Il professor Neutrino Bruno Pontecorvo: la vita contraddittoria di un grande scienziato italiano Frank Close, Simone Turchetti (Università di Oxford e Manchester) i Bruno Pontecorvo (1913-1993) si sanno soprattutto due cose. La prima è che nel Settembre 1950 l’allievo del premio Nobel Enrico Fermi scompare misteriosamente durante una vacanza in Italia. Dietro la sua scomparsa si cela una rocambolesca fuga verso l’Unione Sovietica, proprio nel momento in cui il mondo è diviso dalla Cortina di Ferro e nei paesi anglosassoni sono in corso diverse inchieste di spionaggio atomico. La seconda è che sia prima che dopo la misteriosa fuga, Pontecorvo è uno dei pochi esperti al mondo nello studio dei neutrini. Queste enigmatiche particelle sono al centro dei suoi interessi di ricerca, tanto che sviluppa importanti ipotesi circa le loro interazioni. C’è quindi un fondo di ironia nelle vicende personali e professionali di Pontecorvo, noto per una fuga che gli cambiò la vita e per una vita dedicata alla caccia di sfuggenti particelle. D Una piscina piena di cloro Non è ben chiaro quando Pontecorvo cominciò a occuparsi del neutrino. Nel 1933 Wolfgang Pauli aveva ipotizzato la sua esistenza per spiegare le interazioni deboli alla luce del principio di conservazione dell’energia, mentre nel 1945 Pontecorvo aveva già indirizzato i suoi interessi in quella direzione, impegnandosi in una ricerca che lo avrebbe accompagnato per il resto della sua carriera scientifica. Proprio in quegli anni, lavorando presso la stazione nucleare di Chalk River, in Canada, Pontecorvo si rese conto di avere i mezzi giusti per iniziare a indagare. Il laboratorio era dotato del primo reattore al mondo ad acqua pesante e produceva reazioni nucleari di grande intensità. Il ragionamento di Pontecorvo fu molto semplice: nella zuppa di particelle venivano prodotti probabilmente qualcosa come 10 milioni di miliardi di neutrini al secondo. Con un po’ di pazienza e gli strumenti giusti, forse avrebbe potuto prenderne qualcuno. Ma all’epoca catturare neutrini con un rivelatore era come cercare di prendere una farfalla con una rete da pesca: praticamente impossibile. 2 Pertanto decise di registrare la presenza non tanto dei neutrini, quanto piuttosto degli elementi chimici prodotti dalla loro interazione con la materia. Enrico Fermi aveva ipotizzato poco tempo prima, infatti, che quando un neutrino urta un nucleo, quest’ultimo si carica elettricamente. La cattura dell’elettrone prodotto da parte del nucleo provoca poi la trasmutazione dell’elemento. Pontecorvo aveva quindi pensato a un modo per verificare l’ipotesi di Fermi congeniando un esperimento in cui l’interazione dei neutrini con l’isotopo 37 del cloro avrebbe permesso la produzione di una minuscola quantità dell’equivalente isotopo di argon. L’argon radioattivo avrebbe quindi funzionato nell’esperimento come una specie di antenna per registrare la presenza di neutrini. L’idea valse a Pontecorvo importanti riconoscimenti nella piccola comunità di ricerca canadese, ma realizzarla risultò impossibile. Avrebbe avuto bisogno di una piscina contenente diversi metri cubi di tetracloruro di carbonio oppure alcune tonnellate di clorina per poter sperare di ottenere qualche atomo di argon: il ritrovamento del classico ago nel pagliaio o la vincita di un terno al lotto. Quando nel 1948 Pontecorvo informò Fermi dei suoi piani, il premio Nobel lo considerò una sorta di Don Chisciotte in lotta con i neutrini invece che con i mulini a vento. Ma il testardo Pontecorvo aveva capito che un elemento inerte come l’argon non poteva reagire con altri elementi e si sarebbe potuto estrarre semplicemente attraverso ebollizione. Oppure la sua presenza poteva registrarsi attraverso la misurazione dei livelli di radioattività. Che avesse in parte ragione fu dimostrato tuttavia da alcuni suoi colleghi americani pochi anni dopo. Nel 1954 Raymond Davis Jr. tentò senza successo di rivelare l’esistenza del neutrino presso il reattore nucleare di Savannah usando proprio il metodo congeniato dall’italiano. Nel 1956, invece, gli scienziati americani Clyde Cowan e Frederick Reines dimostrarono finalmente l’esistenza dell’anti-neutrino usando un rivelatore a scintilla presso il reattore di Hanford. Non c’è dubbio che quest’ultima scoperta ebbe poco a che fare con l’intuizione di Pontecorvo, ma sia lui che Davis avrebbero potuto anticiparla se solo i reattori avessero prodotto neutrini invece di anti-neutrini. E quando Davis usò lo stesso metodo per i neutrini solari ebbe successo visto che il sole produce neutrini e non anti-neutrini. Va sottolineato che Davis iniziò le sue ricerche pochi anni dopo la fuga di Pontecorvo in Russia, quando ancora non si sapeva dove l’allievo di Fermi fosse finito. Al tempo egli già lavorava al centro nucleare di Dubna (cfr. Figura 1), dove gli fu negata la possibilità di usare reattori nucleari. Quando Cowan e Reines completarono le loro ricerche sull’anti-neutrino, di Pontecorvo si sapeva sola- accastampato num. 6, Settembre 2011 LE SPALLE DEI GIGANTI Figura 1 – Un foto aerea del complesso del Joint Institute for Nuclear Research di Dubna, in Russia. Da wwwinfo.jinr.ru. mente che viveva in Russia visto che nel 1955 aveva scritto due articoli sulla Pravda e l’Izvestia facendo chiarezza sulla scomparsa di cinque anni prima. Dunque le circostanze molto particolari della sua emigrazione in Unione Sovietica ebbero un impatto non indifferente sulle sue ricerche, visto che non poté approfondire i suoi studi in articoli di ricerca pubblicati su riviste internazionali o commentare i risultati dei ricercatori americani. Alla fine Reines e Davis ricevettero il premio Nobel per le loro scoperte nel 1995, mentre Pontecorvo dovette accontertarsi del premio Stalin. Particelle con un’identità multipla Pontecorvo continuò a occuparsi per molti anni di neutrini. Già prima della sua partenza per l’Unione Sovietica aveva studiato i mesoni, le particelle cariche instabili che costituiscono i raggi cosmici. In Russia Pontecorvo pensò quindi che il decadimento dei mesoni presentasse delle analogie con quello dei neutrini e, dato che proprio in quegli anni si era ormai compreso che i mesoni esistono in diverse tipologie (oggi meglio conosciuti come pioni, o mesoni π, e muoni, o mesoni µ), egli concluse che anche i neutrini costituissero una famiglia di particelle (l’analogia fu poi formalizzata da Giampiero Puppi). Anche in questo caso tuttavia, Pontecorvo non riuscı̀ mai a dimostrare le sue ipotesi. Il centro di Dubna non era dotato di adeguati strumenti di ricerca per investigare le differenze tra i diversi tipi di neutrini e quando Pontecorvo chiese di poter partecipare alle ricerche di altri gruppi europei che disponevano di tali strumenti, come il CERN ad esempio, gli fu sempre negata questa possibilità. Furono quindi Mel Schwartz, Jack Steinberger e Leon Lederman, negli anni Settanta, a provare l’esistenza di diverse varietà di neutrini attraverso un esperimento con l’acceleratore del laboratorio americano di Brookhaven. E anche loro ricevettero il premio Nobel nel 1988 per queste ricerche. Nel frattempo Davis si concentrò sui neutrini solari con risultati piuttosto contraddittori. Notando la discrepanza fra il numero di neutrini solari prodotti dal Sole previsti dalla teoria e quelli che era possibile registrare sulla Terra, egli concluse persino che il Sole stava per esaurire il suo carburante: il presagio di un imminente disastro cosmico! Oggi sappiamo che il Sole non aveva colpa per lo strano fenomeno ed erano invece proprio i neutrini a esserne responsabili, visto che nel viaggio dal Sole alla Terra cambiano sapore. In realtà già nel 1968 lo scienziato nato in Italia e residente in Russia offrı̀ una scappatoia al problema dei neutrini solari, che invece avrebbe occupato Davis per un altro decennio. Insieme al suo collega Vladimir Gribov, infatti, Pontecorvo ipotizzò che il Sole produceva prevalentemente neutrini elettronici, gli stessi rivelabili attraverso il metodo cloro-argon. Se avessero viaggiato nella stessa forma fino alla Terra, se ne sarebbe potuta naturalmente rivelare la presenza circa otto minuti dopo la loro emissione, ma secondo i due ricercatori la gran parte di questi neutrini cambiava stato nel tragitto, diventando neutrini muonici, in una forma in cui non potevano essere rivelati con lo stesso metodo. Solo quei pochi che rimanevano elettronici nel tragitto finivano dunque nella trappola di Davis. Pontecorvo aveva insomma intuito che i neutrini solari hanno una sorta di disturbo della personalità e cambiano identità nel viaggio dal Sole alla Terra. Un’intuizione che però non ricevette supporto all’interno della comunità dei fisici, anche perché al tempo contraddiceva la teoria standard sulle particelle elementari. Gribov e Pontecorvo, infatti, avevano anche capito che le leggi della meccanica quantistica autorizzano il neutrino a oscillare da uno stato all’altro solo a patto che si rimetta in discussione l’assunto secondo cui il neutrino non abbia una massa. Oggi sappiamo che effettivamente una massa, seppur piccolissima, il neutrino ce l’ha. Figura 2 – L’interno dell’osservatorio di neutrini di Baksan dell’istituto per le ricerche nucleari russo in una foto del 2005. Da www.awa. tohoku.ac.jp. accastampato num. 6, Settembre 2011 3 LE SPALLE DEI GIGANTI Cosı̀ nel corso degli anni Settanta partı̀ la caccia al neutrino solare. Nel 1974 Pontecorvo e tre suoi colleghi annunciarono l’intenzione di costruire un tunnel sotto il Caucaso lungo 4 chilometri come sede di un nuovo laboratorio per i neutrini contenente una vasca con 2 milioni di litri di clorina, cioè circa cinque volte più grande di quella usata da Davis. Per catturare tutti i neutrini solari, Pontecorvo pensò di usare il gallio, che, a differenza del cloro, consente la cattura anche di quelli di minor energia. Moissey Markov, direttore della sezione di fisica nucleare dell’Accademia delle Scienze sovietica, fu entusiasta del progetto e aiutò Pontecorvo a realizzare l’osservatorio dei neutrini di Baksan (cfr. Figura 2). Gli effetti dell’avvio di quest’avventura furono molteplici, sia a breve che a lungo periodo. Le sessanta tonnellate di gallio necessarie per l’esperimento prosciugarono tutte le risorse al tempo disponibili sulla Terra. Uno studio cosı̀ innovativo stimolò la distensione fra superpotenze. Il Soviet American Gallium Experiment (SAGE) fu successivamente rinominato come esperimento russo dopo il crollo dell’impero sovietico, ma l’acronimo rimase. L’uso del gallio caratterizzò negli anni Novanta anche l’esperimento GALLEX, sviluppato da un consorzio europeo e capace per la prima volta di rivelare i neutrini primari prodotti dal Sole. Solo nel 2000 il mistero dei neutrini solari fu risolto, prima con l’osservazione dei neutrini muonici e dopo con lo studio delle cascate di neutrini prodotte dai raggi cosmici che consentirono di avere la certezza della loro oscillazione. Davis fu protagonista e testimone di queste straordinarie scoperte e morı̀ nel 2006. Purtroppo anche in questo Pontecorvo arrivò prima di altri ricercatori: morı̀ nel 1993 malato del morbo di Parkinson e non poté quindi assistere alle imprese scientifiche che confermarono clamorosamente alcune delle sue mirabili ipotesi. no l’esistenza dell’enigmatica particella, Pontecorvo era ancora ufficialmente scomparso. Dopo la sua ricomparsa egli propose ipotesi convincenti circa l’oscillazione dei neutrini, ma si trattava di congetture fin troppo innovative e, come spesso accade, furono accolte con indifferenza. Ma interpretando i neutrini solari come particelle che non seguono le convenzioni, un po’ eccentriche, propense al cambio di identità, Pontecorvo dimostrò la sua opposizione a un approccio dogmatico alla ricerca e l’intenzione di rimettere in discussione anche principi della fisica assodati. E chissà se in questa sua intepretazione non ci fosse anche un qualcosa di autobiografico, essendo stato lui stesso un po’ eccentrico e avendo oscillato pericolosamente tra l’Occidente capitalista e il Comunismo sovietico. Bibliografia [1] Close F. Neutrino. Oxford University Press (2010) [2] Close F. Antimateria. Einaudi (2009) [3] Turchetti S. Il Caso Pontecorvo. Sironi (2007) [4] Pontecorvo B. Pages in the development of neutrino physics. In Soviet Physics Uspekhi, vol. 26:1087 (1983) [5] Pontecorvo B. e Bilenkij S. B. Pontecorvo selected scientific works. Recollections on B. Pontecorvo. Soc. Ital. di Fisica (1997) [6] Bonolis L. Un genio di Via Panisperna. In Sapere, pp. 24–34 (apr. 2004) [7] Gribov V. e Pontecorvo B. Neutrino astronomy and lepton charge. In Physics Letters B, vol. 28(7):493–496 (1969) L’eredità di Pontecorvo Gli uomini di scienza in genere si ricordano per quello che hanno fatto e non per quello che non sono mai riusciti a fare. Per Pontecorvo però bisognerebbe fare un’eccezione, se non altro perché i suoi studi erano davvero meritevoli di un premio Nobel, com’è dimostrato dal fatto che tutti coloro che si misero alla caccia dei neutrini seguendo intuizioni simili alle sue ne ottennero uno: Schwartz, Steinberg e Lederman nel 1988, Reines nel 1995 e Davies nel 2002. Con il senno del poi si potrebbe anche dire che Pontecorvo aveva avuto ragione due volte sui neutrini. La prima quando aveva individuato il metodo giusto per rivelare i neutrini solari. La seconda quando aveva mostrato che proprio quel metodo non avrebbe consentito a Davis di registrarli tutti a causa della loro oscillazione. Ma che avesse ragione lo sapevano in pochi visto che i risultati delle sue ricerche furono spesso ignorati. Le straordinarie circostanze della vita e della carriera di Pontecorvo furono in parte la causa di questa situazione paradossale. In Unione Sovietica non disponeva dei mezzi necessari per completare le sue ricerche sui neutrini e mentre altri rivelava4 Sull’autore Frank Close ([email protected]) è professore di fisica presso l’Università di Oxford e autore di numerosi saggi di fisica delle particelle tra cui il recente “Neutrino” (Oxford University Press, 2010) e il volume “Antimateria” (Einaudi, 2009, traduziona italiana a cura di Giorgio P. Panini). Simone Turchetti (simone.turchetti@ manchester.ac.uk) è ricercatore presso l’Università di Manchester e autore del saggio “Il Caso Pontecorvo” (Sironi Editore, 2007) di prossima pubblicazione in inglese (“The Pontecorvo Affair”, University of Chicago Press, 2011). accastampato num. 6, Settembre 2011