Prof.ssa GIAMBO’ MARIA DISPENSA DI ANATOMIA E PRONTO SOCCORSO ANATOMIA Con il termine ANATOMIA (anatomè = dissezione) parleremo della scienza che studia la FORMA e la STRUTTURA degli organismi. Distinguiamo : l’ANATOMIA COMPARATA che è lo studio delle relazioni tra esseri diversi o organi di esseri diversi; l’ANATOMIA UMANA che è lo studio limitato ad una specie animale (l’essere umano). Dal punto di vista medico, l’anatomia umana consiste nella conoscenza dell’esatta forma, posizione, misura e interrelazione della varie parti del corpo umano (ANATOMIA DESCRITTIVA o topografica). Dal punto di vista morfologico, l’anatomia umana rappresenta un affascinante studio scientifico che ha come oggetto la scoperta delle cause che hanno portato all’attuale struttura dell’essere umano. Dal punto di vista patologico, l’anatomia umana, consiste nello studio degli organi malati (ANATOMIA PATOLOGICA). CELLULA La più piccola unità degli organismi viventi capace di lavorare in modo autonomo TESSUTO Cellule specializzate nello stesso tipo di lavoro: cellule simili tra loro per forma e struttura; esistono 4 tipi di tessuti: tessuto epiteliale che ricopre alcuni organi all’interno del corpo umano si chiama mucosa; il tessuto epiteliale che ricopre il nostro corpo all’esterno si chiama epidermide (pelle). tessuto connettivo: sostiene il corpo (ossa e cartilagine) accumula energia (adipe o grasso) trasporta sostanze (sangue) tessuto muscolare (muscoli) ci permette di muoverci tessuto nervoso (cervello e midollo spinale) è formato da cellule (neuroni) in grado di creare impulsi elettrici; attraverso questi impulsi le cellule si trasmettono informazioni. ORGANI E APPARATI Un organismo è una grande unità strutturale formata da entità minori, integrate tra loro sia morfologicamente che funzionalmente: gli ORGANI. Essi sono un insieme di tessuti aventi una stessa funzione in quanto è responsabile di un lavoro o di una funzione necessaria al corpo. Distinguiamo: ORGANI CAVI hanno una forma tubulare o sacciforme e sono costituiti da una cavità o lume direttamente o indirettamente comunicante con l’ambiente esterno (es. lo stomaco); ORGANI PIENI caratterizzati dalla predominanza di un tessuto o parenchima, sostenuto da uno stroma, spesso costituito da setti che suddividono l’organo in varie parti più o meno comunicanti (es. il rene). Gli ORGANI, sulla base della loro funzione, si raggruppano in: APPARATI sono un insieme di organi diversi sia per struttura che funzione; SISTEMI sono un insieme di organi omogenei sia per struttura e funzione. I principali APPARATI del corpo umano sono: APPARATO CIRCOLATORIO o CARDIOCIRCOLATORIO; APPARATO RESPIRATORIO; APPARATO MUSCOLARE APPARATO SCHELETRICO o LOCOMOTORE APPARATO DIGERENTE APPARATO URINARIO APPARATO GENITALE I principali SISTEMI del corpo umano sono: SISTEMA NERVOSO SISTEMA ENDOCRINO SISTEMA ESOCRINO SCHEMA molli Locomozione combinata con i muscoli MUSCOLI SCHELETRICI Spostamento ai segmenti ossei CARDIOVASCOLARE MUSCOLO CARDIACO Pompaggio del sangue SANGUE, ARTERIE, Trasporto ai tessuti di VENE, CAPILLARI, nutrimento e ossigeno, CUORE liberazione dai prodotti tossici RESPIRATORIO CAVITA' NASALI, LARINGE, Passaggio di ossigeno FARINGE, TRACHEA, dall'atmosfera ai tessuti BRONCHI, POLMONI interni e passaggio di anidride carbonica dai tessuti interni all'atmosfera SISTEMA NERVOSO CERVELLO, MIDOLLO SPINALE, ORGANI DI SENSO Controlla e coordina tutte le azioni dell'organismo umano Riceve stimoli dall'ambiente esterno e li elabora fornendo velocemente delle risposte E' sede della memoria, del pensiero e delle emozioni CENNI SUL CORPO UMANO Se osserviamo il nostro corpo, definiremo CAPO o testa l’estremità superiore dove noteremo: OCCHI ORECCHIE NASO BOCCA Inferiormente troviamo il COLLO che collega il CAPO al TRONCO, ad esso sono attaccati gli ARTI ed è diviso in una parte superiore definita TORACE ed una inferiore chiamata ADDOME. L’insieme COLLO – TRONCO è definita BUSTO. L’ARTO SUPERIORE è composto da: BRACCIO dalla SPALLA al GOMITO; AVAMBRACCIO dal GOMITO al POLSO; MANO L’ARTO INFERIORE è composto invece da: COSCIA dall’ANCA al GINOCCHIO; GAMBA dal GINOCCHIO alla CAVIGLIA; PIEDE APPARATO LOCOMOTORE : LE OSSA E’ costituito da una struttura di sostegno, lo SCHELETRO, con funzione di sostegno e protezione; esso è formato da ossa, collegate tra loro da ARTICOLAZIONI. Le OSSA del corpo umano sono più di 200 e hanno svariate forme e dimensioni; molte di esse sono simmetriche, cioè sono presenti sia nella metà destra che in quella sinistra del corpo. La funzione principale delle ossa è quella di sostegno e protezione dei TESSUTI MOLLI, quindi hanno una funzione statica in quanto sopportano il peso del corpo e una funzione essenziale per il movimento, fungendo da supporto per i muscoli e formando le articolazioni; esse costituiscono una riserva di Sali minerali e si rinnovano continuamente. A seconda della dimensione prevalente, le OSSA, vengono definite: OSSA LUNGHE come il FEMORE; OSSA PIATTE come la SCAPOLA; OSSA CORTE come le OSSA del CARPO Sono tutte circondate da una sostanza esterna, dura, detta PERIOSTIO e in prossimità delle ARTICOLAZIONI troviamo le CARTILAGINI ARTICOLARI formate da tessuto meno duro così da proteggerle dagli attriti; all’interno è presente una sostanza molle detta MIDOLLO OSSEO, importante per la produzione di globuli rossi e alcuni tipi di globuli bianchi, che attraverso i VASI passano al sangue. Le OSSA presentano PROTUBERANZE dette APOFISI e presentano delle CAVITA’ che possono essere: ARTICOLARI se fanno parte di un’articolazione come il GINOCCHIO; NON ARTICOLARI possono offrire inserzione ai tendini o accogliere organi e rendere l’osso più leggero senza diminuirne la resistenza come il PIEDE. Nello SCHELETRO possiamo distinguere : una parte costituita dalla testa, dalla Colonna vertebrale e dalla cassa toracica; una parte costituita dagli arti superiori ed inferiori e dalle ossa che li uniscono al tronco; queste ultime vengono definite cinture che si dividono in: SCAPOLARE formata da clavicola e scapola, per gli arti superiori; PELVICA formata dalle ossa del bacino, per gli arti inferiori. In relazione alla loro disposizione scheletrica, le ossa costituiscono: La testa situata superiormente al collo ed articolata mediante l’osso occipitale alla 1° vertebra cervicale; si suddivide in: NEUROCRANIO cioè la parte superiore e posteriore composta da 8 ossa; SPLANCNOCRANIO cioè la parte anteriore formata da 14 ossa. Il tronco presenta: La COLONNA VERTEBRALE che è l’asse longitudinale del corpo umano, è formata da 33-34 vertebre e presenta una curvatura ad S. Partendo dal capo si possono distinguere queste zone: CERVICALE, con convessità anteriore, formata da 7 vertebre; DORSALE, con convessità posteriore, formata da 12 vertebre; LOMBARE, con convessità anteriore, formata da 5 vertebre; SACRALE, con leggera convessità posteriore formata da 5 vertebre; COCCIGEA, costituita da 4 o 5 vertebre. Le convessità anteriori si definiscono LORDOSI, mentre quelle posteriori CIFOSI. Le OSSA DEL CINTO TORACICO sono il collegamento tra l’arto superiore e il tronco ed è costituito da clavicola e scapola; La GABBIA TORACICA è l’insieme delle ossa che costituiscono lo scheletro della regione toracica ed è formata da: VERTEBRE DORSALI COSTOLE STERNO Il BACINO è un complesso osseo formato dalle 2 OSSA ILIACHE e dall’OSSO SACRO, su cui si articolano gli arti inferiori e la colonna vertebrale. La parte inferiore dell’osso iliaco viene detto PUBE. ARTI SUPERIORI ARTI INFERIORI ARTICOLAZIONI L’ARTICOLAZIONE, per definizione, è il punto d’incontro tra due o più ossa. Si possono distinguere: ARTICOLAZIONI FISSE quando l’unione tra queste ossa è più salda da non permettere il reciproco movimento tra le sue componenti; ARTICOLAZIONI SEMIMOBILI quando tra le due ossa si stabilisce un tramite anatomico che permette piccoli movimenti; ARTICOLAZIONI MOBILI quando si possono fare movimenti molti ampi. I componenti di un’ARTICOLAZIONE MOBILE sono: i CAPI ARTICOLARI cioè le estremità delle due ossa che devono scorrere l’uno sull’altro e sono rivestiti di CARTILAGINE che ne permette lo scivolamento; superiormente troviamo un manicotto chiamato CAPSULA ARTICOLARE che oltre ad avere funzione di contenimento, secerne un liquido lubrificante, detto SINOVIA, che riveste come una sottile pellicola i capi articolari. MUSCOLI O APPARATO MUSCOLARE Il MUSCOLO è l’organo contrattile che svolge una funzione motoria negli animali. Il tessuto muscolare trasforma l’energia chimica posseduta dall’organismo in energia meccanica, quindi in movimento. Si distinguono due tipi di muscolo: MUSCOLI LISCI che sono presenti negli organi interni (Tubo digerente, arterie, vene, ecc.), che si caratterizzano per la loro contrazione lenta indipendenti dalla nostra volontà; MUSCOLI STRIATI invece si contraggono più velocemente e più intensamente e sono sotto il controllo della volontà (il cuore è l’unico muscolo striato). I muscoli sono più di 600 e rappresentano il 40% del nostro peso corporeo; essi contribuiscono a dare al corpo una straordinaria capacità di movimento grazie alla possibilità di contrarsi e rilasciarsi. APPARATO DIGERENTE E’ costituito da 2 gruppi di organi: ORGANI DEL TRATTO GASTRO – INTESTINALE: Bocca o cavità orale è formata da: Labbra Guance Palato duro Palato molle Lingua Faringe Esofago Stomaco Intestino tenue Intestino crasso ORGANI ANNESSI: Denti Lingua Ghiandole salivari Fegato Cistifellea Pancreas L’APPARATO DIGERENTE è deputato alla: Ingestione Secrezione Mescolamento e propulsione Digestione Assorbimento Escrezione La BOCCA è superiormente delimitata dal palato sul bordo del quale è inserita l’arcata dentaria superiore, lateralmente dalle guance e inferiormente dalla mandibola nella quale è inserita l’arcata dentaria inferiore, e dalla lingua. La lingua è un organo accessorio; i muscoli linguali manipolano il cibo per la masticazione , lo compattano e lo spingono sul retro della bocca per la deglutizione. Le ghiandole salivari sono organi annessi situati esternamente alla bocca; rilasciano le loro secrezioni nei dotti, che si aprono nella cavità orale. La saliva è composta per il 99,5% di acqua e per lo 0,55% di soluti, tra cui enzimi e muco. La salivazione è controllata dal sistema nervoso autonomo, infatti la produzione di saliva è continua ed aumenta in seguito a stimoli nervosi generati dal contatto dei cibi con la mucosa o da immagini, odori ecc. I denti sono organi accessori collocati in alveoli ossei, che sono cavità contenute nelle ossa mascellari e nella mandibola. Sono costituiti da corona, radice, colletto composti principalmente da dentina in parte ricoperta dallo smalto. All’interno del dente la cavità pulpare è ripiena di polpa, innervata e irrorata da vasi sanguigni. La digestione meccanica nella bocca è dovuta all’atto della masticazione in cui il cibo viene impastato dalla lingua, triturato dai denti e mescolato dalla saliva per formare il BOLO ALIMENTARE. Il cibo ingerito passa dalla bocca alla faringe, un condotto imbutiforme comune sia al tubo digerente che alle vie respiratorie; infatti essa (la faringe) si estende dalle coane (il naso) all’esofago, alla laringe. E’ diviso in OROFARINGE, RINOFARINGE, LARINGOFARINGE. Con la deglutizione si ha una temporanea chiusura di una valvola (chiamata epiglottide) situata all’inizio della laringe in modo tale da impedire che il Bolo proveniente dalla bocca si infili nelle vie respiratorie anziché nell’esofago. L’esofago è un tubo muscolare che decorre posteriormente alla trachea e permette il passaggio del bolo alimentare dalla bocca allo stomaco grazie ai suoi movimenti peristaltici. La deglutizione, il passaggio del cibo dalla bocca allo stomaco, è facilitata dalla saliva e dal muco e avviene in 3 passaggi: FASE ORALE: il bolo è spinto sul retro della cavità orale dal movimento della lingua e del palato ( FASE VOLONTARIA) FASE FARINGEA: il palato molle e l’ugola si sollevano per chiudere il naso faringe; il bolo passa attraverso l’orofaringe FASE ESOFAGEA: il cibo è spinto attraverso l’esofago. LO STOMACO E’ una dilatazione del tubo digerente a forma di fagiolone sotto il diaframma; ha la funzione di una camera di mescolamento e di magazzino di contenimento. E’ costituito da 4 regioni principali: CARDIAS FONDO CORPO PILORO Quando lo stomaco è vuoto la mucosa si solleva in larghe pieghe chiamate RUGHE. La mucosa gastrica contiene numerose ghiandole formate da 3 tipi di cellule: CELLULE MUCOSE DEL COLLETTO: secernono muco CELLULE PRINCIPALI: secernono pepsinogeno CELLULE PARIETALI: producono acido cloridrico Una volta che il cibo ha raggiunto lo stomaco, le pareti si stendono, il PH aumenta e si avviano le onde di mescolamento. Esse macerano il cibo che, mescolato con il succo gastrico diventa chimo. La durata della permanenza del chimo nello stomaco dipende dalla sua composizione: un chimo liquido, o ricco di proteine rimane nello stomaco per un tempo relativamente più breve di un chimo ricco di lipidi (grassi). A livello dello stomaco si verifica un limitato assorbimento di alimenti, soprattutto di acqua, di alcuni sali e alcuni farmaci. Con il riempirsi dello stomaco, il contenuto viene spinto dai movimenti peristaltici verso il piloro, che comincia a rilassarsi e a lasciar passare piccole quantità di chimo verso la prima parte dell’intestino tenue. L’INTESTINO TENUE E’ diviso in 3 porzioni: Il DUODENO, che è collegato al piloro; Il DIGIUNO, lungo 1 metro; L’ILEO, che si collega all’intestino crasso attraverso lo sfintere ileocecale. Nell’intestino tenue avvengono i principali processi della digestione e dell’assorbimento; la parete dell’intestino tenue è costituita da 4 strati: TONACA MUCOSA (nel suo spessore sono inserite delle ghiandole intestinali che secernono succo enterico); SOTTOMUCOSA (contiene ghiandole duodenali che secernono muco alcalino per neutralizzare l’acidità del chimo); MUSCOLARE SIEROSA Gli enterociti sono cellule caratterizzate dalla presenza di microvilli, che digeriscono e assorbono i nutrienti presenti nel chimo. Nell’epitelio si trovano anche le cellule caliciformi, mucipare, che secernono muco. Nella mucosa dell’intestino tenue abbiamo speciali caratteristiche strutturali che facilitano i processi digestivi: Le pieghe circolari, sono creste permanenti della mucosa e della sottomucosa che aumentano l’assorbimento ampliando l’area superficiale; I villi, sono proiezioni digitiformi della mucosa, aumentano la superficie di assorbimento dell’epitelio intestinale; I microvilli, sono proiezioni presenti sulla superficie degli enterociti che aumentano la capacità di assorbimento dei nutrienti. Il succo enterico secreto dalle ghiandole intestinali è un liquido acquoso, limpido e giallognolo leggermente alcalino. Nell’intestino tenue vi sono 2 tipi di movimenti che contribuiscono alla sua mobilità: Segmentazione sono contrazioni localizzate che rimescolano il chimo Peristalsi spinge il chimo in avanti per un breve tratto all’intestino tenue. Il chimo entra nel tenue, contiene i carboidrati e proteine parzialmente digerite. Il completamento della digestione avviene per l’azione combinata del succo pancreatico, della bile e del succo enterico. Il processo d’assorbimento nell’intestino tenue è il trasferimento di molecole di nutrienti nel sangue e nei vasi linfatici attraverso le cellule epiteliali della mucosa per diffusione semplice, ma anche per diffusione facilitata, per osmosi e per trasporto attivo. INTESTINO CRASSO Si estende dall’ileo all’ano e presenta 4 regioni principali: CIECO COLON RETTO CANALE ANALE Lo SFINTERE ileocecale, permette il passaggio regolato del contenuto dell’intestino tenue nell’intestino crasso. Il colon, diviso in ascendente, trasverso e discendente, termina con il retto il cui tratto terminale prende il nome di canale anale, provvisto di un orifizio, l’ano, circondato da uno sfintere interno di muscolatura liscia e da uno esterno di muscolatura scheletrica. Il chimo viene completamente digerito ad opera di batteri presenti nel lume del colon. I batteri intestinali sono in grado di dividere le proteine in aminoacidi e di decomporre la bilirubina in pigmenti più semplici. Per l’assorbimento dell’acqua il chimo acquista una consistenza solida o semisolida e prende il nome di feci. I movimenti peristaltici spingono le feci dal colon al retto, le cui pareti distendendosi, stimolando i recettori dello stiramento innescano il riflesso di defecazione finalizzato allo svuotamento del retto. IL PANCREAS E’ situato al di sotto dello stomaco: le sue secrezioni vengono immesse nel duodeno attraverso il dotto pancreatico. E’ costituito da piccoli raggruppamenti di cellule epiteliali, ghiandolari, dette acini; essi costituiscono la porzione esocrina dell’organo: le cellule all’interno secernono il succo pancreatico; la parte rimanente è organizzata in isolotti di Langherans. Il succo pancreatico è un liquido incolore, con un PH leggermente alcalino l’amilasi la lipasi pancreatica IL FEGATO E LA CISTIFELLEA Il FEGATO è il secondo organo più grande del corpo umano, è situato al di sotto del diaframma e ricoperto da tessuto connettivo; è diviso in lobi, i quali, a loro volta, sono costituiti da molte unità funzionali, chiamate lobuli, ognuno dei quali è composto da cellule epiteliali chiamate epatociti. Le principali funzioni del fegato sono: METABOLISMO DEI CARBOIDRATI METABOLISMO LIPIDICO METABOLISMO DELLE PROTEINE ELABORAZIONE DI FARMACI E ORMONI ESCREZIONE DI BILIRUBINA DEPOSITO DI SALI MINERALI E VITAMINE ATTIVAZIONE DELLA VITAMINA D La cistifellea è un piccolo sacco a forma di pera che pende verso il basso dal bordo anteriore del fegato. I dotti biliari si fondono a formare il dotto epatico destro e sinistro e che si uniscono e fuoriescono nel dotto epatico comune; più avanti questo si unisce al dotto cistico, che proviene dalla cistifellea, per formare il dotto biliare comune o COLEDOCO. I sali biliari presenti nella BILE favoriscono l’emulsione dei grassi. Il principale pigmento biliare è la bilirubina proveniente dalla demolizione dei globuli rossi vecchi. APPARATO URINARIO L’APPARATO URINARIO è costituito da due reni, due ureteri che scendono verso la vescica e dall’uretra. Il rene ha una forma di fagiolo e possiede una faccia anteriore, una faccia posteriore, un margine laterale e un margine mediale. La funzione principale dell’apparato urinario è quella di controllare la composizione dei fluidi corporei e ciò include la rimozione di tutte le sostanze non necessarie e i prodotti di scarto del corpo umano. I RENI quindi servono a purificare il sangue da tutte le sostanze come calcio, cloro, tossine che vengono eliminate dall’apparato urinario. L’URINA che proviene da ogni rene (dove è prodotta) scende verso la VESCICA tramite gli URETERI e qui viene immagazzinata. Al confine tra uretere e vescica vi è una valvola che aiuta a prevenire un ritorno dell’urina dalla vescica agli ureteri; l’urina, una volta immagazzinata (nella vescica), viene espulsa attraverso l’uretra. Per l’uomo, l’uretra è lunga circa 25 cm ed attraverso essa passa anche il liquido seminale; nella donna è lunga 2,5 cm. I reni sono organi pieni e si trovano nella cavità addominale; il rene di destra si trova 3 - 4 cm più in basso del rene sinistro perché c’è il fegato. Dal punto di vista microscopico la parte esterna dei reni, detta CORTICALE, contiene un sistema di canali che filtrano il sangue separandolo dalle sostanze di rifiuto; il liquido filtrato passa nella zona più interna del rene, detta MIDOLLARE, nella quale vengono riassorbite alcune sostanze per mantenere costante nell’organismo il livello di acidi, sali e acqua. La VESCICA è un organo elastico; è un muscolo che immagazzina l’urina finché i recettori elastici, presenti sulla vescica, non indicano al cervello che è piena; infatti la vescica invia impulsi nervosi al cervello, il quale, invia impulsi inibitori che tengono chiusi gli sfinteri uretrali. Una volta che viene presa la decisione di urinare, il cervello invia lo stimolo all’apparato urinario (minzione): la parete muscolare della vescica si contrae mentre gli sfinteri uretrali si rilassano, in questo modo l’urina esce dalla vescica passando attraverso l’uretra. Le principali funzioni dell’apparato urinario sono: Rimozione di prodotti di scarico dal sangue e eliminazione tramite l’urina; Mantenimento del normale bilancio tra sali e acqua dei liquidi del corpo; Influenza della pressione sanguigna controllando il volume del sangue nel corpo. SISTEMA NERVOSO Per sistema nervoso s’intende un’unità morfo – funzionale caratterizzata da un tessuto altamente specializzato. E’ costituito da formazioni deputate a ricevere stimoli dall’ambiente interno o esterno, a registrarli, a valutarli e ad emettere risposte adeguate sotto forma di impulsi coordinati, che inducono attività o variazioni funzionali nei vari distretti dell’organismo. Il sistema nervoso è la sede dell’assunzione, elaborazione e trasmissione delle informazioni relative a tutto il corpo umano, in altre parole è il sistema di regolazione delle funzioni corporee. Le funzioni del sistema nervoso comprendono: Fornire sensazioni sull’ambiente interno ed esterno; Integrare le informazioni sensoriali ; Coordinare le attività volontarie e involontarie; Regolare e controllare le strutture e gli apparati periferici Il sistema nervoso viene diviso anatomicamente in 2 parti: Il sistema nervoso centrale Il sistema nervoso periferico Il sistema nervoso centrale (S.N.C. ) è costituito da: ENCEFALO racchiuso nella scatola cranica MIDOLLO SPINALE contenuto invece nel canale vertebrale L’encefalo e il midollo spinale, formati da tessuti soffici e molto fragili accolti e protetti in cavità ossee, sono avvolti da 3 strati di tessuto connettivo, chiamati meningi, che procedendo dall’esterno all’interno sono: La dura madre L’aracnoide La pia madre Tra l’aracnoide e la pia madre è compreso uno spazio, detto spazio subaracnoideo, riempito dal liquido cefalorachidiano che occupa anche le cavità interne dell’encefalo e il sottile canale che percorre il midollo spinale. Sia l’encefalo che il midollo spinale macroscopicamente sono costituiti da 2 tipi di sostanza: Sostanza grigia Sostanza bianca Il SNC è responsabile dell’integrazione, analisi e coordinazione dei dati sensoriali e dei comandi motori. E’ anche la sede di funzioni più importanti quali l’intelligenza, la memoria, l’apprendimento e le emozioni. Il Sistema nervoso periferico (SNP) è costituito da tutto il tessuto nervoso al di fuori del SNC e svolge essenzialmente la funzione di trasmissione del segnale attraverso fasci di conduzione. Il Cervello è la parte più voluminosa dell’interno sistema nervoso centrale, è formato da due emisferi (destro e sinistro) separati da una profonda scissura; la superficie degli emisferi presenta solchi e rilievi . Nel SNC abbiamo, oltre al cervello, anche il cervelletto ( diviso in 2 emisferi laterali), troncocerebrale (formato da ponte e bulbo), midollo spinale. Il midollo spinale è l’ultima porzione del sistema nervoso centrale; è contenuto nel canale vertebrale e svolge la funzione di trasmissione del segnale attraverso fasci di conduzione. Si estende dal forame occipitale fino a raggiungere la prima vertebra lombare. Il midollo spinale è molto più breve della colonna vertebrale ma è costituito da tanti segmenti quanti sono i corpi vertebrali. Il sistema nervoso periferico è costituito dai nervi periferici che collegano il cervello e il midollo spinale al resto del corpo, compresi i muscoli, gli organi di senso e gli organi del sistema digerente, respiratorio, urinario e circolatorio. E’ formato da 12 paia di nervi cranici, in parte sensitivi, in parte motori; e da 31 paia di nervi spinali, sensitivo-motorio . La porzione motoria del sistema nervoso periferico può essere suddivisa in 2 parti: Il sistema nervoso somatico Il sistema nervoso autonomo I motoneuroni del sistema nervoso somatico stabiliscono connessioni con i muscoli scheletrici e controllano il movimento volontario. I motoneuroni del sistema nervoso autonomo controllano invece le risposte involontarie; essi stabiliscono connessioni con il cuore, i muscoli lisci e le ghiandole. Si usa suddividere il sistema nervoso autonomo in : sistema nervoso simpatico sistema nervoso parasimpatico Il sistema nervoso simpatico agisce sugli organi interni in modo da preparare l’organismo ad affrontare un’attività logorante o dispendiosa da un punto di vista energetico: il cuore batte più velocemente, il sangue passa dal sistema digerente per poter meglio irrorare i muscoli, le pupille si dilatano per ricevere una maggiore quantità di luce e le vie aeree nei polmoni si espandono in previsione di un maggiore afflusso di ossigeno. Il sistema nervoso parasimpatico è invece associato ad attività caratteristiche dei momenti di ozio. Sotto il suo controllo la muscolatura liscia del sistema digerente entra in piena attività il battito cardiaco rallenta e le vie respiratorie si restringono. Il tessuto nervoso comprende 2 popolazioni cellulari distinte: le cellule nervose o neuroni; le cellule di sostegno o neuroglia Le cellule di sostegno isolano i neuroni e forniscono una rete di sostegno; sono più numerose dei neuroni e costituiscono circa la metà del volume del sistema nervoso. I neuroni sono invece i responsabili del trasferimento e dell’elaborazione delle informazioni nel sistema nervoso. Il neurone tipico possiede: un corpo cellulare, o soma; molte diramazioni chiamate dendriti; un lungo assone che termina in uno o più stazioni sinaptiche . A livello di ciascuna sinapsi il neurone è in rapporto con altre cellule; i miliardi di neuroni del sistema nervoso presentano notevoli diversità strutturali. Ogni neurone svolge 5 funzioni fondamentali: riceve informazioni dall’ambiente esterno o interno, oppure da altri neuroni; integrare le informazioni ricevute e produrre un’adeguata risposta in forma di segnale; condurre il segnale al suo terminale di uscita; di trasmettere il segnale ad altre cellule nervose, ghiandole o muscoli ; coordinare le proprie attività metaboliche, mantenendo l’integrità della cellula. APPARATO CARDIO – VASCOLARE L’ apparato cardio-vascolare provvede alla circolazione del sangue in tutto l’organismo. Le sue principali funzioni sono quelle di trasportare: l’ossigeno dai polmoni a tutti i tessuti gli ormoni delle ghiandole endocrine a tutti i tessuti sostanze nutritive dall’apparato digerente a tutte le cellule e ai tessuti di deposito i prodotti di rifiuto dai tessuti agli organi deputati alla loro escrezione contribuire alla difesa dell’organismo dall’azione dei micro – organismi patogeni contribuire al mantenimento dell’equilibrio idrico dei tessuti contribuire al mantenimento dell’equilibrio della temperatura corporea Quindi le 3 funzioni principali sono: NUTRITIVA DEPURATIVA DIFENSIVA L’APPARATO CARDIO – VASCOLARE è costituito da: CUORE ARTERIE VENE CAPILLARI SANGUE Il SANGUE è l’unico tessuto liquido dell’organismo ; per il 55% circa è costituito dal plasma (presenta un colore giallino e trasporta alcune sostanze come proteine, ormoni e vitamine) e per il 45% è costituito dalla parte corpuscolata, formata da globuli rossi, piastrine e globuli bianchi. Il sistema circolatorio comprende 3 tipi principali di vasi sanguigni: Le Arterie: sono un insieme di vasi che partendo dal cuore, portano il sangue ai tessuti (quindi vanno dal cuore alla periferia) I Capillari sono vasi sottilissimi che consentono lo scambio tra il sangue e i tessuti Le Vene portano il sangue dalla periferia del corpo al cuore Il CUORE è situato in una cavità del corpo corrispondente allo spazio tra i due polmoni e lo sterno; è un organo muscolare, poco più grosso di un pugno, CAVO, posto al centro del torace subito dietro lo sterno tra i punti di inserzione della 2° fino alla 6° costa davanti alla colonna vertebrale toracica e sopra il diaframma; il suo peso va da 200 – 350 grammi. La faccia inferiore del cuore riposa sul diaframma mentre i margini destro e sinistro convergono in basso in un punto detto APICE che si trova a sinistra della linea mediana e la sua base si trova sotto la 2° costa. Le pareti del cuore sono costituite da un particolare tipo di tessuto muscolare striato, detto miocardio, e rivestite da 2 membrane epiteliali che hanno una funzione protettiva: ENDOCARDIO (all’interno) PERICARDIO (all’esterno) Il Cuore presenta 4 cavità: Le 2 cavità superiori sono rappresentate dall’atrio destro e dall’atrio sinistro Le 2 cavità inferiori sono rappresentate dal ventricolo destro e ventricolo sinistro Abbiamo anche un setto che divide le cavità destre da quelle sinistre; esso, a livello di parte superiore è chiamato setto interatriale, a livello di parte inferiore è chiamato setto interventricolare. Tra gli ATRI e i VENTRICOLI sono delle valvole che permettono il passaggio del sangue e si chiamano: VALVOLA TRICUSPIDE (tra atrio destro e ventricolo destro) VALVOLA MITRALE (tra atrio sinistro e ventricolo sinistro) Nell’atrio destro entra sangue che proviene dai tessuti attraverso la vena cava superiore e la vena cava inferiore. Nell’ atrio sinistro arriva sangue ossigenato dai polmoni attraverso le vene polmonari. Nel ventricolo sinistro il sangue proviene dall’atrio sinistro e da qui si dirige verso i tessuti del corpo attraverso l’aorta. Nel ventricolo destro il sangue proviene dall’atrio destro e da qui si dirige ai polmoni attraverso l’arteria polmonare che conduce sangue venoso quindi non ossigenato, al polmone. Normalmente le arterie portano sangue ossigenato (sangue arterioso) da distribuire ai tessuti, mentre le vene portano sangue non ossigenato (sangue venoso) proveniente dai tessuti che hanno consumato ossigeno. Come si può notare, fanno eccezione l’arteria polmonare, che conduce sangue venoso quindi non ossigenato, al polmone e le vene polmonari, che portano al cuore sangue arterioso, quindi ossigenato, proveniente dai polmoni. La circolazione che porta il sangue venoso dal cuore ai polmoni si chiama circolazione polmonare o piccola circolazione, mentre quella che porta il sangue dal cuore a tutto il corpo è chiamata circolazione sistemica o grande circolazione . La prima inizia nel ventricolo destro, passa per il tronco polmonare, raggiunge gli alveoli, scambia i gas e finisce la corsa nell’atrio sinistro, attraverso le 4 vene polmonari. La seconda inizia nel ventricolo sinistro, passa nell’aorta e raggiunge tutto il corpo, scambia i gas e finisce la corsa nell’atrio destro, attraverso la vena cava superiore e la vena cava inferiore. CICLO CARDIACO Il CICLO CARDIACO che porta il cuore dallo stato di contrazione allo stato di riposo e quindi allo stato di contrazione, è detto rivoluzione cardiaca. Il ciclo cardiaco comprende le 2 fasi essenziali nelle quali si svolge l’attività del cuore: diastole sistole Durante la diastole tutto il cuore è rilassato permettendo al sangue di fluire dentro tutte le 4 cavità attraverso le vene cave il sangue entra nell’atrio destro, mentre attraverso le vene polmonari entra nell’atrio sinistro. Le valvole atrio – ventricolari (tricuspide - mitrale) sono aperte consentendo il passaggio del sangue dagli atri ai ventricoli (ventricoli che si riempiono quasi completamente). La sistole comincia con una contrazione degli atri che determina il riempimento completo dei ventricoli. Quindi si contraggono i ventricoli; la loro contrazione chiude le valvole atrio- ventricolari e apre le valvole semilunari (aorta e arteria polmonare); il sangue povero di ossigeno viene spinto verso i polmoni, mentre quello ricco di ossigeno si dirige verso tutto il corpo attraverso l’aorta. La quantità di sangue al minuto che il ventricolo sinistro pompa dentro l’aorta è detta gittata cardiaca. La frequenza cardiaca misura i battiti al minuto. Il battito del cuore è composto da 2 colpi: il primo è dovuto alla contrazione dei ventricoli e alla spinta del sangue contro le valvole atrio – ventricolari, mentre il secondo colpo proviene dalla spinta del sangue contro le valvole semi lunari. Il battito cardiaco viene fatto dai muscoli cardiaci che formano le pareti degli atri e dei ventricoli. Una regione specializzata del tessuto muscolare cardiaco detta nodo seno – atriale o pace maker naturale, mantiene il ritmo di pompaggio del cuore determinando la frequenza con cui esso si contrae. Esso genera impulsi che si diffondono rapidamente attraverso gli atri facendoli contrarre assieme e si trasmettono anche al nodo atrio – ventricolare. Qui gli impulsi vengono ritardati di pochi secondi prima di passare nei ventricoli cosicché gli atri si contraggono per primi e si svuotano del sangue che passa nei ventricoli facendoli contrarre e diffondere l’impulso ad essi. APPARATO RESPIRATORIO L’APPARATO RESPIRATORIO è l’insieme di organi che consente lo scambio di gas tra il sangue e l’ambiente esterno, in particolare l’introduzione di ossigeno e l’eliminazione di anidride carbonica, residuo di molte reazioni. L’apparato è costituito da un complesso di: canali che permettono il passaggio di aria; cavità (nasali e paranasali) in cui l’aria proveniente dall’esterno viene parzialmente riscaldata e depurata dal pulviscolo; organi parenchimatosi (i polmoni) all’interno dei quali si verificano gli scambi veri e propri tra gas contenuti nel sangue e gas contenuti nell’aria inspirata. Nell’espirazione la laringe può modulare l’aria in transito, consentendo l’emissione di suoni. Quindi l’apparato respiratorio umano è formato: dalle prime vie respiratorie (naso, bocca) dalla faringe dalla laringe dalla trachea da 2 bronchi che da essa si dipartono e che si ramificano in condotti di calibro via via minore, diventando bronchioli e da due polmoni. Gli organi a livello dei quali avvengono i processi di scambio dei gas respiratori, ossigeno e anidride carbonica, sono i POLMONI ; gli altri organi dell’apparato costituiscono vie di conduzione dei flussi di aria in entrata e in uscita. In tal senso, si possono comprendere nell’apparato respiratorio anche le vie nasali, la cavità boccale, la faringe e la laringe, che rappresentano le prime vie d’ingresso e di uscita dell’aria. L’apparato respiratorio è costituito da: vie respiratorie o aeree; i polmoni; Le vie aeree o respiratorie hanno lo scopo principale di condurre l’aria fino ai polmoni, di riscaldarla e di liberarla dalle impurità; comprendono: naso faringe laringe trachea bronchi e tutte le successive diramazioni Il naso ha una forma di piramide triangolare e presenta: una radice situata tra le sopracciglia, due facce laterali due solchi laterali e una base in cui si aprono le narici. Esternamente è ricoperto dalla cute e dal tessuto sotto – cutaneo; internamente è rivestito dalla cute, a livello delle narici, e dalla mucosa nella parte superiore. Il naso partecipa alla respirazione filtrando, riscaldando e inumidendo l’aria inspirata, inoltre è sede del senso dell’olfatto e partecipa alla fonazione, conferendo un particolare timbro a determinati suoni (nasali). La faringe, o gola, è un condotto imbutiforme comune all’apparato respiratorio e digerente. E’ divisa in 3 porzioni: La rinofaringe L’orofaringe L’ ipofaringe Oltre ad essere una via di transito per aria e cibo costituisce una camera di risonanza per i suoni emessi durante la fonazione e ospita le TONSILLE. La laringe, o scatola della voce, è un organo cavo a forma triangolare di cartilagine, rivestito di mucosa che connette la faringe alla trachea; è il centro principale della voce dove si trovano le corde vocali. La laringe trasforma l’aria in suoni, modificando la forma e la disposizione dei suoi anelli cartilaginei; è composta da vari tratti cartilaginei articolati e mobili per azione di muscoli striati. La cartilagine cricoidea è un anello di cartilagine che forma la parete inferiore della laringe ed è attaccata alla 1° cartilagine tracheale. L’ epiglottide è una porzione della laringe costituita da una cartilagine elastica, mobile situata appena sotto la base della lingua; il suo compito è di chiudere le vie respiratorie durante la deglutizione. L’epiglottide è di forma triangolare con base in alto e apice in basso. Al momento del passaggio del bolo alimentare, l’epiglottide esegue un movimento all’indietro e in basso che chiude l’apertura superiore della lingua impedendovi l’entrata degli alimenti. La glottide è una parte della laringe compresa tra le due corde vocali e si presenta come una strozzatura; essa si allarga nell’inspirazione e si restringe nell’espirazione sino a chiudersi, si stringe e si accorcia nei suoni acuti, si allarga e si allunga nei suoni gravi. La trachea è un canale rigido, un tubo, che scende attraverso il collo, fino al torace; è costituita da una parete cartilaginea suddivisa in vari anelli a cui si alternano degli anelli membranosi. In questo modo la trachea riesce ad essere allo stesso tempo resistente, per non disperdere l’aria che corre al suo interno, e flessibile per non intralciare i movimenti del tronco e del collo. Gli anelli cartilaginei sono in realtà dei semi – anelli; il tratto che manca è compensato da una membrana ricca di fibre muscolari, in questo modo l’esofago, che scorre dietro la trachea, non trova una parete resistente che ostacoli la dilatazione al passaggio del bolo alimentare. All’interno, la trachea, è rivestita interamente da una mucosa, che mantiene la superficie umida, e da piccole ciglia vibratili che oscillano rimuovendo i granuli estranei e facilitandone con il muco, l’espettorazione. La trachea si biforca nel bronco principale destro e nel bronco principale sinistro. Ogni bronco si suddivide in bronchi sempre più sottili sino ai bronchioli terminali; al termine di queste diramazioni si trovano gli alveoli polmonari. RAMIFICAZIONI DELL’ALBERO BRONCHIALE TRACHEA ↓ BRONCHI PRINCIPALI ↓ BRONCHI SECONDARI ↓ BRONCHI TERZIARI ↓ BRONCHIOLI ↓ BRONCHIOLI TERMINALI POLMONI I POLMONI sono gli organi principali della respirazione, in cui avviene lo scambio tra l’ossigeno dell’aria e l’anidride carbonica del sangue; occupano le due metà della gabbia toracica lasciando libero uno spazio mediano in cui si trova il cuore e scorre l’esofago. I polmoni hanno l’aspetto di due masse spugnose ed elastiche a forma semi – conica con superficie liscia di un colore che varia dal rosa al grigio a seconda dell’età. Essi poggiano sul diaframma; alcuni solchi profondi intaccano la superficie polmonare: il polmone di destra è diviso da questi solchi in tre lobi e quello di sinistra in due lobi. La loro struttura è formata da un insieme degli alveoli e da ramificazioni bronchiali e sono rivestiti da una membrana sierosa a doppio strato, detta PLEURA; un muscolo a forma di cupola, il DIAFRAMMA, separa la cavità toracica da quella addominale. La trachea, dividendosi in due canali, dà origine ai bronchi che si ramificano più volte fino alla parte terminale che sono i bronchioli . I bronchioli terminali sono così sottili che il loro calibro arriva a misurare meno di un millimetro ; ciascuno di essi termina con una specie di grappolo detta vescicola polmonare o infundibolo. Ogni grappolo è formato da tante piccole cavità a forma di sacchetti dette alveoli polmonari e possiamo paragonare ogni infundibolo ad un grappolo d’uva ed ogni alveolo a uno degli acini. Gli infundiboli sono migliaia e ognuno di questi possiede centinaia di alveoli; in uno spazio relativamente piccolo, grazie ad una particolare disposizione anatomica è racchiusa una superficie enorme e può raggiungere e 200 metri quadrati. Questa è la superficie respiratoria: è sottilissima e dentro di essa si estendono le reti dei capillari sanguigni con cui termina l’arteria polmonare. L’arteria polmonare porta sangue venoso; è chiamata arteria per il verso con cui procede il sangue (dal sangue alla periferia). Nel suo breve percorso, l’arteria si divide in due rami che raggiungono ciascuno un polmone e vi penetrano dentro ramificandosi allo stesso modo delle ramificazioni bronchiali; nel polmone dire che vi sia una doppia, fitta ramificazione: quella bronchiale per il trasporto dell’aria e quella vasale per il circolo del sangue. In corrispondenza dei bronchioli capillari, i capillari dell’arteria polmonare recanti sangue venoso formano con le loro reti maglie molto strette che sporgono dentro la cavità degli infundiboli piena di aria ossigenata. Il sangue è ora separato dall’aria soltanto dall’endotelio del capillare e dell’epitelio e viene a contatto con l’ossigeno. Il sangue abbandona l’anidride carbonica e il vapore acqueo e prende l’ossigeno. I capillari arteriosi vanno poi a raccogliersi nelle vene polmonari (vene per il fatto che procedono dalla periferia al centro, ma che in realtà contengono sangue arterioso). Le 4 vene polmonari vanno poi a sfociare nell’atrio sinistro del cuore, che distribuirà il sangue arterioso per tutto il corpo umano. LA PLEURA Durante la respirazione, la gabbia toracica si amplia e si restringe; il polmone che è racchiuso in essa è obbligato a seguirla. Ciò avviene perché il polmone aderisce alle pareti del torace, in modo tale da consentirgli di restare separato dalle pareti e di strisciare sulle stesse dilatandosi e restringendosi. Ciò si deve ad una membrana sierosa detta PLEURA che da una parte aderisce alla superficie del polmone (pleura viscerale) e dall’altra alle pareti toraciche (pleura parietale). La superficie della pleura è liscia, umida e rivestita da endotelio da cui fuoriesce siero. MECCANICA RESPIRATORIA I polmoni e la parete toracica sono strutture elastiche. Normalmente, lo spazio tra i polmoni e la parete toracica non contiene che un sottile strato di liquido. La pressione in questo spazio intrapleurico è inferiore ad un’atmosfera e i polmoni strettamente aderiscono alla parete toracica. L’inspirazione è un processo attivo: il diaframma si abbassa, mentre i muscoli costali espandono il torace. La pressione intrapleurica, che all’inizio è di circa - 2,5 mmHg, scende – 6 mmHg: per questi due fattori i polmoni sono obbligati ad espandersi per seguire il movimento della cassa toracica. All’interno degli alveoli, e conseguentemente nel resto delle vie aeree, si forma una pressione leggermente negativa, e l’aria entra nei polmoni. Terminata l‘inspirazione, i polmoni si ritraggono con un movimento elastico riportando la parete toracica nella posizione espiratoria. Durante questo processo, che viene chiamato espirazione, la pressione dell’aria nei polmoni è leggermente positiva, e ciò determina la fuoriuscita d’aria. L’espirazione è passiva, nel senso che, nessuno dei muscoli che riducono il volume del torace si contrae. Gli atti respiratori, in condizione di riposo, sono involontari e automatici: si succedono regolarmente al ritmo di 12-16 al minuto e permettono di introdurre dai 7 agli 8 l d’aria al minuto. E’ tuttavia possibile modificare volontariamente la frequenza e la portata respiratoria: per esempio durante una corsa o un intenso lavoro muscolare o in situazioni di stress, la quantità d’aria può essere portata a 120-150 l al minuto. L’attività dei muscoli respiratori modifica il volume della cavità toracica, mentre il movimento dei polmoni è passivo. Solo la fase inspiratoria è il momento attivo della respiratoria, mentre la fase espiratoria risulta passiva, determinata cioè dall’elasticità della parete toracica e dei polmoni che tornano alle dimensioni iniziali. I muscoli espiratori agirebbero quindi solo durante l’espirazione forzata; l’inspirazione è determinata da un doppio meccanismo, diaframmatico e costale; il diaframma, contraendosi e appiattendosi, determina un allungamento della cavità toracica e quindi un suo aumento di volume, mentre contemporaneamente per la contrazione dei muscoli inspiratori che innalzano le coste, la gabbia toracica si amplia. L’aumento di volume della cavità toracica è seguito passivamente dall’espansione della pleura e del polmone. Tale fenomeno è dovuto alla depressione presente nelle cavità pleuriche, che mantiene distesi elasticamente i polmoni, tanto che anche dopo un’espirazione forzata gli alveoli contengono ancora aria. I polmoni, quindi, non si svuotano mai completamente d’aria , ha meno di una perforazione del sacco pleurico (pneumotorace) , che porta all’ingresso d’aria maggiore 2-3 l. (riserva inspiratoria) analogamente con un’espirazione forzata si può espellere circa ½ l d’aria in più rispetto al normale (riserva espiratoria). Viene detta capacità vitale (3,5- 5l) la massima quantità d’aria che può essere espulsa con un’espirazione forzata. Seguita ad un’inspirazione forzata, mentre la capacità polmonare (4,5 – 6,5 l) è la massima quantità d’aria che si può introdurre nei polmoni con un’inspirazione forzata. LO SCAMBIO E IL TRASPORTO GASSOSO L’aria atmosferica è una miscela di gas contenente in massima parte azoto, utile come diluente per l’ossigeno, ma inattivo dal punto di vista respiratorio e vapore acqueo. La pressione dell’aria è pari a 760 mmHg , e corrisponde alla somma delle pressioni parziali dei singoli gas in essa contenuti. Nel sangue venoso che circola nei capillari alveolari esiste una bassa pressione parziale di ossigeno (O2) ed è un elevata pressione dell’anidride carbonica (CO2), mentre l’opposto si verifica nell’aria alveolare. Tale situazione permette che possa avvenire uno scambio gassoso attraverso la barriera aria-sangue degli alveoli, cioè la fuoriuscita della CO 2 dal sangue e il suo ingresso nell’alveolo, e la fuoriuscita dell’ O2 dall’alveolo nel sangue. Tale scambio non ritiene consumo di energia da parte delle cellule alveolari. A livello dei tessuti si ha un ulteriore scambio gassoso, ma esattamente invertito per le opposte condizioni pressorie dei gas rispetto agli alveoli, per cui l’ossigeno abbandona il sangue e la CO2 abbandona l’interstizio. I meccanismi di scambio gassoso non spiegano tuttavia la grande capacità di trasporto di ossigeno posseduta dal sangue, cioè 100 cc di sangue arterioso trasportano 20 cc di ossigeno. Ciò è dovuto al fatto che l’ossigeno nel sangue non si trova disciolto, bensì legato all’emoglobina, proteina caratteristica degli eritrociti (globuli rossi). Ognuno dei 4 atomi di ferro presenti nella struttura dell’emoglobina lega 2 atomi di ossigeno; 100 cc di sangue contengono 15 g di emoglobina, e ogni grammo può legare 1,38 cc di ossigeno. Il legame tra ossigeno e ferro è debole, ed è direttamente proporzionale alla pressione parziale dell’ossigeno. CONTROLLO NERVOSO DELLA RESPIRAZIONE L’attività dell’apparato respiratorio si adatta automaticamente alle necessità dell’organismo. Quando aumenta il fabbisogno di ossigeno e la produzione di CO 2, sia il ritmo respiratorio che la frequenza cardiaca aumentano portando a un più intenso scambio gassoso e ad un più rapido trasporto di sangue ossigenato ai tessuti che ne hanno fatto richiesta, e di sangue venoso ai polmoni. Il ritmo di base della respirazione, involontario, ma che può essere modificato volontariamente, è controllato da centri nervosi localizzati nel tronco-encefalico. L’inspirazione, l’espirazione e il ritmo respiratorio dipendono da una sottile e complessa interazione tra meccanismi biochimici e nervosi. La funzione respiratoria è capace di variare in base alle esigenze dell’organismo: ad esempio, rallenta durante il sonno mentre aumenta durante un’attività fisica intensa. La regolazione del ritmo respiratorio è di fondamentale importanza perché interviene sull’equilibrio dei gas respiratori nel sangue (ossigeno e anidride) sulla produzione di energia e sulle variazioni acido-basiche dell’organismo: in questo modo entra in gioco nei meccanismi di compensazione delle alcalosi e delle acidosi. IPERTENSIONE ARTERIOSA L’Ipertensione arteriosa oggi è una della malattie maggiormente diffusa nei paesi industrializzati; spesso molti soggetti non sono a conoscenza del loro stato patologico se non prima della comparsa di un evento eclatante. L’ipertensione è una patologia caratterizzata da un aumento considerevole della pressione sanguigna con valori oltre la norma. Un individuo viene definito iperteso quando la sua pressione arteriosa sistolica o massima è superiore a 140 mmHg e quella diastolica o minima è superiore a 95 mmHg ; questi valori, tuttavia, variano in continuazione per cui prima di confermare una diagnosi di ipertensione la pressione deve essere misurata più volte. L’ipertensione viene classificata in: Lieve Moderata Grave Molto grave Esistono 2 tipi di ipertensione: Primaria o essenziale quando si ha un rialzo abnorme della pressione sanguigna causato da fattori non identificabili, anche se la causa predominante sta nella predisposizione genetica. Secondaria le cui possibili cause, invece, sono ben note; infatti fattori concomitanti e scatenanti sono: L’insufficienza renale Le malattie vascolari renali Iperaldosteronismo L’uso del contraccettivo orale L’obesità L’ipertensione è uno dei fattori di rischio dell’insorgenza della malattia aterosclerotica, per esempio: L’ictus Infarto del miocardio La malattia coronarica Lo scompenso cardiaco Le malattie arteriose periferiche La pompa cardiaca agisce contraendosi ripetutamente, in modo automatico, senza il controllo della volontà. Tali contrazioni vengono chiamate battiti cardiaci e normalmente si ripetono in modo regolare, una dopo l’altro, con una frequenza nell’adulto a riposo compresa tra le 60 e le 100 volte al minuto. La forza con cui il sangue circola nei vasi si traduce in una pressione sulla parete degli stessi vasi. La pressione nelle arterie può essere facilmente misurata con un apposito apparecchio (sfigmomanometro) posizionato al braccio; i valori così trovati indicheranno la pressione arteriosa omerale. In questo modo troveremo 2 valori della pressione, uno massimo nel momento della spinta cardiaca (pressione arteriosa massima) e uno minimo, tra una spinta e l’altra (pressione arteriosa minima). In alcuni punti del corpo alcune arterie scorrono superficiali, poco al di sotto della pelle. In questi punti, appoggiando i polpastrelli delle dita, si possono facilmente apprezzare le ripetute spinte che ogni contrazione cardiaca induce nel sangue contenuto nelle arterie stesse; tali spinte si dicono polsi. Nei vari polsi ricordiamo il polso radiale e il polso carotideo DIABETE Il diabete mellito è una delle malattie metaboliche più diffuse. E’ una patologia cronica caratterizzata da anomalie del metabolismo di carboidrati, proteine e lipidi. Si tratta di una condizione in cui l’organismo, nel suo insieme, non può trarre beneficio dagli alimenti, nonostante questi siano regolarmente ingeriti e digeriti Il diabete è dunque un disturbo dell’utilizzazione del nutrimento da parte dell’organismo, causato dalla carenza della secrezione e/o dall’azione dell’insulina, che determina due conseguenze: non potendo i nutrienti raggiungere due importanti distretti, i muscoli e il tessuto adiposo, questi utilizzano altri nutrienti a scopo energetico. I nutrienti non utilizzati si accumulano nel sangue, in particolare, il glucosio, aumenta a livello tale da non poter essere riassorbito dai reni e quindi passa nelle urine insieme a notevoli quantità di acqua. Il diabete mellito (passare attraverso) comprende un gruppo di patologie geneticamente e clinicamente eterogenee nelle quali l’intolleranza al glucosio è il denominatore comune. Distinguiamo: Diabete mellito di tipo 1 insulino – dipendente (distruzione delle cellule B); Diabete mellito di tipo 2 non insulino – dipendente Diabete mellito gestazionale Le sostanziali differenze che intercorrono i vari tipi di diabete riguardano sia le differenze di tipo anatomo – funzionale, sia, e soprattutto, i diversi tipi di interventi da applicare ai differenti pazienti; infatti il paziente di tipo 1 seguirà prevalentemente una terapia insulinica, mentre il paziente di tipo 2 seguirà una terapia esclusivamente dietetica, ipoglicemizzanti orali da soli, associati o sostituiti dall’insulina, secondo lo stato di compenso metabolico. TECNICHE DI PRONTO SOCCORSO E PRIMO INTERVENTO Il primo soccorso consiste in una serie di manovre da applicare nel caso una persona sia colpita da malore o incidente. Queste poche e semplici norme consentono spesso di preservare la vita di un infortunato o comunque di migliorarne le condizioni generali o evitarne il peggioramento. Quindi come primo soccorso si intende l’aiuto immediato alla vittima, in attesa dell’intervento di personale qualificato ed adeguatamente attrezzato. L’esecuzione del primo soccorso è composta da una precisa cronologia di manovre che se non rispettate possono pregiudicare l’esito del fine stesso dell’intervento. Per eseguire il primo soccorso è necessario eseguire le procedure del BLS (BASIC LIVE SUPPORT); tali procedure, che servono per effettuare la rianimazione cardio – polmonare, non prevedono l’utilizzo di strumenti o la somministrazione di farmaci. Oltre alle manovre da effettuare, è importante avere delle conoscenze di base che permettono di riconoscere, attraverso le manifestazioni, i possibili problemi che potrebbe avere la persona da soccorrere. E’ quindi opportuno avere delle nozioni basilari sulle funzioni vitali del corpo umano. Osservando una persona la vediamo muoversi, respirare, parlare, mangiare, ascoltare, ridere, ecc.; la sua vita e soprattutto il suo complesso modo di vivere sono assicurati dalla capacità del suo corpo di svolgere tanti compiti diversi, che chiamiamo funzioni. Tra queste funzioni, 3 sono fondamentali per la sopravvivenza stessa dell’organismo e vengono perciò chiamate funzioni vitali; esse sono: Funzione respiratoria Funzione cardiocircolatoria Funzione neurologica La cessazione di una o più di queste funzioni conduce rapidamente alla morte e pertanto vanno immediatamente salvaguardate dai primi soccorritori che intervengono nelle diverse circostanze di emergenza. Funzione respiratoria Tutte le cellule che compongono un organismo devono produrre energia per vivere; la produzione della quale avviene bruciando, cioè consumando ossigeno e producendo come scoria da eliminare anidride carbonica. E’ con il respiro, cioè con la continua entrata ed uscita d’aria nei e dai polmoni, che assicuriamo il continuo rifornimento di ossigeno e l’eliminazione dell’anidride carbonica. L’ossigeno presente nell’aria raggiunge i polmoni attraverso le vie respiratorie: naso, bocca, laringe, trachea, bronchi; dai polmoni passa nel sangue che circola nei polmoni stessi e da questo viene trasportato a tutte le cellule dell’organismo. L’anidride carbonica compie il tragitto opposto: il sangue la trasporta dalle cellule ai polmoni dove passa nell’aria che viene eliminata attraverso le stesse vie respiratorie. Tra tutti gli organi il cervello è quello più sensibile alla mancanza di ossigeno. E’ sufficiente infatti un’interruzione anche di pochi minuti nel rifornimento di ossigeno al cervello per provocare in esso delle alterazioni irreversibili; un’interruzione di circa 5 minuti determina la necrosi, e quindi la morte di cellule cerebrali, un’interruzione di 10 minuti ne determina la morte. Il respiro avviene automaticamente per azione involontaria da parte dell’apparato nervoso; in parte, e solo momentaneamente, può essere modificato dalla volontà. Gli atti respiratori si susseguono uno dopo l’altro. Normalmente una persona adulta, respira 16 - 18 volte al minuto; nei bambini e nei lattanti la frequenza respiratoria invece è più elevata: 25 respiri/minuto. Il soccorritore può controllare il respiro di una persona osservandone le espansioni del torace, ascoltando gli eventuali rumori respiratori e/o sentendo sulla propria pelle il movimento dell’aria respirata. In molte circostanze di emergenza è possibile riscontrare in una persona un’alterazione del respiro. Possiamo rilevare: Un respiro accelerato (tachipnea) con una frequenza più alta del normale (20 - 40) Un respiro rallentato (bradipnea) con una frequenza diminuita, da 14 fino a 2 - 3 al minuto Un respiro irregolare (respiro periodico) quando gli atti respiratori non si succedono regolarmente ma sono continuamente interrotti da pause più o meno lunghe. Un respiro rumoroso per ostacoli al passaggio dell’aria o per presenza di liquidi nelle vie respiratorie Assenza del respiro, cioè arresto respiratorio Funzione cardiocircolatoria Per funzione cardiocircolatoria intendiamo quell’attività dell’organismo che mantiene il sangue in movimento; esso assicura a tutte le cellule il costante rifornimento di quanto necessitano per vivere e per compiere il loro specifico compito e l’eliminazione delle scorie prodotte dalla loro attività. Tantissime sono le sostanze trasportate dal sangue alle cellule: tra queste l’ossigeno. Il movimento del sangue avviene in 2 circuiti di vasi sanguigni (la grande circolazione detta anche circolazione sistemica e la piccola circolazione detta anche circolazione polmonare), grazie alla spinta fornita da una pompa, il cuore, diviso in una parte sinistra e in una parte destra, che si contraggono e si rilasciano simultaneamente, in risposta allo stimolo stesso. La metà sinistra del cuore spinge il sangue proveniente dai polmoni dove si è arricchito di ossigeno, nelle arterie della circolazione sistemica e queste lo distribuiscono a tutti i capillari tessutali a livello dei quali le sostanze nutritive passano dal sangue alle cellule dell’organismo, mentre le scorie prodotte dall’attività cellulare passano dalle cellule al sangue; da qui, tramite le vene della circolazione sistemica il sangue, impoverito di ossigeno e arricchito di anidride carbonica, viene trasportato alla metà destra del cuore. La pompa della metà destra del cuore provvede allora a spingerlo nelle arterie della circolazione polmonare; queste lo distribuiscono ai capillari delle pareti degli alveoli polmonari dove il sangue si libera dell’eccesso di anidride carbonica cedendola all’aria alveolare e da questa riceve in cambio l’ossigeno, arricchendosene nuovamente; le vene della circolazione polmonare riconducono infine il sangue al cuore sinistro, pronto per essere nuovamente mandato a tutte le cellule dell’organismo per mezzo della circolazione sistemica. La pompa cardiaca agisce contraendosi ripetutamente, in modo automatico, senza il controllo della volontà; tali contrazioni vengono chiamati battiti cardiaci; normalmente si ripetono in modo regolare, una dopo l’altra, con una frequenza, nell’adulto a riposo, compresa tra le 60 e le 100 volte al minuto mentre nel bambino questa frequenza è più elevata, fino a 120 – 150 battiti al minuto. La forza con cui il sangue circola nei vasi si traduce in una pressione sulla parete degli stessi vasi. La pressione nelle arterie sistemiche può essere facilmente misurata con un apposito apparecchio (sfigmomanometro) posizionato al braccio; i valori così trovati indicheranno la pressione arteriosa omerale. In questo modo troveremo due valori della pressione, uno massimo nel momento della spinta cardiaca (pressione arteriosa massima) e uno minimo, tra una spinta e l’altra (pressione arteriosa minima). In alcuni punti del corpo alcune arterie scorrono superficiali, poco al di sotto della pelle; in essi, appoggiando i polpastrelli delle dita, si possono facilmente apprezzare le ripetute spinte che ogni contrazione cardiaca induce nel sangue contenuto nelle arterie stesse; tali spinte si dicono polsi. Normalmente ad ogni contrazione del cuore corrisponde un impulso apprezzabile al polso. Dei vari polsi ne ricordiamo due: il polso radiale apprezzabile al polso scheletrico (è quello più usato nel valutare l’attività cardiocircolatoria) il polso carotideo (è di fondamentale importanza nelle emergenze) apprezzabile due dita trasverse sotto l’angolo della mandibola La funzione cardiocircolatoria non è così evidente come quella respiratoria; il soccorritore non medico, in assenza di uno sfigmomanometro, può valutare questa funzione solo attraverso l’esame dei polsi, radiale e carotideo, e l’osservazione delle condizioni generali del paziente. Le alterazioni del polso sono: polso rallentato (bradicardia), quando la frequenza è inferiore ai 60 impulsi/minuto polso accelerato (tachicardia), quando la frequenza è superiore ai 100 impulsi/ minuto polso irregolare (aritmia), quando gli impulsi non si succedono regolarmente uno dopo l’altro, ma sono più o meno frequentemente interrotti da pause più o meno lunghe assenza del polso in particolare può essere assente il polso radiale ma presente quello carotideo, o possono mancare entrambi. Funzione neurologica o stato di coscienza In varie condizioni di progressiva sofferenza cerebrale la coscienza può essere: ridotta (coscienza obnubilata): il paziente si mostra più o meno stordito, ma è in grado di rispondere alle domande, anche se in modo confuso e breve, e di eseguire ordini semplici, come aprire gli occhi, stringere la mano, mostrare la lingua; assente (coma): la persona non risponde, non esegue gli ordini e non può essere risvegliata nemmeno da stimolazioni intense; per gradi estremi di sofferenza cerebrale il coma culmina con l’arresto respiratorio. Queste alterazioni della coscienza, a seconda della causa che le ha provocate, possono manifestarsi gradualmente o all’improvviso e possono essere di durata breve oppure protrarsi a lungo. PROTEGGERE, AVVERTIRE, SOCCORRERE (PAS) Gli obiettivi immediati che il soccorritore deve seguire nei primi momenti di un emergenza sanitaria sono: Proteggere se stesso e l’infortunato da ulteriori rischi Avvertire il servizio medico di emergenza (118) Iniziare le manovre di soccorso Proteggere se stesso e l’infortunato: non perdere la calma e osservare quello che è avvenuto per alcuni secondi cercando di stabilire cosa è successo e valutando la presenza di ulteriori pericoli per l’infortunato o per se stessi; se sono coinvolte più persone, contarle; proteggersi dal contatto con il sangue o altri liquidi biologici usando guanti o, in mancanza, materiale impermeabile (buste di plastica); Se si viene a contatto con il sangue occorre lavare la parte con acqua e sapone in abbondanza e far valutare dal medico l’opportunità della profilassi (prevenzione) per l’epatite B; Proteggersi da eventuali rischi ambientali (rischio chimico, fumo, rischio elettrico), indossando, se ha a disposizione, indumenti di protezione adatti (maschere, respiratori, ecc); Proteggere l’infortunato da eventuale pericolo imminente (presenza di sostanze tossiche, folgorazione), prendendo subito i necessari provvedimenti (aerare gli ambienti, staccare l’interruttore della corrente elettrica); Se l’infortunato è cosciente, tranquillizzarlo; Evitare la presenza di curiosi nei pressi dell’infortunato; Coprire l’infortunato, se necessario. Avvertire l’unità di emergenza sanitaria (118) Se sono presenti più persone, inviare una di loro a chiamare i soccorsi; Se si è da soli, assicurarsi che l’infortunato respiri prima di correre a telefonare; Quando si chiama il 118 per il trasporto rapido al pronto soccorso, fornire in modo chiaro le seguenti informazioni: Il proprio nome e cognome, struttura di appartenenza e numero di telefono Cos’è accaduto Numero delle persone coinvolte Condizioni della vittima (es. “è cosciente?” oppure “respira?”) Indicazioni precise per il raggiungimento del luogo dell’infortunio: indirizzo, via, numero civico ecc. Prima di riattaccare chiedere conferma all’operatore Soccorrere l’infortunato eseguendo poche azioni essenziali, evitando di aggravare la situazione con interventi scorretti ed inutili. In particolare: Non spostare l’infortunato tranne che nei casi di pericolo imminente, non metterlo in piedi o seduto; Astenersi dal somministrare qualsiasi tipo di farmaco, bevanda o alimento; Non effettuare manovre di pertinenza medica (riduzione di fratture o lussazioni, estrazione di oggetti estranei da qualsiasi parte del corpo); Non fare commenti sull’accaduto con l’infortunato sulle lesioni e la loro gravità; Non abbandonare l’infortunato Controllo e supporto delle funzioni vitali Le fasi di controllo delle funzioni vitali devono essere alternate in corretta sequenza ad azioni di supporto secondo lo schema seguente: Valutazione dello stato di coscienza Non è cosciente E’ cosciente Apertura delle vie aeree Valutazione attività respiratoria Respira Non respira Mettere se possibile in Respirazione artificiale posizione laterale di sicurezza Valutazione attività cardiaca Polso presente Polso assente Continua respirazione Massaggio cardiaco e artificiale continua respirazione Quando ci si trova nella situazione di dover prestare soccorso, la prima cosa da fare non è andare dalla persona da soccorrere Affianca la persona da soccorrere e verifica la condizione in cui si trova. BLS (BASIC LIVE SUPPORT) Per scegliere l’intervento da effettuare è necessario esaminare la condizione della persona da soccorrere, attraverso la valutazione delle funzioni vitali di base che sono: Funzione respiratoria Funzione cardiocircolatoria Funzione neurologica A questo punto bisogna seguire le procedure del BLS, che inizia con l’ABC della rianimazione cardiopolmonare: a) b) c) d) e) Pervietà delle vie aeree Respirazione Circolazione Coscienza Esposizione a rischi LO STATO DI COSCIENZA Per prima cosa bisogna valutare lo stato di coscienza, che avviene attraverso la stimolazione verbale e/o dolorosa. Con esso intendiamo la condizione dell’individuo di reagire prontamente agli stimoli che lo raggiungono, sia interni che esterni, dimostrando con il comportamento e con il linguaggio di avere piena consapevolezza di se stesso e dell’ambiente che lo circonda. In varie condizioni di sofferenza cerebrale, la coscienza può essere: 1. Ridotta (coscienza obnubilata o obnubilamento) 2. Assente (coma) Per valutare tale stato vi è la GCS (GLASGOW COMA SCALE); questa scala si basa su 3 tipi di risposta agli stimoli (oculare, verbale e motoria) e si esprime sinteticamente con un numero che è la somma delle valutazioni di ogni singola funzione. Ad ogni tipo di stimolo viene assegnato un punteggio e la somma dei 3 punteggi costituisce l’indice GCS. Se la vittima è cosciente e il luogo è sicuro, il soccorritore spiega alla vittima la sua condizione e lo informa che è meglio che non si muova per evitare complicazioni. A questo punto il soccorritore chiama i soccorsi. Se la vittima non sembra cosciente il soccorritore chiede aiuto, posiziona la vittima e scopre il torace; subito dopo assicura la pervietà delle vie aeree ed inizia la valutazione vera e propria dello stato di coscienza attraverso lo stimolo verbale, se non vi è risposta a tale stimolo si procede con la stimolazione dolorosa. Se anche l’esito della stimolazione si conclude negativo, e si considera la persona non cosciente, si chiama il 118. Subito dopo aver concluso con l’operatore, inizia la gestione della vittima. CONTROLLO DELL’ATTIVITA’ RESPIRATORIA E RCP (Rianimazione cardiopolmonare) Per controllare e valutare l’attività respiratoria della vittima il BLS prevede una procedura ben definita, chiamata GAS (guarda, ascolta, senti). Prima di iniziare tale procedura, bisogna controllare e garantire, quando è possibile, la pervietà delle vie aeree quindi, se presenta un corpo estraneo, bisogna eliminarlo. Le cause più frequenti di ostruzione da corpo estraneo sono: Protesi dentaria Cibo I fattori favorenti sono: Assunzione di alcool e droghe Alterazione della deglutizione L’ostruzione può essere suddivisa in: a) Ostruzione parziale b) Ostruzione totale Nella condizione di ostruzione parziale la vittima riesce a tossire, quindi in questo caso il soccorritore non eseguirà alcuna manovra, ma incoraggerà il paziente invitandolo a tossire, somministrerà ossigeno, se è disponibile, attiverà il 118. Nella condizione di ostruzione totale la vittima manifesta un flusso respiratorio debole o inefficace ed inizia la cianosi : in questa condizione si potrebbe avere un’ostruzione completa delle vie aeree, quindi il respiro è assente, la vittima non è in grado di parlare, porta le mani alla gola; in questo caso per eliminare l’ostruzione risultano utili le compressioni addominali e i colpi sulla schiena che si possono eseguire solo se il paziente è cosciente; si andrà a colpire con il palmo della mano la schiena tra le scapole. Se non si hanno dei riscontri, si esegue la manovra di HEIMLICH che consiste nell’effettuare 5 compressioni addominali sottodiaframmatiche seguite da 5 pacche dorsali, ripetute fino all’espulsione del corpo estraneo o la perdita di coscienza del paziente. La tecnica del GAS per valutare l’attività respiratoria consiste: G : GUARDA SE IL TORACE SI ESPANDE A : ASCOLTA I RUMORI DEL RESPIRO S : SENTI SULLA GUANCIA IL FLUSSO D’ARIA La MANOVRA DEL GAS deve essere effettuata per 10 secondi, quindi è bene contare ad alta voce. La presenza di un respiro agonico detto GASPING equivale ad assenza di attività respiratoria. Se il paziente non ventila, allora si interviene con la ventilazione artificiale. Esiste la ventilazione senza mezzi aggiuntivi: a) Respirazione bocca – bocca b) Respirazione bocca – naso Esiste anche la ventilazione con mezzi aggiuntivi: a) Bocca – maschera b) Sistema pallone – maschera VENTILAZIONE BOCCA – BOCCA La ventilazione bocca a bocca consiste nel soffiare dell’aria nei polmoni della vittima attraverso la bocca; la quantità d’aria da soffiare è quella necessaria a far sollevare il torace come un respiro normale; è quindi opportuno eseguire una corretta iperestensione del capo, in modo tale da permettere all’aria soffiata di arrivare ai polmoni. Inoltre è importante chiudere le narici della vittima. Tecniche dell’iperestensione del capo: consiste nell’estendere il capo e successivamente sollevare il mento. VENTILAZIONE BOCCA – NASO La ventilazione bocca – naso consiste nel soffiare dell’aria nei polmoni della vittima attraverso il naso (questo quando ci si trova nella condizione in cui vi è la possibilità di usare la bocca). E’ opportuno quindi eseguire la corretta iperestensione del capo e sollevamento del mento, in modo tale da chiudere la bocca e permettere all’aria soffiata di arrivare ai polmoni. VENTILAZIONE MASCHERA – BOCCA Consiste nel soffiare dell’aria nei polmoni della vittima attraverso una maschera, nella quale il soccorritore dovrà soffiare all’estremità. La quantità d’aria da soffiare è quella necessaria a far sollevare il torace come un respiro normale; l’iperestensione del capo non è obbligatoria se si solleva il mento; non è necessario chiudere le narici e può essere usata (la maschera) sia stando di lato che dalla testa. VENTILAZIONE PALLONE – MASCHERA – BOCCA Consiste nel soffiare dell’aria nei polmoni della vittima attraverso una maschera collegata ad un pallone (pallone di AMBU). E’ opportuno eseguire la corretta iperestensione del capo; non è necessario chiudere le narici, in quanto la maschera copre totalmente il naso. Gli errori più frequenti nella pratica della ventilazione artificiale sono: Testa non iperestesa Bocca non pulita (vomito) Protesi non rimosse Narici mal chiuse Labbra non aderenti Volume d’aria insufficiente o eccessivo Soffio breve Iperventilazione del soccorritore Incompleta aderenza della maschera Respirazioni troppo rapide o brusche si manifestano con la distensione gastrica P.L.S. (POSIZIONE LATERALE DI SICUREZZA) La posizione laterale di sicurezza o PLS è una tecnica di primo soccorso utilizzata per permettere ad un infortunato in stato di incoscienza di respirar liberamente. Ciò è impossibile perché impedisce alla lingua di scivolare verso la gola e, in caso di vomito, i liquidi non vanno ad ostruire le vie aeree ma scorono verso l’esterno del cavo orale. Posizionando un problema il P.L.S. si muove la colonna cervicale, ed è quindi una manovra da evitare qualora si abbia il sospetto, o la certezza, di un trauma alla colonna Per poter eseguire questa manovra bisogna assicurarsi che il soggetto respiri e abbia un battito cardiaco presente; in caso contrario bisogna allertare il 118. A partire da un soggetto in posizione supina (coricata) con gli arti allineati lungo il corpo, si deve innanzitutto individuare il lato su cui questo andrà ad appoggiare, dopodiché: Il soccorritore si posiziona dal lato scelto e controlla che nella bocca non ci siano oggetti (dentiera, cibo, gomma da masticare) in grado di ostruirlo; se sono presenti bisogna asportarli. Dal suo lato il soccorritore piega il ginocchio dell’infortunato ed estende accanto a sé il braccio del soggetto, lasciando il gomito flesso. Il braccio e il torace formano così un angolo di circa 90° sul terreno, il ginocchio forma anche un angolo meno esteso e verticale. Il soccorritore posiziona la mano dell’arto superiore opposto a sé tra la testa dell’infortunato e la spalla dal proprio lato o poco più in basso. Infine afferra il soggetto per la spalla e per il fianco opposti a sé e, tirando, far ruotare il corpo dell’infortunato, che si ritrova accovacciato sul lato prescelto, con la mano del lato opposto sotto la testa. Se vi è un altro soccorritore, questi può sostenere il capo durante la rotazione per evitare movimenti bruschi. Le donne in gravidanza vanno poste in P.L.S. sul lato sinistro, in modo tale che l’utero non pesi sulle vene del fegato. CONTROLLO DELL’ATTIVITA’ CARDIACA Sul luogo dell’incidente il soccorritore osservando la vittima (se vi sono movimenti, tentativi di respirazione, colpi di tosse ecc.) rileva anche il polso. Se non ci sono segni di presenza di circolo o non vi è certezza, il soccorritore inizia il massaggio cardiaco esterno. Se ci sono segni di presenza di circolo, ventilare il paziente con una frequenza di 15 atti al minuto valutando ogni minuto la presenza di circolo. Per eseguire il massaggio cardiaco il soccorritore deve prima controllare che non vi sia presenza di attività cardiaca, se non presente, il soccorritore inizia la prima fase del massaggio cardiaco. Per prima cosa bisogna trovare il punto dove seguire le compressioni; per trovarlo si può misurare ad occhio la lunghezza dello sterno, individuare la metà e porre il palmo della mano appena sotto questa metà. La procedura più corretta e precisa è la seguente: Si deve partire dal margine inferiore dell’arcata costale e risalire con due dita unite seguendo la costola sino a quando non si raggiunge il punto in cui le costole si congiungono con lo sterno. Una volta trovato questo punto bisogna porre su di esso il dito medio e il dito indice; immediatamente sopra le due dita, sullo sterno, bisogna poi apporre il palmo dell’altra mano; questo è il punto di repere, cioè il punto più corretto dove effettuare il massaggio cardiaco. Non resta dunque che sovrapporre anche l’altra mano facendo attenzione che le dita della mano che premono sullo sterno siano ben sollevati. E’ questo il punto migliore per comprimere il cuore: al di sopra si rischia di rompere lo sterno, al di sotto si rischia di procurare fratture alle costole con possibili lesioni di organi vitali. E’ importante anche la posizione della vittima: questa deve essere sdraiata a pancia in su, distesa su un piano rigido o al suolo. Mai effettuare un massaggio cardiaco su un letto o su un materasso. La posizione che il soccorritore deve tenere durante l’esecuzione del massaggio cardiaco è parallela alla vittima. Tale posizione consente un minore sforzo da parte del soccorritore e una maggiore resa del massaggio. Mantenere le braccia ben tese non piegate, poiché il massaggio è efficace solo se perfettamente verticale e non deve mai eseguire un asse obliquo. Se il soccorritore è da solo, dopo aver garantito la pervietà delle vie aeree chiude il naso con una mano, per evitare che esca l’aria insufflata. Controlla che il torace si dilati durante l’insufflazione per riabbassarsi subito dopo. ESECUZIONE DEL MASSAGGIO CARDIACO Posizionarsi in ginocchio da un lato della vittima e porre la base del palmo della mano nel punto di compressione dello sterno precedentemente individuato; porre il palmo dell’altra mano sul dorso della prima, con le dita ben alzate, per far forza con entrambe le braccia. A questo punto eseguire la prima compressione facendo forza con tutto il peso del corpo, e poi rilasciando. Lo sterno si deve abbassare di circa 4-5 cm. L’operazione va ripetuta 15 volte, le compressioni vanno effettuate a distanza di circa 1 secondo l’una dall’altra. Dopo 15 compressioni effettuare 2 insufflazioni; si continua così alternando 15 massaggi e 2 insufflazioni. Al 1° minuto bisogna controllare che l’attività cardiaca non si sia ripristinata; in tal caso interrompere immediatamente il massaggio e controllare le funzioni vitali della vittima sino all’arrivo dei soccorsi. Se l’attività non si ripristina il massaggio va continuato senza interruzioni sino all’arrivo dei soccorsi. Se ci sono due soccorritori procedere come nel caso di un solo soccorritore con le seguenti differenze: Un soccorritore si posiziona vicino alla testa e si occupa delle insufflazioni; L’altro si posiziona vicino al torace e si occupa delle compressioni Si comincia con 2 insufflazioni, poi l’altro soccorritore effettua 15 compressioni e si continua alternando 2 insufflazioni e 15 compressioni. E’ bene contare ad alta voce ogni compressione, in modo tale che l’altro soccorritore che si occupa delle insufflazioni prenda il giusto ritmo e sia pronto ad immettere aria dopo la 15° compressione. Mai effettuare contemporaneamente insufflazione e compressione ma sempre alternando. E’ bene che i due soccorritori si alternino velocemente; bisogna controllare il polso per vedere se l’attività cardiaca si è ripristinata. NOZIONI SUL D.A.E. (DEFIBRILLATORE AUTOMATICO ESTERNO) E’ un dispositivo in grado di effettuare la defibrillazione delle pareti muscolari del cuore in maniera sicura, dal momento che è dotato di sensori per riconoscere l’arresto cardiaco. Il defibrillatore determina automaticamente se è necessaria una scarica e seleziona il livello di energia necessaria. L’utente che manovra non ha la possibilità di forzare la scarica quando il dispositivo segna che questa non è necessaria. Il funzionamento avviene per mezzo dell’applicazione di piastre adesive sul petto del paziente; quando questi elettrodi vengono applicati al paziente, il dispositivo ne controlla il ritmo cardiaco e, se necessario, si carica e si predispone per la scarica. Quando il defibrillatore è carico, per mezzo di un altoparlante, fornisce le istruzioni all’utente, ricordando che nessuno deve toccare il paziente e che è necessario premere un pulsante per erogare la scarica. Dopo ciascuna scarica, il defibrillatore ripete il controllo del ritmo cardiaco e, se necessario, si predispone all’effettuare una nuova scarica. Il defibrillatore si presenta come una scatola di dimensioni variabili (30 cm x 30 cm x 20 cm di altezza) al cui interno si trovano, oltre ai due elettrodi, anche dei rasoi per togliere i possibili peli presenti sul petto della vittima. Fondamentale è che gli elettrodi adesivi aderiscano perfettamente, perché una loro adesione parziale o non corretta provocherebbe una rilevazione sbagliata. I moderni defibrillatori sono in grado di guidare, tramite una voce registrata, il soccorritore esperto o il semplice cittadino tramite le poche tappe e manovre da effettuare; chiederà quindi, una volta acceso di: Inserire lo spinotto degli elettrodi negli appositi connettori Effettuerà l’analisi del paziente, incitandovi a non toccare la persona vittima del malore. A questo punto se riconosce un battito anche debole chiederà di controllare la respirazione. Se invece il cuore non batte lo segnalerà e consiglierà di scaricare. Il defibrillatore inoltre segnalerà continuamente ci allontanarsi dal paziente e di non toccarlo fino a quando non si avvertirà un fischio emesso dall’apparecchio con relativa segnalazione luminosa; in quel preciso momento è pronto a scaricare e l’operatore con la famosa filastrocca di sicurezza (via io, via voi, via tutti) invita se stesso, i colleghi soccorritori e tutti i presenti a non toccare il paziente, dopodiché effettua la scarica. Lo strumento effettuerà un’altra rilevazione delle funzioni elettriche del cuore, tornando ad avvertire di non toccare il paziente dopodiché se il cuore ha ripreso a battere, inciterà a controllare il respiro. Se il cuore non ha ripreso a battere si dovrà continuare con la manovra del BLS senza stare a staccare gli elettrodi; dopo un paio di minuti che vengono praticati sia la respirazione che il massaggio cardiaco dai soccorritori, lo strumento vi avvertirà che sta nuovamente procedendo al controllo delle funzioni cardiache invitando ad allontanarvi. Continuerà così fino alla completa risoluzione del problema. LE FERITE Chiamiamo “ferita” la rottura della pelle provocata da un trauma. A seconda che interessano la sola cute o anche le strutture anatomiche sottostanti, come tendini e muscoli, possono essere distinte in : SUPERFICIALI quando interessano esclusivamente lo strato cutaneo e sottocutaneo; PROFONDE quando coinvolgono lo stato fasciale e le strutture che si trovano al di sotto; PENETRANTI quando coinvolgono nella rottura gli organi contenuti rispettivamente nel cranio, nella gabbia toracica e nella cavità addominale; INTERNE quando interessano organi interni a prescindere dal fatto che la cute possa rimanere integra Le ferite in base alla causa che le ha provocate, possono essere distinte: Ferite lacero – contuse con schiacciamento e strappamento irregolare della cute Ferite da taglio lacerazioni nette provocate da strumenti affilati Ferite da punta e da punta – taglio provocate dalla penetrazione di uno strumento appuntito ed eventualmente tagliente Ferite da arma da fuoco provocate dalla penetrazione di proiettili Le ferite guariscono per 3 processi: Per prima intenzione: la guarigione avviene tramite l’apposizione di punti di sutura o graffette metalliche Per seconda intenzione: si preferisce lasciare aperte le ferite, dopo opportuno trattamento, e valutarne la guarigione attraverso la formazione del tessuto di granulazione in seguito a periodiche medicazioni Per terza intenzione: sono quelle ferite che si è deciso di portare a guarigione per seconda intenzione, quando si ritengono sicure sul piano della contaminazione Le ferite possono colpire 3 tipi di vasi sanguigni quali, le arterie, le vene e i capillari ; ad esempio, se è stata colpita una vena, il sangue che ne fuoriesce è di colorito rosso – scuro (perché carico di anidride carbonica) e la pressione è debole; se invece interessa un’arteria il sangue è di colorito rosso - chiaro e fuoriesce a zampilli; se sono coinvolti i capillari, la quantità di sangue è molto ridotta. EMORRAGIA Per definizione di “emorragia” si intende il versamento di sangue al di fuori dei vasi che può determinare la diminuzione del volume di sangue a disposizione, cioè la perdita di sangue per rottura di un vaso. L’emorragia può essere: Esterna: all’esterno del corpo, fuoriesce dalla ferita Esteriorizzata: all’esterno del corpo, attraverso un’apertura naturale Interne: quindi non visibile Nell’ emorragia, il rischio immediato è lo stato di shock (condizione in cui è compromessa la funzione cardiocircolatoria con alterazioni del polso e uno stato di malessere generale con spossatezza, sudorazione e pallore); per bloccare un’emorragia è possibile fare un bendaggio compressivo, che consiste nell’avvolgere la zona in cui vi è l’emorragia con una benda sterile o un tessuto pulito, e stringere quanto basta per arrestare l’emorragia. E’ importante che si controlli che il polso, alle estremità del bendaggio, sia presente. Un altro metodo è la compressione indiretta: tale procedura è applicabile solo in alcune arterie, quali la BRACHIALE e la CAROTIDEA con il pollice, e la FEMORALE con il pugno. L’obiettivo primario, quindi, è quello di bloccare l’emorragia. In presenza di un’emorragia succede che arriva meno sangue al cuore, esce meno sangue ossigenato dal cuore, le cellule di conseguenza ricevono meno ossigeno. L’organismo reagisce incrementando la gittata cardiaca (aumenta la quantità di sangue in circolo, con rispettivo aumento di pressione), irrigidiscono i vasi, aumenta la frequenza cardiaca, aumenta la frequenza del respiro. Tutto ciò si manifesta con pallore, polso accelerato e debole, respiro accelerato e superficiale. La gravità di un’emorragia dipende da: Tipo di emorragia Quantità di sangue perso Velocità della perdita di sangue Rischio di shock Età e stato della vittima Presenza di corpi estranei nella ferita In caso di emorragia esterna il soccorritore deve effettuare la compressione indiretta, cercano di individuare l’origine della fuoriuscita, usare garze sterili o tessuti puliti per comprimere la ferita, cercare di mantenere la compressione più a lungo possibile e porre, se possibile, la parte ferita in alto rispetto al cuore. Nell’emorragia esteriorizzata (naso = epistassi, bocca = ematemesi, orecchie = otorragia, ecc) non si può raggiungere il punto d’origine dell’emorragia, quindi è inevitabile che risulti più difficile bloccare la fuoriuscita. Le emorragie più complesse sono quelle interne; generalmente tali emorragie sono causate da traumi, da urto o malattie croniche. L’unico primo soccorso che si può dare è prevenire e combattere lo stato di shock , tranquillizzare e dare sostegno. L’obiettivo della medicazione è : Prevenire la contaminazione Proteggere la ferita da eventuali insulti meccanici Permettere di valutare e promuovere la guarigione Detergere da eventuali secrezioni della ferita Favorire l’emostasi Benessere psico – fisico del paziente Per eseguire una medicazione serve il seguente materiale: Soluzione fisiologica Acqua ossigenata Guanti Garze sterili Cerotti di varie misure Sostanze medicamentose (mercurio cromo, connettivina ecc) PRIMA MEDICAZIONE Prima di eseguire la medicazione, è opportuno lavarsi le mani e indossare guanti in lattice; detergere la ferita con acqua fisiologica (in alternativa anche l’acqua va bene); dopo la detersione si effettua la disinfezione con acqua ossigenata e garze sterili per eliminare possibili agenti patogeni e germi; a questo punto si applicano le sostanze medicamentose (la scelta di tali sostanze va effettuata a seconda del tipo di ferita). Come ultima fase isoliamo la ferita dall’ambiente esterno con garze sterili e cerotto. COME ESEGUIRE UNA FASCIATURA Il sistema più semplice e più comune di fasciatura è quello chiamato “a spirale”. Una fasciatura di questo tipo si fa di solito, partendo dalla parte sottile dell’arto (polso, se è interessato il braccio, la caviglia se è interessato il polpaccio). Nel primo giro si mette la benda in posizione leggermente obliqua rispetto alla disposizione che verrà ad assumere nei giri successivi. Si ripiega il lembo del primo giro che sporge, sotto il secondo giro per impedire alla benda di scivolare. Durante l’operazione si deve tenere il rotolo di benda con la faccia esterna ben aderente all’arto. Ogni giro deve coprire in altezza più della metà del giro precedente. Si svolge il rotolo da sinistra verso destra. Ogni 2- 3 giri si avvita la benda su se stessa di mezzo giro, per modellare la fasciatura dell’arto (se non si usa questo semplice artifizio, si formano delle pieghe che irritano la parte lesa e rendono molle e cadente la fasciatura). Si termina il bendaggio con due giri sovrapposti: oppure si ferma con un cerotto oppure dividendo a metà nel senso della lunghezza l’ultimo lembo di benda annodando i due estremi. DISTORSIONE E LUSSAZIONE Il nostro corpo è sostenuto dallo scheletro, costituito da tante singole ossa, articolate tra loro, in vari modi. Nelle articolazioni che consentono movimenti più ampi, come ad esempio quelle degli arti, le ossa si accostano ricoperte di cartilagine nei punti di contatto, trattenute da un manicotto fibroso chiamato capsula articolare, al cui interno è presente un liquido vischioso, lubrificante, detto liquido sinoviale. La capsula articolare è rinforzata all’esterno da alcuni legamenti che passano da un osso all’altro e consolidano così il contatto dell’estremità ossee. In prossimità delle articolazioni si inseriscono i tendini dei muscoli; la contrazione di questi ultimi determina il movimento dell’articolazione. Parliamo di distorsione quando una sollecitazione violenta allontana per un attimo le due estremità ossee dell’articolazione, producendo una lacerazione della capsula e dei legamenti di rinforzo. Parliamo di lussazione quando i due capi ossei vengono bruscamente spostati lacerando capsula e legamenti, e rimangono poi fuori posto, bloccati in posizione anomala, che non consente più alcun valido movimento. Sia le distorsione che le lussazione possono essere complicate dalla rottura delle estremità ossee che fanno parte dell’articolazione: in questo caso si parlerà di frattura articolare. Dopo una distorsione, l’articolazione si fa dolente e gonfia, tumefatta e i suoi movimenti suscitano dolore. Con il passare del tempo, il dolore e la tumefazione si accentuano sempre di più, limitando l’uso dell’articolazione, riducendo quindi la funzionalità motoria della persona. Come primo soccorso è bene applicare subito del ghiaccio per limitare il rigonfiamento e attenuare il dolore; l’articolazione deve essere poi immobilizzata. Nella lussazione, l’articolazione si presenta subito deformata, bloccata in una posizione anomala, dolente; il dolore è più intenso e l’incapacità funzionale più marcata rispetto alla distorsione. Non bisogna cercare di ricomporla, va immobilizzata nella posizione più comoda per il soggetto; l’eventuale frattura articolare associata potrà essere accertata solo da un esame radiografico successivo. FRATTURE Per frattura si intende la rottura di un osso dello scheletro, solitamente in conseguenza di un trauma. Distinguiamo: fratture chiuse, senza lacerazione della pelle sovrastante fratture aperte o esposte, con lacerazione della pelle sovrastante, emorragia esterna, eventuale fuoriuscita dei monconi dell’osso fratturato e conseguente esposizione al pericolo di infezione. Quando la frattura interessa ossa grandi, come ad esempio il femore o il bacino, un ulteriore pericolo è costituito dal sanguinamento associato e può essere molto consistente, con un emorragia esterna se la frattura è aperta, o una raccolta di sangue in profondità (ematoma) se è chiusa; tale sanguinamento può alterare la funzione cardiocircolatoria, fino allo shock. Le fratture sono in genere molto dolorose e il dolore si accentua con i minimi movimenti della parte fratturata; anche questo dolore, tramite dei particolari riflessi nervosi può portare ad alterazioni della funzione cardiocircolatoria, con abbassamento della pressione arteriosa, accelerazione del polso, stordimento, pallore, sudorazione: è questo il caso del cosiddetto shock neurogeno. Le fratture comportano spesso impotenza funzionale, togliendo alla vittima l’autonomia necessaria per cercare soccorso in modo autonomo. In caso di frattura, il soccorritore deve innanzitutto controllare e salvaguardare le funzioni vitali, quindi dovrà provvedere ad immobilizzare la frattura prima di iniziare il trasporto della vittima. Si considerano vari tipi di fratture: 1. 2. 3. 4. frattura della mandibola fratture del bacino fratture degli arti fratture della colonna vertebrale L’immobilizzazione è di estrema importanza: da un lato riduce il dolore, dall’altro impedisce che durante il trasporto i movimenti anomali dei monconi possono provocare ulteriori danni lacerando le strutture circostanti con conseguenze molto più gravi di invalidità. LE USTIONI Le ustioni sono delle lesioni più o meno gravi quando un liquido bollente, un oggetto caldo, un gas o un vapore ad elevata temperatura vengono a contatto con il nostro corpo. Classifichiamo le ustioni in 3 gradi, a seconda del loro aspetto: Ustione di I grado: la pelle si mostra arrossata, a volte un po’ tumefatta, discretamente dolente ; guarisce spontaneamente in 5-8 giorni senza cicatrici. Ustione di II grado: la zona interessata è dolente e presenta vesciche o bolle superficiali, piene di un liquido chiaro o lacerate che possono guarire in 10-15 giorni oppure risolversi spontaneamente in 20-25 giorni o diventare ustioni di III grado. Ustione di III grado: la pelle si presenta dura, di colore pallido o nerastro, insensibile (perché i nervi sono stati danneggiati). Le ustioni di I grado regrediscono rapidamente senza particolari conseguenze. Quelle di II grado sono anch’esse reversibili, ma più lentamente, rimanendo esposte alcuni giorni al pericolo delle infezioni (infezione tetanica), in questo caso bisogna medicarle. Le ustioni di III grado non sono invece reversibili: la pelle è morta, con il tempo si staccherà e la guarigione, in mancanza di cure specifiche, avverrà con la formazione di una cicatrice deturpante. Anche per questo tipo di ustioni vi è il pericolo delle infezioni, tra cui quella tetanica; si deve intervenire rimuovendo gli abiti ancora fumanti o impregnati di liquidi caldi; gli abiti che rimangono incollati alla pelle non vanno strappati, ma piuttosto ritagliati con una forbice. Le parti ustionate vanno poi lavate con acqua fredda e quindi ricoperte con teli, steli e puliti. In attesa dell’intervento medico nelle ustioni estese va sorvegliata in particolare la funzione cardiocircolatoria. La gravità delle ustioni dipende però soprattutto dalla loro estensione: ad esempio è meno grave l’ustione di III grado di un dito, che l’ustione di I grado di tutto il corpo. Le ustioni si distinguono in: localizzate o estese. Quando l’estensione supera il 20% della superficie corporea nell’adulto o il 12-15% nel bambino si parla di malattia da ustione. Tale malattia comporta una più o meno grave alterazione della funzione cardiocircolatoria, anche mortale, per la perdita eccessiva di liquidi attraverso le zone ustionate. IL CONGELAMENTO Con il termine “congelamento” si intende una lesione circoscritta provocata dal freddo. In una condizione di congelamento Tali lesioni si hanno in genere in zone periferiche dell’organismo (al naso, alle orecchie, alle mani, ai piedi, ecc.) per un rallentamento locale della circolazione sanguigna. Se tale rallentamento si protrae a lungo, le cellule della zona interessata soffrono e si alterano fino anche morire. I congelamenti si classificano in: Congelamenti di I grado: è presente un semplice arrossamento e gonfiore della pelle. Congelamenti di II grado: con presenza di vesciche e bolle. Congelamenti di III grado: con morte delle cellule e perciò pelle indurita, pallida o violacea, insensibile. Il primo soccorso nei congelamenti consiste: Migliorare la circolazione nelle parti colpite allentando i capi di vestiario, rimuovendo lacci e stringhe. Ricoprire le parti con materiale sterile, abbondante cotone e fasciare senza stringere. Somministrare liquidi caldi e ricoprire la vittima con coperte termiche; evitare un riscaldamento rapido delle parti congelate con frizioni, acqua calda o esposizione a sorgenti di calore intenso perché potrebbero danneggiare ulteriormente le zone sofferenti. COLPO DI CALORE La normale temperatura del corpo è di circa 37°. L’esposizione ad un ambiente molto caldo tende a far salire la temperatura corporea, attivando dei meccanismi di difesa dell’organismo, tra cui quello della sudorazione. Questi meccanismi disperdendo calore, sono spesso in grado di mantenere normale la temperatura corporea. Se però questa esposizione al caldo è eccessiva, questi meccanismi di difesa dopo un certo tempo si esauriscono e la temperatura del corpo sale progressivamente anche oltre i 41°, determinando una situazione di malattia acuta, dette di colpo di calore. Quindi il colpo di calore non è altro che uno stato patologico determinato dall’aumento della temperatura interna del corpo a seguito di un prolungato soggiorno in ambienti con forte umidità o surriscaldati o sovraffollati, o mal-aerati. La termoregolazione raggiunge il limite entrando in crisi. Si manifesta con: Fotofobia (non possono guardare la luce) Malessere generale Cefalea Nausea Midriasi Delirio Allucinazioni Perdita di coscienza In questo caso, il soccorritore deve: Sdraiare l’infortunato in un luogo fresco Spruzzare acqua fresca sul viso e sul corpo Applicare borse di ghiaccio sul collo, sulle ascelle e all’inguine Somministrare piccole soluzioni saline se è in grado di deglutire Controllare le funzioni vitali IL COLPO DI SOLE In circostanze particolari, l’esposizione può provocare una sofferenza acuta delle meningi. Questa sofferenza meningea provoca a sua volta una sofferenza acuta del cervello. È questo un pericolo a cui sono esposti in particolare i bambini piccoli, i quali hanno in genere pochi capelli e pelle e cranio sottile. La vittima ha il capo caldo, il volto arrossato, mentre il resto del suo corpo si mantiene fresco (a differenza di quanto avviene con il colpo di calore). All’inizio si lamenta in genere di mal di testa e di nausea; poi vomito, irrequietezza, confusione; segue poi obnubilamento della coscienza fino al coma e da ultimo si può giungere all’arresto respiratorio. In questo caso il soccorritore deve controllare il respiro e valutare le alterazioni; distendere poi la vittima all’ombra in posizione di sicurezza nel caso fosse incosciente; applicare impacchi freddi sul capo e controllare e gestire le funzioni vitali. ESCORIAZIONI e CONTUSIONI Per escoriazioni si intendono delle lesioni degli stati superficiali dell’epidermide che comportano necrosi e perdita di sostanza a seguito di sfregamento su superfici ruvide. Contusioni si intendono quelle alterazioni dei tessuti profondi senza discontinuità della cute. OSA (operatore socio assistenziale) E’ l’operatore dell’area socio – assistenziale chiamato a svolgere una serie di interventi integrati di : Assistenza diretta alla persona; Aiuto complementare alle attività di assistenza e tutela svolte da altri operatori per il miglioramento delle condizioni di vita, igieniche e relazionali nei servizi domiciliari e nelle strutture protette. L’OSA soddisfa i bisogni primari delle persone nell’ambito delle proprie aree di competenza, in un contesto sia sociale che sanitario: 1. Contesto operativo, settore sanitario: rientrano in questo settore, l’ospedale, le cliniche private, le case di cura, e tutti i servizi a valenza sanitaria. 2. Settore sociale: a questo settore appartengono: Le comunità alloggio. Si tratta di strutture residenziali di dimensioni ridotte che danno ospitalità a persone con scarsa autonomia (case di riposo private). Case famiglia . Sono strutture residenziali a carattere familiare in cui vengono accolti in genere bambini e adolescenti la cui situazione non permette loro di vivere all’interno del nucleo familiare d’origine. Centri educativi occupazionali diurni. Sono strutture la cui finalità è quella di accogliere persone con problemi di disabilità di medio grado Servizi domiciliari di base dedicati. Sono servizi la cui erogazione avviene al domicilio della persona per favorire l’autonomia della persona stessa assicurando la permanenza nel proprio ambiente di vita. Servizi assistenziali speciali. Sono ad esempio: il servizio di integrazione scolastica: la finalità di questo servizio è quella di seguire gli alunni con disabilità fisiche, psichiche, relazionali allo scopo di favorirne l’inserimento e l’integrazione nel contesto scolastico e sociale di appartenenza. Le persone di cui si prenderà cura l’OSA sono: persone adulte con handicap gravi o con sofferenza psichica e/o precedente di malattia mentale. persone anziane Nuclei familiari con persone a rischio o con portatori di handicap fisici e/o psichici con persone a rischio; minori allontanati dalla famiglia e collocati in strutture residenziali COMPETENZE SPECIFICHE DELL’OSA In collaborazione con altre figure professionali l’Osa è in grado di collaborare con l’utente e la sua famiglia: Nel governo della casa e dell’ambiente di vita, nell’igiene e cambio della biancheria. Nella preparazione o aiuto e nell’assunzione dei pasti. Nella pulizia e manutenzione di arredi e attrezzature. Quando è necessario per l’effettuazione degli acquisti. In sostituzione dei familiari e su indicazione del personale preposto, l’osa è in grado di: Aiutare per la corretta assunzione dei farmaci prescritti e per il corretto utilizzo di apparecchi medicali di semplice uso (termometro per la febbre, apparecchio per la glicemia, apparecchio per la misurazione della pressione) Osservare, riconoscere e riferire alcuni dei più comuni sintomi che l’utente può presentare (pallore, sudorazione, ecc.) Attivare interventi di primo soccorso Effettuare piccole medicazioni o cambio della stessa Controllare e assistere nella somministrazione delle diete Aiutare nelle attività di animazione che favoriscono la socializzazione, il recupero, il mantenimento di capacità cognitive e manuali Collaborare ed educare al movimento e favorire movimenti di mobilizzazione semplice Provvedere al trasporto di pazienti in carrozzella o barella Accompagnare l’utente per l’accesso ai servizi essenziali Disbrigo di pratiche burocratiche ASSISTENZA ALLA PERSONA PARZIALMENTE O TOTALMENTE NON AUTOSUFFICIENTE La cura della propria persona e le tecniche di igiene personale variano ,ma in genere comprendono l’autonomia nell’alimentazione e nell’eliminazione e l’igiene personale quotidiana del corpo. IGIENE PERSONALE QUOTIDIANA: igiene parziale Lavaggio delle mani Lavaggio dei denti Igiene della dentiera Lavaggio del viso Igiene perineale Igiene della pelle: ascelle, piedi ecc. IGIENE TOTALE: Bagno o doccia CURE IGIENICHE SPECIFICHE: Igiene oculare Igiene auricolare Igiene nasale Igiene dei capelli Nel praticare l’igiene ad un paziente va valutato il grado di dipendenza (dipendente, indipendente, parzialmente dipendente). IGIENE INTIMA DEL PAZIENTE INCONTINENTE: Lavaggio perineale Uso di pannoloni IGIENE POSTURALE E MOBILIZZAZIONE DELLA PERSONA ALLETTATA Principi generali. Soddisfare il bisogno di informazione del paziente e spiegargli cosa si vuole fare e come può aiutarsi. Favorire la privacy Tenere il paziente sempre coperto Fare attenzione a eventuali drenaggi, cateteri, flebo ecc. Effettuare movimenti sincroni e sicuri per evitare al paziente dolori Mantenere la colonna vertebrale del paziente in asse MOVIMENTO DEL PAZIENTE VERSO LA TESTATA DEL LETTO Con un’infermiera: Far posizionare al paziente le mani sulla testiera del letto Invitarlo a tenere la testa in avanti Fargli flettere le ginocchia e puntare i piedi sul materasso Aiutarlo a sollevare il bacino Aiutarlo ad assumere la posizione seduta (ortopnoica) Sistemare i cuscini Riordinare il letto Con due infermieri: Disporsi ciascuno su un lato del letto Far flettere al paziente le ginocchia e puntare i piedi Afferrarlo sotto le ascelle tenendolo dalla testa Sollevarlo e portarlo verso l’alto nel momento in cui fa forza sui piedi Metterlo in posizione seduta Sistemare i cuscini Riordinare il letto POSIZIONAMENTO DEL PAZIENTE IN DECUBITO LATERALE Porsi sul lato destro del letto Spostare leggermente verso l’esterno il braccio destro del paziente Far flettere il braccio sinistro sul petto Far accavallare il piede sinistro sul destro, posare le mani all’altezza della spalla e del fianco sinistro del paziente Far ruotare il paziente sul fianco destro Far flettere la gamba sinistra per dare maggiore stabilità Controllare che la colonna vertebrale sia in asse INCONTINENZA URINARIA E FECALE L’urina è il liquido prodotto dai reni, eliminato attraverso le vie urinarie; la quantità di urine emesse giornalmente varia da 1 litro a 1 litro e mezzo. L’incontinenza urinaria è una temporanea o permanente incapacità dello sfintere esterno di controllare il flusso di urina della vescica; è il contrario della ritenzione. L’incontinenza si trova nei pazienti che hanno una ghiandola prostatica aumentata di volume, lesioni del midollo spinale, infezioni delle vie urinarie, in pazienti che assumono farmaci che possono interferire con l’attività di controllo dello sfintere, come ad esempio narcotici e sedativi. Ci sono due tipi di incontinenza: Incontinenza da stress Incontinenza da pulsione Per quanto concerne i disturbi della minzione questi sono vari: Pollachiuria: minzioni frequenti con eliminazione di piccole quantità di urine; è sintomo di cistite Oliguria: quando nelle 24 ore viene eliminata una quantità di urine inferiore a 100 400 cc; ad esempio perdita di liquidi nelle forti sudorazioni Poliuria: aumento della quantità di urina emessa nelle 24 ore, fino a 10 – 20 litri al giorno; si riscontra nel diabete Anuria: è la mancanza di escrezione urinaria, ad esempio nell’insufficienza renale Nicturia: aumento della frequenza delle minzioni durante la notte PIAGHE DA DECUBITO O DA PRESSIONE Si parla di piaghe da decubito o da pressione quando si determina una lesione dei tessuti, in genere, nell’allettato, dove la cute viene compressa tra l’osso e la superficie su cu giace il corpo, sottoposta ad uno stress meccanico. In questi casi, l’ischemia del tessuto che deriva da tale compressione è causa di una lesione tessutale con evoluzione necrotica, che interessa la cute, il derma e gli strati sottocutanei fino a raggiungere la muscolatura e le ossa. Le persone maggiormente a rischio sono quelle paralizzate, ma in realtà tutti coloro che sono costretti a letto (“decubito” indica la posizione assunta dal malato a letto) oppure usano la sedia a rotelle o non sono in grado di cambiare posizione, possono soffrire di piaghe da decubito. Esse possono svilupparsi velocemente, progredire altrettanto rapidamente e spesso non guarire con facilità. I fattori generali favorenti la formazione da decubito sono: Alterazione dello stato di coscienza (coma, ecc..) Alterazioni delle capacità mentali e del comportamento (demenza) Alterazioni motorie della sensibilità (paraplegia, emiplegia, artropatie gravi) Malattie cardiache o respiratorie che causano uno scompenso di circolo Obesità o denutrizione Malattie generali debilitanti (diabete, insufficienza renale, avitaminosi) Esistono diversi tipi di classificazione delle piaghe: morfologica, clinica e a seconda del colore, dell’aspetto, dell’essudato. In genere, tuttavia, la classificazione pratica più seguita è quella morfologica in 4 stadi, che si basano sulla gravità delle lesioni stesse, se esse siano recenti o antiche, e sul grado di approfondimento nel tessuti. CLASSIFICAZIONE MORFOLOGICA Stadio 1: si tratta di lesioni iniziali con eritema della cute intatta con limitato edema. Se a questo primo stadio non si interviene, per esempio facendo cambiare la posizione del malato, utilizzando un materasso antidecubito e curando l’igiene dei tessuti e prevenendone la loro macerazione, allora da questo stadio si passa all’insorgenza dell’ulcera, specie se compaiono pallore cutaneo, calore o l’indurimento ( = non passa più ossigeno). Stadio 2: questo si caratterizza per una lesione che coinvolge l’epidermide e/o il derma. L’ulcera che ne deriva è superficiale, si presenta clinicamente come un’abrasione (escoriazione) o una vescica o una lieve cavità. Stadio 3: lesione a tutto spessore che implica danno o necrosi del tessuto sottocutaneo con estensione fino alla fascia muscolare. L’ulcera si presenta clinicamente come una profonda cavità. Stadio 4: lesione a tutto spessore con una distruzione estesa della cute, necrosi tissutale e interessamento di muscoli, talvolta tendini e osso. CLASSIFICAZIONE CLINICA Si parla di classificazione clinica poiché si ritiene che un’ulcera abbia una guarigione differente a seconda se il paziente sia: Paziente in stato anabolico, che mangia, si mobilizza. Paziente in stato catabolico, che non si muove, e cachettico, defedato terminale. Pertanto si distinguono 3 gruppi di pazienti: Sono enormi piastroni necrotici che si riscontrano in pazienti molto gravi e debilitati e che possono avere comparsa rapidissima con nevrosi che si manifesta in 36/48 ore. Generalmente consistono in un’unica grande lesione quasi sempre sacrale, accompagnata da altre piccole ulcere, tutte necrotiche, nei vari punti d’appoggio. Sono piaghe che si riscontrano in pazienti anziani in precario equilibrio metabolico, associato a patologie intercorrenti (scompenso cardiaco, broncopolmonite), conseguenti a giorni dall’allettamento. Tali piaghe guariscono non appena il paziente ritorna ad essere anabolico e non è più allettato. Sono lesioni croniche, in pazienti anziani, con diverse patologie intercorrenti; quindi il loro trattamento risulta di difficile risoluzione. CLASSIFICAZIONE SECONDO COLORE La classificazione secondo colore è utile sia come criterio di valutazione, sia per il trattamento diretto. ROSSO: indica presenza di tessuto di granulazione pulito e sano. Quando la lesione inizia a cicatrizzare si forma uno strato di colore rosa che in seguito diventa rosso carne. GIALLO: indica presenza di essudato che va eliminato. Può avere un colore giallo biancastro, giallo cremoso o verde giallastro. NERO: indica la presenza di escara. Essa rallenta la cicatrizzazione e favorisce la proliferazione di microorganismi. PROBLEMI CONNESSI CON IL TRATTAMENTO DELLE PIAGHE Uno dei problemi più importanti da tenere in conto nel trattamento delle piaghe da decubito è rappresentato dalle infezioni che rallentano tutti i processi di guarigione provocando edema, essudato anche purulento conseguente alla distruzione cellulare. Inoltre la presenza di tessuto nero, necrotico, impedisce la riparazione delle piaghe perché ostacola la granulazione e favorisce l’infezione. Nel tentativo di sbrigliare il tessuto necrotico dalle piaghe, si corre il rischio di diffondere l’infezione oppure di mettere sulla lesione ulteriore batteri. Altro problema è l’aumento della temperatura locale e la macerazione dei tessuti, specie d’estate quando il paziente porta il pannolone, le urine e le feci penetrano la lesione infettandola e causando ulteriore infezione e riscaldamento delle lesioni con aumento del metabolismo ed ulteriore dell’ischemia locale dei tessuti. Alcuni fattori intrinseci al paziente sono alla base del perpetuarsi delle lesioni da decubito: Età Riduzione della mobilità Malattie croniche Stato nutrizionale Struttura corporea Insufficienza vascolare Immunosoppressione Incontinenza L’età è responsabile di cronicizzazione delle lesioni, perché nell’anziano il metabolismo è rallentato, la nutrizione è deficitaria, l’epidermide invecchiata ed assottigliata, e così pure il microcircolo locale. La risposta immunologica risulta ridotta, la capacità della proliferazione della granulazione e delle ulcere rallentate. Inoltre l’anziano vive spesso in condizioni di allettamento cronico, per esempio nelle condizioni di frattura della testa del femore, in corso di malattie neurologiche come ictus cerebrale e poi perché il tessuto sottocutaneo e il pannicolo adiposo è poco vascolarizzato; lo stesso dicasi nel paziente magro, dove le protuberanze ossee comprimono la cute assottigliata. L’anziano, infine, è spesso affetto da patologie croniche invalidanti, come il diabete, le malattie coronariche, le neoplasie, gli stati anemici, ecc.. IL PROCESSO DI CICATRIZZAZIONE DELLE PIAGHE Esso avviene e si evidenzia in tre fasi: 1. Fase infiammatoria o difensiva o reattiva; 2. Fase proliferativa o fase fibroblastica; 3. Fase di maturazione o rimodellante. Fase infiammatoria: dura da 4 a 6 giorni. Sono presenti edema, dolore, arrossamento, aumento della temperatura locale. Il sanguinamento è controllato dai processi di coagulazione e di aggregazione piastrinica. Eventuali batteri sono eliminati dai granulociti, mentre i macrofagi oltre a eliminare i batteri detergono la ferita dai residui cellulari, producono fattori di crescita e trasformano le macromolecole in amminoacidi e zuccheri. Fase proliferativa: dura dai 4 ai 24 giorni. Viene prodotto tessuto di granulazione di colore rosso vivo, i cui sono presenti macrofagi, fibroblasti, vasi sanguigni neoformati. Le dimensioni della ferita diminuiscono per la moltiplicazione delle cellule sui suoi margini, fino a che i due bordi si uniscono concludendo il processo di epitelializzazione e formando la cicatrice. Fase di maturazione: dura da 21 giorni a 2 anni. Vi è una trasformazione delle fibre collagene che maturano, si rimodellano acquistando una notevole forza. Trattamento delle lesioni da decubito La prevenzione è la prima cura. Posizionare il materasso antidecubito. Mobilizzare il paziente ogni due ore. Detergere la cute, cambiare il pannolone, evitare la macerazione dei tessuti. Intervenire subito quando la lesione è al primo grado.