l Sole e “l’altre stelle” – Nascita, vita e morte Partiamo dal principio Le classi stellari Il Sole e le Stelle Partiamo dal principio In principio Dio creò il Cielo e la Terra (Genesi 1:1). In principio di cosa? Se Dio è eterno, non ha principio. Non vuole essere una discussione teologica e nemmeno una critica al Testo Sacro. Solo un’osservazione: un Dio eterno che ne ha fatto a meno per una eternità ad un certo punto avverte l’esigenza di creare cielo e terra. E’ veramente sorprendente la sintonia con la teoria del Big Bang: non c’era nulla e poi arriva l’esplosione di energia pura che mette in moto tutto il meccanismo. La domanda che sorge scontata è: e prima? L’Universo data da una manciata di miliardi di anni, attimi al confronto dell’eternità. Perché Dio 15 miliardi di anni fa ha fatto nascere ad un tratto il nostro Universo? E’ un inedito oppure è uno dei tanti che si sono succeduti e magari anche di altri che ci circondano e che noi non potremo mai conoscere ma che possiamo al più ipotizzare? Esistono teorie che prevedono un universo a tre dimensioni immerso in un iperspazio a 11 dimensioni (M-Theory), altre invece prevedono un super universo con dei punti di irregolarità nel suo tessuto. A lungo andare queste irregolarità creano dei locali Big Bang dove nascono universi che non hanno necessariamente la conformazione del nostro. Ognuno avrà le sue leggi: alcuni potrebbero essere abitabili secondo il nostro metro, altri invece potrebbero essere dei posti infernali e tra i due estremi tutta una gamma di possibili situazioni intermedie. Altre teorie ancora prevedono universi paralleli comunicanti. Nessuna di queste teorie al momento è stata dimostrata però esse nascono (almeno in parte) anche in virtù della domanda precedente. Ovviamente nei casi sopra indicati il tutto sarebbe guidato da una enorme casualità, così come casuale è stata la formazione del nostro spazio dopo il Big Bang. Indipendentemente dalla M-Theory e dagli eventuali iperspazi, le particelle che compongono la materia si comportano in modo del tutto imprevedibile anche nel nostro Universo. Questo naturalmente non implica che le cose non possano essere volute da una Mente Superiore, se la stessa ha creato le condizioni perché questo accada comunque, non importa dove e quando. Molti però già dalla prima formulazione della teoria quantistica, che delinea questo scenario di estrema casualità a livello di ogni singolo elemento, vi hanno visto una minaccia ai credi religiosi. Lo stesso Einstein, che pure nei suoi scritti parla di quanti (vale a dire pacchetti discreti) e non di onde di energia, essendo molto religioso, ne era spaventato. Una breve parentesi: il concetto di onda della fisica classica implica un flusso continuo; il concetto di quanto implica un flusso ad intermittenza con un intervallo di tempo tra un quanto ed il successivo, breve o meno breve a seconda dei casi, durante il quale non ci sono emissioni. L’onda si irradia regolarmente in tutte le direzioni, i quanti vanno in modo casuale. Su questo principio si basa la fisica quantistica. Detto in termini brevi e grossolani: il movimento delle particelle non è ordinato come dovrebbe avvenire in un’onda, ma del tutto indeterminato. Le particelle vanno dove vogliono, si scontrano, deviano eccetera. Solo l’enorme quantità alla fine li porta ad un comportamento apparentemente regolare; ma singolarmente i comportamenti non sono prevedibili. Per contrastare questa teoria Einstein pronunciò la famosa frase: <”Dio non gioca a dadi”>. Niels Bohr (Copenaghen 1885 – Copenaghen 1962), firmatario assieme a Karl Heisenberg (Wurzburg 1901 – Monaco di Baviera 1976) della “Interpretazione di Copenaghen” (1927) che poneva le fondamenta della meccanica quantistica, gli rispose che <”Dio non solo gioca a dadi, ma bara pure”>. Per por fine alla diatriba a distanza che ne segui, ad un certo punto Bohr dovette dire: <”Senti, Einstein, smettila di dire a Dio quello che deve o non deve fare!”>. Non è il caso di soffermarsi ulteriormente sull’argomento quantistico e su quello religioso in quanto estranei allo spirito dell’articolo, però era doveroso fare almeno una breve riflessione su di essi. Torniamo al nostro Big Bang: questa teoria cosmologica si basa sull’idea che ad un certo istante del passato un punto avente condizioni estreme iniziò ad espandersi a velocità elevatissima con temperature inimmaginabili. Questo processo dovrebbe essere ancora in corso anche se evidentemente in fase di raffreddamento e di rallentamento. Quella del Big Bang è una teoria scientifica e come tale ha il suo limite nel limite della fisica. La scienza può andare indietro nel tempo, ma non oltre il “tempo di Plank”. Max Planck (Kiel 1858 – Gottingen 1947) è stato uno degli iniziatori della fisica quantistica. Il tempo di Mark Plank vale 10-43 secondi (uno diviso uno seguito da 43 zero). Prima di questo tempo non esiste la fisica. Quello che è avvenuto tra l’istante 0 e l’istante 10-43 secondi non può essere spiegato dalle leggi che conosciamo. Dopo tale istante però nasce la fisica ed una teoria valida deve trovare riscontro nelle leggi della fisica. Premesse alla teoria del Big Bang: Già nel 1912 era stato visto un “Effetto Doppler” nell’osservazione di una nebulosa, il cui spettro mostrava il “red shift”, ossia lo scivolamento verso il rosso (vedi nostro articolo sull’effetto Doppler). Tale circostanza implicava un allontanamento reciproco tra la via Lattea e questa nebulosa, evidenziata da una apparente diminuzione delle frequenze. Ma allora non era ancora chiaro se queste nebulose fossero corpi esterni o parte della via Lattea e quindi non fu rilevata l’implicazione dell’epansione dell’Universo. Nessuno si ricordò delle parole di Doppler che aveva predetto che il fenomeno, da lui studiato in campo acustico, si sarebbe verificato anche in campo elettromagnetico. Successivamente Alexander Friedman (San Pietroburgo 1888 – Leningrado 1925) applicò il principio cosmologico alle equazioni di campo della relatività generale, ricavandone delle equazioni, che portano il suo nome, che dimostrano un universo in espansione. Il principio cosmologico assume come valida l’osservazione che l’universo è omogeneo e isotropo su di una scala opportunamente grande. Universo omogeneo significa che esso presenta le stesse proprietà fisiche in ogni sua parte. Universo isotropo significa che ha le stesse caratteristiche fisiche in ogni sua direzione. Purtroppo Friedman morì poco dopo e quindi non fece in tempo a capire che la sua teoria implicava il red shift e i suoi studi furono ignorati dal mondo scientifico di allora. Solo nel 1929 Edwin Hubble (Marshfield 1869 – San Marino 1953) riuscì a dimostrare che quei sistemi erano altre galassie. Finalmente nel 1948 Georges Lemaitre (Charleroi 1894 – Lovanio 1966) formulò la teoria del Big Bang assieme a George Gamow (Odessa 1904 – Boulder 1968). Ispiratore della teoria fu Ralph Alper (Washington 1921 – Austin 2007) il quale ipotizzò anche l’esistenza di una radiazione cosmica di fondo. La conferma dell’esistenza di questa radiazione di fondo ci fu nel 1964 ad opera di Edward Osborne Wilson (BirminghamAlabama 1929, vivente) ed Arno Penzias (Monaco di Baviera 1933, tuttora vivente negli USA). Non fu capito subito, ma alla fine ci si rese conto che il segnale ricevuto era l’eco del Big Bang ormai ridotto ad onde radio. E’ questa la maggiore prova a favore della teoria del Big Bang. Piccola divagazione: era un periodo in cui si discuteva molto della possibile esistenza di altre razze e la notizia della scoperta di questi segnali, non ancora inizialmente identificati, eccitò non poco le fantasie ed ispirò un famoso romanzo di fantascienza uscito nel 1968 ad opera di Chloe Zerwick ed Harrison Brown col titolo “Messaggio da Cassiopea”. Copertina del libro “Messaggio da Cassiopea” foto da: http://www.mondourania.com/urania%20classici/uraniac lassici%20141-160/uraniaclassici155.htm Naturalmente non sono mancati i denigratori, anche scienziati importanti, della teoria. Il termine Big Bang è stato coniato da uno di essi in senso ironico (il Grande Botto). Oggi però quasi nessuno la contesta. In effetti la teoria del Big Bang non spiega la nascita dell’Universo ma la sua evoluzione dopo il tempo di Plank. Per i primi istanti a seguire si possono fare solo supposizioni. Recenti esperimenti (estate 2015) effettuati al CERN hanno creato micro-situazioni paragonabili a quelle esistenti allora per avere un’idea dei fenomeni che si potevano verificare. Si suppone che vi fossero condizioni di densità e di temperatura estreme che si sono mantenute per un tempo infinitesimo ed è difficile studiarle con la fisica attuale. Si ipotizza un universo omogeneo ed isotropo con elevatissima densità energetica. Si distinguono varie “Transizioni di fase” ognuna delle quali di durata infinitesima durante le quali vengono create le particelle e l’universo dovrebbe essere stato un gas di quark ed antiquark, leptoni ed antileptoni e le particelle che si comportavano come membri di un’unica famiglia. A proposito dei quark: l’esistenza dei quark venne ipotizzata dai fisici statunitensi Murray Gell-Mann (New York 1929, vivente) e George Zweig (Mosca 1937, vivente negli USA) nel 1964, quando dovettero ricorrere all’ipotesi della loro esistenza per completare un loro modello matematico sugli adroni (particelle subatomiche soggette alla forza nucleare forte e che ora sappiamo composte da quattro quark). Secondo la versione ufficiale il nome “quark” fu scelto da Murray Gell-Mann traendolo da un passo dal romanzo “Finnegan’s Wake” di James Joyce, che egli stava leggendo al tempo degli studi: “Three quarks for Muster Mark! Sure he has not got much of a bark and sure any he has it’s all beside the mark”. Secondo una versione non ufficiale, ovviamente non dimostrabile, la parola quark deriva dal fatto che i due, considerando il nuovo elemento, abbiano esclamato: “che ….diavolo….è?”, magari in modo più colorito. La parola quark deriverebbe quindi dal punto interrogativo, in inglese question mark. L’interpretazione autentica, cioè quella data dal diretto interessato, non la si può contestare: non siamo giudici di fronte ad un imputato di reato che potrebbe mentire; ma la seconda versione è certamente più “romantica” ed “umana”. D’altro canto chi lo ha detto che gli scienziati non hanno umorismo? Isaac Rabi (Rymanów,1898 – New York,1988) quando venne a conoscenza della scoperta del muone esclamò: “who ordered that?”, vale a dire: “e questo chi lo ha ordinato?”. Il muone (μ) è una particella fondamentale con carica elettrica negativa e spin 1/2. La transizione successiva segna una fase di forte espansione durante la quale le particelle si differenziano e cominciano gli scontri tra queste e le antiparticelle fino alla sparizione dell’antimateria. La materia e l’antimateria hanno una leggera asimmetria a favore della materia e questo spiega il prevalere della prima sulla seconda. Alla fine di questa fase saremmo intorno ai 10-5 secondi: un piccolissimo intervallo misurato sul nostro ritmo, ma un tempo lungo se rapportato alla velocità dei fenomeni. Si suppone che inizi da questo momento la formazione di protoni e neutroni. Finché l’universo è stato troppo caldo, le forze fondamentali erano tutte fuse tra loro e non potevano agire. Alla temperatura di circa 3.000 gradi kelvin la radiazione di fondo si separa dalla materia e le forze si differenziano e cominciano a produrre i loro effetti. Nota: oggi si distinguono quattro tipi di forze: Forza gravitazionale: comune a tutta la materia. Tutti i corpi si attirano reciprocamente. Forza elettromagnetica: è prodotta dalle cariche elettriche. Cariche dello stesso segno si respingono, cariche di segno opposto si attraggono. Interazione nucleare debole: è responsabile del decadimento atomico. Questa forza contribuisce alla trasformazione della materia. La radioattività è una sua manifestazione. Interazione nucleare forte: attiene alla coesione del nucleo atomico agendo sulle particelle che lo compongono. Nel periodo che stiamo sommariamente descrivendo predomina la forza gravitazionale. Grazie ad essa, circa mezzo miliardo di anni dopo il Big Bang, attraverso passaggi progressivi che in questo contesto sorvoliamo, si arriva finalmente alla formazione delle nubi di gas, primo passo per la formazione delle protogalassie prima e delle galassie dopo all’interno delle quali nasceranno le stelle. Se la materia fosse stata distribuita in modo perfettamente uniforme, non avremmo avuto la formazione delle galassie. Grazie invece a piccole disomogeneità, le nubi di gas si concentrano per effetto gravitazionale, la temperatura interna aumenta ed iniziano le reazioni termonucleari dando origine alle stelle. La prova di questo si ricava anche dalle piccole fluttuazioni che si riscontrano nella radiazione di fondo (circa 1 parte su 105). Inizialmente esistevano solo atomi leggeri, come idrogeno ed elio. Per effetto della forza di gravitazione le particelle si attraggono tra loro e progressivamente si addensano in un nucleo di materia. Più materia si addensa nel nucleo, maggiore diventa la forza di attrazione verso l’esterno. Il Big Bang ha dotato la materia di moto e questo moto si conserva. Quando c’è un’attrazione gravitazionale questo moto genera rotazione. Ogni particella che viene attratta verso il nucleo non “piomba” sul corpo che la attrae, ma si avvicina progressivamente con un percorso a spirale attorno all’asse di rotazione. Una volta che la situazione sia stabilizzata, le particelle che sono al limite del globo di gas sono quelle che si trovano in condizione di equilibrio: l’energia della reazione tenderebbe a farle allontanare, ma è bilanciata dalla forza di gravità, che tende a farle cadere. Quindi la particella ruota, non sfugge e non cade almeno fino a quando i rapporti di forza non cambiano. Nella fase di formazione questo può avvenire spesso: man mano che il nucleo si addensa anche gli elementi del bordo cominciano a cadere mentre altri, che prima erano sfuggiti, vengono attratti. All’interno della nube c’è una violenta lotta tra le particelle di gas che si urtano e si respingono continuamente generando calore che le rende ancora meno stabili. Continui collassamenti di materia aumentano la densità della concentrazione e ne riducono il volume. Ogni volta che questo succede, diminuendo il raggio, aumenta la velocità di rotazione, per la legge di conservazione del momento angolare. Presumibilmente in fase iniziale il movimento di rotazione di questi corpi era basso ma poi la velocità si è accresciuta per il fenomeno appena descritto. Si suppone che le prime stelle siano state gigantesche. Nella loro esplosione sono stati sintetizzati gli elementi più pesanti presenti nell’universo. Le nubi generate dall’esplosione hanno dato vita progressivamente a nuove formazioni ed infine alle galassie. Articolo sole e Stelle: nebulosa testa di cavallo. Foto da: http://www.focus.it/scienza/spazio/hubble-e-la-testa-di-cavallo-22042013 Nella foto sopra è rappresentata la Nebulosa “Testa di Cavallo” (B33). E’ chiamata così a causa della sua forma ed è un turbine di gas e polveri derivata dal collasso di materia interstellare. Le macchie brillanti alla base della nebulosa sono protostelle oppure stelle in formazione. La nebulosa dista dalla Terra circa 1500 anni luce. Se la forza gravitazionale avesse mantenuto il sopravvento si sarebbe fermata l’espansione dell’universo e sarebbe iniziata la sua contrazione. Invece circa 7 miliardi di anni dopo il Big Bang l’universo ha ripreso ad espandersi e lo sta facendo ancora adesso. Gli scienziati attribuiscono questo fenomeno all’energia “oscura”, cioè nascosta. L’energia oscura è una (ipotetica?) forma di energia che gli scienziati ritengono dotata di pressione negativa; in termini volgari, una specie di antigravità. Senza questa forma di energia non si potrebbe spiegare perché l’universo è in espansione. Il concetto di energia oscura richiama quello di materia oscura. Tra il 1970 ed i 1980 le numerose osservazioni effettuate hanno evidenziato che la sola forza di gravità relativa alla materia presente nelle galassie non poteva essere in grado di assicurare la loro coesione interna. Perché la galassia continua a girare attorno al suo centro e non si sfalda? I calcoli effettuati sulle masse visibili dimostrerebbero il contrario. Da questi calcoli emerge che la materia visibile dovrebbe essere solo il 10% della materia dell’universo. In un prossimo articolo saranno trattati tutti questi aspetti. Immagine di galassia a spirale. (foto: Universal History Archive/UIG via Getty Images) https://www.wired.it/scienza/spazio/2015/04/27/hubble-migliori-foto/ In questo caso la parola oscura va presa alla lettera: é materia oscura quella che non si vede. Da cosa è formato questo restante 90% di materia invisibile? I primi corpi celesti candidati ad entrare nel novero della materia oscura sono stati i buchi neri. Non si possono vedere direttamente, perché non riflettono la luce, ma si possono individuare indirettamente perché la materia che ne viene fagocitata emette radiazioni. Un altro sistema per scoprire una massa di materia oscura è il ricorso alla lente gravitazionale ipotizzata da Einstein: se la luce viene sdoppiata o curvata in qualche punto dell’universo, vuol dire che in quel punto, anche se non la si vede, c’é una massa così potente da deviare le onde luminose. Anche le altre stelle morte (stelle di neutroni ed altro che vedremo) dovrebbero far parte di questa categoria. Ma non ce ne sono abbastanza (ipotesi basate su calcoli) per coprire il 90% mancante. L’idea è che la materia oscura avvolge, come una nube, tutte le parti dell’universo Sono tuttora in corso studi sull’argomento che, ovviamente, affascina molti scienziati. Non è facile trovare quello che non si vede. Si cercano in particolare particelle di materia oscura che permetterebbero di aprire vasti orizzonti sul fenomeno. Torna all’inizio pagina Le classi stellari Dopo aver visto in modo molto rapido e sintetico e, si spera, semplice, la nascita delle stelle, passiamo ora alla discussione su quelle belle e fatte. Il calore generato dagli urti tra molecole e sopratutto l’enorme pressione alla quale il nucleo è sottoposto genera, quando ricorrono le giuste condizioni, l’accensione della reazione nucleare e la stella comincia a svolgere il suo compito di dispensare calore e luce. Per mantenere un certo ordine conviene però iniziare dalla classificazione delle stelle. Questa classificazione avviene sulla base dello spettro delle stelle, vale a dire sull’insieme di tutte le possibili frequenze emesse. Senza entrare nel merito della questione “onde elettromagnetiche – quanti di fotoni” diciamo che la stella emette energia con una certa frequenza, cioè tante volte nell’intervallo base di tempo. Quando si considera il risultato finale, cioè la luce che la stella ci invia, si possono usare i metodi che ci ha tramandato la fisica classica perché il calcolo è sostanzialmente corretto e quindi possiamo parlare di onda e disegnarla come una classica sinusoide. L’importante è avere ben presente che la quantità di luce che ci arriva non deriva da un flusso continuo ma è il “compendio” statistico di infiniti comportamenti, a livello di singola particella, del tutto “disordinati”. La misura che si usa maggiormente quando si parla di radiazioni elettromagnetiche è la lunghezza d’onda. Prima però di parlare di lunghezza d’onda è necessario fissare altre due grandezze: la frequenza ed il periodo. La frequenza è il numero delle volte in cui il fenomeno periodico si ripete nell’unità di tempo. Si misura in Hertz in onore del fisico tedesco Heinrich Rudolf Hertz (Amburgo 1857 – Bonn 1894). Misura 1 hertz (1 hz) un fenomeno che si ripete una volta ogni secondo. La corrente domestica per esempio si ripete 50 volte al secondo e quindi ha una frequenza di 50 hz. Il periodo invece è la durata di ogni ciclo; se in un secondo ci sono 50 cicli, allora ogni ciclo dura 1/50 secondi (praticamente 1/frequenza) e quindi il periodo è 0,02 secondi. La lunghezza d’onda l (lambda) dell’emissione corrisponde allo spazio percorso tra due punti di massimo o di minimo della sinusoide che rappresenta l’onda. Tra due picchi, negativi o positivi, intercorre un periodo. https://it.wikipedia.org/wiki/Lunghezza_d’onda Quindi maggiore è la frequenza, minore è la lunghezza d’onda. Frequenze più alte presentano picchi più ravvicinati e poiché la velocità in questo caso è una costante per tutte le emissioni, sarà minore lo spazio percorso. Dal momento che la lunghezza d’onda è uno spazio percorso, si misura in metri e si calcola moltiplicando la velocità per il tempo di percorrenza. La velocità è quella della luce e si indica con la lettera c; il tempo è il periodo che si indica con P e quindi [l = c x P]. La frequenza, che si indica con f, vale 1 / P, cioè è l’inverso del periodo ed allora la lunghezza d’onda si può calcolare anche come [c / f]. Una radiazione con lunghezza d’onda inferiore a 400 nm (nm = nanometro, 1 miliardesimo di metro) viene chiamata luce ultravioletta e non è visibile all’occhio umano. Sotto i 10 nm abbiamo i raggi X e sotto alla zona dei raggi X abbiamo i raggi gamma. Questi raggi sono il risultato di una disintegrazione. Per assegnare la classe ad una stella si considera il calore della sua superficie, stimata con la legge di Wien (Fischausen 1864 – Monaco di Baviera 1928). Attraverso lo spettro ed il calore si ricava la luminosità intrinseca della stella e da questa il raggio: si stima che la luminosità sia proporzionale al quadrato del raggio. Nota: quando si parla di luminosità in questo articolo si parla di luminosità effettiva, intrinseca, cioè di radiazione emessa. Come classico esempio dello spettro si fa ricorso all’arcobaleno. Dopo una pioggia restano in sospensione nell’atmosfera molte goccioline d’acqua che quando sono colpite dalla luce del sole la rifrangono nelle sue componenti. Noi vediamo un raggio unico di luce bianca: questo raggio contiene invece un cumulo di frequenza diverse che vengono rifratte dalle gocce con un angolo di rifrazione diverso per ogni lunghezza d’onda. Questo fatto ci permette di vedere l’arcobaleno con tanti colori che vanno dal violetto al rosso. Minore è la lunghezza d’onda (cioè maggiore la frequenza, quindi maggiore il livello energetico) minore è l’angolo. Il colore blu viene “piegato” più del colore rosso. L’arcobaleno quindi non è altro che uno spettro continuo della luce del sole, cioè una sequenza di intensità e di lunghezze d’onda emesse al Sole; ma questo è vero per ogni spettro di qualunque sorgente luminosa. Veduta di Napoli con arcobaleno. Fonte http://www.meteoweb.eu/foto/napoli-arcobaleno-di-incredibile-bellezza-sul-golfo-con-il-vesuvio-di-sf ondo-gallery/id/689719/#1 La possibilità di avere la luce scomposta nelle sue frequenze ci permette di fare una associazione tra colore e lunghezza d’onda. Tutti noi abbiamo presente la fucina del fabbro: il ferro riscaldato da nero diventa prima rosso, poi giallo e poi, aumentando il calore, diventa bianco. Nella foto sotto si vedono chiaramente i colori rosso e giallo. Quindi un corpo caldo emette radiazioni e più si riscalda più aumenta la frequenza delle radiazioni emesse. Su questo principio si basa la legge di Wien. fonte foto: http://www.skuola.net/lavoro/fabbro-artigiano-domenico-alecce-inter vista.html Fonte foto: http://www.astro.unipd.it/progettoeducativo/Didattica/UnitaDidattiche/UniDid_1.pdf Questo grafico rappresenta la funzione di Planck per un corpo nero a quattro temperature diverse, crescenti dalla curva rossa a 1250 K fino alla curva blu a 2000 K. Il grafico dimostra lo spostamento del massimo di emissione verso lunghezze d’onda più corte all’aumentare della temperatura. In modo molto semplificato la legge di Wien si basa su questo principio: λmax (in centimetri)*T = costante. Lambda è la lunghezza d’onda, T la temperatura in gradi Kelvin e la costante vale circa 0,2898. Il prodotto precedente evidenzia subito che se il risultato deve essere costante allora al crescere di T deve diminuire lambda, cioè la lunghezza d’onda. La legge di Wien era nata per le radiazioni dei corpi neri, ma si è osservato che le stelle si comportano allo stesso modo e che la loro variazione di colore è una diretta conseguenza delle loro temperature superficiali. Fino al 1920 circa si usava lo spettografo, che dava una lastra impressionata con lo spettro della stella. Con il perfezionamento dello spettometro di massa, l’uso di quest’ultimo è diventato universale. A differenza del precedente, oltre ad essere più preciso, è in grado di fornire direttamente un tracciato digitale. Per una valutazione completa si osservano anche le linee di assorbimento di determinati elementi. Sono elementi di cui si conosce lo stato di eccitazione in rapporto alle varie temperature. Se questi elementi sono presenti e creano linee nello spettro ottenuto con un reticolo di diffrazione vuol dire che la temperatura è tale da creare interazione tra il fotone e generalmente l’atomo. Per effetto di questa interazione un elettrone cambia temporaneamente livello energetico. ma poi il fotone assorbito sarà riemesso con una delle frequenze caratteristiche dell’elemento ma in direzione diversa rispetto a prima. Questo fenomeno crea le righe di emissione. Se invece la luce attraversa del gas più freddo alcuni fotoni, avendo la frequenza adatta, possono interagire con gli atomi del gas e far cambiare livello energetico a qualche elettrone. Il fotone è “assorbito” dal gas e questo crea delle linee scure nello spettro. Queste linee si chiamano linee di assorbimento. Le linee scure di uno spettro di assorbimento appaiono alle stesse frequenza delle corrispondenti linee di emissione. Tutte queste linee si chiamano linee di Fraunhofer in onore del loro scopritore, il fisico tedesco Joseph von Fraunhofer (Straubing 1787 – Monaco di Baviera 1826), anche se la spiegazione del loro significato si ebbe soltanto qualche decennio dopo la scoperta. Le linee di Fraunhofer danno anche una preziosa informazione sulla composizione della sorgente che le emette. Fonte foto: http://www.pno-astronomy.com/Spettroscopia/Teoria/spettroscopia.htm Tutti questi elementi concorrono alla formazione della classe della stella. Per capire meglio le linee di assorbimento e di emissione scomodiamo la tavola degli elementi che riproduciamo qui sotto. Fonte foto: https://it.dreamstime.com/fotografia-stock-tabella-periodica-degli-elementi-image16388820 La regola è la seguente: in ogni colonna il primo elemento (dall’alto) è quello che richiede la maggior energia rispetto agli altri della sua colonna. Quindi scendendo dall’alto in basso la richiesta energetica per entrare in stato di eccitazione e di ionizzazione diventa sempre minore. Procedendo da sinistra verso destra invece essa aumenta. Quindi gli elementi della prima colonna, (Francio, scandio, rubidio, potassio, sodio, litio) sono, nell’ordine, i primi a “scaldarsi”. Questi elementi sono chiamati metalli alcalini. Fonte foto: http://www.fulviobaldanza.it/tavolaperiodica.html Nella tabella sopra sono messi a confronto gli elementi della prima colonna e quelli dell’ultima, la più “dura”. Un ultimo chiarimento: si parla di eccitazione quando l’elettrone passa ad un livello energetico superiore, ma ritorna immediatamente al livello di partenza emettendo energia radiante, la stessa che aveva assorbito per poter passare al livello superiore. Si parla invece di ionizzazione quando l’elettrone viene strappato a causa dell’energia e non torna più, lasciando nell’atomo uno sbilanciamento tra cariche positive e negative. Quindi l’atomo che ha perso un elettrone diventa uno ione di carica positiva, per la precisione un catione. Ogni elemento ha una propria frequenza in entrambi i casi e questo permette la sua identificazione nelle linee. Uno strumento molto utile è il diagramma di Hertzsprung-Russell, abbreviato in diagramma HR. Enjar Hertzsprung (Copenaghen, 1873 – Roskilde, 1967) e Henry Norris Russell (Oyster Bay, 1877 – Princeton, 1957) giunsero separatamente verso il 1910 alla costruzione di un diagramma che metteva alle ascisse la temperatura (o i colori dello spettro) in ordine decrescente da sinistra a destra e alle ordinate la luminosità in ordine crescente dal basso verso l’alto. Nota: più basso è il valore e più grande è la “potenza” della stella e quindi maggiore la sua magnitudine assoluta. Per la maggior parte le stelle, ognuna nella sua fascia di temperatura, si dispongono lungo una diagonale, e questo significa che la luminosità è in linea con lo spettro, mentre le stelle in situazioni critiche si discostano più o meno marcatamente dalla diagonale e questo indica uno stato di “sofferenza”. Fonte Immagine: https://it.wikipedia.org/wiki/Diagramma_HertzsprungRussell Fonte immagine: https://it.wikipedia.org/wiki/Diagramma_Hertzsprung-Russell Nell’immagine sopra si vede la sequenza principale e, nella metà superiore, le giganti rosse e le giganti azzurre, mentre nella parte inferiore le nane bianche. Le giganti azzurre (e le super giganti azzurre) sono stelle che hanno iniziato ad espandersi per insufficienza di idrogeno. Sono poi destinate a trasformarsi in giganti o super giganti rosse a seconda della loro massa. Le nane bianche sono l’evoluzione finale di stelle di piccola e media dimensione. Questo argomento comunque sarà trattato più ampiamente in seguito. Nella sequenza principale invece ci sono le stelle “regolari” che sono nel corso della loro normale esistenza. Attualmente le stelle sono divise in 7 classi (O, B, A, F, G, K, M) ognuna delle quali divisa in 10 sottoclassi (da 0 a 9). Esiste inoltre una classe di luminosità espressa in numeri romani (da I a V) ricavata dalle linee di assorbimento e che indica la densità superficiale della stella. Stelle di classe O: sono stelle molto calde e luminose. A partire dalla sottoclasse 05 presentano righe di Elio ionizzato sia in emissione che in assorbimento nonchè righe di altri elementi neutri come Carbonio, Sodio, Ossigeno e Silicio. Le righe dell’Idrogeno sono molto deboli perché a queste temperature l’idrogeno è già tutto ionizzato. Stelle di questo tipo sono le tre stelle che compongono la cintura di Orione, Alnilam (eta Orionis), Alnitak (zeta Orionis) e Mintaka (delta Orionis). Queste stelle bruciano velocemente le loro riserve ed hanno vita (relativamente ai tempi stellari) molto breve. Si ritiene che non possano avere un sistema planetario. Sono stelle molto rare nell’universo. Stelle di classe B: presentano ancora righe di Elio neutro molto intense ma in diminuzione rispetto alla classe precedente e si vedono un po’ più marcate le righe dell’idrogeno nonché righe di Carbonio ed Ossigeno ionizzati. Stelle di questo tipo sono ad esempio Rigel (beta Orionis, Mimosa o Becrux (beta Crucis), Spica (Alfa Virginis), Achernar (Alfa Eridani), Regolo (Alfa Leonis), Alkaid (Eta Ursae Majoris). Anche questo tipo è abbastanza raro. Stelle di Classe A: sono stelle la cui massa è da una volta e mezzo a due volte quella del Sole. Qui si vedono molto marcate le righe dell’Idrogeno neutro nonché di metalli ionizzati come Ferro, Magnesio e Silicio. Non sono rare come le precedenti ma nemmeno diffusissime. Appartengono questa classe: Sirio (Alfa Canis Majoris), Vega (Alfa Lyrae, Altair (Alfa Aquilae), Fomalhaut (Alfa Piscis Austrinis), Bellatrix (Gamma Orionis), Deneb (Alfa Cygni). Stelle di Classe F: Sono molto simili alla classe A, ma presentano righe di Idrogeno più deboli, causa la minore temperatura, righe di Calcio ionizzato ed anche righe di Calcio neutro. Sono stelle di questa classe: Stella Polare (Alfa Ursae Minoris), Procione (Alfa Canis Minoris), Canopo (Alfa Carinae), Mirfak (Alfa Persei). Stelle di Classe G: Righe di Idrogeno deboli, bande molecolari di cianogeno e dello ione CH. Cominciano ad emergere righe di metalli. Appartengono a questa classe: il nostro Sole, Alfa Centauri, Polluce (Beta Geminorum). Stelle di Classe K: le stelle si sequenza principale hanno masse da metà ad 8/10 di quella del Sole. Nello spettro di queste stelle sono quasi assenti le linee dell’idrogeno perché non dotate di temperatura sufficiente per eccitarlo. Presentano righe di metalli neutri. Sono di questa classe: Ran (Epsilon Eridani), Arturo (Alfa Bootis) che è una gigante rossa, Aldebaran (Alfa Tauri) che è una gigante arancione, Schedir (Alfa Cassiopeiae), anch’essa una gigante arancione. Queste ultime tre stelle, elencate per luminosità superficiale nella classe K, in realtà sono stelle enormi, grandi anche 40 volte il Sole (per dimensione, non per massa) e si sono gonfiate per “asfissia”. Inevitabilmente saranno destinate a collassare ed esplodere. Sono stelle che si trovano fuori dalla sequenza principale. Stelle di Classe M: le stelle della sequenza principale hanno masse che vanno da 1/10 a 5/10 di quella del Sole. Anche qui, come in precedenza, appartengono alla classe stelle giganti ed alcune anche super giganti. Nello spettro, è assente l’idrogeno e le linee dei metalli ionizzati sono molto deboli. Sono presenti le linee di metalli neutri. Stelle di questo tipo sono: Proxima Centauri nonché le gigantesche Gacrux (Gamma Crucis) gigante rossa, Mira (Omicron Ceti) gigante rossa,Antares (Alfa Scorpii) gigante rossa e Betelgeuse (Alfa Orionis) super gigante rossa ormai prossima all’esplosione ed oggetto dei desideri di tutti gli scienziati che sperano di avere la fortuna di poterla vedere nello stadio di supernova e poi di assistere allo scoppio. Con l’affinarsi degli strumenti e con la messa in orbita di telescopi spaziali, sono stati scoperti nuovi tipi di stelle che non rientrano pienamente nelle classi precedenti. Vediamo brevemente di cosa si tratta: Classe W – stelle di Wolf-Rayet. Charles Wolf (Vorges, 1827 – Parigi, 1918) e Georges Rayet (Bordeaux, 1839 – 1906), due astronomi francesi, fecero delle osservazioni su alcune stelle e scoprirono che avevano delle forti emissioni in una banda continua. Per lungo tempo non si seppe dare una spiegazione a questo fenomeno ma alla fine si scoprì che forti venti stellari avevano spazzato via l’involucro di idrogeno ed era presente Elio superficialmente. Sono stelle che in origine avevano grande massa, circa 40 M (masse solari) e con temperature estremamente elevale, molto più calde delle normali stella di classe O. Successiva ricerche hanno portato alla identificazione di due sottoclassi, WN e WC. Nella prima vi sono righe di azoto (N) e nella seconda di Carbonio (C). Sia la sottoclasse WN che la WC sono state ancora suddivise in E (early) più calde e L (late) meno calde. Sono state create ancora ulteriori suddivisioni, ma le tralasciamo. Stelle di classe W sono Gamma Velorum (1280 circa anni luce dalla Terra) e WR104 a circa 8000 anni luce dalla Terra, una stella doppia della costellazione del Sagittario. Ci sono ancora altri tipo di stelle che presentano caratteristiche intermedie tra le classi O e B. In realtà non si tratta di nuovi tipi ma di stadi intermedi nella vita evolutiva degli astri. Affinando ancora gli strumenti e le tecniche di osservazione sicuramente si avranno altre sorprese, specialmente nei corpi più lontani: quando si osserva il cielo non si guarda il presente, ma il passato. Il telescopio spaziale Hubble alla sua massima potenza avrebbe individuato una galassia distante 13 miliardi di anni luce dalla Terra. Siamo quindi a “soli” 400 milioni di anni dal Big Bang. Dopo la lettera M molti scienziati utilizzano le lettere L e T. Le stelle di tipo L, per esempio, hanno temperature comprese tra 1200 e 2000 K, quelle di tipo T sono ancora meno calde (da 700 a 1200 K). Si tratta per lo più di stelle che hanno una massa inferiore a 0,08 Masse Solari nelle quali si ritiene non si sia innescata la reazione nucleare e quindi le radiazioni che emettono sono di natura termica causate dalla loro progressiva contrazione (nane brune) oppure di stelle WR ormai giunte alla loro fine. Torna all’inizio pagina Il sole e l’altre stelle Questo articolo non è espressamente dedicato al Sole ma alle stelle in generale. Ci occupiamo del Sole sia perché è la stella più vicina a noi sia perché la stessa scienza la usa come termine di paragone in molte situazioni. Quindi una minima descrizione del nostro Sole è necessario darla. Il Sole è una comune stella di classe G2V (il significato della sigla è stato illustrato nel paragrafo precedente.), una nana gialla che dista circa 150 milioni di chilometri dalla Terra. Nel diagramma HR, per fortuna, si trova nella sequenza centrale. Si è formato circa 5 miliardi di anni fa e dovrebbe durare almeno per altrettanti anni. Le zone in cui è diviso il Sole sono le seguenti: – nucleo: 150.000 chilometri; – zona radiativa: estesa per 500.000 chilometri circa; – regione convettiva: estesa per 250.000 chilometri; – fotosfera: è la parte visibile, spessa circa 400 chilometri; – cromosfera: sfera di colore alta circa 2.000 chilometri; – corona: sopra la cromosfera e dispersa sotto forma di vento solare. Il nucleo è la parte più interna del Sole, e di conseguenza la più calda (circa 15 milioni di Kelvin). Al suo interno si svolgono le reazioni di fusione nucleare che trasformano l’idrogeno in elio. L’energia generata viene emessa sotto forma di radiazioni elettromagnetiche. La zona radiativa (radiativa = che irradia) è l’involucro che riveste il nucleo e ne assorbe le radiazioni trasferendole agli strati più esterni attraverso irraggiamento. Questo meccanismo prevede la continua riemissione dei fotoni che, muovendosi in tutte le direzioni, sono assorbiti e riemessi dalle particelle già presenti nello strato. In questa zona, che ha uno spessore di circa 500 000 km, la temperatura e la densità diminuiscono man mano che ci allontaniamo dal nucleo. Qui non avvengono reazioni di tipo termonucleare. Nella zona convettiva ci sono enormi movimenti di masse di gas. Queste correnti (correnti convettive) si muovono verso gli strati più esterni del Sole, in un’azione di continuo rimescolamento che tende a trasportare l’energia generata negli strati più interni verso la superficie del Sole. Nella termodinamica e nel magnetismo si parla di irraggiamento quando il trasferimento di energia tra due corpi avviene a mezzo di onde elettromagnetiche. Si parla invece di convezione termica quando lo scambio di calore avviene per moti di circolazione interna al fluido. La termodinamica prevede tre modi di trasmissione del calore: convezione, conduzione e irraggiamento. La fotosfera è notevolmente più sottile degli stati precedenti (300/400 km di spessore) ed è il primo strato visibile del Sole. Le temperature in questa zona si aggirano intorno ai 6000 K, e sulla sua superficie si possono distinguere aree più luminose e più calde, chiamate granuli. In questa zona sono distinguibili anche le cosiddette macchie solari, delle aree circoscritte, caratterizzate da temperature inferiori rispetto alle zone adiacenti (circa 4000 K) e da un’intensa attività elettromagnetica. Questi campi magnetici appaiono durante periodi di intensa attività solare. Fin dal 1700 gli scienziati registrano il numero delle macchie solari ed è stato accertato che tra la fine del 1600 ed il 1715 le macchie quasi erano scomparse provocando un intenso raffreddamento della Terra. Il ricercatore danese Friis Christensen ha condotto uno studio che dimostrerebbe la stretta correlazione tra attività solare e clima globale. Sono state osservate macchie analoghe a quelle del sole anche su altre stelle. In questo caso prendono il nome di macchie stellari. La cromosfera è l’ultimo involucro con un limite definito, molto sottile (2000 km), costituito principalmente da gas rarefatti. E’ visibile a occhio nudo solo al principio e alla fine delle eclissi totali di Sole. Presenta un’intensa colorazione rossastra causata dalla massiccia presenza di atomi di idrogeno ed è sede di fenomeni quali i brillamenti e le protuberanze. Il brillamento solare o anche eruzione solare è una violenta eruzione di materia che esplode dalla fotosfera di una stella, sprigionando un’energia equivalente a varie decine di milioni di bombe atomiche. È causato da un improvviso rilascio di energia in occasione di un fenomeno di riconnessione delle linee del campo magnetico. La protuberanza è un enorme getto di plasma solare spinto da forze magnetiche e proveniente dalla cronosfera. La corona rappresenta la parte più esterna del Sole. Si estende per decine di km in modo del tutto irregolare intorno al Sole, e la temperatura cinetica al suo interno è molto elevata. Verso l’esterno della corona, i flussi di particelle di gas ionizzati riescono ad acquisire notevole velocità grazie alle elevate temperature. Questi flussi prendono il nome di venti solari e sono diffusi per tutto il Sistema Solare. Sono composti principalmente da elettroni e protoni. Il campo magnetico terrestre protegge il pianeta da questo fenomeno. Illustriamo alcuni dati fisici del Sole: il diametro equatoriale è di circa 1.391.400 chilometri; quello polare di poco inferiore. La superficie è di 6,0877 x 1018 metri quadrati, mentre il volume è di 1,4122 x 1027 metri cubi e la massa 1,9891 x 1030 kg. La massa solare (M) viene presa come unità di misura della massa delle altre stelle che si valutano in multipli o sottomultipli di M. Da quando il Sole è nato ha già bruciato il 40% dell’idrogeno originario, che costituiva il 75% della massa nucleare totale. Comunque, come già detto, ne ha ancora abbastanza per andare avanti altri 5 miliardi di anni. Cosa avviene all’interno del nostro Sole? Il Sole, come le altre stelle, è un enorme reattore nucleare a fusione. Per le stelle di massa fino a 1,5 M il processo nucleare avviene attraverso il ciclo detto protone-protone. Le condizioni estreme presenti nel nucleo del sole fanno sì che i protoni si fondano tra loro. Perché due protoni possano fondersi è necessario che abbiano uno spin antiparallelo, cioè di segno opposto (+1/2, -1/2). L’incontro ha breve vita. Se durante questo incontro avviene un decadimento beta (mediamente uno ogni 1027 incontri) allora si trasformano in deuterio espellendo un neutrino ed un positrone. Quest’ultimo si annichilirà col primo elettrone che incontra liberando radiazioni gamma energetiche sotto forma di fotoni. Il deuterio appena formato si fonde a sua volta con un altro nucleo di idrogeno, formando così un nucleo di elio 3He, un isotopo leggero dell’elio, e liberando altri raggi gamma. Infine i due nuclei di elio leggero si fondono in un nucleo di elio normale liberano due protoni. In definitiva, semplificando, il ciclo protone protone (p-p) é dunque: 6 atomi di Idrogeno (numero atomico 1 formato da 1 protone ed 1 elettrone) danno un atomo di Elio (numero atomico 2 – due protoni, due neutroni, due elettroni) liberando due protoni e raggi energetici sotto forma di raggi gamma. I raggi gamma o raggi g sono radiazioni ad altissima frequenza, tra le più alte, e derivano da processi subatomici. In condizione normale ci vogliono circa 10 miliardi di anni perché due protoni, sotto l’effetto di spinte casuali, riescano a fondersi. Nelle condizioni estreme del Sole (e delle stelle in genere) il calore, la pressione e la grande disponibilità di idrogeno fanno sì che avvengano 1038 cicli p-p al secondo. Ora consideriamo il peso atomico dei quattro atomi di idrogeno “consumati” nel processo: esso vale 1,0079 x 4 = 4,0316. Il peso atomico dell’Elio è di 4,00260 e quindi c’è una perdita di massa di 0,0290. Questa massa è stata trasformata in energia. I fotoni emessi dal nucleo escono dal Sole seguendo un percorso del tutto casuale e questo comporta che impieghino circa 100.000 anni per emergere. I neutrini invece impiegano otto minuti per arrivare sulla Terra. Quindi a fronte di neutrini “freschi” ci sono raggi vecchi di 100.000 anni. Questo ha permesso agli studiosi di stabilire che negli ultimi 100.000 anni non ci sono state variazioni di regolarità nel funzionamento del nostro Sole. Prima di chiudere questo argomento sono necessarie due parole su uno strumento, il Borexino, che ha come compito lo studio dei neutrini. E’ uno strumento molto sensibile ed è situato in una galleria posta sotto 1200 metri di roccia. E’ nato al seguito di una intesa tra Italia, Francia, Germania, Polonia, Usa e Russia. E’ composto da una sfera di 13,7 metri di diametro immersa in 2.400 tonnellate di acqua altamente radio-purificata, che serve come primo schermo per le emissioni radioattive ambientali e come rivelatore per le poche radiazioni emesse dai contaminanti. All’interno del volume d’acqua si trova una seconda sfera, di acciaio, al cui interno sono fissati 2.200 sensori (fotomoltiplicatori), occhi elettronici che registrano l’emissione di lampi di luce, anche debolissimi, provocati dai neutrini quando interagiscono nel rivelatore. Questa sfera contiene 1.000 tonnellate di pseudocumene, un idrocarburo utilizzato per schermare la parte sensibile del rivelatore. Infine, il cuore ultimo di Borexino contiene, dentro una sfera di nylon di 8,5 metri di diametro, 300 tonnellate di liquido scintillatore. Il funzionamento ricorda quello di un vecchio flipper: quando i neutrini si scontrano con gli elettroni del liquido scintillatore trasferiscono loro parte della propria energia, provocando un’emissione luminosa da parte delle molecole del liquido. Questi lampi vengono visti dai fotomoltiplicatori grazie alla trasparenza del liquido interno alla sfera. L’apparato consente di misurare l’energia e la posizione degli urti provocati dai neutrini incidenti. Le notizie su Borexino sono state attinte da: http://www.focus.it/scienza/spazio/il-sole-brilla-come-100000-anni-fa Fonte http://www.focus.it/scienza/spazio/il-sole-brilla-come-100000-anni-fa Il ciclo carbonio-azoto-ossigeno Nelle stelle superiori a 1,5 masse solari, se nel nocciolo, dove la temperatura supera i 20 milioni di kelvin, ci sono altri elementi oltre all’idrogeno e all’elio, si può avviare un altro tipo di reazioni, denominato ciclo CNO (carbonio-azotoossigeno). Il ciclo CNO inizia quando il protone di un nucleo di idrogeno si fonde con un nucleo di carbonio, formando un nucleo di azoto 13 instabile e liberando energia sotto forma di raggi gamma. Il nucleo di azoto, essendo instabile, decade in un isotopo del carbonio 13, liberando un positrone ed un neutrino. Il carbonio formatisi, si fonde a sua volta nuovamente con un nucleo di idrogeno, formando un nucleo di azoto e liberando altri raggi gamma. L’azoto, a sua volta si fonde con un altro nucleo di idrogeno, liberando altri raggi gamma e creando un nucleo instabile di ossigeno, che decade in un isotopo dell’azoto, liberando un positrone ed un neutrino. Il ciclo si conclude quando l’isotopo dell’azoto appena formatosi, fondendosi con un nucleo di idrogeno, si trasforma in un nucleo di carbonio e in uno di elio. In definitiva si consumano sempre 4 atomi di idrogeno per ottenere un atomo di elio, due neutrini ed emissioni di raggi gamma. Il carbonio viene restituito e potrà essere riutilizzato. Gli altri elementi sono tutti transitori: nascono e vengono usati “alla pari”. Così come nascono e vivono, anche le stelle son destinate a morire. In condizioni normali l’equilibrio idrostatico della stella è assicurato dalle reazioni nucleari, che contrastano il collasso gravitazionale. Nella meccanica del continuo, l’equilibrio idrostatico è la condizione di un fluido che si trovi in ogni suo punto in una condizione di inerzia; in ogni suo punto le eventuali forze esterne devono cioè essere annullate dalle forze di gradiente della pressione. Le stelle con masse comprese tra 0,08 e 0,8 masse solari, le nane rosse, quando comincia la scarsità dell’idrogeno, si riscaldano ed accelerano la velocità delle reazioni nucleari al loro interno. Dopo una breve fase di maggior brillamento e dopo aver convertito in elio tutto l’idrogeno degli strati interni, si contraggono gradualmente evolvendo in nane bianche costituite prevalentemente da elio. Le nane bianche sono poco luminose e quindi difficili da trovare. Siccome si calcola che la durata della sequenza principale di queste stelle possa essere di 80 miliardi di anni mentre l’età calcolata per l’universo si aggira solo sui 13,7 miliardi di anni, non dovrebbero esistere stelle di questo tipo. Esistono comunque nane bianche derivate da altri processi stellari e si calcola che costituiscano il 97% del materiale delle galassie. Per le stelle più grandi di queste, quando la reazione di fusione comincia a scemare, la stella, non potendo più opporre alla forza gravitazionale la pressione di radiazione incomincia a contrarsi su se stessa. Le stelle con massa compresa tra 0,8 ed 8 M subiscono, con la contrazione, un aumento della temperatura interna e nello strato intorno al nocciolo, formato principalmente da idrogeno, si innescano nuovamente reazioni di fusione dell’idrogeno in elio. A causa dell’energia che ricevono, le stelle si espandono e si contraggono continuamente. Si dice che la stella è in una fase di sub-gigante. E’ una fase molto instabile. Quando l’energia sprigionata dal collasso gravitazionale innesca la reazione nucleare dell’idrogeno in uno strato esterno al nucleo di elio, il calore della reazione fa gonfiare gli strati periferici e la stella si trasforma in gigante rossa. Si calcola che questo stadio duri circa un miliardo di anni. La fusione dell’idrogeno genera ancora elio nella parte esterna della stella. Quando l’idrogeno (esterno) comincia a scarseggiare, la stella collassa su se stessa. Il collasso di materia genera enorme calore. Quando la temperatura del nocciolo raggiunge i 100 milioni di kelvin, si innescano le reazioni di fusione dell’elio. Quindi abbiamo una fusione esterna che consuma il residuo di idrogeno sintetizzandolo in elio, ed una fusione interna al nocciolo che consuma l’elio e lo trasforma in carbonio. Il processo tre alfa è il processo per cui tre nuclei di elio (numero atomico 2), detti appunto particelle alfa, vengono trasformati in nuclei di carbonio (numero atomico 6). Esso inizia quando due nuclei di elio si fondono a formare un nucleo di berillio. Il berillio prodotto è però instabile, e nell’ordine di 10-16 secondi decade di nuovo nei due nuclei di elio. Nelle condizioni in cui si svolgono queste reazioni di fusione, però, si forma una piccola sovrabbondanza di berillio stabile, che fondendosi con un altro nucleo di elio, si trasforma in carbonio. Per le stelle con massa fino a 2 M questo è l’ultimo passaggio, esaurito il quale la stella diventa una nana bianca che va lentamente spegnendosi e, alla fine di tutto, resterà solo una palla di carbone compresso. E’ questa la sorte che toccherà al nostro Sole. Cosa succederà alla nostra Terra? Il destino della Terra dipende da tanti fattori che non è qui il caso di considerare. In breve, secondo la teoria di Milankovic –Milutin Milankovic (Dalj [Croazia] 1879, Belgrado [Serbia] 1958) – tra un paio di miliardi di anni la radiazione solare, diventata molto più forte, segnerà la perdita degli oceani. Tra quattro miliardi di anni la Terra subirà un mortale effetto serra e la vita si estinguerà. Successivamente sarà lambita dal Sole, diventato gigante rossa, e la sua atmosfera si incendierà ed il pianeta sarà vetrificato. C’è anche l’ipotesi che infine possa essere ingoiata del tutto dal Sole, subendo la sorte già toccata a Mercurio e Venere. Che questo avvenga o meno non farà purtroppo molta differenza. Nelle stelle più grandi di 2 M, nelle quali è presente sufficiente carbonio, si innesca il processo alfa. A partire dalla fusione del carbonio e dell’elio nella stella viene sintetizzato ossigeno (numero atomico 8) che a sua volta può combinarsi con un altro nucleo di elio formando neon , che a sua volta può fondersi con un altro nucleo di elio trasformandosi in magnesio. La produzione di neon e di magnesio è molto difficile, perciò all’interno del nucleo si viene a formare una grande quantità di carbonio e ossigeno, a discapito di elementi più pesanti come il neon (numero atomico 10), presenti in minor percentuale. Le stelle più massicce ripetono più volte un ciclo di contrazione ed espansione innescando la fusione di un elemento più pesante ogni volta che si esaurisce l’ultimo elemento usato (diciamo x per comodità), che a sua volta è la “cenere” della fusione precedente, quella dell’elemento (x-1). La cenere della combustione attuale del nucleo (elemento x+1) sarà quello che innescherà, se vi saranno le condizioni, la prossima reazione. L’elemento (x-1) continua la sua reazione esternamente al nucleo, lasciando come cenere l’elemento x nell’involucro esterno. Lo stesso elemento x intanto reagisce al centro e si consuma. Di fatto è come “fosse trasferito” all’esterno. Se, alla fine di uno qualsiasi di questi cicli, nel nucleo si è formato un adeguato strato di gas degenere, cioè estremamente denso e compatto, la stella in contrazione esplode come supernova di tipo II. In caso contrario, se la massa non è sufficiente a innescare una nuova reazione, la stella diventa una nana bianca e va lentamente spegnendosi. Le stelle che continuano dopo il ciclo alfa diventano supergiganti rosse: la temperatura sale fino ad attivare la fusione dell’elio nel guscio attorno al nocciolo, mentre il nocciolo, contraendosi, raggiunge gli 800 milioni di kelvin, temperatura alla quale si attiva la fusione del carbonio in elementi più pesanti. In questa fase, all’interno del nocciolo, i nuclei di carbonio, presenti in grande quantità, si fondono tra loro a due a due, dando a vita a ossigeno, magnesio e neon. Terminato il carbonio nel nucleo, le reazioni si interrompono e la stella riprende a contrarsi. La fase successiva a quella del carbonio (del nucleo): nel guscio attorno al nucleo si riattivano le reazioni del carbonio e nel nocciolo, una volta raggiunta la temperatura di circa 1,2 miliardi di kelvin, si attiva il processo di fusione del neon. A queste temperature, alcuni nuclei di neon decadono in ossigeno ed elio. Con il processo del neon, al centro della stella si crea un nucleo inerte di ossigeno e magnesio. Terminato il neon, il nucleo si contrae in seguito al collasso gravitazionale, e si creano le condizioni per attivare il processo di fusione dell’ossigeno, che necessita di temperature nell’ordine di 1,5 miliardi di kelvin. La reazione che più probabilmente avviene è quella che porta alla produzione di silicio (numero atomico 14). Terminato il processo dell’ossigeno, la stella riprende a contrarsi e se il nocciolo riesce a raggiungere la temperatura di 4-5 miliardi di kelvin, sia avvia il processo di fusione del silicio, estremamente rapido. La fusione di nuclei di silicio porta alla produzione di nichel, che a sua volta si fonde con un altro nucleo di silicio, espellendo un positrone ed un neutrino e trasformandosi in cobalto, che a sua volta si fonde con un altro nucleo di silicio portando alla produzione di un isotopo estremamente stabile del ferro ed all’espulsione di un altro neutrino e di un altro positrone. Una volta prodotto ferro all’interno del nucleo, non si possono attivare altre reazioni di fusione, poiché le reazioni, a partire da tale elemento, non liberano energia bensì la assorbono. La contrazione gravitazionale della stella a questo punto non trova più ostacoli, e la stella collassa su se stessa inevitabilmente e rapidamente. La fine della stella dipenderà ancora una volta dalla sua massa: se inferiore a 8 masse solari, diventerà una nana bianca; se superiore, invece, esploderà in maniera catastrofica come supernova, dando luogo infine o ad una stella a neutroni o ad un buco nero. Alle stelle ancora più grandi, almeno 12/13 M, che abbiano avuto la sorte di perdere molta massa per effetto di forti venti stellari, questa fine forse è risparmiata e si trasformano in stelle di Wolf-Rayet. Sono stelle molto calde e luminose che emettono soprattutto nella banda dell’ultravioletto e dei raggi X molli. Recenti studi però cominciano a ventilare l’ipotesi che anche queste stelle, invece che godere di “serena vecchiaia”, come si riteneva, e trasformarsi lentamente in nane bianche, possano essere soggette ad una esplosione tipo supernova. Nana bianca (nana degenere): è una stella di piccole dimensioni, scarsamente luminosa, con dimensioni rapportabili a quelle della Terra ma con massa rapportabile a quella del Sole o anche maggiore. Nova: quando una nana bianca si trova in prossimità di un’altra stella dalla quale può “succhiare” idrogeno creando un forte accumulo di tale gas sulla sua superficie, diventa improvvisamente molto brillante per pochissimo tempo e poi esplode. Il termine nova indica sia il fenomeno che la stella in esplosione. Stella di neutroni: ipotizzata teoricamente nel 1893 e scoperta nel 1968, è una stella compatta formata da neutroni. Ha un raggio di una decina di chilometri ma una massa notevolmente superiore a quella del Sole. E’ visibile indirettamente a causa del suo fortissimo campo magnetico. Supernova: E’ l’esplosione delle stelle con massa di almeno 8M. Per un periodo che va da poche settimane e qualche mese la supernova emette tanta energia quanta ne produce il Sole in tutta la sua esistenza. Con l’esplosione la stella emette quasi tutto il suo materiale formando una nube di gas interstellare. L’esplosione della supernova porta alla creazione dei metalli pesanti e dalla nube residuale potrebbero nascere altre stelle. Una candidata a diventare supernova è Betelgeuse, che attualmente è una super gigante rossa ormai alla fine dello stadio. Non si sa quanto ci vorrà affinchè esploda. C’è chi dice tra qualche secolo, chi tra alcuni millenni. C’è anche chi spera (la stella dista 640 anni luce dalla Terra) che sia già esplosa e che presto ne vedremo gli effetti. Sempre secondo gli scienziati, anche se la distanza non è di assoluta sicurezza, la Terra non dovrebbe avere conseguenze a causa di questa esplosione. Buco nero: costituisce l’oggetto più strano dell’universo e non può essere descritto con le leggi della fisica. La gravità del buco nero è così grande che la materia in esso compressa ha densità praticamente infinita. Esiste un limite, chiamato orizzonte degli eventi, superato il quale nemmeno i raggi di luce riescono a sottrarsi alla sua attrazione. Il raggio che invece passa vicino all’orizzonte viene sdoppiato ed incurvato e forma il fenomeno della lente gravitazionale previsto da Einstein nella sua Teoria della Relatività. La stessa teoria però non riesce a spiegare i buchi neri e quindi li considera “anomalie”. Nella teoria della relatività generale, una lente gravitazionale è un fenomeno caratterizzato dalla deflessione della radiazione emessa da una sorgente luminosa a causa della presenza di una massa posta tra la sorgente e l’osservatore. A proposito di anomalie: quando Newton concepì la sua teoria della “Gravitazione Universale” considerò (non poteva fare diversamente) lo Spazio come uno spazio euclideo a tre dimensioni col tempo a latere a fare da silenzioso spettatore dello svolgersi delle cose. Tuttavia aveva capito che le orbite dei pianeti non erano orbite chiuse, ma erano influenzate da tutte le masse degli altri corpi del sistema solare e quindi calcolò con accurata precisione queste anomalie. I suoi calcoli furono riscontrati con l’osservazione, ed andavano bene per tutti i pianeti tranne che per Mercurio. Differenze minime, intendiamoci, ma differenze non gradite. Molti scienziati tentarono di risolvere questo problema ricorrendo a varie ipotesi, ma bisogna aspettare Einstein e la sua relatività per averne la spiegazione: le masse Mercurio-Sole sono troppo ravvicinate per non essere influenzate da una sia pur minima curvatura spazio-temporale, che provoca la cosiddetta “precessione degli equinozi” o “precessione del perielio” di Mercurio. Per spiegare un errore minimo è stato necessario rivoluzionare il concetto dello spazio ed impastarlo col tempo come conseguenza delle masse. Quindi a conti fatti l’errore di Newton derivava dalla circostanza che la sua teoria era solo una visione parziale, quella percepita allora, di ciò che capita nell’universo. Anche la teoria di Einstein, come abbiamo visto, ha le sue anomalie. Anch’essa è una visione parziale della realtà dell’universo? Probabilmente è così. Quali altre sorprese riserveranno allora le scoperte del futuro? Nelle sue equazioni della relatività generale Eistein fa uso di una “costante cosmologica” indicata con la lettera greca lambda maiuscola (Λ) al fine di ottenere una soluzione statica al suo modello cosmologico. Stephen Hawking non ha bisogno di presentazioni ed è uno dei maggiori scienziati viventi e fra i più brillanti prosecutori dell’opera di Einstein. Secondo la cosmologia quantistica di Hawking potrebbero esserci infiniti universi, coesistenti con il nostro, tutti collegati tra loro da una rete infinita di cunicoli spazio-temporali intercomunicanti. Universi paralleli, insomma, alla ricerca dei quali si prevede di porre in essere esperimenti. Secondo le ricerche del fisico Sidney Coleman (Chicago 1937 – Cambridge 2007) i cunicoli spazio-temporali che collegano il nostro universo con infiniti altri sono fondamentali poiché fungerebbero da elemento stabilizzatore che garantisce all’universo un relativo equilibrio impedendogli di contrarsi su se stesso e magari di esplodere. La costante cosmologica stabilizzatrice usata da Einstein, o meglio il basso valore calcolato per essa, implicherebbe tutto questo. Fino a cento anni fa si riteneva che il nucleo dell’atomo fosse indivisibile. La meccanica quantistica ha portato strumenti nuovi di indagine che hanno permesso di svelare molti meccanismi che non erano nemmeno sospettabili. Alla fine é venuto fuori che il nosro universo, già da solo, è un congegno “infernale”, anche se questo termine stride nei confronti di una creazione divina. La realtà è molto più complessa di quello che si può immaginare e bisognerà svelarla se vogliamo partire per le stelle. Il fatto è che ogni volta che si apre una porta non si accede ad una fornita biblioteca dove si trovano tutti i libri che servono per arrivare alla verità: si giunge in un atrio con alcune riviste di spiegazioni, che aprono più interrogativi di quanti non ne chiudano, e poi ci sono ancora tre porte da aprire per continuare la ricerca. Ci sarà mai una fine? 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