Il Cinema Ritrovato
XXX edizione
Bologna, 25 giugno – 2 luglio
DOMENICA 26 GIUGNO
I FRATELLI DARDENNE PRESENTANO IN PRIMA ASSOLUTA
IL RESTAURO DI LA PROMESSE E RICEVONO IL PREMIO FIAF
WHO’S CRAZY: IL FILM RITROVATO CON IL LIVING THEATRE
E LA MUSICA DI ORNETTE COLEMAN
IL RESTAURO DEI RACCONTI DELLA LUNA PALLIDA
DI KENNJI MIZOGUCHI
JONATHAN NOSSITER PRESENTA IL SUO NUOVO LIBRO
IN PIAZZA MAGGIORE IL RESTAURO DI ONE-EYED JACKS
UNICO FILM DIRETTO DA MARLON BRANDO
LUNEDÌ 27 GIUGNO
IN PIAZZA MAGGIORE IL RESTAURO DI VALMONT PRESENTATO DAL
PREMIO OSCAR JEAN-CLAUDE CARRIÈRE
I fratelli Dardenne
I fratelli Dardenne saranno a Bologna alla XXX edizione del festival Il Cinema Ritrovato per la
prima assoluta del restauro, realizzato dalla Cinémathèque Royale de Belgique, di La promesse
(domenica 26 giugno, ore 19.15, Teatro Comunale), a vent’anni dalla sua uscita nel 1996, quando
già denunciava lo sfruttamento degli immigrati clandestini in Europa.
Ma prima della proiezione, una cerimonia per i fratelli Dardenne: quella per il Premio FIAF. La
Fédération internationale des archives du film – che riunisce quest’anno centinaia di delegati
proprio a Bologna – ha deciso di affidare il proprio riconoscimento annuale a due monumenti del
cinema: Jean-Pierre e Luc Dardenne.
Il giorno successivo, lunedì 27 giugno, alle ore 12 in Sala Auditorium, Luc e Jean-Pierre Dardenne
terranno una lezione di cinema.
I restauri: Who’s Crazy e Valmont
Giorno di restauri, domenica 27 giugno. Vera riscoperta, il film perduto Who’s Crazy (ore 14.30,
Cinema Lumière), lavoro sperimentale del 1966, diretto da Thomas White, con protagonista mezzo
Living Theatre e una splendida colonna sonora realizzata dal padre del free jazz Ornette
Coleman.
Alle ore 16.30 al Cinema Arlecchino, uno dei grandi titoli del Cinema Ritrovato: I racconti della
luna pallida di agosto di Kenji Mizoguchi, nel restauro di The Film Foundation di Martin
Scorsese.
Jonathan Nossiter
Alle ore 19, per il consueto appuntamento alla Libreria Coop Ambasciatori con le presentazioni
dei libri, Jonathan Nossiter presenta il suo nuovissimo Resistenze culturali (Derive Approdi,
2006). Con lui, Lucio Cavazzoni, Stefano Bellotti e Bifo. Coordina l’incontro il giornalista e
responsabile delle pagine culturali del “Corriere di Bologna” Helmut Failoni.
Marlon Brando regista in Piazza Maggiore
In Piazza Maggiore alle ore 21.45 di domenica 26 giugno, arriva il nuovo restauro, anch’esso
voluto da The Film Foundation), dell’unico film diretto da Marlon Brando, il western One-Eyed
Jacks.
Il Premio Oscar Jean-Claude Carrière per il restauro di Valmont
Sempre in Piazza Maggiore, ma il giorno successivo, lunedì 27 giugno, salirà sul palco il Premio
Oscar Jean-Claude Carrière, in occasione del nuovo restauro di Valmont di Miloš Forman.
Carrière ci racconterà il lavoro di trasposizione sul grande schermo di uno dei romanzi più ripresi
dal cinema: Le relazioni pericolose di Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos.
Il Cinema Ritrovato
XXX edizione
Bologna, 25 giugno – 2 luglio
Selezione dal programma di domenica 26 giugno
Ore 14.30, Cinema Lumière
WHO’S CRAZY? (USA/1966) di Thomas White (73’)
Il film fu proiettato al Festival di Cannes nel 1966 ma da allora non è stato più mostrato al
pubblico e si credeva fosse andato perduto. (E White non ne girò altri.) In assenza del film, è
rimasta famosa la colonna sonora, lo straordinario free jazz di Ornette Coleman e del suo trio. In
Who’s Crazy?, girato nella campagna belga in un bianco e nero crudo e tetro, i membri del
newyorkese Living Theatre (con l’eccezione dei suoi fondatori, Judith Malina e Julian Beck)
interpretano i pazienti di un manicomio. L’autobus che li trasporta si guasta e un paziente tenta
la fuga. Approfittando del trambusto fuggono anche tutti gli altri eludendo la sorveglianza dei
guardiani. Raggiunta una desolata fattoria abbandonata, i pazienti vi si riparano, costruendo
nell’isolamento una bizzarra ma autentica vita familiare, situazione che ispira al gruppo del
Living Theatre un’ampia gamma di improvvisazioni.
La regia di White è poco strutturata, ma lo scopo è chiaro. Mescolando lo slapstick delle
comiche mute con una resa pittorica del paesaggio che coglie l’anelito spirituale del cinema
d’arte scandinavo (compresa una perfida e buffa parodia della ‘danza macabra’ del Settimo
sigillo di Bergman), il regista fa intendere che la trascendenza delle nuove libertà sarà fisica –
una profusione volutamente esagerata di canti e balli affrancatisi da forme e convenzioni
familiari, un’imperiosa liberazione del corpo senza la quale non può esserci liberazione
dell’anima. Who’s Crazy? sembra fatto apposta perché gli spettatori si alzino e si lascino andare
insieme al film in una sorta di possessione cinematografica, spezzando le limitazioni
contemplative della visione e dello schermo per trasformare la sala in un vero teatro nel quale il
pubblico frenetico ed esultante si integra con l’azione del Living Theatre.
Richard Brody, “The New Yorker”, 25 marzo 2016
White si era portato dietro nei vari traslochi una grande scatola di cartone contenente l’unica
copia 35mm del film; da ultimo la pellicola era rimasta a lungo in un garage del Connecticut. Il
film era considerato perduto dalla Library of Congress e dai pochi esperti di jazz nel cinema che
ne avevano sentito parlare. Lo scorso ottobre, dopo la scomparsa di Ornette Coleman, ho
rintracciato il regista e – con l’archivista di Anthology, John Klacsmann – ho rinvenuto la
malconcia copia 35mm con sottotitoli francesi incorporati risalenti alla proiezione di Cannes.
Vanessa McDonnell
Ore 16.30, Cinema Arlecchino
UGETSU MONOGATARI (I racconti della luna pallida d’agosto, Giappone/1953) di Kenji
Mizoguchi (96’)
Tratto da due novelle della raccolta Racconti di pioggia e di luna di Ueda Akinari (pubblicata
nel 1776), il più celebre film di Mizoguchi si presenta sotto forma di un romanzo d’iniziazione
che narra i destini intrecciati o paralleli di quattro personaggi. Le due donne pagheranno con la
vita o l’infelicità gli errori dei mariti, permettendo loro di raggiungere la saggezza tramite la
perdita delle illusioni. L’opera risplende straordinariamente grazie a tre elementi. In ciascuno
dei suoi film, Mizoguchi descrive un aspetto dell’esperienza umana: in questo caso la più
universale di tutte, ossia la guerra, di fronte alla quale ogni esistenza si trova fondamentalmente
rimessa in causa. La guerra è anche un poderoso rivelatore di caratteri: mette in luce
l’ossessione per la gloria e per le apparenze in Tobei, la cupidigia e la sensualità di Genjuro.
Infine Ugetsu monogatari è l’opera più movimentata di Mizoguchi. È abitata da una tensione,
da una frenesia perpetua, e nessun altro film dell’autore comporta così tanti movimenti di
macchina. Questa frenesia si placa nelle sequenze fantastiche, in cui Genjuro fa l’esperienza
dell’estasi amorosa (sequenze sublimi del bagno e del picnic) e in seguito percepisce l’esistenza
di altri universi. Come Notte senza fine di Walsh e Ordet di Dreyer, Ugetsu monogatari vuole
descrivere la totalità cosmica del mondo. Il fondo del cuore umano, i misteri del cielo, il visibile
e l’invisibile sono il soggetto, smisurato, del film.
Jacques Lourcelles, Dictionnaire du cinéma. Les films, Robert Laffont, Parigi 1992
Ore 19, Libreria Coop Ambasciatori
Presentazione di Resistenze culturali. Verso una nuova ecologia del gusto e della cultura (Derive
Approdi, 2016).
Insieme all’autore Jonathan Nossiter, saranno presenti Lucio Cavazzoni, Stefano Bellotti e Franco
(Bifo) Berardi.
Coordina l’incontro il giornalista e responsabile delle pagine culturali del “Corriere di Bologna”
Helmut Failoni.
Ore 19.15, Teatro Comunale
LA PROMESSE (Belgio/1996) di Luc e Jean-Pierre Dardenne (90’)
Restaurato in 4K da Cinémathèque Royale de Belgique, in collaborazione con Les Films de Fleuve
e il supporto di Belspo e Fonds Baillet Latour, a partire dal negativo originale. Il restauro del suono
e a cura di L’Equipe
Introducono Luc e Jean-Pierre Dardenne
La Promesse ruota attorno a un adolescente, Igor (Jeremie Renier), che rimane invischiato nei
traffici del padre, responsabile dell’opportunistico e spietato sfruttamento di un gruppo di
immigrati di varie nazionalita. Il lavoro – o meglio la mancanza di un lavoro – e al centro di La
Promesse, e lo sara anche in tutti i film successivi dei fratelli Dardenne. I personaggi emergono
e si definiscono principalmente attraverso i movimenti e i gesti del loro lavoro, sia esso legale o
illegale, regolare o occasionale, di squadra o solitario. In questo si scorge l’influen- za del
passato personale dei due registi, cresciuti in un contesto in cui la fatica del lavoro fisico era
fondamentale nel creare l’identità e l’unita della loro regione. Gran parte della verosimiglianza e
dell’intensità dei film dei Dardenne deriva dalla capacita di rappresentare con franchezza la crisi
personale di individui disposti a fare quasi tutto in cambio del denaro che garantisce loro la
sopravvivenza. I fratelli ritengono però che il cinema e la televisione tendano a ignorare il
nuovo sottoproletariato urbano o a considerarlo come semplice oggetto di opere di bene: per
questo evitano accuratamente di inserire i loro personaggi – bianchi o neri, stranieri o belgi – in
situazioni che li caratterizzino semplicemente come vittime.
Rappresentazione di una profonda questione etica in un contesto quotidiano e ritratto
dell’emarginazione urbana nell’epoca postmoderna, in virtù di uno stile nuovo e personale La
Promesse supera le limitazioni dell’ennesimo esercizio di realismo sociale per distinguersi come
opera d’arte cinematografica originale. Conservando la forza documentaristica delle loro prime
opere, i Dardenne svelano un cinema che si aggrappa al corpo e alla materia quali principali
strumenti d’espressione delle idee. Questo comporta un’attenzione estrema per le persone e gli
oggetti, e dunque un esteso utilizzo del primo piano. Quasi dieci anni dopo, lamentando che la
sceneggiatura di L’Enfant e troppo appesantita dalle idee e dalla psicologia dei personaggi, Luc
insistera che “bisogna occuparsi degli oggetti, delle piccole azioni concrete, degli accessori,
delle manipolazioni degli accessori, delle cose, degli stratagemmi”. È convinto che il cinema
tratti di “cose molto concrete”, come la corda costruita da Fontaine con pezzi di coperta e il fil
di ferro della rete del letto in Un condannato a morte e fuggito di Bresson. Il successo di questo
sguardo telescopico – che permette allo spettatore di diventare intimo testimone della vita
quotidiana in un luogo anodino – dipende anche dalla mobilita della macchina da presa e dalla
sua prossimità agli oggetti e alle persone. Questo stile poggia saldamente sullo spazio implicito
che si trova oltre l’inquadratura, uno spazio che di proposito nasconde più di quel che mostra.
Con La Promesse il mondo cinematografico internazionale ha conosciuto i Dardenne come
autori caratterizzati da un realismo intransigente, da un’etica della responsabilità umana e da
una visione cinematografica originale. Da allora i due fratelli non hanno riposato sugli allori: il
film e stato il punto di partenza di una carriera di grande rilievo.
Philip Mosley, The Cinema of the Dardenne Brothers, Wallflower Press, Londra-New York
2013
Ore 21.45, Piazza Maggiore
ONE EYED-JACKS (I due volti della vendetta, USA/1961) di Marlon Brando (141’)
Primo e unico film diretto da Marlon Brando, questo originalissimo western non è solo una
delle sue interpretazioni migliori e più misurate (soprattutto se si pensa che Brando aveva
solitamente bisogno di registi di polso che gli impedissero di strafare), ma anche un debutto
molto promettente, e, visto che fu anche la sua ultima regia, uno dei migliori esempi di carriera
costituita da un solo film.
La produzione fu molto accidentata; la sceneggiatura fu scritta inizialmente da Rod Serling e poi
da Sam Peckinpah (il che spiega alcune analogie con Pat Garrett & Billy the Kid, 1973) quando
a dirigere il film doveva essere Stanley Kubrick, e infine riscritta da Calder Willingham e quindi
da Guy Trosper quando Brando prese in mano il film. Ci vollero quasi tre anni (dal 1958 al
1960) per terminare le riprese. Il risultato fu una prima versione della durata di cinque ore, poi
accorciata a due ore e ventuno minuti per l’uscita in sala nel 1961, che avvenne tra i timori di un
insuccesso commerciale e l’insoddisfazione di Brando per il final cut.
A prima vista la trama sembra una convenzionale storia di tradimento e vendetta. Ma le cose
non sono così semplici, una volta elaborate e girate con ritmo lento e con una visione del mondo
romanticamente tragica. Innanzitutto non c’è un eroe: le uniche brave persone del film sono
Modesto (Larry Duran), che viene ucciso, e Louisa (Pina Pellicer), che nelle intenzioni di
Brando doveva morire alla fine del film (e gli spari suggeriscono comunque che è questo il
destino più logico della povera ragazza).
One-Eyed Jacks è inoltre uno dei rarissimi western (me ne vengono in mente tre in tutto) in cui
il mare ha una presenza significativa, segnando un cambiamento di paesaggio di grande impatto
visivo. Anche la recitazione è eccellente, affidata com’è a un cast eterogeneo composto da attori
di diverse ‘scuole’, dal collega dell’Actors Studio Karl Malden in uno dei suoi ruoli migliori ai
messicani Pina Pellicer, Katy Jurado e Rodolfo Acosta, dai fordiani Ben Johnson e Hank
Worden a interpreti noir come Elisha Cook, Jr. e Timothy Carey. Peccato che Brando non abbia
diretto altri film.
Miguel Marías
Selezione dal programma di lunedì 27 giugno
Ore 12, Sala Auditorium
RITROVARE IL CINEMA
Luc e Jean-Pierre Dardenne dialogano con Nicola Mazzanti (Cinémathèque Royale de Belgique)
Ore 21.45, Piazza Maggiore
VALMONT (Francia-GB-USA/1989) di Milos Forman (137’)
Introduce lo sceneggiatore Jean-Claude Carrière
Tra il 1988 e il 1989, arrivarono in sala due film in inglese tratti dalle Relazioni pericolose,
classico della letteratura libertina del Settecento di Choderlos de Laclos. Il primo, diretto da
Stephen Frears e sceneggiato da Christopher Hampton (con John Malkovich, Glenn Close e
Michelle Pfeiffer), ebbe maggior fortuna, ed eclissò l’altro, Valmont, di Miloš Forman, uscito
esattamente un anno dopo. Accolto all’epoca da critiche severe, oggi il film di Forman può
invece essere riscoperto come sorprendente film maledetto del suo autore, che veniva dal
successo di Amadeus. Il classico intrigo erotico, con i diabolici ex amanti, il visconte di
Valmont e la marchesa di Merteuil, che si sfidano sul terreno della seduzione utilizzando la
giovanissima Cécile, e finiscono vittima dei loro inganni, nelle mani di Forman diventa una
sarabanda dal sottotesto malinconico. “Volevo dare spessore ai personaggi. Nelle Relazioni
pericolose non sempre si sa cosa hanno fatto veramente. Si sa solo quello che scrivono dopo,
per vantarsi o per manipolare gli altri. Si ha l’impressione che questi personaggi siano molto
umani. Nei rapporti con le altre persone si tende a esagerare alcuni aspetti per sedurre, colpire,
suscitare paura o simpatia, come in un gioco. Era questo l’elemento che mi interessava, non la
rievocazione di un periodo storico o un’analisi dell’aristocrazia. Non ero convinto da gran parte
delle interpretazioni basate sull’immoralità o su una qualche forma di profezia storica. Sentivo
che c’era una verità più profonda, più complessa, che potevo meglio sviluppare in un film”
(Miloš Forman). Meno composto e tragico del film gemello, e assai più brioso, Valmont è anche
un lucidissimo canto d’addio dell’ancien régime (il romanzo di Laclos era del 1782). Il merito
della riuscita va anche alla ricostruzione d’epoca, ma soprattutto alla sceneggiatura, scritta
insieme a Jean-Claude Carrière, e alla coppia di protagonisti, Annette Bening e Colin Firth,
probabilmente nelle loro migliori interpretazioni.
Emiliano Morreale
Il Cinema Ritrovato
XXX edizione
Bologna, 25 giugno – 2 luglio
Luoghi
Piazza Maggiore
Palazzo Re Enzo (Piazza Maggiore, 1)
Spazio Sottopasso di Piazza Maggiore
Cinema Lumière, Sala Auditorium e Biblioteca Renzo Renzi (Piazzetta Pasolini, 2/b)
Cinema Arlecchino (via Lame, 57)
Cinema Jolly (via Marconi, 14)
Sala Cervi (via Riva di Reno, 72)
Teatro Comunale (Largo Respighi, 1)
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