LA RELAZIONE TRA ORGANIZZAZIONE, INFORMAZIONE E ICT 1

LA RELAZIONE TRA ORGANIZZAZIONE, INFORMAZIONE E ICT 1 O. SCOPO DI QUESTI APPUNTI In questi appunti si esaminerà rapidamente la relazione tra organizzazione, informazione e ICT (cfr. figura seguente) organizzazione informazione
ICT ICT, Organizzazione, Informazione Si tratta di un aspetto fondamentale per comprendere le potenzialità e le problematiche di sviluppo e applicazione delle tecnologie informatiche in azienda. Esamineremo qui rapidamente: ­ alcuni richiami di organizzazione aziendale con particolare riferimento alle variabili tipicamente utilizzate per definire un’organizzazione ­ cosa si possa intendere per informazione e in particolare in che modo l’informazione costituisca un elemento importante del funzionamento delle organizzazioni ­ in che modo si possa vedere il ruolo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) considerando che le ICT hanno come obiettivo l’elaborazione delle informazioni nelle organizzazioni. 1. ORGANIZZAZIONE Questo paragrafo richiama alcuni concetti generali circa la nozione di organizzazione e i suoi elementi o variabili caratterizzanti. Si tratta di aspetti importanti in quanto: ­ le entità che ci interessano particolarmente qui (imprese, ma anche enti pubblici ad es.) sono organizzazioni ­ un’organizzazione, come vedremo, processa una grande quantità di informazione per il suo funzionamento ­ non tutte le organizzazioni sono uguali, quindi è importante comprendere in cosa differiscono e come è possibile rappresentare tali differenze ­ conoscere le variabili che caratterizzano un’organizzazione consente di approfondire il ruolo dell’informazione e quindi delle ICT Definizione La definizione di organizzazione varia a seconda del contesto in cui viene usata. Riprendiamo qui una tipica definizione utilizzata in ambito economico e aziendale, che si rifà a Daft (2001) “Le organizzazioni sono entità sociali guidate da obiettivi, progettate come sistemi di attività deliberatamente strutturate e coordinate, che interagiscono con l’ambiente esterno” (Daft, 2001, p.16) Da questa definizione si possono desumere alcuni importanti caratteri che vengono attribuiti all’organizzazione e che ci permettono di distinguerla da altri tipi di sistemi o insiemi: 1 Questi appunti sono destinati esclusivamente alla didattica nel corso di Gestione dell’informazione e delle aziende in rete. Ogni altro uso non è consentito. Si tratta inoltre di appunti in forma di “bozza” non certo completa né esaustiva e che riprendono solamente i vari punti trattati a lezione. la presenza di componenti diverse: come indica del resto la stessa parola “organizzazione”, di essa fanno parte componenti o parti diverse che sono tra loro coordinate; ­ la rilevanza delle persone: anche se un’organizzazione può fare uso e perfino incorporare beni fisici, attrezzature, tecnologie ecc., queste sono viste non in quanto tali ma in quanto utili e utilizzate dalle persone; ­ la presenza di un obiettivo: l’organizzazione si costituisce in quanto esiste un obiettivo collettivo da perseguire, ossia un obiettivo stabilito e/o condiviso dai membri dell’organizzazione stessa; ­ l’interazione sociale: definisce un’organizzazione anche il modo in cui le persone che ne fanno parte (eventualmente con l’uso o la mediazione di tecnologie) interagiscono ai fini di perseguire l’obiettivo di cui sopra ­ la natura progettuale: un’organizzazione viene vista non come processo spontaneo, casuale, o privo di governo, ma come il risultato di una decisione o una deliberata azione progettuale; ­ l’esistenza di attività che vengono svolte: ai fini di perseguire gli obiettivi dell’organizzazione, le sue componenti svolgono attività che quindi caratterizzano esse stesse l’organizzazione; ­ la necessità di un coordinamento e una struttura : per funzionare l’organizzazione viene dotata di un sistema di coordinamento tra le sue componenti e attività; ­ l’esistenza di un confine tra organizzazione e ambiente esterno: ossia sono individuabili elementi o attività esterne all’organizzazione, con cui eventualmente l’organizzazione stessa (attraverso i suoi membri) interagisce. Sulla base della definizione indicata possono essere definite “organizzazioni” entità assai diverse: un’azienda, un ente pubblico, istituzioni (ad es. una confraternita religiosa), e anche altri gruppi umani “organizzati” per perseguire un qualche obiettivo (ad es. una squadra sportiva, un partito politico). ­ Car atter izzazione e r appr esentazione di un’or ganizzazione: le “var iabili” or ganizzative Nel campo dell’Organizzazione Aziendale sono stati individuati alcuni elementi tipici che caratterizzano l’organizzazione (in particolare con riferimento alle imprese – ma non solo). Questi elementi caratterizzanti possono essere utili sia per analizzare o rappresentare una data organizzazione, sia come variabili progettuali (ossia per “disegnare” e costruire un’organizzazione – cfr. Mintzberg, 1998). I tre elementi o variabili principali rispetto ai quali si possono caratterizzare le organizzazioni, e che esamineremo qui, sono i seguenti: ­ la struttura ­ i meccanismi operativi (e tra questi quelli che definiscono le modalità di coordinamento) ­ i processi organizzativi (ovvero i processi 2 comportamentali dei membri) Le primi due variabili costituiscono la cosiddetta “organizzazione formale” in quanto sono spesso stabiliti deliberatamente e come atto formale da parte di chi progetta l’organizzazione; la terza variabile invece caratterizza la cosiddetta “organizzazione informale” che dipende dal comportamento dei partecipanti e quindi si stabilisce non in modo formalizzato “calato dall’alto”. Struttura organizzativa Definisce il modo in cui vengono scomposte le attività di un’organizzazione in senso orizzontale (funzioni, compiti, mansioni) e in senso verticale (i diversi livelli di autorità). La definizione della struttura stabilisce anche quali sono le posizioni relative nonché le relazioni tra le diverse parti (ad es. quale ruolo supervisiona quale altra attività, ecc.). La scomposizione strutturale ha una chiara origine nel processo di specializzazione e divisione del lavoro che caratterizza da sempre le attività umane. La struttura di organizzazioni come aziende o enti pubblici è tipicamente costituita con atti formali, e rappresenta la sua intelaiatura formale con la quale, in parole povere, viene chiarito ai membri “da chi dipendono”, “di chi o cosa hanno la responsabilità”, ecc. Sulla base della struttura vengono spesso stabiliti molti altri importanti meccanismi di funzionamento (ad es. l’allocazione del budget delle imprese, le progressioni di carriera, ecc.). Tra i documenti formali che definiscono gli elementi strutturali (quasi sempre rintracciabili in un’organizzazione, anche se magari con termini differenti o in versioni diverse) ne ricordiamo due: l’organigramma e il mansionario. L’organigramma definisce, anche graficamente, la scomposizione strutturale di un’organizzazione. Nella figura seguente, ad es., viene riportato un organigramma relativo alla cosiddetta “struttura funzionale” (si rinvia ai testi di organizzazione per approfondimenti). I rettangoli indicano le varie parti o membri di organizzazione (uffici, funzioni, o anche singoli addetti), collegati tra loro in relazione alla reciproca dipendenza in termini di compiti, responsabilità e aut orità. Nella pratica oltre alla struttura funzionale sono ricorrenti altri tipici schemi (strutture divisionali, per progetto/matrice, ecc.) rappresentati con altrettanto tipici organigrammi. Di norma i livelli più elevati di un organigramma rappresentano le posizioni dirigenziali con maggior potere, mentre i livelli più bassi riguardano i compiti più operativi. 2 Il termine “processo” viene usato in modi diversi nella letteratura manageriale. Qui si parla di “processi organizzativi” o “comportamentali” essenzialmente per indicare le modalità informali con cui i membri dell’organizzazione interagiscono. Altre definizioni di “processo” verranno esaminate in altri momenti durante il corso.
Direttore generale Direttore Produzione Responsabile Acquisti Direttore Vendite Direttore Amministrazione ...
.... Responsabile Stabilimento Linea A Linea B Esempio di organigramma (caso di azienda organizzata per funzioni) Il mansionario rappresenta invece un documento aziendale che rende “ufficiale” (evidenziandoli in forma scritta) le funzioni e i compiti delle singole unità in cui si articola l’organizzazione. Gli obiettivi del mansionario sono molteplici: chiarire i compiti di ciascun membro, stabilirne il perimetro di azione chiarendo anche responsabilità e referenti gerarchici, ma anche stabilire le competenze richieste, i livelli retributivi/contrattuali, le progressioni di carriera, ecc. A seconda del livello occupato nell’organizzazione o del tipo di attività (ad es. dirigenti piuttosto che addetti operativi) il mansionario può essere definito in modo più o meno dettagliato. A titolo di esempio si riporta qui sotto (adattato) un mansionario tratto da un caso reale. I mansionari, anche se magari chiamati in modo diverso e organizzati in modo più o meno completo e formale, sono frequentemente usati in azienda, specialmente in quelle di maggiori dimensioni. ·
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RESPONSABILE MARKETING Funzione: guida le attività commerciali dell’azienda Compiti e responsabilità: o Collaborare a definire le politiche commerciali o Formulare previsioni di vendita o Assicurare gli obiettivi di vendita o Proporre attività promozionali Dipende da: Direttore commerciale Sovraintende a: o responsabile vendite italia o responsabile vendite estero
Esempio di mansionario: Responsabile Marketing Azienda XX Meccanismi operativi I meccanismi operativi rappresentano le politiche, le procedure, le norme, i regolamenti e in generale i sistemi con cui viene regolata e coordinata l’attività delle varie parti dell’organizzazione, nonché le relazioni tra membri, uffici, aree aziendali. Se la struttura definisce il “chi fa cosa” in un’organizzazione, i meccanismi operativi danno indicazioni sul “come” queste attività vengono svolte. Anche i meccanismi operativi, al pari della struttura, sono considerati la parte “formale” dell’organizzazione in quanto generalmente (anche se non sempre) essi sono stabiliti in modo deliberato e magari formalizzati attraverso “ordini di servizio” o altre prescrizioni. I meccanismi operativi comprendono anche le modalità di coordinamento organizzativo tra le diverse varie parti o attività in cui l’organizzazione è strutturata. La connessione tra le diverse attività svolte nell’organizzazione determina anche il tipo di flussi di informazione che devono essere veicolati tra le varie componenti (cfr. più avanti). Per individuare i meccanismi operativi e di coordinamento più idonei a seconda dei casi si può considerare alcuni elementi che caratterizzano le varie attività, che sono: ­ le dimensioni di ciascuna unità (e dell’organizzazione nel suo complesso) ­ l’incertezza dei compiti (di cui si è già parlato) ­ il grado di differenziazione ­ l’interdipendenza La dimensione sia di ciascuna unità o attività sia dell’organizzazione nel suo complesso determina soprattutto la facilità o meno di individuare e implementare il meccanismo operativo più idoneo. È evidente infatti che, a parità di altri elementi, il problema di identificare il meccanismo migliore per coordinare uno o due addetti/attività è assai più semplice rispetto al caso in cui si abbia una struttura con molti membri o attività. La cosiddetta incertezza dei compiti, riprendendo Galbraith (1973), può essere definita come la differenza tra le informazioni che sono disponibili e quelle che sarebbero necessarie per il compito stesso. Queste ultime dipendono dal tipo di obiettivi del compito, mentre le prime dipendono dalla capacità di raccogliere le informazioni, dalle competenze disponibili, dall’esperienza passata, e anche dalle tecnologie ICT utilizzabili. Questo scarto tra informazioni disponibili e necessarie determina lo sforzo che un’unità organizzativa deve svolgere per raccogliere ed elaborare le informazioni che mancano al momento in cui un dato compito deve venire svolto. L’incertezza può essere messa in relazione anche ad altri elementi quali: ­ il grado di variabilità di un compito, misurabile dalla percentuale di “casi diversi” o “eccezionali” che si incontrano nel normale lavoro, e che richiedono dunque approcci di volta in volta diversi; ­ l’instabilità nel tempo dei compiti assegnati (ad es. obiettivi che variano di volta in volta) o delle risorse (competenze disponibili, addetti, input da utilizzare) ­ la complessità del compito o degli obiettivi (difficoltà di analisi o di svolgimento operativo, tempo necessario, rischio di errori, livello di competenze professionali richieste, ecc.) ­ il grado di indeterminatezza, ossia l’incapacità di definire in modo sufficientemente completo gli obiettivi e gli output richiesti, nonché il modo per raggiungerli; si noti che l’indeterminatezza può permanere anche nel caso in cui si disponga di una grande quantità di informazioni (in quanto potrebbe essere difficile analizzarle e trarne conclusioni utili; per alcune attività poi rappresenta una caratteristica intrinseca (si pensi ad es. al caso della gestione di un progetto di R&D relativo a una tecnologia di frontiera) Il grado di differenziazione indica quanto diversamente due unità organizzative svolgono le proprie attività. La differenziazione può dipendere dal diverso orientamento temporale (attività con obiettivi di breve piuttosto che lungo termine, diversa frequenza di esecuzione, ecc.), da quanto i compiti sono strutturati (ad es. attività chiare e ben definite piuttosto che non determinate), dai tipi di obiettivi primari, infine dalle modalità delle relazioni interpersonali che i membri di ciascuna unità organizzativa tipicamente adottano. Il grado di differenziazione dipende dal contesto in cui opera un’organizzazione (ad es. tipi di prodotti o servizi trattati, tipo di concorrenza, contesto socio­economico, ecc.) ma anche da scelte organizzative (in particolare struttura e mansioni). In un’organizzazione dove le attività e le unità organizzative siano molto differenti è probabile che sia necessario adottare meccanismi operativi diversi per ciascuna di esse, il che evidentemente accresce la complessità di gestione a livello generale. Inoltre, possiamo dire che quanto più due attività o unità organizzative sono differenziate quanto più complesso è il coordinamento tra le stesse, con la necessità di adottare soluzioni complesse e costose (anche in termini informativi/informatici). L’interdipendenza determina quanto due attività o unità sono tra loro connesse. Possiamo avere un’interdipendenza generica quando il contributo di un’unità/attività agli obiettivi generali dell’organizzazione è separabile da quello di un’altra unità/attività. In questo caso il coordinamento tra le due unità/attività potrà essere basato su meccanismi di divisione e separazione dei rispettivi compiti, con assegnazione di risorse distinte nonché obiettivi e responsabilità separati (un esempio può essere la divisione di un’azienda in due business unit distinte che si occupano di prodotti diversi). Abbiamo invece interdipendenza sequenziale quando l’attività di una certa unità segue logicamente o temporalmente quella di un’altra (in sostanza, l’output della seconda diventa un input della prima): un esempio classico è quello della linea di produzione o catena di montaggio. In questo caso le modalità di coordinamento richiedono meccanismi di programmazione delle singole attività in modo da rispettare i reciproci vincoli di funzionamento. Infine possiamo avere un’interdipendenza reciproca quando le attività delle due unità si influenzano reciprocamente, ossia l’una dipende in parte dai risultati di compiti svolti dalla seconda. A titolo di esempio possiamo immaginare le relazioni tra la funzione vendite e la funzione produzione nelle aziende che producono su commessa, in cui le attività svolte dalle due aree richiedono uno stretto coordinamento per assicurare un buon servizio al cliente (ad es. la produzione viene attivata su ordine raccolto dall’ufficio vendite, e viceversa l’ufficio vendite potrà accettare ordini solo se la produzione è in grado di garantire consegne tempestive e corrette). In alcuni casi si può presentare una interdipendenza di gruppo quando sono interessate più attività e unità organizzative contemporaneamente.
Tipi di meccanismi operativi e modalità di coordinamento Secondo Mintzberg (1983) ci sono tre fondamentali approcci alla gestione di un’attività e al coordinamento tra attività diverse: ­ la supervisione diretta , che consiste in sostanza nell’esistenza di un ruolo di comando e controllo rispetto a chi svolge l’attività; ­ il mutuo adattamento, ovvero lasciare che comunicazioni informali e sostanzialmente libere consentano di risolvere eventuali problemi che possono nascere nello svolgimento di un’attività o nel prendere una decisione ­ la standardizzazione, che può riguardare gli output (ossia gli obiettivi di un compito), i processi (ossia come ottenere tali obiettivi), o le abilità (ossia cosa si deve sapere per poter svolgere un certo compito o operazione). La standardizzazione comporta la predefinizione a priori di uno o alcuni di questi elementi in modo tale che ciascun membro dell’unità o dell’organizzazione sappia in modo sufficientemente preciso cosa deve fare e come, e cosa si può aspettare che gli altri faranno. Considerando questa classificazione generale è possibile identificare alcune classiche tipologie di meccanismi operativi e di coordinamento. Si noti che in una data organizzazione sono spesso combinazioni articolate e sovrapposte delle varie soluzioni qui illustrate. Procedure e norme: specificano in modo determinato le sequenze delle attività o operazioni da svolgere per un dato compito/obiettivo. Le procedure sono regole di comportamento formalizzate, magari raccolte in “manuali di procedure”. In alcuni casi (si pensi ad es. alle norme di sicurezza) si tratta di un approccio obbligatorio. In altri casi si può trattare in modo più generico di “prassi” ovvero di un modo di operare consolidatosi nel tempo con l’esperienza e non necessariamente formalizzato in modo scritto ma che comunque rappresenta un modo determinato di condurre una certa attività. Nelle organizzazioni sono individuabili molti tipi di procedure, ad esempio: ­ operative, relative alle operazioni da compiere per l’ottenimento di un output o servizio definiti (ad es. la produzione di un componente, la stampa e consegna di una fattura) ­ di controllo, relative alle operazioni per monitorare un’attività (ad es. le procedure di inventario di un magazzino) ­ di informazione, che definiscono attività di raccolta, elaborazione o distribuzione di informazioni (ad es. le procedure per l’emissione di circolari periodiche) ­ decisionali, che definiscono criteri e modo con cui una certa decisione deve venire presa (ad es. procedure di lancio in produzione sulla base di parametri prefissati) Ciò che si cerca di ottenere tramite le procedure è di ridurre, attraverso un’elevata standardizzazione, l’incertezza associata a un determinato compito. Quando si può “proceduralizzare” un’attività, infatti, si ottiene elevata efficienza specialmente nel caso in cui il compito sia ripetitivo, eliminando di trattare ogni situazione uguale alla precedente come se fosse nuova, assicurando stabilità all’esecuzione dei compiti, e anche facilitando (almeno entro certi limiti) il rimpiazzo del personale dato che si separa l’esecuzione di un’attività dalle competenze specifiche o dall’esperienza di chi la deve svolgere. Naturalmente la condizione per cui sia possibile proceduralizzare un’attività è che vi sia: a) una sufficiente stabilità del compito da svolgere, con poche eccezioni o situazioni impreviste; b) la possibilità di predefinire in modo sufficientemente preciso obiettivi e modalità per ottenerli; c) la possibilità di precodificare in modo anche formale le operazioni da svolgere. L’utilizzo delle procedure implica anche un modesto grado di interazione e interdipendenza tra i membri dell’organizzazione, dato che in linea di principio ciascuno “sa cosa deve fare” secondo quanto previsto, e le interazioni potrebbero limitarsi, in un caso estremo, al solo “passaggio di consegne” (ossia l’output prodotto da qualcuno è l’imput usato da un altro). Stabilire delle procedure implica anche un costo in quanto è necessario un lavoro di analisi e messa a punto prima di poter considerare valida una procedura (specialmente quando si tratta di procedure molto formalizzate); inoltre può esservi un costo di manutenzione perché la procedura può richiedere aggiornamenti nel tempo a causa di cambiamenti nel compito da svolgere. Infine va ricordato che sebbene le procedure siano di per sé strumenti adatti a una descrizione formalizzata, nella pratica delle organizzazioni il grado di formalizzazione delle attività può essere però variabile. In alcuni casi è così elevato che la procedura finisce per assomigliare a una sorta di “algoritmo” matematico (il che facilita anche il ricorso a sistemi di processamento automatico) in altri casi invece pur essendo sempre sufficientemente precisa una procedura richiede comunque una capacità interpretativa autonoma da parte dell’operatore che “sa come interpretare” i passi della procedura stessa sulla base della propria esperienza o conoscenza. Piani e programmi: invece che imporre in modo tassativo specifici comportamenti come fanno le procedure, questi strumenti si limitano a prefissare determinati obiettivi o specifiche prestazionali lasciando però ai singoli addetti la scelta delle modalità operative o dei mezzi da adottare per conseguirli. L’uso di un piano o programma definisce in sostanza, da parte di chi lo stabilisce o approva, una “delega” affidata agli esecutori. Tale delega può risultare utile o necessaria in alcune situazioni, ad es. nel caso di impossibilità da parte di chi stabilisce il piano a definire in modo preciso le singole procedure da svolgere (per mancanza di tempo, oppure di competenze), o nel caso in cui le attività da
svolgere siano un po’ troppo indeterminate da poter venire proceduralizzate e quindi si preferisce fissare solo gli obiettivi lasciando liberi gli esecutori di scegliere di volta in volta i mezzi migliori per ottenerli. Naturalmente il successo di questa modalità è molto legato all’esistenza di un buon sistema di controllo dei risultati raggiunti, controllo che può essere a priori (ad es. scelta delle “persone adatte” da incaricare per l’esecuzione del piano) e/o a posteriori (verifica dei risultati raggiunti). In ambito aziendale un classico esempio di piani e programmi è lo strumento del budget. Gerarchie: si tratta in sostanza di assegnare a qualche membro dell’organizzazione dei ruoli di controllo e comando sulle attività di altri membri. Il funzionamento delle varie parti dell’organizzazione è assicurato da meccanismi di premio/sanzione che vengono gestiti dalle linee gerarchiche ai vari livelli (ossia ciascun “capo” può premiare o punire i sottoposti, ecc.). Il coordinamento organizzativo è gestito anche qui per linee gerarchiche, ossia da un livello di comando all’altro. La gestione per linee gerarchiche consente inoltre di risolvere eventuali situazioni eccezionali che gli operatori possano incontrare (ricorrendo “al capo” per ottenere indicazioni su come risolvere un problema inatteso). Riunioni: si includono in questo termine sia le riunioni statutariamente previste (ad es. i Consigli di amministrazione) sia le riunioni di staff. Gli obiettivi e le modalità di organizzazione delle riunioni possono essere i più vari. In alcuni casi si tratta di riunioni per prendere decisioni (talvolta con validità anche da un punto di vista legale), in altri per scambiare informazioni o discutere questioni importanti. Le riunioni possono essere programmate oppure estemporanee e occasionali, a seconda degli obiettivi, dei team coinvolti, ecc. Anche lo stile delle riunioni può essere completamente differente (ad esempio formale piuttosto che informale) a seconda degli obiettivi, dei livelli gerarchici coinvolti, della trasversalità rispetto a funzioni e aree aziendali, ecc. Relazioni orizzontali: si identificano con questo termine i meccanismi volti a rendere possibile e magari facilitare le occasioni di comunicazione libera tra addetti anche in uffici diversi, spesso di carattere informale. Accorgimenti come diffondere uno stile di lavoro informale, facilitare incontri occasionali anche al di fuori del lavoro, ridurre le barriere fisiche (si pensi ai cosiddetti “uffici open space”) sono adottati anche al fine di facilitare le relazioni orizzontali. Le relazioni orizzontali permettono la diffusione di informazioni che, se si seguisse le vie gerarchiche o le procedure, risulterebbe impossibile o molto più difficoltosa. Come si vede da questo rapido elenco sono possibili nelle organizzazioni meccanismi di coordinamento molto diversi. Quali meccanismi sono preferibili a seconda dei casi? Una risposta a questa domanda non è sempre facile, ma è comunque utile riferirsi ai vari fattori prima indicati. Importante ad esempio il ruolo dell’incertezza: secondo alcuni studi in condizioni di modesta incertezza le modalità più strutturate (procedure, piani e programmi) sono le più efficienti, dovendo trattare informazioni più standardizzabili e sufficientemente determinabili in anticipo. Mentre all’aumentare dell’incertezza (e dunque quando è più difficile prevedere il tipo di informazioni di cui le unità organizzative necessiteranno) può risultare utile introdurre coordinamenti informali come riunioni e relazioni orizzontali. La relazione tra incertezza e ruolo del coordinamento gerarchico dipende dai casi: da un lato una struttura fortemente gerarchica diminuisce la flessibilità dell’organizzazione e quindi può ridurre anche la capacità di rispondere a situazioni variabili ed incerte; dall’altro la gerarchia può rappresentare una via per risolvere situazioni eccezionali (nel dubbio “decide il capo”, e se ne assume ovviamente la responsabilità). Processi organizzativi Con questo termine intendiamo qui l’insieme delle “sovrastrutture” che si sovrappone all’organizzazione formale e ne influenza e caratterizza il comportamento. Ci riferiamo dunque ad aspetti di natura essenzialmente sociale quali: il comportamento lavorativo “effettivo” degli addetti (stili di lavoro, stili di leadership, ecc.), la rete dei contatti interpersonali dei singoli individui al di fuori della comunicazione formale, i meccanismi di influenza e di potere, ecc. Nel progetto di un’organizzazione è ovviamente molto difficile tentare di agire su questi meccanismi, i quali peraltro possono influenzare grandemente il funzionamento anche dell’organizzazione formale. 2. INFORMAZIONE La r elazione tr a infor mazione e or ganizzazione: gener alità Perché l’informazione è importante per le organizzazioni? Esiste un ricco dibattito sul ruolo dell’informazione nelle organizzazioni, con diverse scuole di pensiero che si sono sviluppate. Una prima prospettiva che possiamo citare è quella del controllo manageriale (Anthony, 1988): le organizzazioni (e più specificatamente le imprese) sono rappresentabili come un sistema che necessita informazioni per il suo controllo e governo (Beer, 1981; Forrester, 1975). Nella figura seguente, ad esempio, un’impresa è raffigurata come un sistema che trasforma risorse in input per ottenere gli output; si suppone che per realizzare tale trasformazione sia necessario acquisire informazioni (ad es. sugli input e sugli output, oppure su qualche passaggio intermedio) in base alle quali
assumere decisioni per regolare i processi di trasformazione. Lo stesso schema è riproducibile scomponendo ulteriormente la struttura dell’organizzazione nelle parti di cui è costituita. Output (prodotti, servizi) Input (ad es. materiali, componenti) informazioni decisioni controlli informazioni
Molti punti di contatto con questa prospettiva si possono trovare nella cosiddetta scuola decisionale (Galbraith, 1973; Simon, 1958; per approfondimenti v. anche Bracchi et al., 2001) che si fonda sul fatto che un’organizzazione necessita di elaborare informazioni per poter assumere le decisioni adeguate al suo funzionamento e quindi il “buon” funzionamento di un’organizzazione dipende dalla sua capacità di elaborare informazione. L’impresa è vista come sistema aperto dato che il suo funzionamento dipende dal contesto in cui opera, e la capacità di elaborare informazione diventa ancor più critica in contesti affetti da grande incertezza (ad es. settori industriali complessi, mercati variabili e turbolenti, ecc.). Nella scuola decisionale grande attenzione viene posta anche alle capacità decisionali dei soggetti che compongono l’organizzazione (Simon, 1958; March & Simon, 1958), quindi alla capacità di elaborare informazione dei singoli individui; nonché alla struttura dell’organizzazione (scomposizione in parti, livelli gerarchici, ruoli e responsabilità assegnate) e alle modalità con cui le varie parti sono coordinate (e quindi le informazioni che vengono scambiate tra tali parti). Altre prospettive di interesse che focalizzano il legame tra organizzazione e informazione sono ad es. la prospettiva transazionale, legata in particolare agli studi sulla teoria dei costi di transazione (Williamson, 1985). L’attenzione qui è sulla relazione dell’impresa con altri soggetti esterni con cui essa ha scambi commerciali. L’efficienza ed efficacia di tali scambi (e quindi i risultati economici che l’impresa ne trae) dipendono da alcuni elementi chiave tra i quali in particolare l’incertezza informativa che caratterizza il contesto in cui le transazioni commerciali vengono svolte. Più recentemente, infine, si è posta l’attenzione sul fatto che molti prodotti e servizi sono di per sé ad alta intensità di informazione: l’informazione è non solo un ingrediente accessorio dell’attività di un’organizzazione, ma rappresenta un input e sempre più spesso un output dell’organizzazione. Si pensi ad es. che molti prodotti sul mercato incorporano un elevato contenuto informativo che si abbina alla loro “fisicità” e accresce il valore del prodotto stesso; inoltre, il settore dei servizi include molte attività (dalla consulenza ai servizi tecnici di progettazione, R&D, ecc.) che di fatto vendono informazione ai propri clienti. In generale, nell’interpretare le organizzazioni e il loro fabbisogno di informazione nonché modo di processarla, si può considerare due prospettive, per certi versi opposte, che vengono tipicamente assunte come riferimento. La loro influenza sul diverso modo di usare l’informazione appare evidente. La prima visione è quella meccanicistica che assimila un’organizzazione a un sistema meccanico. Questa concezione, di derivazione positivistica , assume che la realtà possa essere oggettivamente conoscibile (e quindi gestibile) identificando e utilizzando leggi universali e secondo principi di scomposizione successiva top­down (un problema viene scomposto in sottoproblemi e così via fino a trovare singoli elementi più facilmente conoscibili e gestibili). Il riferimento storicamente più noto è quello a Taylor e ai suoi principi di divisione del lavoro. Come per una macchina, si ritiene che l’organizzazione venga deliberatamente progettata come insieme di parti ciascuna delle quali svolge una funzione predeterminata . I punti essenziali per gestire un’organizzazione come sistema meccanico diventano dunque: la razionalità totale e la possibilità di conoscenza “scientifica” dell’organizzazione e del contesto in cui essa opera; la possibilità di programmare in modo deterministico il funzionamento delle varie parti e dell’organizzazione nel suo complesso; l’enfasi sugli strumenti di controllo centralizzato e gerarchicamente strutturato; la separazione tra decisione e azione; la codifica e standardizzazione delle attività; l’enfasi sull’efficienza come obiettivo primario. Dal punto di vista della gestione delle informazioni adottare questa visione comporta alcune chiare conseguenze. Innanzitutto, la separazione tra decisione e azione comporta una chiara suddivisione tra tipologie di informazioni (informazioni per prendere decisioni e informazioni per compiere operazioni). In secondo luogo, enfatizzando aspetti come la razionalità, la programmazione deterministica e la scomposizione top­down di problemi in sottoproblemi, si dà grande rilevanza alla capacità di elaborare grandi quantità di informazioni in modo dettagliato ed efficiente distribuendo tali informazioni in modo selettivo e appropriato alle varie parti che le devono utilizzare. A questa visione si contrapposizione una prospettiva organicistica , nella quale si utilizza una metafora biologica: come un organismo rappresenta un insieme di cellule che agiscono autonomamente la cui interazione coordinata determina il funzionamento dell’organismo nel suo complesso, un’organizzazione viene vista come un insieme di agenti dotati di specificità e indipendenza (le unità e/o gli individui che la compongono) la cui azione almeno in parte autonoma determina il funzionamento dell’organizzazione nel suo complesso. Secondo la visione organicistica non è possibile ridurre l’organizzazione a un sistema meccanico progettabile e gestibile in modo preordinato, ma si deve considerare invece aspetti quali l’interazione spontanea, la capacità di adattamento delle singole parti, la capacità del sistema a mantenere un equilibro efficace nell’ambiente in cui opera. Diventa inoltre impossibile, secondo questa visione, separare nettamente la realtà da chi la osserva, e similarmente diventa impossibile separare nettamente il momento della decisione da quello dell’azione. Dal punto di vista della gestione delle informazioni adottare questa prospettiva significa rinunciare alla possibilità di scomporre e identificare in modo efficiente, determinato e analitico le informazioni necessarie alle varie parti dell’organizzazione, focalizzando invece l’attenzione su aspetti quali rendere possibile ai singoli componenti dell’organizzazione l’accesso alle informazioni che sono utili al fine di una loro auto­ organizzazione e auto­regolazione in modo da facilitare il funzionamento efficace del sistema nel suo complesso. La capacità di comunicazione, di memorizzazione e riuso dell’informazione, di modificare in modo flessibile tipi di informazione e loro codifiche rappresentano elementi essenziali secondo questa prospettiva. Tra le due qui descritte esistono poi visioni intermedie. Tra queste la visione per processi e altre varianti ancora. In generale risulta difficile dire quale delle prospettive indicate sia quella “giusta”: a seconda dei casi e delle circostanze può prevalere e apparire più appropriata una visione piuttosto che un’altra, e questo influenza quindi anche il modo in cui l’informazione viene vista e processata nell’organizzazione. Tipi e flussi di infor mazione in un’or ganizzazione Sulla base di quanto detto, è quindi utile riconoscere che per funzionare un’organizzazione ha bisogno di gestire grandi quantità di informazione. Per far ciò, le varie parti devono comunicare tra loro e con l’esterno e quindi vi saranno vari flussi di informazione, sia da e verso l’esterno sia all’interno (cfr. figura seguente). Le modalità con cui tali flussi di informazione devono e possono essere gestiti potrà dipendere, come dicevamo, dalle varie circostanze. Per comprendere come i flussi di informazione possano essere gestiti in un’organizzazione è quindi utile innanzitutto riflettere sulle diverse tipologie di flussi che si possono identificare in un’organizzazione che ne possono caratterizzare il funzionamento. In generale questi possono innanzitutto variare a seconda del tipo di contenuto/contenitore, in altri termini il formato e il supporto tramite i quali i flussi sono veicolati. Una distinzione tipica è ad esempio tra: dati (numerici), testi, immagini e disegni, comunicazioni verbali, ecc. Si noti che anche se tramite le ICT tutti questi tipi di contenuto sono codificati tramite “bit”, in realtà la loro codifica è più o meno efficace a seconda del tipo di contenuto. informazione informazione
Una seconda importante distinzione riguarda i possibili diversi scopi per cui le varie parti dell’organizzazione scambiano flussi informativi tra di loro oppure con l’esterno (cfr. figura), ad esempio: interrogazioni, segnalazioni e avvisi, comandi, ecc. A seconda del tipo di flusso può cambiare il contenuto, il mezzo utilizzato, nonché altri elementi come la criticità, la tempistica, ecc. SONO PRONTI I PEZZI? NON ANCORA … interrogazione indicazione CHIAMA SUBITO LA MANUTENZIONE! comando SI E’ GUASTATA LA PRESSA! segnalazione, avviso
I tipi di flussi di informazione sono legati anche alla struttura organizzativa e alle parti tra cui vengono scambiati. Ad esempio, da un livello gerarchico superiore a uno inferiore potranno esistere flussi di comandi; tra due uffici indipendenti ma che devono coordinare le proprie attività si potranno trovare ad esempio flussi di interrogazioni o segnalazioni, e così via. Inoltre i flussi di informazione possono essere formalizzati ossia definiti in modo preciso sia riguardo il loro formato sia la loro validità, oppure informali, il che comporta evidentemente differenze notevoli (si pensi ad es. alla differenza tra un ordine di servizio formale che arriva da un superiore tramite una lettera scritta e viceversa un suggerimento inviato verbalmente da un collega). Gestire l’informazione in un’organizzazione significa comprendere la varietà dei flussi informativi esistenti, il che è evidentemente ancor più necessario per progettare e utilizzare applicazioni ICT a tale scopo. Flussi di infor mazione e tr ansazioni Una transazione economica si intende come l’atto con cui due soggetti economici (ad es. due imprese, oppure un’impresa e un consumatore) effettuano uno scambio, tipicamente di beni/servizi contro denaro. Lo scambio economico è da sempre sotto l’attenzione di economisti e manager in quanto rappresenta la principale connessione di un’impresa con i soggetti esterni con i quali ha relazione. Una transazione economica che riguardi ad es. un prodotto fisico implica ovviamente dei flussi “fisici” (materiali, prodotti) e flussi “monetari” (pagamenti). Tuttavia, associati a tali flussi c’è un’ulteriore tipologia, i flussi di informazione. Per eseguire uno scambio economico, infatti, le parti devono scambiare (prima, durante e dopo la transazione) vari tipi di informazione: specifiche su materiali e prodotti, ordini, fatture, istruzioni di pagamento, ecc. Considerando il caso di un’azienda che ha relazioni (e quindi transazioni) con fornitori e clienti, è possibile rintracciare i diversi flussi di informazione che entrano o fluiscono dall’impresa e percorrono l’organizzazione interna (cfr. figura seguente). Lo scambio economico (e i relativi valori economici in gioco) sono quindi in relazione con i flussi di informazione. Linee produttive materiali fornitori AZIENDA
semilavorati richiesta materiali ordine magazzino prodotti finiti lancio in prod. fattura ordine prodotti fattura clienti Riassumendo, comprendere i flussi informativi in un’organizzazione diventa essenziale sia per comprenderne il funzionamento sia per capire come le ICT possano permettere di supportare la veicolazione di tali flussi in modo efficiente/efficace. Un passo essenziale sia per i progettisti dei sistemi informatici sia per gli utilizzatori è analizzare la natura di tali flussi, le diverse tipologie, il loro scopo e le parti dell’organizzazione interessate, ecc. Il valor e dell’infor mazione Da quanto detto, l’informazione costituisce una parte essenziale dell’organizzazione, e può quindi essere associata al valore economico creato dall’organizzazione stessa o scambiato con l’esterno. Ma quanto vale l’informazione? Quanto vale un elenco clienti, o la documentazione di un progetto passato? Oppure conoscere un determinato prezzo di mercato? In alcuni casi il valore dell’informazione è indiretto: l’informazione contribuisce a rendere più efficienti o efficaci determinate attività aziendali. Ad esempio: ­ il valore dell’informazione può essere associato al fatto che essa è necessaria per un buon funzionamento dell’organizzazione, ossia per prendere decisioni efficaci e tempestive, o per svolgere “bene” determinate operazioni. Ad es. supponiamo che il possesso e l’uso di una certa informazione abbiamo consentito di ottenere un prodotto migliore o a più basso costo rispetto a ciò che si sarebbe potuto ottenere senza quell’informazione: in tal caso ciò si è tradotto per l’azienda in un valore economico aggiunto misurando il quale possiamo dedurne il valore che tale informazione ha avuto. Un altro esempio può essere il possesso di un database di clienti e delle relative informazioni (ad es. preferenze, criteri di scelta, ecc.): queste informazioni possono tradursi in una maggiore capacità di vendita rispetto a chi non le possiede, il che rappresenta un valore economico spesso misurabile. ­ il valore dell’informazione può essere associato al fatto che essa è utile per l’esecuzione di transazioni sul mercato. Ad esempio, disporre di informazioni utili sui prezzi di mercato di un certo prodotto, sull’affidabilità dei fornitori, ecc., il che per un acquirente può significare realizzare acquisti più efficienti con indubbio valore economico L’informazione può poi anche avere un proprio valore come oggetto di scambio economico. Ad esempio molte attività economiche sono basate sulla vendita di informazioni (si pensi alla consulenza, alle ricerche di mercato, ai servizi di intelligence, o anche semplicemente ai giornali). Inoltre, l’informazione è ormai un ingrediente fondamentale nella vendita di molti prodotti fisici, specialmente quelli high­tech: si pensi alla vendita di un impianto complesso, per il quale ciò che l’acquirente riconosce in termini di prezzo (quindi valore) non è solo l’impianto in quanto tale ma anche la modalità di installarlo, utilizzarlo, effettuare la manutenzione, ecc. Misurare il valore associato all’informazione è dunque una questione importante. Su questo esistono ormai veri e propri filoni di studio in economia (dagli studi di economia dell’informazione, agli studi sul capitale intellettuale e sui cosiddetti intangible). Il modo con cui sia possibile effettivamente misurare il valore dell’informazione non appare tuttavia semplice, e vale la pena di richiamare alcune considerazioni. Ad esempio, negli esempi del primo tipo sopra citati (informazione come supporto di altre attività o transazioni), l’informazione ha un contributo indiretto al valore economico, e quindi tale contributo andrebbe valutato sulla base degli effetti indiretti ad es. sulle performance aziendali. Nei casi visti in precedenza l’informazione ha tanto più valore quanto più serve (ossia serve a supportare una qualche altra attività), quanto più è congruente e appropriata a questo scopo (riducendo ad es. il lavoro necessario per comprenderla, verificarla, integrarla, ecc.), quanto più è tempestiva (arriva quando serve e a chi serve), ecc. Se l’informazione diventa un bene che viene venduto, il suo valore può essere associato a un prezzo riconosciuto dal mercato: tuttavia i mercati dell’informazione hanno una natura assai diversa dei mercati dei beni fisici. Ad esempio, in molti casi (a differenza di un bene fisico) l’informazione può essere duplicata a costo virtualmente nullo, e inoltre la sua vendita non implica una perdita di proprietà. Quindi nulla impedirebbe al venditore di un certo prezioso contenuto di informazione (ad es. una formula chimica) di rivenderlo non solo a un cliente ma anche a tutti i suoi concorrenti. Complicati e costosi meccanismi di protezione (ad es. i contratti in esclusiva, la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, ecc.) sono stati messi a punto proprio per situazioni di questo genere, ma la loro applicazione non è sempre facile. 3. ICT Misurare il valore associato all’informazione è importante anche per comprendere il contributo economico delle stesse applicazioni ICT; anche su questo tema peraltro vi sono considerazioni importanti da richiamare. In modo del tutto generale possiamo dire che le ICT sono per definizione tecnologie per elaborare e distribuire informazioni in quanto le loro principali funzioni sono: ­ raccolta e memorizzazione ­ catalogazione ­ elaborazione automatica ­ duplicazione ­ distribuzione ­ ecc. Computer e software consentono di ridurre in modo drastico i tempi e i costi per queste attività. È in questi termini che va visto il loro valore economico? Sfortunatamente, ciò è troppo semplicistico. Occorre riflettere infatti su una classica distinzione, frequentemente usata nella letteratura dei sistemi informativi aziendali, quella tra dati e informazioni. Un dato può essere considerato come la rappresentazione simbolica di una misura o di una caratteristica di un fenomeno, oggetto, ecc. Ad es. “38°” è una tipica rappresentazione simbolica della misura di una temperatura. Un’informazione può essere invece definita come un dato o insieme di dati ai quali, tramite un opportuno formato e uno schema interpretativo adeguato, è attribuibile un significato da parte degli utilizzatori di tali dati. Ad es. se chi legge il dato “38°” è il medico curante di un certo paziente potrà dare una corretta interpretazione alla misura rappresentata dal dato stesso (del tipo “il paziente ha la febbre”). In linea di principio i sistemi informatici (computer, software, programmi) sono costruiti per memorizzare, elaborare, veicolare dati prima che informazioni. Il passaggio tra dati e informazioni è però essenziale, e dipende da chi tali dati usa e produce. Quindi tale passaggio dipende dal lavoro e dalle capacità dell’organizzazione e dei suoi membri. Ciò che ha valore non sono i dati in quanto tali, ma l’informazione ad essi associabile (il fatto che il medico sappia interpretare il dato “38°” con il fatto che il paziente abbia la febbre ha valore perché potrà consentire di impostare una terapia). Ciò che stabilisce il passaggio tra dato e informazione è il contributo interpretativo dato dagli esseri umani (si rifletta ad es. sul fatto che “38°” è anche la rappresentazione simbolica della misura di un angolo, il che ha evidentemente interpretazioni completamente diverse). Per definire il valore delle ICT sono qundi chiaramente importanti le “prestazioni informatiche” (“quantità di dati”, “capacità di elaborazione e memorizzazione dati”, ecc.), ma non in quanto tali quanto piuttosto nella misura in cui consentono di gestire informazioni. Per questa ragione, anche se spesso si dice che il valore delle tecnologie dell’informazione sta nella loro sempre maggiore capacità di elaborazione, di per sé questo significa poco se non si comprende che tale capacità di elaborazione va legata ai diversi tipi di informazione, al suo significato, all’uso che se ne può fare, ecc. Per esempio, esistono due situazioni emblematiche che si riferiscono a diversi possibili obiettivi dell’uso delle ICT. Un primo obiettivo è quello dell’automazione: quando le informazioni sono state definite in modo chiaro e preciso, e associate alle loro rappresentazioni (ossia i dati), e quando il problema diventa semplicemente quello di elaborare i dati nel modo più veloce o più efficiente possibile, possiamo allora dire che l’obiettivo dell’uso delle ICT è automatizzare i processi di elaborazione dei dati che altrimenti dovrebbero venire fatti a mano. Si pensi al caso in cui si debba calcolare lo stipendio dei dipendenti di un’azienda. Per questo calcolo si segue una formula precisa (basata sul numero di ore,
sullo stipendio orario, e altre voci accessorie, ecc.), e l’interpretazione dei dati è univoca e chiara. Si tratta quindi solo di ripetere un calcolo tante volte quanto è necessario. In tal caso, l’uso delle ICT permette di automatizzare questa elaborazione riducendo tempi, errori e costi rispetto al caso in cui fosse svolta a mano. Un obiettivo completamente diverso è quello della comunicazione: la questione non è tanto quella di automatizzare un calcolo ripetitivo, quanto di rendere possibile fornire dati a coloro ai quali questi servono per le loro attività. Si pensi ad es. al direttore di un negozio che deve decidere quali prodotti ordinare: per questa decisione avrà bisogno di informazioni (ad es. cosa è stato venduto in passato, quanto, quanto si è guadagnato, ecc.). L’obiettivo dell’uso delle ICT qui non è tanto quello di automatizzare il processo mentale del direttore del negozio (cioè automatizzare la decisione) quanto comunicargli dei dati utili che, correttamente interpretati, potranno consentire di prendere una decisione. Anche in questo caso i computer effettueranno delle elaborazioni automatiche di dati (ad es. calcolo degli scontrini, memorizzazione, ecc.) ma tali elaborazioni non sostituiscono del tutto le operazioni svolte dagli uomini bensì forniscono un supporto per le loro attività. Naturalmente questi obiettivi sono spesso presenti entrambi in misura maggiore o minore (anche per comunicare dati i computer eseguono operazioni automatiche), ma è generalmente possibile ragionare in termini di obiettivo prevalente. Questa distinzione è dunque utile perché permettere di mettere in relazione il diverso possibile uso delle ICT (e quindi le specifiche progettuali che i sistemi devono avere) con le diverse tipologie di informazione da utilizzare nei vari contesti organizzativi, i quali a loro volta possono essere caratterizzati diversamente a seconda dei casi. Quanto detto ci consente di sintetizzare la relazione tra organizzazione, informazione e ICT nel modo rappresentato nella figura seguente. FLUSSI VALORE organizzazione informazione AUTOMAZIONE; COMUNICAZIONE VINCOLI VARIETA’
OPPORTUNITA’ EFFETTI ICT Rifer imenti bibliogr afici essenziali Daft, R.L., 2001, Organizzazione aziendale, Milano: Apogeo Forrester, Jay W., 1975. Collected Papers of Jay W. Forrester , Waltham, MA: Pegasus Communications Anthony, R.N., 1988, The management control function. Boston: Harvard Business School Press Beer, S., 1981, Brain of the Firm: The Managerial Cybernetics of Organization. New York: Wiley Mintzberg, H, 1983, Structure in fives designing effective organizations. Englewood Cliffs, New Jersey: Prentice­Hall, Mintzberg H., 1998, La progettazione dell’organizzazione aziendale, Il Mulino, Bologna. Galbraith J.K., 1973, Designing complex organisations, Addison Wensley: Reading March J.G., Simon H.A., Teoria dell’Organizzazione. Edizioni Comunità, 1958 Simon, H. [1958], Il comportamento organizzativo, Bologna, Il Mulino.