Capitolo 13
Termodinamica
13.1
Variabili di stato.
Lo scopo della dinamica è quello di determinare quale posizione e quale velocità avrà un sistema
soggetto a certe forze, ovvero quale sarà l’evoluzione dello stato del sistema.
Analogamente, lo scopo della termodinamica è quello di conoscere l’evoluzione dello stato in cui si
trova un sistema termodinamico.
Il primo problema che sorge è quello di capire cosa occorre definire per determinare qual’è lo stato
di un sistema termodinamico.
Per chiarire questo punto facciamo riferimento ad un sistema molto semplice: un gas perfetto.
I parametri macroscopici di questo gas che possiamo definire e misurare sono: il volume, la
pressione, la temperatura, il numero di moli e la composizione chimica.
Supponiamo ora, sempre per semplicità, di considerare sistemi in cui non si svolgono reazioni
chimiche; ne consegue che il quinto parametro, cioè la composizione chimica, perde di significato e
possiamo fare a meno di considerarlo, rimanendo esso sempre costante. Restano gli altri quattro
parametri che simbolicamente possiamo indicare con V , P , T ed n rispettivamente. Queste quattro
variabili definiscono lo stato del sistema; infatti due stati cui corrispondono due diverse quadruple di
queste variabili non possono coincidere.
Tali variabili prendono allora il nome di variabili di stato. Lo stato del sistema è quindi definito
univocamente una volta che i quattro valori numerici di V , P , T ed n siano definiti.
Ricordiamo ora l’equazione di stato dei gas perfetti:
P V =nRT
Questa relazione lega le quattro variabili in questione; pertanto una delle quattro variabili può
essere determinata univocamente una volta che siano noti i valori numerici delle altre tre. Risulta
quindi che per conoscere lo stato di un sistema basta conoscere tre delle quattro variabili V , P , T ed
n.
Proprio a causa della completezza dell’informazione che cosı̀ ottiene si parla di sistema completo
di variabili di stato per una qualsiasi terna costituita da tre delle quattro variaabili sopra indicate.
Come terna possiamo scegliere quella che desideriamo, ad esempio V , P ed n .
Poichè nel seguito avremo sempre a che fare con sistemi a massa costante, cioè tali che n non varia,
si può fare a meno di considerare tale variabile.
In definitiva, quindi, per definire lo stato di un sistema occorrerà solo definire la coppia ordinata
(V , P ).
Quest’ulteriore semplificazione permette di rappresentare graficamente lo stato di un sistema.
Consideriamo un sistema di due assi cartesiani ortogonali; sull’asse delle ascisse indichiamo il volume
V e su quello delle ordinate indichiamo la pressione P .
313
314
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
P
V
Figura 13.1: Nel piano di Clapeyron uno stato di un gas è individuato da un punto
Il piano viene cosı̀ ad essere suddiviso in quattro quadranti; uno solo di essi, definito da:
V ≥0
P ≥0
ha senso fisico e prende il nome di piano di Clapeyron (vedi Fig. 13.1). Ad ogni coppia ordinata
(V , P ) corrisponde, in questo piano, uno ed un solo punto. Poichè ad ogni coppia ordinata (V , P )
corrisponde uno ed un solo stato, risulta che ogni stato termodinamico è rappresentato in maniera
univoca da un punto del piano di Clapeyron e viceversa.
Ritorniamo ora al concetto di stato. Abbiamo detto che dare la coppia (V , P ) significa dare lo
stato di sistema. Occorre però notare che dare un valore di V e di P per un intero sistema significa
dire che la pressione ed il volume specifico, ovvero la pressione e la tempetura, sono uniformi in tutte
le parti del sistemi ed uguali ai valori assunti all’esterno dalle corrispondenti grandezze; il sistema è
quindi in equilibrio sia meccanico che termico. Se ricordiamo poi che stiamo parlando di sistemi a
composizione ed a contenuto di materia costanti, ovvero in equilibrio chimico, possiamo affermare che
il sistema è in equilibrio complessivo.
Risulta, in definitiva, che gli stati di cui abbiamo sinora parlato sono stati di equilibrio termodinamico. Gli stati d’equilibrio, però, non sono utili ai nostri scopi poichè siamo interessati alle
trasformazioni ovvero al passaggio del sistema da uno stato ad un altro. Ciò significa che gli stati, di
cui nel seguito vogliamo parlare, devono essere stati di non equilibrio.
Affinchè uno stato termodinamico sia di non equilibrio, le quantità termodinamiche devono avere
delle differenze all’interno del sistema: è proprio questa differenza che fa evolvere il sistema.
Se, però, la pressione, ad esempio, non è uguale in tutti i punti del sistema non possiamo più
specificare quale è la pressione P , ovvero non è più possibile specificare lo stato del sistema. Nel piano
di Clapeyron, cioè, non esiste uno specifico valore dell’ordinata da individuare.
Siamo di fronte ad una difficoltà: abbiamo a che fare con stati di non equilibrio ma sappiamo
specificare e trattare solo stati di equilibrio.
Per capire come risolvere questo problema facciamo un esempio. Consideriamo un gas perfetto
contenuto all’interno di un cilindro chiuso superiormente da un pistone mobile. Lo stato del gas sia
rappresentato dal volume V e dalla pressione P . Tale pressione, esercitata dal gas sulle pareti del
recipiente, è equilibrata da un peso poggiato sul pistone. Nel nostro caso il peso sia costituito da un
mucchietto di sabbia.
Supponiamo ora di far cadere qualche granello di sabbia sul pistone. La pressione che cosı̀ si viene
ad esercitare sul gas ne sbilancia lo stato, nel senso che si crea una situazione di leggera disuniformità
della pressione all’interno del gas; tale squilibrio provoca una variazione dello stato del sistema che si
porterà in un nuovo stato con variabili di stato fornite da V + dV e P + dP (vedi Fig. 13.3).
315
13.1. VARIABILI DI STATO.
Figura 13.2: Un pistone viene premuto per mezzo di un mucchio di sabbia
P
(V+dV, P+dP)
(V, P)
V
Figura 13.3: Trasformazione per variazioni infinitesime dei parametri
316
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
Figura 13.4: Un mulinello dissipa energia in un recipiente
Una trasformazione di questo tipo è tale che il sistema si è portato da uno stato inizialmente di
equilibrio ad un altro stato anch’esso di equilibrio. La trasformazione è però avvenuta passando per
stati che sono di non equilibrio. Tuttavia questi stati sono caratterizzati dal fatto che vi sono solo
leggerissime disuniformità delle grandezze termodinamiche del sistema.
Siamo giunti alla soluzione del problema: consideriamo solo trasformazioni cosı̀ lente che il sistema
in ogni istante si trova infinitamente vicino ad uno stato di equilibrio termodinamico. La trasformazione che cosı̀ si ottiene verrà detta quasi statica e gli stati attraverso cui passa il sistema vengono
detti sistemi di quasi equilibrio; essi possono venir descritti per mezzo di grandezze termodinamiche
che si riferiscono al sistema nel suo complesso.
E’ ovvio che trasformazioni di questo tipo sono ideali, pur tuttavia - anche nella realtà - è possibile
realizzare trasformazioni abbastanza ben approssimabili con trasformazioni quasi statiche.
I discorsi che abbiamo fatto sinora sono stati fatti considerando gas perfetti. Tuttavia, se si
conservano le ipotesi di invarianza della composizione chimica e della massa, essi valgono anche per le
sostanze reali. In particolare, lo stato di un qualsiasi sistema sarà, per noi, caratterizzato univocamente
dalla pressione P e dal volume V .
Una volta che possiamo definire tutti gli stati intermedi attraverso cui passa un sistema, durante
una trasformazione, è possibile, almeno in linea di principio, anche far seguire al sistema gli stessi
stati intermedi, ma percorsi in direzione inversa. Ne consegue che la trasformazione quasi-statica è
una trasformazione reversibile.
13.2
Il primo principio della termodinamica.
E’ noto che per riscaldare un corpo possiamo o metterlo a contatto con un corpo più caldo oppure
si può compiere lavoro meccanico su di esso, ad esempio strofinando un utensile, in modo che gli
attriti riscaldino il corpo. Pur se il risultato è lo stesso, la diversità del modo di ottenerlo corrisponde
all’intervento di due quantità fisiche differenti: il calore ed il lavoro. Ma se queste quantità, che
pur sono state introdotte in modo completamente scollegato l’una rispetto all’altra, sono in grado di
produrre lo stesso risultato ciò vuol dire che un legame tra di esse esiste.
Per determinare qual’è questo legame, consideriamo un esperimento: in un recipiente ci sia dell’acqua ad una temperatura T . Poichè la pressione (quella dell’ambiente esterno) e la temperatura
sono definite, è definito lo stato termodinamico A del sistema.
Facciamo ora girare un mulinello dentro l’acqua, ad esempio tramite la caduta di un corpo cui è
collegata una corda che fa girare il mulinello (vedi Fig. 13.4). Se il sistema è privo di attriti (tranne
quelli interni all’acqua) l’altezza h da cui cade il corpo di massa M , fornisce il lavoro dissipato dal
mulinello nell’acqua e quindi ceduto a questa:
L=M g h
317
13.2. IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA.
P
B
A
V
Figura 13.5: Il materiale all’interno del recipiente compie una trasformazione che dallo stato A lo
porta allo stato B.
P
B
A
V
Figura 13.6: Il materiale all’interno del recipiente compie una seconda trasformazione che dallo stato
B lo riporta allo stato A.
Sperimentalmente si nota che, in seguito a tale dissipazione di lavoro, l’acqua aumenta di temperatura, portandosi ad una T1 , cioè in un nuovo stato termodinamico B.
Introduciamo ora il recipiente in un calorimetro e teniamovelo sinchè la temperatura non sia tornata
al valore iniziale T , ovvero sinchè il sistema non sia tornato di nuovo allo stato iniziale A. Per mezzo
del calorimetro possiamo misurare la quantità di calore Q che occorre sottrarre al sistema per farlo
spostare dallo stato B sino ad A (vedi Fig. 13.6). La trasformazione totale che abbiamo compiuto è
quindi una trasformazione chiusa poichè lo stato iniziale e quello finale coincidono. Sperimentalmente
accade che:
L
=J
Q
Ripetiamo varie volte questo esperimento, variando i due stati A e B, oppure la trasformazione.
Risulterà che, qualunque sia la trasformazione, è sempre:
L
= J = costante
Q
In parole, per una qualunque trasformazione ciclica il rapporto tra il lavoro fornito ed il calore
sottratto al sistema è una costante, indipendente dalla particolare trasformazione seguita e dallo stato
iniziale e finale.
Questa affermazione ci dice che il calore ed il lavoro sono sostanzialmente la stessa cosa; in meccanica abbiamo interpretato il lavoro come un modo di trasferire l’energia da un sistema ad un altro
e quindi possiamo interpretare anche il calore come un sistema per trasferire energia da un sistema
ad un altro. Calore e lavoro si distinguono allora solo per la specificità del modo di scambio: se tale
scambio di energia avviene per effetto di una differenza di temperatura tra i due corpi si parla di
calore; in tutti gli altri casi si parla di lavoro.
318
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
II
B
I
A
Figura 13.7: La trasformazione ciclica come somma di due trasformazioni aperte
Ritorniamo ora all’equazione precedente:
L
=J
Q
Se il valore della costante J non dipende dalla trasformazione, vuol dire che il suo valore numerico
dipende solo dalle particolari unità di misura scelte per esprimere il lavoro ed il calore; se si esprime
il lavoro in Joule ed il calore in calorie, risulterà:
J = 4.186 J/cal
Se, invece, misuriamo sia il calore che il lavoro nelle stesse unità di misura, siano esse le calorie
oppure in Joule, risulta:
J =1
Supponiamo, quindi, di misurare con le stesse unità di misura il calore ed il lavoro. Risulta quindi:
L=Q
ovvero in una qualunque trasformazione ciclica il lavoro che il sistema compie sull’esterno è pari
al calore che il sistema assorbe dall’esterno. Prima di proseguire vogliamo ora specificare perchè
parliamo di calore assorbito e di lavoro svolto dal sistema. La termodinamica, come scienza, è nata
dalla necessità di progettare e studiare i motori termici, cioè quei dispositivi in grado di fornire lavoro
da sostituire a quello umano od animale, una volta che gli venga fornito calore. E’ allora parso logico
considerare positivi i lavori che un sistema compie sull’esterno e negativi quelli che il sistema assorbe
dall’esterno. Analogamente, sono positivi i calori che il sistema riceve assorbe dall’esterno e negativi
quelli che il sistema cede verso l’esterno.
Questa convenzione sui segni del calore e del lavoro verrà da noi utilizzata nel seguito, se non
altrimeni specificato.
Riprendiamo ora la relazione:
L=Q
Essa può anche essere scritta:
L−Q=0
Consideriamo ora la trasformazione ciclica indicata in Fig. 13.7, che da A porta a B lungo la I e
poi da B riporta ad A lungo la II. Tale trasformazione è chiusa e pertanto:
L−Q=0
Separiamo ora i due contributi lungo i due tronconi della trasformazione:
od anche:
I
II
LIAB + LII
BA − QAB + QBA = 0
II
LIAB − QIAB + LII
BA − QBA = 0
319
13.2. IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA.
e tale relazione vale qualunque sia la trasformazione II, purchè essa porti da B ad A.
Consideriamo, in particolare, il caso in cui la II non sia altro che la I, percorsa in senso inverso.
Risulta allora:
LIAB − QIAB + LIBA − QIBA = 0
ovvero:
LIAB − QIAB = −
LIBA − QIBA
Si può quindi affermare che, allorquando si inverte il senso di percorrenza di una trasformazione,
la differenza tra il lavoro ed il calore scambiati durante l’intera trasformazione resta uguale in modulo
ma cambia di segno.
Più in particolare si può affermare che in una trasformazione reversibile tutte le grandezze termodinamiche rimangono costanti in modulo ma cambiano semplicemente di segno.
Torniamo ora al caso di una trasformazione II generica. Sfruttando la possibilità di inversione ora
dimostrata e la relazione generale applicata ad una trasformazione ciclica possiamo ottenere un nuovo
risultato.
A tale scopo consideriamo uno stato A e due trasformazioni I e II che portino entrambe dallo stato
A ad un altro stato B. In questo caso la trasformazione I aggiunta alla trasformazione II, percorsa
da B ad A, costituiscono una trasformazione ciclica e pertanto:
II
LIAB − QIAB + LII
BA − QBA = 0
Se ora invertiamo la trasformazione II otteniamo:
II
LIAB − QIAB − LII
AB − QAB = 0
od anche:
II
LIAB − QIAB = LII
AB − QAB
dove le trasformazioni I e II sono due qualsiasi trasformazioni che da A portano a B. Risulta pertanto
che per una qualsiasi trasformazione la quantità
Q−L
non dipende dalla particolare trasformazione seguita ma solo dagli stati iniziali e finali.
Consideriamo quindi uno stato di riferimento O e, per ogni stato possibile A del sistema, chiamiamo
energia interna U (A) dello stato A la differenza tra il calore ed il lavoro scambiati in una qualsiasi
trasformazione che dallo stato di riferimento porti allo stato A:
U (A) = QOA − LOA
Ogni stato A risulta allora caratterizzato dal valore U (A) assunto da questa funzione. Tale energia
interna è, pertanto, una funzione caratteristica dello stato e non del modo in cui si sia giunti allo
stato. L’energia interna U è, cioè, una funzione di stato, diversamente dal calore o dal lavoro che,
separatamente, dipendono dal modo in cui si giunge ad uno stato termodinamico.
Siamo pertanto giunti ad affermare che per una qualsiasi trasformazione che dallo stato A porti
allo stato B, risulta:
U (B) − U (A) = Q − L
che viene anche scritta come:
Q = L + [U (B) − U (A)] = L + ∆U
che è un altro modo di esprimere il primo principio della termodinamica.
Ricordiamo ancora una volta che l’energia interna U è una funzione di stato mentre Q ed L,
separatamente considerati, non lo sono; cioè se un sistema si trova nello stato A il lavoro ed il calore
scambiati nella trasformazione che ha portato il sistema nello stato A non dipendono soltanto da
320
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
Figura 13.8: Un gas inizialmente è confinato nella metà di un recipiente, poi viene fatto espandere in
tutto il recipiente.
quale sia lo stato ma anche dalla particolare trasformazione seguita. Questo fatto trova riscontro nella
terminologia normalmente adoperata: non si può, infatti, dire che un corpo in un certo stato possiede
un calore Q od un lavoro L, mentre è possibile affermare che, in un determinato stato, un sistema
possiede una determinata energia interna U .
Consideriamo ora una trasformazione infinitesima che da uno stato A porti ad un secondo stato, A + dA, infinitamente vicino al primo. In tal caso le quantità termodinamiche scambiate sono
degli infinitesimi e vanno indicate con gli opportuni simboli matematici. Il primo principio della
termodinamica, in tal caso, viene scritto come:
δQ = δL + dU
In questa formula abbiamo indicato la variazione di energia interna col normale simbolo adoperato
per gli infinitesimi e cioè con dU . Per il calore ed il lavoro scambiati abbiamo invece adoperato un
diverso simbolo matematico e cioè δQ e δL rispettivamente.
La ragione di questa diversità è semplicemente di tipo formale: l’adoperare il normale simbolo degli
infinitesimi vorrebbe significare che il calore ed il lavoro scambiati sono le differenze tra i valori assunti
dalle funzioni calore e la voro, rispettivamente, nei due distinti stati; sappiamo però che ciò non è vero
nè per il calore nè per il lavoro e quindi abbiamo adoperato un diverso simbolo. Con terminologia
matematica si dice che dU è un differenziale esatto poichè effettivamente corrisponde alla differenza
tra i valori assunti da una funzione in due punti prossimi mentre δQ e δL non sono differenziali esatti.
Abbiamo detto che l’energia interna è una funzione di stato; ne consegue che essa deve essere funzione soltanto di un sistema completo di variabili di stato, ad esempio del volume e della
temperatura.
Per comprendere di quale tipo di funzione si tratti, si può fare un esperimento. Consideriamo a tale
scopo un gas rarefatto, cioè un gas perfetto, contenuto all’interno di un recipiente, separato tramite
un setto da una altra cavità. Le pareti siano adiabatiche, ovvero siano in grado di non trasmettere il
calore.
Il gas inizialmente è in un certo stato caratterizzato dal volume V occupato e dalla temperatura
T . Liberiamo ora il setto, ad esempio facendolo cadere. Il gas si espanderà nella cavità inizialmente
vuota. Sperimentalmente si osserva che durante questa trasformazione la temperatura del gas resta
costante pur se varia il volume a disposizione del gas, e quindi la pressione da questo esercitato sulle
pareti del recipiente.
Osserviamo ora il processo dal punto di vista del primo principio della termodinamica. Poichè il
recipiente è a pareti adiabatiche non vi è alcun scambio di calore con l’esterno e quindi abbiamo:
Q=0
Non vi è nemmeno alcun lavoro fornito dall’esterno e quindi abbiamo anche:
L=0
Dal primo principio risulta allora che, indicati con A e B gli stati iniziali e finali, è:
U (A) = U (B)
321
13.3. IL LAVORO IN TERMODINAMICA.
Precedentemente abbiamo detto che la funzione energia interna deve dipendere soltanto da un
sistema completo di variabili di stato, ad esempio deve essere una funzione del volume e della temperatura:
U = U (V, T )
Con questo esperimento abbiamo però visto che per cambiando il volume, a temperatura costante,
l’energia interna non cambia e quindi possiamo semplificare ancor di più la relazione funzionale per
l’energia interna:
U = U (T )
In definitiva abbiamo ottenuto che, per un gas perfetto, l’energia interna dipende solo dalla
temperatura del sistema.
13.3
Il lavoro in termodinamica.
Sinora non abbiamo dato alcuna specifica sul lavoro cui siamo interessati in questo capitolo. Vogliamo
ora appunto determinare meglio quale tipo di lavoro tratteremo nel seguito.
Ad un sistema termodinamico può essere fornita energia, sotto una forma distinta dal calore, in
molti modi ma noi limiteremo i sistemi sotto studio a gas, contenuti all’interno di recipienti a volume
variabile. In tal caso il lavoro è costituito soltanto dal lavoro meccanico di espansione del gas.
Per esprimere in termini analitici tale lavoro consideriamo quindi un gas contenuto all’interno di
un recipiente, che per semplicità supporremo di forma cilindrica, di sezione A. La base superiore di
tale recipiente (pistone) sia movibile.
Il gas esercita sulle superfici del recipiente una pressione p. In particolare, sul pistone, di area A,
il gas esercita una forza complessiva data da:
F =pA
la quale dovrà essere equilibrata dalle forze esterne al sistema.
Il lavoro compiuto dal sistema verso l’esterno può, in questo caso, essere ottenuto solo con uno
spostamento del pistone, ad esempio un suo innalzamento di un tratto dx.
Il lavoro fatto è allora:
dL = F dx = p A dx = p dV
dove dV è l’aumento di volume subito dal gas.
La formula cui siamo pervenuti rappresenta il lavoro compiuto dal gas sull’esterno. Se aumenta
il volume a disposizione del gas (espansione) tale lavoro sarà positivo poichè è il gas che compie
lavoro sull’esterno mentre se il volume diminuisce (compressione) il sistema compie un lavoro negativo
sull’esterno, ossia è l’esterno che compie lavoro sul sistema.
13.4
I calori specifici dei gas.
Quando abbiamo parlato dei calori specifici dei gas, nel precedente capitolo, abbiamo detto che è
possibile definire due diversi processi per riscaldare un gas: a volume costante ed a pressione costante.
Si possono, quindi, definire due diversi calori specifici:
calore specifico a volume costante
cv =
calore specifico a pressione costante
cP =
h
i
dQ
dT
h iV =cost
dQ
1
m
dT P = rmcost
1
m
Vediamo ora cosa ci dice il I principio della termodinamica, applicato ai gas perfetti.
Per una trasformazione infinitesima è:
δQ = δL + dU
322
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
ma
δL = p dV
e quindi
δQ = dU + p dV
Anche se precedentemente abbiamo definito i calori specifici riferendoci all’unità di massa stavolta
preferiamo riferirci all’unità di mole del gas e quindi calcoleremo i due diversi calori specifici molari.
Iniziamo col trattare il calore specifico molare a volume costante. Dalla definizione si ha:
1
cv =
n
dQ
dT
V =cost
Sfruttando il I principio della termodinamica abbiamo:
1
cv =
n
che fornisce anche
cv =
dQ
dT
1
n
V =cost
dU
dT
1
=
n
+
V =cost
dU + p dV
dT
1
n
p dV
dT
V =cost
V =cost
Ma se durante la trasformazione il volume è costante è ovvio che dV = 0 e quindi è nullo il secondo
termine. In definitiva si ha:
1 dU
cv =
n dT
che fornisce anche:
dU = n cv dT
Questa relazione è stata ottenuta per una trasformazione a volume costante. Essa, però, vale per
una qualsiasi trasformazione.
Infatti l’energia interna U è una funzione di stato, dipendente solo dallo stato e non dal modo
un cui si è giunti allo stato; analogamente la temperatura è funzione solo dello stato mentre il calore
specifico è un numero rappresentante una proprietà della materia. Ne consegue che per una qualsiasi
trasformazione termodinamica cui è associata una variazione dT di temperatura si ha una variazione
di energia interna data da:
dU = n cv dT
Per quel che riguarda i gas perfetti si può giungere ad affermare qualcosa di più; abbiamo già
visto precedentemente che l’energia interna di un gas perfetto dipende solo dalla temperatura e quindi
abbiamo che l’equazione precedente può essere integrata senza che al risultato cosı̀ ottenuto si debba
aggiungere alcun termine.
Si ottiene quindi che per un gas perfetto è:
U = n cv T
Nel paragrafo 12.7 abbiamo mostrato che per un gas perfetto monoatomico l’energia cinetica totale
delle molecole del gas può scriversi come:
E=
3
nRT
2
Paragonando le due formule ora scritte possiamo vedere che l’energia interna non è altro che
l’energia cinetica posseduta dalle molecole; otteniamo, altresı̀, anche una valutazione del valore del
calore specifico a volume costante. Risulta infatti che per un gas perfetto monoatomico è:
cv =
3
R
2
323
13.4. I CALORI SPECIFICI DEI GAS.
Per gas perfetti diversi dal monoatomico occorre tenere in conto i diversi gradi di libertà. In
generale possiamo affermare, sempre in base a quanto detto nel paragrafo 12.7, che ad ogni grado di
libertà delle molecole del gas corrisponde un calore specifico a volume costante pari ad 12 R. Per un
gas biatomico avremo quindi
5
cv = R
2
Trattiamo ora un gas perfetto che subisce un riscaldamento a pressione costante. Il calore specifico
in questo caso:
1 dQ
cp =
n dT p=cost
e, applicando il I principio della termodinamica, otteniamo
1
cp =
n
dU
dT
1
+
n
p=cost
p dV
dT
p=cost
Per un gas perfetto, però, deve sempre essere valida l’equazione di stato dei gas perfetti:
pV =nRT
e quindi, per una trasformazione a pressione costante, è
p dV = n R dT
Sostituendo nell’equazione del calore specifico otteniamo:
cp =
1
n
dU
dT
+
p=cost
1
n
n R dT
dT
p=cost
ovvero
cp = c v + R
ove abbiamo tenuto conto anche della relazione ottenuta precedentemente per il calore specifico a
volume costante. La relazione cui sia pervenuti mostra come il calore specifico a pressione costante sia
sempre maggiore di quello a volume costante a causa dell’energia che occorre fornire in questo secondo
caso per l’espansione del gas. Per i gas perfetti tale aumento è costante ed è pari alla costante dei gas.
Per quanto detto precedentemente sul valore del calore specifico a volume costante otteniamo che
per un gas perfetto monoatomico è:
5
cp = R
2
mentre per un gas biatomico risulta:
7
cp = R
2
Un coefficiente particolarmente interessante ed utile è il rapporto tra il calore specifico a pressione
costante e quello a volume costante. Tale coefficiente prende il nome di compressibilità:
cp
γ=
cv
Per la relazione appena mostrata, riguardo i calori specifici, tale coefficiente è sempre maggiore
dell’unità. Il suo valore massimo è ottenuto per i gas perfetti monoatomici:
γ=
cp
=
cv
5
2
3
2
R
5
= = 1.67
3
R
Per i gas perfetti biatomici i valore della compressibilità invece diminuisce, divenendo:
γ=
cp
=
cv
7
2
5
2
R
7
= = 1.40
5
R
e cosı̀ via diminuendo all’aumentare del numero di gradi di libertà delle molecole del gas.
324
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
P
V
Vini
Vfin
Figura 13.9: Una trasformazione isocora
P
Pini
Pfin
V
Figura 13.10: Una isobara
13.5
Alcune trasformazioni termodinamiche.
Vogliamo ora applicare il I principio della termodinamica ad alcune semplici trasformazioni termodinamiche.
13.5.1
Trasformazione a volume costante.
Consideriamo dapprima una trasformazione a volume costante: una isocora. In tal caso risulta
dV = 0
e quindi il I principio della termodinamica si scrive come:
dU = dQ
Nel paragrafo precedente abbiamo mostrato che per un gas perfetto è:
dU = n cv dT
e quindi abbiamo anche
dQ = n cv dT
mentre per il lavoro abbiamo:
dL = 0
13.5.2
Trasformazione a pressione costante.
Passiamo ora ad una trasformazione a pressione costante: una isobara.
13.5. ALCUNE TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE.
325
P
Pini
Pfin
V
Vini
Vfin
Figura 13.11: Una isoterma
In questo caso dobbiamo ricordare che per un gas perfetto deve sempre valere l’equazione di stato
dei gas perfetti e quindi:
pV =nRT
per cui, differenziando, si ottiene:
p dV + V dp = n R dT
ma in questo caso la variazione di pressione è nulla per cui
p dV = n R dT
Possiamo allora scrivere
dU = n cv dT
dQ = n cp dT
dL = n R dT
13.5.3
Trasformazione a temperatura costante.
Trattiamo ora una trasformazione a temperatura costante: una isoterma.
In questo caso la variazione di energia interna è nulla poichè l’energia interna dipende solo dalla temperatura e non essendovi, in questo caso, alcuna variazione di temperatura non vi è alcuna
variazione di energia interna.
Dal I principio della termodinamica abbiamo allora che la quantità di calore scambiata è pari alla
quantità di lavoro scambiata:
dQ = dL = p dV
Sfruttando ancora l’equazione di stato dei gas perfetti otteniamo che:
p=
nRT
V
e quindi
dV
= nR T d(lnV )
V
ove abbiamo sfruttato le relazione che lega il differenziale del logaritmo di una variabile con il
differenziale della variabile stessa:
dV
d(lnV ) =
V
Calcoliamo ora una trasformazione isoterma che fa espandere il gas da un volume V 1 al volume V2 .
In tal caso si ha:
V2
Q = L = n R T ln( )
V1
dQ = dL = n R T
326
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
P
Pini
Pfin
V
Vini
Vfin
Figura 13.12: Una adiabatica. La curva sottile continua è una isoterma
13.5.4
Trasformazione senza scambio di calore.
Come ulteriore trasformazione trattiamo una trasformazione durante la quale non sia abbia alcuno
scambio di calore: una adiabatica.
In questo caso, per definizione, è nullo il calore scambiato; il I principio della termodinamica si
scrive allora:
0 = dU + dL = cv dT + p dV
ovvero anche:
n cv dT = − p dV
Differenziamo ora l’equazione di stato dei gas perfetti, ottenendo:
p dV + V dp = n R dT
e quindi:
1
1
p dV + V dp
R
R
Sostituendo nella relazione ottenuta dal I principio della termodinamica otteniamo:
n dT =
cv
cv
p dV +
V dp = − p dV
R
R
ovvero
cv p dV + cv V dp = − R p dV
ed anche:
cv p dV + R p dV + cv V dp = 0
Mettendo in evidenza il termine p dV si ottiene
(cv + R) p dV + cv V dp = 0
che, per la relazione sui calori specifici, diviene
cp p dV + cv V dp = 0
Dividiamo ora tutto per cv p V ottenendo
cp dV
dp
+
=0
cv V
p
13.5. ALCUNE TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE.
327
che, integrando, porge
γ ln V + ln p = 0
od anche
ln V γ + ln p = 0
che può anche scriversi come
ln (p V γ ) = costante
ed in definitiva si ottiene l’equazione di Poisson che rappresenta la relazione tra pressione e volume
durante una trasformazione adiabatica:
p V γ = costante
Questa equazione ha una forma molto simile a quella di una isoterma:
p V = costante
In questo caso l’esponente del volume è l’unità mentre nel caso della adiabatica l’esponente è
costituito dalla compressibilità.
Tale parametro è maggiore di uno e quindi possiamo asserire che la curva rappresentativa dell’adiabatica ha una forma simile a quella di una isoterma ma è più pendente di questa, tanto più pendente
quanto più grande è il valore della compressibilità.
Sfruttando anche l’equazione di stato dei gas perfetti è possibile esprimere l’equazione di una
adiabatica anche con le altre variabili di stato. Con l’uso della temperatura al posto della pressione si
ha:
T V γ−1 = costante
mentre sostituendo la temperatura al posto del volume si ha.
T γ p1−γ = costante
13.5.5
Trasformazione generica.
Come ultima trasformazione prendiamone una che non ha alcuna caratteristica particolare, salvo quella
di riferirsi ad un gas ideale..
In questo caso la determinazione delle tre grandezze termodinamiche fondamentali avviene sulla
base di regole generali.
Per la determinazione della variazione di energia interna basta ricordare che per un gas perfetto
l’energia interna dipende solo dalla temperatura per cui:
∆U = n cv (Tf in − Tini )
Per il calcolo del lavoro bisogna calcolare l’area sottesa dal grafico nel piano di Clapeyron:
L=
Z
Vf in
p dV
Vini
ed infine il calore si determina in base al I principio della termodinamica:
Q = L + ∆U
328
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
P
Stato A
Stato B
T2
T2
T1
B
A
T2
V
Figura 13.13: Il ciclo di Carnot: la compressione isoterma
P
C
Stato B
Stato C
T1
B
T2
V
Figura 13.14: Il ciclo di Carnot: la compressione adiabatica
13.6
Il motore di Carnot.
Abbiamo già notato come la termodinamica è nata sulla base della necessità di costruire motori termici
sempre migliori. In questa linea di pensiero un’importanza enorme riveste un particolare motore detto
motore di Carnot, dal nome del suo ideatore.
Questo motore è puramente ideale, nel senso che non è possibile realizzarlo praticamente, eppure
esso è il fulcro su cui si poggia una ampia branca della termodinamica. Vediamo ora come è costituito
e come funziona. Supponiamo di avere un cilindro a pareti laterali fisse ed adiabatiche e con la
base superiore (pistone) anch’essa adiabatica ma capace di scorrere all’interno del cilindro. Il fondo
di questo cilindro è in grado di scambiare calore e può essere posto su diversi appoggi, secondo le
necessità. Un gas perfetto è racchiuso all’interno del cilindro.
Supponiamo di disporre di due distinte sorgenti termiche, le cui temperature saranno indicate con
T1 e con T2 , con T1 maggiore di T2 .
Consideriamo ora che il gas si trovi in uno stato A e che il pistone comprima il gas mentre il fondo
del cilindro è posto sulla sorgente termica a temperatura T 2 . Tale compressione continua sinchè il gas
non ha raggiunto lo stato B; quella che cosı̀ si è realizzata è una compressione isoterma dallo stato A
allo stato B.
Togliamo ora il cilindro da sopra la sorgente e poniamolo su una superfice adiabatica. Continuiamo
a comprimere il gas sino a portarlo ad uno stato C, cui corrisponde la temperatura T 1 ; abbiamo
329
13.6. IL MOTORE DI CARNOT.
P
C
Stato C
Stato D
T1
T1
D
T1
T2
V
Figura 13.15: Il ciclo di Carnot: l’espansione isoterma
Stato D
P
Stato A
D
T1
A
T2
V
Figura 13.16: Il ciclo di Carnot: l’espansione adiabatica
realizzato una compressione adiabatica dallo stato B allo stato C, ovvero dalla temperatura T 2 alla
temperatura T1 .
A questo punto eliminiamo la superfice adiabatica e poniamo il fondo del cilindro sulla sorgente
termica a temperatura T1 . Facciamo espandere il gas sino a portare il gas allo stato D; abbiamo
eseguito una espansione isoterma dallo stato C allo stato D.
Riportiamo ora il fondo del cilindro di nuovo sulla superfice adiabatica e continuiamo l’espansione
sino a riportare il gas alla temperatura T 2 ; si è eseguita una espansione adiabatica da D ad uno stato
cui corrisponde la temperatura T2 e che per semplicità supporremo coincidere con lo stato iniziale A.
Il ciclo termodinamico seguito dal gas, detto ciclo di Carnot, è allora costituito da due isoterme
e due adiabatiche.
Calcoliamo ora come variano le quantità termodinamiche del gas durante i vari elementi del ciclo
di Carnot.
Per prima cosa possiamo dire che poichè la trasformazione completa è un ciclo, la variazione
complessiva di energia interna è nulla; possiamo pertanto restrigere il nostro studio ai soli calori e
lavori scambiati.
Sfruttando le relazioni ottenute nel precedente paragrafo otteniamo:
330
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
Trasformazione A-B : compressione isoterma:
Q = n R T2 ln
L
= n R T2 ln
VB
VA
VB
VA
Trasformazione B-C : compressione adiabatica:
Q =0
L
= n cv (T1 − T2 )
Trasformazione C-D : espansione isoterma:
Q = n R T1 ln
L
= n R T1 ln
VD
VC
VD
VC
Trasformazione D-A : espansione adiabatica:
Q =0
L
= n cv (T2 − T1 )
Risulta pertanto che il gas assorbe calore durante la trasformazione C − D mentre il calore viene
ceduto all’esterno durante la trasformazione A − B. Non vi è, ovviamente, scambio di calore durante
le due adiabatiche.
Per il lavoro si ha assorbimento di lavoro durante le due compressioni e cessione durante le due
espansioni. E’ da notare che i lavori scambiati durante le due adiabatiche sono uguali in valore assoluto
ma di segno opposto e quindi si elidono a vicenda.
Detto L il lavoro netto prodotto dal sistema, Q 1 il calore assorbito dal sistema (durante la trasformazione C − D) ed infine Q2 il calore ceduto dal sistema (durante la trasformazione A − B), il primo
principio della termodinamica dice che:
L = Q 1 − Q2
Si noti che in questa formula non viene adoperata la normale convenzione dei segni. Secondo
tale convenzione si sarebbe dovuta eseguire la somma algebrica dei due calori. Per comodità di
calcolo, tuttavia, si preferisce avere a che fare con quantità positive e ciò spiega il segno negativo che
compare nella formula. Questa nuova convenzione sui segni verrà, nel seguito, adoperata ogni volta
che parleremo di motori termici.
Da quanto detto sinora si vede che è possibile schematizzare il motore di Carnot come un sistema
che preleva un calore Q1 da una sorgente calda a temperatura T 1 , cede un calore di scarto Q2 ad
una sorgente fredda a temperatura T 2 ed infine genera un lavoro L. In linea di principio, sulla base
del primo principio della termodinamica, si potrebbe pensare di usare solo la sorgente a temperatura
T1 e quindi questo motore di Carnot appare aver bisogno di una sorgente termica di troppo. In
realtà vedremo che questa seconda sorgente è necessaria anche in linea di principio. Tale limitazione
costituisce una conseguenza del secondo principio della termodinamica.
Poichè le trasformazioni che costituiscono il ciclo di Carnot sono reversibili lo sarà anche il ciclo
stesso: è possibile quindi utilizzare il motore di Carnot fornendogli un lavoro L, prelevando un calore
Q2 dalla sorgente fredda e scaricando un calore Q 1 verso la sorgente calda. Si dice che il motore
funziona da frigorifero.
Anche in questo caso si deve notare che, sulla base del primo principio della termodinamica, si
potrebbe pensare di prelevare calore da una sorgente fredda e di trasferirlo integralmente ad una
sorgente calda. Il motore di Carnot, per far questo, ha bisogno che gli venga fornito un lavoro ed
anche questa caratteristica non è una aggiunta non necessaria, come verrà precisato nell’enunciare il
secondo principio della termodinamica.
331
13.6. IL MOTORE DI CARNOT.
T1
Q1
L
C
Q2
T2
Figura 13.17: Schema del motore di Carnot
Ritorniamo ora al motore di Carnot, funzionante in modo ordinario. Si definisce rendimento di
un motore termico il rapporto tra il lavoro che il motore fornisce all’esterno ed il calore che il motore
assorbe dalla sorgente calda. In formula:
L
η=
Q1
Questa definizione di rendimento rispecchia perfettamente il significato che comunemente si dà alla
parola rendimento: il rapporto tra ciò che si ottiene rispetto a ciò che si fornisce.
Ritorniamo ora al caso di un qualsiasi motore termico. Come abbiamo già detto precedentemente,
durante un ciclo l’energia interna non varia e quindi il lavoro netto fornito dal motore è pari alla
differenza tra il calore che il motore assorbe dalla sorgente calda e quello che il motore cede alla
sorgente fredda. In formula:
L = Q 1 − Q2
Sostituendo tale relazione nella formula del rendimento si ha:
η=
Q1 − Q 2
Q1
che semplificando diviene
η =1−
Q2
Q1
Questa formula del rendimento è valida per un qualunque motore termico. Vediamo ora, nel caso
particolare del motore di Carnot, come essa possa specializzarsi. Dalle relazioni scritte precedentemente riguardo ai calori scambiati durante il ciclo di Carnot otteniamo:
Q2 = n R T2 ln
Q1 = n R T1 ln
VA
VB
VD
VC
Si noti che nello scrivere l’espressione per il calore Q 2 abbiamo adoperato la nuova convenzione in
base alla quale il segno negativo di questo calore viene espresso a parte. Ciò, nella formula, comporta
l’inversione del rapporto tra i volumi all’interno del logaritmo.
332
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
Ricordiamo ora che gli stati A e D appartengono alla stessa adiabatica mentre gli stati B e C
appartengono entrambi ad un’altra adiabatica e pertanto:
T2 VAγ−1 = T1 VDγ−1
T2 VBγ−1 = T1 VCγ−1
Dividendo membro a membro queste due relazioni otteniamo:
VA
VB
γ−1
=
γ−1
VD
VC
Poichè i due esponenti sono uguali l’uguaglianza tra i due termini può valere se e solo se vale
l’uguaglianza tra le due basi e quindi:
VA
VD
=
VB
VC
Da questa relazione possiamo riscrivere le due espressioni dei calori come:
Q2 = n R T2 ln
Q1 = n R T1 ln
VA
VB
VA
VB
Sostituiamo ora queste due formule nell’espressione del rendimento:
η =1−
n R T2 ln
n R T1 ln
e quindi, semplificando
η =1−
VA
VB
VA
VB
T2
T1
Questa formula, valida (in linea di principio) solo per il motore di Carnot, mostra come il rendimento ddel motore di Carnot sia funzione soltanto delle due sorgenti termiche scelte. In particolare
il rendimento è sempre inferiore all’unità e vi si approssima sempre più, quanto maggiore è la differenza tra le due temperature; potrebbe divenire pari all’unità solo nel caso in cui la sorgente fredda
abbia una temperatura pari allo zero assoluto o che la sorgente calda abbia una temperatura infinita:
entrambe queste possibilità sono da escludersi e quindi se ne deduce che il rendimento del motore di
Carnot è sempre inferiore all’unità.
Si noti che la quantità di fluido contenuta nel cilindro o l’ampiezza delle singole trasformazioni
subite dal gas stesso non influenza minimamente il rendimento del motore; è questa una proprietà che
rende molto utile, nelle trattazioni teoriche, il motore di Carnot e che verrà quindi molto utilizzata
nel seguito.
13.7
Il secondo principio della termodinamica.
Nel parlare del motore di Carnot abbiamo notato che esso necessita, per produrre un lavoro, di due
sorgenti termiche ed anche che è necessario fornirgli un lavoro affichè possa funzionare da frigorifero.
Abbiamo anche detto che queste non sono delle manchevolezze delllo specifico motore ma piuttosto
delle conseguenze del secondo principio della termodinamica. Vogliamo ora appunto formalizzare
questo secondo principio.
Molti sono i modi in cui è possibile esprimere il secondo principi e tutti sono, ovviamente, equivalenti tra di loro. Noi inizieremo con due distinte enunciazioni ma nel seguito mostreremo anche alcuni
altri modi di enunciare il secondo principio della termodinamica.
I due enunciati cui vogliamo ora fare cenno appaiono, a prima vista, affermare cose completamente
diverse tra di loro poichè uno appare riferirsi al funzionamento dei motori termici mentre l’altro si
13.7. IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA.
333
riferisce invece al funzionamento dei frigoriferi. Dimostreremo, però, che questi due enunciati sono
completamente equivalenti tra di loro ovvero che se uno di essi non vale ne consegue che non vale
nemmeno l’altro e di conseguenza se uno di essi è vero lo è anche l’altro.
Prima di entrare nel dettaglio dei due enunciati vogliamo dare alcuni commenti metodologici
riguardanti il secondo principio.
In tutte le affermazioni che sinora abbiamo fatto esiste un contenuto positivo, nel senso che le
enunciazioni dei principi sinora eseguite affermano l’esistenza di un qualcosa, di una qualche relazione
tra quantità fisiche o di altro ancora. Per tale motivo la dimostrazione della verità scientifica delle
affermazioni fatte risulta sostanzialmente agevole poichè consiste soltanto nel mostrare che quella
affermazione, quel qualcosa di cui si afferma l’esistenza effettivamente esiste.
La storia della fisica è piena di esempi di leggi fisiche ritenute vere per lunghi anni e poi dimostrate
”false” in seguito. E’ sempre accaduto, però, che ”falso” non significasse ”non vero” ma semplicemente
”vero solo in certe approssimazioni”. Ovviamente non poteva essere altrimenti poichè gli esperimenti
avevano nel passato ampiamente dimostrato la correttezza della legge fisica. L’unica cosa che poteva
invalidare le osservazioni sperimentali era solo una maggiore accuratezza delle misure che mostrasse deviazioni dalle previsioni, ovvero mostrasse come queste previsioni fossero valide solo in certe
approssimazioni.
Ad esempio di quanto detto consideriamo una semplice legge fisica: la constanza del tempo nei
diversi riferimenti. Sinchè non si sono avuti a disposizioni strumenti particolarmente sensibili non si è
potuto osservare che due distinti orologi, in due diversi sistemi di riferimento, misurano tempi diversi.
La legge fisica sulla costanza del tempo non è però del tutto falsa poichè essa non risulta altro che un
caso particolare della legge secondo la quale la scala dei tempi è funzione del rapporto tra la velocità
del riferimento e la velocità della luce. Se tale rapporto è molto piccolo la variazione della scala dei
tempi è trascurabile e quindi si possono applicare tutte le leggi fisiche che discendono dalla ipotesi
originaria.
Per quel che riguarda il secondo principio della termodinamica, invece, il discorso è differente;
come vedremo nel seguito, questo principio non afferma l’esistenza di un qualcosa ma piuttosto nega
la possibilità di un qualcosa; in altri termini esso non ha un contenuto positivo ma un contenuto
negativo. Da ciò discende una enorme difficoltà nella dimostrazione sperimentale della sua validità:
l’unica possibilità consiste infatti nel provare ripetutamente a violarlo e, sinchè non si riesce a violarlo,
ritenere che esso sia valido.
Alla base di questa pecularietà del secondo principio della termodinamica sta la sua natura microscopica. Nel seguito non tratteremo l’interpretazione microscopica del II principio nei dettagli ma ci
basterà affermare che esso ha una struttura di tipo statistico.
Abbiamo già visto come l’interpretazione microscopica della termodinamica porti a definire delle
grandezze relative ad ogni singola molecola e poi a mediare su tutte le molecole. Il primo principio si
riferisce sostanzialmente alla struttura energetica complessiva dei sistemi ma il secondo è legato non ai
valori medi di alcune grandezze fisiche quaanto piuttosto alle diverse configurazioni assunte dall’insieme
delle variabili termodinamiche all’interno del sistema. Accade ora che gli aspetti macroscopici che
vengono negati dagli enunciati classici del secondo principio corrispondono a configurazioni del sistema
con una scarsissima probabilità di verificarsi e ciò spiega il perchè essi non si verificano mai nella
pratica, ovvero macroscopicamente. Nulla impedisce, però, che, su un numero elevatissivo di sistemi,
si possa realizzare una configurazione che viola il secondo principio della termodinamica.
Per fortuna questa pecularietà del secondo principio della termodinamica non ci interessa molto
moichè siamo interessati solo ad alcuni aspetti macroscopici dei sistemi, aspetti nei quali non ci
si può attendere alcuna negazione del secondo principio; essa però può spiegare alcuni paradossi
termodinamici che possono essere ritrovati in alcuni testi di divulgazione scientifica. Ritorniamo ora
al nostro problema originario e cioè alla enunciazione del secondo principio della termodinamica.
Iniziamo col postulato di Lord Kelvin secondo il quale
E’ impossibile realizzare una macchina termica ciclica il cui unico risultato sia quello di prelevare
calore da una sorgente e trasformarlo integralmente in lavoro.
Il secondo enunciato segue invece il postulato di Clausius per il quale
334
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
T1
Q1 C
LC = LK
C
Q1 K
K
Q2 C
T2
Figura 13.18: Macchina termica complessa costituita da un motore che viola l’enunciato di Kelvin ed
una macchina di Carnot che lavora da frigorifero.
E’ impossibile realizzare una macchina termica ciclica il cui unico risultato sia quello di prelevare
calore da una sorgente fredda e trasferirlo integralmente alla sorgente calda.
Appare evidente che questi due enunciati si riferiscono a situazioni diametralmente opposto; il
postulato di Lord Kelvin, infatti, vieta il realizzarsi di un motore termico perfetto per il quale non
sia necessaria una seconda sorgente termica nella quale riversare un calore di scarto. Il postulato di
Clausius, invece, vieta il realizzarsi di un frigorifero perfetto col quale trasferire senza alcuno sforzo
calore da un corpo freddo ad uno caldo. Per dimostrare che i due enunciati sono equivalenti occorre
mostrare che che se si nega uno qualsiasi dei due postulati l’altro viene automaticamente ad essere
falso e viceversa.
Iniziamo pertanto col negare il postulato di Lord Kelvin. Supponiamo pertanto che sia possibile
realizzare una macchina termica ciclica la quale prelevi un calore Q K
1 da una sorgente a temperatura
K
T1 e lo trasformi integralmente in un lavoro L , senza aver bisogno di una seconda sorgente termica
nella quale scaricare il calore di scarto.
Consideriamo ora una seconda macchina, costituita da un motore di Carnot che funzioni da frigoC
rifero, ovvero che prelevi un calore Q C
2 da una sorgente a temperatura T 2 , assorba un lavoro L , in
particolare tutto il lavoro prodotto dal motore che viola il postulato di Lord Kelvin, ed infine ceda un
calore QC
1 alla sorgente a temperatura T 1 . Per il primo principio della termodinamica applicato alle
due distinte macchine abbiamo:
LK = Q K
1
K
LC = Q K
1 − Q2
e quindi, essendo
LC = L K
si può scrivere
K
Q1 = Q K
1 − Q2
ovvero
K
C
QK
2 = Q1 − Q1
dove tutte queste quantità sono positive.
Consideriamo ora le due macchine come un tutt’uno. Questa macchina complessiva preleva un
calore QK
2 dalla sorgente fredda a temperatura T 2 e lo trasferisce integralmente alla sorgente calda,
ovvero viola il postulato di Clausius. Si è quindi dimostrato che se si suppone falso il postulato di
Lord Kelvin ne consegue che è falso anche quello di Clausius.
Procediamo ora con la dimostrazione inversa.
13.7. IL SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA.
335
T1
C
Q1 -Q1
K
C+K
Q2
C
T2
Figura 13.19: Macchina unione di un motore che nega il postulato di Kelvin e di una macchina termica
di Carnot che lavora da frigorifero.
T1
Q1 C
L
Q1Cl
C
C
Cl
Q2C = Q2Cl
T2
Figura 13.20: Macchina termica complessa costituita da un frigorifero che viola l’enunciato di Clausius
ed una macchina di Carnot.
Supponiamo cioè che sia falso il postulato di Clausius e che quindi sia possibile realizzare una
macchina termica ciclica il cui unico risultato sia quello di prelevare calore da una sorgente fredda e
trasferirlo integralmente in una sorgente calda.
Tale macchina lavora tra le due sorgenti termiche a temperature T 1 e T2 , prelevando un calore QCl
2
dalla sorgente fredda e cedendo un calore Q Cl
1 alla sorgente calda.
A questa macchina che viola il postulato di Clausius accoppiamo un motore di Carnot che lavori
C
tra le stesse temperature, prelevando un calore Q C
1 dalla sorgente calda, scartando un calore Q 2 verso
C
la sorgente fredda e producendo un lavoro L . Qualunque siano le due macchine è sempre possibile
considerare un numero di cicli tali che il calore Q Cl
2 prelevato dalla macchina che viola il postulato di
Clausius sia uguale al calore QC
che
il
motore
di
Carnot cede alla sorgente fredda.
2
In queste condizioni il primo principio della termodinamica, applicato alle due distinte macchine,
porta ad affermare che
QCl
= QC
2
2
QCl
= QCl
2
1
LC
C
= QC
1 − Q2
ovvero anche
Cl
LC = Q C
1 − Q1
Ancora una possiamo considerare le due macchine come una sola macchina la quale preleva dalla
336
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
T1
C
Q1 -Q1
Cl
C+Cl
L
C
T2
Figura 13.21: Macchina unione di un frigorifero che nega il postulato di Clausius e di una macchina
termica di Carnot che lavora da motore.
Cl
C
sorgente posta a temperatura T1 un calore QC
1 − Q1 e lo trasforma integralmente in lavoro L . La
seconda sorgente in questo caso è del tutto inessenziale poichè non è altro che un punto di passaggio
del calore che, in un periodo, assorbe un calore ma che cede tutto questo calore in una fase successiva
del ciclo. Si può quindi eliminare del tutto la sorgente termica a temperatura T 2 e la macchina cui
siamo pervenuti viola il postulato di Lord Kelvin.
Prima di concludere questo paragrafo vogliamo dire qualcosa riguardo il legame tra primo e secondo
principio della termodinamica.
Il primo principio afferma, sostanzialmente, l’impossibilità di realizzare una macchina che produca
lavoro senza che gli venga fornito calore: l’energia non si crea nè si distrugge. Viene talvolta detto che
il primo principio della termodinamica nega il moto perpetuo di prima specie.
In base al primo principio, si può però immaginare di realizzare un motore che sviluppi il moto
perpetuo di seconda specie, ovvero che fornisca lavoro una volta che gli venga fornito un calore. Ad
esempio potremmo pensare di costruire una macchina che, prelevando calore dall’acqua del mare o
dall’aria atmosferica, fornisca del lavoro. L’impossibilità di una tale realizzazione, e quindi del moto
perpetuo di seconda specie, è proprio il contenuto del secondo principio della termodinamica: occorre
sempre avere a disposizione una seconda sorgente termica in cui riversare il calore di scarto della
macchina termica.
Si può dire qualcosa di più; l’energia termica prodotta ad un determinato livello termico, cioè
ad una determinata temperatura, viene in parte trasformata in lavoro ed in parte degradata in altra
energia termica ma ad un livello termico più basso. A sua volta il lavoro, utilizzato in varie maniere,
viene a degradarsi anch’esso in calore a bassa gradazione termica. Possiamo quindi asserire che il
secondo principio della termodinamica fornisce una indicazione sull’evoluzione temporale del grado
termico dell’energia: questo deve sempre diminuire col passare del tempo. Vedremo successivamente
che un risultato analogo, ma ottenuto con maggiore rigore formale, costituisce appunto un altro modo
col quale si può enunciare il secondo principio della termodinamica.
13.8
Il teorema di Carnot.
Avendo visto quali caratteristiche deve avere in generale una macchina termica ideale possiamo iniziare
ad interessarci delle macchine termiche reali.
La prima cosa da dire è che tali macchine sono non reversibili poichè seguono cicli non reversibili.
Ciò è facile da capire se si pensa a quali approssimazioni siamo dovuto ricorrere per definire le trasformazioni reversibili, tali cioè da seguire sempre stati perfettamente definibili. In un motore reale, con
trasformazioni abbastanza veloci, tutte le nostre condizioni sulle trasformazioni quasi-statiche vengono
a saltare e quindi si deduce l’irreversabilità dei cicli, ovvero delle macchine, reali.
Ci si può porre ora il problema di quanto costa, in termini di rendimento del motore, questa
337
13.8. IL TEOREMA DI CARNOT.
T1
Q1 C
L
Q1Cl
C
C
Cl
Q2C = Q2Cl
T2
Figura 13.22: Macchina termica composta da una macchina generica, che lavora da motore, ed una
macchina reversibile, che lavora da frigorifero.
irreversibilità. A tale domanda risponde il teorema di Carnot detto anche teorema del rendimento
delle macchine termiche. Secondo questo teorema risulta che:
Una macchina termica ciclica generica ha sempre un rendimento minore od al massimo uguale a
quello di una macchina termica ciclica reversibile che lavori tra le stesse temperature. Se la macchina
generica è anche essa reversibile vale il segno di uguaglianza.
Tale teorema è una diretta conseguenza del secondo principio. Se lo si nega, infatti, risulta violato
il postulato di Clausius.
Per vedere ciò assumiamo di avere due sorgenti termiche a temperature T 1 e T2 rispettivamente,
con T1 maggiore di T2 , e due macchine termiche cicliche, una macchina sia generica G e l’altra sia una
macchina reversibile R; le due macchine lavorino tra le due stesse sorgenti termiche.
Facciamo lavorare la macchina reversibile R come frigorifero. Essa assorbirà un lavoro L R ed una
R
quantità di calore QR
2 dalla sorgente fredda alla temperatura T 2 , cedendo un calore Q1 alla sorgente
calda a temperatura T1 . La macchina generica G, invece, lavorerà nel solo modo per essa, in generale,
possibile: da motore. Indichiamo allora con Q G
1 il calore assorbito dalla sorgente calda a temperatura
T1 , con QG
il
calore
ceduto
alla
sorgente
fredda
a temperatura T 2 ed infine indichiamo con LG il lavoro
2
che essa produce.
Facciamo ora lavorare le due macchine insieme, in maniera coordinata, in modo che risulti:
LR = L G
Supponiamo ora che il teorema di Carnot non sia vero.
Detto ηR il rendimento della macchina reversibile R ed η G il rendimento della macchina generica
G, la negazione del teorema di Carnot implica che sia:
ηG > η R
ovvero anche:
LG
LR
>
QG
QR
1
1
Ricordando ora l’uguaglianza tra i due lavori otteniamo:
R
QG
1 < Q1
D’altra parte i due lavori sono scrivibili anche come:
G
LG = Q G
1 − Q2
R
LR = Q R
1 − Q2
338
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
T1
R
G
Q1 -Q1
R+G
R
G
Q2 -Q2
T2
Figura 13.23: Macchina complessa creata dall’unione di una macchina generica, che lavora da motore,
ed una macchina reversibile che lavora da frigorifero.
per cui la loro uguaglianza porta a scrivere
G
R
R
QG
1 − Q2 = Q1 − Q2
ovvero anche
R
G
R
QG
2 = Q 2 + Q1 − Q 1
Per la diseguaglianza precedentemente determinata otteniamo quindi:
R
QG
2 < Q2
In definitiva siamo giunti alla conclusione che:
G > 0
QR
2 − Q2
G > 0
QR
1 − Q1
Osserviamo ora che la macchina G + R, costituita dall’insieme della macchina generica funzionante
da motore e dalla macchina reversibile funzionante da frigorifero, lavora tra le due sorgenti termiche
ed assorbe dalla sorgente fredda un calore:
G
QR
2 − Q2 > 0
e cede alla sorgente calda un calore
G
QR
1 − Q1 > 0
Ne consegue che questa macchina viola il postulato di Clausius.
In altre parole, l’aver ipotizzato non vero il teorema di Carnot rende non vero il II principio della
termodinamica.
L’assurdo cosı̀ ottenuto dimostra che, essendo vero il secondo principio della termodinamica, deve
essere vero anche il primo asserto del teorema del rendimento. Deve quindi essere
ηG ≤ η R
Per quel che riguarda la seconda parte dell’enunciato possiamo ripetere il discorso fatto precedentemente. Stavolta, però, facciamo lavorare la macchina reversibile da motore mentre la macchina
generica lavorerà da frigorifero, poichè ora ciò è possibile essendo anch’essa una macchina reversibile.
Il risultato cui perverremo non potrà essere altro che quello precedentemente ottenuto, con la
semplice inversione dei ruoli tra macchina R e macchina G e quindi dovrà essere
ηG ≥ η R
339
13.9. MOTORI REALI.
Poichè in quest’ultimo caso devono essere vere entrambe le diseguaglianze dovranno risultare uguali
i due rendimenti e quindi è dimostrata anche la seconda parte del teorema del rendimento.
Col teorema che abbiamo appena dimostrato, oltre ad ottenere informazioni sull’effetto dell’irreversibilità, ricaviamo anche che tutte le macchine termiche reversibili, agli effetti del rendimento, sono
equivalenti. In particolare ne consegue che il rendimento della macchina di Carnot
η =1−
T2
T1
è valido non solo per la macchina di Carnot, cosı̀ come la abbiamo definita, ma per qualunque macchina
che segue lo stesso ciclo. In particolare se consideriamo una macchina costituita da un gas reale,
che segue un ciclo formato da due adiabatiche e da due isoterme, otteniamo la stessa formula del
rendimento.
Analogamente qualunque altra macchina reversibile che lavori tra le due temperature T 1 e T2 avrà
lo stesso rendimento.
13.9
Motori reali.
In questo paragrafo vogliamo presentare, schematicamente, alcuni dei motori termici che maggiormente
hanno avuto, od hanno tuttora, un elevato interesse pratico.
Una prima distinzione che si può fare tra i diversi tipi di motori è costituita dalla localizzazione
della produzione del calore. Infatti in generale un motore è costituito da una camera a volume
variabile all’interno della quale un gas compie il ciclo termodinamico. La fornitura di calore avviene,
generalmente, per mezzo della combustione di un combustibile. Può ora accadere che la combustione
avvenga all’esterno del recipiente , nel qual caso parleremo di motori a combustione esterna, oppure
all’interno del recipiente stesso, nel qual caso parleremo di motori a combustione interna.
Nel seguito descriveremo alcuni tipi di motori, iniziando col trattare quelli a combustione esterna
per poi passare a quelli a combustione interna. In tutti i casi tratteremo le versioni idealizzate dei
motori, ovvero quelli che seguono un ciclo ideale, costituito da trasformazioni reversibili. Per tale
motivo i motori che nel seguito studieremo saranno motori reversibili anche se, nella pratica, questi
motori non sono per nulla reversibili. Dal teorema sul rendimento dei motori termici possiamo subito
dire che, quindi, i motori reali avranno un rendimento inferiore a quello che noi calcoleremo per gli
equivalenti motori ideali.
13.9.1
Il motore Stirling
Il primo motore che mai sia stato realizzato è il cosidetto motore Stirling. Esso fu realizzato sin dal
1816 ma presentava molti problemi tecnologici di difficile soluzione, almeno per quei tempi, e quindi
venne ben presto soppiantato da altri tipi di motori, di maggiore efficienza e praticità. Recentemente,
però, esso è rientrato nell’interesse poichè è particolarmente adatto ad essere utilizzato con fonti di
calore alternative, quali ad esempio l’energia solare.
Analizziamo quindi il caso idealizzato, cioè il motore che segue il ciclo Stirling ideale. Per poter
realizzare questo motore consideriamo due cilindri le cui pareti laterali siano adiabatiche ed i cui pistoni
siano invece diatermici. I fondi dei due cilindri siano aperti e comunicanti tra di loro per mezzo di un
condotto. All’interno di tale condotto sia posto un ”rigeneratore”, ovvero un dispositivo in grado di
trasmettere la materia ma non il calore.
I due cilindri sono collegati a due sorgenti termiche, una calda a temperatura T 1 e l’altra fredda
con una temperatura T2 . I due cilindri sono quindi semplicemente indicabili con la dizione cilindro
caldo e ”cilindro freddo.
Durante una prima fase supponiamo che il gas sia completamente contenuto nel cilindro freddo.
Mantenendo bloccato il pistone del cilindro caldo riduciamo il volume a disposizione del gas nel cilindro
freddo. In tal modo otteniamo una compressione isoterma che dallo stato A porta allo stato B, tutti
a temperatura T2 .
340
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
P
Stato A
Stato B
Rigeneratore
Rigeneratore
T1
B
A
T2
T1
T2
T1
T2
V
Figura 13.24: Il motore Stirling: La compressione isoterma.
P
Stato B
Stato C
Rigeneratore
Rigeneratore
C
T1
B
T2
T1
T2
T1
T2
V
Figura 13.25: Il motore Stirling: Aumento della temperatura in una isocora
Successivamente sblocchiamo il pistone del cilindro caldo e continuiamo a ridurre il volume nel
cilindro freddo aumentandolo però di una uguale quantità nell’altro cilindro: il gas si trasferisce
quindi dal cilindro freddo a quello caldo. In tal modo abbiamo una trasformazione isocora che porta
dallo stato B, con temperatura T2 , allo stato C, con temperatura T1 .
Successivamente viene bloccato il pistone del cilindro freddo e si continua a far espandere il gas nel
cilindro caldo realizzando cosı̀ una espansione isoterma che dallo stato C porta allo stato D, entrambi
a temperatura T1 .
Come ultimo stadio si comprime il gas nel cilindro caldo ma gli si crea un ugual volume a disposizione nel cilindro freddo in modo che il gas passi da un cilindro all’altro tramite il condotto. In questo
modo si realizza una trasformazione isocora che dallo stato D, a temperatura T 1 , riporta il gas allo
stato A, a temperatura T2 .
Il ciclo che cosı̀ viene a realizzarsi è costituito da due isocore e da due isoterme.
P
Stato C
Stato D
Rigeneratore
Rigeneratore
C
D
T1
T2
T1
T2
T1
V
Figura 13.26: Il motore Stirling: L’espansione isoterma.
T2
341
13.9. MOTORI REALI.
P
Stato D
Stato A
Rigeneratore
Rigeneratore
D
T1
A
T2
T1
T2
T1
T2
V
Figura 13.27: Il motore Stirling: Raffreddamento del gas con una isocora.
P
C
D
T1
B
A
T2
V
Figura 13.28: Il ciclo Stirling ideale.
342
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
P
v
Figura 13.29: Ciclo di Carnot per un fluido bifasico.
Per determinare il rendimento di questo motore non occorre fare alcun calcolo: basta applicare il
teorema del rendimento e ricordare che il motore di Stirling ideale è un motore reversibile che lavora tra
le due temperature T1 e T2 ; esso ha, pertanto, lo stesso rendimento di qualunque macchina reversibile
che lavori tra le stesse temperature, add esempio il motore di Carnot. In definitiva possiamo dire che
il rendimento del motore Stirling è:
T2
η =1−
T1
13.9.2
I motore multifasici
Sinora abbiamo visto due diversi motori, che seguono cicli teorici compiuti da un gas. E’ ovvio, però,
che non necessariamente il fluido interessato al ciclo debba essere un gas. Possiamo anche immaginare
di far compiere il ciclo ad un liquido od addirittura ad una miscela composta da un liquido e dal suo
vapore, ovvero dal gas vicino al punto di liquefazione. Una miscela di questo tipo viene detta fluido
bifasico mentre un liquido da solo oppure un gas da solo costituiscono un fluido monofasico.
In questa situazione il ciclo assume una forma che può apparire poco usuale; si deve tener infatti
conto che per un liquido o per un fluido bifasico una isoterma è anche una isobara e ciò può cambiare
aspetto al ciclo.
Consideriamo ad esempio un fluido bifasico che segue un ciclo di Carnot. In tal caso l’aspetto del
ciclo è quello assunto nella Fig. 13.29, ovvero appare costituito da due adiabatiche e da due isobare.
Il ciclo di cui qui stiamo parlando può essere anche eseguito da un gas nel qual caso prende il nome
di ciclo Brayton.
In questo caso specifico, per un gas perfetto, il rendimento viene a dipendere dal rapporto tra le
pressioni estreme e dalla compressibilità.
Facciamo eseguire un ciclo costituito da due adiabatiche e da due isobare ad un fluido monofasico
e bifasico, ovverossia alcun parti del ciclo sono compiute dal fluido monofasico mentre altre sono
compiute dal fluido bifasico. In tal caso il ciclo assume una forma piuttosto complessa e prende
il nome di ciclo Rankine. Esso è il ciclo normalmente eseguito dalla macchina a vapore, una delle
macchine termiche più importanti tra quelle mai pensate e realizzate.
Nella Fig. 13.30 è rappresentato, con una linea spessa, il ciclo e, con una linea tratteggiata, la
zona all’interno della quale si ha la miscela liquido+vapore. A destra di tale zona si ha vapore mentre
a sinistra si ha liquido.
Nel ciclo Rankine un liquido, normalmente costituito dall’acqua, subisce, in caldaia, una prima
compressione adiabatica (trasformazione 1-2) per poi essere riscaldata, sempre in caldaia (trasformazione 2-3). Durante questa questa trasformazione il fluido è sempre allo stato liquido.
Nello stato 3 il liquido inizia a vaporizzare e pertanto la successiva fase di riscaldamento in caldaia
porta il fluido a vaporizzare completamente sino a raggiungere lo stato 4. La trasformazione 3-4 è
343
13.9. MOTORI REALI.
P
2
1
5
3
4
6
v
Figura 13.30: Ciclo ideale di una macchina a vapore: il ciclo Rankine
ancora una trasformazione isobara. Il vapore che si è formato viene ancora surriscaldato, sempre a
pressione costante, sino a raggiungere lo stato 5.
Il vapore surriscaldato viene ora fatto entrare nel cilindro e qui si espande adiabaticamente (trasformazione 5-6) da vapore surriscaldato sino a vapore umido. Terminata l’espansione il vapore umido
viene trasferito in un condensatore ove diviene dapprima acqua satura e poi ritorna allo stato di
partenza (trasformazione 6-1). Anche questa trasformazione è a pressione costante.
Come si può vedere dal disegno, il ciclo Rankine non è altro che un ciclo Brayton, compiuto stavolta
da un fluido monofasico e bifasico.
Per l’analisi del rendimento dellaa macchina a vapore occorre far rifermento ai calori scambiati
durante le vaporizzazioni e le condensazioni. Tale computo è piuttosto complesso poichè non abbiamo
più a che fare con un gas perfetto ma piuttosto con un vapore umido. Per meglio risolvere i problemi
connessi al vapore umido si fa riferimento ad un particolare grafico, detto grafico di Mollier, la cui
struttura è molto complessa e quindi qui non verrà trattata.
Nelle due macchine trattate sinora in questo paragrafo la fornitura di calore avviene per mezzo
della combustione di un materiale organico. Tale combustione avviene all’esterno del cilindro nel quale
il fluido va ad espandersi.
Nel seguito del paragrafo tratteremo, invece, le due principali macchine a combustione interna:
il motore che segue il ciclo Otto, nel quale la reazione chimica che produce il calore è costituita
dall’esplosione di un combustibile ad elevatore potere esplodente, ad esempio la benzina miscelata ad
aria, ed il motore che segue il ciclo Diesel, nel quale si adoperano invece dei combustibili a minor
potere esplodente.
13.9.3
Il motore Otto
Iniziamo col trattare il motore Otto, detto anche motore a benzina.
Il ciclo Otto ideale è costituito da sei distinte trasformazioni e cioè:
1. Fase di espansione: Una miscela di combustibile e aria entra nel cilindro, provenendo dall’esterno. La trasformazione è una isobara, alla pressione dell’ambiente esterno.
2. Fase di compressione: La miscela viene compressa con una rapida diminuzione del volume a
disposizione. Data la rapidità dell’espansione si può ritenere che la trasformazione sia adiabatica.
3. Fase di scoppio: Una scintilla provoca l’accensione della miscela con aumento della sua temperatura e della pressione. Durante questa fase il pistone è fermo (punto morto superiore) e quindi
la trasformazione è una isocora.
4. Fase di potenza: I prodotti della combustione si espandono rapidamente.
considera che la trasformazione sia adiabatica.
Anche qui si
344
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
P
C
3
4
B
D
2
5
6
O
A
1
V1
V
V2
Figura 13.31: Il ciclo Otto ideale.
5. Fase di espulsione dalla valvola: Si apre una valvola ed i gas di scarico fuoriescono dal
cilindro sinchè la pressione interna e quella dell’ambiente esterno non si eguagliano. Durante
questa fase il pistone è fermo (punto morto inferiore). La trasformazione è una isocora.
6. Fase di espulsione: Il pistone, riducendo il volume del cilindro espelle i gas di scarico attraverso
la valvola precedentemente aperta. La trasformazione è una isobara, alla pressione esterna
Il ciclo qui descritto è accompagnato, in realtà, da una serie di attriti, accelerazioni e perdite di
calore che rendono impossibile una trattazione matematica esatta. Pur tuttavia, se si trascurano tali
effetti, si ottiene una notevole semplificazione. In questo caso, data la bassa percentuale di combustibile
presente nella miscela, è conveniente trattare il ciclo come compiuto dalla sola aria, considerata come
un gas perfetto.
Nella Fig. 13.31, dove è rappresentato il ciclo Otto ideale, sono indicate le sei fasi. Le trasformazioni
AB e CD sono delle adiabatiche, le BC e DA sono delle isocore mentre le OA ed AO sono delle isobare.
Poichè queste due ultime trasformazioni non sono altro che la stessa, percorsa una volta in un senso e
l’altra nel senso opposto le quantità termodinamiche ad esse relative possono essere non considerate.
Il rendimento, per la sua definizione, è dato da:
η =1−
Q2
Q1
dove il calore Q2 è il calore ceduto all’esterno durante l’isocora DA mentre il calore Q 1 è il calore
assorbito durante la isocora BC. Abbiamo quindi:
Q1 = n cv (TC − TB )
Q2 = n cv (TD − TA )
e quindi il loro rapporto è:
Q2
n cv (TD − TA )
=
Q1
n cv (TC − TB )
ovvero
Q2
(TD − TA )
=
Q1
(TC − TB )
Applichiamo ora l’equazione di stato dei gas perfetti ai quattro stati estremi delle singole trasformazioni:
PD V2 = n R T D
PA V2
= n R TA
PC V1
= n R TC
PB V1
= n R TB
345
13.9. MOTORI REALI.
Sottraendo membro a membro otteniamo:
(PD − PA ) V2 = n R (TD − TA )
(PC − PB ) V1 = n R (TC − TB )
Dividendo membro a membro otteniamo:
(PD − PA ) V2
n R (TD − TA )
(TD − TA )
=
=
(PC − PB ) V1
n R (TC − TB )
(TC − TB )
D’altra parte i punti D e C appartengono alla stessa adiabatica mentre A e B appartengono ad
un’altra adiabatica. Ne consegue che:
PD V2γ
= PC V1γ
PA V2γ
= PB V1γ
e quindi
(PD − PA ) V2γ = (PC − PB ) V1γ
per cui
(TD − TA )
(PD − PA ) V2
V1γ V2
=
= γ
=
(TC − TB )
(PC − PB ) V1
V2 V1
V1
V2
γ−1
In definitiva il rendimento del ciclo Otto ideale è:
η =1−
V1
V2
γ−1
= 1 − r 1−γ
ove con r abbiamo indicato il rapporto di compressione:
r=
V1
V2
Questo rendimento teorico può apparire molto elevato ma occorre ricordare che i combustibili
sfruttabili con questo tipo di motore hanno il difetto di esplodere per semplice compressione. Poichè
tale esplosione non risulta controllabile essa va evitata e quindi non è possibile utilizzare elevati rapporti
di compressione; con ciò il rendimento del ciclo Otto ideale risulta, nella pratica, non molto elevato.
Ad esempio per l’aria (γ = 1.4) e per un rapporto di compressione pari a 9, si ha un rendimento
teorico pari al 58%.
Tenendo poi presente le perdite di efficienza che si hanno nella realizzazione pratica, a causa della
irreversibilità e dei vari attriti, il rendimento reale scende circa al 25%
13.9.4
Il motore Diesel
Un altro motore molto adoperato è il motore Diesel. Il ciclo Diesel ideale ha una forma molto simile a
quella del ciclo Otto ideale, con la sola modifica relativa alla trasformazione BC. Tale trasformazione,
per un ciclo Otto, è costituita da una isocora poichè rappresenta il rapido scoppio della miscela, durante
il quale si può supporre che il pistone non cambi apprezzabilmente di posizione. Nel caso del Diesel,
invece, la trasformazione è isocora poichè la combustione è più lenta ed avviene per autoignizione a
seguito della compressione subita dal fluido.
Il rendimento del ciclo Diesel ideale ha una forma abbastanza complessa poichè dipende non solo
dal rapporto di compressione ma anche dal rapporto di espansione che il fluido subisce durante la
combustione. Senza qui riportare la dimostrazione indichiamo il rendimento di un motore Diesel
ideale come
η == 1 − k r 1−γ
346
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
P
3
B
C
2
4
D
5
6
O
A
1
V1
V2
V
Figura 13.32: Il ciclo Diesel ideale
dove k è un numero maggiore di 1 re dipende anche dal volume V C .
Se allora confrontiamo due motori, uno Otto ed uno Diesel, che hanno lo stesso rapporto di
compresisone vediamo che il motore Diesel è meno efficiente di quello Otto.
Il vantaggio principale del ciclo Diesel è però legato al tipo di alimentazione del combustibile
adoperato. In questo caso, infatti, il fluido che viene compresso è la sola aria. Il combustibile viene
invece iniettato dopo la compressione e ciò permette di raggiungere rapporti di compressione molto
più elevati di quanto non si riesca a fare con i motori Otto. Accade quindi che, nella pratica, i motori
Diesel hanno un rendimento che è superiore a quello dei motori Otto.
Anche nel caso del ciclo Diesel occorre notare che i rendimenti reali sono circa la metà di quelli
che si ottengono dai cicli ideali.
13.10
I potenziali termodinamici.
La termodinamica ha molte applicazioni. Una delle più interessanti riguarda la chimica. Le reazioni
chimiche soddisfano le leggi della termodinamica e quindi possono essere studiate per mezzo di queste;
si può determinare se esse sono spontanee o meno, se sono endotermiche od esotermiche (ovvero se
assorbono o producono calore) e cosı̀ via. A tale scopo vanno utilizzate le funzioni di stato dette
anche potenziali termodinamici, che hanno il vantaggio di non interessarsi del modo specifico in cui la
trasformazione (ovvero la reazione chimica) ha luogo ma solo dei prodotti (e dei loro stati) iniziali e
finali. Sinora di questi potenziali termodinamici ne abbiamo visto solo uno, cioè l’energia interna U .
Se ne possono però definire altri, con semplici combinazioni delle varie funzioni di stato p, V , T ed U .
Di questi, però, solo alcuni sono interessanti e solo di questi, pertanto, ci interesseremo.
Abbiamo già visto precedentemente che per una trasformazione isocora la variazione di energia
interna dU rappresenta il calore assorbito dal sistema e cioè:
dU = (dQ)V =cost = n cv dT
Le reazioni chimiche, però, si svolgono generalmente non a volume costante ma a pressione costante,
quella atmosferica. L’energia interna, pertanto, non risulta un potenziale termodinamico adatto allo
studio di tali processi.
Occorre definire, quindi, un nuovo potenziale che goda della caratteristica di rappresentare il calore
assorbito in una trasformazione isobara.
13.10.1
L’entalpia
Consideriamo pertanto la funzione
H =U +p V
che è una funzione di stato, poichè tali sono l’energia interna U , il volume V e la pressione p. Questa
funzione è detta entalpia.
347
13.10. I POTENZIALI TERMODINAMICI.
Per una trasformazione a pressione costante risulta:
dH = dU + p dV
che, per il primo principio della termodinamica è anche
dH = (dQ)p=cost = n cp dT
Risulta pertanto che l’entalpia rappresenta il calore assorbito dal sistema durante una trasformazione a pressione costante, ovvero proprio il potenziale termodinamico cercato.
Abbiamo quindi che se la variazione di entalpia è positiva il sistema ha acquisito calore dall’esterno
e la reazione è detta endotermica mentre se la variazione di entalpia è negativa è il sistema che cede
calore all’esterno e la reazione è detta esotermica.
Per vedere un’applicazione dell’entalpia consideriamo una reazione chimica difficile da realizzarsi
quantitativamente, ad esempio:
1
C (grafite) + O2 (gas) = CO (gas)
2
Tale reazione è difficile da realizzare poichè in generale la grafite, bruciando in presenza di ossigeno,
tende a formare l’anidride carbonica e non il monossido di carbonio, che si forma solo in piccole quantità
e se la combustione non è molto buona. E’ comunque impossibile bruciare il carbonio ottenendo solo
monossido di carbonio. D’altra parte è importante determinare quanto calore viene prodotto nella
produzione di monossido di carbonio perchè, ad esempio, fornisce una indicazione sulla efficienza di
combustione nei bruciatori.
Per poter ottenere il valore del calore richiesto è allora possibile realizzare sperimentalmente la
reazione:
C (grafite) + O2 (gas) = CO2 (gas)
e misurare la quantità di calore prodotto. Si verifica che la variazione di entalpia è di
H3 − H1 = −94.05 kcal/mole
Un’altra reazione che può facilmente eseguirsi è:
1
CO (gas) + O2 (gas) = CO2 (gas)
2
per la quale si osserva un calore prodotto di 67.63 kcal/mole, ossia una variazione di entalpia pari a
H3 − H2 = −67.63 kcal/mole
Poichè l’entalpia è una funzione di stato e come tale non dipende dalla particolare trasformazione
seguita si può pensare che la produzione di anidride carbonica per combustione della grafite in presenza
di ossigeno avvenga per passi; dapprima la grafite e l’ossigeno formano il monossido di carbonio e poi
questo, combinandosi ancora con l’ossigeno, formi l’anidride carbonica; in formula
C (grafite) + O2 (gas) = CO (gas) + 12 O2 (gas) = CO2 (gas)
stato 1
stato 2
stato 3
Detta ora H1 l’entalpia dei reagenti, H2 l’entalpia dei prodotti del primo pezzo della reazione ed
infine H3 l’entalpia del prodotto finale della reazione completa, risulta:
H2 − H1 = (H3 − H1 ) − (H3 − H2 ) = −94.05 + 67.63 = −26.42 kcal/mole
Una tecnica analoga può essere seguita per calcolare le variazioni di entalpia relativamente a
processi chimici che in realtà non avvengono ma che comunque possono essere pensati come somma o
sottrazione di reazioni chimiche effettivamente realizzabili.
348
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
Normalmente sui testi si ritrovano due diverse variazioni di entalpia e cioè la variazione di entalpia
standard definita come la variazione di entalpia di un sistema in cui i reagenti, nel loro stato standard,
sono convertiti nei prodotti, anch’essi nol loro stato standard. Per stato standard si intende la forma
stabile del composto alla pressione di 1 atm ed alla temperatura di 298 K. Un’altra forma utilizzata
è la variazione di entalpia di formazione dei composti, definita come la variazione di entalpia del
sistema durante la reazione in cui un composto puro viene prodotto a partire dai suoi elementi, tutti
considerati nel loro stato standard.
Il fatto che la variazione di entalpia, durante trasformazioni a pressione costante, coincide con la
quantità di calore sviluppata nella reazione porta spesso, nell’ambiente ingegneristico, ad adoperare
una terminologia concisa ma in linea di principio scorretta, secondo la quale l’entalpia è il calore
posseduto dal corpo.
13.10.2
L’entropia
Consideriamo ora un’altra funzione di stato, cioè l’entropia. Nello studio del ciclo di Carnot abbiamo
visto che per una trasformazione ciclica reversibile costituita da due adiabatiche e due isoterme (il
ciclo di Carnot) il rapporto tra i calori scambiati è pari al rapporto tra le temperature a cui vengono
scambiati questi calori:
T2
Q2
=
Q1
T1
che può anche scriversi come
Q1
Q2
=
T1
T2
Ricordiamo ora che durante la trattazione dei motori abbiamo adoperato una convenzione, sui
segni del calore, diversa da quella iniziale. A causa di questa modifica il calore ceduto alla sorgente
fredda Q2 ha assunto un valore positivo pur essendo un calore ceduto. Ritorniamo di nuovo alla
convenzione originaria e quindi reintroduciamo il segno negativo nel calore Q 2 . La formula di prima
diviene:
Q1
Q2
=−
T1
T2
ovvero anche
Q1 Q2
+
=0
T1
T2
che può leggersi affermando che in un qualunque ciclo di Carnot la somma dei calori scambiati divisi
per le temperature a cui essi vengono scambiati è nulla.
Prendiamo ora in consideriazione un qualsiasi ciclo reversibile. Esso può essere sempre considerato
come la somma di infiniti cicli di Carnot infinitesimi, cosı̀ come una superfice qualsiasi può sempre
essere considerata come la somma di infiniti quadrati infinitesimi.
A seguito di questa suddivisione di un generico ciclo di reversibile in tanti cicli di Carnot risulta
che la somma dei calori scambiati durante il ciclo generico, divisi per le temperature a cui questi
calori vengono scambiati, è pari alla somma degli equivalenti termini relativi ad ognuno dei singoli
cicli infinitesimi di Carnot. Ognuno di questi termini è però, per quanto appena dimostrato, nullo e
consegue quindi che la somma dei calori scambiati durante un qualunque ciclo reversibile, divisi per
le temperature a cui questi calori sono scambiati, è nulla:
Z
δQrev
=0
T
Abbiamo già visto, sia nella definizione dell’energia potenziale che in quella dell’energia interna, che
se durante una qualunque trasformazione ciclica una determinata quantità è sempre nulla, consegue
che durante una trasformazione aperta la suddetta quantità non dipende dalla particolare trasformazione ma solo dagli estremi, iniziale e finale, della trasformazione stessa; in altre parole la quantità
349
13.10. I POTENZIALI TERMODINAMICI.
P
V
Figura 13.33: Un ciclo reversibile generico è la somma di infiniti cicli di Carnot infinitesimi.
in questione è una funzione di stato. Possiamo pertanto definire una nuova funzione di stato, che
chiameremo entropia, definita da:
δQrev
dS =
T
ove l’indice rev indica appunto che la definizione è relativa ai soli calori reversibili.
Passiamo ora alle trasformazioni irreversibili; per quanto enunciato nel teorema sul rendimento
abbiamo che:
ηgen ≤ ηrev
ovvero, adoperando come motore reversibile quello di Carnot,
1−
che può anche scriversi come
Q2
T2
≤1−
Q1
T1
Q2
T2
≥
Q1
T1
od anche
Q2
Q1
≥
T2
T1
Ricordando ancora una volta il problema sul segno del calore Q 2 otteniamo:
0≥
Q1 Q2
+
T1
T2
In definitiva abbiamo che per una qualsiasi trasformazione ciclica è:
0≥
Z
δQ
T
ove il segno di uguaglianza vale se e solo se la trasformazione è reversibile.
Ricordando la relazione ottenuta per le trasformazioni reversibili si ha quindi:
Z
δQrev
≥
T
Z
δQ
T
Avendo ora dimostrato l’esistenza della funzione di stato entropia, ed indicando con S 6f in l’entropia
finale e con Sini l’entropia iniziale, otteniamo:
S6f in − Sini ≥
Z
δQ
T
350
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
Consideriamo ora un sistema completamente isolato rispetto al mondo esterno; in tal caso non si
ha scambio di calore e quindi:
S6f in − Sini ≥ 0
In conclusione siamo giunti ad affermare che:
per un sistema isolato l’entropia totale non può mai diminuire durante alcuna trasformazione. Al
massimo essa può rimanere invariata se la trasformazione è reversibile.
Questa affermazione costituisce un modo alternativo di enunciare il secondo principio della termodinamica. Il contenuto di questo enunciato esprime una proprietà molto importante. Per comprendere
quale sia questa proprietà facciamo un passo indietro e riguardiamo tutta la fisica sinora studiata. In
tutte le affermazione, per tutte le leggi che sinora abbiamo definito, il tempo è una struttura astratta
la cui direzione non ha importanza, il segno del tempo è puramente arbitrario e, ad esempio, il moto
di un corpo può essere studiato sia per valori negativi che per valori positivi del tempo. Ancor di più,
nulla di quanto sinora detto cambia se si inverte la direzione dell’asse temporale, ovvero se si inverte
il passato con il futuro.
Con l’enunciato del secondo principio della termodinamica appena mostrato, al contrario, la direzione dell’asse temporale assume, per la prima volta, un significato assoluto: allo scorrere del
tempo l’entropia di un sistema isolato deve aumentare. Se invertissimo l’asse dei tempi l’entropia
diminuirebbe e quindi cambierebbe una legge fisica.
Con l’ultimo enunciato del secondo principio della termodinamica, basato sull’entropia, siamo
giunti ad una definizione dell’evoluzione spontanea. Siamo quindi in grado di determinare le condizioni
generali della stabilità dei sistemi.
Nei capitoli precedenti abbiamo più volte citato un principio generale secondo il quale i sistemi
tendono a disporsi negli stati cui corrisponde un valore minimo o massimo dell’energia. Questo principio non è mai stato dimostrato poichè la dimostrazione, in meccanica, risulta molto complessa dal
punto di vista matematico. La dimostrazione, valida in generale e non soltanto per la meccanica, può
ora essere ottenuta sfruttando l’enunciato del secondo principio della termodinamica cui siamo appena
pervenuti.
Consideriamo infatti un sistema il quale si trovi in uno stato cui corrisponde un determinato
valore dell’entropia. Se vogliamo che questo stato sia di equilibrio ovvero che il sistema tenda a non
spostarsi da questo stato sinchè non intervengono forze esterne occorre che l’entropia degli stati vicini
sia inferiore a quella dello stato centrale. Ne consegue che la funzione entropia ha, nel punto, un valore
di massimo relativo e quindi la sua derivata è nulla.
La definizione dell’entropia, e la legge fisica ad essa associata, permette alcune altre considerazioni
molto importanti. Qui vogliamo citare in modo particolare un problema che riveste in questi tempi
una estrema importanza: la produzione e l’uso intelligente dell’energia.
Si è dimostrato che, in un sistema isolato e per una trasformazione irreversibile, l’entropia tende
sempre ad aumentare; ciò significa che una determinata quantità di energia, trasferendosi da un sistema
ad un altro, si degrada sempre più poichè diminuisce la temperatura a cui essa può essere scambiata.
Ne consegue che nei processi energetici non è importante soltanto l’aspetto quantitativo (quanta è
l’energia in gioco) ma anche l’aspetto qualitativo (l’entropia associata, ovvero la temperatura a cui
l’energia viene scambiata).
Possiamo pertanto affermare che una corretta progettazione di un impianto di produzione e/o
consumo di energia deve tenere in conto non solo la quantità di energia ma anche il suo livello entropico.
Per meglio chiarire il discorso facciamo un esempio: consideriamo l’acqua calda per usi sanitari.
Tale acqua viene utilizzata ad una temperatura di circa 300 K e, generalmente, viene prodotta per
mezzo di scaldabagni elettrici i quali consumano energia elettrica prodotta dalla combustione ad
elevata temperatura (intorno ai 1000 K) di combustibili vari (organici o nucleari). Se ora consideriamo
il processo tenendo conto solo conto degli aspetti quantitativi dell’energia non otteniamo nulla di
particolare. Il discorso diviene differente se invece facciamo riferimento all’entropia.
Per riscaldare un litro d’acqua dalla temperatura di 10 ◦ C sino a 30 ◦ C occorrono circa 20 kcal per
351
13.10. I POTENZIALI TERMODINAMICI.
cui la variazione di entropia dell’acqua calda è
∆S =
20000
= 67 cal/K
300
Per produrre le 20 kcal di energia per mezzo dell’energia elettrica si è invece utilizzata una sorgente
termica a 1000 K e quindi la variazione di entropia iniziale è
∆S =
20000
= 20 cal/K
1000
Il risultato netto della trasformazione è quindi un aumen to di entropia pari ad oltre 3 volte il
valore iniziale: la trasformazione che si è adoperata è altamente irreversibile e quindi si ha un elevato
spreco. Si usa parlare, in questo caso, di follia entropica.
13.10.3
Le energie libere
Ritorniamo ora all’enunciato del secondo principio basato sull’entropia. Tale enunciato permette di
determinare se un particolare processo si svolge oppure no. Il suo difetto, però, è di far riferimento a
sistemi isolati. Nella pratica nessun sistema è isolato e quindi non è agevole adoperare l’entropia per
determinare la direzione verso cui si svolge spontaneamente una particolare reazione. Sorge quindi la
necessità di creare un criterio di spontaneità riferito al solo sistema, non isolato. Per far ciò occorre
definire un altro potenziale termodinamico, cioè l’energia libera, nome giustificato dal fatto che esso
rappresenta l’energia liberabile durante una trasformazione.
Consideriamo quindi una funzione di stato:
F =U −T S
che chiameremo energia libera di Helmholtz, od anche semplicemente energia libera.
Per una generica trasformazione a temperatura costante si ha:
dF = dU − T dS
che, per la definizione di entropia, diviene anche
dF = dU − δQrev
D’altra parte il primo principio afferma che:
dU = δQgen − δL
e quindi abbiamo
dF = δQgen − δL − δQrev = (δQgen − δQrev ) − δL
Sfruttando il terzo enunciato del secondo principio della termodinamica otteniamo:
dF ≤ −δL
per cui, in definitiva, la variazione dell’energia libera di Helmholtz rappresenta il limite superiore per
il lavoro che il sistema è capace di compiere sull’esterno durante una trasformazione a temperatura
costante. Supponiamo ora che la trasformazione, oltre ad essere isoterma, sia anche isocora; in tal
caso il lavoro scambiato è nullo e quindi abbiamo:
dF ≤ 0
per cui possiamo dire che l’energia libera di Helmholtz, durante trasformazioni isoterme ed isocore,
deve sempre diminuire.
352
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
In altre parole possiamo dire che un sistema tende verso gli stati cui corrisponde un valore minimo
dell’energia libera.
Questa relazione fornisce un criterio di spontaneità semplice da usarsi poichè riferito al solo sistema
sotto studio. Nonostante ciò,esso non è quello che cerchiamo poichè, come abbiamo già detto, le
reazioni chimiche generalmente avvengono non a volume costante ma a pressione costante. Occorre
quindi ricercare un altro criterio, ovvero occorre definire una nuova funzione di stato. Consideriamo
pertanto il potenziale termodinamico:
G=H −T S
che indicheremo col nome di energia libera di Gibbs od anche, più semplicemente, col termine di
entalpia libera.
Sempre per una trasformazione a temperatura costante abbiamo:
dG = dH − T dS = dH − δQrev
Abbiamo precedentemente visto che, per una trasformazione a pressione costante, la variazione di
entalpia è pari alla quantità di calore scambiato ed abbiamo quindi:
dG = δQgen − δQrev
Applicando di nuovo il secondo principio della termodinamica otteniamo, in definitiva:
dG ≤ 0
ovvero
per una trasformazione isoterma ed isobara l’energia libera di Gibbs di un sistema deve sempre
diminuire.
Questo criterio di spontaneità è riferito alle trasformazioni a pressione costante ed a qualsiasi
sistema per cui è proprio quel che cercavamo.
Un altro modo per enunciare quanto indicato precedentemente è quello di affermare che un sistema
tende a disporsi in quegli stati cui corrisponde un valore massimo dell’entalpia libera.
Per vedere un esempio di applicazione dell’energia libera di Gibbs consideriamo l’ebollizione di
acqua liquida alla pressione costante di 1 atm.
Per il processo in questione la variazione di entalpia è pari a 9710 cal mentre la variazione di
entropia è 26 cal/K. Risulta quindi che la trasformazione è spontanea per
∆G = ∆H − T ∆S = 9710 − 26 T = 0
ovvero
9710
= 373 K
26
Possiamo quindi affermare che il processo è spontaneo solo per temperature dell’acqua superiori a
373 K, ovvero a 100 ◦ C.
Un’altra applicazione dell’entalpia libera può vedersi analizzando sistemi con diversi composti
chimici. In tal caso occorre tener conto anche del potenziale chimico e quindi la definizione dell’entalpia
libera è:
X
G=H −T S+
ni µi
T =
i
ove i termini µi esprimono i potenziali chimici dei diversi composti chimici ed i termini n i esprimono
i relativi numeri di mole.
Trattiamo ora un sistema costituito da un recipiente contenente un setto semiporoso. Nei due
settori che cosı̀ si ottengono poniamo una soluzione a due diverse concentrazioni.
Abbiamo visto, nel Capitolo 11, che in tal caso si ha il fenomeno dell’osmosi, ovvero che i due peli
liberi delle soluzioni nei due settori si dispongono a due diversi livelli, corrispondenti ad una differenza
di pressione che è collegata alla differenza tra le concentrazioni dei soluti. In questa occasione vogliamo
353
13.11. PROPRIETÀ DELLE VARIABILI DI STATO
pervenire ad una relazione analoga, basata sulle leggi della termodinamica. A tale scopo ricordiamo
che il sistema tenderà a disporsi in quello stato cui corrisponde un valore massimo dell’entalpia libera,
ovvero che sarà:
dG = 0
Le trasformazioni che subisce il sistema saranno isoterme ed adiabatiche e pertanto sarà nulla
la variazione di entropia e quella della temperatura nonchè quella dell’energia interna del sistema.
Ricordando la definizione dell’entalpia otteniamo quindi che deve essere:
dG = dU + d (p V ) − d (T S) + d
X
ni µi = 0
i
Per quanto detto precedentemente sull’energia interna e sull’entropia, abbiamo allora
d (p V ) + d
X
ni µi = 0
i
Indichiamo ora col diversi indici i termini relativi alle due diverse parti del recipiente. Otteniamo:
p1 V1 + n 1 µ1 = p 2 V2 + n 2 µ2
od anche, facendo riferimento ai volumi molari, e ricordando che i due diversi settori contengono la
stessa soluzione, solo con diverse concentrazioni, e quindi hanno lo stesso volume molare
p1 v + µ 1 = p 2 v + µ 2
da cui si ricava:
µ2 − µ 1
v
col chè abbiamo ottenuto la relazione cercata: la differenza di pressione è proporzionale alla differenza
tra i potenziali chimici ovvero alla differenza tra le concentrazioni dei due soluti.
p1 − p 2 =
13.11
Proprietà delle variabili di stato
Nello studio sinora effettuato per la termodinamica abbiamo indivudato quattro variabili che definiscono univocamente lo stato:
1. il numero di moli: n
2. il volume: V
3. la pressione: p
4. la temperatura: T
Possiamo notare che le prime due variabili dipendono linearmente dalla quantità di materia e
vengono quindi dette grandezze estensive; le seconde due, invece, sono caratteristiche dell’intera
massa di materia e non dipendono dalla quantità di materia. Esse vengono dette allora grandezze
intensive.
A queste quattro grandezze possiamo aggiungere cinque potenziali termodinamici
1. l’energia interna: U =
R
(δQ − δL)
2. l’entalpia: H = U + P V
3. L’entropia: S =
R
δQ/T
4. L’energia libera di Helmotz: F = U − T S
354
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
5. L’energia libera di Gibbs: G = H − T S
Tutte queste grandezze sono estensive.
Possiamo semplificare la situazione sostituendo alle diverse grandezze estensive i loro corripondenti
molari, ovvero quelle relative ad una molde i materia. Per indicare ciò useremo i simboli in minuscolo
ed ovviamente non prenderemo più in considerazione il numero di moli perchè esso diviene sempre
uguale ad 1.
Iniziamo ad osservare che, data l’equazione di stato dei gas perfetti
pv=RT
per individuare lo stato di un sistema basta ed occorre dare una coppia di variabili di stato.
Osserviamo ora che per una trasformazione reversibile:
dF = dU − T dS − S dT = dQ − P dV − T dS − S dT
ovvero, tenendo conto della definizione di entropia,
dF = −P dV − S dT
(13.1)
D’altra parte per quanto si è detto precedentemente lo stato di un sistema può essere fissato dando
due variabili di stato e quindi possiamo scrivere
F = F (V, T )
per cui
dF =
∂F
dV
dV +
T =cost
∂F
dT
dT
V =cost
che, confrontata con la eq. 13.1, permette di scrivere
∂F
dV
∂F
dT
T =cost
V =cost
= −P
= −S
Procediamo con la stessa tecnica per quanto riguarda l’energia libera di Gibbs
dG = dH − T dS − S dT = dQ + V dP − T dS − S dT
ovvero, tenendo conto della definizione di entropia,
dG = V dP − S dT
(13.2)
Scriviamo ora
G = G (P, T )
per cui
dG =
∂G
dP
dP +
T =cost
∂F
dT
che, vista la eq. 13.2, fornisce
∂G
dP
T =cost
∂G
dT P =cost
=
V
= −S
Applicando procedimenti simili all’energia interna si ha
∂U
dS
∂U
dV
V =cost
S=cost
=
T
= −P
dT
P =cost
355
13.11. PROPRIETÀ DELLE VARIABILI DI STATO
mentre per l’entalpia è
∂H
dS
P =cost
∂H
dP S=cost
= T
= V
In definitiva possiamo scrivere
T
=
V
=
P
=
S
=
∂U
dS
V =cost
∂G
dP T =cost
− ∂F
dV
T =cost
∂F
− dT
V =cost
=
=
=
=
∂H
dS
P =cost
∂H
dP S=cost
− ∂U
dV
S=cost
∂G
− dT
P =cost
Queste otto relazioni permettono di correlare i potenziali termodinamici a variabili facilmente
misurabili.
13.11.1
Entropia di un gas
Iniziamo ora a determinare la formula dell’entropia per un gas ideale.
Dalla definizione, ed utilizzando il primo principio della termodinamica, otteniamo
dS =
δQ
dU + δL
=
T
T
Ricordiamo ora che per un gas perfetto è
dU = n cv dT
mentre il lavoro è solo lavoro di espansione:
δL = p dV = n R T
. Abbiamo allora
dS = n cv
dV
V
dT
dV
+n R
T
V
per cui, integrando, si ha
S = n cv ln T + n R ln V
Riferendoci ad una sola mole otteniamo:
s = cv ln T + R ln v
Per esprimere l’entropia di un gas reale ricordiamo quanto fatto per individuare l’equazione di van
der Waals: il volume a disposizione del gas non è v ma v − b. Possiamo allora scrivere che per un gas
reale vale
s = cv ln T + R ln (v − b)
13.11.2
Energia interna di un gas reale
Per determinare l’energia interna di un gas reale partiamo dalla determinazione appena avuta per
l’entropia del gas reale.
Sappiamo che
du = T ds − δL
La determinazione dell’entropia di un gas reale fornisce
ds = cv
dT
dv
+R
T
(v − b)
356
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
mentre per il lavoro di espansione è
dL = p dv
D’altra parte l’equaizone di van der Waals ci dice
a
p+ 2
v
per cui
p=
(v − b) = R T
RT
a
− 2
(v − b) v
e di conseguenza
dL = R T
dv
dv
−a 2
(v − b)
v
Possiamo allora scrivere
du = cv dT + R T
v
dv
dv
−R T
+a 2
(v − b)
(v − b)
v
che, semplificata, porta a
du = cv dT + a
dv
v2
ed integrata, fornisce
a
v
Possiamo osservare che questa equazione è facilmente intepretabile: il primo termine corrsiponde
all’energia cinetica microscopica mentre il secondo termine è associato all’energia potenziale dell’interazione molecolare.
u = cv T −
13.11.3
Potenziali termodinamici di un gas reale
Utilizzando tecniche simili a quelle utilizzate sinora, possiamo determinare l’entalpia e le energie libere
per un gas perfetto. Avremo in definitiva
u = cv T
s
= cv ln T + R ln v
h = cp T
f
= T (cv − cv ln T − R ln v)
g
= T (cp − cv ln T − R ln v)
Applicando l’equazione di stato dei gas perfetti abbiamo anche
ln v = ln T + ln R − ln p
per cui si ha anche
u = cv T
s
= cp ln T − R ln P
h = cp T
f
= T (cv − cp ln T + R ln P )
g
= T (cp − cp ln T + R ln P )
13.12. ESERCIZI
13.12
357
ESERCIZI
Esercizio 13.1 : Un gas, contenuto in un recipiente chiuso aumenta la sua pressione dello 0.3 %
allorquando lo si riscalda di 1K. Determinare la temperatura iniziale.
Esercizio 13.2 :
Un recipiente chiuso contiene 16 g di ossigeno libero a pressione P 1 = 105
2
N/m e temperatura t1 = 27 ◦ C. Dopo aver riscaldato il gas,a volume costante, la pressione sale di
quattro volte. Determinare la temperatura finale del gas, il volume del recipiente e la quantità di
calore assorbita dal gas durante il riscaldamento.
Esercizio 13.3 : Un recipiente contiene due moli di gas perfetto biatomico alla pressione di 1 atm
e temperatura t = 27 ◦ C. Dopo aver riscaldato il recipiente, il volume occupato dal gas raddoppia.
Determinare i volumi iniziali e finali nonchè la quantità di calore assorbita.
Esercizio 13.4 :
Due moli di gas perfetto si espandono isotermicamente ad una temperatura
◦
t = 127 C sino a triplicare il loro volume iniziale. Calcolare la variazione di energia interna, il calore
ed il lavoro scambiati durante la trasformazione.
Esercizio 13.5 :
Una mole di gas perfetto è contenuta in un cilindro a volume variabile. La
temperatura del gas è t = 27 ◦ C e la pressione è mantenuta costante mentre il gas si espande sino a
raddoppiare il suo volume iniziale. Determinare il lavoro compiuto dal gas.
Esercizio 13.6 : Una mole di gas perfetto è contenuto in un cilindro. La sua temperatura, pari a
t = 127 ◦ C è mantenuta costante mentre il gas si espande raddoppiando il suo volume. Si determini
il lavoro compiuto dal gas.
Esercizio 13.7 : Una mole di gas perfetto monoatomico è contenuta in un volume V = 10 lt, alla
temperatura t = 27 ◦ C. Quanto calore deve essere ceduto al gas per farlo espandere, a temperatura
costante, sino a dimezzare la pressione? Se lo stesso stato finale viene raggiunto dapprima diminuendo
la pressione, a volume costante, e poi aumentando il volume, a pressione costante, quale sarà il calore
assorbito?
Esercizio 13.8 :
Una mole di ossigeno atomico è contenuta in un cilindro a p 1 = 0.5 atm e
V1 = 20 lt. Dapprima viene scaldato a volume costante sinchè la pressione non raddoppia e poi,
a pressione costante sinchè non raddoppia il volume. Determinare lo stato finale e calcolare lavoro,
calore e variazione di energia interna tra lo stato 1 e lo stato 3.
Esercizio 13.9 : Un cilindro a pareti adiabatiche, chiuso da un pistone mobile di area S = 0.01
m2 , è riempito di acqua in equilibrio col suo vapore alla temperatura di 100 ◦ C. Attraverso una
resistenza elettrica contenuta all’interno del cilindro viene ceduta una quantità di calore pari a Q = 50
J. Calcolare il lavoro di espansione compiuto dal gas e di quanto si innalza il pistone; si supponga che
la densità del vapore sia pari a 0.56 kg/m 3 .
Esercizio 13.10 :
Un cilindro cavo a pareti adiabatiche è diviso in due parti da un setto,
anch’esso adiabatico, che può scorrere senzza attrito nei due sensi. Nello stato iniziale il setto divide
il cilindro in due parti uguali contenenti gas perfetto monoatomico; in un lato vi sono n 1 moli di gas a
358
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
temperatura T1 mentre nell’altro lato vi sono n2 moli a temperatura T2 . Sia n1 /n2 = 1.2 e T1 /T2 = 0.8.
Successivamente il setto si sposta, reversibilmente, sinchè il sistema raggiunge l’equilibrio. Si determini
il rapporto tra i volumi nello stato finale.
Esercizio 13.11 : Una mole di gas perfetto monoatomico espandendosi adiabaticamente da una
pressione p1 = 10 atm e temperatura t1 = 0 ◦ C giunge ad uno stato con pressione p 2 = 2 atm. Si
determinino il volume iniziale, il volume e la temperatura finali.
Esercizio 13.12 :
Una macchina termica opera secondo un ciclo di Carnot e fornisce, durante
un ciclo, un lavoro L = 73.5 kJ. Se la sorgente calda ha temperatura t 1 = 100 ◦ C e quella fredda ha
temperatura t2 = 0 ◦ C, si determinino il rendimento ed i calori scambiati durante un ciclo.
Esercizio 13.13 :
Una macchina termica sviluppa una potenza pari a P = 200 W ed ha un
rendimento del 25 %. Determinare il calore assorbito e quello ceduto durante ogni ciclo, sapendo che
il motore compie 10 cicli al secondo.
Esercizio 13.14 :
Una macchina termica ideale opera secondo un ciclo di Carnot e riceve un
calore Q1 = 600 cal, per ogni ciclo. La temperatura della sorgente fredda è t 2 = 27 ◦ C mentre quella
della sorgente calda è T1 = 400 K. Si determini il lavoro prodotto dal motore, ed il calore ceduto alla
sorgente fredda, per ogni ciclo.
Esercizio 13.15 :
Supponendo che l’ordinario frigorifero domestico sia una macchina ideale
che segue il ciclo di Carnot inverso si determinino l’efficienza ed il coeffieiente di prestazione del
frigorifero, nell’ipotesi che la temperatura della cella fredda sia di 2 ◦ C mentre quella della sorgente
calda (costituita sostanzialmente dalla serpentina posta sul retro dei frigoriferi) sia di 42 ◦ C.
Esercizio 13.16 :
Un condizionatore sottrae 10 7 J/h ad un ambiente. Considerando il condizionatore come una motore di Carnot che lavora da frigorifero, con una sorgente fredda costituita
dall’ambiente interno, alla temperatura t 2 = 17 ◦ C, e con la sorgente calda costituita dall’ambiente
esterno, ad una temperatura t1 = 30 ◦ C, si determini il consumo di potenza elettrica del condizionatore.
Esercizio 13.17 :
Una macchina termica lavora tra i termostati t 1 = 100 ◦ C e t2 = 0 ◦ C,
assorbendo durante ogni ciclo un calore Q 1 = 100 cal dal termostato caldo. Supponendo che tale
macchina sia reversibile si determini il suo rendimento, il lavoro compiuto durante ogni ciclo ed infine
la variazione di energia interna dopo 10 cicli.
Esercizio 13.18 :
Una macchina frigorifera assorbe dall’acqua, alla temperatura del ghiaccio
fondente, un calore corrispondente alla solidificazione di 7 gr di acqua e cede calore ad una sorgente
a temperatura t1 = 60 ◦ C. Tale sorgente calda è costituita da una mole di gas perfetto che utilizza il
calore per compiere una espansione isoterma. determinare il massimo aumento percentuale di volume
del gas nell’ipotesi che la macchina frigorifera segua il ciclo di Carnot.
Esercizio 13.19 :
Un gas perfetto (c v = 3 cal/K) compie il ciclo Otto ideale, costituito da
due adiabatiche alternate a due isocore. Supponendo che il rapporto di compressione sia pari a 5 si
determini il rendimento della macchina.
Esercizio 13.20 :
Una mole di gas perfetto monoatomico compie un ciclo costituito da un’espan-
359
13.12. ESERCIZI
P
2
3
1
V
sione isobara con raddoppio di volume, da un’espansione adiabatica e da una compressione isoterma.
Si determini il rendimento del ciclo.
Esercizio 13.21 :
Una mole di gas perfetto monoatomico esegue il ciclo indicato nella figura.
Nell’ipotesi che il ciclo sia reversibile e che risulti: T 2 = T3 e P2 = 2 P1 si determinino i lavori ed i
calori scambiati, nonchè il rendimento del ciclo.
Esercizio 13.22 : Un gas perfetto compie un ciclo costituito da due isobare e da due adiabatiche.
Calcolare il rendimento del motore sapendo che il rapporto tra le pressioni è di 4 e che la compressibilità
del gas è 1.5.
Esercizio 13.23 : Un gas ideale biatomico compie un ciclo reversibile composto da una compressione isobara, da una isocora e da una isoterma. Si determini il rendimento sapendo che il rapporto
di compressione è 3.
Esercizio 13.24 : Un recipiente contenente 5 kg di acqua bollente viene immerso in una piscina
olimpionica alla temperatura di 20 ◦ C. Calcolare la variazione di entropia dell’acqua del recipiente.
Esercizio 13.25 :
Una massa m = 0.1 kg di ghiaccio a 0 ◦ C viene fusa e quindi riscaldata sino
a 27 ◦ C. Si calcoli la variazione di entropia della trasformazione. Si consideri l’acqua come un fluido
incompressibile.
Esercizio 13.26 : Una reazione chimica presenta una variazione di entalpia pari ad 8200 cal/mole
ed una variazione di entropia pari a 20 cal/mole K. Determinare le condizioni per le quali la reazione
è spontanea.
360
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
13.13
SOLUZIONI
Svolgimento dell’esercizio 13.1 :
Supponendo che il gas sia un gas perfetto possiamo applicare nei due stati, l’iniziale ed il finale,
l’equazione di stato dei gas perfetti, ottenendo:
P1 V
= n R T1
P2 V
= n R T2
e quindi le pressioni sono
P1 =
n R T1
V
P2 =
n R T2
V
L’aumento relativo di pressione è dato da
P2
P2 − P 1
=
−1=
P1
P1
n R T2
V
n R T1
V
−1=
T2
T2 − T 1
−1=
T1
T1
quindi:
T1 =
P1
1
(T2 − T1 ) =
= 333 K
P2 − P 1
0.03
Svolgimento dell’esercizio 13.2 :
Iniziamo col notare che 16g di ossigeno libero costituiscono una mole di gas, che supporremo perfetto.
Poichè sono date le condizioni iniziali di pressione e temperatura possiamo determinare il volume
semplicemente sfruttando la equazione di stato dei gas perfetti:
P1 V1 = n R T 1
da cui
V1 =
n R T1
1 × 8.314 × 300
=
= 2.5 × 10−2 m3
P1
105
La temperatura finale si può ancora una volta ricavare dalla equazione di stato dei gas perfetti,
ricordando che il volume resta invariato:
T2 =
P2 V
4 P1 V
=
= 4 T1 = 4 × 300 = 1200 K
nR
nR
Il calore da fornire si determina ricordando che per un gas monoatomico come l’ossigeno libero il
calore specifico a volume costante vale 3/2R e quindi:
Q = cv (T2 − T1 ) =
3
9
9
R (4 T1 − T1 ) = R T1 = × 2 × 300 = 2700 cal
2
2
2
Svolgimento dell’esercizio 13.3 :
Ancora possiamo applicare l’equazione di stato dei gas perfetti e, per il volume iniziale, otteniamo:
V1 =
n R T1
2 × 8.314 × 300
=
= 5.0 × 10−2 m3
P1
105
361
13.13. SOLUZIONI
Il riscaldamento avviene a pressione costante e quindi, indicando con V 2 e T2 il volume e la
temperatura finali, abbiamo:
V2 = 2 V1 = 10.0 × 10−2 m3
T2 = 2 T1 = 600 K
Per il calcolo del calore assorbito in questo caso occorre adoperare il calore specifico a pressione
costante che, per gas biatomici, è pari a 7/2R. Risulta pertanto:
Q = n cp (T2 − T1 ) = n
7
7
R T1 = 2 × × 2 × 300 = 4200 cal
2
2
Svolgimento dell’esercizio 13.4 :
Poichè la trasformazione è isoterma ed il gas è perfetto non si ha alcuna variazione di energia interna. Ne consegue ancora che il calore assorbito dal sistema ed il lavoro compiuto dal sistema sono
uguali. Calcoliamo quindi il lavoro, sfruttando l’equazione di stato dei gas perfetti e la costanza della
temperatura:
dV
dL = p dV = n R T
= n R d(ln V )
V
per cui il lavoro complessivo è:
L = n R T ln(
V2
) = 2 × 8.314 × 400 × ln(3) = 7307 J
V1
Svolgimento dell’esercizio 13.5 :
Essendo costante la pressione, il lavoro si ottiene dalla relazione:
L = p (Vf in − Vin )
ove p è la pressione, Vf in il volume finale e Vin il volume iniziale. Sfruttando l’equazione di stato dei
gas perfetti per ricavare la pressione, ed adoperando i dati del testo si ottiene:
L = p ∆V = n R T = 1 × 8.314 × 300 = 2494 J
Svolgimento dell’esercizio 13.6 :
Il lavoro, come già visto in un precedente esercizio, per una trasformazione isoterma è dato da:
L = n R T ln(
Vf in
)
Vin
dove Vf in è il volume finale e Vin è il volume iniziale. Sostituendo i valori numerici otteniamo:
L = 1 × 8.314 × 400 ∗ ln(2) = 2305 J
Svolgimento dell’esercizio 13.7 :
Per risolvere la prima parte del problema occorre tener presente che la trasformazione è a temperatura
costante e quindi vale la legge di Boyle:
Pin Vin = Pf in Vf in
362
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
P
A
Pini
B
Pfin
C
V
Vini
Vfin
Ne consegue che se la pressione si dimezza, il volume raddoppia. Sempre considerando che la
trasformazione è isoterma possiamo dedurre che l’energia interna non varia e quindi che il calore
assorbito è pari al lavoro ceduto. Otteniamo allora:
Q = n R T ln(
Vf in
) = 1 × 8.314 × 300 × ln (2) = 1729 J
Vin
Per risolvere la seconda parte del problema occorre dapprima determinare la temperatura dello
stato intermedio. Tale temperatura può calcolarsi sfruttando l’equazione di stato dei gas perfetti.
Indichiamo con Pini , Vini e T i valori delle variabili di stato nella condizione iniziale, con P f in , Vf in
e T i corrispondenti valori nella condizione finale. Per le condizioni poste sulle trasformazioni che
portando allo stato intermedio i valori delle tre variabili di stato in questa condizione intermedia
saranno Pini , Vf in e TC .
Risulta allora, ricordando che il numero di moli è pari ad uno,
Pini Vini
=
Pf in Vini
= R TC
Pf in Vf in =
RT
RT
e quindi:
Pf in
T = 0.5 T
Pin
Calcoliamo ora il calore scambiato durante l’isocora:
3
3
Q1 = cv (TC − T ) = R (0.5 T − T ) = − R T
2
4
mentre il calore assorbito durante l’isobara è:
5
5
Q2 = cp (T − TC ) = R (T − 0.5 T ) = R T
2
4
e quindi il calore totale assorbito è:
TC =
3
5
1
2 × 300
RT+ RT = RT =
= 300 cal
4
4
2
2
Si può osservare come in questo secondo caso il calore assorbito dal gas sia molto inferiore a quello
assorbito nella isoterma.
Q = Q 1 + Q2 = −
Svolgimento dell’esercizio 13.8 :
In tutti gli stati vale l’equazione di stato dei gas perfetti. Detti pertanto P 1 , V1 e T1 i valori delle
363
13.13. SOLUZIONI
variabili di stato nello stato 1, quelli nello stato 2 sono dati da P 2 , V1 e T2 , mentre nello stato 3 saranno
P2 , V 3 e T 3 .
Applicando l’equazione di stato dei gas perfetti ai tre stati avremo:
P1 V1 = n R T 1
P2 V1 = n R T 2
P2 V3 = n R T 3
Dalla prima di queste relazioni si ricava:
T1 =
P1 V1
= 120 K
nR
D’altra parte dal testo si ricava che
P2 = 2 P1 = 1 atm
V3
= 2 V1
= 40 lt
e quindi
T2 = 2 T1 = 240 K
T3 = 4 T1 = 480 K
Iniziamo ora col calcolare il lavoro sviluppato dal gas. Durante la trasformazione a volume costante
il lavoro è nullo, mentre durante la trasformazione a pressione costante esso è dato semplicemente dal
prodotto della pressione per la variazione di volume. Il lavoro totale sarà pertanto:
L = P2 (V3 − V1 ) = 2 P1 V1 = 2 × 0.5 × 20 = 20 lt atm
Per il calore occorre tener presente che durante la trasformazione a pressione costante esso è dato
dal prodotto dell’incremento di temperatura per il calore specifico a pressione costante mentre durante
l’isocora esso è dato dal prodotto dell’aumento di temperatura per il calore specifico a volume costante.
Risulta quindi:
Q = cp (T2 − T1 ) + cv (T3 − T2 ) =
ovvero:
Q=
5
11
R T1 + 3 R T 1 =
R T1
2
2
11
P1 V1 = 55 lt atm
2
La variazione di energia interna è infine data da:
U3 − U1 = cv (T3 − T1 ) = 6 R T1 = 6 P1 V1 = 60 lt atm
Svolgimento dell’esercizio 13.9 :
Possiamo studiare il processo ripartendolo in tre stadi:
1. la resistenza elettrica cede calore alla miscela;
2. parte della fase liquida evapora;
3. il nuovo vapore fa espandere il volume.
364
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
Per determinare la quantità di liquido che evapora dobbiamo ricordare che il calore latente di
evaporazione dell’acqua è pari a c E = 560 cal/g = 2344 J/g. La massa evaporata è pertanto:
m=
Q
50
= 21.33 × 10−3 g
=
cE
2344
Determiniamo ora quanto volume occupava questa massa nel liquido:
V1 =
m
= 21.33 × 10−9 m3
ρl
mentre in fase gassosa occupa un volume
V2 =
m
= 38.09 × 10−6 m3
ρg
La variazione di volume è data dalla differenza di questi due volumi e quindi vale:
∆V = V2 − V1 = 38.07 × 10−6 m3
Il lavoro compiuto dal gas è, pertanto
L = p ∆V = 105 × 38.07 × 10−6 = 3.8 J
Per calcolare l’innalzamento del pistone basta dividere l’aumento di volume per l’area del pistone,
ottendendo:
V
38.07 × 10−6
x=
=
= 3.8 mm
S
0.01
Svolgimento dell’esercizio 13.10 :
Nello stato iniziale, dette P1 e P2 le pressioni e V il volume completo del cilindro, si ha:
1
2
P1 V
= n 1 R T1
1
2
P2 V
= n 2 R T2
Risulta pertanto che:
P1
n1 T1
=
= 1.2 × 0.8 = 0.96
P2
n2 T2
Poichè le due pressioni sono differenti il setto tenderà a spostarsi riducendo il volume del lato nel
quale la pressione del gas assume il valore inferiore. Tutte le pareti del cilindro sono adiabatiche e
quindi le trasformazioni in entrambi i lati del cilindro sono adiabatiche. Detti ora V 1 e V2 i volumi
finali e P la pressione finale, deve quindi risultare:
P V1γ
= P1 ( 12 V )γ
P V2γ
= P2 ( 12 V )γ
Dividendo membro a membro otteniamo che
V1
V2
γ
=
P1
P2
e quindi
V1
=
V2
P1
P2
−γ
= (0.96)−1.6 = 0.96.6 = 1.0675
365
13.13. SOLUZIONI
dove si è utilizzato che per un gas perfetto monoatomico la compressibilità è γ = 5/3.
Svolgimento dell’esercizio 13.11 :
Per determinare il volume iniziale basta applicare l’equazione di stato dei gas perfetti allo stato iniziale,
avendosi:
n R T1
1 × 0.0821 × 273
V1 =
= 2.24 lt
=
P1
10
Per determinare il volume finale occorre, invece, applicare l’equazione di Poisson
P V1γ = P2 V2γ
da cui si ricava che:
V2 = V 1
P1
P2
−γ
= 2.24 ×
10
5
−1.6
= 0.74 lt
La temperatura finale si ottiene applicando di nuovo l’equazione di stato dei gas perfetti allo stato
finale:
P2 V2
2 × 0.74
T2 =
=
= 18 K
nR
1 × 0.0821
Svolgimento dell’esercizio 13.12 :
Il rendimento della macchina di Carnot è:
T2
273
=1−
= 0.268
T1
373
η =1−
D’altra parte il rendimento di un qualsiasi motore è definito come:
η=
L
Q1
e quindi
Q1 =
L
73.5
=
= 274 kJ
η
0.268
ed il calore freddo si ottiene da:
Q2 = Q1 − L = 274 − 73.5 = 201 kJ
Svolgimento dell’esercizio 13.13 :
Poichè la potenza è data da:
P =
dL
dt
risulta che il lavoro prodotto in un ciclo è
L = P t = 200 ×
Il calore assorbito si ricava da:
Q1 =
1
= 20 J
10
L
20
=
= 80 J
η
0.25
mentre quello ceduto alla sorgente fredda è:
Q2 = Q1 − L = 80 − 20 = 60 J
366
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
Svolgimento dell’esercizio 13.14 :
Il rendimento del motore è:
T2
300
= 0.25
η =1−
=1−
T1
400
e quindi il lavoro prodotto è:
L = η Q1 = 0.25 × 600 = 150 cal
mentre il calore di scarto è:
Q2 = Q1 − L = 600 − 150 = 450 cal
Svolgimento dell’esercizio 13.15 :
Il rendimento della macchina è:
η =1−
275
T2
=1−
= 0.127
T1
315
mentre il coefficiente di prestazione è:
COP =
Q2
T2
275
=
=
= 6.875
L
(T1 − T2 )
40
Come si vede da quest’ultima formula, il coefficiente di prestazione di un frigorifero è tanto più
elevato quanto più basso è il salto termico tra le due sorgenti. Ciò spiega il perchè in tutti i manuali
di utenza dei frigoriferi si consiglia di esporre il retro del frigorifero quanto più possibile, in modo che
i moti convettivi naturali ne mantengano bassa la temperatura.
Svolgimento dell’esercizio 13.16 :
Il coefficiente di prestazione del condizionatore è dato da:
COP =
Q2
T2
290
=
=
= 22.3
L
(T1 − T2 )
13
e quindi il lavoro elettrica da fornire durante un’ora è:
L=
Q2
107
=
= 448 kJ
COP
22.3
La potenza elettrica sarà quindi:
P =
L
448 × 103
=
= 124.5 W
t
3600
Svolgimento dell’esercizio 13.17 :
Il rendimento, per il teorema di Carnot, è pari a quello della macchina di Carnot e pertanto abbiamo
η =1−
T2
273
=1−
= 0.268
T1
373
D’altra parte è anche
η=
L
Q1
e quindi
L = η Q1 = 0.268 × 100 = 26.8 cal
367
13.13. SOLUZIONI
P
B
A
C
V
Per la variazione di energia interna occorre ricordare che trattandosi di cicli la variazione è sempre
nulla, qualunque sia il numero di cicli da considerare.
Svolgimento dell’esercizio 13.18 :
Il calore ceduto dall’acqua è:
Q2 = m cF = 7 × 80 = 560 cal
Poichè si suppone che il ciclo seguito sia quello di Carnot, avremo che il calore ceduto alla sorgente
calda è:
T1
333
Q1 = Q 2
= 560 ×
= 683 cal
T2
273
Tale calore viene utilizzato per compiere una espansione isoterma, per la quale è:
e quindi
Q1 = n R T1 ln
V2
V1
Q1
V2
= exp
V1
n R T1
= 2.81
L’aumento percentuale di volume è:
100
(V2 − V1 )
= 100
V1
V2
− 1 = 181
V1
Svolgimento dell’esercizio 13.19 :
Dalla teoria sappiamo che detto r il rapporto di compressione ed indicando con γ la compressibilità,
il rendimento del ciclo Otto ideale è:
η = 1 − r 1−γ
Nel nostro caso la compressibilità vale 1.67 e pertanto:
η = 1 − 51−1.67 = 0.66
Svolgimento dell’esercizio 13.20 :
Il ciclo descritto è indicato nella figura.
Durante la trasformazione AB, la isobara, viene assorbito un calore:
Q1 = cp (TB − TA )
368
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
mentre nella trasformazione BC, la adiabatica, non viene assorbito o ceduto alcun calore. Infine, nella
trasformazione CA, l’isoterma, viene ceduto un calore:
Q2 = R T A
VC
ln
VA
Per determinare i valori dei parametri di stato sfruttiamo le equazioni di stato dei gas perfetti e
dell’adiabatica:
PA VA = R T A
PA VB
= R TB
PA VBγ
= PC VCγ
PA VA
= P C VC
Per le imposizioni fatte è VB = 2 VA e quindi TB = 2 TA da cui si ottiene:
Q1 = cp (TB − TA ) = cp TA
Il rendimento è, per la sua definizione, dato da:
R TA ln VVCA
Q2
η =1−
=1−
Q1
cp TA
Tenendo conto che il gas è monoatomico e quindi che: c p = 5/2 R si ottiene
2
VC
ln
5
VA
η =1−
Sfruttando l’equazione dell’isoterma si ha ora:
VC
PA
=
VA
PC
Utilizzando la adiabatica, invece, abbiamo
VC
VB
γ
=
PA
PC
per cui
VC
=
VA
ed in definitiva
VC
=
VA
VB
VA
Risulta pertanto
η =1−
VC
VB
γ
γ−1
γ
2 γ
ln 2
5 γ−1
Per un gas monoatomico risulta
γ=
cp
5/2
5
=
=
cv
3/2
3
per cui
γ
5/3
5
=
=
γ−1
5/3 − 1
2
ed in definitiva abbiamo
γ
= (2) γ−1
369
13.13. SOLUZIONI
η =1−
2 γ
ln 2 = 1 − ln 2 = 0.31
5 γ−1
Svolgimento dell’esercizio 13.21 :
Applicando l’equazione di stato dei gas perfetti agli stati 1, 2 e 3, si ottiene:
V3
= 2 V1
T3
= 2 T1
V2
= V1
P3 = P 1
Per individuare la trasformazione 2-3 dobbiamo considerare che essa è una retta passante per i
punti 2 e 3 per cui sarà:
V − V2
P − P2
=
P3 − P 2
V3 − V 2
e quindi
V − V1
P − 2 P1
=
P1 − 2 P 1
2 V1 − V1
che semplificata porta a
V
P = P1 (3 − )
V1
Calcoliamo ora i calori ed i lavori scambiati:
L(1 → 2)
Trasformazione 1 → 2
= 0
Q(1 → 2) = cv (T2 − T1 ) = 3 R T1
L(2 → 3)
Trasformazione 2 → 3
R
=
P dV
Q(2 → 3) = −L(2 → 3)
L(3 → 1)
Trasformazione 3 → 1
= P1 (V1 − V3 ) = −R T1
= − 52 R T1
Q(3 → 1) = cp (T1 − T3 )
Calcoliamo ora esplicitamente l’integrale:
R
P1 (3 −
V
V1 )
dV
= P1
R
3 dV − P1
R
V
V1
= 3 P1 (V3 − V2 ) − P1
dV =
1
2 V1
= 3 P1 (2 V1 − V1 ) − P1
= 3 P 1 V1 −
3
2
P1 V1 =
3
2
1
2 V1
V32 − V22 =
4 V12 − V12 =
P1 V1 =
3
2
R T1
Il calore viene pertanto assorbito durante la trasformazione 1-2 e ceduto durante le trasformazioni
2-3 e 3-4. Il lavoro viene invece ceduto durante la trasformazione 2-3 e parzialmente assorbito durante
la trasformazione 3-1. I valori netti sono:
=
1
2
R T1
Q1 =
3
2
R T1
L
Q2 = R T 1
370
CAPITOLO 13. TERMODINAMICA
P
2
1
3
4
V
mentre il rendimento è:
η=
L
= 0.33
Q1
Svolgimento dell’esercizio 13.22 :
Nella figura è indicato il ciclo, come rappresentato nel piano di Clapeyron.
I calori sono assorbiti e ceduti durante le due isobare e quindi si ha:
Q1 = n cp (T2 − T1 )
Q2 = n cp (T3 − T4 )
Il rendimento è quindi:
η =1−
Q2
(T3 − T4 )
=1−
Q1
(T2 − T1 )
Scriviamo ora le due equazioni delle adiabatiche:
P11−γ T1γ
= P41−γ T4γ
P21−γ T2γ
= P31−γ T3γ
Dividendo membro a membro, e tendendo conto che
P1 = P 2
P4 = P 3
otteniamo:
T1γ
T4γ
γ =
T2
T3γ
per cui
Possiamo allora scrivere:
T1
T4
=
T2
T3
T3 − T 4
T3 1 −
=
T2 − T 1
T2 1 −
T4
T3
T1
T2
=
T3
T2
che, per l’appartenenza degli stati 2 e 3 ad una adiabatica, fornisce
T3 − T 4
T3
=
=
T2 − T 1
T2
In definitiva
η =1−
P2
P3
1−γ
γ
P2
P3
1−γ
γ
= 0.37
371
13.13. SOLUZIONI
Svolgimento dell’esercizio 13.23 :
Calcoliamo il rendimento col metodo delle aree, adoperando i simboli indicati nella figura, ove è
rappresentato il ciclo in questione. Il calore assorbito durante il ciclo è dato dall’area del rettangoloide
delimitato superiormente dall’isoterma e pertanto vale:
V3
Q1 = p dV = n R T3 ln
V1
mentre il calore ceduto è dato dall’area del rettangolo delimitato superiormente dall’isobara e quindi
vale:
V1
V1
Q2 = P1 (V3 − V1 ) = P1 V3 1 −
= n R T3 1 −
V3
V3
Ne consegue che il rendimento è:
1 − VV13
Q2
= 0.39
η =1−
=1−
Q1
ln VV31
Svolgimento dell’esercizio 13.24 :
Poichè la piscina contiene, rispetto al recipiente, una quantità infinita di acqua, possiamo ritenere che
la sua temperatura non vari e che quindi anche l’acqua del recipiente si porti, alla fine, alla temperatura
di 20 ◦ C. Risulta allora:
S2 − S 1 =
Z
d
dQ
=mc
T
Z
dT
T2
= m c ln
T
T1
= −1200 cal/K
Svolgimento dell’esercizio 13.25 :
Durante la fusione del ghiaccio abbiamo:
S2 − S 1 =
Q
m cF
0.1 × 103 × 80
=
=
= 29.3 cal/K
T
T
273
mentre durante il riscaldamento abbiamo:
S3 − S 2 =
Z
dQ
=mc
T
Z
dT
T3
300
= m c ln( ) = 0.1 × 103 × 1 × ln
T
T1
273
e quindi la variazione complessiva di entropia è:
S3 − S1 = 29.3 + 9.4 = 38.7 cal/K
Svolgimento dell’esercizio 13.26 :
La condizione che determina la spontaneità della reazione è:
dG = dH − T dS
per cui la condizione di variazione nella della funzione di Gibbs corrisponde a
T =
dH
8200
=
= 410 K
dS
20
= 9.4 cal/K