Teocrazia e laicità - Comunità dell`Isolotto

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Teocrazia e laicità
(confronto fra due grandi personaggi)
I rapporti tra Impero e papato, tra politica e religione, tra scienza e fede attraversano gran parte della storia
d’Europa, fino ad oggi. Dante costituisce un’antenna ricetrasmittente sensibilissima di questa vexata quaestio
che ne condiziona la vita e l’opera: a Cesare quel che è di Cesare. Un bel confronto tra Bonifacio VIII e
Dante ambasciatore fiorentino alla corte pontificia.
Confronto tra la Bolla pontificia “Unam Sanctam” (promulgata il 18 novembre 1302) e la contro bolla
di Dante”De Monarchia” (pubblicata fra il 1308-1313)
Bonifacio VIII
« Ed essi dissero: Signore, ecco qui due spade» (Luca - 22, 38)
« Al tempo del diluvio invero una sola fu l'arca di Noè, raffigurante l'unica Chiesa; era stata costruita da un
solo braccio, aveva un solo timoniere e un solo comandante, ossia Noè, e noi leggiamo che fuori di essa ogni
cosa sulla terra era distrutta. » Da cui: la chiesa è l’unica detentrice dei due poteri religioso e politico.(Unam
Sanctam Ecclesiam)
Dante Alighieri
“Ancora dal Vangelo; Pietro, in occasione della Pasqua, disse a Cristo: “Ecco due spade”; essi sostengono
che queste due spade rappresentano i due poteri, entrambi nelle mani di lui. Ciò è falso, sia perché la risposta
non sarebbe adeguata all’intenzione di Cristo, sia perché Pietro era solito rispondere in maniera immediata e
irriflessiva (si rilegga il brano dal Vangelo di Luca)”. (Monarchia cap.9)
“Inoltre l’esercizio dell’autorità temporale è contro la natura della Chiesa, quindi non rientra nelle sue
facoltà. Infatti la natura della Chiesa è la sua stessa forma, cioè Cristo ed i Suoi insegnamenti. Cristo disse:
“Il mio regno non è di questo mondo”. Non osservare questo comandamento è non seguire la forma della
Chiesa”. (Monarchia cap. 14)
Contro il servo arbitrio teorizzato da papa Bonifacio Dante rivendica il libero arbitrio:
- l’autonomia dell’uomo dai poteri religioso e politico.
Purg. XXVII Io te sovra te corono e mitrio
Come la scala tutta sotto noi
fu corsa e fummo in su 'l grado superno,
in me ficcò Virgilio li occhi suoi,
e disse: «Il temporal foco e l'etterno
veduto hai, figlio; e se' venuto in parte
dov' io per me più oltre non discerno.
Tratto t'ho qui con ingegno e con arte;
lo tuo piacere omai prendi per duce;
fuor se' de l'erte vie, fuor se' de l'arte.
Vedi lo sol che 'n fronte ti riluce;
vedi l'erbette, i fiori e li arbuscelli
che qui la terra sol da sé produce.
Mentre che vegnan lieti li occhi belli
che, lagrimando, a te venir mi fenno,
seder ti puoi e puoi andar tra elli.
Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno:
per ch'io te sovra te corono e mitrio».
Non è una forzatura affermare qui che
Dante anticipa le conquiste dell’uomo rinascimentale:
Sono gli anni in cui Marsilio da Padova si rifugia in Germania presso Ludovico il Bavaro per sfuggire alla
persecuzione della Curia per il suo “Defensor pacis” scritto nel 1324, una replica aggiornata della
Monarchia di Dante.
Di Pico della Mirandola è rimasta letteralmente proverbiale la prodigiosa memoria: si dice che sapesse
recitare la Divina Commedia al contrario, partendo dall'ultimo verso. Certo aveva letto il De Monarchia.
“Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché
[...] tutto secondo il tuo desiderio e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è
contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai senza essere costretto da nessuna barriera,
secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai”.
(Giovanni Pico della Mirandola, De hominis
Dignitate).
Dante anticipa la Riforma: Ognuno è sacerdote di se stesso (Lutero).
Il De Monarchia dunque costituisce un’opera direttamente e coscientemente contrapposta alla Bolla Unam
Sanctam di Bonifacio VIII. La causa del mancato buon ordinamento della società civile è data dalla
commistione dei due poteri religioso e civile. Una vera ossessione per Dante che riempie la sua Cantica di
consigli, accuse, rimproveri e invettive sulla grande questione del rapporto tra i due poteri religioso e civile.
Un esempio tra le tante terzine della Commedia che affrontano il tema (Inferno XIX 1-6, XXVII 85-111,
Purg VI 91-96, Paradiso XXVII 22-66) :
Purgatorio XVI, 106-114, 127-129
Soleva Roma, che 'l buon mondo feo,
due soli aver, che l'una e l'altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.
L'un l'altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l'un con l'altro insieme
per viva forza mal convien che vada;
però che, giunti, l'un l'altro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
ch'ogn' erba si conosce per lo seme.
…Dì oggimai che la chiesa di Roma,
per confondere in sé due reggimenti,
cade nel fango e sé brutta e la soma.
Nel 1329 il cardinal Bertrando del Poggetto, su disposizione del papa Giovanni XXII che ancora risiedeva in
Avignone, richiese a Ravenna le ossa di Dante per farne un falò in Piazza Grande a Bologna insieme alle
copie del De Monarchia. I duchi di Ravenna opposero un netto rifiuto. Si chiamavano Pino della Tosa e
Ostasio da Polenta.
Nota: si potrebbe recitare il Padre nostro scritto da Dante:
Purgatorio · Canto XI
«O Padre nostro, che ne' cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch'ai primi effetti di là sù tu hai,
laudato sia 'l tuo nome e 'l tuo valore
da ogne creatura, com' è degno
di render grazie al tuo dolce vapore.
Vegna ver' noi la pace del tuo regno,
ché noi ad essa non potem da noi,
s'ella non vien, con tutto nostro ingegno.
Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
così facciano li uomini de' suoi.
Dà oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi più di gir s'affanna.
E come noi lo mal ch'avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto.
Nostra virtù che di legger s'adona,
non spermentar con l'antico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona.
(Quest' ultima preghiera, segnor caro,
già non si fa per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro».)
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