Festa di San Biagio, Patrono della città di Ostuni
Celebrazione Eucaristica - Omelia dell’Arcivescovo
Sono bellissime le letture della Parola di Dio che abbiamo appena proclamato: esse ci
possono davvero illuminare sulla vita e sulla missione di San Biagio.
Abbiamo ascoltato “Prima che tu fossi formato nel seno di tua madre io ti conoscevo,
prima che tu nascessi ti ho consacrato”. Questa Parola di Dio è rivolta ad un profeta,
Geremia, ma con Gesù siamo diventati tutti profeti. Questo amore di Dio si rivolge a
ciascuno di noi prima ancora che compariamo nel seno di nostra madre, Egli già ci conosce.
E quando ci consacra, vuol dire che noi apparteniamo al Signore. Come è grande e preziosa,
come dà pace e serenità questa Parola di Dio nella nostra vita!
Fratelli miei, entriamo in questa bellissima trama. Nazareth: il villaggio dove Gesù è
cresciuto e che ha abitato per quasi 33 anni. Entra nella Sinagoga dove avviene passaggio,
dall’ammirazione al rifiuto, allo sdegno, fino al tentativo di uccisione. Questo avviene
perché Gesù mette a nudo i pensieri che sono nel cuore dell’uomo.
Si era già diffusa la notizia che Egli a Cafarnao aveva operato dei miracoli, in modo
particolare un miracolo che può illuminarci a comprendere questo scontro. A Cafarnao vi
era un centurione che aveva un servo malato, il quale si era rivolto agli scribi per chiedere
un intervento di Gesù. Mentre Gesù stava andando, lui gli andò incontro dicendo: “Signore
non sono degno di chiedere a te qualcosa, ti ho mandato gli altri e non sono degno che tu
entri sotto il mio tetto. Dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”. Gesù si
commosse e disse: “Non ho mai trovato una fede così grande in Israele”.
Dunque erano già risaputi i fatti, quando Lui entrò nella sua città, nella Sinagoga e lesse
il passo del profeta Isaia: “Il Signore mi ha consacrato perché io porti il Vangelo, la buona
novella ai poveri” e lo chiuse dicendo “Oggi, dinanzi a voi, questa Parola che avete
ascoltato con i vostri orecchi, si è compiuta”. È come se quella Parola fosse diventata
evento atteso.
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Ci sono due proverbi citati da Gesù: “Medico cura te stesso” e l’altro, “Nessun profeta è
ben accetto nella sua patria”. La loro mentalità è questa: “Ciò che abbiamo sentito dire di te,
fallo tra la tua gente, nel tuo villaggio, tra i tuoi parenti, tra le persone che ti conoscono,
pensa prima di tutto ai nostri bisogni e non andare in giro da altri”. Vogliono soltanto che
Gesù risolva i loro problemi, che sia all’interno della città la soluzione di tutti i problemi.
Ma Gesù non può essere incapsulato o legato, perchè Egli il segno del mistero dell’amore
e della grazia di Dio.
Cosa porta al compimento del miracolo? Dice il centurione: “Signore non sono degno che
tu entri sotto il mio tetto”. I farisei gli dicono: “Signore questo centurione è degno perché ci
ha aiutato, ha costruito a noi la Sinagoga”. Invece lui dice: “Io non sono degno”. Vedete il
contrasto. Il centurione sembra dire “Io non posso pretendere niente, io dinanzi a te mi
presento come un piccolo povero perché la grazia non può essere pagata, non può essere
frutto di un raggiro, di un calcolo, di una convenienza, è solo grazia; l’umiltà, la povertà, è
la condizione per poterla accogliere”.
Gesù, invece, si commuove e compie il miracolo.
È questo ciò che scatena una reazione, dalla meraviglia, dall’attesa, dal guardarlo tutti
come un campione del loro villaggio, diventa uno su cui riversare lo sdegno, il rifiuto.
Infatti lo portano fuori, sul ciglio della città, per buttarlo giù e ucciderlo. Non è giunta
ancora la sua ora. Gesù passa in mezzo a loro e se ne va.
Inoltre, Gesù dice: “Nessun profeta è ben accetto nella sua patria”. Profeta è la Parola di
Dio nella vita degli uomini, è un dono d’amore. La Parola è ciò che consente di
sintonizzarci col Signore, la Parola è ciò che porta a compimento questo essere fatti per Dio.
L’uomo non è fatto per se stesso, non è fatto per chiudersi nei suoi bisogni fisici, psichici e
poi spirituali. È fatto per entrare in relazione con Dio, attraverso l’azione dello Spirito Santo
che è l’operatore di questo raccordo, Colui che mette dentro di noi la Parola e dona a questa
Parola la forza per trasformarci.
Dice Giovanni all’inizio del Vangelo: “Gesù venne nella sua casa ma i suoi non lo hanno
accolto”. La Parola nella sua casa è straniera dice Giovanni. La sua casa è l’umanità perché
questa Parola ci ha creati. È il peccato che fa diventare estranea questa Parola, che sembra
tanto lontana. Scrive Pascal: “Il peccato diventa quasi la nostra natura, la copre”, fa tacere i
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bisogni fondamentali e tutte le esigenze indotte da questo capriccio, dall’orgoglio, dalla
superbia, dal nostro organizzarci la vita secondo una logica, fa sì che questa Parola diventi
estranea, lontana.
“Venne a Nazareth e i nazareni non lo hanno accolto”.
Gesù è la nostra Parola che diventa pellegrina in questo cammino, arriva sul Golgòta e lì
muore. “Quando innalzerete me saprete che io sono. Quando mi innalzerete allora io
attirerò tutti a me”. È l’amore che emana da questa conclusione della vita di Cristo che ci
attira. L’amore ci fa aprire gli occhi. Per vedere le cose come sono, abbiamo bisogno di
scrollarci di dosso questa finta natura che ci siamo costruiti per ritrovare la semplicità e la
verità e rispecchiare il volto di Dio. E quando Gesù muore sulla croce può aprire gli occhi,
quando noi ci incontriamo col crocifisso possiamo veramente capire il valore di quella
Parola. Quante volte ci è capitato che solo dopo aver perso delle persone il cui amore
davamo per scontato, abbiamo capito quanto era grande l’amore che ricevevamo da loro. Le
persone che ci hanno amato non spariscono mai dalla nostra vita. Eppure, quando erano vive
non abbiamo saputo apprezzarle, non abbiamo mai aperto gli occhi, ce ne accorgiamo tardi
ma gli effetti di quell’amore che abbiamo ricevuto resteranno sempre.
È così la bellezza di questa Parola che ci rincorre, che è pellegrina, che passa, che bussa,
che vuole essere accolta da noi.
Fratelli miei, se guardiamo da questo punto di vista comprendiamo veramente la figura
dei martiri, in modo particolare di San Biagio. Nella sua vita, indubbiamente, la Parola si è
incarnata, è diventata la sua vita. Aver dato a Gesù Cristo la sua vita in un contesto di
persecuzione, è una cosa importante perché espone la vita stessa alla morte. Capiamo
l’importanza di questo raccordo tra vita nelle situazioni in cui questo costa, in cui il profeta
si espone alla morte, alla persecuzione. Mettere la vita, è la prima condizione perché la
Parola diventi nostra.
Allora sì, noi portiamo nella nostra vita, quella Parola che esalta la nostra esistenza. Di
San Biagio mi ha colpito una cosa semplicissima, il suo rapporto con gli animali, con tutti
gli animali, domestici e feroci, come se fossero amici. Questo per i primi cristiani
significava che colui che ha accolto la Parola di Dio ha ritrovato quell’innocenza che era
all’inizio della creazione in un mondo rappacificato. L’uomo vive nella creazione tutta la
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fraternità. La Parola di Dio ha riconciliato il cuore di San Biagio con la creazione, e gli
animali lo venerano, non lo aggrediscono, lo ascoltano. La vita di San Francesco è stata la
stessa cosa. L’intercessione, l’aiuto ai poveri, alle persone che soffrono, non ha limiti
proprio per questo, perché in lui quella Parola che lo ha creato, che è onnipotente riprende la
sua libertà.
Fratelli miei, penso che l’incontro con la Parola di Dio deve portare talmente luce dentro
di noi da spaccare, da tagliare quel potere di pensieri, di filosofie, di interessi che ci circonda
sempre e ci rende schiavi.
Ogni volta che accogliamo la Parola di Dio, la nostra vita diventa talmente forte che
scopriamo il potere creativo dell’amore nella nostra libertà.
Guai se perdiamo nella nostra coscienza la capacità di riflettere il volto di Dio, la verità.
Se la vita è il valore sommo da conservare e tenere stretto, allora il calcolo è la regola
suprema. Invece, bene sommo è l’amore che conserva la vita così com’è nella sua origine,
nella sua bellezza.
Fratelli miei, il cristiano è invitato a ritrovare il suo cuore, la sua coscienza, per
interrogarsi che cosa riflette il suo cuore, la sua coscienza: il calcolo o l’amore? Lì si coglie
il segreto della nostra avventura e della nostra gioia.
È questa la Parola che il Signore vuole donarci questa sera.
Ostuni, 03/02/2013
 Domenico Caliandro
Arcivescovo
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