Giornale di informazione e di cultura musicale a cura della Scuola di Musica Giuseppe Bonamici Via Matteucci, 20 - 56100 PISA - Telefono e Fax: 050.540450 - [email protected] - www.scuolabonamicipisa.it Gli speciali di Continuum: Compositori Livornesi del ‘900 di Andrea Pellegrini e Scilla Lenzi Intendiamo, con questi articoli, contribuire alla riscoperta di alcuni musicisti e compositori livornesi che potremmo definire “minori” rispetto ai grandi del passato (Cambini, Nardini – secondo alcune fonti, tra l’altro, nato a Fibbiana, non a Livorno - Mascagni, e altri), in occasione, o meglio nel pretesto, dell’imminente celebrazione del 4° centenario della fondazione di quella città (1606), già prodiga di talenti eppure oggi così pigra e sciatta (isole felici come il Mascagni a parte, forte, vivo, e sostenuto come si deve da istituzioni che tanto avrebbero da insegnare, in questo, a quelle pisane). Non fraintendeteci. Non intendiamo far finta di scoprire geni immortali (dei quali tra l’altro il nome e il valore è già noto) ma dimostrare la diffusione della cultura musicale, quant’era, e di che qualità, in una città, seconda in Toscana per grandezza, oggi in crisi d’identità, quasi allo sfascio, preda di speculazioni di vario genere, fatta a fette da imprenditori che dimenticano che la cultura di un popolo è fortemente basata sul territorio, che deve essere rispettato, e sulla storia, e sull’arte, nella totale letargìa del “popolo cane”. I cinema del centro hanno chiuso: l’Odeon, il Metropolitan, la Gran Guardia. Incredibile eh? Letteralmente scandaloso. Multisala volgari e sudici, superipermega mercati caciaroni e obesi, traffico bestiale, facce spente e aggressive, niente lavoro, strade rotte e cacche ovunque, tossicodipendenze, aids, alcolismo, emarginazione, caos. Buon compleanno, Livorno! E i livornesi? Più o meno inconsciamente complici di tutto questo, e convinti che la musica a Livorno sia un mito basato su eroi del pentagramma, passati e sepolti, o una dote innata, coltivata in serre incantate come i conservatori; no, non è così, non era così, a Livorno si suonava, anche se non si era geni, e tanto, ovunque, e le facce erano meno grevi e i pensieri un po’ più sereni. Non c’è più un solo locale dove si fa jazz, e la musica leggera non si ascolta più, la si subisce. Ballare? Dove? A Calafuria? Non scherziamo: ho detto “ballare”. Ci auguriamo che questi musicisti possano essere apprezzati perché eseguiti: che si torni a suonare la loro musica. Quando è grande, perché è grande; quando è ben scritta, perché testimonianza e documento di conoscenze e cultura, e perché non solo la musica immortale deve essere eseguita. Deve essere eseguita, e studiata, la buona musica. Ma iniziamo: 1 - Sirio Santucci Sirio Santucci nacque a Livorno il 7 novembre 1901, figlio di Amleto e Antinisca Morandi la quale proveniva dalla Corsica dove si esibiva nel Circo “Morandi” come cavallerizza. A 12 anni iniziò lo studio della musica suonando vari strumenti, allievo tra l’altro del M° Luigi Piattoli per lo studio del mandolino al Circolo Mandolinistico “Giuseppe Verdi”. Più tardi le necessità della famiglia lo costrinsero a impiegarsi nelle Ferrovie dello Stato in qualità di macchinista; a appena 25 anni subì un grave incidente sul lavoro che lo rese grande invalido civile. Di natura forte e decisa, Santucci non si arrese. Fu allora che si dedicò completamente alla musica: intraprese gli studi della composizione diplomandosi al Conservatorio di Musica “Luigi Cherubini” di Firenze sotto la guida del celebre M° Vito Frazzi, Direttore del Conservatorio e autore dell’opera “Re Lear” (v. Continuum gen-feb 2004). continua a pag 5 - Numero 15 Settembre/Ottobre 2005 Le interviste di Continuum Nino Pellegrini: espressione, regolarità, e lasciare spazio di Davide Pedroni Davide Pedroni: Perché proprio il contrabbasso? Nino Pellegrini: Beh, ho iniziato su consiglio di mio fratello. Un giorno lui e altri mi hanno affittato un contrabbasso a mia insaputa. E’ così che ho iniziato. Poi ho capito veramente cosa mi piace del contrabbasso: il fatto che sia uno strumento Foto di Luca Buti che deve coniugare gli aspetti ritmici e armonici della musica, e il fatto che può suonare con timbri molto diversi. DP: Cosa ci racconti dei tuoi inizi? NP: Ho iniziato un po’ tardino: avevo 27 anni. All’inizio ho preso lezioni dal contrabbassista classico Paolo Tommasi, perché a causa dell’età non sono potuto entrare in conservatorio. Dopo 2 anni ho partecipato ai corsi di Siena Jazz. Poi ho vinto borse di studio per diversi corsi di specializzazione. DP: Hai studiato con i più grandi musicisti italiani di jazz. Chi di loro ha influenzato di più il tuo modo di suonare? NP: Sono stato influenzato molto da Paolino dalla Porta. Suona in modo un po’ diverso dal mio. E’ un grande insegnante, da lui sono riuscito a imparare molto. DP: Ascoltando le tue performance dal vivo e sui CD si potrebbe dire che sei un bassista votato alla coralità della musica, che predilige la regolarità rispetto a certi virtuosismi appariscenti. NP: Mi rivedo molto in questa definizione. Suono in modo tradizionale, mi preoccupo di offrire regolarità agli altri; mi piace molto suonare anche in orchestra, dove il ruolo del bassista ha magari meno visibilità ma è molto importante per la riuscita della musica. Cerco di esprimere la mia creatività nei soli, mentre quando accompagno mi preoccupo il più possibile di essere quadrato e funzionale alla musica. Ritengo che a un buon bassista si debba chiedere di legare la parte ritmica e armonica della musica per creare il giusto amalgama e lasciare spazio agli altri musicisti. continua a pag 6 In questo numero 4Le triosonate per flauti e basso pag.2 4Novecentomusica: Alan Berg pag.2 4Materiali usati nella costruzione dei flauti pag.3 4Recensione: CD Genesis Project pag.4 4Un anno di attività del Mascagni pag.4 4Recensione: Carlo Dery, Italy pag.7 Intelligenza e bambini iperdotati nella musica di Massimiliano Mangini L ’ a m p i a realizzazione delle incommensurabili potenzialità umane è rara, “… ma i talenti…sono infinitamente più numerosi di quanto generalmente si pensi. Peccato che la maggior parte di essi resti sconosciuta per sempre e inaridisca.”1 A partire da questa premessa, vari studiosi hanno tentato di sensibilizzare l’opinione pubblica e si sono rivolti soprattutto ai docenti, attraverso la proposta di strategie per individuare ed educare le potenzialità d’ognuno. Il pedagogista Mauro Laeng sottolinea che, in Italia, i casi di efficienza particolarmente elevata e precoce non hanno ricevuto ancora sufficiente attenzione.2 Così anche lo studioso Silvano Sansuini osserva: “La nostra società, soprattutto negli ultimi decenni, ha giustamente tentato di recare un contributo a quanti si trovano in situazioni di handicap, di difficoltà di apprendimento o mostrino, comunque, una diversità che li pone in una condizione di svantaggio. Essa mostra, tuttavia, una congenita difficoltà ad affrontare il problema della diversità quando questa si manifesti in positivo, tanto che perfino la scuola, nel tentativo di tutelare i più deboli, ha vistosamente appiattito i suoi obiettivi formativi a livello delle possibilità di quanti possono o vogliono lavorare soltanto a ritmi considerevolmente bassi.”3 Eppure: “Le finalità a cui mirano gli studi di questo importante settore dell’educazione sono oggi da ricercare nell’ambito della Carta dei diritti dell’uomo e si concretizzano nel rispetto delle diversità di quei bambini che manifestano ritmi di sviluppo, modalità d’apprendimento, potenzialità, interessi, differenti rispetto a quelli che sono tipici della maggioranza...”4 Infatti: “L’impresa di portare un bambino dalla confusa espressione di alcune disposizioni e inclinazioni alla manifestazione di talenti e performance è un vero lavoro...”5 Purtroppo queste problematiche sono state compromesse da ideologie faziose e dogmatiche.6 Lo studio dei bambini con abilità musicali eccezionali si inserisce in una più vasta area di ricerche rivolte ai plusdotati e alla giftedness. Questi temi sono trattati dalla psicologia “differenziale”, chiamata a collaborare con quella dello sviluppo e dell’educazione. In genere, per “plusdotato” intendiamo chi manifesta efficienza del tutto insolita in una o più discipline e la “giftedness”, è il potenziale cognitivo e motivazionale per raggiungere l’eccellenza almeno in un’abilità (in italiano, “giftedness” si traduce con “superdotazione”). Per indicare soggetti di efficienza estrema incontriamo vari termini: in Italia sono usati appellativi come superdotato e bambino prodigio. In area anglosassone è stato coniato il primo termine ad hoc: gifted; il francese usa (sur)doué e il tedesco Hoch-begabte. Negli Stati Uniti, chi è caratterizzato da abilità eccezionali in un ambito particolare è detto Talented. Gli psicologi si sono dedicati ai bambini iperdotati soprattutto per due motivi: - lo studio della struttura intellettiva e dei processi cognitivi di persone particolarmente efficienti, ha alimentato le conoscenze sulle possibilità umane in genere; ciò può consentire di pianificare interventi educativi per tutti i soggetti: normali, iperdotati o con deficit;7 - sono stati approfonditi gli studi su intelligenza e personalità, così da ampliare sempre più i paradigmi sull’efficienza mentale, considerando: creatività, abilità pratiche, socialità e affettività. continua a pag 7 2 NUMERO 15 ARTICOLI Le triosonate originali per flauto diritto, flauto traverso e basso continuo: alcune considerazioni sui compositori e sulle opere della raccolta. (quarta e ultima parte) di Ottaviano Tenerani Joseph Bodin de Boismortier La storia di questo musicista è tra le più curiose e avventurose che si conoscano. Nativa dei sobborghi di Berry, la modesta famiglia dei Bodin (Boismortier era un soprannome) si stabilì a Thionville dove il padre del compositore, un ex ufficiale militare, divenne un pasticciere. E’ qui che il Nostro nacque il 23 dicembre 1689. Intorno al 1691 si spostò con la famiglia verso Metz, dove ricevette la sua formazione musicale da Joseph Valette de Montigny, e nel 1713 seguì il suo Maestro a Perpignan, nel cuore della campagna catalana, con un incarico di ispettore per il controllo reale del tabacco. Nel 1720 Boismortier sposò Marie Valette, una lontana nipote del suo insegnante e, pur mantenendo l’impiego amministrativo per 10 anni, ebbe modo di portare avanti contemporaneamente una propria attività musicale. Su raccomandazione del visconte d’Andrezel, ufficiale del Comissariato di Roussillon e futuro ambasciatore del Re a Constantinopoli, Boismortier riuscì ad entrare nell’ambiente culturale di Parigi, dove pubblicò i suoi primi libri di musica per duo di flauti e le sue prime cantate francesi. Queste edizioni rappresentarono l’inizio di una carriera prodigiosa. Nella sua produzione, infatti, al numero delle opere a stampa (102, tutte edite da egli stesso) vanno aggiunte arie serie, cantate francesi, piccoli motets, motets per grand choir, opera-ballets, un dizionario armonico oltre ad un manuale sul flauto e uno per la viola. Se a Boismortier compositore furono mosse talune critiche riguardo ad una sua certa “leggerezza creativa” (non si può non notare come quest’accusa sia stata lanciata ben di frequente e a più di un autore; d’altra parte B. guadagnava così bene in termini economici con il suo lavoro che qualche commento invidioso non apparirebbe strano), un’analisi più attenta rivela dati interessanti. Sicuramente egli seguì ed assecondò la moda ed i gusti del pubblico, ma questa constatazione è per noi in fondo una fonte documentaria sull’arte del suo tempo, quando, come ci dice il famoso teorico J.B.de la Borde “la musica era gradita per essere semplice e facile da ascoltare”. Inoltre questo seguire le tendenze non gli impedì di essere un autore all’avanguardia. Fu, per esempio, il primo compositore francese che adottò il nuovo stile d’importazione italiana sul modello vivaldiano in tre movimenti - veloce, lento, veloce, che usò per la prima volta quando scrisse i sei Concerti per cinque flauti senza basso del 1727. Travolto come altri dalla Querelle des Bouffons, lasciò la scena musicale verso il 1753, ritirandosi in una piccola proprietà, La Gâtinellerie, che possedeva a Roissy-en-Brie, dove concluse i suoi giorni all’età di 66 anni, il 28 ottobre 1734. Anche il suo nome, come quello di Telemann, è associato ad una “curiosità” da guinness dei primati in quanto il suo mottetto Fugit nox del 1742 (giudicato da critica e pubblico “un capolavoro di struttura e di insieme”) fu infatti eseguito per 21 anni consecutivi (1749/70) durante i Concerts spirituel del 24/25 Dicembre. Terzo brano della sua Opera XXI, il Concerto in sol maggiore - strutturato nella tipica forma tripartita all’italiana veloce, lento, veloce - fu presentato in vendita al pubblico nel 1728 in parti separate e con le diciture in italiano. Questa composizione porta nel titolo un’eventuale doppia destinazione per la voce superiore e cioè per “la Muzette o la Flut–a–bec” nel frontespizio generale della raccolta, detti poi “Zampogna o Flauto1°” sulla parte vera e propria. Anche a questo si deve probabilmente la particolare tessitura delle voci che per tutta l’opera si assesta prevalentemente nel registro medio degli strumenti. Il carattere un po’ agreste tipico dello strumento “anciuto” (la muzette così come la sordellina appartengono alla famiglia delle cornamuse, ad ancia doppia e bordoni a cameratura cilindrica e divennero strumenti di corte specialmente in Francia), si rivela poi in particolar modo nel secondo movimento, piccolo pezzo di carattere incorniciato tra i due tempi veloci modellati invece sulla chiara impronta della forma concerto, percorsa dai soli dei due strumenti che si alternano a sezioni di tutti. La differenza fondamentale tra i due tempi estremi sta principalmente nel fatto che nel primo allegro i ruoli del flauto diritto e del flauto traverso sono ben delineati e ancora un po’ legati all’estetica che vuole il primo più destinato agli affetti brillanti e il secondo a quelli cantabili e amorosi. Nel tempo finale, più disimpegnato, diritto e traverso si propongono invece con lo stesso tipo di figura di rapide volatine di semicrome dette ora insieme nei tutti, ora nei passi di solo, ora in ghirlande di contrappunti. Johann Friedrich Fasch Nacque a Buttelstaedt il 15 Aprile 1688. Al di là di alcune ipotesi sui suoi primi approcci in tenera età al canto e alla musica, le prime informazioni certe riguardo ai suoi studi musicali veri e propri si hanno quando nel 1701 lasciò Weissenfels per trasferirsi a Lipsia, dove divenne allievo dell’allora Kantor Johann Kuhnau alla Thomaschule. Nella stessa città portò a termine gli studi in legge all’università e secondo alcune fonti studiò anche teologia. Più tardi, sempre a Lipsia, fondò anche un Collegium Musicum che andò ad affiancarsi a quello lasciato da Telemann (pare evidente che la pratica di fondare un collegium musicum fosse tentazione irresistibile per gran parte dei compositori con una certa iniziativa di questo periodo) e fu poco dopo nominato organista dell’Università. Lasciò presto questi impegni per trasferirsi prima a Gera dove, presso la piccola corte, assunse il doppio incarico di musicista e segretario, poi a Zeitz con lo stesso ruolo. Infine si stabilì a Zerbst per assumere il ruolo di Hofkapellmeister. Il suo nome è legato anche all’episodio della successione a Kuhnau Novecentomusica Alban Berg (Vienna 1885-1935) Il jazz come stimolo per la musica contemporanea Nel lontano 1927 il quotidiano Ostpreußische Zeitung di Königsberg aprì un’inchiesta per raccogliere le opinioni di vari musicisti sul jazz. L’iniziativa nacque in seguito ad un’affermazione del compositore tedesco Hans Pfitzner (Mosca 1869 – Salisburgo 1949) che, rigorosamente attestato su posizioni tradizionali, oltre a combattere ogni forma di avanguardia musicale (in primis la dodecafonia di Schönberg), aveva indicato nel jazz “un pericolo per la cultura europea e in particolare per quella tedesca”.1 Alban Berg, compositore austriaco appartenente alla seconda Scuola di Vienna e di cui quest’anno cade il 70° anniversario dalla morte, invitato a dire la sua sull’argomento, così si espresse: “Se si ammette che il jazz è la musica da danza di oggi, che ha soppiantato quella precedente e che continuerà ad esistere finché a sua volta non sarà sostituita da un’altra musica da danza, le vostre tre domande trovano da sé la propria risposta, come segue: 1) “Opere e sinfonie jazz” non sono “creazioni del futuro”, come non ci sono mai state opere in valzer e sinfonie alla polka. Esiste però come Thomaskantor a Lipsia. Dopo la morte di Kuhnau infatti, e appena dopo il trasferimento del nostro a Zerbst, il suo nome fu incluso nella lista dei candidati al posto vacante assieme a quelli di Schott, Rolle, Lenck, Steindorff. Dapprima la sua candidatura cadde insieme con le altre non appena Telemann - il nome più ambito a cui il posto era stato offerto - fece cenno di accettare; ritiratosi poi quest’ultimo, Fasch fu di nuovo invitato dal Consiglio Comunale alla prova di ammissione al ruolo ma, come c’informa il compositore stesso nelle sue note autobiografiche, dopo appena otto settimane dal nuovo incarico a Zerbst, gli fu impossibile lasciare il suo “grazioso signore”. Com’è noto il posto fu infine assegnato a Bach . Come molti compositori suoi contemporanei Fasch è stato completamente dimenticato dopo la sua morte e la maggior parte dei suoi manoscritti è andata perduta. Se scorriamo gli elenchi della sua musica per la corte di Zerbst, di cui ci è pervenuta circa una decima parte, scopriamo che le cantate sacre ammontano a 700 circa; a queste vanno aggiunte messe, salmi e serenate e moltissima musica strumentale (circa 96 ouvertures, 78 concerti, 20 concerti grossi, 19 sinfonie e una trentina tra sonate e triosonate). L’ultima parte della sua vita fu purtroppo caratterizzata dalle difficoltà finanziarie. Fasch muore il 5 Dicembre 1758 a Zerbst; la figlia Johanna Friedericka si occupò di provvedere alle spese per il funerale. Come gran parte della sua musica la “Sonata à Flûte traverse, 2 Flûtes à bec e Cembalo” risulta molto curata. Scritta forse per i concerti da camera o per i concerti campestri della corte di Zerbst, è strutturata nella forma della sonata da chiesa in quattro tempi, con alternanza “lento, veloce, lento, veloce”. Diversamente da quanto avviene nel quartetto di Telemann, dove le voci sono spesso indipendenti e paritarie come ruolo, la distribuzione dei ruoli tra gli strumenti, chiara qui sin dall’inizio, si mantiene sostanzialmente immutata in tutti i movimenti ed è articolata in due blocchi che si muovono sul basso, uno rappresentato dal flauto traverso al quale sono affidate le esposizioni tematiche e il loro sviluppo principale, e l’altro dalla coppia di flauti dolci che muovendosi in prevalenza per figure omoritmiche e per intervallo di terza, rivestono un ruolo di sostegno e commento alle idee melodiche che di volta in volta si presentano. Questa distribuzione “gerarchica” tende a sciogliersi e a confondersi solo un po’ nel terzo tempo dove troviamo una ricorrente figura ritmica, croma puntata e due biscrome, che dà il carattere generale al movimento e passa attraverso tutte le voci creando un effetto di maggiore omogeneità, così come nel quarto tempo dove in un contesto sereno di danza l’andamento dei due flauti diritti si allontana dall’omoritmia per modellare e proporre, qua e là, brevi incisi tematici. IV - fine 2) “la possibilità di uno stimolo” per la musica seria contemporanea, com’è avvenuto in tutti i tempi: la musica da danza del momento esercita un influsso sulla musica seria. 3) “un pericolo per la nostra cultura musicale” non deriva dalla musica jazz in se stessa, ma può provenire da chi ne fa un cattivo uso – come avviene per tutti i mezzi artistici.”2 Riflettendo su queste prime considerazioni, viene da pensare che il jazz, agl’inizi del XX secolo, non abbia avuto un immediato riscontro in ambito culturale mitteleuropeo, tanto da essere relegato alla funzione di musica da danza e, probabilmente, destinato ad essere soppiantato - prima o poi - da altra musica da danza. Forse fu solo grazie allo strepitoso successo conseguito da “Johnny spielt auf” di Ernst Krenek (Vienna 1900 - …), rappresentata nel 1927 e definita “opera jazz” – in cui i personaggi Max, compositore intellettuale tra il tardoromantico e l’espressionista (in cui Krenek pare abbia voluto ritrarre se stesso da giovane o Webern) e Johnny, suonatore di jazz, simboleggiano il conflitto tra vecchio e nuovo mondo – che si cominciò ad intravedere nei nuovi ritmi e inusitati timbri strumentali, peculiari dello stile jazzistico, l’enorme ricchezza di possibilità che questi potevano aprire alla cosiddetta musica seria. Continua a pagina 3 ARTICOLI NUMERO 15 I materiali usati nella costruzione dei flauti traversi nel secolo XVIII; “risuonatore” mentre il foro d’insufflazione loro caratteristiche, influenze sul timbro degli strumenti e sulla letteratura. diventa il “generatore di suono”. La perfetta (Prima parte) di Marica Testi “…I flauti sono costruiti in prugno, ciliegio, ebano e altri legni facili da lavorare. In particolare tali legni sono scelti anche per la bellezza del colore e perché possono essere lucidati così da piacere all’occhio come all’orecchio attraverso il loro suono. I flauti sono inoltre costruiti in avorio, vetro, cristallo e perfino cera”. (M. Mersenne1 – Harmonicorum – 1648) Il XVIII secolo fu caratterizzato da un forte impulso dato alla ricerca riguardo alla costruzione di tutti gli strumenti musicali, e in maniera particolare di quelli a fiato. Fu un secolo pervaso dal piacere della scoperta e della sperimentazione - aspetti che determinarono alla fine una notevole evoluzione delle tecniche costruttive – e certamente uno tra i periodi più ricchi e significativi per l’evoluzione del flauto traverso e della sua letteratura. Possiamo oggi notare come - tra le altre cose - fu sperimentato l’uso di materiali tra i più diversi e spesso “fantasiosi” a seguito di un gusto estetico e di esigenze di funzionalità in continua trasformazione. Ogni strumento, oltre a suonare (e suonare bene!), doveva avere determinate caratteristiche: alcune si sono modificate col tempo, influenzate appunto dal gusto e dalla moda, altre sono rimaste inalterate e per questo sono state oggetto di studio e lavoro per intere generazioni di costruttori nel corso dei secoli. Allo strumento si chiedeva di:durare a lungo; mantenere la forma e le dimensioni della cameratura nonostante le influenze esterne di temperatura e umidità a cui era soggetto; mantenere le caratteristiche d’intonazione e qualità del suono nonostante l’uso e il tempo; anzi, l’uso e il tempo dovevano semmai esaltarne i pregi e minimizzarne i difetti; in ultimo (ma da non sottovalutare visto che spesso questi strumenti giravano in mano di nobili se non di re ed erano ammirati nelle più belle corti europee) doveva essere bello e mantenere un buon aspetto nel tempo. E’ facile capire come queste caratteristiche dipendessero non solo dalle misure, dalla forma della cameratura, dall’abilità e genialità del costruttore ma anche dalla qualità dei materiali usati e soprattutto dalle caratteristiche tecnologiche e fisiologiche di questi. Caratteristiche fisiologiche Peso Specifico - Rapporto tra la densità di una sostanza data e quella di una sostanza campione che generalmente - per convenzione - è l’acqua a 4°c. Densità - Dipende dalla compattezza delle fibre e dalle dimensioni dei vasi; più piccoli sono i vasi e compatte le fibre, più densa sarà la massa del materiale. Porosità - Esprime la percentuale del volume di aria nelle cavità. E’ una qualità inversamente proporzionale alla densità. I materiali molto porosi non si lucidano a specchio (non sono cioè suscettibili di perfetto pulimento) e soprattutto subiscono un notevole movimento di ritiro e dilatazione (dovuto ad un elevato potere igroscopico). Questo movimento può far alzare l‘intonazione dello strumento fino a 20 cent. Permeabilità - E’ la caratteristica più importante ed ha una grande influenza sulla stabilità e sulle qualità acustiche dello strumento. La differenza di temperatura tra l’aria esterna e quella insufflata dal flautista provoca la condensazione del vapore acqueo e la conseguente formazione di gocce all’interno del tubo. La permeabilità di certi materiali da un lato facilita l’eliminazione delle gocce per assorbimento, dall’altro può far gonfiare e deformare le pareti alterandone i rapporti dimensionali a causa del conseguente aumento di umidità nel materiale stesso. Gli effetti della permeabilità (che è in stretto legame con la porosità) si riflettono sul suono.“…La forza e la chiarezza della sonorità dipendono dalla qualità del legno che deve essere compatto, duro e pesante. Un suono duro e mascolino dipende dalla larghezza della cavità interna del flauto e dal proporzionale spessore del legno. Un suono debole e minuto deriva invece da caratteristiche opposte: legno poroso, leggero e sottile, cavità centrale stretta…” (J.J.Quantz2 – Saggio di un metodo per suonare il flauto traverso – 1752) Indeformabilità - E’ una caratteristica legata all’igroscopia. Il legno tende a deformarsi per l’effetto dell’assorbimento dell’umidità. I flauti di legno sono tutti più o meno deformabili. Molti strumenti storici ritrovati hanno infatti una caratteristica forma a “banana”. Igroscopia - E’ il potere di assorbire ed espellere l’umidità. Il legno è generalmente un materiale molto igroscopico e tende a mantenere un certo equilibrio di umidità con l’esterno. Nel legno l’igroscopia, più che da specie a specie, varia da albero ad albero a seconda di dove questo è cresciuto (in ambiente secco oppure umido) e può essere più o meno intensa in relazione alla parte del tronco da cui si ricava il tassello (il durame che è la parte più interna del tronco, è generalmente quella meno assorbente). Insieme alla permeabilità è, questa, un’altra caratteristica che sta alla base dei movimenti di ritiro e dilatazione. Caratteristiche tecnologiche Flessibilità - E’ la capacità che ha il materiale di partecipare alle vibrazioni indotte dal generatore. Questa capacità è direttamente proporzionale al giusto rapporto tra cameratura dello strumento e spessore del legno. Levigabilità o grado di pulimento - Qualità connessa con la densità e la porosità, grazie a cui si possono ottenere superfici perfettamente levigate che mettono in risalto i capricci della vena e la bellezza dei colori (legno, avorio), oppure la brillantezza e la perfezione delle forme (vetro, porcellana), per un migliore risultato estetico. Questa caratteristica ha una grande influenza anche sulla qualità d’attacco delle note. In uno strumento ad imboccatura naturale il suono è prodotto da una serie di vortici e vibrazioni, il tubo funziona da Novecentomusica Alban Berg (Vienna 1885-1935) Il jazz come stimolo per la musica contemporanea Segue da pagina 2 Tuttavia, esistono fonti ancora più addietro che testimoniano l’interessamento di Berg per il jazz. Già nel 1921 assistiamo ad uno scambio epistolare tra Berg ed Erwin Schulhoff (Praga 1894 – campo di concentramento di Wülzburg, Baviera, 1942). Quest’ultimo, appassionato di jazz, scriveva: “Se Bach e i suoi contemporanei, come pure Mozart, Brahms, Schubert ecc. scrivevano e amavano le danze del loro tempo, perché non posso amarle e scriverle anch’io?”. La risposta di Berg fu: “Non ho una gran simpatia per le forme di danza, anche se non posso sottrarmi ai suoi argomenti (Mozart, Brahms, Schubert). Tuttavia, i ritmi di queste danze, anche i complicatissimi ritmi dei neri, levigazione e la conseguente sensibilità allo spigolo dell’imboccatura diventano quindi fondamentali sia per un’articolazione chiara e precisa sia per l’attivazione delle armoniche componenti il suono. Questo potrebbe spiegare il suono scuro e dolce del legno di bosso e la vena incisiva e brillante dell’ebano e dei materiali a struttura compatta ma fragile. I legnami che erano comunemente utilizzati si dividono tra specie indigene europee (bosso, olivo, legni dolci) e specie esotiche (ebano, cocco, grenadiglio). Legni indigeni Bosso - E’ originario dell’oriente ma cresce un po’ ovunque. Denso e omogeneo, è il più duro e compatto tra le essenze indigene. Il suo peso specifico è 1,25. Riceve splendido pulimento ed ha una discreta levigabilità. Assorbe troppa umidità e tende a muoversi, a deformarsi e a variare d’intonazione a causa della sua elevata igroscopia. Produce un suono caldo, profondo, dolce e flessibile e fu il legno più usato nella prima metà del ‘700 (soprattutto in Francia dove si prediligeva il flauto come strumento che incarnava le caratteristiche di cantabilità, morbidezza ed espressività e restituiva gli affetti tristi, malinconici, amorosi e tragici in contrapposizione al carattere brillante e virtuosistico affidato al suono del violino). Rimase comunque molto usato per tutto il secolo. Questo legno ha un bell’aspetto e un colore chiaro che però tende a macchiarsi. Olivo - Originario dell’Asia e delle regioni mediterranee, è un legno compatto, omogeneo, indeformabile, ma se mal stagionato tende a spaccarsi. Secondo Tromlitz3 questa sua compattezza lo rendeva poco elastico e poco flessibile. E’ un legno molto bello. Ciliegio, Pero e alberi da frutto - Crescono un po’ in tutta Europa, hanno un peso specifico intorno allo 0,8 e sono mediamente duri. Piuttosto omogenei e ben levigabili sono però troppo igroscopici e si muovono molto, imbarcandosi e ritirandosi. Il pero in particolare è spesso sottoposto a rottura. Sono legni usati soprattutto per strumenti poco pregiati e di tipo militare. continua (Footnotes) 1 Marin Marsenne (1588 – 1648). Teorico francese condiscepolo di Cartesio. Coltivò la matematica come la musica e basò la sua teoria musicale sulla fisica acustica. 2 Johann Joachim Quantz (1697 – 1773). Talento eccezionale, prima di affermarsi come il più grande virtuoso di flauto sino ad allora esistito, aveva imparato a suonare quasi tutti gli strumenti. Autore di centinaia di composizioni dedicate allo strumento, fu teorico, costruttore di flauti e insegnante personale di Federico II di Prussia. 3 Johann Gorge Tromlitz (1726 – 1805). Flautista e costruttore. Gli viene attribuita l’invenzione della chiave lunga di fa. sono uniformi (…) e miseri in confronto ai nostri ritmi”. Fu nel corso degli anni Venti che Berg modificò la sua posizione sulle forme di danza di tradizione extraeuropea (ecco un modo in cui potremmo oggi definire il jazz: “musica colta extraeuropea”, al posto della più tediosa locuzione “musica extracolta”!), tanto da inserire un “Tempo di Tango” stilizzato nell’aria “Der Wein” e impiegare una jazzband nella terza scena del primo atto di “Lulu”. Paolo De Felice Da Gesammelte Schriften - 1926 Citazione tratta dall’articolo “Jazz-Rundfrage” Ostpreußische Zeitung del 22.9.1927 1 2 del quotidiano 3 4 NUMERO 15 ARTICOLI E RECENSIONI Recensione - CD Genesis Project spesso avara nei confronti di questo strumento. La musica presentata in questo cd è anche utile perché ci ricorda che il rock può andare Spesso, quando pensiamo al oltre la semplicità con cui siamo abituati ad immaginarcelo (forma rock di trent’anni fa, cioè a quello strofa-ritornello oppure chorus-bridge, melodia diatonica, metro in 4/4, degli anni ‘70, ce lo immaginiamo ecc.) ed attirare così anche l’interesse di musicisti di diversa estrazione come qualcosa di estremamente come Bocini e Cavicchi. Nella musica dei Genesis, così come in quella complesso e ricercato, quasi di tanti altri gruppi degli anni ‘70, un aspetto ritenuto essenziale era cervellotico, ma soprattutto come l’eclettismo, la mescolanza cioè di stili e influenze diversi, la cui più una musica traboccante di strumenti naturale conseguenza era la costruzione di brani lunghi e articolati, l’uso elettrici ed elettronici: chitarre e di un’armonia solo a tratti funzionale e l’impiego di una grande quantità bassi elettrici, organo Hammond, di ritmi. Tutti questi aspetti vengono messi in grande risalto nelle varie sintetizzatore Moog, piano elettrico, composizioni di The Cryme of Selling Lambs, e una in particolare, Firth Of mellotron. Tutti questi strumenti, ma Fifth, li contiene tutti: ritmica additiva nell’ouverture (eseguita dal solo anche altri, furono largamente usati pianoforte), successioni armoniche non ortodosse secondo le “regole” nel cosiddetto rock progressivo, dell’armonia tonale, durata totale superiore agli 11’ per un brano diviso di cui i Genesis di Peter Gabriel e in più sezioni. L’unica differenza con l’originale è l’inserimento di un Phil Collins divennero una delle più intermezzo jazzistico. Metri irregolari e poliritmia possono anche essere importanti formazioni. Abbandonando però la logica che aveva visto ascoltati, rispettivamente, in Back in N. Y. C. (quasi interamente in 7/8) nascere le più ispirate composizioni di quel gruppo, il “Genesis Project” di e Riding the scree. Alberto Bocini, Alessandro Cavicchi e Andrea Baggio ha coraggiosamente Tutte le tracce del cd contengono anche alcune brevi parti vocali curate deciso di rileggere in chiave cameristica parte di quel materiale, da Andrea Baggio con l’ausilio del computer, e inserite, come recitano le arrangiando di conseguenza i note di copertina, “sia per il ‘suono’ brani originali per poterli adattare delle singole parole che per la loro Genesis Project: The Cryme of Selling Lamb – after ad un nuovo e atipico contesto: capacità evocativa”. Si tratta di il duo contrabbasso-pianoforte. Genesis versi estrapolati dai testi originali e Il risultato dell’esperimento Alberto Bocini – contrabbasso; Alessandro Cavicchi – pianoforte; riportati senza alcuna modifica. può essere ascoltato nel cd The Andrea Baggio – electronic voice. Il cd, già di per sé molto Cryme of Selling Lambs – after Teatro Guido Monaco, Prato; Auditorium Villa S. Lorenzo al Prato, interessante, ha anche due Genesis, registrato nei mesi di Sesto Fiorentino. appendici multimediali che rendono dicembre 2003 e marzo 2004. N.B.B. Records (NBB 13 2004) l’opera, se così si può dire, ancor più Ciò che emerge dall’ascolto di completa. Una è la versione mp3 di questa antologia (20 tracce: 11 un brano composto da Alessandro + 3 “reprise” da The Lamb Lies Cavicchi ed intitolato The Way Genesis Were, nel quale vengono Down On Broadway del 1974, 5 da Nursery Cryme del 1971 e 1 da mantenute tutte le atmosfere sognanti delle precedenti esecuzioni e Selling England by the Pound del 1973) è in primo luogo il rispettoso dove si approfitta dei quasi 6 minuti di musica per altre 3 citazioni rigore filologico con il quale le vecchie registrazioni dei Genesis sono esplicite dal repertorio classico dei Genesis. Il secondo allegato è un state trattate, solo qua e là modificate da inserti jazz o da piccole video nel quale Cavicchi racconta la passione (nata nel lontano 1972) variazioni ritmiche e melodiche che non ne intaccano nella sostanza per la musica dei Genesis, e in cui spiega anche, brevemente, i criteri l’impianto originario. L’abilità di Bocini al contrabbasso e di Cavicchi al utilizzati per gli arrangiamenti: tonalità, variazioni, improvvisazioni, pianoforte, nonché l’inatteso scenario cameristico, ha però contribuito, ecc. pur nel rispetto delle fonti, a rendere la loro proposta particolarmente Insomma, dopo l’ascolto (e la visione) di questo originale lavoro si suggestiva e stimolante. In generale tutte le parti che nella versione dei possono ottenere due risultati ugualmente preziosi: conoscere la vecchi lp dei Genesis sono affidate alla voce, al flauto o all’organo, cioè musica dei Genesis e scoprire quanto possa essere affascinante una un po’ tutte le melodie, nella rielaborazione del “Genesis Project” sono sua rilettura acustica. Soprattutto se gli interpreti sono così bravi. di competenza del contrabbasso di Alberto Bocini, il quale si disimpegna Enzo Alfano sempre con grande destrezza concedendosi pure numerosi virtuosismi [email protected] di cui la tradizione classica (ma non quella jazzistica) è, purtroppo, Un anno di attività dell’Istituto Musicale Mascagni In una conferenza stampa tenutasi il 20 luglio presso l’Istituto, il direttore M° Agostini, il presidente Danesin e gli assessori alla cultura della Provincia e del comune di Livorno hanno illustrato le attività e i risultati della prestigiosa istituzione: “un anno particolarmente denso di attività…Grazie al costante impegno economico profuso dai 2 enti consorziati (il Comune e la Provincia di Livorno), a cui è andata a unirsi la Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno, l’Istituto ha potuto mantener fede alla sua vocazione di promotore tout-court della cultura musicale… Sul versante didattico, accanto all’attività ordinaria, ai corsi paralleli, di propedeutica e per adulti, i corsi sperimentali di diploma di I e II livello previsti dalla legge 508, attivati con l’approvazione del M.I.U.R., e quelli nell’ambito della convenzione con l’I.S.I.S “Niccolini-Palli”. Ricco e articolato il quadro delle attività di produzione: i tradizionali appuntamenti di Natale (a Portoferraio e al Teatro Goldoni) e Pasqua (Santuario di Montenero, programma interamente dedicato a Bach), e, per la prima volta, una vera e propria rassegna musicale, “Musica per la Città 2005”, per un totale di oltre 20 concerti e appuntamenti, mostre, presentazioni di libri”. A questi settori quest’anno si è affiancato quello della ricerca storico-musicologica con un’ iniziativa editoriale finalizzata alla pubblicazione, in prima edizione critica, di 2 libretti di Giovanni De Gamerra: un importante tassello aggiunto all’opera di studio e valorizzazione del ‘700 livornese (“Poeti e musicisti livornesi tra XVIII e XIX secolo”). Il 2005 ha visto anche il completamento di importanti opere di restauro, culminate nell’apertura al pubblico, lo scorso 12 maggio, del nuovo Auditorium; inoltre, il rinnovo completo degli arredi, il potenziamento della dotazione libraria e delle apparecchiature informatiche della biblioteca e l’ampliamento del parco strumenti. Un altro elemento sul quale merita porre l’accento consiste nell’attenzione crescente dimostrata dall’Istituto nei confronti delle realtà scolastiche degli altri paesi, attenzione che ha dato luogo all’attivazione di alcuni progetti a carattere internazionale. Lo scorso 10 giugno sono state ricevute due delegazioni straniere: la prima proveniente dal villaggio socio-educativosanitario di Fortaleza in Brasile, villaggio fondato dal compianto Don Nesi, la seconda dalla Wichita State University negli U.S.A. I dati diffusi: finanziamento tra Provincia e Comune: 1.800.000 € annui; di questi, il 78% (i 4/5) viene speso per il personale docente e non: circa 40 docenti, una decina di collaboratori tra docenti per corsi speciali e personale (“ridotto al minimo, e servirebbe molto più personale”); un attivo di 150.000 €, avanzo in parte ereditato dal passato bilancio e incrementato (le parole d’ordine, controllo, efficienza, oculatezza, correttezza); fra corsi ordinari (circa 300 allievi), corsi superiori (Circa 30), paralleli (circa 50), propedeutici (circa 60), cori (circa 50), un totale di circa 500 allievi raggiunti dalle varie attività; 52 anni di vita; secondo Agostini, “non un conservatorio all’antica, basato sull’addestramento, ma un centro di produzione di cultura musicale in progresso continuo, con una forte azione sociale, una grande ricaduta sulla città”. E ciliegina sulla torta: visti gli avanzi di bilancio, l’amministrazione ha rimborsato 100 – 150 € agli allievi dei corsi superiori: un vero segnale inequivocabilmente in controtendenza. Fra gli allievi appena diplomati con 10 (362 domande d’esame di cui 164 interne, 20 diplomati), il contrabbassista Marco Martelli (lode), il trombettista Nicola Martelli, il percussionista Giacomo Riggi (lode) (già noto come polistrumentista dal talento eccezionale: trio e sestetto Formica, EST-Ensemble Solisti Toscani, Orch. Jazz Gruppone, collabora già con Orchestra Regionale Toscana, compositore promettente ecc.) il cornista Giovanni Sbolci (lode; animatore della Nuova Orchestra Labronica, v. Continuum sett.-ott.2003). L’eccellenza: istituzioni decise e chiare; direzione artistica e didattica competente e attiva; efficienza della struttura a tutti i livelli: e i risultati ci sono. Non è impossibile. I pisani stanno a guardare. Andrea Pellegrini GLI SPECIALI DI CONTINUUM Gli speciali di Continuum: Compositori Livornesi del ‘900 (Continua dalla prima pagina) Nel 1936, ispirandosi al romanzo di Victor Hugo “Notre Dame de Paris”, iniziò la composizione dell’opera lirica “Esmeralda” della quale fu anche autore del libretto; dovette aspettare fino al 1946 perché venisse eseguita al Teatro Goldoni di Livorno, riaperto con questa rappresentazione, l’unico rimasto in piedi dopo gli eventi bellici, restituito dagli americani a Cesare Gragnani. Già nel 1938, comunque, il M° Emilio Gragnani presentava al Goldoni 2 brani significativi dell’Opera: il Preludio del 2° atto e l’Interludio del 4° atto, avvalendosi dell’Orchestra Labronica, creata con il preciso scopo di attuare una vasta azione di diffusione della musica sinfonica nella provincia, l’orchestra che poi darà vita all’Istituto Mascagni nel 1953. Le rappresentazioni del 1946, che ebbero grande successo, presentarono un cast d’eccezione: il tenore Mario Del Monaco, il soprano Liliana Cecchi, il baritono Giovanni Inghilleri, il basso Carlo Badioli, il contralto Aurora Buades. La direzione fu affidata al M° Emilio Tieri, Lido Nistri guidò l’Unione Corale “P.Mascagni”, la regia fu affidata a Ugo Bassi, le scene furono della “Sormani” di Milano e i costumi Le Composizioni del M° Sirio Santucci Numerose e di vario genere sono le composizioni a cui Santucci si dedicò; di queste solo una parte si è salvata dai bombardamenti che colpirono Livorno nella II Guerra Mondiale. Oltre all’opera lirica “Esmeralda” ispirata a “Notre Dame de Paris” di Victor Hugo e al libretto per l’opera “Heathcliff” ispirata a “Cime tempestose” di Emily Bronte, rimangono: - una serie di arie per canto e pianoforte, di alcune delle quali esiste anche una trascrizione per piccola orchestra: “Angelo cieco”, “Marisa”, “Straccetto”, “Serenata Castigliana”, “Prima che fugga”, “Malika”; - alcune composizioni per pianoforte: “ ‘A Serenata”, “Dimmi perché”, “Milady”, “Fascino”, “Frecce nere”, “Habanera”, “Natale in Siberia”, “Sciando, valzer”, “Simba”, “Prima che fugga”; - una serie di composizioni per orchestra delle quali abbiamo parti incomplete, ad eccezione di “Serenata toscana” scritta per piccola orchestra a plettro. Queste composizioni sono di taglio breve, armonicamente non impegnative, utilizzano spesso il tempo del valzer. Quando è presente il testo, come nel caso delle arie, si tratta evidentemente di composizioni nate per il genere di spettacoli in voga in quegli anni, come il “varietà”, che trovavano spazio nei vari teatri cittadini. La parte più importante e completa della produzione del M° Santucci rimane dunque l’opera “Esmeralda”, l’unica che ci permette di capire fino in fondo questo compositore. Egli stesso la definì “la sua creatura” e ne fu così geloso da rifiutare l’offerta di pubblicazione da parte di una importante casa editoriale di Milano. L’opera, in 4 Atti con altrettanti Quadri, si priva dell’usuale Sinfonia d’apertura per immergersi immediatamente nel pesante clima di sarcastico scherno che la folla parigina tributa a Quasimodo, campanaro deforme di Notre Dame, colpevole di aver cercato di rapire Esmeralda, la bella zingara. Il Quadro si apre infatti sulla Piazza di Greve a Parigi, sul calar della sera, con Quasimodo esposto alla berlina sulla ruota della gogna, davanti ad una folla che con risa e scherno risponde ai gemiti dolorosi del miserabile. Questo clima è evidenziato dalla scelta di un ritmo in Tempo di Valzer (coro: “Perverso, malvagio, alla gogna…”) che impegna un coro misto a 4 voci (S.A.T.B.) il quale farà da cornice drammatica a tutto il 1° atto. A questo proposito bisogna evidenziare subito l’ampissima utilizzazione delle masse corali che sono protagoniste assolute nel 1° e NUMERO 15 della “Casa d’arte Cerratelli” di Firenze. Applauditissimo, Mario del Monaco, rimase legato da profonda amicizia al M° Santucci. Nonostante la sua invalidità, Santucci amava viaggiare pur rimanendo profondamente legato alla sua città. Fu amico di musicisti, cantanti e pittori labronici. Grande ammiratore e amico di Mascagni, dopo la sua morte si prodigò affinché le opere del noto compositore concittadino venissero valorizzate e rappresentate nei teatri italiani. A questo proposito nacque una diatriba con il celebre tenore Lauri Volpi il quale sosteneva la difficoltà di cantare le opere di Mascagni. Conosciuto come compositore, Santucci fu anche stimato come insegnante alla cui scuola si diplomarono futuri insegnanti di Conservatorio. Negli anni, si dedicò alla revisione di “Esmeralda”, progettando di riproporla al pubblico in una nuova edizione. Nel frattempo si apprestava a comporre una nuova opera lirica ispirata al romanzo di Emily Bronte “Cime tempestose”, quando improvvisamente morì nel 1959. Nessuno dei 3 figli del maestro ha studiato musica. L’unica della famiglia che ha raccolto l’eredità del nonno Sirio è la nipote Scilla Lenzi, pianista e insegnante, figlia di Romano e Marisa Santucci. I figli e la nipote si occupano da anni della divulgazione e promozione dell’opera “Esmeralda” incoraggiati dalle parole che Mario Del Monaco scrisse da Bruxelles il 25-11-72 in una lettera inviata a Marisa Santucci: “Nel 1946 ho cantato sotto la direzione del M° Tieri l’opera “Esmeralda” del compianto M° Sirio Santucci; opera che ritengo molto valida sia sul piano melodico che scenico e che in quell’occasione ebbe un vivo e caldo successo. A mio avviso riproporre questo lavoro sarebbe utile sul piano culturale per far conoscere alle nuove generazioni questo compositore di autorevole valore”. L’opera “Esmeralda” e il suo autore sono citati tra l’altro in “L’opera lirica a Livorno” di Fulvio Venturi, ed. A.d.O., e “Mario del Monaco” di Elisabetta Romagnolo, ed. Azzali. Andrea Pellegrini [email protected] 3° atto, con una disinvoltura drammatica, una ricchezza armonica e melodica che non hanno niente da invidiare ai grandi operisti italiani dell’800 e sono un riflesso maturato dell’esperienza della Giovane Scuola del Verismo italiano. Nell’Atto 3° abbiamo infatti la complessa ripartizione dei ruoli delle masse corali (Grande folla – SATB, Soldati –TTB, Il Clero –SATB) che da sola costituisce uno dei più grandi affreschi lirico-corali del ‘900, mentre nel 2° Atto , proprio per contrastare il tragico clima dell’orrenda prigione in cui Esmeralda è rinchiusa, come una ventata di speranza si odono fresche melodie di giovani popolane che inneggiano alla natura ( “Come bello è il mattino quando è la primavera….). La fondamentale presenza del coro contrappunta, con raro senso dei tempi e dei ritmi drammatici, l’avvicendarsi degli interpreti principali. La prima vera “Aria” (Quasimodo: “Cuor di sposa o di mamma….”) si trova solo dopo che sono stati presentati, oltre alla folla, personaggi minori come Robertello, giovane studente (“L’orrido scimmione…”), una vecchia ( “Tutte le notti odo…”), Gianni del Mulino (“Che smorfie patetiche…”), uno della folla (“Ed alla gatta del mio vicino…”), il tormentatore (“Via tutti, s’allontani la folla!”). Tutte figure secondarie che, come corollario di questo grande affresco, alimentano la tensione drammatica esasperata dall’entrata in scena di Gudula ( “Ah, ladre di fanciulle…”), personaggio chiave del 1° atto che esprime accenti di odio disperato nei confronti delle zingare che le rapirono la neonata figlia, tali da commuoverci proprio per la forza musicale impressa in quelle grida di madre, così vere. E sempre a conforto del senso del ritmo drammatico del M° Santucci, è interessante evidenziare come bene si adatta il duetto d’amore tra Esmeralda e Febo (“In questa fontanella tante volte ho sognato…”) proprio nel senso di squarcio lirico-amoroso che sospende per alcuni minuti la tensione drammatica e musicale che pulsa per l’intero 1° Atto e che si conclude con la scelta del tempo di Valzer da parte del coro (“A morte la zingara..”) già esposto all’inizio d’atto. Se il M° Santucci si priva della Sinfonia d’apertura, non sottovaluta la possibilità di descrivere l’inizio del 2° Atto con un breve e stupendo Preludio sinfonico, che ci introduce in un’orrida prigione del Palazzo di Giustizia prima del sorgere del sole, anticipando il monologo di Esmeralda (“E’ il mattino e l’ultimo per me”). E’ molto parsimonioso il M° Santucci nell’usare Scilla Lenzi, pianista, si è esibita per la prima volta in pubblico all’età di dieci anni. Si è diplomata brillantemente in Pianoforte e successivamente in Didattica della Musica. Si è perfezionata con Muriel Chemin (continuum 0/4) e i MM.i Paul Badura-Skoda, Andor Foldes e Paolo Bordoni. Come solista si è esibita nelle maggiori città italiane e all’estero (Festival Pucciniano di Torre Del Lago, Per “Wonders and Dream Women’s Internationel Awards” al Teatro Nuovo di Milano, Estate Fiesolana ecc.). Ha registrato per Rai Radio 3 Suite (Mozart, Chopin, Liszt, Debussy); per Kicco Classic “Carmina Burana” di C.Orff e l’opera lirica “Gloria“ di Cilea (Festival di San Gimignano). Ha inciso una selezione di arie per Soprano e Tenore con pianoforte dall’opera lirica “Esmeralda” di Sirio Santucci. Ha fondato il Trio “Les Femmes” con il quale ha partecipato alla trasmissione di Rai 1 “Il porto del cuore”. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra i quali la nomination dalla società “Wonders & Dreams” di Londra. Ha collaborato con l’Ist. M. P. “P.Mascagni” di Livorno in qualità di operatrice musicale e collaboratrice alla pubblicazione “L’educazione musicale nelle scuole elementari di Livorno”. Ha collaborato alla realizzazione dello spettacolo “L’Arca di Noè” di Britten al teatro La Gran Guardia di Livorno. Insegna in varie Scuole della zona pisana. l’orchestra da sola, come momento enfaticonarrativo, poiché giustamente l’opera incalza nei suoi ritmi drammatici: ed è per questo che troveremo soltanto un altro commento orchestrale nell’Atto 4°, laddove Esmeralda , dopo un bellissimo duetto d’amore con Febo (“Soave incanto…”), al crepuscolo guarda soggiogata Parigi dalla più alta loggia di Notre Dame: qui, nel breve Interludio sinfonico, si insinua lieve e sommessa un’ispirata melodia ternaria e struggente. In questo gioco di ritmi teatrali, così bene inseriti, non si può far a meno di apprezzare il senso drammatico del 4° Atto, in cui troviamo ben 4 Arie, 3 Duetti e l’Interludio sinfonico che si colloca proprio a metà dell’Atto e che sembra suggellare il legame di Esmeralda con la sua Parigi e che quindi suona come uno struggente commiato dalla vita, prima della realizzazione di quell’inquietante destino che la vuole separare dalla felicità e dalla vita. Scilla Lenzi [email protected] 5 6 NUMERO 15 INTERVISTE Le interviste di Continuum Nino Pellegrini: espressione, regolarità, e lasciare spazio (Segue dalla prima pagina) DP: E un buon bassista cosa chiede agli altri musicisti? di rottura. Prima del BeBop il jazz era una musica prevalentemente da NP: Io fondamentalmente chiedo 2 cose al batterista. Innanzitutto che ballo, suonata dalle orchestre swing: qualcuno pensa che se fosse nato controlli il volume (ride) e che stia attento alla velocità. Vedi, quando oggi Parker potrebbe comporre qualcosa nei linguaggi dei giorni nostri, suono spesso cerco di essere avanti sul tempo ed è importante che il come il rap. Personalmente credo che avrebbe comunque fatto Bop, batterista riesca a stare indietro, altrimenti si rischia di accelerare. Per perché è un linguaggio vivo, con cui si possono dire ancora tante cose. esempio mi trovo benissimo con Angelo Ferrua. Amo i batteristi che Ho fatto delle cose con Tamburini e con Bosso che mi sono sembrate hanno tanto swing. meravigliose. Il bop che suonano loro è proprio vitale, fresco. DP: Parliamo un po’ del jazz. Hai iniziato a studiarlo a Siena. Hai iniziato DP: Cosa ci dici della scena italiana? lì ad apprezzarlo? NP: Onestamente non ne ho un’idea precisa. Quello che caratterizza NP: No, in realtà ho sempre ascoltato jazz. Fin da ragazzo. Nella mia i jazzisti italiani è la loro grande preparazione: hanno tutti studiato vita ho ascoltato molto Battisti, i Beatles e tanto jazz. Mio padre era moltissimo e nel loro genere sono bravissimi. L’altra caratteristica positiva un pianista per diletto con una grande passione per il jazz; sia io che è che qui da noi la musica è vissuta ancora con molto amore e non se ne mio fratello ascoltavamo un sacco gli LP che errano in casa. In quegli è persa la dimensione sociale. Ti faccio un esempio. L’altra sera sono stato LP, che ho ancora (se non me li ha presi Andrea...) c’era un sacco di al compleanno di Nico Gori: c’erano un sacco di musicisti tra i migliori della jazz tradizionale. Per tradizionale non intendo il dixieland ma il jazz delle scena italiana. Dopo cena ci siamo messi a suonare, abbiamo fatto una grandi orchestre swing e Ella Fritzgerald. Se potessi campare suonando in jam, senza pubblico. O meglio, il pubblico erano i musicisti che aspettavano big band sarei un bassista felice. di fare un pezzo. Nico ha suonato concentratissimo, dando il massimo. Ha DP: Dacci la tua definizione di jazz. suonato come se fosse alla Carnegie Hall, invece eravamo a una jam tra NP: Fondamentalmente è una musica che ti permette di esprimerti su tanti amici. Ha suonato così bene, così intensamente, per l’amore verso la livelli. Molti dei pezzi che chiamiamo standard nascono da una tradizione musica, per la voglia di suonare bene perché la musica lo merita. Penso che di intrattenimento teatrale; suonandoli con un approccio jazz possono questo tipo di dimensione altrove si sia un po’ persa, mentre qui in Italia essere vissuti a dimensioni differenti. E’ possibile dire tantissime cose con è ancora ben presente. Talvolta c’è anche un po’ di competizione: nella uno standard, così come musica non dovrebbe è possibile suonarlo in avere posto, non è come Nino Pellegrini modo semplice. É questa incisioni: con Paolo Fresu & Iridescente Ensemble nello sport: la musica multidimensionalità che di Claudio Riggio, “Things Left Behind” - Symphonia non è competizione, è mi piace molto nel jazz. É Bluesmiles 1998, Studio Tibor Varga, Sion (CH), comunicazione. importante conoscere bene distrib. Harmonia Mundi; Ainulindalë Ensemble, DP: Mentre suoni sei la melodia dei pezzi, anche Andrea Pellegrini, Paul McCandless, “Middle Earth” attento alle reazioni per un contrabbassista. - Symphonia Bluesmiles 2000, distrib. Sound and del pubblico? Quanto Anni fa c’era un approccio, Music, Harmonia Mundi; “Disordini Al Confine” - Orch. influisce sulla musica che non condivido, Atipica Jazz Bonamici Group_One, Nuovo Jazz Italiano che fai? secondo cui a un bassista 2002, Materiali Sonori (www.matson.it); Tra Il Platano NP: Il pubblico mi dà bastava saper leggere E Il Tiglio, Enzo Nannipieri, Musicultura, 1994; Gesti molti stimoli. Io suono le sigle. Ricordo un film – Stefano Battaglia, Theatrum, Splash 1998; Rito molto per il pubblico, ambientato a Parigi, dove Stagionale - S. Battaglia, Theatrum, Splash 1998; perché intendo la musica sono stato a suonare comunicazione. Neverland - John Wager, Galileo Music, New York, come pochi giorni fa, in cui un 1998; Originaria - S. Battaglia, Theatrum, Symphonia Se il pubblico è attento sassofonista dice di non Odissey 2000; Zorongo - Etnoclassic, EMA Records e apprezza quello che conoscere bene un pezzo ricevo molta 2001; George Brassens A Livorno - Pardo Fornaciari, faccio perché non ne ricorda Spazi Sonori. Livorno 2002, Small Day Tomorrow - energia, mi aiuta a le parole. Secondo me meglio. Mi Michela Lombardi Quintet, Philology 2003; Da Un Posto suonare quello è lo spirito giusto. Lontano - Acquaforte, Spazi Sonori. Livorno 2004; innervosisco facilmente Anche per accompagnare “Italia-Inghilterra 2-2” - Mike Wilson Quartet, Spazi quando non c’è ascolto: Foto di Luca Buti bisogna conoscere bene Sonori 2002, doppio CD; Per Rufina Amaya - InterNos sono capace anche di la melodia, perché già Quartet, Artefare 2005. Altre collaborazioni: Orchestra Giovanile Italiana di Jazz; trio John smettere di suonare per quella dice molto sul Taylor, Palle Danielsson, Peter Erskine; Tino Tracanna-Andrea Pellegrini Quintetto Toscano; dirgli di finirla. Non è così pezzo. Comunque, quando Compagnia di Teatrodanza Noal, Livorno; la danzatrice Cinzia Tosi; Mediterranea Ens.; per tutti. Molti suonano penso al jazz penso anche Stefano Franceschini, Pietro Tonolo, Romano Mussolini, Klaus Lessmann, Tino Tracanna, solo per la musica e non all’avanguardia, al free Fabrizio Bosso, Mauro Grossi, Fulvio Sisti, Enrico Rava, Gerard Presencer; Stefano Agostini, per il pubblico, per loro e alle “contaminazioni”. Flavio Cucchi, Daniel Rivera; Compagnia Teatrale Aringa e Verdurini, Maria Cassi, Leonardo è come se non ci fosse. Non sono d’accordo con DP: Da diversi anni Brizzi, Beppe Rosso, Dario Ballantini. chi dice che il jazz finisce insegni alla Bonamici. con Coltrane. Anche Parlaci un po’ della tua l’improvvisazione totale serve a capire alcune cose, a trovare la propria esperienza nell’ insegnamento. In certi ambiti, penso all’università o a voce. Almeno per me, in questo senso, è stata molto utile. certe scuole d’arte, succede che il maestro insegnando impari a sua volta. DP: A proposito di “ortodossia jazz”, come valuti alcune scelte che sono Mi chiedo se è così anche per il jazz. generalmente considerate poco ortodosse, effettuate da grandi come NP: Insegnando impari anche qualcosa, soprattutto su te stesso. Si Davis ed Herbie Hancock? capisce quali sono i propri limiti e le proprie capacità. Penso che insegnare NP: Miles aveva il controllo totale sulla sua musica; ha potuto fare tutto non sia soltanto comunicare conoscenze tecniche ma anche il proprio ciò che voleva: quando ha voluto provare situazioni elettriche ha portato modo di essere persona e musicista. Cerco sempre di essere me stesso, il suo linguaggio anche in questo ambito. Hancock ha sempre avuto un’ sia quando suono, sia quando insegno. A volte sento cose suonate dai miei anima pop. Negli anni ‘60 faceva hard bop perché quello era il linguaggio allievi e ci risento molto del mio modo di essere. Mi colpisce molto. Cerco del momento. Negli anni ‘70 ha subito avuto un suono più funky, di essere molto attento alle esigenze alle caratteristiche dei miei allievi. seguendo l’evoluzione della musica. Ora usa il linguaggio e le possibilità L’unica cosa che mi fa arrabbiare sono quei musicisti per diletto che non dell’elettronica in modo funzionale alla sua musica. Ho ascoltato un suo mettono impegno nello studio. Penso che proprio perché qualcuno fa una concerto a Follonica ultimamente: nella sua musica ci sono cose molto cosa “per passione” dovrebbe metterci molto impegno. interessanti. Personalmente preferisco quando suona in trio, perché ha un DP: Parlaci dei tuoi progetti futuri. modo fantastico di suonare il piano. Inoltre spesso suona con Ron Carter NP: Suono molto come free-lance. Spesso vengo chiamato da gruppi già che come accompagnatore è il migliore in assoluto dopo Ray Brown. formati per fare concerti o registrare dischi. Attualmente ho attive diverse DP: Pensando all’evoluzione dei linguaggi, ritieni che se Charlie Parker situazioni: il Quintetto Toscano con il progetto sui Macchiaioli, cui tengo fosse nato 20 anni fa oggi comporrebbe Ornithology o qualcosa di molto, e il quartetto con Michela Lombardi. Una situazione che mi stimola diverso? molto è il quartetto a 2 voci e 2 contrabbassi (con Nicola Vernuccio, cb, NP: E’ una cosa che spesso ci si chiede. Perché il Bop è stato un linguaggio M. Lombardi e Claudia Tellini, ndr). Poi il gruppo di 12 contrabbassi che dirigo, cui partecipano molti miei ex allievi. Suoniamo cose un po’ folli; lo trovo molto interessante. DP: Domanda a risposta secca: i tuoi 5 dischi preferiti. NP: Live At Village Vanguard ’67 di Bill Evans; Music For Small And Large Ensemble di Kenny Wheeler; Kind Of blue di Miles Davis; Dave Holland in quartetto con Steve Coleman; un cd di Rosa Passos. Davide Pedroni sconti per gli allievi della Bonamici! [email protected] ARTICOLI NUMERO 15 Intelligenza e bambini iperdotati nella musica (Segue dalla prima pagina) Le principali ricerche sui gifted sono oggi inseribili nelle metafore sistemiche dell’intelligenza; queste tassonomie cercano di sintetizzare tutte le teorie dotate di autorevolezza. Le metafore sistemiche più accreditate sono la “teoria triarchia” di Robert J. Sternberg, e quella “delle intelligenze multiple” di Howard Gardner, che dimostra l’esistenza di un’intelligenza musicale.8 I principali fattori che determinano la manifestazione di doti spiccate sono ereditarietà e ambiente. Dall’inizio del secolo scorso (ma anche prima), sono state enfatizzate soprattutto le componenti genetiche di intelligenza e talento, ma, tra gli anni Venti e Cinquanta, con il “Comportamentismo”, hanno acquisito sempre più rilevanza i fattori esogeni. Questa tendenza è stata rimarcata anche negli anni sessanta; tuttavia negli ultimi quindici anni, tramite le neuroscienze, c’è stato bisogno di rivalutare gli aspetti endogeni. Oggi, in genere le incidenze percentuali di aspetti genetici e ambientali sono valutate 50 e 50; tra gli aspetti esogeni sono da inserire stimoli ambientali ed esercizio (nel rapporto qualità/quantità). Soprattutto quando ci si trova davanti a manifestazioni sonore di altre culture, è importante cercare di liberarsi da preconcetti etno-centrici: infatti, in molte popolazioni “extra-colte” la gerarchia delle competenze musicali non corrisponde a quella accademica europea; nonostante ciò, molte individui possono manifestare fin dall’infanzia abilità eccelse altrettanto apprezzabili.9 Oggi, in primo luogo per gli iperdotati, gli psicologi dell’educazione auspicano l’ “individualizzazione dell’insegnamento”; ciò poggia sugli stili cognitivi personali, manifestati da molti soggetti di talento. Infatti, se gli insegnanti pretendono di imporre un apprendimento stereotipato finiscono per inibire o “stroncare” le enormi potenzialità del discente. Poi, è stato dimostrato che metodi educativi rigidi sono inadatti per un apprendimento davvero partecipato e per lo sviluppo della creatività10 (questa dote è proprio ciò che spesso manca ai “bambini prodigio”, anche raggiunta l’età adulta). Così, la pedagogista Maria Teresa Cairo ritiene fondamentale promuovere le Carlo Deri, Italy di Renzo Cresti Carlo Deri è un musicista completo e già questa è una bella qualità da sottolineare, in un momento dove, anche nel mondo della musica, si assiste al frazionamento dei saperi e alla professionalità svolta in un solo settore particolare. Deri è compositore, allievo di Carlo Prosperi (1) al Conservatorio di Firenze; è pianista di buona lettura; è musicologo e analista, ha infatti scritto approfonditi saggi (come quello su Giuseppe Bonamici pubblicato sulla Rivista “Tetraktys”) e analisi puntuali (di recente quelle per il nostro libro Ipertesto di Storia della musica (2)); conferenziere convincente e didatta appassionato; animatore infaticabile della vita musicale toscana, quale Direttore artistico o Presidente di varie Associazioni; dal 1983 è insegnante alla Scuola “Bonamici” e nel 1986 ne assume la direzione; recentemente ha collaborato con il Conservatorio dell’Università di Cincinnati che gli ha realizzato uno dei brani più impegnativi che Deri ha scritto negli ultimi anni, Italy, sei liriche per canto e pianoforte su testo tratto dall’omonimo poemetto di Giovanni Pascoli. Lo studio con Prosperi a Firenze ha fortemente segnato la scrittura e la poetica di Deri che si è, da subito, legato all’Umanesimo fiorentino, riprendendone l’attenzione alla forma e all’asciutta espressività. Deri ha capito che l’annoso problema del rapporto fra forma e contenuto è mal posto, infatti i due termini non sono antagonistici ma complementari, l’uno rafforza l’altro e, nei casi migliori, sono attitudini individuali, sia la presunzione di sapere tutto e di poter per non sprecare risorse agire solo per intuizione o imitazione, spetta umane destinate al beneficio all’insegnante favorire un’apertura mentale, comune, sia per prevenire disagi sociali, che inquadri in modo adeguato i risultati, difficoltà di apprendimento, problemi di dando impulso alla giusta percezione di sé nei adattamento,11 perdita di autostima e situazioni confronti dell’esterno. Comunque, per la riuscita di underachievement. Questi inconvenienti di un progetto educativo risulta indispensabile accadono sia quando le dotazioni rimangono la collaborazione di tutti gli educatori e della sommerse per cause culturali, sociali ed famiglia.15 In sintesi, l’esigenza principale del emotive; sia nel caso del tutto opposto, quando i bambino è una crescita serena ed equilibrata talenti sono così enfatizzati o forzati da generare in sintonia con i suoi ritmi evolutivi, al riparo deficit sullo sviluppo completo e armonico da estenuanti competizioni e traguardi imposti della personalità.12 Perciò, autorevoli studiosi da adulti. insistono sulla promozione di tutte le dimensioni Massimiliano Mangini (affettiva, sociale, cognitiva) e mettono in [email protected] guardia dall’errore di (Footnotes) concentrarsi solo su una.13 1 S. Sansuini, L’educazione dei ragazzi precoci, dotati e superdotati. Infatti, è probabile che pure Che cosa è, da dove viene, come si educa il “potenziale intellettivo” che i bambini che sviluppano c’è in ogni ragazzo, Milano, Angeli, 1996, p. 7; cfr. ibid. pp. 105-6 e P. in modo precoce risorse Bertolini, La nascita della creatività del bambino, in O.d.g.: Bambino. intellettive notevoli abbiano Pensieri sull’infanzia a partire da Mozart. (Atti del convegno: A partire molto bisogno di sostegno da Mozart. Il bambino: sviluppo-conoscenza, creatività, abusi. Città di emotivo, per affrontare Castello, 1-3 settembre 1991), S. Nordio (a cura di), Bologna, Cappelli, altre difficoltà che spesso 1992, p. 98. accompagnano doti fuori del 2 Cfr. M. Laeng, Nuovi lineamenti di Pedagogia, Brescia, La Scuola, comune.14 1987, (Scuola d’oggi), p. 37. Infine, al di là dell’efficienza 3 Sansuini, L’educazione dei ragazzi precoci, cit., retro-copertina e p. in un certo periodo 29; M. T. Cairo, Superdotati e dotati. Itinerari educativi e didattici, è necessario portare Milano, V & P strumenti, 2001, (Pedagogia e scienze dell’educazione. avanti continuamente Materiali didattici), p. 119. l’approfondimento sia di un 4 Ibid., cit., p. 16. talento specifico sia della 5 Cairo, Superdotati e dotati, cit., p. 128. preparazione culturale 6 Cfr. Ibid., pp. 13-16. generale; qui entra in gioco 7 Cfr. O. Andreani Dentici, Intelligenza e Creatività, Roma, Carocci, il concetto di “educazione 2001, (Le Bussole, 29), pp.68-9; Feldman, Quando la natura fa centro, permanente”. Infatti, cit., pp. 259-60; Sansuini, L’educazione dei ragazzi precoci, cit., p. 8. tanti “bambini prodigio” 8 Cfr. Andreani Dentici, Intelligenza e creatività, cit., pp. 92-100; H. non conseguono risultati Gardner, Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza (1983), soddisfacenti da adulti; 13. ed., Milano, Feltrinelli, 2002, (Campi del sapere), soprattutto pp. addirittura, il più delle 9-31; 82-90; 93-288; 394-400 e cap. VI. volte, abbandonano ciò 9 Gardner, Formae mentis, cit., pp. 141-2. che li ha contraddistinti 10 Alonso-Fernández, F., Il talento creativo. Tratti e caratteristiche del nella giovinezza. Questo genio (1996), Bari, Dedalo, 2001, (La nuova scienza, 115). può accadere sia per 11 Cfr. Sansuini, L’educazione dei ragazzi precoci, cit., p. 8. ribellione verso forzature 12 Cfr. Cairo, Superdotati e dotati.cit., pp. 41-2; 91 e retro-copertina; “pedagogiche”, sia a Sansuini, L’educazione dei ragazzi precoci, cit., p. 29. causa di ignoranza sui 13 Cfr. Cairo, ibid., p. 18, 109, Sansuini, ibid., p. 58-64 e Dalcroze, Il possibili sviluppi (anche ritmo, la musica e l’educazione, cit., pp. 79-82. interdisciplinari) di un 14 Cfr. Feldman, Quando la natura fa centro, cit., p. 272. talento. Dato che il 15 Cfr. Cairo, ibid., p. 127. successo precoce genera tutt’uno. Deri è livornese e trasmette alla sua musica un enthusiasmus che deriva dal carattere esuberante e sagace, declinato però spesso, e soprattutto nei brani con testo, a un’accorata espressività, melanconica e fin drammatica (come in Italy). Deri possiede comunque la capacità di immettere nella musica un’onda di commozione autentica, fra intimismo e partecipazione civica (la stessa concezione del lavoro si basa sulla responsabilità etica). “Il miglior sistema è lo studio e solo da studi seri nasce la grandezza” (3), questa affermazione viene condivisa da Deri, che sa bene qual è l’importanza del lavoro artigianale, ma viene affiancata dall’estro e dalla necessità interiore della comunicazione; infatti la forma, specie nei brani con testo, non è pre-ordinata, ma intuita; non ci sono complessi e cervellotici piani preparatori, ma la scrittura procede seguendo l’ascolto del suono interiore. Disciplina e rapimento espressivo convivono con reciproco vantaggio. L’interesse prevalente di Deri è la musica da camera e in particolare quella con la voce: “la voce umana ha sempre destato in me molto interesse, per la duttilità dello strumentovoce, che offre una tavolozza di sfumature letteralmente esaltanti, ma anche perché mi dà la possibilità di sposare la musica con la poesia” - dice lo stesso Deri - “mi lascio guidare dalla liricità del testo e quindi, dal punto di vista formale, la struttura si modella da sé. Invece nelle composizioni strumentali, dove sento maggiore l’impegno di scelte formali, mi diverto a cercare impasti timbrici e soluzioni armoniche” (4). Negli anni Ottanta il percorso di Deri inizia con lavori di un certo impegno tecnico-formale, come Passacaglia (1984) per due flauti e come la contrappuntistica Sonata (1986) per due flauti e pianoforte, composizioni di ricerca linguistica e dal suono un po’ duro, le quali, se paragonate a quelle scritte un decennio più tardi, paiono ancora preoccupate di ricercare la novità sonora e legate a un disegno intellettuale che lascerà il posto a un procedere più immediato ed evidente nel suo disporsi, come nel fortunato pezzo Dromos (1998) che ha giustamente conosciuto molte esecuzioni, per voce recitante su testi di Giuseppe Bonamici e sette strumenti; Dromos è un pezzo assai esemplificativo della flessibilità metodologica, qui infatti Deri usa, come di rado gli capita, la dodecafonia, ma nelle sue mani questo sistema inesorabile perde la sua rigidezza per piegarsi alle esigenze espressive dei versi poetici. Bellissimi i recenti pezzi pianistici, dove si equilibrano ricerca (specie in Improvviso n. 2) e soliloquio espressivo (come in Notturno n. 2 e in Incanto, anche in versione per arpa, nei quali la forma libera si struttura prevalentemente seguendo modalità timbriche). continua NOTE 1) Cfr. R. Cresti, Carlo Prosperi, GIMC, Firenze-Lucca 1993. 2) Cfr. R. Cresti, Ipertesto di Storia della musica, Feeria, Panzano in Chianti 2004. 3) F. De Sanctis, Saggi critici, voll. III, Laterza, Bari 1965. 4) Intervista a Carlo Deri, “Continuum” maggio/giugno 2004. 7 8 NUMERO 15 INTERVISTE E APPUNTAMENTI CittàLirica: è crisi? Intervista a Raffele Della Croce, trombettista, rappresentante sindacale Andrea Pellegrini: Nel materiale pubblicitario del festival pucciniano e della stagione del Goldoni non appare neanche il nome dell’orchestra. Perché? RDC: Perché non la considerano una cosa loro. Per loro è un mero strumento per accedere ai contributi della regione; oltre questo il nulla: nessuna visibilità, nessun progetto, nessuna reale intenzione di creare un’occasione concreta di lavoro e uno strumento al servizio dei cittadini. AP: Avete avuto qualche risposta alle vostre richieste di inserimento nel programma anche di musiche sinfoniche e del ‘900, di una direzione artistica, di miglioramenti contrattuali? RDC: La notizia nuova, tutta da verificare, è che i teatri, rendendosi conto di non poter amministrare orchestra e coro, ne cederebbero la gestione all’Orchestra Regionale Toscana. Non sappiamo ancora cosa comporterà questa cessione. Una cosa si può dire però: alla Regionale sanno come gestire un’orchestra. Vedremo. AP: Come è possibile che fra tre città dalle grandi tradizioni culturali, artistiche e musicali, in una regione come la Toscana e in una nazione come l’Italia, settima potenza mondiale, non sia possibile supportare almeno un’orchestra? RDC: Pisa, Livorno e Lucca meriterebbero di avere la propria orchestra stabile per molte ragioni. Non è solo una questione di mancanza di risorse (a quelle si potrebbe far fronte magari coinvolgendo le fondazioni bancarie, le casse di risparmio che molto hanno fatto e fanno per la cultura): penso che sia mancanza di volontà, da parte di che amministra la cultura, di impegnarsi in qualcosa di importante, che influisca davvero sulla vita culturale delle nostre città. Un altro freno credo siano le logiche di campanile che purtroppo ancora esistono e che impediscono spesso una reale collaborazione. AP: Ma che interesse potrebbe avere un’ orchestra, specialmente in periodi di magra come questo, a gestire e a promuovere un’altra orchestra, diversa, ma non così abissalmente, a poche decine di km dalla prima? Non ci sarebbero conflitti evidenti? RDC: Al momento non ho elementi per giudicare i vantaggi o gli svantaggi di questa (eventuale) cessione all’ORT. Preferisco esprimermi quando, spero molto presto, i sindacati saranno chiamati a controllare i termini di questa operazione. AP: Qualcuno vi ha coinvolto nelle decisioni riguardanti l’organizzazione, essendo i primi soggetti coinvolti? RDC: Mi dispiace molto dirlo ma ci fanno sentire poco più che numeri, strumenti da usare al momento opportuno e poi via. L’unico momento in cui ci fu un coinvolgimento degli orchestrali avvenne sotto la direzione artistica del M° Proietti; in quel periodo si riusciva addirittura a parlare di musica e di arte, ciò che dovrebbe essere al centro dei nostri pensieri come musicisti ed artisti. Purtroppo è durato molto poco. AP: Si dice che le spese di gestione dell’orchestra siano altissime, e sproporzionate rispetto ai compensi per i professori. RDC: Che i compensi dei professori d’orchestra siano bassi non è un mistero (basta vedere le nostre misere buste paga). Delle spese di gestione non mi è dato sapere, perché purtroppo non ho mai visto un bilancio dal quale si evincessero con precisione i costi in questione. Qualche idea su come gestire orchestra e coro l’avremmo, non dimentichiamoci però che il nostro lavoro è suonare, non fare gli amministratori. AP: Si dice che la lirica coincida con l’identità musicale italiana. Che ne pensi? RDC: E’ così. La lirica è nata in Italia e ha in seguito conquistato il mondo. Non tenere nella giusta considerazione il teatro musicale significa rinunciare ad un pezzo importantissimo della nostra cultura. APC Errata Corrige Sul Continuum n.14, a pag.8, è sparita per un errore la firma dell’autrice della recensione del libro “Tu vuo’ fa l’americano”: è Serena Donati. Ce ne scusiamo con l’interessata e i lettori. Inoltre una nota: a proposito dell’articolo “La Fisarmonica: respiro del XX secolo”, ricordiamo che corsi di quello strumento sono attivi, da molti anni, anche presso la Scuola di Musica “Boccaccio” di Pisa. Cartellone Stagione Concertistica Città di Cecina IV° Edizione 2005-2006 22 Ottobre h 21.15 recital: PAOLO ROSSI p 6 Novembre h 17.30 NUOVO TRIO PARSIFAL Barbara Castelli vl Laura Pierazzuoli vc Anna Paola Milea p 19 Novembre h 21.15 (Fuori Programma) Omaggio al Jazz MATTEO RAINIERI QUARTET Elisa Azzarà fl Matteo Rainieri p Stefano Puri contrabbasso Riccardo Butelli batt 10 Dicembre h 21.15 Ensemble Vocale di Parma John Dowland Milena Th lli s Paola Mangiarotti ca Fabrizio Fava t Francesco Coruzzi bs Francesco Arata controten. 21 Gennaio h 21.15 presso il Duomo di Cecina INVITO ALLA MUSICA BAROCCA Relat. Prof. Francesco Dilaghi GOLDBERG ENSEMBLE Raffaello Galibardi vl Anna Laura Tortora vl Maria Cristiana Tortora vc Carmen Barlotti clavic. 11 Febbraio h 21.15 MAURIZIO MORGANTI cl Associazione Culturale Il Fitto Stagione Concertistica Città di Cecina IV° Edizione 2005-2006 La Stagione è stata realizzata grazie anche alla partecipazione artistica di: Festival Pianistico Internazionale PianoSolo di Salerno, Istituto Musicale Pietro Mascagni di Livorno e la Scuola di Musica Giuseppe Bonamici di Pisa. Il cartellone della manifestazione sarà dedicato in gran parte al repertorio mozartiano, in occasione del 250° anniversario dalla nascita (17562006) del compositore salisburghese W.A. Mozart. ABBONAMENTI Socio Sostenitore_50,00 €; Socio Abbonato_30,00 €. Spettatore Ordinario: ingresso a offerta minima di 5 € Direzione artistica Diego Terreni [email protected] Tel. 348_7493550 347_5515748 339_4663688 25 Febbraio h 21.15 Concerto Lirico Allievi della classe di canto dell’ Istituto Mus.le Pietro Mascagni di Livorno Antonino Di Giorgio maestro accomp. 11 marzo h 21.15 ENSEMBLE QUARTANGO Hommage à Astor Piazzolla Giorgio Dari fis. Lara Migheli fl Lorenzo Soto Rivara chit Silvia Orciari v Diego Terreni p 25 marzo h 21.15 (Fuori Programma) recital PAOLO FRANCESE p Continuum - Anno 2, n.1 (n. progressivo: 15) Direttore responsabile: Francesco Ermini Polacci Direttore di redazione: Andrea Pellegrini Redattori: Paolo De Felice, Silvia Faggian, Ottaviano Tenerani, Elena Talotta Grafica: Davide Dente, Monica Cicu Editore: Ottaviano Tenerani Hanno collaborato a questo numero: Enzo Alfano, Renzo Cresti, Scilla Lenzi, Massimiliano Mangini, Davide Pedroni, Marica Testi Sede: Via Matteucci, 20 - Pisa - Tel. e Fax 050.540450 Sito Internet: www.scuolabonamicipisa.it e-mail: [email protected] Le immagini pubblicate sono copyright degli aventi diritto. Il contenuto di questa pubblicazione è di proprietà degli autori ed è tutelato dalle vigenti leggi sul diritto d’autore. Per spazi pubblicitari tel. 050.540450 Registrazione Tribunale di Pisa n˚ 17/2002 del 28/10/2002 Si ringrazia la tipografia ILCA di Santa Croce sull’Arno