Il Laser ad Eccimeri

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Laser ad Eccimeri
Fig. 1 Laser ad eccimeri: Si evidenzia la camera in materiale PVC, i condensatori di
carica (70000 V) e l’interruttore veloce di alta tensione (50000 V).
I Laser sono sorgenti di luce coerente, cioè sorgenti di onde elettromagnetiche che, a
differenza della luce prodotta da una lampadina, hanno tutte la stessa lunghezza d’onda e
la stessa fase e tutte si propagano nella stessa direzione. Il dispositivo in figura è stato
oggetto di brevetto, BA2003A000029 del 05.06.2003. Esso ha permesso di sviluppare
laser di lunghezza d’onda particolare e di condurre ricerche di ottica non lineare, di fisica
degli acceleratori, di biologia e per applicazioni mediche.
Il laser ad eccimero è un dispositivo sviluppato negli ultimi decenni capace di generare
luce coerente di lunghezza d’onda, cioè di colore, ultra-violetto. Le molecole in grado di
generare tale radiazione non esistono in natura, le si devono creare. Esse si creano sotto
l’azione di una grossa scarica elettrica di qualche decina di mega-watt (10000000 W) per
un tempo di qualche miliardesimo di secondo , nano-secondi, (0,00000001 sec). Le
molecole sono generalmente formate da atomi di gas nobile (Argon, Kripton o Xenon) e
da atomi di gas alogeni (Cloro o Fluoro). Parte della luce prodotta attraversa uno
specchio semitrasparente costituendo il fascio laser vero e proprio. Oggi sentiamo parlare
di questo laser per la sua potenzialità a correggere difetti oftalmici; miopia e presbiopia.
Cioè rimodella la cornea per correggere la lunghezza focale dell’occhio.
Le applicazioni più salienti condotte presso il Laboratorio di Elettronica Applicata e
Strumentazione, sono la generazione di fasci di elettroni, la creazione di plasma e
generazione di ioni altamente carichi, gli studi di Fisica non lineare, il trattamento di
tessuti biologici e l’irraggiamento di microrganismi.
Fig. 2 Interno di un laser ad eccimeri: Si evidenziano gli elettrodi di scarica e le candele
di preconizzazione.
Per raggiungere una scarica capace di depositare una quantità di energia alla miscela
laser, è necessario che la sua corrente non si sviluppi in canali preferenziali (fulmini) ma
bensì in una scarica uniforme. La preionizzazione consiste nel rendere conduttore la
miscela di gas, un istante prima della scarica. Per questo scopo si applica un
preionizzatore che genera elettroni nell’intero del volume della miscela laser.
Il preionizzatore è in grado di generare piccole scariche durante il passaggio della
corrente. Pertanto esso è posto in serie alla scarica principale ed è formato da un certo
numero di piccoli pin, cioè di piccole candele. Durante la fase di carica del condensatore
connesso agli elettrodi, la corrente viene fatta passare attraverso i pin i quali generano
delle scintille che assorbite dal gas liberano elettroni. La fase susseguente, cioè quella di
scarica principale trova un gas, non più isolante ma conduttore e l’energia immagazzinata
dal condensatore di carica viene ceduta uniformemente al gas che diviene mezzo attivo.
Fig.3 Camera di generazione di elettroni.
Un’esperienza molto interessante è la produzione di fasci di elettroni, intensi e a basso
valore di emittanza. Questo processo denominato effetto fotoelettrico fu studiato da
Einstein all’inizio del secolo passato e permise di porre le prime basi della meccanica
quantistica. Un fascio laser incide su un bersaglio metallico e libera elettroni solo se il
fotone ha un’energia superiore a quella di legame dell’elettrone nel solido. Questa ricerca
ha permesso di generare fasci di elettroni di qualche decina di amper e di bassa emittanza,
cioè fasci con elettroni aventi direzione parallela all’asse di propagazione.
Un fasci di elettroni, intenso e di bassa emittanza è grande interesse per l’alimentazione
di grosse macchine acceleratici. Generalmente si sceglie un fascio laser di lunghezza
d’onda piuttosto corta affinché l’energia del fotone associato sia grande. In questo modo
è possibile estrarre elettroni da quasi tutti i metalli la cui funzione lavoro varia da 2 a 6
eV. La misura della corrente del fascio si effettua con una bobina di Rogowski, che non
distrugge il fascio ma interagisce con esso semplicemente induttivamente. La misura
dell’emittanza invece si effettua mediante le tecnica della doppia fessura. Tutti questi
strumenti sono stati realizzati in loco e mostrati in figura.
Mutagenesi indotta mediante laser XeCl a 308 nm
L’interazione della radiazione ultravioletta con gli organismi viventi può provocare
l’insorgenza di alterazioni nel materiale genetico. Grandi dosi di radiazione UV possono
provocare la morte immediata di una cellula, a causa della creazione di molteplici danni
nel suo DNA. Dosi minori possono indurre mutazioni (cambiamenti nella sequenza del
DNA) che vengono trasferite alla progenie. Le mutazioni possono interessare qualsiasi
sito del genoma e, di conseguenza, possono dare origine a svariati fenotipi, che possono
poi essere opportunamente selezionati. Notevole risulta, quindi, il potenziale impatto
della mutagenesi indotta, sia in campo scientifico che industriale.
Nel nostro laboratorio, in collaborazione con un gruppo di Microbiologia
dell’Università di Lecce, sono stati condotti degli esperimenti volti ad analizzare l’effetto
mutageno su ceppi di Escherichia coli della radiazione UV a 308 nm emessa da un laser
XeCl, ed a confrontarlo con quello indotto da radiazione a 254 nm emessa da una
tradizionale lampada germicida.
La scelta di studiare la radiazione a 308 nm scaturisce, tra l’altro, dalla relazione che
intercorre fra l’assorbimento degli UV da parte dell’ozono stratosferico e l’eventualità di
un danno al DNA. Considerando lo spettro d’azione del danno al DNA e lo spettro di
assorbimento degli UV da parte dell’ozono, si osserva infatti una zona di sovrapposizione
intorno a 300 nm. La radiazione a 308 nm rappresenta, quindi, per quanto riguarda gli
effetti sul DNA, la situazione fisica più vicina alla realtà, i cui effetti non sono stati però
ancora ben chiariti.
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