L’ARTE DI AMARE DA DIO
Convegno nazionale CEI di Pastorale familiare
su spiritualità del matrimonio e dell’Ordine sacro
Nocera Umbra, 28 aprile 2013
1. Un sogno e una via
A conclusione di questo bel Convegno, la Parola di Dio ci consegna un sogno e il percorso per realizzarlo, che è un percorso senza alternative, obbligato. Il sogno è quello che abbiamo ascoltato dall’Apocalisse, questa Cittàsposa adorna per il suo sposo, la via obbligata è il comandamento nuovo che
Gesù consegna ai suoi: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi».
Quello di cui ci parla l’Apocalisse è il sogno di Dio fin dalla creazione, infatti è come se Dio avesse diviso la storia, sapendo già come sarebbe andata,
in creazione e redenzione. Nella creazione abbiamo un giardino, nell’Apocalisse una città. Nell’ordine della creazione viene prima Adamo e da lui viene
tratta la donna e poi entrambi si aprono alla genitorialità perché hanno dei
figli. Nell’ordine della redenzione viene prima la donna, la nuova Eva, Maria, e da lei viene tratto l’uomo, il nuovo Adamo. Inoltre, mentre nell’ordine
della creazione abbiamo la sponsalità che si apre alla genitorialità, nell’ordine della redenzione abbiamo una sponsalità trasfigurata che nasce dalla verginità. Maria, infatti, è vergine ed è sposa ed è colei che partorisce il vergine,
che è Cristo, il quale, secondo la teologia di Giovanni – le nozze di Cana – è
il vergine sposo, mentre la sposa è Maria, che è anche sua madre, la Vergine
Madre. Dunque, nell’ordine della redenzione verginità e sponsalità sono unite, anzi la verginità è madre della sponsalità, perché è dalla verginità di Maria che nasce lo sposo, che è Cristo.
2. Una relazione di pura perdita
Così, a mio parere, è anche nella Trinità. Sia il matrimonio, sia l’ordine
sacro, il sacerdozio celibatario, e dunque la verginità consacrata, sono già
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L’arte di amare da Dio
nella Trinità. Non si è celibi perché si vuole testimoniare il Regno di Dio,
non si è sacerdoti solo perché bisogna evangelizzare, battezzare o celebrare l’Eucaristia, queste sono funzioni. Il matrimonio e il sacerdozio sono due
sacramenti perché sono nella Trinità e questa è l’icona della sponsalità perché è la perfezione della relazionalità: una relazione di pura perdita nella
quale il Padre si perde per il Figlio generandolo, tanto è vero che, nell’inno
della Lettera ai Filippesi si dice che al Figlio viene dato un nome che è al di
sopra di ogni altro nome, anche del nome del Padre. E il Figlio si riceve dal
Padre e lo ama anch’egli di un amore di pura perdita, infatti «ha spogliato
se stesso» e si è fatto doùlos, “schiavo”, obbediente «fino alla morte e alla
morte di croce».
C’è, dunque, questa relazione, ma a crearla è l’amabilità in Dio, lo Spirito
Santo, che è la figlia più figlia della Trinità, dato che scaturisce dalla relazione d’amore. Ma essa è anche ciò di cui il Padre e il Figlio devono nutrirsi per
essere in relazione.
Allora, l’amabilità «procede dal Padre e dal Figlio» e nello stesso tempo li
genera in quanto persone in relazione. E il Figlio così diventa Sommo Sacerdote, non lo era prima, Gesù era laico, l’incarnazione lo ha costituito come
laico. La teologia della Lettera agli Ebrei dice che Gesù è stato consacrato sacerdote sulla croce, dove ha consumato il dono totale di sé offrendo se stesso al Padre e annullando le barriere di separazione fra Dio e l’umanità. Dunque, quel talamo nuziale di cui parlava don Paolo diventa anche l’altare sacerdotale. In Cristo crocifisso matrimonio e ordine sacro si congiungono. Egli è il Sommo Sacerdote che offre – e offre se stesso – ma è anche lo Sposo
che si offre per la redenzione dell’umanità.
3. Una calamita d’amore
Ma nel sogno di Dio che è l’Apocalisse non ci sarà matrimonio, né sacerdozio, resterà una sola dimensione: la sponsalità, perché Gerusalemme, questa città nuova, è la sposa. La città è il luogo delle relazioni, la dimora delle
famiglie, degli uomini e delle donne e tutta la città viene trasfigurata in sposa, esiste solo la sponsalità e nella dimensione di tale sponsalità noi preti, le
suore, voi sposi ci ritroviamo uniti tutti insieme nella relazione d’amore che
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ATTI DEL VESCOVO · Omelie
è l’amabilità dello Spirito, il quale ci fa, tutti insieme, “sposa” del Figlio, che
è Sposo e Sommo Sacerdote.
Allora dobbiamo attingere alla Trinità, nella quale Dio è Padre, ma è anche madre e sposa. Ricordiamo Isaia, 49: «Si dimentica forse una madre del
frutto del suo grembo? E se anche una madre si dimenticasse, io, il Signore
tuo Dio, non mi dimenticherò mai di te». E ciò che rende sponsale la relazione, cioè lo Spirito Santo, non lo vedremo mai perché esso ci trasforma non in
se stesso, ma a immagine del Figlio.
Lo Spirito Santo è come una calamita d’amore che si lascia attirare dalla
calamita d’amore che è Dio Padre e così la nostra anima è baciata da Dio. Per
questo noi possiamo pregare dicendo Abbà, “papà”, perché è l’amabilità dello Spirito in noi che prega Dio Padre. Anche nel sogno dell’Apocalisse non
vedremo lo Spirito perché esso risplenderà nel volto dei santi, trasfigurati in
«sposa adorna per il suo sposo». Saremo, tutti noi insieme, l’amabilità di Dio,
saremo noi lo Spirito Santo. E il Padre attende questa sposa per il figlio che
siamo noi e che adesso, per così dire, manca nella Trinità.
Quella “città santa” siamo tutti noi, tutta l’umanità, non è neanche la Chiesa, perché la Chiesa non ci sarà, non ci sarà il Tempio, non ci saranno religioni. Tutti insieme saremo la sposa che il Padre sta preparando, attraverso lo
Spirito, per lo sposo, suo Figlio. E allora avremo cieli nuovi e terra nuova e
cielo e terra si baceranno perché la terra si incontrerà col cielo. Noi, con le nostre fatiche e le nostre ferite, le nostre disperazioni e le nostre speranze, trasfigurati nella sposa che il Padre sta preparando per il suo Figlio: ecco la novità che già germoglia.
4. Percorso obbligato
Questa novità è già presente in Dio nella figura di Maria, che racchiude in
sé verginità, maternità e sponsalità. L’umanità deve diventare come Maria
sposa lasciandosi trasfigurare attraverso il percorso obbligato: «Amatevi come io ho amato voi». Il Signore ci pone una via altissima, non si accontenta
del nostro volerci bene e voler bene, non si accontenta della nostra amicizia
o del nostro affetto, vuole l’agàpe, vuole che noi amiamo da Dio. E dobbiamo
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amare da Dio, non Lui, non dice “amatemi”, ma «amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato». Vuole che noi ci amiamo da Dio per preparare la sposa
per Dio. A un Dio si può offrire soltanto un Dio, una sposa trasfigurata in Dio
perché ama da Dio. Questo è il sogno del Signore.
Dunque non c’è gerarchia fra essere sposati o essere sacerdoti. Noi siamo le
due vie che tendono a congiungersi nell’unica sponsalità, per cui io sogno una
Chiesa in cui ai Convegni, alle Settimane sociali, soprattutto se si parla di famiglia, parlino gli sposi, non gli esperti, non i vescovi, in cui siano gli sposi a far
da maestri, a insegnarci l’arte di amare da Dio, perché Dio ha consegnato il suo
nome, la sua identità, la sua essenza, agli sposi uniti in matrimonio. Solo gli
sposi possono dire Dio, perché loro sono la consacrazione dell’amore di Dio.
A noi sacerdoti tocca il compito di dire fino a che punto arriva l’amore di
Dio: fino a perdere l’amore per amore. Noi preti viviamo un amore di pura
perdita, abbiamo rinunciato alla bellezza dell’amore – che è come una nostalgia che ci brucia dentro e che sentiamo nelle fibre del nostro essere – per puro amore, come Gesù.
5. Due flauti e un unico Spirito
Allora voi dite chi è Dio e noi diciamo fino a che punto ama Dio, fino a
perdere Dio per Dio, come Gesù: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?». E
c’è un luogo in cui tutto insieme dobbiamo saperci ritrovare, è quella”fenditura” di luce rappresentata dal costato trafitto di Cristo, è lo stesso
termine che troviamo nel Cantico dei Cantici, dove lo sposo parla della sposa come di una colomba che sta nelle “fenditure” della roccia.
Tutti insieme ci ritroveremo dentro la fenditura di luce del costato di Cristo nell’unica sponsalità, perché, come disse S. Agostino, due flauti suonano
due armonie diverse, l’uno dice: «Egli è il più bello tra i figli dell’uomo», canta la bellezza della sponsalità, l’altro dice: «Non ha apparenza né bellezza…
per le sue piaghe siamo stati guariti», dice cioè l’amore di pura perdita. Due
flauti, ma uno solo è lo Spirito che vi soffia dentro: Ecco la bellezza dell’amore che vorrei consegnarvi: dobbiamo imparare a correre amando e ad amare
correndo. Altra strada non ci è data!
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