MANFRFDO MASSIRONI LA VIA PIÙ BREVE NEL PENSIERO VISIVO Questo articolo è dedicato a Gaetano Kaniz..~a nel ricordo dcl suo insegnamento I. È una metafora appropriata quella che rappresenta il lavoro dcl pensiero teso alla soluzione di un problema come una via che parte dalla condizione problemica e arriva alla soluzione. Ma possiamo parlare di lunghezza di un percorso solo se possediamo uno strumento preciso o almeno un criterio approssimativo per misurarla. Ogni metrica della semplicità. o. come nel no~ilro caso, della «via più breve» poggia su qualche presupposto di economia. Ma vi sono almeno due modi di intendere rcconomia: uno signorile, elegante, matematico sintetiuabile nella definizione «il massimo risultato con il minimo sforzo• - la bolla di sapone è l'esempio emblematico di tale tipo di economia, che si incontra spesso nel mondo della fisica e più raramente in quello dell'attività cognitiva - l'altro è un modo meno elegante, un po' più straccione, e potrebbe c<;scre riassunto cosl: se non cl sono risorse sufficienti bisogna operare le scelte meno dispendiose. non perché siano le migliori o portino al massimo dci risultati, ma perché consentono di risparmiare risorse. Economia applicata per necessità non per scelta, allo stesso modo che in famiglia si fanno dci tagli alle spese perché altrimenti non si arriva alla fine dcl mese. Molle attività cognitive sono costrette a questo tipo di parsimonia: un caso emblematico è quello dell'a1ten1ione, che avendo potenzialità limitate deve decidere in continuazione su quale aspcllo dcl mClndo sintonizzarsi. Ad esempio, non è possibile seguire contemporaneamente due conversazioni: anche se entrambe ci interessano dobbiamo scegliere a quale prestare ancnzione, e di consegue01.a rassegnarci a perdere laltra quasi completamente. Un altro caso è quello dcl pensiero. che spesso utiliua semplificazioni sistematiche (euristiche) dci dati problcmici per giungere, con uno sforzo contenuto, ad un risultato accettabile anche se non sempre correno. Quando parleremo di via più breve nel pensiero visivo. la sua lunghezza sarà misurata sulla base di principi di economia dcl secondo tipo. 2. Il termine «pensiero visivo• è abbastanza vago: è un contenitore in cui possono rientrare cose molto eterogenee. lo lo userò per definire SISTEMI INTELLIGENTI I a. VII, n. 2, agosto 1995 223 quella parte dcl pensiero che usa immagini mentali per svolgere un compito o risolvere un problema. È chiaro quindi che si tratta di un ampio settore di quell'attività cognitiva definita imagery (userò il termine inglese in mancanza cli un adeguato termine italiano, io accordo con Giusberti 1991). 3. Prima di parlare del ruolo diverso che la parsimonia gioca ai vari livelli di quei settori dell'attività cognitiva a cui appartengono percezione ed imagery. devo introdurre brevemente una distinzione, cara a Kani1.sa e che sarà utile anche a noi: quella fra «vedere» e «pensare» (racchiuderò sempre i due termini fra virgolclle per ricordare che non sto parlando del vedere e del pensare in senso generico, ma nell'acce1ionc, sostenuta da Kanizsa, in cui «vedere» indica un'attività percettiva prccategoriale e preattcntiva, che elabora in maniera autonoma l' input visivo, e «pensare• indica un'attività dei processi superiori o secondari sul frutto dell'elaborvJone primaria). Kanizsa in piò occasioni (1980, 1991). Kanizsa e Luccio (1985, 1986) hanno mostrato in maniera convincente come sia facile trovare configurazioni percettive in cui il verificarsi di qualche tipo di regolarizzazione, dì economia io una direzione. provochi nello stesso tempo l'annullamento di qualche regolarità già esistente (illusioni di Hcring. Poggendorf, ZOllner. ccc.); per cui Kani1.sa e Luccio arrivano alla conclusione «che l'unico effetto constatabile di una fona che spinge verso un miglioramento è un peggioramento,. (Kanizsa 1991, 140). Quando Kohler afferma che nella visione il cerchio è una forma unica per le sue proprietà (cii. in Kanizsa 1991, 11 1) non si può che essere d'accordo, ma nello stesso tempo ci si può chiedere fino a che punto questa affermazione sia vera. n suo grado di verità dipende dal tipo di rapporto che devo intrattenere, o dal tipo cli operazione che devo cffclluarc con quella figura. Se infatti dovessi ricavare «l'unicità• dcl cerchio dalla accuratezza con cui riesco a svolgere certe operazioni motorie nei suoi confronti, come toccarlo, evitare di andarci a sbattere contro, afferrarlo fra altri oggetti, spostarlo da un luogo ad un altro ccc., mi renderei conto che, per queste operazioni. il cerchio non è diverso da altri «oggetti visivi sconosciuti, senza signifacato. ma perfettamente visibili e stabili per forma, colore grandezza, rapporti spaziali» come quelli di fig. I. Le cose mutano radicalmente, il cerchio diventa effettivamente «unico» come figura, se cambio il tipo di operazione da svolgere su di esso: se devo descriverlo, o memorizzarlo, o usarlo per costruire immagini mentali, allora sl che il poter trattare con un cerchio fa la differenza. Si potrebbe allora pensare che l'unicità dcl cerchio sia una caratteristica che l'attività percettiva, il processo primario, seleziona per soddisfare esigenze di economia dei processi secondari. Il cerchio sarebbe allora una fom13 unica per il linguaggio. il pensiero, la memoria, ma non per l'atlività motoria. L'attività percettiva ha almeno due scopi distinti: t) fornire le informazioni utili per calibrare 224 o ftG. I . ~g~e.lti visivi ~ac!lmente ca.leg_orinabili e quindi descrì"ihili (in alto). Oggclli vmva scc>noscauh. senza s1gmf1ca10. ma pcrfcllamente visibili e stal>ili per forma. colore, grandezza, rapporti spa1.1ali (in basso) (da Kaniz.sa 1991 ). e direzionare l'attività motoria, specie quella \'Cloce; ii) predisporre e organizzare l'informazione pro\'enicnte dall'esterno, in maniera 1ale da renderla adatta alla conoscenza e alla manipolazione da parte dci processi di livello più allo. 4. Sulla base di tale dislirvionc e dcl presupposto secondo <:ui il sistema cognitivo ~ fondato sul risparmio a tulli i livelli, si può notare che la tendenza alla parsimonia è 1anto più stre11a e tanto più rigorosa man mano che si sale dal processo primario, che opera le prime elaborazioni sui dati sensoriali, ai processi secondari. che utilizzano il s~milavorato dci rendimenti pcrceuivi per ulteriori operazioni cognitive. Sr potrebbe allora sostenere che le a1tività cognitive di livello più allo. quali pensiero. memoria, linguaggio, sono avare mentre la percezione, almeno a certi livelli, è prodiga. Per capire che cosa inlcndo con questa affermazione basta una semplice \'eri fica. Se ad esempio guardiamo un sellore dcl nostro mondo quotidiano e proviamo ad enumerare tutto quello che vediamo, ci rendiamo presto conto che l'elenco che possiamo fare, qualora la nostra esplorazione non venga interrotta, è potenzialmente lunghissimo. Se invece dopo un'osservazione anche lunga e ripetuta giriamo le spalle a ciò che stavamo guardando e proviamo a fare un analogo elenco di oggetti e loro attributi, ci rendiamo conto che gran parte della ricchen.a di informazione che prima era a nostra disposizione è sparita, e il nostro elenco risulterà di una brevità sconcertante. Assumiamo, provvisoriamente, una priorità dcli· attività motoria su quella conoscitiva. La percezione è l'interfaccia che media il modo con cui entriamo in contallo con il mondo esterno. Questo mondo è complesso. ricco, articolato, confuso, molteplice. inatteso. dinamico, mutevole ccc. ecc. La probabilità di sopravvivere in questo mondo dipende da due 225 ordini di fatti: il dalla quanlilà di informazione che riusciamo a raccogliere e a_d elaborare nella minor quantilà di lemQ_O; Odalla veloc~I~ con cui riusciamo ad emettere una ris~sta motoria, mirata con prec1s1ooe, sul segmenlÒ di realtà con cui stiamo misurandoci i~ _9!!el mo?'en~o. La percezione, al suo primo stadio, per essere uule deve nuscire a raccogliere e ad elaborare una grandissima quantità di dati e lo base a questi attivare una risposta motoria li piil possibile veloce e precisa. Una volla che questa risposta è stata emessa, i dati raccolti possono essere rimossi in tutto o in parte; anz.i, devono essere rimossi perché il gioco possa ricomfociare un istante dopo. Se solo consideriamo la quantità di informazioni, di giudizi e di risposte che permettono ad uno schermidore, a un giocatore di tennis o agli allori di qualsiasi allra competizione sportiva le loro veloci e precise prestazioni, ci rendiamo conto della grande quantità di dati che viene raccolla e della precisi.on~ con cui vengono elaborali. Ma possiamo pensare anche a prestazJOnt meno estreme e più quotidiane, come ad esempio rifare un letto, sparecchiare e apparecchiare la tavola, lava.re i piatti senza romperli, guidare l'auto o andare in bicicletta nel traffico, discendere, più o meno di corsa, da un pendio scosceso. In gran parte di queste attivilà, inoltre, la risposta motoria viene emessa senza che il frutto completo dell'~labora­ zione percettiva raggiunga il livello della consapevolezza. D1 questa fase dell'attività percettiva non sappiamo mollo, perché è stata poco studiata e perché è difficile da studiare; ciò nondimeno sono propenso a ritenere che essa utilizzi molte delle informazioni locali elementari, fisiche dello stimolo, soprallullo a livello quantitativo; che sia cioè un processo sostanzialmente o prevalentemente dissipativo. Infatti una volta emessa la risposta motoria, la maggior parte delle informazioni elaborate decade; forse solo una piccola parte, opportunamente riorganizzata, è messa a disposizione delle attività cognitive di alto livello. Definirei questa come «percezione attivl!lt. Definirei invece «percezione contemplativai. quella che noi conosciamo, abbiamo _studiato, continuiamo a studiare e a ~fo deJle nostre leone. I risultati di questo up() di percezione non sono valutati verificando l'adegua~risposta motoria, ma verificando la correuezza e/o la velocità con cui sono compiute operazioni mentali di alto livello come giudizi, confronti, scelte, riconoscimenti, valutazioni, categorizzazioni, descrizioni verbali. Ma questa è solo una metà, sicuramente molto importante, della perce1Jooc: è quella al servizio delle attività cognitive superiori, quella che produce risultati coscienti, qu~lla più facile da studiare, quella che ha trovato nel metodo fenomenologico una delle procedure più promeuenli per la sua comprensione. Volendo adottare la distinzione di Kanizsa, dovremmo dire che la percezione alti va fa parte del «vederci. e quella contemplativa del «pcnsareit. Ab~iamo dello che la percezione attiva è dissipativa in quanto conserva a livello consapevole assa.i poco di quanto elaborato in funzione della risposta f 226 motoria. La percezione contemplativa è invece necessariamente conservativa: la maggior parte delle informazioni che utilizza sono c_<>~~pevoli e ~s~no essere immagazzinate. richiamate, manipolate, nuu.hz~~e, cosL1~u_iscooo ci~ il ~ateriale su cui poggerà gran parte dcli amv11A cogmllva superiore. l:. a questo livello che il sistema ha bisogno di fare più economia. perch~ quanto più le informazioni percettive saran_no ben org~nizzate, semplificate. ordinate. categori1..za1c, tan10 megho saranno ricordate, potranno essere richiamate ed utilizzate dal pensiero, diventare oggetto di un discorso. componenti della comunicazione, e.- perc~é no - oggetto degli studi sulla percezione. Il processo che Karuzsa chiama del «pensar~ e che va dis1in10 dal «vedere» interviene in quasi tuui gli aspetti della percezione consapevole; la fatica di Kani7.s~ nel separare i due processi può essere conseguenza dcl fallo cl_1e egh cer~ava di operare questa distinzione su esempi di percezione g1à elaborati per essere adatli ad operazioni di più alto li\'ello. Porrebbe essere questa anche la ragione della fortuna che hanno avuro e conlinua: no ad avere I sostenitori della pcrcc1ione come processo completamente o parzialmente inferenziale (Mili 1842, 1843; Hclmholtz 1867; Arnhcim 1954, 1969; Gregory 1966, 1970; Rock 1983. 1984; Diedcrman 1987). 5. Lo schema grafico di fig. 2 sintetizza quanlo dello finora.' La logica souoslante a questo schema è quella della modularilà della mente (Fodor 1983), mentre la metafora su cui si basa il suo funzionamento è quella degli specchi semitrasparenti inclinali di 45°. Le lince sulla sinlso:a ~i fig. 2 n!os~r~no le info~ma1ioni in cn1ra1a registrate dagli orgaru d1 senso penfenca; esse raggiungono un processore che funziona come uno specchio semitrasparenlc (SI), che lascia passare le linee verso destra e, allo stesso tempo, le devia verso il basso. Le lince che proseguono verso destra sono il risultalo di processi di riorganizzazione e ristrullurazionc che approderanno al rendimento percettivo. Le linee deviate verso il basso connuiscono ndl' elaboratore delle risposte motorie veloci; sicuramente anche in questo caso si allivano dci processi di riorganizzazione (penso soprattutto alla segregazione figura-sfondo e ai completamenti), ma probabilmente vengono conservate anche molte infom1azioni elemenrari e locali. Siccome, però, non so come vadano veramente le cose a questo livello, la trasform37ionc è rappresentata solo mediante un diverso spessore delle lince'. Tullo quanto avviene a livello di SI, per esigenze di velocità, non è trasparente alla consapevolezza. RM rapprescn1a la risposta motoria. F..ssa si diparte in due: una linea continua che va verso gli organi cffellori cd una linea trat1eggia1a che porta qualche tipo di ioforma1ione al magazzino della memoria 1 Ci sono dci contribuH che hanno dislinto. all"interno della cogn i7Jone spaziale. un~ componente _sensoi:notoria ed una cogmliva: Dridgcman. Kirch e Spcrling (1981 ), Bndgeman. Lcw1s. lle11 e Nagle (1979). Paillard (1987). 227 V- -.. . -li ....-.. . . -·----.--------------------, _'-\ I I I ...···· I l : I ·. MLT ..'........ AM ~ .........1. motot11 ····-··t LT Fro. 2. Schema delle reln1ioni fro percezione e lmaguy. Spiegazione nel testo . motoria a lungo termine. li frutto dcl lavoro di organiz.zazione rx:rcettiva primaria, preattcntlva, Incapsulata è rappresentato dalle lince onzzonlali che vanno verso l 'arca punteggiata a destra dcl granco, arca che rappresenta la memoria di lavoro secondo il modello di Daddcley ( 1986); tali linee sono In numero minore rispetto a quelle proven.ienU dalla sinistra di SI, perch~ molle di quelle inrormazlonl elementari sono state riorganizzate e hanno dato ori gine a nuove strutture. ad un tc.mpo più semplici e più ricche (lince di diverso spesso~e). Le 1nrormaz1onl cosl ristrutturate incontrano un altro specchio semitrasparente (S2), che~: trcbbe corrispondere al «visoni buffer» di cui parla Kosslyn, su cui s1 disegna il rendimento pcrcellivo di cui l'osservatore è consapev0Ie1 • Le lince che danno rorma al rendimento percettivo In parte vengono lasciate passare da S2 e connuiscono nel vis110-~patial sket~/1 p_ad, cd in parte vengono deviate verso il basso e connu1scono nell ar11co/atory i Kosslyn (1980) in hase nd un'ampia serie di esperimenti hn pr~posto un modello computazionale dcl sistema immnginntivo. Secondo questo modello al sistemo opererebbe in base n regole proprie e il medium in cui si costituiscono le i~1mn~i?i ment~li è definito come visual b11ffercd è cnrnttcrizzato dall'avere delle proprietà d1 tipo spaziale. 228 loop, in accordo con la teoria ddla «111c11m1 ia <.li larnrn» di Oaddclcy ( 1986). Questi due ulteriori processori selc1iona11n e riorganiuano ulleriormentc le lnrormazioni ed infine le inviano al magnzino della memoria a lungo termine (MLT) 1• La dire1lone delle frecce indica la direzione obbligata dcl nusso di informazione che va <.lalla rcgisLra7ione sensoriale alla MLT; le frecce che vanno invece dalla MLT all'arca della memoria di lavrn o e precisamente al 1•i.wo-.çpatial sketch pad e ali' articolatory loop e che da questi ritornano al buffer visivo (S2) schcmaUzzano il processo di formazione delle IM. Lo schema mostra che l e IM possono essere ronnate solo ulilizzamlo il materiale gill organizzato, strutturato cd cconnmil:amente sintctit.zato dai processi situati dopo S2: il processo di forma7..ionc delle IM non può proseguire retroattivamente fino a modificare o assistere a quanto avvi ene in SI. in accordo con la constatazione che l e IM possono utili7.7are solo gli oggetti renomenlci e non gli stimoli fisici (Massironi 1995). Come abbiamo già detto, il bisogno di economia e di parsimonia cresce man mano che ci si sposta dal processi primari a quelli secondari: questi ullimi infalli operano su daLì via via sempre più organizzati in base a regole precise che stabiliscono quall lnformnzioni possono andare perse , e quali devono essere conservale. Tre esempi : I) a livello percellivo il colore è definito da tre dimensionJ: tonalità, saturazione e chiarcna. Il processo di ca1egorin:1zionc dci colori opera invece solo in base alla tonalità (è infalli in base a questa dimensione che vengono dati i nomi ai colori); O:iddelcy ha proposto un modclloJi memoria 3 hr.:\'c l~rnunc definita. •memoria di lavoro• c he ha come compito il mantcnimc1110 e l' clJhora1ione temporanea dcli' informa1i1111c. I.a •memoria di lavoro .. ha un:i ~lrullur:i i:ciarchica costituiln da un •esecutivo centrale• che coordina un insieme Ji sottosistemi i più importanti dci quali sono I' articolatory loop e il 1•is110-spatial skt:t('/i pnd. il p111no svolge il compilo di mantenere e modificnrc l'infnmrniionc verhale mentre ìl sccom.lu opcrn sull'informazione visuo-spazialc. Questo modello di memoria a breve termine prevede che esistano due modi distinti di codifica dcll'inforrn:iJ:ìOnc in cnlratu (visivo e vcrbnlc) a cui corrispondcrchhero due modi scpnrati di rapprcscn1a1ionc ~ia nella memoria a hrcvc termine (Dnddclcy 1986) che in quella a lungo tea mine (rniviu 1971, Kosslyn 1981 ). I due subsistcmi, pur indipendenti. sarchbcro olt:1111cnlc interconnessi per cui l'infor. mazionc può essere trasferita molto facilmente dall"uno all"nllro Questo passaggio è Slalo definito vis11al ruo1ltng o 1•ubal rcroding. Ciù vuol dare che J'esi~tcn1.a di un primo stadio di codinca non preclude fo ricodifica visiva dcl mMcriale verbale o. viceversa, la ricodifica vcrllalc del materiale visivo . TcncnJn conto delle opcr:11joni di rccoding ho ritenuto opp()rtuno di non far coincidere. nel 11110 ~chema. il visua/ b11ffer di Kosslyn con il vis110-spatinl sknrlr pad di Dntldclcy contrnrìnmcnte a quanto sostenuto dalla maggior parte della lettcr:uurn sull" arg11mc1110 I nfnlli se il 1•is11al b11ffrr è il medium in cui si costituiscono le immngini mentali dal momen to che esse possono essere attivate sia sulla scnrta di infornrn7.i1111i vi~ivc che di informazioni verbali il visunl buffer deve trovarsi necessariamente In unn po~i1.ionc intermedia tra - e quindi esterna ad entrnrnbi - i suhsis1cmi che codifica no l'111fomin1ionc in entrata. /'articolntory loop e il 1•is110 -spa1ial sketrli pad. 1 229 2) gli oggelti della nostra esperienza sono dcfinili, a livello percettivo, In base a molte caratteristiche quali forma, dimensione, orientamento, ma la ca1egorl7.za1.lone, I' aurlbuzione delle etlchetle linguistiche a gran parie degli oggetti, nel momento In cui ne abbiamo un'esperienza pcrccttlva diretta, viene fatta quasi esclusivamente In base alla forma (Landau, Smllh e Joncs 1988; Landau e Steker 1990; Levora10 e Masslronl 1991). Praticamente non esistono, se non In casi mollo particolari come «microrganismo» o «cucciolo», concetti che raccolgano gli oggetti In base ad esempio alla loro dimensione; 3) a livello percettivo riusciamo a distinguere egualmente bene forme regolari cd irregolari, segmenti orientati secondo gli assi orizzontale/verticale o secondo altre Inclinazioni. In genere riusciamo a fare delle valutazioni piuttosto accurate su tali aspetti quando possiamo osservare direttamente gli stimoli, e soprauutto non sbagliamo se dobbiamo agire su di essi; ma se le stesse valutazioni le dobbiamo rare in condizioni di memoria differita, cl rendiamo subilo conto che tali operazioni potranno essere svolte solo se gli stimoli sono regolari, simmetrici, semplici, se gli angoli sono ortogonali, I segmenti paralleli ecc. (Goldmeier 1982). Mi sono dilungato nella descrizione dello schema di ng. 2 perché sarà utile in seguilo per capire alcuni passaggi delicati Inerenti alla produzione e all 'utilizzazione delle Immagini mentali. 6. Se quanto detto fino ad ora è verosimile, ne consegue che quando la via seguita dal pensiero visivo nell'affrontare alcuni problemi è panicolarmente breve ciò non vuol djre che sia anche la piil elegante e produttiva, ma che sono presenti dei vincoli Imposti dalla limitatezza delle risorse cognitive disponibili. A mio parere c'è una differenza sia quantitativa che qualitativa fra Il modo In cui opera il processo primario, sui datl di sua pertinenza, e Il modo In cui operano i processi di piil alto livello su dati che sembrano essere gli stessi - ma che di fallo non lo sono. Non lo sono perché le uniche aperture che i processi di alto livello, come Il pensiero. hanno per raccogliere le Informazioni esterne, passano sempre cd inevitabilmente per Il sistema percelllvo, li quale, nella fase primaria del processo, non può esimersi dall'elaborazione, organizzazione e ristrutturazione del dati in entrata. Tale elaborazione obbedisce a regole inevitabili, incapsulate, veloci e comuni a tutti ed è solo sul risultato di queste operazioni che potranno operare I processi di plil alto livello. Siccome non siamo consapevoli delle operazioni automatiche che il sistema percettivo compie sul dati sensoriali, è facile pensare che esse consistano nella registrazione fedele dci dati stimolatori, che potranno essere trasformati solo successivamente da operatori di plil allo livello. Invece è ben noto che le cose vanno in maniera diversa: lattività percettiva svolge operazioni molto complesse di riorganizzazione dcl dati, e tali operazioni, In accordo con l'ipotesi della mente modulare (Fodor 1983), sono impermeabili ad Interventi, Influenze e correzioni 230 da parie dci processi di piil alto livello quali pensiero, memoria. linguaggio. Se le cose stanno cosl, deve essere possibile trovare delle situazioni che consentano di rare dci confronti diretti fra i due processi. Solo quando, lavorando sullo stesso materiaJc sperimentale, pur adattato alle due procedure, verificheremo che il «vedere» e il «pensare» divergono, approdando a rlsullatl differenti, avremo una prova della loro Indipendenza. Se Invece viene esplorato solo uno dcl due ambill Indipendentemente dall'altro, è facile che lo spcrlmcntnlorc, sulla base delle sue Ipotesi e dcl materiale scelto, l'accia, come è spesso accaduto, delle gencrall1.zazionl sulla sovrapponibilità dci due processi. L•ambiio di ricerca a cui farò riferimento è quello delle immagini mentali (d'ora in avanti IM). che costituisce una regione di confine iç cui convergono aspetti della percezione, dcl pensiero, della mcmorltt;'un ambito ancora in ebollizione e che si arricchisce conlinuamcn1e di nuovi contributi. Prenderò In considerazione due punti che ricnt:ano in modo diverso In quel terreno di discussione che riguarda I' ana!ogia fra i111ngery e pcrcei.ionc, oppure. che per certi versi è lo stesso. fra «pensare» e «vedere». Credo infatti che la distinzione sostenuta <!a Kanilsa si possa estendere agli studi sulle IM, in cui è altrellanto necessario distinguere con precisione, e separare con chiarezza, la percezione dall 'i111(1gery1, SI traila infatli dello stesso tipo di problema, che porla allo stesso tipo di confusioni e di errori. Nelle pagine che seguono i due aspclli dcl «vedere vs. pensare» e della «percezione vs. i111ngt'I)'» verranno traltati come una cosa sola. Parlerò quindi dci risultati ollcnuti da due programmi di ricerca. Il primo riguarda la rcintcrprclllhìlilà delle irnmagìni mentali e la creati vità in ambito di im<1gery: a lalc proposito farò ri ferimento in particolare ad alcuni lavori di Finkc ( 1989. 1990). Il secondo riguarda la possibilità di ricavare melllahnente la strultura tridimensionale di un oggcuo sulla base dell'osservazione frammentaria di alcune sue facce. e riguarda quindi la possibilità di ricavare lnfonna1.ioni su parti dcli' oggetto mai osservate dlrctl amentc; In questo caso farò rifcrimen10 al lavoro della Coopcr ( 1989, 199 1). 7. Non avendo condo110 le opportune verifiche sperimentali, ricorrerò ad un metodo non proprio ortodosso: quello di chiedere la collahorazionc dcl lellore, il quale dovrebbe assumersi l'onere di fare da soggello, per verificare mediante I' autosscrvazione se quanto andrò dicendo si rlncuc nella sua esperienza. SI tratta di un metodo che ~ stato utilizzato da Kanizsa In numerose occasioni, sopra11u110 quando il materiale illustrativo era cosl autocvldcnlc da conscn1irc al lcllorc di osservare direttamente il fenomeno trattalo e perciò di comprendere e condividere le argomentazioni dell'autore. I lcllori diventavano I soggclll di un esperimento che non aveva avuto bisogno di soggclli ad hoc, pcrch~ i risultati si ripetevano per ogni lellore e ad ogni rilc11ura. Anche Doni (1989) ha so11olinca10 l'uti lilà e a volle addirillura la funzionalità 231 dcli' introspezione e dcli' autosscrvazione nella verifica dirella dì cerle allività dì pensiero. Un po' tranquillizzalo su questo punto delicato, vado a cominciare. 8. Una polemica che ha aoJmato li recente dìbattJto sulle lM riguarda la loro reinlerpretabililà. Accenno sintctlcamenle al terminJ dcl djbattlto solo per quanto riguarda quegli aspetll che possono essere uUll al presente discorso. Nel 1985 Chambers e Reìsberg avevano verificato che in modalilà immaginativa non si verificava l'Inversione di figure ambigue del Upo oca-coruglio di Jastrow, e ne avevano trauo l'affrettala conclusione che le IM non possono essere reinterpretate. Successivamente gli stessi autori (Chambers e Reisberg 1992), anche sulla scoria dei risultati ottenuti da Drandimonte e Gerblno (1993), Drandimontc, Hltch e Dlshop (1992a, 1992b), Hyman e Nelsser (1991), Peterson et al. ( 1992) hanno ridcfinilo e precisato la loro posizione. Nel frattempo Finke e i suol collaboratori (Finkee Slaylon 1988; Finke, Pinkere Farah 1989; Finke 1989. 1990) avevano condollo una serie di esperimenti Lesi da un lato a confutare le affermazlonJ di non-relnterpretabilità delle IM, e dall'altro a dimostrare che nell'ambito dell'imagery è possibile trasformare, fondere. modificare, adattare mentalmente oggcLU o figure immaginate In modo da ottenere nuove IM di figure e di oggetti creativi ed lnauesl. Descrivo l'esperimento di Finke e Slayton (1988) che costituisce Il prototipo a cui si sono rifatti lutli I successivi esperimenti del programma di ricerca sulla imasery creativa. I soggetll dovevano dapprima memorizzare certe figure geometriche semplici, linee e caratteri alfanumerici (vedi fig. 3). All'inlzjo di ogni prova, gli sperimentatori chiedevano al soggetto, che teneva gli occlù cWusl, dj rievocare Ire degli e lementi memorizzati, ad esempio «quadrato, quadrato. numero 0110,.. Il compito consisteva nel costruire, montando mentalmente i tre uva è8 lellcra ..,y,. numero «8• cerchio giradischi g cerchio quadralo rellangolo a decorazione per l'albero di Natale e gil)CO dcl croquet )...mn linea lellara ,.J,. cerchio lcllcro •T• lcllera .,p,. numero ..g,. casa vollo sorridcnle [j c1uadrato quadrato triangolo ® cerchio lcllcra ..o.. numero .,3,. .: b OD~ 0D I LT C T 8 X VP Fm. 3. Parti usate negli esperimenti sulla sintesi mentale c.realiva. Le parti erano ddlnite con i seguenti nomi: cerchio, quadrato, triangolo, rettangolo, lettera •D•, linea verticale, linea orizzontale, leuera •L•, lellera «T•. lellera «C•, lellera «h, numero «8•, lellera ..x,., lettera «V•, lellera ,.p,. (da Finite e Slayton 1988). 232 cono gelalo bandiera cerchio lellcra ... v,. lellcra «C» linea cerchio quadralo p 9 Fio. 4. Esempi di oggetti che sono stati classificati come non creativi (in a) e come c reativi (in b). Sollo ogni disegno sono riportale le pani usate per la sintesi mentale (da Finlce e Slayton 1988). 233 elementi, uno o più oggetti rlconoscibill. Le parti nominale dallo sperimentatore potevano essere modi ncatc nel le dimensioni. nell' orientamento e nella posizione. ma non nella forma. Si richiedeva che l'oggeuo. risultalo della sintesi, fosse un oggello che un' alLra persona avrebbe potuto riconoscere. Non c'erano oggelll-target previsli a priori dallo sperimentatore, e In questo risiedeva uno degli aspetU c1l originalità dcl compilo. li soggello aveva due mlnuU di tempo per svolgere la prova, dopo di che doveva scrivere Il nome degli oggctll immaginati e poi doveva disegnarli. Successivamente, un gruppo di giudici valutava sia Il grado di corrispondenza fra disegni e definizioni , sia Il grado di originalità dell'elaborato. Dai rlsultaU è emerso che I soggetti avevano costruito mentalmente oggetti riconoscibili nel 40% delle prove, e che fra queste Il 15% erano particolarmente creative (vedi fig. 4). Sulla base di questi risultati gli autori sono glunll alla conclusione che I' imagery è capace di sintetizzare cd esplorare combinazioni creative di parti , nno ad ouencrc forme e pattern slgnilìcaUvi ed Imprevisti, in analogia con quanto si riesce a fare con gli oggetti reali. Successivamente Finkc ha utilizzato un diverso set di figure (Og. 5) per condurre un' a lira serie di esperimenti sull a creatività nell' imagery (che egli ha definllo: «Invenzioni creative libere» e «vincolate»; «separazione fra sintesi creative cd Interpretazioni»; «produzione di forme pre-lnventive mediante il gioco combi natorio»; «posslbililà di scoprire, operando sulle forme pre-lnvenlivc, nuovi concelll e principi»). Ma ciò che interessa Il presente discorso non riguarda i risultati ollcnuti da Flnke e dai suoi collaboratori, quanto piultos10 un'analisi del processi che si può pensare siano alla base dell'esecuzione dei compiti proposti. L'a11endibililà di un esperimento dipende dal grado di necessità che lega le premesse al risultali. Nel gioco dell'esperimento, le premesse sono Impersonale dalle variabili Indipendenti, le quali di solito sono accettate senza essere sottoposte a critica, In quanto frullo della libera scelta e della creati vità dello sperimentatore. Fra le companenti di una variabile indipendente un ruolo fondamentale è giocato dal materiale utilizzato. Il quale, se consente da un lato di rendere esplicito e verificabile un problema, dati' altro nasconde altri problemi, che un diverso materiale avrebbe consentilo di mettere in luce. La domanda che pongo è: in che misura I rlsultatl ottenuti da Flnkc dipendono dal materiale utilizzato (vedi ngg. 3 e 5)? Gli esperimenti di Finke fu nzionano perché il materiale che usa, le figure fatte memorizzare ai soggclli, rispetta del vi ncoli prcc i ~i, che sono: I) le figure devono essere facilmente memorizzabili: devono infalll possedere quelle carallcristiche di regolarità, di semplicità, di consuetudine (esempli fi cate dal caratteri alfanumerici) che consentono loro di essere ricord ate In tulle le loro parti. Devono cioè sottoS1arc ai limiti di economia Imposti al materiale visivo dal processi mnestici (Goldmclcr 1982); 234 o ? ~· f io. 5. Parli usale da finkc negli espcrimenli sull'invernionc nelle lrnmagini menlali. Le varie parli crono dcfinilc con i scgucnli nomi: sfera. semisfera, cubo, cpno, cilindro. rilo mc1allico. lubo. quadralo piallo, mensola. blocco rcLLangolare. uncino. ruote, croce, anello, maniglia (da finke 1990). 2) le figure devono essere univocamente dcfinilc da un 'cti ~hclla verbale conosciuta o Imposta d allo sperimentatore in fase di apprendimento del materiale. Devono essere membri protolipicl di una specifica categoria figurale. La categoria prescelta a questo scopo è quella delle figure geometriche piane e regolari. Anche in questo caso le. figure scelle obbediscono ad un principio di economia e di scmpllncazlonc. che è quello che regola i processi di ca1egori1.zazione; 3) le figure devono essere accuratamente riproducibili in maniera non ambigua. PolcM la variabile dipendente è il disegno dcll'oggcllosintesl Immaginato, in esso devono essere riconoscibili con certezza le tre parti costituenti. Anche in questo caso il vincolo economico è quello della semplicità, dal momento che le figure complesse non possono essere né ricordate, né riprodotte in lulU i dettagli. Dati questi vincoli , risulla evidente l'Impossibilità di replicare gli esperimenti di Finke utilizzando il materiale ngurativo di flg. 6. Eppure, se pensiamo al tipo di prova previsto, qucst' ull i1110 malcrlaJe dovrcb· be rendere il compilo più facile e quasi automatico. in accordo con le osscrvvjoni di Teofraslo da lulli noi verificate dirctlamcnte. Teofraslo, ripreso in molle occasioni cd in particolare da Leonardo'. proponeva • •Non resterò di mellcre fra questi precetti una nuova i1wcn1iunc di spcculn1innc, la quale, benché pala piccola e qua51 clcgna di riso, nnndimcno è di grande ulilitll a dcslJlrc l'ingegno a vorie invenzioni. f: questa è 5c lu riguarderai in alcuni muri im brall3li di varia m11cchic o in pietre di vari 111is1i ... potrai Il vedere simililudini di diversi pncsi. ornali di monlogne. fiumi. sa5si, alberi, pianure grandi. valli e colli in 235 < Fio. 6. Parti eh~ no~ potre.bbero essere usale in un espcrimenlo di sintesi rncnlale perché dLffic1ll da ricordare e da descrivere. come utile esercizio dcl vedere e dcll'lnven1are, quello di fermarsi ad osservare nuvole, macchie di umJdltà sui muri, crepe sull' lnlonaco o sul fango, per vedere il fonnarsi autonomo e quasi automatico di scene diver~e. comrlicatc ed ina11ese, originali e produttrici di meraviglia. . F1~ke cluedev.a ai suoi soggetti proprio di scoprire, mediante l a s 1~t es1 mentale dt figure, oggelll sconosciuti, meglio se Jnallcsi ed ~ngin~ll. Se I' alll vilà di ima9ery riflettesse, Collie è stato soslenuto, I a1Uv11à del percepire, l 'operazione di sintesi mentale dovrebbe essere più facile con il materiale irregol are di ng. 6 che con quello delle figg. 3_ e 5, sopr~tlutto se si tiene presente che le figure possono essere dilatale o ndollc, molale e spostate a piacimento. Ma le cose non s~mbrano ~tar~ in q_uesto modo. Riandando allo schema di fig. 2, Je n strul~ur:iz1on1 c~ns 1derate da Teofrasto e Leonardo si producono solo s.u da~1 s~1111ola1 on provenlenU dall'esterno sintcllzzali e riorganizzall a hvelh d1 SI: è un processo del «vedere» alimentato dalla continua riorganizzazion~ pc~eeul va eh~ oper~ sul dato stimolatorlo e che poi si conclud~ con I attnbuzl~ne d1 un s1gnlficato. Ma a quel punto, per quanto riguarda l a percezione, li processo si è concluso nel rendimen10 fenomenico che potrà essere consegnato alle attività cognitive superiori di~er~i m~i: anc?~a vi. poU:ai vedere dive~se baltaglic ed aui pronti d.i figure strane, a_rie d1 volli ed a~11~ ed in fin.ile cose... Non 1sprcu.are questo mio parere nel quale ti si ricorda che non Il sin grave il femia rti alcuna volta a vedere nelle macchie dc' muri, e nella cenere del fu?co, ~ nuvoli o fanghi, od al tri simili luoghi, ne' quali, se ben s~a~no ~a t~ con~1~crau, tu. lro~cral invenzioni, sl di componimenti di ballaglie, d. a~tmal~ e d. u~r~m1, come d1 van componimenti di paesi e di cose mostruose, come d1 diavoli e s1m1h cose• (Leonardo, Trai/aro della pirwra, par. 63). 236 e su cui l'attività percettiva non ritornerà. pcrd16 deve essere pronta a passare ad una nuova organizzazione di dati. I .'opurn1iom.: tli sintesi Immaginali va prevista da Finke è diversa ri spello alla sintesi dcriva111e dall'organizzazione percelli va. Le operazioni di sintesi I mmagln:Hiva si producono nella parte destra dello schema di lìg. 2: il materiale utili7.zabile è sol o quello molto semplificato e rigidamente strutturato dalle regole di codinca, che ne permettono l'immaga7.7.inarnento nella MLT e l a manipQl azlonc da parte dcl pensiero. La tlifferenza rra i due tipi di oper azioni emerge anche dall'esame introspctlivo dcl diverso grado di difficoltà che si incontra nell'esecuzione dci tluc compili. Quello di osservazi one delle nuvole è facile, automatico, adtlirittura tlivcrtcnte cd i risultali sl impongono In huon numero con facilità e «naturalezza». Quello proposto da Finkc è faticoso, lento, volontario. prevede un notevole impegno attenlivo e i risultati sono poco numerosi. Le regole che presiedono allo svol gersi dcl lavoro di sintesi immaginativa non sono l e stesse che operano nella sintesi pcrccllìva. Nel primo 'aso il lavoro di sintesi può avvenire solo nelle condizioni di stre11a economia dettale dalle esigenze di alto livello e che Il materiale di finke rispcua. Nel secondo caso la sintesi si compie in presenza di una sovrabbondanza di infonnazioni, che an7.i il lavoro di sin1csi ~ preposto a ridurre e a coagulare. Non avendo (come già dello) dci dati sperimentali ad hoc, propongo tre esercizi, eseguendo i quali ogni lettore dovrebbe verincare, mediante un po' di autosservazionc, l a differenza fra sinlesi pcrcelliva e sintesi immaginali va, o fra «vedere» e «pensare». I compili, simili fra loro, saranno paralleli, cio~ condotti separatamente nelle due modalilà. Esercizio 1. Tenendo coperta la parte destra di lìg. 7, si osservi e si memorizzi l a parte sinistra (a), costituita da un ghirigoro generato da una traccia casuale curvilinea che si chiuuc su se stessa. Successivamente, tenendo coperta l a parte sinistra di fig. 7. si memorizzi la parte destra (b) costìtui ta da un piccolo triangolo equilatero e da un cerchietto posto sulla prosecuzione dcl lato superiore dcl triangolo stesso. Con gli occhi chiusi sl sommino, in modalità immaginativa, le due fi gure in modo che il Lriangolo equila1cro si a tangente con il suo la10 di sinistra ad un punto qualunque del contorno esterno dcl ghiri goro, cd in modo che il cerchietto cada invece al suo interno. o C> b Fto. 7. Materiale dell'esercizio t. Splega7.ionc nel testo. 237 a 1'10. 8. Risultali della sintesi percelllva. SI vedono due uccelli differenti: ciò~ dovuto al diverso modo con cui le parli di fig . 7a e 7b sono accostale. 1'10. IO. Lo stes~o effetto della figura precedente si produce 311chc usando ghirigori rettilinei. 1'10. 9. Esempi di ghirigori (in alto) che diventano il corpo di uccelli quando vengono associati al triangolo e al cerchio di fig. 7b (al centro): gli uccelli appaiono avere un corpo diverso quando c.mbia la posizione di triangolo e cerchio (io basso). Qual è la ngura che ne risulta? Tutte le persone che In maniera Informale ho so11opos10 a quesla prova hanno dichiarato trattarsi di una fi gura senza significato, risultato della somma delle due conngurazionj date. Ora, se facciamo la stessa opcra1Jone In modalità percettiva vedremo apparire la fi gura di un uccello (vedi ng. 8a). Se si prova a far aderire il triangolino in punti diversi del contorno dcl ghirigoro, non solo cambia 238 Il tipo di uccello che si vede, ma appare addirlllura modi ncala e diversa la forma dcl ghirigoro (vedi fi g. 8b). In ng. 9 sono mostrali altri casi divertenti dello stesso tipo (nella riga In allo sono disegnale le figure semplici, nella seconda e terza riga le fi gure di sintesi). Si può notare inollrc che l'evento si compie non solo con forme casuali avcnli contorni arrotondali, ma anche con forme casuali avcnli contorni rcllilinci (fig. 1O). Questo esempio mostra che la pcrcc1.ione, In maniera Involontaria cd automatica, ricava (come ncll'eserciiio di Teofrasto-Leonardo) nuovi cd inallesi significali anche da fonne complesse, irregolari e sconosciute; cosa che I' imagery non riesce a fare. L'imagery può operare solo con forme conosciute in quanto presenti nella memoria a lungo tem1inc o caricale di recente in quella a breve termine, cd I nuovi significati debbon() essere ricercati in maniera attenti va mente mirata, volontaria cd impegnali va. 239 a b [ flm. 11. Materiale dell'esercizio 2. Spiegazione nel testo. Esercizio 2. Si osservi e si memorizzi, tenendo coperta la parte destra di fig. 11, la configurazione costituita da un poligono biconcavo avente un segmento vcrUcale ali' Interno della concavità di sinistra (n g. 11 a). Successivamente, tenendo coperta la parte sinistra della stessa figura, si memorizzi la configurazione sulla destra costituita da Ire segmenl I fra loro ortogonali in forma di «C• (Og. 11b). Il compito consiste nel meuere Insieme mentalmente, secondo le Istruzioni che seguono, le parti «a• e «b• di flg . 11 , prestando attenzione, sempre mentalmente, al reltangolo compreso fra il segmento verticale e la parte Interna della concavità di sinistra di figura 11 a, che chiameremo «rettangolo critico». SI chìcdc di verificare se, e In che maniera, al mutare della sintesi mentale conseguente al mutare delle Istruzioni, mutano anche le caratteristiche fenomeniche del reltangolo critico. Mutamento fenomenico vuol dire In questo caso che la superficie dcl rettangolo critico può apparire come parte dello sfondo su cui giace Il poligono biconcavo, oppure come parte di una figura fenomenlcamente Interposta fra Il poligono biconcavo e lo sfondo. Potremmo dire che nel primo caso Il rettangolo critico è «vuoto•, mentre nel secondo caso è «pieno•. Il senso fenomenico di tali termini è ben esemplificato In fig. 12, che potrebbe costituire una tavola per l'addestramento degli Ipotetici soggetll di questo esperimento. Le situai.ioni da valutare sono le seguenti : a) accostare la «C» di fig. 11 balla sinistra dcl poligono di fig. 11 a In modo che gli estremi dei due segmenti liberi orizzontali tocchino i due denti, superiore cd Inferiore, dcl poligono biconcavo. Stabilire se il rettangolo critico è e<pieno» o «vuoto•; b) accostare la «C» alla destra del poligono In modo che gli estremi dci due segmenti li beri orizzontali tocchino I due denti superiore ed Inferiore dcl poligono biconcavo. Stabilire se li rettangolo critico è «pieno» o «VUOIO»; 240 pica fio. 12. :r avola di addestramento per l'esercizio 2. Serve per chiarire cosa si deve mtcndcre per .. vuoto• e •pieno•. e) accostare una «C» alla sinistra del poligono come specificato al pu~to a), cd un'altr~ «C», speculare alla prima, alla destra dello slesso poh ~ono come spcc1ncato al punio b). Stabi lire se il rcllangolo crit ico ~ «pieno» o «VUOLO»; d).due «C» devon~ essere accos1ate - sempre con i segmenti liberi - la pnma al lato supcnor.e e ~a ~cco~da al lato inferiore del poligono, in modo c he~ segmenti vcr11ca1J d1 sinistra di entrambe siano allineali con li I.alo verllcalc dcl rcuangolo critico. Sta bilire se il rcllangolo critico~ «pieno» o «Vuoto»; 241 e) tre «C» accos1:11e una a sinistra, una sopra e una sollo al poligono in accordo con te istruzioni n) e tf). Stabilire se il rellangolo criti co è «pieno» o «VUOtO». Ritengo che la maggior parte dci soggelli souoposti a queste prove riferirebbero di non aver ril evalo nessun cambiamcn10 nell'apparenza fenomenica dell'arca considerala; oppure fornirebbero risposte casuali, non corri spondenli a quanto si verifica, in maniera coercitiva, nei disegni che presentano il risultato delle operazioni di sintesi proposte (vedi fig. 13). È facile per tulU constatare che In questo caso il rcltangolo critico muta il suo aspclto fenomenico passando alternativamente dal «vuoto» al «pieno» dopo ogni operazione; ciò accade nonostante che, dal punlo di vista fisico, niente lnlervenga a modificarlo. Questo esercizio costituisce una prova del fatto che, nelle slnlesl immaginative, non possono aver luogo i co111pl e1amenli e l e uninca1ioni amodali allo stesso modo dl quanto avviene in percezione. Esercizio 3. Questo esercl1io conslsle in una 1rascrizionc per imagery di un classico esperimento di Uuncker ( 1929) sul movimento iodouo; quindi dovrehbcro eseguire qucsla prova solo soggclll che non conoscano Il fenomeno. Confido che i lellori che Invece lo conoscono vogliano collaborare ugualmente, assumendo un a11cggiamcn10 il più possibile ingenuo'. Si osservi e si mc111orlz1l prima la cornice sulla sinistra di lig. 14. e successivamente Il cerchlelto sulla des1ra della stessa ligura. Con gli occhi chiusi si immagini di inserire il ccrchicllo al centro della cornice, poi di far scorrere la sola cornice verso destra di qualche cen1imetro; il soggeuo deve dire se, mentre si compie questa tral:formazione mentale, egli nola qualche modificazione a carico dcl cerchietlo . • Fio. 14. Materiale dell'cscrciiio ). Spicga7.ione nel lesto. Fro. 13. Configurazioni risultanti dalle sintesi descritte nelle istruiionl dell'esercizio 2 . li «rellangolo critico• appare alternativamenlc «Vuo to» e cpieno». Spiega1Jone nel testo. 242 ' Si parla di ~movimento indulto• in quei ca~i in cui appare fenomenicamente in movimento la parte dello si imo lo che fisicamcnle sia fcnna e viceversa appare immohile ciò che si muove nella realtà fisica. Duncker ( 1929) presenti> un caso esemplare di movimento indollo che fun1.iona in quc~tu modo, in un nrnhicnlc huio è mostralo un rettangolo luminoso ul cui interno si trova un ccrchicuo onch 'c.~so luminoso. quando si sposta lentamente il rettangolo e si mantiene fenno il cerchicllo si vede il ccrchiello muoversi in direzione opposta a quella dcl rellongolo che appare invece immobile. 243 Se il soggc110 non conosce i risultati di Ouncker e non inferisce la solu1ionc fenomenica, non dovrebbe notare nessuno spostamento. In contrasto con quanto accade In percezione. L ' andamento delle frecce nell a parte destra dello schema di fig. 2 mostra Il perché di questo ri sultato. Le Immagini mentali sono prodotte da Informazioni già presenti in MLT o nella memoria di lavoro, che si costituiscono In S2, ma non possono ollrcpassarlo per attivare dall'interno SI. Se le Informazioni su cui si basa la costruzione della IM sono che Il movimento appartiene alla cornice, esso rimane un attributo della cornlce, che non può essere trasferil o al cerchiello. Le cose vanno invece diversamente a livello percclt i vo: r informazione arriva solo dall'esterno e viene eiabo· rata in base a processi speci fici, nascosti, come dice Culling (1991), nella nostra dotazione biologica. Il risultalo è Incapsulato perché deve essere veloce, e segue un cammino obbligato che l'allività Immaginati· va non può arrivare a percorrere o ripercorrere. I tre cserci1i appena svolii hanno mostrato, anche se non dimostrato, l'csis1en1a di alcune diffcren7.e soslani.iali fra reintcrpretabilità pcrcctliva e reinterpre1abilil à immagi nativa: r) In percezione il materiale oggetto di reinterpreta1.lone può essere notevolmente pili complesso che In imagery; ii) la percezione ra ggiunge i suoi rlsul11111 In maniera automatka e veloce. mentre I' imflRery procede in maniera necessariamente volontaria e l enta; iii) i risultali delle reinterpretazioni percettive sono sostan1ialmcnte gli stessi per tutti i soggetti e dipendono da quel segmento di dotazione genetica condivisa che codinca le regol e con cui vengono elaborati i dall :;ensoriall grezzi; le reinterpretazioni immaginat ive sono Invece sempre differenti fra i diversi soggetti, In quanto dipendono dalle diverse esperienze individuali, dal diverso patrimonio mnestico e dalle diverse dotazioni mentali; iv) nelle rcintcpretazlonl percelli ve si verilicano del fcnomcnJ peculiari. quali il completamento amodalc e il movimento Indotto ma sicuramente anche altri, che non si vcrilicano nelle rei ntcrprcta7.ionl immaginative; v) in imagery i vincoli di economia che determinano la quantità e la qualità dcl materiale 1ra11ato sono molto pii) ri gidi che in perce7.ionc. Possiamo per ora concludere che I termini ~rei nterpretabililà» e «rcinterprclaz.ione» assumono significati diversi nelle due modalità, dal momento che presuppongono processi e ri sultali diversi; diventa allora compito dell' indagine empirica precisare gli aspetti di tale differenza. Non è difficile, scorrendo l a letteratura sulla percezione e quella sulle IM, trovare altri risultati che opportunamente ripensati possano di ventare dci compiti utili a dimostrare che l'i11wgery approda a ri sultali diversi dalla percezione. Ouoni candidali per questo scopo sono i fenomeni di contrasto cromatico: la perdila di regolarità di un esagono a seguito della presenza di triangoli neri sui vertici, come mostrato da Gerbino ( 1978); il modi· licarsi dell'orientamento di triangoli equilateri per cffcllo dell'Inclinazi one di un rettangol o includente, Individuato da Palmer (1989), Palmer 244 e Oucher ( 1981). Il problema ddla reinterp1e1ahili1l\ delle IM, rhistn alla luce della di l fercn1a fra <(vedere» e «pensare•>, conlrihuisce a chiarire la differen7.a fra i due tipi di processo. Anche quando i risultali dcl «vedere» sembrano sovrapporsi u coincidere con quelli dcl «pensare» si tratta di coincidenze fittizi e, contrariamente a quanto ~ stato spesso sostenuto da un buon numero di studiosi di immagini mentali. Per poter discriminare con accuratezza le sottili ma precise differen7c fra percezione e imngery. o fra «vedere,. e «pensare». i! necessario trovare dci compili che consentano dci confronti dirclli fra i risultali ollcnuli nelle due modalità. 9. Un altro modo di utilizzare la distinzione fra «vedere)) e «pensare» è quello di controllare se cl l'ellivamente I ' imaguy l avori come l a percezione e possa quindi avere una fun7.ione vicariante o surrogatoria dcll 'a1U vi1à percettiva, o se invece le IM siano uno strumento dcl pensiero, un tool opera1.ionale, che rispetta l e regole di parsimonia dcl pensiero seguendo i pen.:orsi piì1 hrcvi e 111c110 i111pcµ11a1ivi. seni.a rare sror7i inutili .e non richiesti, come sarebbero quelli necessari a mimare l 'attività percettiva. Vi sono ricerche l ese a sostenere quest'ultimo punto: è il caso di alcuni lavor i di L ynn Coopcr ( 1989. 199 1,) che prenderò in considerazione nelle prossime pagine per solloporli ad una critica si stematica. Il mio punto di parten.1.a è che t 'imllgery, e cioè il pensiero impegnalo a risolvere un problema di n~11ura visi va, non produrrà certe IM se queste comportano un aumento dcl costo cogniti vo e dcl rischio cli insuccesso. anche se il produrre quel li po di IM consentirebbe di supportare l 'ipotesi di una con1inui1à e bi1.lire1.ionalilà delle vie che collegano I' imagery alla pcrce7.ionc. Ln Coopcr ( 1988. 1989) ha uliliz.7.alo un metodo di studio delle IM particol armente Ingegnoso e che. al di là dci ri sultali ollcnuti nei suoi esperimenti, costituisce un malcriale utile per co111prenderc l e procedure seguite dal pensiero vi sivo ne li' affrontare i prohlcmi. Lo scopo della ricerca a cui facciamo riferimento era quello di indagare la nostra capacità di riconoscere oggetti nel loro insieme anche se. come spesso avviene nella vita di tutU i giorni. abbiamo avuto occasione di osservarli solo in maniera frammcnt:iria cd incompleta. Ai soggc111 erano fornite solo informazi oni par.1.iali circa la strullura di un oggcllo sconosciuto; in seguito veniva l oro richiesto di dare giudi.1.i cd operare confronti relativi ad aspelli dell'oggetto che non erano esplicitamente contenuti nelle informa1ioni fornilc. Non entrerò nel mcrilo dci risullati ollcnuti dalla Cooper per quanto ri guarda il ruolo giocato dalle IM nei suoi esperimenti, ma utilizzerò in maniera parassitaria sia il suo materiale che i suoi ri sul tali per portare avanti il discorso che mi interessa sul pensiero visivo e le sue economie. Non avendo fallo gl i esperimenti necessari a provare ciò che Intendo sostenere. devo ulili7.zarc. ancora una volta, il discutibile metodo di i !lustrare la mia cspc1lenza introspettiva 245 Di:ipositiva I: Due proiezioni ortogonali [O] a []0 Pinnla Lulo a CDJO Pronte Oiaposiliva 2: Tena proiezione orlogonale D [2J Risposta errala o b Risposi.a corre Ila b Asson ometria dcl solido corretto Assonomclria dcl dislrnllorc Fio. I S. l!sempio di materiale per il compilo di «Compatibili là ortografica.. Spiegazione nel teslo (da Coopcr 1989). Fio. 16. l!sempio di nwlcriulc per il compilo tli .. riconosci111e1110 assonometrico,.. Spiegazione nel testo (da Cooper 1989). di ipotetico soggetto sperimentale. Chiedo al lettore di fare altrettanto e di verificare se i suoi risultati corrispondono a quelll che andrò esponendo. Il primo compilo previsto dalla Coopcr era un compito di problem solving definito di compatibilittl ortografica: ai soggetti (studenti di ingegneria a conoscenza delle regole e delle procedure della geometria descrittiva) venivano mostrate due figure (vedi fig. 15a) che raffiguravano le proiezioni ortogonali, bidimensionali della faccia superiore e di quella frontale di un oggetto tridimensionale; sulla destra c'era un quadrato vuoto che fungeva da contenitore della proiezione della terza faccia. Il compilo consisteva nel decidere quale di due figure, mostrate subilo dopo le prime, era la proiezione ortogonale corretta del fianco dello stesso oggetto (vedi ng. 15b). A questo primo compito ne seguiva un altro di rico11oscime1110 i11cide11tale, in cui veniva chiesto ai soggetti di decidere quale fra le rappresentazioni assonometriche di due oggetti (l'oggetto target e un distrattore, vedi lig. 16b) corrispondesse all'oggetto presentato nella prova di pro/Jlem solving. L' ipotesi della Cooper era che n secondo compito poteva essere svolto solo se, durante lo svolgimento del primo, il soggetto avesse costruito una sorta di modello mentale tridimensiona- 246 le (d'ora in avanti, 30) dell'oggetto considerato. Pér risolvere il problema di compatibilità ortografica è necessario manipolare mentalmente le immagini stimolo al fine di decidere, dopo una serie di confronti incrociali , quale delle due soluzioni proposte dallo sperimentatore sia quella corretta. Se ci mclllamo negli scomodi panni di uno dei soggetti della Cooper e proviamo ad affrontare qualcuno di questi problemi, la prima conclusione a cui arriviamo è che il compito è piuttosto difficile. Tale difficoltà emerge, oltre che dalla nostra autosservazione, anche da altre eviden7.e: a) gli sperimenlalori hanno dovuto ricorrere a soggclli esperti (si udenti di ingegneria); /J) nonostante ciò, il grndo di accuratezza nelle risposte non è stato altissimo (76,5%): e) il tempo di latenza medio per la decisione è staio di 45 scc. Sorge allora spontanea la domanda: perché questo compito è difficile? Si traila in fondo di aggregare alcune parti piuttosto semplici in un'unica struttura.. È un lavoro che sembra andare nella stessa direzione di molti processi cognitivi. dalla perce1.ione alla categorizzazione. che tendono a meuere insieme parti. dapprima separate, in unii:\ org::mizza1c: ma. come vedremo, non si traila di processi di aggregai' inne dello stesso tipo. Prima di proporre 247 ·. una risposta al quesito consideriamo il problema opposto, quello cioè di ricavare le proiezioni ortogonali partendo dall'oggelto 30: constatiamo subito che questo problema, a parità di complessità dell'oggetto, è molto pili facile. Dato un oggeuo unitario 3D (prendiamo ad esempio uno di quelli della figura I Gb), è abbastanza agevole, in modalità Immaginativa, spostare il nostro punto di osservazione in modo che si venga a trovare di volta in volta ortogonale alle facce che cl Interessano e ricavarne l e viste ortogranche bidimensionali (d'ora in avanti, 20). Ma una volta operato, in maniera abbastanza naturale, questo smontaggio, li percorso inverso, quello di rimontare le varie viste 20, per esempio quelle di ng. I 6a, in un unico oggetto 30 diventa Innaturale e fallcoso. Esaminerò dapprima due ordini di ragioni che contribuiscono a spiegare questa difficoltà, e poi in base a tali analisi sosterrò che Il procedere dcl pensiero visivo nell'affrontare il compito non può essere quello previsto dalla Cooper. La prima ragione di difficoltà dipende dal fatto che un oggello osservato dire11amcnte fornisce, ad ogni spostamento dell'osservatore, un flusso continuo di informazioni concatenate le une alle altre, a volte ritlondanti, per cui è facile sceglierne alcune (le proiezioni delle varie facce) e trascurarne altre. Un numero finito di viste ortografiche invece, anche se teoricamente esauriente per ricavarne l'oggcllo 30, fornisce al sistema pcrce1tivo delle informazioni discontinue, che devono essere rimontate integrando le parti visive che mancano. Ma non è questa la difficoltà maggiore; ve ne è un'altra, che consiste nell'accorpare I differcnU punli di vista da cuj sono slatc proiettale le diverse facce in un nuovo, u1ùco punto tli vista che osservi l'oggetto nel suo Insieme 30. n sistema dovrebbe caricare le viste 20 delle varie facce e poi ruotare opportunamente, ma in maniera diversa. ognuna di esse fino al momento in cui i diversi punti di proiezione in base ai quali sono state ricavate le viste 20 collassano nell'unico punto da cui sarà visto l 'oggetto 3D nel suo insieme. Se l e facce sono tre, il nuovo punto di vista si troverà lungo la traiclloria dcli' asse uscente dal vertice costituito dal punto di incontro delle tre facce rivolte verso l'osservatore. La seconda ragione di diflìcoltà dipende dal fatto che non vi è corrispondenza biunivoca fra oggello 30 e rappresentazione ortografica (2D) delle sue facce. Ciò vuol dire che se partiamo dall'oggetto 3D c'è sempre una corrispondenza uno a uno fra ciascuna delle sue facce e le corrispondenti proiezioni ortogonali , ma che se partiamo dalla rappresentazione ortogonale 20 di una faccia la sua corrispontlenza con una struttura 30 è dcl tipo uno a molli, nel senso che vi può essere pili di una struttura 30 che è corret1amente rappresentata da quella vi sta ortogonal e. Per chiarire questo punto consideriamo i tre solidi di fig. 17. È facile verificare che la faccia anteriore dcl solido A è rappresentata in proiezioni ortografiche solo tramite il rettangolo r; ma anche la faccia anteriore dei solidi 13 e C può essere rappresentata sol o dal rettangolo r; 248 ____,. -- ' ,, n J} J D ~' (' D r h. q t.. 'il fio. 17. Alcu ni solidi diversi (in alto) le cui proiezioni ortogonali di pianta (q) e prospeuo (r) sono invece uguali. ' ~ Y/,.,.11/ quindi se parliamo dai solidi c·~ un solo motlo per rappresentare la loro faccia anteriore. ma se partiamo dal rettangolo esso può corrispondere, secondo le regole delle proiezi oni ortogonali, a molte facce diverse di oggclli 30. Allo stesso modo, il rettangolo piccolo q può rappresentare la pianta di tutli e tre i solidi A, 13 e C: quindi se ad un soggetto sono fornite solo le due visle ortograliche r e q egli 11011 può ricavarne univocamente la terza faccia. Il granco di ng. 18 schematizza quanto dello Cinora: l'ovale 30 mostra l 'insieme di tutte le facce degli oggetti tridimensionali, mentre l'ovale 20 mostra l'insieme délle rappresentazi oni bidimensionali delle singole racce degli oggetti secondo le regole delle proiezioni ortogonali. l'io. 18. Schema delle corri~ponde111,c possihili fra solidi lridi111c11sio11ali (a sinistra) e le proiezioni ortogonali delle loro facce (n destra). Spicgnione nel lesto. 249 \ D [2J \ Fro. 19. Esempi di solu1ioni altema tivc, lutlc corrette, del problema di •COmpatibilitl orlogranca. di ng. 151. Fio. 20. Esempi di solu1,ionl alternative. tulle corrcuc, dcl prohlcrna di • compalihllitll ortografica• di fig. I 6a. Come si può vedere, a ci ascuna faccia A, D, C, ... degli oggelll 30 corrisponde una ed una sola rappresentazione a, b. r, mentre alla proiezi one 20 a possono corrispondere mollepllcl facce diverse A, E. L ... di oggetti tridimensionali, perché uno spigolo Inclinato o curvilineo non può essere definilo da una sola vista se questa è ortogonale al plano su cui giace la linea curva o inclinata. Sono queste le ragioni per cui, per definire completamente un oggetto tridimensionale, occorrono almeno tre vi ste ortografiche, applicando però l'accorgimento che consente di mostrare gli spigoli occlusi mediante linee tratteggiate. Ma questa è anche la ragione che rende cosl sbilanciato il carico cognitivo a seconda che si proceda dall'oggetto alle sue r appresentazioni o viceversa. Sulla base di queste considerazioni passiamo ad esami nare due dci problemi proposti dalla Cooper. Primo problema. ln llg. I 5a sono mostrate l e due viste ortograllche (pianta e prospetto) dell'oggello problema; in fi g. 15b sono mostrate le due soluzioni fra cui scegliere quella corrella, corri spondente alla terza faccia dello stesso oggclto. È facile constatare che oltre a quella propo· sta vi possono essere numerose altre ligure correue. In fig. 19 sono mostrate allre cinque solu1i oni dcl problema, tulle compatibili con le viste ortografiche di lig. 15a. Secondo problema. I n fig. l 6a sono mostrate sulla sinistra la pianta e il fronte dell'oggcllo, sulla destra l a soluzione corrclla. I n lig. 20 sono mostrate alcune delle soluzioni alternative compatibili con le viste ortografiche di lìg. I 6a. Tenendo conto di quanto fin qui esposto, ritengo che l'esecu1.ionc dcl compil o non avvenga prima costruendo l ' l M dell 'oggetto 3D, come ipotizzato dalla Coopcr, poi osservando con l 'occhio della mente l a tcr1a faccia inferita, ed infine confrontando il ri sultato con le soluzioni proposte. 250 La Cooper ( 1989. 96) afferma: (<For thc 111ajorily of 1hc problems, U1e thrce-dimcnsional object corresponding 10 the ori hographics prescn1cd was uniqucly de1er111incd frorn U1e lwo in ili al orlhographic views. given lhc constraints of the task cnvironmenb>. Fra l e ngurc che illustrano l 'articolo non cc n'è nessuna che sia univocamen1c determinala dalle due viste ortografiche iniziali, a meno che la prccisa1ionc «givcn U1c constrai111s or the task cnvironment» non solli ntcnda che si richiedeva la soluzi one più semplice possibile fra quelle compalibili, o che si pensava che in ogni modo l a solu1ione preferita sarebbe s1a1a certamente la più semplice. I n questi casi, però, sarebbe staia necessaria una definizione di semplicltil; che d' allrondc non avrebbe cl i 111i nato le di rncollà i ncrenli alla costrutionc dcli' I M dell'oggetto 30. Tali di I ncollll possono essere ri assunte in quallro punii : I ) dover far convergere I punii di visla rcla1ivi alle tre facce in un unico punto di vislo rclalivo all'intero oggetto 3D; 2) dover procedere, per passare dalla proiezione 20 all 'oggcuo 30. nella direzione uno-1110111, come spiegato in precedenza, e quindi dover affron1are un percorso in salila; . . 3) rischiar~ di elaborare una terza faccia corrella in quanto compaL1b1le con le prnnc due. ma non compalibile con la soluzione proposta (come mostr:uo nelle figure 19 e 20); 4) dover manipolare un tipo di i nformazione v1s1vamentc e cognitivamcnle ambigua quale è quella fornita dalle lince tratteggiale, quelle che rapprcscntnno gli spigoli occlusi in quella vista. La possibilìtà di utilizzare questo I ipo cli informazioni presupporrebbe che dapprima I ' imagery costi uisca un solido trasparente. 25 1 Per 1ali ragioni, penso che non solo la solu7ione non venga trovata mcdianle la produzione dcll' IM dcll'oggc110 30, ma che, anche dopo l ' individuazione della terza faccia, l'oggetto mentale 30 non sia ancora costituito. A mio avviso le cose dovrebbero andare in un altro modo. Illustro la sequenza dcl passaggi facendo riferimento al problema di Og. 15. I) Vengono memorizzate le due viste ortografiche iniziali (fig. 15a). tenendo conio che quella superiore è la vista dall 'alto e quella inferiore è l a vista frontale dell'oggetto. 2) Comi ncia l 'osservazione delle due possibili soluzioni proposte dallo sperimentatore (lìg. 15b). Si rendono disponibili in tal modo due fonti di informazione complementari : l a figura corretta e quella errata. 3) Più che tentare di costruire una sintesi tridimensionale delle tre viste, viene smontato ìl problema complessivo in souoproblcmi parziali: ciò avviene partendo dalle figure disp(rnibili in quel momento (vedi ng. 15b) e verilieando, linea per linea, sia le corrispondenze corrette che quelle errate, in quanto informative entrambe, fra le linee presen!I nelle soluzioni proposte e quelle presenti nelle viste 20 Iniziali. 4) Se la verifica ha inizio dal disegno a sinistra di fig. 15b, si noterà presto che la linea trallcgglala presenla un angolo concavo. 11 vertice di tale angolo indica che nel solido, a due terzi dcll'allezza, vi è uno spigolo che dovrebbe essere i ndlcato mediante una linea orizzontale nel prospello dcl solido. vale a dire nel rettangolo centrale del disegno a sinistra In basso di fi g. 15a; ma dal momento che tale lìnea non c'è, si giunge alla conclusione che quella è la soluzione sbagliata e quindi che l'altra è quella giusta. La via ora descritta appare la più breve, pcrch~ richiede l'utilizzazione e la manipolazione mentale di un numero minore di Informazioni, richiede un numero minore di operazioni, comporta un minor rischio inteso come possibilità di produrre soluzioni corrette, ma Inutili in quanti diverse da quella proposta. Anche la seconda parte, quella cruciale. dell'esperimento della Coopcr ci può aiutare a sostenere che le cose vanno nel modo appena descrillo. Come si ricorderà, la procedura sperimentale prevedeva che i soggelli, dopo aver .svolto ~I compilo di compatibilità ortografica. affrontassero quello di rico11osc1me1110 i11ciclc11tale. All'inizio di tale prova veniva presentata ai soggetli una diapositiva che mos1rava le rappresentazioni assonometriche (30) di due oggclti, uno dci quali era l'oggcllo trattato anche nel compito di compatibilità ortografica. mentre li secondo era un distrattore che condivi deva solo alcuni aspetti dcl primo (vedi fig. 16b). li numero di ri sposte correlle è stato dcl 90%. Anche in questo caso non credo che il soggello confronti l'IM <lcll'oggcuo 3D, ipoteticamente prodotta durante l a solu7.ionc dcl problema di compatibilità ortografica, con gli oggetti 3D prcscnta1igli nel compito di rico noscimcn t~ ìi1cid~ntale; penso piullosto che egli ricavi dalle assonometrie a sua d1sposiz1one le vi ste ortografiche delle facce e le confronti una alla volta con le facce 252 memorizzale durante il compi to di pro/Jf,•111 Jo/l·i11i:. Si traila tli una procedura più graduale e pu<.:o impegnativa. p!.!r le s~guenU ragioni: I ) le rappresentazioni assonometriche rimanevano a disposi zione dcl soggetto durante tulla l'esecuzione della prova: ciò facilitava la possibilità di ricavare le proiezioni ortogonali delle tre facce· . 2) ri~avare le viste ort ografiche dall'oggelto 3D è molto.più sempllc~ dcli op~ra7.io~1c opposta. perché, come abbiamo clcllo lo precedenza, s1 traila d1 cornspondcni'c univm:hc e quindi più facili; 3) partendo dall' assonorneLria dcli ' ogge110 3D l a risposta può essere raggiunta allravcrso una procedura au101cnninantc, nel senso che non è sempre n~cessario ricavare tutte e Lrc le viste ortografiche per approdare alla risposta corrclla; nel caso in cui si parta dalla verinca del distraltorc, ad esempio, la risposta può essere raggiunta mediante un minor numero tli confronti; 4) an<.:he in questo caso il confronto complessi vo può essere smon~ato in confronti parzi ali meno impegnativi, ma che forniscono sempre 1nformazlo11i ulili. Questa procedura, che ritengo la più probabile, è confermata da un altro esperimento condotlo sullo stesso malcriale (Cooper. Mowafy e Stcvcns 1986) per esplorare il grado di accessibilità anche a quçllc facce dell ',oggcllo non ~plic i tamcnlc mostrale durante il compito di problem solv111g. l soggetta, dopo aver risolto il problema di compatibilità ortograllca, dovevano svolgere sempre il compito di riconosdmento incidentale, ma in questo caso le rappresentazioni assonometriche dell'oggetto erano costruite in moùo da prescntnrc le stesse tre facce mostrate nel compilo di problem solvi11g, oppure sol o due. una, o nessuna di esse. La fig. 2 I mostra le qua11ro possibili raffigurar.ioni assonometriche dell'oggello di cui nel riqu adro cenlralc sono mostrate le proiezioni ortogonali. Anche in questo caso il compito prevedeva la scelta forzata fra due rappresentazioni assonometriche, una relativa all'oggcllo considerato e l 'altra relativa ad un distra11orc. L'ipotesi di lavoro degli au tori era che la corre11a soluzione del problema di compatibilità ortografica presupponesse la costruzione mentale dcli' oggcllo 30; «llowevcr, rctcntion of information about corresponding isometrie rcprcscntations or objects shoul d be strongl y affectcd by problem solving accuracy bccause, by hypothesis, lt is the ~ental. conslru~tio n of a rcprcsentalion corrcsponding 10 a lhrce _ d11nens1onal o.bJcct thai undcrlics the problem solution proccss» (Coopcr 1991, 28). R1tc.ngo. ancora una volta che tale procedura sia troppo compi.essa e «~1 sch1?sa» , e che quindi la via segu ita sia quella gi à descn11a: e cioè ri cavar e le viste ortografiche dall'immagine ~ssonomc~ri~a sollo osservazione e conrronlarle con quelle conservale lll memoria 111 quanto apprese durante la prova di problem solving. Gli autori danno per scontato che l'IM dell'oggcuo 30 venga costruita. e si attendono che i risullati li aiutino a chiarire la natura delle IM. Le loro 253 due racce tre facce ~§ ~ proluioni ort~onali (S una faccia ~D,QJ 0 nessuna faccia rio. 21 . [!.s empio dci quattro tipi di ossonomctrie che mostrano 3. 2. I e nes~una delle facce raffigurale nelle proiezioni ortogonali dello stesso oggello, riquadro al centro (da Cooper 1989). Ipotesi si basano sulla dlstln7.lone operata da Marr ( 1982) fra rappresentazioni di oggetti che preservano la specificità del punto di vls~a da ~ui sono osservati e r:ipprcscnta?.ioni libere da tale vincolo (orie11tat1on free). In cui perciò tutte le Informazioni s1rutturall su ll'oggetto rlsu~te­ rcbbcro egualmente disponibili. indipendentemente dal punto di vasta da cui sono osservate. Se le IM fossero state dcl primo tipo, i risultati dell'esperimento avrebbero dovuto, secondo gli autori, rivel are una differenza significativa fra le rappresentazioni assonometriche in posi1.ione standard con tre viste condivise e tutte le altre. Se l e IM fossero state invece dcl secondo tipo, non sarebbero dovute emergere forti differenze fra I diversi ori entamenti delle assonometrie. I risultati, come dicono gli autori, cadono in una posizione lntcm1edia; infatti i li veli.i di accuratezza dcl riconoscimento fra l'assonometria standard (tre vaste condivise) e quella con due viste condivise sono risultati lnd~st.in~uibill; mentre è risultata signilìcativa la differen7.a fra queste cond1Z1om (Lre e due viste condivise) e le altre due (una e nessuna vista condivisa). In quest'ultima circostan1.a il grado di accuratezza non si discostava significativamente dal caso (60%). Questi risultati concordano meglio con la mia ipotesi che con quella degli autori. La mia Ipotesi - che ~ovreb~~ essere quella seguita dal lettore che avesse provato a svolgere 1 compau proposti tlalla Coopcr - prevede che i soggclli partano dalla rappresentazione dcl solido 30 che è davanli ai loro occhi e da essa ricavino mentalmente. una alla volta, le proietioni ortogonali delle varie facce 254 1 da confrontare con le proic1.ioni ortografiche conservare in memoria, piullosto che coslruire l 'oggcuo mentale 31) partendo dalle configurazioni 20 osservate in preccdcnn e confrontare tale «Oggetto» con quello proposto clal nuovo compito. Se riandiamo alla lig. 21 , vediamo che è facile ricavare dulie assonometrie con tre e due viste condivise anche la proiezione ort ogonale della tcr7.a faccia, mentre tale possibilità praticamente si annulla nel caso di una e nessuna vista condivisa. Se riteniamo che le procedure dcl pensiero visivo seguano sempre la via piì) breve, quella che consente qualche lipo di risparmio delle risorse cognitive, la ragione principale - che depone a favore di un procedimento di csecu1ionc dcl compilo che prescinda dall' IM dcli 'oggcuo 30 e che vada perciò in dire1.ionc con1rarla a quella prevista dalla Coopcr e dai suol collaboratori - risiede nella constata1ionc che dal punto di vista cognilivo il primo percorso è pili facile dcl secondo. Le regole della geometria dcscrìltiva prevedono che il processo mediante il quale possiamo ottenere le proiezioni ortogonali delle varie facce di un ogget~ lo 30 sia perfcllumentc reversibile. nel senso di poter ritornare scn1.a difficoll?l dalle proiezioni 20 all'oggetto 30. Tale simmetria di percorso non si riscon1ra nei processi cognilivi che presiedono alla generazione delle IM: abbiamo visto infalU che In una dlre7.ione (dall'oggello alle prolei.lonl ortogonali delle sue facce) Il cammino è In discesa. perciò ritengo che sia quello seguito, mcnlrc nella dlrc1io11e contrarla è in salita e quindi ritengo che sia evitato. A tale proposilo la Coopcr stessa deve conveni re che «thc mental represcntation or an ohject formcd from separate nat orthographic projectlons may coniai n accessible informatìon al>oul the slructure of immediatcly adjaccnt surf:lccs; howcvcr, csscnliaJly no structural informatlon is availablc about completcly hiddcn vicws» (Coopcr 1991. 11). Emerge una conlradtlizionc in quesla frase quando si parla tli una rapprcsenlazione mentale dcll'oggello che però non contiene informazioni strullurali complessive sull'oggetto stesso; io ritengo che se 1ale oggetto 3D fosse s1a10 111en1almcn1e sintcti 7.zato. il recupero delle informazioni riguardanli le fa..:ce nascoste sarebbe stato possibile mediante una sempliccopcra1jonc di ru1a1fonc mentale (Shcpard e Cooper 1982); ciò avrebbe comportato un aumento dcl tempo di risposta, ma non un aumento tlcgli errori , cosa che non si è veriricata. Alla base delle ipotesi di Cooper e collabor atori c'è la convin1ione che esi sta una forte analogia. se non adtlirillura di una sovrappòsi7.ione, fra imngery e perce1ione; si ccome la percc1.ionc riesce a ricavare informazioni sugli oggetti che ci circondano anche da osscrva1ioni discontinue e parziali , era l oro in1cn7.ione dimostrare che anche I' imager_v sa fare altrcllanto. L' ip.otcsi che ho presentato è i nvc<.:e tli segno opposto. e cioè che il ((pensare» (imngery) e il «vedere» (pcrcc1ionc) siano due proccssi indipcndcnli. che seguono pcrco1si diversi e raggiungono rlsul1a1l autonomi e spesso di fferenU. Dato il presupposto che. se vi sono pi il vie che portano egualmente alla solu1.ionc, il pensiero segua sempre la 255 ì X. meno impegnativa e rischiosa, abbiamo dovuto dimostrare. seppure solo come soggetti Impropri, infiltrati in esperlmcnli al~I. che c·~ almeno un modo per risolvere i problemi o per operare 1 c~nfront1 richiesli che è mene> costoso. in termini di impegno cognitivo, dt quello lpotl1.zato dagli sperimentatori. I ri sultali ottenuti infalll sembrano accordarsi di più con la nostra Ipotesi che con quella degli autori. I O. Conclusioni. Il discorso sul pensiero visivo che ha riempito le pagine precedenti si è appoggiato. per cercare di stare In piedi, a due assunzioni: l) il fallo che I vincoli di parsimonia che presiedono a tutti~ processi cognitivi non Il penalizzano tutti allo stesso modo. ma dlv~ntano progressivamente più rigidi man mano che si passa dal processi d1 basso a quelli di alto li vello; 2) ta fun1ionc chiarincatrlcc che può avere anche ne.Ilo studio dcl pensiero vi sivo la dlstln1ionc fra «vedere» e «pensare». D1slinzlone che è risultata u1ile per chiarire qualche aspetto della discussione sull'analogia fra perce1ionc e imagery. Gli studiosi di percezione che sostengono la necessità di una componente lnferen1.lale nella attività perceulva, cosl come coloro che sostengono un'analogia mollo strclla fra percezione e imagery, lpo~27ano una continuità scn1a soluzione fra «Vedere>) e «1>ensare». I pnm1 sostengono che I processi dcl vedere si possano compiere sol o se c'è l'intervento dcl pensiero che metle ordine fra gli input in entrata, sulla scorta di quanto già conosciuto. I secondi sostengono che l 'at.Uvi_tà di pensiero riuscirebbe a retroagire In maniera ta.nto compici~ da nat~vare tutli i passaggi dell'allività percettiva anche an assenza d1 uno stimol o es temo. In accordo con il pensiero di Kanizsa. abbiamo cercato di dimostrare che il passaggio d,'.11 «vedere» (percezione) al «pensare» (imnge~) non è bidirc1.lonalc. E stato messo a punto uno schema che mostra sia l ' indipendenza dci due processi che la dirczionatilà obbligata dcl flusso di informazione~. li diverso tipo di economia che regola 11 «vedere» rispello al «pensare» ci ha aiutalo a mellcre in luce, Infiltrandoci n~~li esperimenti di Flnkc, delle importanti differcn1e fra rclnt.erpretab~htà percettiva e immaginativa. La prima riesce a tratlarc materiate relauvamcnte più compl esso. l avora In maniera automatica e veloce, produce gli stessi risultali in tutti i soggetù, può far conto sul completamento 6 Non è possibile in qucsla sede 11auare un passaggio i!nporlanl~ dello sc~em.a •.di solilo poco, o punto considerato nei manuitli di pcrcenone, e c10~ che I all~v!tà percettiva elabora doti destinati • due funzioni diverse: rauivltll motoria e l'allJV1là cognilivo. La prima richiede molta informazione per un 1empo n~olto breve. La seconda relativamenle poche informat.ioni adnllc però nd essere manipolate e conservate a lungo. 256 amodate e sul movimento indollo; la seconda invece riesce a trauarc s?lo m~te.riale. scmpl ice. lavora in maniera tenia e vol ontaria. produce n_su lta~ ~1vers1 nei diversi soggclll , non riuscircbhc ad attivare fenomeni quali 11 complclamcnto amodalc e il movimento indotto. Mentre il riesame critico degli cspelimcnti di finkc era focalizzato sulla natura dcl materiale, il riesame dci risultati della Cooper era c.~ntrat o su ll a natura dci processi. Partendo dalla convinzione che I 1mngery l avora come la percezJonc, l a Coopcr e I suol collaboratori hanno ritcnu lo che I compiti proposti nel loro espcrlmcn1i potessero essere svoli~ solo se I' image1}' avesse proccdu10 come un surrogato detta percezione, pro~ucendo l'immagine 111c111:1te dcll'oggcllo :m. te operazioni ~er ~segu ire questa procedura cr:mo però cognitivamentc c~stose, e nscluosc per quanto riguarda l a effclliva ulili1.zabilità dcl r~sultato. Partendo dal presupP<>Slo con1rario, e cio~ che I' imngcry non sia. un.surrogato della percezi one ma uno s1ru111cnto dcl pensiero, e che, quand1, essa eviti operazioni costose e rischiose, ahhiamo visto. auravcrs~ una sorta di sl111ulazlone in1rospc1tiva. che~ rosslhilc ottenere gli stessi r.lsultali per vie più brevi e faci1111e111e percorribili. ~n .ultima considerazi one di carattere generale. t .e I M sono prodolli dell all~vitò cognillva che hanno uno srnlulO pa11icolarc, in quanto sono prodo111 dcl pensiero che u1itizzano cd a11ivano qualche passaggio e qualche ~~hrouli n~ d~ll_' a_u_ivit~ pcrcclli va. Quesl a loro ani ma duplice rende tah 1111111agl111 d1fflc1h da 111terprc1:irc 1coricamcn1c; ciò ha portato ~ qua~chc confusione eccessiva e a qualche polemica inu1ile. Esse sono rnfatu il frullo di processi di allo livello che u1ili1.1.ano i risultati dci proccss~ di hasso livello, quelli che approdano alla consapevolezza. 1 processi_ ~upcrlori per ~llivare un'immagine 111cn1alc utilinano, eposso.no u.111111arc, solo 1 rendimenti fenomenici prodolli dal processo pnmano; n~ consegue una cena innegabile somiglianza fra JM e oggetto fenomc111co:. In base a ciò molti studiosi hanno rilcnuto di poter ~ostcne rc che I 1111agery ~un processo simi l -pcrcclli vo, che può essere innescato dall'allo cd in assenza di stimoli cs1e1 ni, 111a che condivide tutte, o gran palle delle propriclò dcll'a11ivi1ò pcrce11iva (Finkc 1980 I 989)_. A m.io avviso (M.assironi 1992, l 995), 1ale i111crpretazione ~ fu orvi ante, 111 quanto nmsce col non rendere giusti1ia né all'utilità funz!on7. spccilìcitÌl delle immagini mentali. né all'utililà, ricchezza~ spec11ìc1~à della pc~cczionc. Pc.r chjarire te cose ~ risullato particolarmente utile il paradigma di Kan1zsa. che soslienc la radicale distinzione fra «vedere» e «pensare». Il (<vedere» dovrebbe essere limitato a ci ò che avv~ene nella parie sinistra dello schema di ng. 2 e il pensare a quanto avviene nella parte dcslra. Il fallo che le frecce. che indicano la direzi one dcl Ouss? di lnfonna1.ionc, abbiano, nella palle centrale dcl grafico, una sola direzione tla sinistra a desini, indica, secondo una logi ca strellamcnte.m?dulare. ;1te non vi può essere rc1roa1.ionc dci processi di allo su quelli d1 basso hvcllo. Inoltre, da un pu1110 di vista più generate 257 - quello di una l ogica a<.1atta1 i va - non si capirebbe l ' utilità di un processo che proce<.lemlo a rilroso andasse a rimettere in discussione l'el aborazione primaria, con l'unico risultato di rallentarl a, di renderla incerta cd i narndabllc. Lo scopo di queslo lavoro era q uello di sostenere la necessità teori ca di una netta distinzione fra imagery e percezione. li secondo dei ci nque pr incipi su cui secondo Fi nke (1989) si fonderebbe l'imagery, Il «principio di equi valenza percetti va», recita: «I' imagery è funzi onalmente equivalente alla percezione, nel senso che meccanismi simili a quel li atti vali nel si stema visivo sono atti vali sia quando oggclll o evenll sono Immaginati che quando gli stessi oggetti o eventi sono realmente percepi ti» (p. 4 1, traduzione mia). Questo presupposto - stretta analogia fra percezione e imagery che è ritenuto da molti sperimcn1almente dimostrato, anche se di fatto \ non lo è, poggia, seppure non esplicitamente, sulla convinzio ne che percezi one e pensiero siano, non solo s1rettamcn1e collegali. ma per certi aspetti addirillura intercambiabili. Questa continuità e mu1ua1ionc reciproca delle fun1.ionl si ronda sulla convinli one, sostenuta dai f autor i della «percezione indiretta», che l'attlvllà percettiva possa essere spiegala solo dall'intervento di qualche processo i ntegratore del pensiero su dati sensoriali Incompl eti ed impreci si. In modo analogo. ma specul are, I' attivil1'1 di imagery dimostrerebbe che l a percezione interviene a dar forma visi va ad alcuni prodotti del pensiero. In queste pagine si è i nvece cercato di sostenere l'utilit à epi stemol ogi ca e chiarificatri ce di una netta d istinzione fra i due processi. Gli oggetli della percezione hanno l a caratteristica di essere, come direbbe Dozzi, «Oggetti sotto osser vn2ionei. e quindi di essere l à, fuori d i noi. ~grazie a questa cara11erlstlca che noi non solo li vedi amo come parti dcl mondo che ci circonda, ma possi amo I ntraprendere qual che azione nei toro confronti. Quando Don Chisciotte va alla carica dcl mulini a vento. è vero che l o fa perché ha visto dci giganti, perché nel suo mondo fenomenico ci sono i giganti anche se nel mondo fisi co cl sono sol o i mulini, ma quei giganti l ui li ha visti là fuor i, è assolutamente certo di non averli i mmaginati, perché se fosse stato cosciente di averli i mm agi nali non sarebbe par lito ali' attacco. È questa di sponibi lità ali' azione, anche a vuoto, che fa la di ffcrcn7a fra un' allucinazione cd un ' i mmagine mentale. Un'allucinazione, contrariamente ad un'Immagine mentale, è dal punto di vista di chi l a esperi sce una percezi one vera e propria. e come tale può Indurre risposte motorie nei confronti del mondo fenomenico da essa prodotto. T ale differenza, che può apparire scontata, è i nvecc Importante perché ci dice che nell' allo del vedere, ma non in quello dcli' inunaginare, elabori amo anche Informazioni sulla compatibilità fra l'oggetto osservato e qualche tipo di alli vit à motori a tesa a modificarlo; l e modificazi oni degli oggetti generati dalle Immagini mentali possono Invece essere prodouc solo dal pensiero. 258 RIFURIMl!NTI DIDUOORAllCI ARNrrnM R. C1954), Art a11d 1·is11a/ peruptio11. Dcrkctcy, Univcrsi1y ofCalifomia Press, trad. il. Arte e perazio11e 1ùi1'a, Milano, P"eltrinclli, 1962. ARNlllHM R. ( 1969). Visua/ tliinking, Los Angeles, Univcrsi ly or California Press, !rad. il. li pensiero visivo, Torino. Einaudi, 1974. DADDELEY A.O. ( 1986), Working memory. Oxford, Cl:ircnuon Press. uad. il. La memoria di lavoro, Milano, Cortina, 1990. DIEOERMAN I. (1987), Recognition by component.f: A tlieory of l11111111n image 11nder.rttmding, in «Psychological Rcvicw», 99. Jlll. 115-147. Bozzi P. 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