Diario di viaggio Premessa Uno degli elementi

Norberto Bottani,
SRED
Ginevra
18.7.2002
Diario di viaggio
Appunti sulle visite nelle scuole del gruppo ristretto di lavoro del ministero della Pubblica
Istruzione
( 15 ottobre 2001 – 20 ottobre 2001)
“Rassegna dell’istruzione”, n.3/4, 2001, 27-34
Premessa
Uno degli elementi della strategia di consultazione messa in atto dal gruppo
d’esperti per svolgere una complessiva riflessione sull’intero sistema scolastico
e per fornire concreti riscontri in vista del suo riordinamento è stata
l’organizzazione di una serie di incontri con le scuole, di visite sul terreno per
verificare la pertinenza delle ipotesi di lavoro, accertarne la comprensione alla
base, nelle scuole, nonché per appurare, con un rapido e parzialissimo
sondaggio, lo stato d’animo dei docenti, degli operatori scolastici, degli studenti
e dei genitori rispetto ai lavori in corso.
Al gruppo d’esperti è parso indispensabile tastare lo stato d’animo delle scuole
prima di azzardarsi a formulare nuove proposte ed ipotesi. Sarebbe stato infatti
sommamente controproducente e per molti versi controindicato proporre
cambiamenti che sarebbero di primo acchito rifiutati da coloro che
quotidianamente si trovano sul fronte della scuola, si occupano degli studenti,
sono confrontati con le aspettative o le assenze delle famiglie, intrattengono un
dialogo con gli enti locali, le forze sociali ed i movimenti associativi.
Negli intenti del gruppo ristretto di lavoro, il programma degli incontri doveva
includere scuole di ogni livello e di ogni tipo del settore dell’istruzione formale,
con l’esclusione del settore terziario o universitario, ma con l’inclusione del
settore prescolastico. Per la scelta delle scuole e l’organizzazione degli incontri,
il gruppo d’esperti si è avvalso della collaborazione delle direzioni generali
regionali1. Il gruppo si è limitato a segnalare al Ministero le aere nelle quali
avrebbe voluto recarsi : una nel Sud, una nel Centro ed un'altra nel Nord. Nelle
intenzioni del gruppo, la scelta avrebbe dovuto includere istituti "ordinari",
rappresentativi della media delle scuole della regione, e non scuole note per
sperimentazioni eccezionali o d’avanguardia. Nelle località prescelte, ogni
1
Un ringraziamento speciale va rivolto ai tre direttori generali regionali che hanno organizzato le visite in loco e
che hanno ospitato in maniera signorile la nostra delegazione : Michele Calascibetta per la Regione Sicilia;
Pasquale Giancola per la Regione Abbruzzo; Marina Bertiglia par la Regione Piemonte
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membro del gruppo d’esperti ha visitato una scuola e ha incontrato un consiglio
di classe ed il consiglio d’istituto2. Questo programma è stato rispettato.
Il testo che segue riprende appunti presi al volo durante gli incontri. Si tratta di
impressioni di viaggio, di osservazioni utilizzate come pro-memoria per
ricostituire le conversazioni e analizzarle. Queste sono impressioni personali e
associazioni casuali che non dicono molto sulle scuole visitate, ma che invce
svelano probabilmente punti deboli o manie dell’osservatore che visita una
scuola al passo di corsa in poche ore e che cerca di capire come la pensano gli
interlocutori che incontra di volta in volta.
Palermo, 15 ottobre 2001
I.P.S.I.A (Istituto professionale di stato per l’industria e l’artigianato)
ASCIONE
Lunedì pomeriggio, dopo essere sbarcato a mezzogiorno a Palermo con un volo
proveniente da Ginevra. Un collaboratore della Direzione regionale mi conduce
all’istituto Ascione. Sono in apprensione perché è la prima visita del periplo che
ci accingiamo a fare nella scuola italiana. Non mi sento ben preparato, perché
non abbiamo messo a punto nessuna griglia d'intervista comune né abbiamo
definito gli obiettivi della visita in termini precisi. In contropartita siamo liberi
di condurre gli incontri a nostra guisa. Prima di arrivare alla scuola ripasso
mentalmente i punti esaminati nel corso dei « focus-group » sulla formazione
tecnica e professionale e cerco di mettermi in testa i punti fermi emersi nel corso
degli incontri per verificarli con la base.
Sono anche inquieto perché non conosco bene il panorama dell’istruzione
tecnica e professionale. Ho in testa spezzoni di ricordi delle visite svolte con il
gruppo di esperti dell’OCSE nel 1997 per la perizia sulla riforma Berlinguer.
Eravamo stati a Caserta, a Napoli, a Bergamo, a Castelfranco Veneto ed a
Treviso e visitato molti istituti professionali e scuole professionali. Ho ricordi
confusi: ricevimenti splendidi, molta conflittualità tra gruppi di pressione
diversi, gran voglia di parlare e sfogarsi da parte di quasi tutti. Tante impressioni
superficiali per una situazione ingessata come direbbe Luisa Ribolzi.
Arrivo davanti alla scuola a metà del pomeriggio. C’è un sole splendente. Non
c’è in giro nessuno. La scuola è deserta. Ci sono solo numerosi bidelli (li chiamo
2
La ripartizione dei compiti all'interno del gruppo è stata la seguente : Ferdinando Montuschi : scuola materna;
Giorgio Chiosso : scuola elementare; Giuseppe Bertagna : scuola media; Silvano Tagliagambe : licei; Norberto
Bottani : istituti tecnici e professionali; Michele Colasanto : centri formazione professionale
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così) ad ogni piano, seduti dietro ad una scrivania. Mi chiedo cosa ci stanno a
fare. Non mi è mai capitato di vedere altrove, in altri paesi, un’abbondanza di
guardiani e custodi come qui.
L’istituto è ubicato nel quartiere popolare di Borgo Nuovo alla periferia Ovest
della città. Solo il 25 % degli studenti proviene dal quartiere. La parte restante è
reclutata su tutto il territorio urbano o della provincia.
Il quartiere è degradato sia dal punto di vista economico che sociale: livelli di
reddito fortemente al di sotto della media nazionale, livelli di disoccupazione
superiore al 30% ed al 50% nella fascia giovanile, scomparsa del tessuto
imprenditoriale locale, mancanza od inefficienza dei servizi pubblici locali,
carenza dei trasporti pubblici.
La stragrande maggioranza degli studenti appartiene alle fasce medio-basse
della popolazione : impiegati, artigiani, commercianti. Pochi figli di operai e di
professionisti. Secondo il preside molte famiglie di studenti vivono in condizioni
precarie.
L’edificio scolastico è in restauro, ma si trova in eccellenti condizioni. Si tratta
di una costruzione che ha una trentina d’anni, di fattezze moderne, assai
piacevole, luminosa e pulita. Si eleva su tre piani con uno sviluppo longitudinale
che all’interno offre su tutta la lunghezza un’ampia galleria vetrata. Le aule delle
lezioni si trovano sul davanti dell’edificio e sono molto squallide nonostante
siano state recentemente imbiancate. Le pareti sono linde, i pavimenti puliti ma
banchi e sedie sono trasandati e sparpagliati dappertutto. Le aule non sono
attrezzate ed hanno solo una lavagna, nessuna delle quali era pulita. Da come si
presentano le aule ricavo l’impressione che domini un insegnamento verbale e
tradizionale. I laboratori si trovano dirimpetto alle aule, tutti molto ordinati,
attrezzatissimi e puliti anche se i macchinari ed i computer non sono dell’ultimo
grido. Non c’è un’aula per i docenti o per la riunione del consiglio d’istituto che
si svolge dunque in un laboratorio d’ informatica, attorno a quattro banchi riuniti
in un angolo dell’aula.
Nonostante il contesto socio-culturale difficile, mi si dice che la scuola funziona
egregiamente e non conosce problemi di disciplina. L’assenteismo è ridotto al
minimo, le assenze collettive sono rare.
Sento diffidenza quando mi siedo al tavolo del consiglio d’istituto. Mi si chiede
se ho già visto altri IPS. Mi si fa anche osservare che nella commissione
d’esperti insediata dal ministro non ci sono meridionali. Non reagisco. Il
problema non mi riguarda, preoccupato come sono di farmi accettare per quel
che sono e non per un portavoce del ministero romano e di un ministro che non
conosco nemmeno.
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Marsala, 16 ottobre 2001
I.P.S.C. (Istituto d’istruzione superiore con aggregato I.P.S.S.C.T.S. ED
I.T.I. - Professionale servizi sociali commerciali e turistici) « Cosentino »
Martedì mattina: è una giornata splendida. Partiamo molto in ritardo da Palermo
e i nostri accompagnatori siculi non resistono alla tentazione di una pausa caffè
in riva al mare prima di attraversare le terre mafiose di Partinico ed Alcamo.
Ammiro gli ulivi, la potatura sapiente degli alberi. Sono contento di poterne
discutere con l’autista che parla un italiano molto stretto, difficile da capire. A
Marsala arriviamo con più di un’ora di ritardo. Quando giungo finalmente al
«Cosentino» ho vergogna di avere fatto aspettare a lungo docenti, genitori,
studenti. Tutti sono però gentilissimi e non danno nessun segno d’impazienza.
Questo ritardo è per me una mancanza di rispetto. Come lo vivono loro ? Un
sopruso della burocrazia o un avvilente disfunzionamento del sistema ?
La scuola “Cosentino” si trova non distante dal centro storico della città.
L’edificio accoglie 600 studenti circa ed è troppo piccolo per la popolazione che
lo frequenta. La costruzione è degli anni sessanta (la scuola è sorta nel 1961/62)
come scuola professionale. L’edificio non smentisce affatto questa destinazione
iniziale. Si tratta di una costruzione semplice composta di due blocchi disposti a
forma di delta. Il lato destro è in gran parte destinato all’amministrazione; quello
sinistro alle aule : al pianterreno quelle di lezione, con finestroni aperti
sull’esterno; al primo piano ci sono due attrezzatissimi laboratori multimediali
finanziati dal Fondo sociale europeo, ed un’aula di simulazione di un’agenzia di
viaggio.
Il preside mi mostra con compiacimento i laboratori esprime la sua riconoscenza
ed ammirazione per l’ex-direttore generale della formazione professionale
Martinez y Cabrera che ha saputo sfruttare a meraviglia il Fondo sociale
europeo quando era alla testa della direzione dell’istruzione tecnica. Avevo
incontrato Martinez a Roma nel 1997, quando mi sembra fosse già caduto in
disgrazia e non sedeva più sulla poltrona di direzione di uno dei più importanti
centri di potere del ministero.
Le aule di classe per le lezioni sono squallide come quelle dell’Ascione, forse
anche peggio: piccole, banchi e sedie di formica verde mai rinnovati da 40 anni,
anche qui lasciati in disordine. Lavagne sporche ovunque. Quando visito la
scuola è mezzogiorno passato: non c’è nessuno in giro. Ho l’impressione che
studenti e docenti abbiano lasciato le aule di corsa e siano scappati via al suono
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del campanello. Le aule del pianterreno danno sui cortili. Alla ripresa dei corsi,
attorno alle tredici, i finestroni restano aperti per il gran caldo. Dal piazzale,
appoggiati ai davanzali, le amiche e gli amici stanno a guardare quel che
succede in classe. Il professore svolge la lezione a quattro gatti, il pubblico
esterno dialoga a mezzavoce con chi sta dentro; i discorsi s’incrociano. Pratica
discorsiva trasgressiva e discorso di verità coesistono. La situazione mi diverte e
mi piace. Non c’è separazione tra la scuola dentro le mura e la scuola fuori dalle
mura. I grandi finestroni devono restare aperti perché i condizionatori d’aria non
funzionano più : hanno reso l’anima da parecchi anni. Adesso sono diventati
irreparabili perché i modelli troppo vecchi sono scomparsi dal mercato. Tutto
questo mi fa pensare all’Africa, a certe scuole viste in Marocco per esempio. I
prati spelacchiati, le palme mezze secche ed il polverone concorrono a
confermare quest’impressione.
La scuola ha due esigui cortili. Quello centrale, tra le due ali dell’edificio
disposte pressapoco a delta, è adibito a posteggio. Le auto sono a ridosso
dell’edificio; l’altro si trova dietro l’ala sinistra della scuola, davanti alla
palestra. E’ il posteggio dei motorini ed il rifugio dei fumatori e delle coppiette.
Una si baciava teneramente circondata da amici distratti quando siamo passati
noi per andare a vedere la palestra. Il baciucchiamento è continuato, senza
impacci. Mi chiedo come ha evoluto il concetto di verginità nella Sicilia attuale
rispetto a trent’anni fa, quando l’ ho visitata per la prima volta.
La palestra è un altro vanto del preside: vi si entra dal cortile in terra battuta. E’
grande ma lugubre, nera e come tutte le palestre è puzzolente di sudore e di
chiuso. Anche qui sono stato sorpreso dalle attrezzature ultimo grido con molti
apparecchi di fitness. Non si può fare ginnastica all’esterno. Non c’è prato, non
c’è posto nel cortile. Estate ed inverno sempre in palestra. Mi chiedo se di tanto
in tanto il docente di ginnastica porta gli studenti a nuotare al mare oppure a
sgambettare su un campo di calcio. A Parigi stanno all’esterno anche in pieno
inverno, quando piove e fa freddo. Qui invece si resta in palestra anche quando
fuori c’è il solleone e l’acqua del mare supera i 25 gradi.
La scuola è pulita. E’ appena stata imbiancata nel corso dell’estate. Non c’è
un’aula per i docenti. L’incontro con il consiglio di classe e con il consiglio
d’istituto si è svolto in un locale adibito per i docenti ricavato nel corridoio
centrale dell’ala destra.
Ho subito percepito un’atmosfera familiare, calorosa. Il locale era troppo esiguo
per accogliere tutti. Grande attenzione durante tutta la durata dell’incontro. Ad
un certo punto è comparso un magnifico vassoio di cappelletti , dolce tipico di
Marsala, una specie di raviolone ripieno di ricotta alla cannella, limone e
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cioccolata, con una spruzzatina di zucchero vanigliato. Questa leccornia è
servita tiepida con il caffè.
Nei corridoi, anche qui molti bidelli (li chiamo così) e numerose segretarie per
una scuola di 600 studenti. La scuola statale deve essere un luogo ambitissimo
per avere un posto di lavoro garantito in una zona con tassi di disoccupazione
tremendi. Nel POF ho rilevato che nella scuola insegnano 66 docenti e che ci
sono 26 persone ATA. E’ una proporzione molto favorevole: quasi il 30 per
cento del personale sono ATA. All’estero si sognerebbero proporzioni simili.
Molte ragazze tra gli studenti, perché il tipo di scuola offre una formazione
particolarmente adattata ad un pubblico femminile. Nella pausa di mezzogiorno,
quando visito l’edificio, ne incontro alcune sedute sulle scale che portano al
primo piano che stanno mangiando un panino. Sono tutte cicciottelle, mi
sembrano sovrappeso. Alimentazione sbagliata, ma perché ?
La composizione socio-professionale della popolazione che frequenta l’istituto è
medio-bassa. Un terzo degli studenti proviene da famiglie operaie, un quinto da
famiglie di impiegati, il 10 per cento dal ceto artigianale e solo l’8,7% dalla
classe media superiore, dirigenti e liberi professionisti. Nell’80 per cento dei
casi le madri sono casalinghe. Contesti economici poveri. Vorrei comparare
questi dati con quelli del liceo che sta visitando il collega Tagliagambe.
Il livello di istruzione in famiglia è basso: un quarto dei padri e delle madri ha
solo la licenza di scuola elementare, il che equivale ormai ad essere analfabeta.
Sono genitori giovani, andati a scuola nel corso degli anni Sessanta; solo la metà
dei padri e un poco più della metà delle madri ha terminato la scuola media. Ho
sotto gli occhi un bel esempio di mobilità scolastica : tre quarti degli studenti
hanno infatti un livello d’istruzione superiore a quello dei genitori.
La preoccupazione principale dei docenti della 1aA è la dispersione scolastica
che è elevatissima: nell’anno scolastico 99/2000 un quinto degli studenti del
primo anno ha abbandonato la scuola. Lo stesso problema si ripresenta nel
secondo anno, con un tasso d’ abbandono del 23 per cento. Nei primi due anni,
quasi uno studente su due smette di studiare.
Molti studenti, secondo i docenti, non hanno livelli d’istruzione adeguati.
Escono dalla scuola media con gravi debolezze sul piano degli apprendimenti
fondamentali: studenti che non sanno leggere, oppure che non capiscono quel
che leggono, che non capiscono i concetti matematici elementari della
numerazione, come per esempio la distinzione tra pari e dispari, oppure il
concetto di doppio. La scuola riceve gli scarti della scuola media, studenti
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definiti come “malati terminali”. Quante belle favole si raccontano sulle scuole
in parlamento, nei gruppi d’esperti o nelle commissioni di lavoro. Chissà se
qualcuno ha già messo i piedi ? Mi viene da ridere pensando alle elucubrazioni
sulla cultura generale nonché ai risultati dell’indagine PISA che saranno resi tra
poco e che non sono affatto brillanti per l'Italia. La realtà che ho davanti agli
occhi e che i docenti mi descrivono con chiarezza non è affatto smentita dai
risultati dell’indagine.
I docenti della 1a A si sentono sul fronte, impegnati nel ricupero di giovani che
non hanno punti di riferimento, allo sbando. Mi dicono che la loro missione
consiste ad aiutare i giovani a diventare adulti responsabili in un contesto di
grande degrado sociale e morale. Il loro compito è più educativo e sociale che
altro. Fanno gli assistenti sociali, in un certo senso. La scuola ha in modo
prioritario, per loro, questa funzione. Sono sorpreso che nessuno parli della
valenza educativa del lavoro, forse perché il lavoro non esiste, la collaborazione
con le aziende locali neppure. La scuola è lasciata a se stessa, abbandonata in
una guerra di trincea, senza alleati.
Ostia: 16 ottobre 2001
Mercoledì mattina : dalle otto siamo nella hall dell’Hotel Palace ad aspettare il
pulmino che dovrebbe portarci nelle scuole. Il pulmino non arriva. Passano i
minuti e siamo ormai quasi i soli in attesa, sprofondati nelle immense poltrone
del salone d’entrata. Il via vai di gente che c’è sempre ogni mattina davanti al
bancone del cassiere si è ormai placato. Nessuno arriva a prenderci. Con rabbia
capiamo che non ci sarà nessuna visita oggi. E’ andata buca. Ci hanno piantato
in asso.
Ore 9:30 :
Ci riuniamo in una saletta dell’albergo per fare il punto alla situazione e
decidere il da farsi.
Dopo un rapido giro di chiamate telefoniche scopriamo che nessuno ha
organizzato la visita, che le scuole non sono state avvertite del nostro arrivo.
Decidiamo dunque di annullare la tappa nel Lazio. Non ha senso andare nelle
scuole senza essere stati annunciati, né si può chiedere ai direttori di organizzare
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sui due piedi le riunioni con i consigli di classe o di convocare il consiglio di
istituto.
9:40
Decidiamo di partire subito per l’Aquila dove domani dovremmo incontrare
scuole dell’Abbruzzo. La situazione è grottesca, direi anzi scandalosa.
Osservo i miei colleghi italiani. Sono furibondi. C’è chi parla di handicappati
mentali al ministero; chi inveisce contro l’inefficienza di un gabinetto composto
di incompetenti che però proclamano il credo dell’efficienza, chi ritiene
indecente quanto succede. Siamo tentati di tornarcene a casa. Non lo facciamo
solo per rispetto verso le scuole abruzzesi e piemontesi che ci aspettano nei
prossimi giorni.
Aquila, 18 ottobre 2001
Istituto d’istruzione superiore I.P.I.A. l’Aquila
Anche questo istituto, come quello di Marsala, è stato costruito all’inizio degli
anni Sessanta, che deve essere stato un periodo di grande espansione edilizia nel
settore dell’istruzione professionale. Lo stato dell’edificio rivela gli acciacchi
degli anni passati senza restauri. Questo è un problema ricorrente per le
amministrazioni centrali. E’ successa la stessa cosa in Francia dove i restauri e
la manutenzione degli edifici scolastici hanno ripreso solo quando si è ceduta
alle regioni la responsabilità dell’edilizia scolastica ( con anche però un bel
seguito di scandali politici per appalti contraffatti e bustarelle sotto banco). Mi si
dice però che qui in Italia le province e le regioni hanno già la responsabilità per
l’edilizia scolastica. Se ciò è vero, allora la mia ipotesi potrebbe essere errata.
Anche qui, come del resto a Palermo ed a Marsala, il degrado è però ridotto, i
locali ed i corridoi sono ben tenuti e puliti. La costruzione comprende un ampio
atrio d’entrata, molto luminoso, e vari blocchi a forma di parallelepipedo, in
genere su due piani. In uno ci sono i servizi amministrativi, negli altri i
laboratori e le aule. L’insieme degli edifici è completato con una vetusta
palestra, priva di un piazzale per la pratica sportiva all’aria aperta. Docce e
spogliatoi sono in uno stato deplorevole e non funzionano più. Nell’atrio della
scuola si sta costruendo un bancone che simula la “reception” di un albergo e
che servirà per il corso alberghiero. L’apertura quest’anno di una sezione
alberghiera ha costretto ad allestire nuovi laboratori, tra i quali il bar. Le aule di
lezioni sono come quelle viste nelle altre scuole: banchi ad un posto e lavagna.
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Aule spoglie, senza nessuna attrezzatura didattica. Il preside conferma che
l’insegnamento è essenzialmente verbale.
I laboratori multimediali non mancano e mi sembrano più recenti di quelli visti
a Palermo. Il laboratorio di odontotecnica è tecnicamente superato. Questo tipo
di apparecchiature è costosissimo e le scuole non possono permettersi di
cambiarle sovente. Non a caso i laboratori scolastici sembrano più musei
tecnologici che non aule dove ci si esercita su apparecchi moderni.
Gli incontri con i consigli di classe e con il consiglio d’istituto si svolgono
nell’ufficio del preside, un ampio locale luminoso, con nelle bacheche molte
coppe vinte dalle squadre di rugby della scuola. Mi ricordo che l’Aquila è una
delle culle del rugby italiano. Riconosco tra i docenti attorno al tavolo i
rugbymen. Non ci si può sbagliare. Ho scoperto il rugby a Parigi e ne sono stato
affascinato. Credo che in questi ultimi anni raramente ho perso la finale del
torneo delle Cinque nazioni, che è diventato delle sei nazioni da un paio d'anni,
cioè da quando l’Italia è stata ammessa in questo cenacolo particolare del rugby
europeo. L’esibizione delle coppe e la presenza di ex-giocatori sono segnali che
mi trasmettono indicazioni eloquenti sulla cultura della scuola. Penso ad un
articolo letto pochi mesi prima su Phi Delta Kappan nel quale si spiegava
l’importanza degli allenatori di baseball e calcio nei licei americani.
Alla scuola è stato recentemente aggregato l’istituto d’arte: è un altro mondo,
un’alta cultura, che ha poco da spartire con i due indirizzi tradizionali della
scuola che sono quello odontotecnico e quello elettrico-elettronico. La scuola
quindi comprende sezioni tra loro disparate. L’istituto ha ormai perso la sua
caratteristica di scuola tecnica, prevalentemente maschile e si è metamorfizzato
in un altro tipo di scuola. Quest’operazione non può non essere indolore. La
creazione di una sezione alberghiera e l’integrazione dell’istituto artistico
devono per forza generare squilibri interni, tensioni tra i docenti o tra i docenti e
la direzione che non devono essere facili da gestire, ma non mi si dice nulla in
merito. Questa trasformazione, mi si spiega, è stata imposta dall’ evoluzione del
tessuto economico nella zona dell’Aquila dove sono scomparse le aziende
elettroniche che un tempo reclutavano i diplomati della scuola. Suppongo che
per gli odontotecnici non debba essere facile trovare un lavoro in Abbruzzo.
Questi sono problemi di pianificazione regionale. La decisione di aprire una
sezione alberghiera rappresenta quindi una svolta nella politica scolastica, ma
vorrei sapere come la decisione è stata presa e chi l’ha presa. In questa faccenda
mi sembra rilevante il fattore economico che obbliga la scuola a cambiare i
propri indirizzi formativi. Se fosse vera la teoria dell’equivalenza della
formazione degli istituti tecnici e professionali con quella dei licei, se cioè il
livello di cultura generale sancito dal diploma di stato fosse analogo a quella
della maturità, allora non ci si dovrebbe preoccupare troppo dello iato tra
preparazione scolastica e mondo del lavoro, perché i diplomati degli istituti
potrebbero almeno teoricamente orientarsi verso indirizzi diversi da quelli
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strettamente professionali. Il problema però è la mancanza di alternative di
perfezionamento professionale al di fuori dell’università e soprattutto
l’infondatezza della pretesa dell’equivalenza tra istruzione liceale e
tecnica/professionale. Questo problema non si risolve cambiando la
denominazione degli istituti e chiamandoli licei.
Anche qui, le risorse di personale sono adeguate: per 110 docenti, ci sono 35
ATA. La responsabile dell’amministrazione ritiene che questo personale non è
in esubero perché la scuola deve gestire molti laboratori per il cui
funzionamento ci vogliono parecchi tecnici. Non sono però sicuro che questo
personale sia occupato al meglio.
Torino, 19 ottobre
Istituto professionale di Stato (I.P.S.)Carlo Ignazio Giulio
per i servizi commerciali, turistici e sociali
Siamo finalmente giunti al Nord. Ho insistito presso i colleghi per inserire il
Piemonte nel giro poiché con il gruppo d’esperti dell’OCSE eravamo andati nel
Nord-est. Il collega Chiosso che vive e insegna a Torino si è dato molto da fare
per assicurarci un’accoglienza come si deve. All’arrivo in albergo trovo una
pubblicazione della Direzione generale che fornisce una serie di indicatori sulla
scuola piemontese. Finalmente un po’ di dati. La percorro con interesse per
poter farmi un’idea della situazione. La pubblicazione non è perfetta ma è
apprezzabile.
Venerdì pomeriggio, uggioso e autunnale. Mi presento all’istituto in orario. Non
voglio fare la figura fatta a Marsala. L’istituto si trova in centro città, nel
quartiere San Salvario in cui vi è un’importante presenza di immigrati, in un
edificio degli anni Sessanta, che si eleva su quattro piani. Non ci sono spazi
verdi attorno. La scuola è circondata da palazzi. Nel sottosuolo c’è un bar, la
palestra ed una biblioteca. Recentemente, l’istituto ha incamerato un’ala destra,
perpendicolare al corpo principale dell’edificio, che era un tempo una scuola
media. Al pianterreno di quest’ala c’è una seconda palestra e ci sono le aule che
accolgono i disabili. Lo spazio è ristretto, ma la volumetria è generosa, le aule
sono spaziose e ben tenute. Le attrezzature sono completate da una terza minipalestra per il fitness.
L’istituto, frequentato da circa un migliaio di studenti ripartiti in 50 classi,
sperimenta l’organico nazionale di istituto ed ha una lunga tradizione
d’integrazione di studenti portatori di handicaps. Due terzi degli studenti
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seguono i corsi diurni ed un terzo corsi serali ai quali possono iscriversi solo
studenti con più di 18 anni.
La scuola offre tre indirizzi professionali: aziendale; turistico; e servizi sociali.
Non occorrono molti laboratori ma in compenso la scuola è attrezzatissima in
computer. Ce n’è in media uno per ogni cinque studenti. Qui le aule di lezione
non sono spoglie come altrove. Ne ho viste parecchie attrezzate di tutto punto
con computer, proiettori, lavagne luminose e televisioni.
La scuola è un vero e proprio alveare. Funziona a pieno regime dal mattino
presto fino a mezzanotte, con corsi diurni e corsi serali. Il preside arriva
leggermente in ritardo all’appuntamento. Mi ricorda che c’eravamo incontrati
alcuni anni fa ad una manifestazione organizzata dal prof. Bertini del CEASCO
che si era tenuta nella ex-villa della famiglia Gancia. A quel tempo ero ancora
all’OCSE a Parigi ed in Italia si incominciava a parlare di controllo della qualità
nelle scuole e di certificazione. Ero stato invitato per presentare gli indicatori
dell’istruzione che sono uno strumento di analisi ben diverso dalla
certificazione. Passiamo qualche minuto nel suo ufficio, con un bel va e vieni di
segretarie da due porte diverse. Il preside padroneggia la situazione. La mia
presenza non gli pone nessun problema. La mia visita è una pratica da espletare
come un’altra. Ho davanti a me un preside manager, sicuro di sé: il direttore
regionale gli ha chiesto di accogliermi e lui svolge il compito a puntino. Chiedo
di visitare la scuola. Si va al passo di carica, con una bidella molto deferente nei
riguardi del preside che ci trotterella attorno con il mazzo delle chiavi per aprire
le aule.
Sono nelle sue mani e sento i miei limiti : conosco male il sistema italiano
dell’istruzione e formazione professionale, non posseggo il lessico giusto per cui
una parte delle mie osservazioni o spiegazioni deve risultare incomprensibile ai
miei interlocutori. La situazione è imbarazzante: mi trovo di fronte ad una
personalità forte che deve avere predisposto l’incontro a menadito. C’è qualcosa
che non va nell’aria, una sottile diffidenza nei confronti di un esperto designato
dal ministro e che non capisce né conosce gli arcani della politica italiana. Il
preside mi lascia fare. Poiché mi sono cacciato in una brutta situazione, spetta a
me venirne fuori.
L’incontro con il consiglio di classe e quello con il consiglio d’istituto si
svolgono in una delle due sale dei docenti. Qui c’è il lusso. Non una sola sala,
bensì due. In altri istituti, come per esempio a Marsala, a Palermo, o anche a
Susa, le sedute si svolgono in aule normali od in locali sui generis. Tra
l’incontro con il consiglio di classe e quello con il consiglio di istituto, cado
come un merlo nella trappola perché chiedo al preside consiglio sul modo di
impostare la presentazione al consiglio d’istituto. Lui mi suggerisce di partire
dalle proposte di riforma organica, ossia dalla riduzione da cinque a quattro
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della durata della formazione. Modifico quindi il mio schema di presentazione
che prevedeva un confronto tra la perizia internazionale dell’OCSE condotta
quattro anni fa e la situazione vigente. Abbandono così il terreno che mi è
familiare, che conosco bene e corro il rischio di una discussione tecnica che non
padroneggio affatto. Ho scordato che non sono Bertagna : lui da esperto della
legislazione scolastica come è riesce a tenere testa a tutti ed a spiegare nei
minimi dettagli le nostre/sue proposte, a mostrarne la coerenza, a giustificarle
con argomenti inoppugnabili. Io invece non posso minimamente pretendere di
possedere l’armamentario giuridico-amministrativo necessario per controbattere
alle obiezioni. Questa non è la mia specialità. Questa sera, al Giulio, commetto
un grosso errore: mi lascio trascinare su un terreno quasi ignoto e mi lascio
sorprendere dai miei interlocutori. L’incontro con il consiglio di classe non
andrà affatto bene: non mi trovo a mio agio, non riesco a sbarazzarmi dal ruolo
istituzionale che mi è stato affibbiato, mi esprimo a fatica, non mi vengono gli
argomenti giusti e mi faccio quindi inesorabilmente attaccare dai docenti, dagli
studenti e da un genitore, tutti agguerritissimi. Il preside, leggermente in
disparte, resta discreto ed interviene pochissimo. Lascia correre e segue
probabilmente con compiaciuta serenità la scena. La faccenda non lo riguarda.
Lui non ha nulla a che fare con il ministro ed il gruppo ristretto e lo fa capire,
anzi lo dà da vedere, ai suoi collaboratori.
C’è stato un solo passaggio difficile per lui, quando un genitore, che se ho capito
bene era un ex-lavoratore alla Stampa, ha violentemente attaccato il ministro e
mi ha accusato di essere venuto a fare della propaganda ed a raccogliere
consensi. L’indignazione di questa persona era stata provocata dalla lettera di
convocazione del consiglio spedita dal preside e nella quale, a quanto pare, si
raccomandava il segreto o la confidenzialità riguardo ai temi che si sarebbero
discussi. Il membro del consiglio denuncia il clima carbonaro che circonda
l'incontro e lo ritiene inaccettabile. Gli do interiormente ragione, ma non tocca a
me spiegare il contesto, bensì al preside che ha firmato la convocazione. Questo
è stato il solo momento in cui lui è dovuto uscire allo scoperto per difendermi.
Susa – Bussoleno, 20 ottobre
Istituto e liceo tecnico industriale (I.T.I.S.) Enzo Ferrari
Si parte di buon’ora da Torino. C’è foschia e pioviggina, ma viaggio su un’auto
di lusso guidata da un autista molto «professional» che durante il tragitto mi
spiega in lungo ed in largo il navigatore di bordo che vedo per la prima volta.
L’ITIS di Susa si trova al margine della città nei pressi della stazione ferroviaria.
Anche qui l’edificio è sorto negli anni sessanta. La costruzione comporta un
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massiccio corpo principale di tre piani. Passato il cancello, si entra in un cortile
ormai adibito a posteggio. Si entra nella scuola passando per una spaziosa hall
sovrastata da un locale per il bidello che sorveglia il via vai di chi entra ed esce
dall’edificio. Arrivo al momento d’inizio delle lezioni, poco prima delle nove.
C’è folla di studenti all’entrata. Passo inosservato e mi trovo quasi per caso
davanti all’ufficio del preside.
La scuola comprende 26 aule, una palestra, una biblioteca, un bar, altre
attrezzature e 15 laboratori. Non ho avuto il tempo di visitarla come ho fatto in
tutti gli altri casi, perché ho dovuto partire subito dopo il consiglio d’istituto che
è terminato alle tredici, per poter giungere in tempo all’aeroporto di Caselle. Sia
l’incontro con il consiglio di classe (una quinta liceo) che quello con il consiglio
d’istituto si sono svolti in un’aula che doveva essere la biblioteca della scuola
perché alle pareti c’erano scaffali con libri.
L’istituto, inaugurato nel 1964/65, comprende un liceo scientifico-tecnologico,
un biennio tecnico per la formazione di periti in elettronica e periti meccanici, e
corsi professionali triennali nel settore meccanico, elettronico e commerciale che
prepara operatori della gestione aziendale. Gli studenti provengono in
maggioranza dalla media valle di Susa. L’istituto accoglie grosso modo 500
studenti, in gran parte maschi. La proporzione delle ragazze è solo del 10%. Il
liceo è frequentato da meno di un centinaio di studenti, pari all’incirca al 17%
della popolazione dell’istituto e comprende una sola classe per ogni anno di
studio.
Gli studenti del biennio che conseguono un diploma di perito entrano nel
mercato del lavoro nella proporzione del 70%. Il 30% che prosegue gli studi,
dopo avere conseguito il diploma di stato, si iscrive in prevalenza al politecnico
di Torino. Secondo il preside non ci sono qui problemi di transizione dalla
scuola al lavoro, come invece ne ho visti a Palermo, Marsala, Aquila. Anche gli
studenti che conseguono la qualifica professionale nei corsi triennali trovano
facilmente un posto di lavoro in zona.
Il primo incontro con il preside è alquanto freddo: lui mi squadra come se fossi
un marziano sbucato da chissà dove. Si aspettava di certo qualcun d’altro, un
pezzo grosso, magari il ministro stesso, e non un visitatore insignificante come
me. Installati nel suo ufficio, disordinato e poco accogliente, a differenza degli
altri visti in precedenza, mi spiega le ragioni della sua sorpresa. Dalla direzione
generale regionale gli era stata segnalata con una lettera la natura riservatissima
e confidenziale della visita. Poi, aveva perfino ricevuto una telefonata dalla
direttrice generale (che non si era mai fatta viva prima con lui) che sottolineava
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la natura riservata dell’incontro. Da questi segnali, il preside aveva dedotto che
avrebbe dovuto ricevere un’importante delegazione politica. Invece aveva
davanti un ispettore come un altro, uno che non contava niente. Perché mai tutto
quel canaio ? Qui c’è stato qualcuno che si è sbagliato, ma rinuncio ad indagare.
Ho di fronte un preside amareggiato, burbero, diffidente. Cerco di
tranquillizzarlo, di passare come un ospite straniero capitato lì per caso che si
onora di visitare la sua scuola; tento di assumere un atteggiamento dimesso,
curioso per fargli sentire che non ci sono ragioni per essere sull’attenti perché
non sono un inviato della burocrazia ministeriale. Durante l’incontro con il
consiglio di classe interviene un paio di volte per mettere i puntini sulle i . Io
non ho ancora capito bene la distinzione tra istruzione e formazione
professionale, perché questa distinzione, molto italiana, rinvia a situazioni
politiche-amministrative che gli italiani conoscono bene e che io invece
confondo perché i due concetti per me hanno un’altra portata semantica. Mi
capita quindi di commettere di tanto in tanto, quando non faccio attenzione,
errori grossolani. E’ a questo punto che il preside interviene. In un paio
d'occasioni, corregge infastidito, come si fa con uno studente che non ha capito
la lezione.
Alla pausa, tra il consiglio di classe e quello di istituto, alle undici e quaranta, lui
scompare e mi lascia in compagnia di una docente gentilissima e premurosa che
con una collega mi accompagna a bere un caffè. Quando si ritorna in aula per il
consiglio d’istituto, il preside è assente. La seduta è aperta dalla docente che mi
aveva accompagnato al bar. Il preside, mi si dice, sta prendendo uno spuntino.
Arriverà dopo una ventina di minuti. Solo al momento del commiato, alla una,
quando l’autista è venuto a riprendermi, mi invita a ritornare a Susa per visitare
la scuola. Qui siamo tra le montagne, nel fondovalle. Conosco questa gente che
bada al sodo e che reagisce infastidita quando ha a che fare con la mondanità
della vita cittadina. I codici di riferimento sono altri. Non vuol dire che siano
meno sofisticati di quelli della pianura o delle campagne. Non mi faccio più
nessuna illusione a questo proposito. Penso al Canton Ticino che è il mondo da
dove provengo : anche lì vallate prealpine, fondovalli tremendi, rapporti tesi con
le città. Questo preside è una figura che mi è familiare.
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