Cosa intendono i vv. 85-87 del primo canto dell’Inferno in cui Dante dice a Virgilio: «Tu se’ lo mio maestro e’l mio autore, tu se’ solo colui da cu’io tolsi lo bello stile che m’ha fatto onore.»? Virgilio, profeta cristiano? Nel proemio della IV Bucolica (o Ecloga), Virgilio si rivolge alla Musa della poesia pastorale con l'intento di ottenere un'ispirazione che, questa volta, riesca ad elevare l'opera al di là dei limiti tradizionali del genere poetico. La voce che canta, infatti, non sarà quella di un poeta-pastore, ma piuttosto quella di un vates, di un poeta-profeta che esprime speranze di salvezza rivolte non solo alla comunità romana, ma al mondo intero. Egli annuncia l'imminente realizzazione di una profezia della Sibilla cumana sulla nascita di un fanciullo, destinato a riportare nel mondo la pace e l'abbondanza della mitica età dell'oro. Nell’Occidente, sfiancato da cent’anni di guerre civili, questo avventismo misticheggiante si diffuse attraverso gli oracoli sibillini che si mescolarono in modo confuso alle teorie filosofiche greche, quali il pitagorismo. che proponevano una successione ciclica delle età del mondo. Ma già nel III secolo d.C. Lattanzio, primo autore in lingua latina a tentare una mediazione fra le istanze culturali pagane e la nuova realtà cristiana, nelle Divinae Institutiones, si propone di recuperare al cristianesimo la cultura classica; interrogandosi sulle ragioni dello scarso successo del cristianesimo fra le persone colte, egli individua una causa nella scarsa eleganza stilistica della Sacra Scrittura e nella poca chiarezza argomentativa dei primi autori cristiani. Per ovviare a tali mancanze, Lattanzio intende unire alla religione la cultura letteraria, servendosi della lingua ciceroniana, se pure ricca di termini propriamente cristiani, senza disdegnare citazioni di poeti pagani, fra cui emerge in modo evidente il ruolo fondamentale di Virgilio. Una interpretazione allegorica più decisa è proposta da Sant' Agostino che in un passo del De Civitate Dei (X, 27) fa esplicito riferimento agli oracoli pagani che hanno preannunciato l'avvento di Cristo, affermando che "il più alto poeta", Virgilio, nell'ecloga IV ha adombrato in un vago personaggio, alla maniera dei poeti, il ruolo di Gesù Salvatore che cancella le tracce del peccato e libera la terra dall' eterna paura: tale profezia è dallo stesso Virgilio riferita all'oracolo cumano. L'interpretazione allegorica del poeta mantovano fu ampliata e dichiaratamente applicata da Fulgenzio, autore cristiano del V - VI secolo, nell'opera Expositio Vergilianae Continentiae, in cui l'Eneide viene letta come fonte inestinguibile di filosofia morale, per cui Virgilio, se pure non poté essere cristiano, arrivò comunque a una visione del mondo così profondamente giusta ed etica da potersi dire in qualche misura "precristiana". Certamente non si credeva che il poeta avesse inteso con chiarezza il significato dell'oracolo cumano come imminente avvento di Gesù , ma comunque il poeta aveva il merito di aver fornito una testimonianza alla fede e quindi egli figurava fra coloro che avevano presentito la venuta di Cristo e della Vergine, cioè le Sibille e i profeti biblici. Sulla scia di tale interpretazione, alla pia figura di Virgilio fu attribuita anche la conversione del poeta Stazio, suo ammiratore e imitatore, che poté comprendere il significato cristiano dei versi dell'ecloga essendo vissuto dopo la nascita di Gesù . MAESTRO. Per questo, le qualità morali dell'illustre mantovano, tramandate nelle notizie biografiche delle fonti antiche, gli valsero grande fortuna e ammirazione presso i letterati cristiani. Da ciò nasce il personaggio di Virgilio nella Commedia dantesca: “maestro” e “guida”, “duce” onnisciente, seppure nei limiti della ragione non ancora illuminata dalla fede, e famoso "savio gentil", simbolo della ragione umana al suo massimo di perfezione possibile prima dell’incarnazione di Cristo. ____________________________________________________________________________________________________________ Virgilio come auctoritas. Per il Medio Evo la conoscenza non era sperimentale, ma basata sulla tradizione. Per ogni ambito del sapere esisteva un’auctoritas, nella quale la verità era già contenuta integralmente. Ovviamente tale forma di reverenza e di fiducia si riponeva soprattutto nelle sacre scritture quali strumenti della rivelazione divina: esse non potevano essere messe in discussione, ma essendo oggetto di fede, rappresentavano oltre che testi religiosi, le fonti più importanti per qualsiasi campo del sapere. In questo senso l'auctoritas era il principio su cui si basava la conoscenza scientifica prima della rivoluzione scientifica di Galileo e Francesco Bacone. Ma nel corso del Medioevo l'auctoritas non rimase circoscritta ai testi sacri e gradualmente venne estesa ad altri grandi autori del mondo classico, come Aristotele per la filosofia o Virgilio per la poesia. AUTORE. Con questo termine Dante ci vuol dire che nella rappresentazione dell’Inferno il VI canto dell’Eneide è la sua auctoritas. Da Virgilio ha preso toponimi (come Acheronte, Dite…), e personaggi cruciali, come Caronte, Cerbero, Minosse (giudice infernale). La conciliazione tra la visione dell’aldilà virgiliano (intriso di elementi orfici, come la teoria della reincarnazione) e quella cristiana era garantita dal fatto che ci fosse una separazione tra la residenza delle anime dei giusti (Campi Elisi) e quella delle anime che avevano peccato (Tartaro) e che quindi si potesse applicate un criterio remunerativo rispetto alle azioni compiute da vivi (è durante la vita che ci si “guadagna” il destino ultraterreno). ____________________________________________________________________________________________________________ La “ruota di Virgilio”. Il Medio Evo ebbe, al pari dell’Antichità , attenzione per gli aspetti formali sia della poesia che della prosa, aspetti che cercò di codificare in forme rigide, basandosi sul principio della “separazione degli stili”. Il concetto derivava dalla retorica antica (in particolare la Rhetorica ad Herennium, ma anche dalla teorizzazione dell’Orator ciceroniano e dal trattato di Quintiliano) ed era detto “teoria dei tre stili” (tria genera dicendi). In base a tale teoria lo stile deve corrispondere alla materia trattata, perciò vengono distinti tre livelli: sublime, medio, umile. Ciascuno degli stili veniva identificato in relazione a specifici fattori formali o alla materia trattata o ai destinatari o alle finalità del discorso (docere o probare “insegnare”, delectare “dilettare”, flectere o movere “convincere, commuovere”). S. Agostino attorno al 427 aveva già insistito sulla necessità di variare il tono a seconda del destinatario, privilegiando comunque il sermo humilis per coerenza cristiana. La teoria fu ripresa, nel XIII secolo, da Giovanni di Garlandia: I Tre generi di persone debbono essere valutati secondo i tre generi di uomini, che sono: i curiali, i civili, i rurali. I curiali sono coloro che occupano e illustrano con la loro presenza la curia, come il papa, i cardinali, i legati, gli arcivescovi, i vescovi e i loro suffraganei, come gli arcidiaconi, i decani, gli ufficiali, i maestri, gli scolari; e così gli imperatori, i re, i marchesi, i duchi e i conti. Persone civili sono il console, il preposto e altre persone che abitano in città. I rurali sono coloro che abitano i campi, come i cacciatori, gli agricoltori, i vignaioli, gli uccellatori. Secondo questi tre generi di uomini Virgilio trovò il triplice stile di cui poi si dirà e si insegnerà. Tale teoria era esemplificata in un disegno mnemonico (allegato più sotto) chiamato Rota Virgili, così descritta da Giovanni di Garlandia: Bisogna notare che nella «ruota di Virgilio» che abbiamo tra le mani sono ritagliati nel cerchio tre spicchi e, corrispondentemente, nei tre spicchi sono ordinati i tre stili attraverso molte circonferenze minori concentriche. Nel primo spicchio sono contenute le operazioni, le similitudini e i nomi delle cose pertinenti allo stile umile; nel secondo allo stile medio; nel terzo al grave; e se viene usata in uno stile una qualche espressione che si trova in quello vicino è chiaro che si è sconfinati dallo stile impiegato, e perciò bisogna usare le parole trovate per un qualsivoglia stile esclusivamente in quello stile. BELLO STILO. Alla teoria degli stili si ispira anche Dante per la scrittura della Commedia (Inferno = stile umile; Purgatorio = stile medio; Paradiso = stile sublime) con qualche significativa deroga, derivante principalmente dalla passione politica e dal dolore indignato per la situazione italiana d’allora.