segua una distribuzione
di Boltzmann. La geometria semi-infinita scelta ci garantisce una riserva
infinita di elettroni caldi e ci permette anche di considerare la temperatura
elettronica costante nel corso dell’espansione. Abbiamo quindi un’espansione
isoterma. Supponiamo sempre che la temperatura elettronica sia molto maggiore di quella ionica.
L’espansione degli ioni é descritta attraverso le eqazioni di continuitá e del
movimento
∂
∂ ∂v
ni = −ni
∂t
∂x
∂x
∂
∂ Ze ∂Φ
+v
v=−
∂t
∂x
mi ∂x
+v
(2.60)
(2.61)
(2.62)
con v velocitá fluida definita come
R∞
v(x, t) = v = R−∞
∞
vfi (x, v, t)dv
−∞
fi (x, v, t)dv
(2.63)
Definiamo alcune grandezze tipiche di un plasma:
s
r
r
ZkB Te
0 kB Te
Ze2 ne0
cs0 =
, λD0 =
,
ω
=
.
pi0
mi
e2 ne0
0 mi
Nel limite quasi-neutro, ne ≈ Zni , l’equazione del movimento diventa
∂
∂ c2 ∂ni
+v
v = − s0
(2.64)
∂t
∂x
ni ∂x
(2.65)
2.6
37
Introduciamo ora la variabile auto-consistente adimensionale ξ = x/cs0 t. Le
due equazioni di continitá e movimento prendono quindi la forma
dni
dv
= −ni
dξ
dξ
2
c dni
dv
(v − cs0 ξ) = − s0
dξ
ni dξ
(v − cs0 ξ)
(2.66)
(2.67)
(2.68)
e dev’essere verificata (v − cs0 ξ)2 = c2s0 . Consideriamo la soluzione corrispondente alla nostra condizione iniziale (plasma nel semispazio negativo delle x)
e otteniamo, per x > −cs0 t
v = cs0 (ξ + 1)
(2.69)
ni = ni0 exp(−(ξ + 1))
(2.70)
eΦ = −kB Te (ξ + 1)
(2.71)
(2.72)
Queste soluzioni furono trovate, originariamente, da (Allen & Andrews 1970)
nel corso di uno studio teorico sulle onde di rarefazione nei plasmi di scarica.
Il campo elettrostatico E = −∂Φ/∂x vale
Ess =
kB Te
E0
=
ecs0 t
ωpi0 t
(2.73)
dove E0 = (ne0 kB Te /0 )1/2 . Il campo self-similare Ess corrisponde a una
carica superficiale positiva σ = 0 Ess alla posizione dove l’onda di rarefazione
si sviluppa (x = cs0 t) e a una carica negativa −σ situata sul bordo del plasma.
La soluzione self-similare perde di significato nel momento in cui la lunghezza
p
di Debye iniziale, λD0 = 0 kB Te /n0 e2 , é maggiore della lunghezza di scala
della densitá ionica, cs0 t, e questo avviene per ωpi0 < 1. La soluzione, in
questo caso, prevede una distribuzione ionica che si estende all’infinito con
velocitá divergente per x → ∞, che contraddice la situazione fisica, che
2.6
38
vorrebbe un fronte ionico ben definito.
Per risolvere tale discrepanza, si assume che la distribuzione ionica di estende
solo fino al fronte ionico. Per avere una stima della posizione del fronte
applichiamo la condizione di rottura della quasi-neutralitá, cioé quando la
lunghezza di Debye, λD diventa dell’ordine della lunghezza di gradiente della
densitá cs0 t:
r
λD = λD0
h1
ne0
x i
= λD0 · exp
1+
ne
2
cs0 t
(2.74)
Otteniamo la posizione del fronte dalla relazione 1 + x/cs0 t = 2 ln ωpi0 t.
La soluzione self - similare prevede in questo punto una velocitá vf r =
2cs0 ln ωpi0 t, corrispondente ad un campo grande il doppio del campo selfsimilare,
Ef r ' 2Ess =
2E0
ωpi0 t
(2.75)
Si ottengono due soluzioni asintotiche per il campo elettrico sul fronte ionico,
a t = 0 e per ωpi0 t 1. Mora dimostra ([7]), tramite simulazioni 1D, che il
valore di picco del campo elettrico sul fronte ionico é accuratamente descritto,
per tempi ≥ 0 da:
Ef r (t) ∼
=p
2E0
2eE + ωpi2 t2
r
=
2
E0
·√
eE
1 + τ2
(2.76)
√
con τ = ωpi t/ 2eE .
2.6.3
Massima energia protonica per l’accelerazione in
faccia dietro
Dall’espressione per il campo elettrico (2.76) si possono ottenere delle formule
analitiche per la velocitá e la posizione del fronte potonico, integrando sul
2.6
39
tempo l’equazione del moto dvf r /dt = eEf r /mp e dxf r /dt = vf r
√
vf r (t) ∼
= 2cs · ln(τ + τ 2 + 1)
√
√
√
xf r (t) ∼
= 2 2eE · λD0 τ · ln(τ + τ 2 + 1) − τ 2 + 1 + 1
(2.77)
(2.78)
Se supponiamo che il tempo di accelerazione sia l’impulso laser τL , otteniamo
la massima energia protonica da:
Ep,rear
"
1
= mp vf2r ∼
= 2kB Te · ln
2
ω τ
√pp L +
2eE
s
2 τ2
ωpp
L
1+
2eE
!#2
(2.79)
Qui l’energia massima ottenuta in faccia dietro dipende solo dall’impulso
laser, dalla temperatura degli elettroni caldi Te e dalla densitá iniziale ne0
sulla faccia dietro del target.
Otteniamo in questo caso delle energie minori rispetto al caso in cui abbiamo considerato il campo elettrico costante. Questo mostra che nel calcolo
dobbiamo considerare la reale evoluzione del campo elettrico includendo gli
effetti di schermo dovuti all’espansione della distribuzione protonica stessa.
Capitolo 3
Strumentazione utilizzata
In questo capitolo verranno descritti gli strumenti utilizzati per realizzare
l’esperimento, a partire dal laser salle jaune del LOA, alle diagnostiche per
la misura dei parametri laser e di rivelazione per gli ioni.
3.1
L’amplificazione attraverso CPA
Il sistema di amplificazione sfrutta la tecnica CPA (Chirped-Pulse-Amplification)
per l’amplificazione di impulsi corti in materiali solidi. Essa prevede di allungare gli impulsi di un fattore 103 , sfruttando le proprietá dispersive dei
reticoli, prima di amplificarli, in modo da abbassarne l’intensitá, per non
danneggiare i componenti dell’amplificatore.
L’amplificazione risulta quindi suddivisa in tre blocchi differenti: stretcher,
amplificatore e compressore.
Lo stretcher si basa su uno schema ottico che prevede delle riflessioni su
reticoli, intervallate da riflessioni su uno specchio invertente, vengono anche
utilizzati elementi focalizzanti come delle lenti. I reticoli sono posizionati
in modo da far compiere un cammino ottico piú corto alle componenti a
40
3.1
41
bassa frequenza rispetto alle componenti ad alta frequenza; l’impulso risulta
cosı́ allungato temporalmente e disperso nelle sue componenti spettrali: le
lunghezze d’onda maggiori precedono quelle minori (é il caso della dispersione
positiva, utilizzata nella fase di stiramento dell’impulso ).
Figura 3.1: Schema generico di un CPA
L’impulso cosı́ allungato entra nell’amplificatore vero e proprio, che sfrutta come mezzo attivo un cristallo di titanio-zaffiro e come pompa un laser
Nd:YAG.
L’impulso compie nell’amplificatore otto cicli prima di uscirne attraverso le
pockels .
L’effetto Pockels produce una variazione lineare dell’indice di rifrazione in
funzione del campo elettrico applicato al cristallo. Utilizzando un materi-
3.2
42
ale birifrangente é quindi possibile controllare la polarizzazione del fascio
incidente. Accoppiando poi la cella pockels con un polarizzatore a film sottile (riflette gli impulsi polarizzati parallelamente alla superficie, mentre é
trasparente a quelli ortogonali) é possibile controllare la permanenza dell’impulso nella cavitá dell’amplificatore.
Una volta uscito dall’amplificatore, l’impulso cosı́ amplificato viene ricompresso (attraverso un compressore a tre stadi), con un cammino ottico inverso rispetto allo stretcher. Abbiamo una dispersione negativa che compensa
esattamente la dispersione positiva dello stretcher. Quindi le lunghezze d’onda minori compiono un cammino più breve rispetto a quelle maggiori.
3.2
Il laser salle jaune
L’esperienza di accelerazione protoni é stata realizzata con il laser salle jaune
del LOA. Questo laser é un Ti:Sa, in polarizzazione p basato sul sistema CPA
di compressione del fascio. Le caratteristiche principali del laser sono riassunte nella tabella.
Durata dell’impulso
τ0
35 fs
Energia dopo compressione
EL
2J
Energia sul target
E0
1J
Lunghezza d’onda
λ0
820 nm
Tasso di ripetizione
f
10 Hz
Intensitá massima del laser
I0
4 × 1019 W/cm2
Contrasto (senza XPW)
C
< 106
CXP W
1011
τASE
3 ns
Contrasto con XPW
Durata ASE (senza XPW)
3.2
43
La catena laser comincia con un oscillatore Ti:Sa a bloccaggio di modo che
produce un treno di impulsi di 3 nJ a 88 MHz, con uno spettro di 150 nm.
Ciascun impulso viene inviato dentro a un modulatore ottico-acustico (Dazzler) che permette di aggiustare in tempo reale l’ampiezza e la fase spettrale
degli impulsi laser. In seguito questi impulsi vengono convogliati in un tripletto d’Öffner, che permette di stirarli fino a 500 ps, e iniettati dentro a una
cellula pockels che seleziona gli impulsi per cambiamento di polarizzazione,
quindi si passa da 88 Hz a 10 Hz.
A questo punto gli impulsi selezionati vengono amplificati una prima volta
da un amplificatore a 8 passaggi che aumenta l’energia da 3 nJ a 500 µJ (con
guadagno di 105 ). Una seconda cellula di pockels permette di diinuire l’ASE.
Dopo ogni stadio di amplificazione il fascio viene filtrato spazialmente per
migliorarne la qualitá e diminuire i flussi parassiti verso gli stadi successivi.
Il secondo stadio di amplificazione (5 passaggi) porta il fascio laser a un’energia di 200 mJ (con guadagno di 4 × 102 ).
L’ultimo stadio viene raffreddato per diminuire gli effetti termici dovuti ai 7
laser di pompa. All’uscita l’impulso ha una durata di 400 ps e un’energia di
2J.
Alla fine il fascio, cosı́ amplificato, viene ricompresso in un compressore sotto
vuoto, attraverso due reticoli paralleli, per arrivare ad avere una durata di
35 fs e un’energia di 1J. L’efficacia dei reticoli é del 50 %.
Il laser, nelle condizioni presenti, produce energie che vanno da 1,5J a 2J
per impulso, avanti compressione. La catena ottica trasporta, dalla sorgente
al setup sperimentale, un totale di 37% (misurato) di energia. L’efficienza del
compressore da sola é responsabile del 45% delle perdite, circa 3% per ogni
specchio. Alla fine dell’esperimento il trasporto totale di energia misurato
decresce a 30%, probabilmente a causa del deposito di polvere di alluminio
sulle ottiche.
3.3
44
Figura 3.2: Schema degli stadi del laser Salle Jaune
3.3
3.3.1
Diagnostiche per i parametri laser
Misura della durata dell’impulso
Questo parametro si misura attraverso l’utilizzo di un autocorrelatore 2ω
(3.7).
Il principio di funzionamento é il seguente: l’impulso laser (con frequenza ω) é separato in due parti da una lama separatrice. Ciascuno dei due
3.3
45
Figura 3.3: Autocorrelatore
fasci cosı́ ottenuti compie un cammino identico e vengono ricombinati in un
cristallo BBO (che doppia la frequenza)in maniera non collineare, in modo
che si sovrappongano spazialmente nel cristallo. Il doppiaggio di frequenza avviene, sommando le due onde a ω, sulla bisettrice dell’angolo formato
dai due fasci incidenti. Dal momento che il cammino ottico dei due fasci é
identico il doppiaggio sará piú importante quando averrá la sovrapposizione
spazio-temporale degli impulsi corti (principio di interferometria di Michelson). Introducendo un ritardo su uno dei due bracci ritardiamo uno dei due
impulsi rispetto all’altro, quindi l’impulso a 2ω prodotto sará piú debole.
Aumentando sempre di piú il ritardo tra i due bracci, fino a che i fascio
doppiato non scompare, possiamo misurare la durata dell’impulso.
La durata ottenuta er il laser del LOA é di 35 fs nelle condizioni ottimali.
3.3
3.3.2
46
Misura di contrasto
Il contrasto é il rapporto tra l’ampiezza dell’impulso principale é quella del
preimpulso dato da ASE. Per misurare questo parametro abbiamo utilizzato
un fotodiodo rapido accoppiato con un oscilloscopio ad alta frequenza (GHz).
La misura avviene ad ogni tiro effettuato. Attraverso una piccola lama posta
sul cammino del fascio di pompa inviamo una parte della luce laser al fotodiodo rapido. Questo é connesso all’oscilloscopio GHz (che ha una risoluzione
dell’ordine di dieci di picosecondi)e ci permette di visualizzare l’impulso fs.
L’ASE invece viene misurato separatamente ponendo una serie di densitá
ottiche sul fascio che ne diminuiscono l’intensitá permettendoci di vedere, in
un tiro successivo, anche il preimpulso.
Il contrasto laser é uno dei parametri piú importanti per il nostro esperimento. Se é troppo basso, cioé l’ASE é troppo intenso,il preimpulso sará
sufficiente a superare la soglia di ionzzazione del target (1011 W/cm2 ) per
l’alluminio. Quindi il target puó venire ionizzato (o distrutto) prima dell’arrivo dell’impulso principale. Questo avviene per target di spessore inferiore
ai 6µm. Per intensitá laser di 1018 W/cm2 (nelle catene Ti:Sa di solito si
osserva un contrasto di 106 ) e fogli dello spessore di qualche micron, l’ASE é
abbastanza intenso da ionizzare il target.
Per un laser di intesitá pari a quello del LOA (1019 W/cm2 ), un contrasto di
106 porta ad avere un ASE di 1013 W/cm2 , che é ben al di sopra della soglia
di ionizzazione dei materiali utilizzati per l’interazione.
Per migliorare il contrasto vengono utilizzati diversi sistemi, elencati di seguito.
3.3
3.3.3
47
Cross Polarized Wave Generation (XPW)
Questa tecnologia permette di migliorare il contrasto di 4 ordini di grandezza.
Si basa su un effetto non lineare del terzo ordine in un cristallo combinato
con un sistema di doppio CPA. L’onda XPW generata ha la stessa lunghezza d’onda dell’impulso in entrata e una dipendenza cubica dall’intesitá del
laser. L’impulso principale, polarizzato linearmente, viene compresso e focalizzato (la scelta della lnghezza focale della lente dipende dall’intensitá)
in un cristallo di BaF2 di lunghezza 1 o 2 mm, posizionato nell’intorno del
punto di fuoco, al fine di ottimizzare il processo di conversione ottenedendo il
corretto picco di intensitá sul cristallo (1012 W/cm2 ). Il cristallo viene girato
di un angolo β tra la polarizzazione del laser é il suo asse [100]. In seguito
un analizzatore trasmette il segnale XPW generato, tagliando l’impulso in
entrata che non é stato convertito, verso uno stretcher che lo riinietta nel
primo stadio di amplificazione. Il miglioramento del contrasto é funzione sia
del contrasto iniziale che della qualitá d’estinzione degli elementi utilizzati.
3
CXP W = C ·
KR
C 2 ηef f
+ ηKR
ef f
1+
1
(3.1)
Con K costante di integrazione K = 8/45, ηef f ≈ 10% il rendimento effettivo
della generazione dell’onda XPW e R = 10−5 il coefficiente di estinzione delle
ottiche.
Per comprendere meglio la generazione dell’impulso XPW scriviamo il modello di evoluzione dell’ampiezza dell’onda fondamentale (A) e dell’onda XPW
generata (B). Supponiamo |B| |A| in quanto l’efficienza di conversione é
minore del 10%. Questo ci permette di trascurare la modulazione di fase
dell’onda A causata dall’onda B e l’auto-modulazione di fase dell’onda B.
Usiamo le seguenti equazioni per calcolare l’efficienza di XPW:
dA
dB
= iγk |A|2 A ,
= iγ⊥ |A|2 A
dz
dz
(3.2)
3.3
48
(3)
dove γk = γ0 [1−(σ/2)sin2 (2β)] , γ⊥ = −γ0 (σ/4)sin(4β) e γ0 = (6π/8λn)χxxxx
(3)
(3)
(3)
con σ l’anisotropia del tensore χ(3) data da σ = (χxxxx − 2χxyyx − χxxyy e β
l’angolo tra la direzione di polarizzazione e l’asse [100] del cristallo.
La soluzione di queste equazioni, con le condizioni iniziali A(0) = A0 ,
B(0) = 0, dove |A0 |2 = 2I0 /c0 n e I0 é l’intensitá in entrata, é:
A = A0 exp(iγk A20 L)
(3.3)
B = A0 (γ⊥ /γk )[exp(iγk A20 L) − 1]
(3.4)
L’efficienza di conversione teorica é definita come la radice del rapporto dell’ampiezza del campo incidente A0 e la componente polarizzata ortogonalmente (B) ed é data da:
ηef f =
Iout B 2 γ⊥ 2
sin (γk |A0 |2 L/2)
= =
Iin
A0
γk
(3.5)
(3)
L’anisotropia del tensore χ(3) per il cristallo BaF2 é σ == 1, 2 e χxxxx ≈
1, 59 × 10−22 m2 V −2 , ció porta ad avere un γ⊥ molto piccolo. Assumendo
quindi |γk A20 L| 1 otteniamo ηef f ≈ |γ⊥ |2 A40 L2 , mostrando che l’efficienza
di conversione dipende dal quadrato dell’intensitá laser.
Vediamo che l’efficienza η é rappresentata da una funzione oscillante, questo
limita la crescita dell’onda XPW sulla lunghezza del cristallo. Aumentando
la lunghezza del cristallo non si aumenta l’efficienza a causa della saturazione,
invece aumentando l’intensitá in entrata sopra i 1012 W/cm2 si danneggia il
cristallo. Inoltre, l’efficienza di conversione del picco di intensitá nella componente in uscita ortogonale dipende dall’angolo di polarizzazione in entrata
rispetto all’asse [100], e puó deviare con la propagazione dell’impulso nel materiale, diminuendo cosı́ la trasmissione non-lineare.
Per ottimizzare le condizioni sopracitate, nelle catene CPA si preferisce utilizzare due cristalli BaF2 accoppiati, ruotando il secondo per compensare la
rotazione della componente in uscita del primo. Questo aumenta l’efficienza
3.3
49
fino al 25%.
Figura 3.4: Setup sperimentale con due cristalli BaF2 accoppiati
Il sistema XPW da noi usato prevede un miglioramento del coefficiente
ηef f attraverso l’utilizzo di due cristalli BaF2 di lunghezza 2 mm posti a una
distanza ottimale di 50 mm. I cristalli vengono ruotati rispettivamente degli
0
00
angoli β1 e β2 in modo che i due impulsi EXP
W e EXP W , creati nel primo e
nel secondo cristallo, facciano interferenza costruttiva nel secondo cristallo.
3.3
50
Figura 3.5: Contrasto ottenuto sulla catena Salle Jaune attraverso l’utilizzo
di XPW
3.3
51
3.3.4
Pockels rapide
Le cellule di pockels sono degli elementi elettro-ottici comunemente usati nelle
catene laser che permettono di diminuire temporalmente l’ASE e allo stesso
tempo proteggono la catena da eventuali ritorni laser dovuti a riflessioni sul
plasma del target. I tempi caratteristici di funzionamento sono di qualche ns
e non permettono di diminuire l’ASE in modo significativo.
Sono composte da un cristallo di KDP tra due polarizzatori incrociati e
funzionano secondo il principio dell’effetto Pockels trasversale che permette,
grazie all’applicazione di un campo elettrico,Ex , perpendicolare alla direzione
di propagazione del laser, di cambiare la birifrangenza di un materiale senza
simmetria sferica. I coefficienti ordinario η0 e straordinario ηe del materiale
vengono allora modificati. Il ritardo ottico tra le due componenti vibrzionali
é allora:
ΦtP =
2π
1
· L(ηe − η0 ) − η03 r63 Ex
λ0
2
(3.6)
dove L é la lunghezza del cristallo e r63 é un coefficiente non nullo del tensore
elettro-ottico per il cristallo KDP.
Lo sfasamento é allora la composizione di una birifrangenza naturale e di
una indotta dal campo elettrico. Scegliendo la lunghezza della cellula tale
che
2π
λ0
· L(ηe − η0 ) = 2π, possiamo compensare la birifrangenza naturale,
quindi l’intensitá dell’onda trasmessa si scriverá come:
IT = I0 sin2
π Ex η03 r63 L
πV
= I0 sin2
2
λ
2 Vk
(3.7)
con V = EX d, la tensione applicata al cristallo (essendo d la distanza tra gli
elettrodi) e Vk =
λd
n30 r63 L
la tensione che bisogna applicare per ottenere una
lama a mezza onda (dallo sfasamento π).
Modificando dunque il campo elettrico tra 0 e Vk possiamo operare una selezione temporale sull’impulso laser. Tale selezione dipende dalla velocitá di
crescita del campo elettrico. Le pochels rapide hanno un limite di crescita di
3.4
52
200 ps.
E’ difficile costruire delle elettroniche stabili e veloci, bisogna quindi tenere
in considerazione anche lo jitter (fluttuazioni tiro a tiro). Lo jitter osservato al LOA é di 200 ps, che da un’ASE di 400 ps prima dell’impulso principale.
3.3.5
3.4
Misura dell’energia tiro a tiro
Diagnostiche di rivelazione protoni
Nel corso dell’esperimento abbiamo utilizzato diversi metodi per individuare il fascio di protoni e misurarne l’energia. In seguito vengono elencati e
descritti, in ordine di importanza.
• Micro Channel Plate (MCP);
• CR39;
• Image Plate (IP);
3.4.1
Micro Channel Plate (MCP)
Il Micro Channel Plate é un rivelatore composto da canali moltiplicatori di
elettroni (di diametro d = 8µm) disposti parallelamente l’un l’altro (5.1).
I canali sono in vetro semiconduttore e permettono di ottimizzare l’emissione degli elettroni secondari a causa del basso potenziale di estrazione
del materiale. L’accelerazione degli elettroni avviene attraverso un campo
elettrico esteriore applicato tra due elettrodi situati alle estremitá del piatto. Una particella incidente su un’estremitá del canale disperde la propria
energia urtando la parete, incrementando cosı́ la produzione di elettroni secondari. Questi a loro volta propagano nel canale urtando a loro volta le
3.4
53
Figura 3.6: Micro Channel Plate
pareti e producendo elettroni secondari. Il processo si ripete fino estremitá
del canale opposta.
La lunghezza del canale e il suo diametro sono quindi caratteristiche importanti che condizionano la produzione di elettroni. Definiamo quindi il
parametro α = l/d dove l é l lunghezza del canale e d il suo diametro. E’
stato dimostrato che il guadagno é proporzionale al diametro del canale.
Questa dipendenza proviene da un fenomeno di saturazione all’uscita del
canale e di generazione di ioni nel canale. La densitá elettronica del canale é
cosı́ grande che i campi, dovuti alle cariche, che si creano rallentano la pro-
3.4
54
duzone di eletroni secondari. Nel momento che l’energia cinetica diminuisce
anche il campo diminuisce e si ha una riaccelerazione degli elettroni secondari. Questo effetto é periodico e autoindotto, la saturazione del guadagno
effettivo é la risultante di un equilibrio dinamico tra i rallentamenti e le riaccelerazioni degli elettroni nel canale. La saturazione limita la lunghezza
utilizzabile dei canali, quindi lo spessore di una MCP standard é di 0,5 mm.
Allo stesso tempo, la densitá elettronica importante alla fine del canale conduce alla produzione di ioni, per collisione degli elettroni con il gas residuo
nel canale, o con le molecole adsorbite a causa del bombardamento elettronico sulle pareti. Questi ioni genereranno ulteriori elettroni secondari che si
propagheranno nella direzione opposta attraverso il canale, fino al fotocatodo, provocando delle perturbazioni nel segnale ottenuto.
Con lo scopo di aumentare il guadagno senza essere limitati da questo effetto, Colson et al hanno proposto un dispositivo per impilare due MCP
(Chevron)(3.7). In questo sistema i canali vengono inclinati di un angolo che
si chiama di bias e i due piatti vengono separati di una distanza di ≈ 50µm
o 150µm. Questo sistema fa sı́ che gli ioni in uscita dal primo MCP non
possano raggiungere l’entrata del canale del primo piatto, ne il fotocatodo
del secondo. Gli elettroni cosı́ prodotti vengono inviati su un scintillatore
(rivelazione spaziale, o temporale per mezzo di un fotomoltiplicatore). Lo
scintillatore (uno schermo al forsforo) porterá alla generazione di raggi nel
visibile che possiamo raccogliere attraverso il fotomoltiplicatore, ottenendo
l’immagine attraverso una CCD con risoluzione di 48 µm/pixel(per avere la
risoluzione spaziale).
Nel nostro setup le tensioni utilizzate sono tipicamente -1,2 kV sull’MCP e
+4 kV sul fosforo. E’ necessario isolare elettrostaticamente la camera contenente la MCP dal misuratore di vuoto in quanto il minimo segnale prodotto
é sufficiente per generare un alto numero di conti. Per questo nella camera é
stata posta una griglia metallica, a potenziale fisso di 30 V.
3.4
55
Figura 3.7: MCP chevron
3.4
56
Tra la camera di interazione é la MCP é posizionato un pinhole di diametro
200µm che serve a fissare la risoluzione dello spettrometro e produrre un
vuoto differenziale tra i due volumi. La MCP deve stare a un vuoto minimo
di 10−5 mbar prima che l’alta tensione venga applicata.
3.4.2
CR39
Il CR39 (California Resine # 39) é un materiale plastico (composizione
C12 H18 O7 ) sensibile all’impatto di una particella massiva (protoni, ioni, neutroni) con una energia superiore alla soglia di rivelazione del detector di 100
KeV per nucleone. Gli ioni hanno un alto stopping power, percorrono dunque
solo brevi distanze nei materiali (500 micron per un protone di 10 MeV). La
perdita di energia delle particelle massive é di tipo collisionale, regolata dalla
formula di Bethe Bloch, e non lineare nel mezzo.
Le particelle depositano l’80 % della loro energia nelle vicinanze del punto di
arresto nel materiale, rompendo in quel punto i legami chimici della struttura
plastica in maniera molto localizzata.
L’utilizzo del CR39 permette dunque di tralasciare la rivelazione di particelle, con massa minore, emesse durante l’interazione (come gli elettroni, i
raggi X, i fotoni) che depositano la loro energia in modo piú lineare durante
la penetrazione.
Quando si arresta, ciascun ione causa un foro d’impatto nel detector. Il danno viene ingrandito dallo sviluppo del CR39 in un bagno di soda caustica. Lo
sviluppo consiste in una reazione chimica della soda con il materiale che abla
una parte dello spessore del detector e aumenta la taglia dei fori prodotti
dalle particelle.
Una volta sviluppato il CR39, tempi dell’ordine delle 4 ore per uno sviluppo
completo, le tracce prodotte vengono visualizzate e analizzate al microscopio
3.4
57
ottico (3.8).
Figura 3.8: Tipica immagine ottenuta con un cr39
Le tracce dell’impatto si differenziano a seconda dell’energia della particella incidente, protoni piú energetici producono tracce piú profonde. Per
ottenere una selezione in energia prepariamo dei CR39 schermati da diversi strati di alluminio e Mylar (il cui spessore é stato calcolato consultando
le tavole del NIST a seconda delle energie protoniche che ci si aspettava di
rivelare). Questo ci ha permesso di vedere delle soglie discrete di energia e
quindi di avere una stima delle massime energie protoniche rivelate.
3.4
3.4.3
58
Image Plate (IP)
L’ultima diagnostica utilizzata per misurare la divergenza e il profilo del fascio é l’Image Plate. Questo strumento é composto da uno spesso foglio di
plastica (20cm × 25cm) coperto da un materiale caratterizzato da semilivelli molecolari molto lunghi. La transizione dal livello fondamentale a uno
eccitato puó essere dovuta a una qualsiasi radiazione ionizzante. Il diseccitamento del materiale puó avvenire spontaneamente o essere stimolato da
un’onda elettromagnetica con la giusta lunghezza d’onda e risulta attraverso
un’emissione di fotoni. Questo avviene in uno scanner speciale. Il segnale
cosı́ prodotto é letto da un fotomoltiplicatore e digitalizzato.
La risoluzione é limitata solo dal diametro del fascio laser dello scanner (nel
nostro caso 25 µm).
I fogli vengono puliti attraverso un’esposizione (di 10-15 min) a luce bianca
incoerente e possono venire riutilizzati.
Dato che l’IP é sensibile ad ogni tipo di radiazione ionizzante, quindi nell’immagine ottenuta ci sono anche gli elettroni, i raggi X e i raggi γ. Per evitare
questo problema usiamo un filtro a doppio spessore: un primo materiale piú
spesso filtra tutti gli ioni lasciando passare solo elettroni; un secondo meno
spesso stabilisce un cutoff per le energie protoniche che vogliamo rivelare. Il
segnale protonico é ottenuto sottraendo le due aree, assumendo che il filtro
piú spesso (≈ 500µm Mylar) stoppi in maniera trascurabile gli elettroni i γ
e i raggi X.
3.4
59
Figura 3.9: Tipica immagine ottenuta con l’Image Plate
Capitolo 4
Setup sperimentale e raccolta
dati
Il nostro setup sperimentale consiste in una serie di ottiche atte al trasporto
e alla visualizzazione (attraverso CCD):
• del fascio di pompa e del fascio di sonda fino alla camera di interazione;
• della luce riflessa, fino alla CCD che controlla la posizione di fuoco (per
il posizionamento del target);
• della posizione ottimale del target;
• dello spot del fascio laser (attraverso uno specchio mobile che intercetta
il fascio prima del target);
• del contrasto del fascio (misurato intercettando una piccola percentuale
di fascio con una lama e inviandola, attraverso un fotodiodo rapido, a
un oscilloscopio GHz);
• dell’energia del fascio;
60
61
• una linea di ritardo sulla sonda che ci permette di introdurre un ritardo
relativo tra i due fasci;
Nel seguente schema si puó vedere la posizione degli elementi sul tavolo ottico.
• 1 fascio di pompa
• 2 fascio di sonda
• 3 parabola di focalizzazione
• 4 target
• 5 microscopio per lo spot focale
• 6 sistema di controllo del fuoco sul target attraverso la luce riflessa
• 7 linea di ritardo
• 8 parabola Thomson e MCP
• 9 CCD (mobile) per il controllo della sovrapposizione del fascio pompa
e sonda
• 10 schermo di piombo e IP motorizzati (mobili)
62
Figura 4.1: Schema della camera di interazione.
63
Il target viene posizionato con dei motori a movimento micrometrico,
controllati dall’esterno, regolando la focalizzazione attraverso la luce riflessa
(specle) e la messa a fuoco (illuminando il target con una fibra ottica e
visualizzandolo attraverso una CCD a 8 bit).
Il fascio principale viene focalizzato sul target da una parabola fuori asse con
un’apertura numerica di f/3 e una lunghezza focale di 15 cm. La superficie
é ricoperta di oro per ottimizzare la riflettivitá . Nel caso ideale di un fascio
gaussiano il fascio di pompa verrá focalizzato fino a un waist ω0 = 1, 4µm.
La qualitá dello spot focale viene ottenuta misurandone la larghezza e la
percentuale di energia contenuta nel contorno definito da 1/e2 .
Figura 4.2: Immagine dello spot focale del fascio di pompa (a sinistra). A
destra i due contorni indicano la FWHM (rosso) e il contorno a 1/e2 (in blu).
Otteniamo un waist medio di 2,35 µm.
64
Il pinhole tra il target e la MCP viene posto a 80 cm dal target, sull’asse
del fascio.
Davanti alla MCP viene anche inserito un filtro in plastica per i neutri che altrimenti saturano l’immagine a livello dell’asse laser rendendo piú difficoltosa
l’analisi delle immagini.
65
Figura 4.3: Immagini ottenute sulla MCP (in falsi colori) con e senza il filtro
per i neutri.
4.1
66
L’image plate é incollato su un supporto di piombo motorizzato (sia sul-
l’asse orizzontale che su quello verticale) che permette di intercettare il fascio
protonico o meno (spostandolo in orizzontale). Ad ogni tiro una striscia orizzontale di circa 1 cm viene impressionata, muovendolo in verticale lo si puó
utilizzare per circa 15 tiri.
Tutte le ottiche sono state allineate con laser He-Ne collineari all’infrarosso.
4.1
Parabola Thomson
Per distinguere il segnale prodotto dalle diverse specie ioniche, abbiamo usato
una parabola di Thomson, che permette di separare le tracce prodotte da
specie con differente carica su massa.
La parabola Thomson consiste in un campo elettrico e un campo magnetico
paralleli, entrambi perpendicolari alla direzione di propagazione del fascio.
4.1
67
Figura 4.4: Schema della parabola Thomson
4.1
68
L’energia cinetica iniziale degli ioni puó essere dedotta dalla loro devi-
azione prodotta dai due campi.
La parabola viene posta sul cammino del fascio, prima della MCP (a una
distanza variabile).
Si suppone che gli ioni di carica qi e massa mi propaghino nella direzione ez
con velocitá vi ed entrino in un campo E omogeneo (nel nostro caso 2.5×105 V ,
prodotto da due piatti posti a distanza 1 cm) e un campo B (il cui comportamento é rappresentato dalla mappa di campo ottenuta da misure precedenti
(vedi figura 4.5)) prodotto da un magnete lungo 4 cm, che possiamo considerare uniforme (0.48 T) al centro del sistema. Entrambi i campi sono diretti
lungo ex e il campo E é responsabile della dispersione in x (cioé di separare
le specie ioniche a seconda del rapporto q/m) mentre il campo B provoca
la dispersione lungo ey (cioé la dispersione in energia: gli ioni con energie
minori vengono deviati maggiormente mentre quelli piú energetici sono poco
deviati).
4.1
69
Figura 4.5: Mappa del campo magnetico
4.1
70
Scriviamo le equazioni del moto di tale sistema:

2
i Et

xi = q2m


i





yi = R [1 − cos(ω0 t)] → yi − R = −R cos(ω0 t)







 z = R sin(ω t) → t = 1 arcsin LB i
0
B
ω0
R
Dove in direzione ex agisce solo il campo E provocando un’accelerazione lineare, mentre il campo B da luogo a un’accelerazione circolare di raggio R e
frequenza di oscillazione ω0 .
Supponendo che sia il campo elettrico che quello magnetico agiscano per una
stessa distanza LB = LE = L abbiamo ricavato il tempo di attraversamento
tB . Sostituendolo nelle equazioni per xi e yi ricaviamo le due posizioni di
uscita dal sistema xS e yS


xS =



qi E
2mi ω02
arcsin



 yS = R 1 − 1 −
L
R
L2
R2
1/2 La particella, una volta al di fuori dall’azione dei due campi, si muoverá
di moto rettilineo uniforme lungo la tangente dell’angolo di uscita, fino al
detector. Ricaviamo l’ulteriore spostamento lungo x e y (dalla parabola
all’MCP) dalla tangente dell’angolo di uscita, derivando l’equazione del moto:
qE/m arcsin(L/R)
R cos(arcsin(L/R))
xD =
vx
vz
=
yD =
vy
vz
= tan(ω0 t)
=
qi E/mi arcsin(L/R)
R(1−L2 /R2 )1/2
4.1
71
Infine sommiamo le nuove quantitá ottenute a xS e yS e otteniamo la dispersione finale lungo x e y sul detector (xM CP e yM CP ) che si trova a una
distanza LM CP .

i
h
L
arcsin( R
)
qi E
2 L
1

xM CP = xS + xD = mi · 2ω2 · arcsin R + (LM CP − L)


2 1/2
0

R 1− L 2

R






L
mi E(LM CP −L) arcsin( R
)
2 L
i
= 21 qEm
2 · arcsin ( R ) +
L
B
i
2 cos arcsin( M CP )

Rq
B
i
R







1/2 i
h


 yM CP = yS + yD = R 1 − 1 − L22
+ tan arcsin( L ) (LM CP − L)
R
R
Vediamo che la dispersione lungo x dipende dalla quantitá m/q quindi le
diverse specie ioniche saranno riconoscibili a seconda della loro traccia sulla
MCP. Invece dalla dispersione in y possiamo ricavare l’energia in diverse posizioni della traccia e , in particolare, l’energia del cut-off protonico, cioé la
massima energia che otteniamo.
Dalle formule analitiche possiamo ricavare graficamente i risultati attesi dell’esperimento, ma dal confronto con le immagini della MCP vediamo che i
plot ottenuti dalla simulanzione analitica non riproducono perfettamente le
tracce. Questo a causa del campo magnetico imposto che non é costante
ma é rappresentato da una mappa variabile nello spazio. Quindi simuliamo
l’interazione in modo numerico per ottenere risultati piú coerenti.
Capitolo 5
Risultati sperimentali
La generazione di protoni energetici (al di sopra del MeV), dall’interazione di
fogli sottili con laser ad alta intensitá, é un soggetto di ricerca molto interessante a causa delle molteplici applicazioni come la protonterapia, l’iniezione
veloce e la radiografia. Gitomer et al. e Davies ([23]) hanno dimostrato che
la massima energia protonica scala con l’irradianza laser Iλ2 e puó essere
fittata da una funzione della forma (Iλ2 )α con α tra 0.3 e 0.5.
Per fogli sottili e contrasto sufficiente le simulazioni prevedono energie dell’ordine della decina di MeV per un laser 30 TW e fino a 100 MeV per intensitá
maggiori di 1022 W/cm2 .
Il processo di produzione dei protoni energetici é tutt’oggi dibattuto. Due
possibili origini sono la faccia avanti del target (a causa della forza ponderomotrice) e la faccia dietro (dove l’accelerazione avviene per TNSA (vedi
capitolo 1)). Simulazioni PIC presentate da Pukhov e d’Humieres mostrano
un effetto combinato dei due meccanismi, per questo motivo é difficile stabilire l’importanza dei contributi relativi delle due accelerazioni e il soggetto
é ancora in discussione.
72
73
Esperimenti precedenti sull’accelerazione protoni ([13]) hanno mostrato, sugli spessori dell’ordine del micron, un aumento delle energie di cutoff ottenute
al diminuire dell’ASE.
Figura 5.1: Energie di cutoff protoniche ottenute al variare dello spessore del
target per τASE di 0.5, 0.7 e 2,5 ns.
Come vediamo in figura (5.1)per ogni durata del preimpulso esiste un massimo, cioé uno spessore ottimale a cui vengono raggiunte le energie piú alte.
Al diminuire del τASE questo massimo si sposta verso gli spessori piú fini e
vediamo anche un corrispondente aumento dell’energia di cutoff. Per spessori
74
al di sopra dei 10 µm le curve hanno invece lo stesso andamento. Questo
mostra che, mentre le energie di cutoff dipendono dall’intensitá laser, lo spessore ottimale dipende solo dal preimpulso.
Conoscendo questi risultati abbiamo diviso l’esperienza in due parti: un primo esperimento a singolo fascio in cui abbiamo sfruttato l’alto contrasto
del laser Salle Jaune per cercare di ottimizzare le energie ottenute sui piccoli spessori (da 400 nm a 1,5 µm) e una seconda parte a doppio fascio
in cui abbiamo utilizzato il fascio di sonda come preimpulso controllato per
preriscaldare il target e creare un plasma in faccia dietro prima dell’arrivo
dell’impulso principale. Abbiamo quindi studiato la dipendenza dei cutoff
dalla durata dell’ASE per target piú spessi (da 3 µm in su).
Per calcolare le energie ottenute abbiamo utilizzato delle simulazioni numeriche. In figura (5.2)vediamo un plot tipico in cui abbiamo la dispersione
del campo magnetico sull’asse x e le energie in MeV sull’asse y. La simulazione é ripetuta per diverse distanze magnete-MCP (da 20 a 30 cm).
(mettere figura migliore)
75
Figura 5.2: Plot delle energie protoniche rispetto alla dispersione prodotta
dal campo magnetico.
76
Considerando quindi una tipica immagine ottenuta dalla MCP (fig.5.3)
e conoscendo la posizione del magnete si puó calcolare l’energia di cutoff
protonico(e anche di quello ionico) misurando la distanza tra la traccia protonica e l’asse del laser, dato dall’impatto dei neutri (la posizione d’impatto
dei neutri viene memorizzata a inizio esperimento, poi i neutri non vengono
piú registrati dalla MCP perché il segnale prodotto é molto intenso e peggiora la qualitá dell’immagine finale. Per realizzare l’eliminazione del segnale
dei neutri sul loro percorso viene posizionato un filtro) .
Nelle immagini opportunamente modificate per l’analisi, come in (5.3) la
Figura 5.3: Immagine tipica ottenuta con la MCP
traccia protonica é sempre la prima dal basso, le altre appartengono ad alcuni
prodotti ionici dell’interazione.
Analisi delle immagini Ricordiamo che la dispersione in energia avviene
lungo l’asse x ed é dovuta al campo magnetico mentre in direzione y le tracce
vengono separate dal campo elettrico a causa della differenza del rapporto
q/m di ogni ione. Ioni tipici prodotti da target di alluminio sono C + ,C 2+ ,C 3+ ,
C 4+ . In alcuni casi abbiamo anche C 5+ e Al+ .
Vediamo un esempio delle immagini registrate dalla MCP dopo un tiro su
77
Figura 5.4: Immagine ottenuta con target 6 µm di Al
target di Al di spessore 6 µm (5.4). Nei target plastici invece riscontriamo
inoltre tracce di O2+ e N a+ (che supponiamo provenga da contaminazioni
superficiali del target), e anche una traccia (flebile) dell’isotopo
13
C.
Un esempio in fig.(5.5).
Notiamo che in fig. (5.5)la traccia lasciata dai neutri non é stata eliminata.
78
Figura 5.5: Immagine ottenuta con target 6 µm di PET
79
Figura 5.6: Plot ottenuto con le simulazioni
Abbiamo riconosciuto le tracce confrontandole con le simulazioni. Attraverso il calcolo numerico possiamo ottenere dei plot della dispersione del
campo magnetico(in x) contro la dispersione di quello elettrico (in y). Cosı́,
per sovrapposizione con le immagini elaborate con il programma ImageJ, le
tracce vengono identificate come appartenenti a un dato ione (fig. 5.6.
5.1
5.1
80
Esperienza a singolo fascio
In questa prima parte dell’esperimento non utilizziamo il fascio di sonda ma
tiriamo direttamente sul target senza preriscaldamento. Ci aspettiamo che il
contrasto di 108 tra il preimpulso e il fascio principale ci permetta di ottenere
energie piú alte nei target meno spessi.
Utilizziamo fogli di alluminio di spessore variabile dai 400 nm ai 15 µm. Per
ogni spessore cerchiamo il miglior fuoco.
Il target viene posizionato tra due fogli forati di nickel su un supporto che
ha la possibilitá di muoversi su 5 assi (tre traslazioni e due rotazioni).
Il procedimento consiste nel trovare la posizione di referenza del laser attraverso la luce riflessa dell’He-Ne (collineare con l’infrarosso). Successivamente il target viene mosso in fuoco di 25 µm (che é la risoluzione limite)
ad ogni tiro per trovare la posizione in cui abbiamo le energie maggiori. Per
ogni posizione vengono fatti almeno due tiri. Per ogni target operiamo circa
sessanta tiri.
L’interazione avviene ad un vuoto migliore di 10−3 mbar, quando anche la
MCP puó venire attivata.
Abbiamo cercato di correlare le energie protoniche, oltre allo spessore del
target, ai diversi parametri del laser come l’energia dello spot (ponendo delle
densitá ottiche su fascio di pompa), la durata dell’impulso (cambiando la
distanza tra i due reticoli del compressore) e sopratutto il contrasto.
Effetto del contrasto laser Il nostro laser é caratterizzato da un contrasto migliore di 109 e una durata dell’ASE minore di 500 ps. Per questo
motivo ci aspettiamo di poter ottenere le energie piú alte dall’interazione
con i target piú sottili. Dal calcolo dei cutoff protonici otteniamo plot molto
diversi a seconda dello spessore.
5.1
81
In (fig.5.7) vediamo un primo confronto tra il nostro spessore di riferimento
(6 µm) e spessori di 2 e 20 µm.
Nel plot (5.7)sono state riportate le distanze di cutoff della traccia protonica,
osservate nelle figure, contro la posizione di fuoco rispetto alla posizione di
riferimento.
Gli scan in fuoco vengono effettuati ad ogni cambio del target per trovare il
fuoco corrispondente alla massima energia del fascio.
5.1
82
Figura 5.7: Confronto delle dispersioni date dal campo magnetico ottenute
sperimentalmente per target di 2,6 e 20 µm
5.1
83
La posizione di cutoff della traccia protonica si traduce in energia, meno
i protoni sono deflessi, piú saranno energetici.
Figura 5.8: Confronto delle energie ottenute sperimentalmente per target di
2,6 e 20 µm
5.1
84
Osserviamo (fig. 5.8) che gli andamenti dell’energia per il target di 6 e 2
µm sono gli stessi, ma per il bersaglio piú sottile si arriva a energie piú alte,
esattamente come previsto. Per target spessi invece (come i 20 µm) si perde
l’andamento caratteristico trovato precedentemente a favore di un plateau.
Possiamo spiegare questo comportamento nel modo seguente: nel target piú
spesso gli iono accelerati devono viaggiare di piú attraverso il materiale perdendo gran parte della loro energia prima di venire espulsi.
5.1
85
Osserviamo ora (fig. 5.9 e 5.10)le energie ottenute in target sottili (dai
400 nm ai 6 µm).
Figura 5.9: Confronto delle dispersioni date dal campo magnetico ottenute
sperimentalmente per target di 400 nm,1.5 e 6 µm
Notiamo che il comportamento é molto differente rispetto al caso precedente. Laddove per il target di riferimento é stato trovato il miglior fuoco,
5.1
86
Figura 5.10: Confronto delle energie ottenute sperimentalmente per target
di 400 nm,1.5 e 6 µm
non si ha corrispondenza nei target piú sottili, dove invece vengono registrate
energie nettamente minori.
La spiegazione fisica che abbiamo trovato per questo diverso comportamento
é la seguente: nei target di 2 µm otteniamo delle energie maggiori rispetto
ai 6 µm, come ci aspettiamo e questi target sono ancora abbastanza spessi
da non venire ionizzati dal preimpulso.
5.1
87
I target di 400 nm e 1.5 µm invece sono troppo sottili e quindi vengono distrutti dal preimpulso. Per questo motivo nella seconda curva troviamo un
minimo in energia per i 400 nm e i 1.5 µm al miglior fuoco, dove invece ci aspetteremmo il migliore assorbimento di energia laser e quindi l’emissione piú
energetica. Attorno al minimo si presentano due massimi e abbiamo trovato
spiegazione a questo nel fatto che, defocalizzando il target, si ha una diminuzione dell’intensitá dell’impulso principale e ,conseguentemente, anche del
preimpulso, che quindi scende sotto la soglia di ionizzazione e non distrugge
il target. Registriamo quindi energie piú alte ad un fuoco peggiore.
La transizione tra i due regimi si puó intuire anche per i target da 2 µm,
osservando la differenza con la curva di energia dei 6µm, molto piú piccata.
La curva dei 2µm infatti presenta quasi un plateau.
Confrontiamo ora i nostri dati, ottenuti per differenti spessori, con quelli
di Kaluza et al. ([13]) estrapolati dall’articolo, dove le condizioni sperimentali sono: contrasto di 107 , preimpulso 0.5 ns prima dell’impulso principale
e intensitá di 1 × 1019 W/cm2 ; mentre noi abbiamo un contrasto migliore di
109 , preimpulso 400 ps prima dell’impulso principale e intensitá di 4 × 1019 .
Il parametro fondamentale é quindi il miglior contrasto del laser.
Osserviamo (fig. 5.11)energie nettamente superiori all’esperienza di Kaluza
e uno spessore ideale tra i 1.5 e i 3 µm. Notiamo anche il diverso andamento della curva a spessori minori e maggiori di quello ideale, la decrescita a
spessori piú piccoli é molto meno netta di quella a spessori maggiori. Una
possibile spiegazione a questo fenomeno é data in ([13]) attraverso una differenza nel meccanismo di accelerazione: per target piú sottili l’emissione
avverrebbe dalla faccia avanti del bersaglio mentre per target piú spessi per
TNSA.
5.1
88
Figura 5.11: Confronto delle energie ottenute sperimentalmente per diversi
spessori al LOA con quelle di Kaluza et al.
Analisi dello spettro protonico Isolando la traccia protonica dalle altre, attraverso il programma di analisi delle immagini ImageJ, é possibile
ottenere lo spettro in intensitá registrato dalla MCP.
Si puó quindi fare un confronto tra gli spettri ottenuti per differenti spessori
del bersaglio e studiarne l’andamento.
In (fig.5.12 e 5.13) vediamo quattro spettri ottenuti con lo spessore 6 µm.
5.1
89
Possiamo distinguere nei plot due comportamenti molto differenti alle stesse
Figura 5.12: Spettri protonici ottenuti con target di 6 µm
condizioni sperimentali: in due dei quattro tiri lo spettro ha andamento continuo mentre negli altri due tiri il grafico mostra dei plateau in corrispondenza
di alcuni intervalli di energia.
In entrambi i casi otteniamo le intensitá massime ad alta dispersione, cioé a
basse energie.
Andiamo quindi a vedere se questo stesso comportamento si ripete per spes-
5.1
90
Figura 5.13: Spettri protonici ottenuti con target di 6 µm
sori differenti. In (fig. 5.14) osserviamo gli spettri ottenuti per tre tiri con
target di 3 µm alle stesse condizioni fisiche.
Vediamo che anche in questo caso gli spettri hanno un comportamento molto
differente da tiro a tiro. Giungiamo quindi alla conclusione che non c’é una
correlazione diretta tra gli spettri ottenuti e le condizioni sperimentali che
controlliamo dall’esterno.
Nel plot (5.15) vediamo graficati gli spettri ottenuti con quattro spessori dif-
5.1
91
Figura 5.14: Spettri protonici ottenuti con target di 3 µm
ferenti, sono stati scelti solo gli spettri con andamento continuo per cercare
una qualche relazione tra lo spessore del target e l’intensitá emessa.
L’emissione piú intensa avviene con target di 3 e 8 µm, mentre é minore
per i target di 6 e 15 µm, anche se il picco rimane fisso in un intorno della
stessa energia.
Non possiamo quindi affermare che ci sia una relazione tra lo spessore e l’intensitá del fascio emesso.
5.1
92
Figura 5.15: Spettri protonici ottenuti con target di diverso spessore
5.2
5.2
93
Esperienza a doppio fascio
In questa seconda parte dell’esperienza abbiamo utilizziamo il fascio di sonda
(circa 5 % del fascio totale) come preimpulso controllato e abbiamo la possibilitá di introdurre un ritardo relativo tra i due fasci, cosı́ da preriscaldare
il target e produrre un plasma in faccia dietro prima dell’arrivo dell’impulso
principale. Vogliamo quindi studiare la relazione tra la durata dell’ASE e le
energie massime ottenute.
Abbiamo ottenuto un ritardo controllato tra i fasci costruendo, all’interno
della camera di interazione, una linea di ritardo costituita da due specchi,
orientati a 45 % rispetto alla normale del fascio laser, montati su un motore,
quindi in grado di muoversi. Avvicinando o allontanando tale sistema di
specchi al fascio laser viene fatto percorrere un cammino piú o meno lungo,
cosı́ si introduce il ritardo.
In (fig.5.16) vediamo uno degli scan, effettuato su target di 3 µm.
Dal plot 5.16 si vede che c’é un netto aumento delle energie del fascio protonico rispetto al caso con fascio laser singolo (in rosso) e , nello specifico,
esiste un ritardo ottimale tra i due fasci.
Purtroppo questi risultati spesso non sono risultati riproducibili, a causa
dell’instabilitá del fascio laser da tiro a tiro. Per condurre questo tipo di esperienza infatti, é fondamentale l’allineamento quasi perfetto tra i due fasci,
di sonda e di pompa, cosa che, abbiamo verificato, non era sempre vera.
Vediamo in (fig. 5.17) un secondo scan in cui la condizione di aumento di
energia non si verifica piú.
5.2
94
Figura 5.16: Energie con preriscaldamento. Fascio singolo in rosso.
5.2
95
Figura 5.17: Energie con preriscaldamento. Fascio singolo in rosso.
Bibliografia
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Elenco delle figure
1.1
Emissione stimolata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.2
Curve di Bragg per diverse radiazioni . . . . . . . . . . . . . . 10
2.1
Quasi neutralitá del plasma a t=0 . . . . . . . . . . . . . . . . 28
2.2
Espansione del plasma a t>0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
3.1
Schema generico di un CPA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
3.2
Schema degli stadi del laser Salle Jaune . . . . . . . . . . . . . 44
3.3
Autocorrelatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45
3.4
Setup sperimentale con due cristalli BaF2 accoppiati . . . . . 49
3.5
Contrasto ottenuto sulla catena Salle Jaune attraverso l’uti-
4
lizzo di XPW . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
3.6
Micro Channel Plate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
3.7
MCP chevron . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
3.8
Tipica immagine ottenuta con un cr39 . . . . . . . . . . . . . 57
3.9
Tipica immagine ottenuta con l’Image Plate . . . . . . . . . . 59
4.1
Schema della camera di interazione. . . . . . . . . . . . . . . . 62
4.2
Immagine dello spot focale del fascio di pompa (a sinistra). A
destra i due contorni indicano la FWHM (rosso) e il contorno
a 1/e2 (in blu). Otteniamo un waist medio di 2,35 µm. . . . . 63
100
ELENCO DELLE FIGURE
4.3
101
Immagini ottenute sulla MCP (in falsi colori) con e senza il
filtro per i neutri. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65
4.4
Schema della parabola Thomson . . . . . . . . . . . . . . . . . 67
4.5
Mappa del campo magnetico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
5.1
Energie di cutoff protoniche ottenute al variare dello spessore
del target per τASE di 0.5, 0.7 e 2,5 ns. . . . . . . . . . . . . . 73
5.2
Plot delle energie protoniche rispetto alla dispersione prodotta
dal campo magnetico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
5.3
Immagine tipica ottenuta con la MCP
. . . . . . . . . . . . . 76
5.4
Immagine ottenuta con target 6 µm di Al
5.5
Immagine ottenuta con target 6 µm di PET . . . . . . . . . . 78
5.6
Plot ottenuto con le simulazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
5.7
Confronto delle dispersioni date dal campo magnetico ottenute
. . . . . . . . . . . 77
sperimentalmente per target di 2,6 e 20 µm . . . . . . . . . . 82
5.8
Confronto delle energie ottenute sperimentalmente per target
di 2,6 e 20 µm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
5.9
Confronto delle dispersioni date dal campo magnetico ottenute
sperimentalmente per target di 400 nm,1.5 e 6 µm
. . . . . . 85
5.10 Confronto delle energie ottenute sperimentalmente per target
di 400 nm,1.5 e 6 µm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
5.11 Confronto delle energie ottenute sperimentalmente per diversi
spessori al LOA con quelle di Kaluza et al. . . . . . . . . . . . 88
5.12 Spettri protonici ottenuti con target di 6 µm . . . . . . . . . . 89
5.13 Spettri protonici ottenuti con target di 6 µm . . . . . . . . . . 90
5.14 Spettri protonici ottenuti con target di 3 µm . . . . . . . . . . 91
5.15 Spettri protonici ottenuti con target di diverso spessore . . . . 92
5.16 Energie con preriscaldamento. Fascio singolo in rosso. . . . . . 94
5.17 Energie con preriscaldamento. Fascio singolo in rosso. . . . . . 95