«Sarà la primavera dopo il duro inverno»
FRANCESCO I
ELEONORA MARTINI -
15.03.2013
Intervista a Leonardo Boff, uno dei fondatori della Teologia della liberazione:
«Questo Papa è il volto umile e aperto della Chiesa. Quella dei poveri, amica dei
laici e del popolo. Il suo è il messaggio del terzo millennio»
Ha incontrato personalmente il cardinale Jorge Maria Bergoglio solo una volta negli anni '70,
durante un ritiro spirituale. Ma il brasiliano Leonardo Boff, tra i fondatori della Teologia della
liberazione, ripone nel nuovo Papa molte speranze. Vede in lui il vento della «primavera» che
scioglie il «freddo inverno della Chiesa». E la traghetta nel terzo millennio. «È sempre stato
dalla parte dei poveri e degli oppressi, come noi teologi della liberazione». E questo gli basta.
Del brand non si preoccupa, e non crede alla complicità con la dittatura militare.
Che uomo è Jorge Maria Bergoglio, e che Papa sarà Francesco I?
Per me l'importante adesso non è l'uomo ma la figura di una Papa che ha scelto di chiamarsi
Francesco, che non è solo un nome ma un progetto di Chiesa. Un Chiesa povera, popolare, che
chiama tutti gli esseri della natura con le dolci parole «fratello» e «sorella». Una Chiesa del
Vangelo distante dal potere e vicina al popolo.
Secondo lei il cardinale Bergoglio ha le carte giuste per portare questo rinnovamento
nella Chiesa?
Francesco ricevette da San Damiano questo messaggio: ricostruire la Chiesa che è in rovina.
Oggi siamo dentro un rigoroso inverno e lo stesso castello che gli ultimi due papi hanno creato
è in rovina. E adesso un nuovo Papa arriva da fuori le mura di Roma, quasi dai confini del
mondo, come dice egli stesso, esterno a quei circoli di potere. E credo che prima di tutto
lavorerà internamente alla curia per riscattare la credibilità della Chiesa, macchiata dagli
imbrogli, dagli scandali dei pedofili e della banca vaticana... E dopo farà un'apertura al mondo
moderno, perché sia Benedetto XVI che Giovanni Paolo II hanno interrotto il dialogo con la
modernità. Un errore rinunciare a capire e a dialogare con la cultura moderna. Diffamarla e
considerarla puro relativismo e secolarismo, non riconoscerne i valori, è una blasfemia contro
lo Spirito Santo. Gli uomini cercano una verità più ricca e più ampia di quella di cui la Chiesa
crede di essere l'esclusiva portatrice. Piuttosto invece la sua è un'istanza di potere. Mentre il
senso evangelico del papato è unire i fedeli cristiani nella fede, nel corso della storia invece si è
creata una monarchia assolutista che pensa alle cose in una prospettiva giuridica. Questo Papa
ha detto subito di voler presiedere la Chiesa nella carità. Questo è il senso della più vecchia
tradizione, della funzione di Pietro. Penso che questo Papa sia il volto nuovo della Chiesa, umile
e aperta, che può portare l'esperienza del "Grande Sud", dove vive il 70% dei cattolici.
L'esperienza latinoamericana, in particolare?
La nostra non è più lo specchio della Chiesa europea. È una Chiesa fonte, che ha sviluppato un
volto e una teologia proprie, una pastorale con radici nelle culture locali. Francesco I porterà
questa vitalità nella Chiesa universale, per far finire l'inverno rigoroso ed entrare in una
prospettiva di primavera. Bergoglio offre questa speranza, e la promessa che il papato può
essere vissuto differentemente.
Negli anni '70 il gesuita Bergoglio ebbe, secondo alcuni osservatori argentini, un
atteggiamento controverso verso la dittatura militare. Ancora più condivisa
l'opinione che lo vuole decisamente avverso alla Teologia della liberazione. Qual è il
suo giudizio?
Recentemente Pérez Esquivel (premio Nobel per la Pace nel 1980, ndr) ha smentito che
Bergoglio fosse complice della dittatura argentina spiegando che invece ha salvato tanti
perseguitati dal regime militare. Quel che è certo è che ha sempre preso la posizione dei poveri
e degli oppressi anche nel suo stile di vita: è una persona semplice che si sposta in autobus,
che vive in un piccolo appartamento, cucina da solo... Viene dal popolo e lo si vede anche nella
sua azione pastorale. Su youtube c'è un video bellissimo di Bergoglio che parla del debito che
tutti abbiamo verso i poveri perché la diseguaglianza è frutto di una società anti-etica e antiumana. E il marchio registrato della Teologia della liberazione è l'opzione verso i poveri e
contro la povertà.
Però è pur sempre un filosofo, un teologo, rettore universitario. Secondo alcuni
esperti, si può dire di lui che sia molto lontano almeno da quella Teologia della
liberazione di stampo marxista.
Questa è la versione delle dittature militari che hanno sempre calunniato la Teologia della
liberazione (Tdl, ndr). Che poi fu accettata da Ratzinger come una forma di teologia (per
esempio, nominando nel 2012 a prefetto della Congregazione dei religiosi l'arcivescovo
brasiliano João Braz de Aviz, e a capo della dottrina della Fede Gerhard Ludwig Müller,
entrambi molto aperti alla Tdl, ndr). Ma noi non abbiamo mai preso Marx come padrino della
Teologia della liberazione; io stesso non sono marxista. E non è mai esistita una Teologia della
liberazione marxista. Il movimento Tdl peraltro non è mai stato forte in Argentina, dove invece
si è sviluppata una teologia propria, incarnata nella cultura popolare locale. Non si può dire che
Bergoglio fosse contro questo tipo di teologia.
Come teologo, però, Bergoglio non ha mai riconosciuto il valore del movimento Tdl.
Non è così?
Lui è un gesuita e in quanto tale di ottima formazione intellettuale. Poi ha studiato in
Germania, come me. Perciò è anche molto aperto intellettualmente. Ma non mi curo
dell'appellativo «Teologia della liberazione», mi importa invece quale atteggiamento si sceglie
di avere di fronte ai poveri e agli oppressi del mondo. Bergoglio è dalla nostra stessa parte. La
nostra Chiesa latinoamericana ha tanti martiri: Oscar Romero, Enrique Angelelli, tanti colleghi
miei che sono stati sequestrati e assassinati durante la dittatura. Non avevano un'ideologia in
testa, ma un certo tipo di atteggiamento con le favelas, con i barrios, con i poveri. E questo è
l'importante. Che nome daremo a tutto questo, non importa.
Francesco d'Assisi affrontò l'avvento dell'economia monetaria nell'epoca in cui in
Italia nascevano i primi comuni prospettando una diversa visione del mondo. Crede
che, allo stesso modo, la sfida di Papa Francesco I sia anche quella di ripensare,
nell'attuale fase, il rapporto della Chiesa con il sistema capitalistico?
Penso, come diceva lo storico inglese Arnold Toynbee, che al tempo di San Francesco, dopo il
caos dell'impero romano che ha introdotto la moneta - siamo agli albori del sistema
capitalistico - simultaneamente è apparsa l'opposizione. Francesco era una persona antisistema. Proprio Ratzinger in un articolo famoso ha detto che San Francesco - vissuto al tempo
di Papa Innocenzo III che è stato l'imperatore forse più ricco di tutta la storia cristiana - faceva
il contrappunto. Viveva una resistenza profetica senza fare alcuna critica orale, ma percorrendo
un cammino evangelico alternativo. Questo è l'insegnamento di San Francesco, il plano vivere,
il vivere senza titoli sulla terra e non in posti di potere. Francesco non era un prete, era un
laico. E noi lo abbiamo dimenticato. Con la figura di Francesco, questo Papa assume tutto un
complesso di valori: valorizza i laici e i movimenti popolari. Qualcosa di molto importante
perché il tema centrale del mondo adesso non è la Chiesa ma il futuro ha la vita, il peso che ha
l'uomo. Ora per me la domanda è cosa fa la Chiesa cattolica per aiutare l'umanità a uscire da
questa crisi, che può essere determinante. Francesco I può essere il Papa della fine del mondo,
perché abbiamo costruito una macchina di morte che può distruggere tutto. Per me il
messaggio di San Francesco è l'unico che ci può traghettare nel terzo millennio: o lo
prendiamo o andiamo verso la fine.
Ma il potere temporale della Chiesa, il sistema dello stato Vaticano, può liberarsi
dalla sudditanza al capitalismo?
Penso che sia inutile pensare a una riforma del sistema capitalistico che ormai ha dato tutto
quello che poteva dare ed è arrivato alla fine. Bisogna andare verso un altro paradigma, verso
un bien vivir, come dicono gli indigeni latinoamericani. E bisogna superare la dimensione
temporale, politica, del Vaticano, una monarchia assolutista del passato. Bisogna rinunciare
alle nunziature, utilizzare le banche etiche, decentralizzare la Chiesa. Perché il dicastero delle
missioni non può restare in Asia? Perché quello dei diritti umani e della giustizia non può venire
in America latina? E quello del dialogo interecclesiastico perché non va a Ginevra, insieme al
Consiglio mondiale delle chiese? Questa decentralizzazione è già pensata nel Concilio Vaticano
II. Gli ultimi due papi hanno svuotato questa istanza di funzionalità della Chiesa e sono andati
verso la centralizzazione del governo. Alla base sociale di questo tipo di Chiesa ci sono gruppi
fondamentalisti come l'Opus dei, Comunione e liberazione, i Cruzados dell'Evangelio.
Quindi aver preferito Bergoglio rispetto al cardinale brasiliano Odilo Schrer, membro
della Commissione cardinalizia di Vigilanza dello Ior, è un segno molto importante?
Grazie a Dio Scherer - che era il candidato della curia romana, un conservatore con un'autorità
molto forte - non è il nuovo Papa.
Eppure il cardinale Bergoglio si è contraddistinto in Argentina per la sua campagna
contro le unioni omosessuali.
Finora nessuno nella Chiesa poteva allontanarsi da questa visione del mondo. Lui però pochi
mesi fa ha permesso a una coppia omosessuale di adottare un bambino. Questo vuol dire che
non è una persona inflessibile. Ora può aprire una discussione ampia sul celibato, sulla
sessualità, sulla reintroduzione dei preti sposati. Perché la Chiesa ha una crisi istituzionale
tremenda, non può essere un'isola sola in mezzo al mare.
Qual è il bene comune della Chiesa cattolica?
È la tradizione di Gesù, l'amore incondizionato. Unire i due poli: il padre nostro col pane
nostro. Cioè aprirsi verso la trascendenza e preoccuparsi di chi ha fame e bisogno. Solo così si
può dire amen.