Cronologia shoah 1933 1935 1938 1939 1940 1941 1942 Dopo l’ascesa al potere di Hitler cominciano le discriminazioni contro gli ebrei: esclusione di funzionari e medici da strutture pubbliche, di avvocati dall’Ordine degli avvocati; ebrei non ammessi alla professione di giornalisti; limitazione delle iscrizioni a scuola e università. [Si avvia anche un programma di sterilizzazione di malati di mente, disabili, criminali; primi campi di concentramento per gli oppositori] Leggi di Norimberga: ebrei privati di diritti in quanto considerati privi di cittadinanza (requisito per essere definito ebreo era avere tre nonni ebrei); proibiti i rapporti sessuali e i matrimoni misti. [Intanto anche le donne venivano private di diritti politici (voto) e civili (solo il 10 per cento degli studenti universitari potevano essere donne); inasprimento leggi penali contro omosessualità maschile già presenti dal 1871. Privati dei diritti di cittadinanza anche tutti i non tedeschi] Nuova legge che esclude bambini e ragazzi ebrei dalle scuole tedesche. Circa 300.000 ebrei tedeschi (su 500.000) riescono in questi anni ad emigrare, ma l’accoglienza diventa un problema: nella Conferenza di Evian (luglio) Australia, Canada, Argentina, GB, USA, pongono severi limiti all’accoglienza. La Repubblica Dominicana si rivelerà l’unica disposta ad accogliere 100.000 ebrei. In autunno promulgazione leggi razziali in Italia: vietati i matrimoni misti, posti limiti all’esercizio di certe professioni, revocata la cittadinanza concessa dopo il 1919, divieto di accesso alle scuole. Già nell’estate era stato pubblicato il Manifesto della razza. Notte dei cristalli in Germania, soprattutto a Berlino: come ritorsione dopo l’omicidio del diplomatico vom Rath da parte di un giovane ebreo, nella notte tra il 9 e il 10 novembre negozi e sinagoghe devastati; migliaia di ebrei internati in campi di concentramento che cominciano ad ospitare non solo oppositori politici ma anche “indesiderabili”. Emigrazione in massa degli ebrei presenti nei territori annessi al Reich favorita dal regime, che evita di concentrarli in un solo luogo per scongiurare il rischio della nascita di una nazione ebraica. Sempre scarsa la disponibilità da parte dei paesi occidentali ad accogliere gli ebrei. Le misure discriminatorie si inaspriscono ulteriormente: agli ebrei è proibito usare mezzi pubblici, andare ai concerti, nei grandi magazzini, sulle spiagge, possedere cani Lancio del “nuovo ordine europeo” hitleriano, progetto che disegna il futuro del continente dopo la conclusione della guerra secondo i principi dell’espansionismo e del razzismo. Ebrei, slavi, zingari, sono considerati razze inferiori. Piano di deportazione degli ebrei in Madagascar, mai realizzato. Costruzione di Auschwitz, uno dei campi di concentramento e sterminio più tristemente noti. Le conquiste territoriali fanno cadere in mano nazista circa 3,5 milioni di ebrei (cui se ne aggiunsero 5 dopo l’attacco all’URSS): prende corpo l’ipotesi di deportarli tutti in Polonia; da ottobre convogli carichi di ebrei arrivano nei ghetti polacchi, le cui condizioni di vita diventano insostenibili. Estate: in URSS cominciano le fucilazioni di massa degli ebrei nei territori conquistati (ad esempio, massacro di Babi Yar in Ucraina – 30.000 ebrei uccisi in due giorni nell’autunno del 1941). Settembre: il decreto “Notte e nebbia” dispone la deportazione nei lager dei prigionieri di guerra e dei sospetti di resistenza al Reich – i lager si moltiplicano specialmente a est, spesso in zone isolate, ma servite da linee ferroviarie, e vicino a fabbriche. In ottobre viene proibita l’emigrazione di ebrei. Inverno: a Birkenau per la prima volta entrano in azione le camere a gas, già sperimentate in un programma di eutanasia per malati incurabili prima della guerra. 20 gennaio: conferenza di Wannsee, in cui vertici di SS, polizia, ministeri, partito si riuniscono sotto la guida di Himmler e stabiliscono la deportazione ed eliminazione degli ebrei (“soluzione finale”) che porterà alla morte di circa 6 milioni di ebrei con la collaborazione di circa un milione di individui che contribuiscono alle operazioni di rastrellamento e alla deportazione. Ai campi di concentramento si affiancano i campi di 1943 1944 1945 sterminio, dove lo sterminio di massa viene gestito grazie alle moderne tecniche di soppressione che evidenziano il volto tragico della modernità tecnologica, coniugando scienza e barbarie: vengono utilizzate sistematicamente le camere a gas (generalmente usando il famigerato Zyklon-B) e i corpi vengono cremati nei forni crematori. Talvolta le operazioni di spoliazione e preparazione dei cadaveri vengono compiute da squadre speciali (Sonderkommandos) di detenuti ebrei. Negli anni Sessanta H. Arendt porrà la fatidica questione della passività degli ebrei. Circa 5 milioni di non ebrei moriranno nei lager (tra cui oppositori politici, rom, omosessuali, testimoni di Geova). In febbraio il vescovo di Osnabrueck è a conoscenza del piano di sterminio. Nell’estate la notizia di tale piano filtra in Occidente e giunge con certezza anche in Vaticano (che opta per una strategia di cautela ad majora mala vitanda). Piano generale per l’est che prevede deportazioni in Siberia di 31 milioni di persone razzialmente indesiderabili, sfruttamento in condizione semi-servile della popolazione restante, colonizzazione dei territori dell’est da parte del Herrenvolk. Rivolte di ebrei in Lituania, dove la popolazione collabora attivamente alla persecuzione (il 90% degli ebrei lituani troverà la morte); altre nazioni dove l’antisemitismo locale favorisce l’eliminazione di ebrei sono URSS, Romania, Ungheria. Una significativa eccezione è la Danimarca, dove si salvano quasi tutti gli ebrei grazie al rifiuto della popolazione di collaborare. Aprile: rivolta nel ghetto di Varsavia: moriranno 28.000 ebrei. Tentativi di rivolta isolati in alcuni lager. Ottobre: retata ebrei di Roma gestita dalle SS e avvio delle deportazioni (anche a Bologna e Milano), con istituzione di campi di concentramento e transito in Italia. “Nelle prime ore del 16 (ottobre) le SS circondarono l'antico ghetto (di Roma) e sorpresero nel sonno centinaia di ebrei. Altri furono catturati in varie parti della città in quello e nei giorni seguenti. Sempre il 16 ottobre circa duecento ebrei furono rastrellati a Milano. In seguito non si ebbero altre retate, salvo qualche sporadico arresto e alcune isolate uccisioni in alta Italia. … A quella data Mussolini non aveva ancora deciso cosa fare degli ebrei, nonostante le pressioni di Hitler. … I fascisti presero una decisione il 17 novembre 1943 quando, all'assemblea costituente di Verona, fu approvato il Manifesto programmatico della cosiddetta repubblichina di Salò. L'articolo 7 recitava: "Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica". Il testo era stato redatto da Mussolini, Nicola Bombacci e Alessandro Pavolini. … L'1 dicembre 1943 — come logica conseguenza del Manifesto di Verona — Buffarmi Guidi inviò questo ordine ai prefetti: "1° Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni, mobili ed immobili, debbono essere sottoposti ad immediato sequestro, in attesa di essere confiscati nell'interesse della Repubblica Sociale Italiana, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche. "2° Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero, in applicazione delle leggi razziali italiane vigenti, il riconoscimento di appartenenza alla razza ariana, devono essere sottoposti a speciale vigilanza degli organi di polizia. Siano per intanto concentrati gli ebrei in campi ci concentramento provinciali in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati" (N. Onofri, Ebrei e fascismo a Bologna) Bombardamenti di fabbriche vicino ai lager, dove proseguono le operazioni di sterminio. La RSI continua a occuparsi della deportazione di ebrei italiani in Germania. Le truppe sovietiche avanzano nell’area polacca e raggiungono alcuni campi di concentramento, smantellati frettolosamente dai tedeschi che cercano di cancellare le prove di quanto avvenuto. La data del 27 gennaio, che assumerà una valenza simbolica con l’istituzionalizzazione della giornata della memoria, segna la liberazione di Auschwitz da parte delle truppe sovietiche. Nei mesi successivi verranno liberati gli altri campi, sino alla resa tedesca in maggio. Manifesto della razza (o Manifesto degli scienziati razzisti) Il Manifesto degli scienziati razzisti o, in forma abbreviata, Manifesto della razza, fu pubblicato, con il titolo Il fascismo e i problemi della razza, il 14 luglio 1938 su Il Giornale d’Italia e fu ripreso in ag. sul primo numero della rivista La difesa della razza, diretta da T. Interlandi e voluta da Mussolini in persona. Il testo delinea i tratti del nuovo razzismo fascista alla fine degli anni Trenta. La sua pubblicazione si spiega nel contesto dell’alleanza sempre più stretta con la Germania nazista e prelude alle leggi razziali della tarda estate e dell’autunno del 1938. Nel Manifesto si sostenevano la concezione biologica del razzismo, l’esistenza di una pura razza italiana e la non assimilabilità degli ebrei, che costituivano una razza non europea. Si trattava di posizioni nuove per il fascismo e per la cultura italiana, che conosceva sì correnti razziste al proprio interno ma era rimasta fino a quel momento estranea alle elaborazioni del nazismo. Per queste ragioni il Manifesto suscitò forti perplessità tra gli intellettuali italiani, che tuttavia non tardarono ad aderirvi, e nel mondo cattolico. All’interno del movimento fascista vi fu anche chi provò a elaborare un nuovo manifesto razzista che sostenesse, in opposizione al radicalismo biologico dei tedeschi, l’idea dell’unità della razza italiana come risultato di fattori storici, culturali e religiosi. Ma il tentativo non approdò a nulla di fatto. Il Manifesto portava la firma di studiosi di diversa levatura, nessuno dei quali, a eccezione di G. Landra, era stato consultato prima della pubblicazione. Tra i firmatari di maggior rilievo, il fisiologo S. Visco e il patologo N. Pende (gli unici a formulare una qualche vaga protesta per i modi della pubblicazione), L. Cipriani, docente di antropologia all’università di Firenze, E. Zavattari, direttore dell’Istituto di zoologia dell’università di Roma, F. Savorgnan, docente di demografia a Roma e presidente dell’Istituto centrale di statistica, e il neuropsichiatra A. Donaggio, presidente della Società italiana di psichiatria. Il testo era stato in realtà preparato da Landra, un assistente di S. Sergi presso la cattedra di antropologia dell’università di Roma, su indicazioni precise di Mussolini. Secondo la testimonianza di G. Ciano, Mussolini gli avrebbe confidato proprio il 14 luglio 1938, giorno della sua prima pubblicazione, di aver redatto quasi per intero il testo del Manifesto. (da Enciclopedia Treccani) Il giorno della memoria, stabilito dalla risoluzione delle Nazioni Unite 60/07 nel 2005, è una ricorrenza internazionale volta a commemorare le vittime della Shoah. In Italia è stabilita per legge già dal 2000. Tale istituzionalizzazione della memoria e il moltiplicarsi di musei e monumenti dedicati alla tragedia della shoah non traggano in inganno: per un paio di decenni dopo la fine del conflitto la tragedia avvenuta nei lager non fu oggetto di particolari attenzioni, se non come tassello di una narrazione volta a celebrare le forze vittoriose degli alleati contro la mostruosità di Hitler. A partire dagli anni Sessanta/Settanta è possibile registrare lenti e inesorabili mutamenti nella rappresentazione di quello che proprio a partire da quel periodo verrà nominato prima come Olocausto (“sacrificio”) e poi, più recentemente, come Shoah (distruzione). Le vittime, rappresentate nel dopoguerra come massa informe e anonima di “lavoratori schiavizzati” salvati dai soldati USA, cominciano ad acquistare un volto, a essere protagoniste di storie in cui ciascuno può riconoscersi. Si realizza così quell’identificazione psicologica ed estensione simbolica necessarie, secondo il sociologo culturale Jeffrey Alexander, a fare della shoah non un crimine di guerra come gli altri, ma un trauma culturale collettivo dal valore universale, quasi archetipico. Molti libri (primo fra tutti il Diario di Anne Frank), sceneggiati, film, contribuiscono alla definizione di tale narrazione che restituisce voce alle vittime e alle loro memorie. Tra gli anni Ottanta e Novanta si sviluppano I progetti più significativi di raccolta delle testimonianze (Yale University, Shoah Visual History Foundation), nascono i musei dedicati alla shoah che presentano generalmente la caratteristica di sollecitare l’empatia e la partecipazione emotiva del visitatore, facilitando l’identificazione e l’estensione simbolica. Liberty Park, New Jersey, 1985 Berlino, Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa, 2015 Washington, Museo dell’Olocausto