DI QUALI MACERIE OCCORRE LIBERARSI? di Giovanni Sarubbi Il mese di agosto, si sa, è un mese “morto”. Fa caldo, è periodo di ferie, le grandi industrie chiudono, mari e monti si affollano di turisti. I mass media sono di solito pieni di argomenti “balneari”. Ci sono quotidiani, anche importanti, che puntano su storie pruriginose a base di sesso. La frivolezza prevale su tutto. Se poi, complice il caldo, ci scappa l’omicidio passionale, magari con un pizzico di mistero, per i mass media è la pacchia assoluta. L’omicidio diventa la notizia principale per settimane. Quest’ anno niente omicidi. All’inizio del mese è iniziata l’ennesima guerra in Libia, ma su questo argomento è calato il silenzio. Troppo controproducente per l'industria turistica “bombardare” mediaticamente i cittadini con notizie belliche, potrebbero impressionarsi e terminare anzitempo le vacanze. E così sulla guerra poco o nulla è stato detto. In compenso sono venuti fuori due argomenti “islamici” che hanno tenuto banco a lungo, la questione della poligamia e quella del burkini, il costume usato dalle donne musulmane, dichiarato fuorilegge in Francia. Dibattiti accesi si sono sviluppati su questi argomenti che se fossero questioni di vita o di morte. Su entrambe le questioni, filosofi e teologi di valore hanno speso parole di fuoco e la loro credibilità senza tema di cadere nel ridicolo. Ma l’islam, si sa, è un argomento che sui massmedia “tira”, soprattutto quando si può mostrarlo in un’ottica negativa. E capita così di leggere e sentire parole incredibili sul burkini, assurto addirittura ad una questione fondamentale per la “democrazia occidentale”, con i soliti “califfi padani” islamofobi dire semplicemente che loro preferiscono le donne svestite, con un bel “basta donne imbacuccate”. Cioè democrazia allo stato puro! Manca solo l’indicazione, a cotanti difensori dei valori occidentali, di svestire loro direttamente e pubblicamente le donne che volessero andare in giro vestite come si vestono abitualmente le suore cattoliche. Poi è giunto il terremoto nel centro Italia che, da un lato, ci ha rimesso con i piedi per terra e dall’altro ha fatto partire un’intensa campagna mass-mediatica, piena di buoni sentimenti, tendente a coprire le responsabilità e i ladrocini messi in luce dal disastro, sfruttando l’abnegazione dei volontari e il sentimento di solidarietà dei cittadini. Per chi, come me, ha vissuto l’esperienza del terremoto dell’80 in Irpinia, sembra di rivedere le stesse scene e riascoltare le stesse parole. Oggi come 36 anni fa si è scavato a mani nude. Oggi, come 36 anni fa, uno degli argomenti più ripetuto è quello sulla caduta delle chiese e sulla necessità di rimettere sù i campanili. Ricordo, come fosse ieri, un incontro tenutosi nella biblioteca provinciale di Avellino a poche settimane dall’emergenza fra i rappresentanti della regione Lazio, anche allora ci furono i gemellaggi, e un gruppo di comuni dell’area attorno ad Avellino. Un sindaco chiese del gasolio, un altro, di un piccolo paese, chiese la ricostruzione della chiesa come fatto prioritario. Scoprii poi che era parente del parroco del paese. Ecco, sentendo ieri le parole del Vescovo Giovanni D'Ercole ai funerali di stato che ha detto “le nostre campane torneranno a suonare”, mi è ritornata a mente quella scena di 36 anni fa. Oggi come allora si pensa alla chiesa fatta di mattoni, alle mura, alle strutture che, nelle zone centrali del nostro paese, caratterizzano quella che si può ben definire una “chiesa dei beni culturali”. La chiesa dei cuori, della fraternità, della misericordia, viene messa da parte, in una realtà che mette a nudo come le comunità locali, a partire dalle comunità cristiane, siano formate da persone che non hanno rispetto per l’umanità, che rubano sul cemento, sui ferri, sui criteri di costruzione, che chiudono gli occhi e la bocca di fronte agli interessi privati raggiunti a qualsiasi costo, anche quello della vita altrui. Non c’è Dio e non c’è Cristo in chi ruba coscientemente la vita agli altri. L’unico Dio che viene venerato da costoro è “il Dio Denaro” e “chiedere a Dio cosa faremo dopo”, come ha detto il Vescovo D’Ercole, significa continuare a giustificare i ladrocini, le ingiustizie, il mancato rispetto dell’umanità di tutti e della Madre Terra che ci ospita. La responsabilità non è di Dio ma degli uomini. E le massime autorità dello Stato lì presenti hanno recitato a pieno la loro parte e hanno detto le parole che vengono ripetute sempre in tali occasioni, quel “nessuno verrà lasciato solo”, più e più volte ripetuto, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Siamo ancora a “scavare con le mani”, con il responsabile dell’autorità anticorruzione che si auspica di poter ricostruire le zone distrutte “senza ladri e senza mafia”. Ma per fare ciò c’è bisogno di una comunità umana che partecipi attivamente alla vita pubblica, che non deleghi a nessuno le sorti dei propri paesi, che non venga imbrogliata dal pietismo che copre le responsabilità. C’è bisogno di riscoprire l’indignazione e l’impegno per la giustizia. La chiesa dei beni culturali è andata giù, pigliamone atto e diciamo finalmente “alleluia”. Prima che i mattoni e le case occorre ora ricostruire la comunità, che assuma le proprie responsabilità e si impegni per la giustizia, rispettando la vita e la madre Terra. Dobbiamo chiedere a tutti di essere responsabili dei propri fratelli e sorelle. Lasciamo stare Dio. Lui non c’entra con il poco cemento nelle travi o nel tenere in piedi case e uffici pubblici sicuramente pericolosi. È l’ora di riscoprire l’umanità di Dio che vive nei nostri fratelli e sorelle nell’umanità e che troppo spesso le comunità religiose, ed in particolare quelle cristiane, calpestano in nome di un Dio feroce e sanguinario che esiste solo nella loro perversa mentalità. Un Dio feroce che è giunto a far associare, ad alcuni gruppi sedicenti cristiani, il terremoto alla punizione divina per l’introduzione nel nostro paese delle unioni civili. Queste sono le macerie di cui dobbiamo innanzitutto liberarci. 04 Settembre 2016: Madre Teresa, la buona samaritana è santa! "La canonizzazione di Madre Teresa ricorda le vecchie e le nuove povertà ed è un messaggio diretto al mondo attuale”. Così il Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha spiegato il senso dell’evento più atteso di questo Anno Santo incentrato sulla misericordia, auspicando che il mondo possa trarre dalla vita della “suorina di Calcutta” “la ragione per vivere e sperare”. Poi, ha riflettuto: “Lei ci insegna a superare l’indifferenza, come dice il Papa nella Misericordiae Vultus, che umilia il cinismo. Aprire gli occhi per vedere quello che capita, aprire il cuore e le mani per dare delle risposte: Madre Teresa dicev a che il male più grande del mondo è l’indifferenza verso gli altri”. La Chiesa di tutto il mondo guarda con molta attenzione a questo momento in cui la povertà e gli ultimi si siederanno ai piedi degli altari godendo di una protezione e di un supporto del tutto straordinario. “Direi – ha proseguito il porporato – che il significato di questo importante avvenimento è proprio quello di collocare al centro della vita di ogni cristiano e della sua testimonianza la misericordia e farlo non attraverso discorsi astratti o concetti teorici, ma con l’esempio concreto di una donna che ha vissuto la misericordia e la compassione in ogni attimo della sua vita. E’ stato detto che Madre Teresa è l’icona del Buon Samaritano, questo è un concetto molto importante perché il suo servizio e il suo impegno nascono dal suo amore a Gesù e dalla sua partecipazione alla sofferenza del Cristo che si perpetua alla sofferenza delle sue membra”. Il cardinale Parolin, invita a guardare l’esperienza di Madre Teresa, come a quella della “buona Samaritana” che si china sopra ogni uomo sofferente, sul lebbroso, l’abbandonato, il più povero dei poveri. “Ricordo sempre il richiamo di Madre Teresa: vivere la misericordia in prima persona e per primi senza aspettare che siano gli altri che lo fanno e lei lo traduce nell’immagine della goccia nell’oceano, per carità è una cosa piccola, povera, ma una goccia che manca rende l’oceano più povero”, ha osservato il Segretario di Stato vaticano riassumendo la carità della “piccola matita di Dio” nell’impegno diretto e personale di ciascun cristiano perché il messaggio – ha indicato – è questo: “il Signore ci ha dato un cuore, usalo per amare e usa le tue mani per servire gli altri”. La canonizzazione, dunque, è un messaggio diretto al mondo attuale perché si inserisce perfettamente all’interno dell’Anno Santo e si colloca all’interno di una “realtà problematicissima come quella del mondo d’oggi” e quindi, ha concluso Parolin, “diventa un appello alla misericordia in questo mondo così fratturato. Un appello affinché il mondo ritrovi ragione per vivere e sperare. Davanti a tutte le situazioni di conflitto e alle tante miserie e ferite delle persone e dei poveri – ha dunque osservato – la Chiesa ancora una volta acquisisce una coscienza maggiore su questo punto e propone la medicina della misericordia in maniera decisa nella speranza che si possa aprire un’era della misericordia per una nuova epoca in cui gli uomini a livello sociale e politico possano usare questo antidoto contro i tanti mali del mondo di oggi”.