I SAGGI DI LEXIA Direttori Ugo V Università degli Studi di Torino Guido F Università degli Studi di Torino Massimo L Università degli Studi di Torino I SAGGI DI LEXIA Aprire una collana di libri specializzata in una disciplina che si vuole scientifica, soprattutto se essa appartiene a quella zona intermedia della nostra enciclopedia dei saperi – non radicata in teoremi o esperimenti, ma neppure costruita per opinioni soggettive – che sono le scienze umane, è un gesto ambizioso. Vi potrebbe corrispondere il debito di una definizione della disciplina, del suo oggetto, dei suoi metodi. Ciò in particolar modo per una disciplina come la nostra: essa infatti, fin dal suo nome (semiotica o semiologia) è stata intesa in modi assai diversi se non contrapposti nel secolo della sua esistenza moderna: più vicina alla linguistica o alla filosofia, alla critica culturale o alle diverse scienze sociali (sociologia, antropologia, psicologia). C’è chi, come Greimas sulla traccia di Hjelmslev, ha preteso di definirne in maniera rigorosa e perfino assiomatica (interdefinita) principi e concetti, seguendo requisiti riservati normalmente solo alle discipline logico-matematiche, chi, come in fondo lo stesso Saussure, ne ha intuito la vocazione alla ricerca empirica sulle leggi di funzionamento dei diversi fenomeni di comunicazione e significazione nella vita sociale, chi, come l’ultimo Eco sulla traccia di Peirce, l’ha pensata piuttosto come una ricerca filosofica sul senso e le sue condizioni di possibilità, altri, da Barthes in poi, ne hanno valutato la possibilità di smascheramento dell’ideologia e delle strutture di potere. . . Noi rifiutiamo un passo così ambizioso. Ci riferiremo piuttosto a un concetto espresso da Umberto Eco all’inizio del suo lavoro di ricerca: il “campo semiotico”, cioè quel vastissimo ambito culturale, insieme di testi e discorsi, di attività interpretative e di pratiche codificate, di linguaggi e di generi, di fenomeni comunicativi e di effetti di senso, di tecniche espressive e inventari di contenuti, di messaggi, riscritture e deformazioni che insieme costituiscono il mondo sensato (e dunque sempre sociale anche quando è naturale) in cui viviamo, o per dirla nei termini di Lotman, la nostra semiosfera. La semiotica costituisce il tentativo paradossale (perché autoriferito) e sempre parziale, di ritrovare l’ordine (o gli ordini) che rendono leggibile, sensato, facile, quasi “naturale” per chi ci vive dentro, questo coacervo di azioni e oggetti. Di fatto, quando conversiamo, leggiamo un libro, agiamo politicamente, ci divertiamo a uno spettacolo, noi siamo perfettamente in grado non solo di decodificare quel che accade, ma anche di connetterlo a valori, significati, gusti, altre forme espressive. Insomma siamo competenti e siamo anche capaci di confrontare la nostra competenza con quella altrui, interagendo in modo opportuno. È questa competenza condivisa o confrontabile l’oggetto della semiotica. I suoi metodi sono di fatto diversi, certamente non riducibili oggi a una sterile assiomatica, ma in parte anche sviluppati grazie ai tentativi di formalizzazione dell’École de Paris. Essi funzionano un po’ secondo la metafora wittgensteiniana della cassetta degli attrezzi: è bene che ci siano cacciavite, martello, forbici ecc.: sta alla competenza pragmatica del ricercatore selezionare caso per caso lo strumento opportuno per l’operazione da compiere. Questa collana presenterà soprattutto ricerche empiriche, analisi di casi, lascerà volentieri spazio al nuovo, sia nelle persone degli autori che degli argomenti di studio. Questo è sempre una condizione dello sviluppo scientifico, che ha come prerequisito il cambiamento e il rinnovamento. Lo è a maggior ragione per una collana legata al mondo universitario, irrigidito da troppo tempo nel nostro Paese da un blocco sostanziale che non dà luogo ai giovani di emergere e di prendere il posto che meritano. La TV o l’uomo immaginario a cura di Gian Marco De Maria Antonio Santangelo Contributi di Piermarco Aroldi Gian Marco De Maria Ruggero Eugeni Patrice Flicky Massimo Leone Sandra Lischi Italo Moscati Antonio Santangelo Massimo Scaglioni Federica Turco Ugo Volli Jean-Jacques Wunenburger Copyright © MMXII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: settembre Indice Introduzione Gian Marco De Maria Antonio Santangelo Seduzione spettrale Ugo Volli Frenesia audiovisiva e telecrazia Jean Jacques Wunenburger La rappresentazione dei media nell’immaginario sociale Patrice Flichy La rappresentazione della temporalità nella fiction televisiva Ruggero Eugeni La TV immaginata. Sguardi mediatici a confronto Sandra Lischi La riconoscibilità dei canali televisivi nell’immaginario collettivo Piermarco Aroldi Quanta e qualia dell’immaginario. La TV contemporanea come acquario Massimo Leone La rappresentazione del luogo fra immaginari e “fattore produttivo” Massimo Scaglioni Indice Un “falso movimento”. Appunti su immaginari di guerra e televisione contemporanea Gian Marco De Maria Quando la donna oggetto diventa Soggetto. La figura di Moana Pozzi e la sessualità femminile come strumento di emancipazione sociale Antonio Santangelo La Vieille Dame indigne. Donne “vecchie” e immaginario televisivo nell’Italia contemporanea Federica Turco Il Folklore dell’Italia Post–Trash. L’immaginario collettivo e l’infragenere Italo Moscati La TV o l’uomo immaginario ISBN 978-88-548-5073-6 DOI 10.4399/97888548507361 pag. 9–46 (settembre 2012) Introduzione∗ G M D M A S Questo libro viene da lontano. È l’approdo di un accidentato ma ricco percorso di studi, di contatti e scambi di conoscenze ed esperienze, di abbandoni e riprese di teorie e applicazioni sul campo. È un progetto avviato all’incirca tre anni fa dal C.I.R.Ce, il Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Comunicazione dell’Università di Torino, con l’obiettivo di sollecitare la comunità semiotica internazionale, ma anche quella dei sociologi, degli antropologi, dei filosofi, degli psicologi, dei giuristi e degli storici dei media, a confrontarsi con la tradizione e con le principali evoluzioni delle ricerche sull’immaginario. Le ragioni di questo oggetto di ricerca possono sembrare scontate, data la centralità delle immagini nell’epoca contemporanea. Eppure, a fronte della grande rilevanza delle tematiche legate al ruolo dell’immaginazione e dei suoi contenuti nell’ontogenesi e nella filogenesi degli individui e delle società (Wunenburger, ; : –), molto resta ancora da esplorare. A una prima fase di riflessioni teoriche che ha trovato espressione prima in una Summer School per dottorandi in Semiotica ospitata presso la sede estiva della New Bulgarian University e, successivamente, in un convegno internazionale svoltosi a Torino i cui contributi sono disponibili in un numero monografico della rivista «Lexia» (/, ) curato da Massimo Leone, è seguito una sorta di periodo di incubazione dei modelli individuati. Dopodiché si è scelto di lavorare sul funzionamento di uno degli immaginari più importanti del nostro tempo, se non altro per la sua capacità di penetrazione nella vita sociale e culturale delle persone: quello televisivo. ∗ La sezione è stata scritta da Gian Marco De Maria, la sezione è stata scritta da Antonio Santangelo. Introduzione L’obiettivo, ancora una volta, è stato quello di mettere a frutto la natura interdisciplinare del C.I.R.Ce, indispensabile — a nostro parere — per comprendere pienamente un meta–medium come la televisione, da sempre al centro delle dinamiche dell’industria culturale per la sua capacità di assorbire e rilanciare linguaggi, contenuti e pratiche di comunicazione della maggior parte dei media che la circondano. Questo lavoro, in particolare, non solo tiene conto dei risultati ottenuti nei consessi internazionali a cui abbiamo accennato, ma riprende e rielabora in toto alcuni interventi e case studies presentati e discussi durante la Summer School sulla Televisione tenutasi a Torino dal al settembre , oltre ad accogliere ulteriori contributi di studiosi invitati a confrontarsi con il tema in oggetto. Il volume presenta saggi che mirano a mettere in evidenza particolari meccanismi culturali, produttivi, storici e politici, idonei — ce lo auguriamo — a coinvolgere il lettore nella riflessione su quelle dinamiche di scambio tra realtà e immaginari, innestate, o al contrario recepite, dalla macchina tele–visiva. Prima di appuntare le coordinate dei vari papers qui presenti e aprire al duplice approccio prospettico dei due capitoli introduttivi, ci sembra opportuno inserire, con lo scopo di limitarne l’ampiezza semantica, una breve premessa propedeutica che dia conto della polisemia della parola immaginario, terminologia spesso abusata soprattutto a livello mediatico (Landowski : –) e utilizzata con accezioni differenti, e a volte improprie, anche nelle ricerche accademiche. A questo proposito, una definizione, per così dire riassuntiva, del valore che il termine immaginario assume nella maggior parte degli studi scientifici è quella proposta da Jean– Jacques Wunenburger (cit., p.): «un insieme di produzioni, mentali o concretizzate in opere, a base visiva (quadri, disegni, fotografie) e linguistica (metafore, simboli, racconti), in grado di formare degli insiemi coerenti e dinamici, che pervengano, a partire da una funzione simbolica, a un incastro di senso proprio e figurato». Come ricorda anche Ugo Volli (: –), l’immaginario deve essere innanzitutto considerato come una collezione di immagini o di figure (nel senso letterario del termine) dalla natura enciclopedica (Eco : –), un insieme aperto e in continua evoluzione, dotato di una struttura e di regole per la selezione e l’aggregazione dei propri Introduzione contenuti, che si lega indissolubilmente alla visione del mondo di una certa cultura, in un determinato periodo storico, consentendo alle persone di condividere un’idea particolare della realtà, a cavallo tra il significato proprio e quello figurato di quest’ultima. Il primo grande problema sollevato dagli studi sull’immaginario è dunque quello del potere delle immagini, ma soprattutto dell’immaginazione, di sganciare la nostra coscienza dalla mera percezione delle cose, elevandoci a una forma di conoscenza diversa ma determinante. Jean Paul Sartre (), uno dei pionieri di questo genere di riflessioni, riconosce l’immaginazione e i suoi contenuti — l’immaginario, appunto — come il fondamento della libertà degli individui dall’esperienza. Questa proprietà della nostra coscienza rende l’immaginario uno strumento prezioso e potente, giustificando la preoccupazione di autori come Italo Moscati e Jean–Jacques Wunenburger, che nelle pagine di questo libro denunciano quei meccanismi politici, tecnici ed economici che, nel corso degli anni, hanno condotto a una sorta di controllo e livellamento verso il basso dell’immaginario televisivo sia italiano che internazionale. In questa direzione vanno lette anche le riflessioni di Sandra Lischi, che a fronte di una codifica sempre più rigida e netta della “natura” della televisione, scandisce una serie di esperienze e di momenti storici in cui la sperimentazione artistica e l’ibridazione con forme e linguaggi di altri media avrebbero potuto condurla verso lidi differenti, rivendicando, forse in maniera implicita, l’importanza di quella libertà immaginativa a cui faceva riferimento Sartre. In questo solco si muove anche Massimo Leone che si è concentrato sulle scelte epistemologiche della semiotica nello studio dell’immaginario, arrivando a denunciare la natura, in qualche modo posticcia, di quello televisivo, tutto costruito sulla ripetizione di contenuti già codificati e ampiamente riconoscibili dal pubblico. In questo senso, il recupero della categoria freudiana dell’Unheimliche proposto da Leone risulta cruciale non solo per comprendere l’unicità di certe esperienze audiovisive di lynchiana memoria (Twin Peaks su tutte), ma anche per smascherare molte di quelle espressioni della televisione contemporanea considerate apparentemente ingenue. D’altra parte, com’è forse ovvio, l’immaginario televisivo non è manifestazione di un percorso ineluttabile. Piuttosto è il frutto di una serie di scelte quotidiane, operate a livello di apparati produttivi e Introduzione contrattate di volta in volta con gli spettatori, i quali possono decidere di aderire a certe proposte comunicative ed editoriali oppure, come sempre più spesso accade, stabilire di spegnere il televisore e rivolgersi ad altri tipi di offerte audiovisive. Risulta dunque importante saper indagare i fenomeni e le pratiche di decostruzione dei meccanismi di codifica dell’immaginario televisivo, indirizzo seguito, ad esempio, dalle ricerche di Ugo Volli e Patrice Flichy. Essi sottolineano come i mezzi di comunicazione, o forse sarebbe meglio dire i soggetti che interagiscono attraverso i mezzi di comunicazione — produttori, registi, autori, tecnici, critici, studiosi e, naturalmente, spettatori — contrattano ogni giorno la natura dei contenuti che si scambiano, definendo così ciò che è proprio della tv, di Internet, del cinema e così via. In questo modo, essi producono significati ed esperienze mediali altamente specifiche, con inevitabili ricadute sul modo di pensare e di vedere delle persone. All’interno dello stesso perimetro gravitano i contributi di Piermarco Aroldi e Massimo Scaglioni, i quali però, invece di aggredire le caratteristiche del medium televisivo, lavorano sull’immaginario dei brand dei canali e delle case di produzione. I due studiosi riflettono sulle modalità con cui le scelte operate da questa tipologia di soggetti influenzano i contenuti delle immagini di cui facciamo esperienza tutti i giorni, proponendo una serie di categorie d’indagine — il fattore produttivo, il modello gestaltico o quello conversazionale — che si dimostrano ancora una volta utili per mettere in discussione la presunta natura data dell’immaginario della tv. Una seconda e ampia categoria di problemi posti dalla tradizione degli studi sull’immaginario riguarda poi la questione della struttura dell’enciclopedia di immagini da cui esso è costituito. Nella definizione che abbiamo già anticipato, Wunenburger lascia intendere come la struttura dell’immaginario non sia affatto neutra, dal momento che le relazioni che intercorrono tra i suoi elementi determinano il significato di questi ultimi. È infatti evidente che i giochi sincronici e diacronici di contrapposizione o di associazione di certe immagini, come pure la loro inversione o ibridazione, modifichino il senso che esse assumono all’interno del sistema, offrendo indicazioni preziose a proposito della cultura che le organizza. Sono tutte speculazioni già consolidate grazie a studiosi classici di tradizione strutturalista che Introduzione hanno esplorato anche i temi dell’immaginario, da Gilbert Durand () a Claude Lévi–Strauss (), fino ad arrivare ai già citati, e più recenti lavori, di Volli e Landowski. In questo volume sono i saggi di Gian Marco De Maria, Antonio Santangelo e Federica Turco a scegliere di confrontarsi con questi ultimi orizzonti metodologici, con l’obiettivo di provare a ricostruire la struttura di tre specifiche porzioni dell’immaginario televisivo: quello relativo alla rappresentazione della guerra, della sessualità femminile come strumento di promozione sociale e degli anziani. Infine Ruggero Eugeni sviluppa l’analisi di un tassello molto preciso dell’immaginario della tv: quello della temporalità, interna ed esterna, dei prodotti seriali di finzione. La sua prospettiva teorica approfondisce il concetto tempo all’interno di un vero e proprio design dell’esperienza. È noto come nel campo delle pratiche e degli ambienti mediali, l’idea di esperienza (Casetti , Ortoleva , Eugeni ) sia stata ampiamente riportata e dibattuta, tuttavia, come anche il contributo di Eugeni suggerisce, non ci sembra aver esaurito la sua validità, e soprattutto i suoi intrecci con il dispositivo dell’immaginario. Abbiamo allora rivolto lo sguardo a Morin, che nella sua indagine “antropologica” sul cinema parlava di una tecnologia capace di allestire per il suo pubblico un vero e proprio itinerario (magico) dentro il paesaggio «semi–immaginario» dell’uomo. Morin già proponeva un’esperienza, qualcosa che preannunciava, o forse sanciva, un potenziale comunicativo del film che forse oltrepassava, come avrebbe intuito prima di lui Ejzenštejn, la portata della comunicazione mediale. Non vogliamo affermare che ricostruire le fattezze di un immaginario televisivo contemporaneo debba obbligatoriamente poggiare sulle parentele o le diversità tra cinema e televisione. È tuttavia evidente che quasi tutti i lavori che presentiamo qui vi fanno riferimento e, nelle pagine seguenti di questa doppia introduzione, cercheremo di chiarire ulteriormente come, nel rapporto tra gli immaginari di due dei più importanti mezzi di comunicazione audiovisiva del nostro tempo, si possano rinvenire principi illuminanti sulla natura specifica di ognuno di essi. In questa lunga rotta su cui abbiamo voluto arrischiarci, approfittando della scia di precedenti prue temerarie, una su tutte quella dell’«uomo visibile» di Béla Balázs (), crediamo che la prora bussola intuita da Morin, il suo meraviglioso «homme imaginaire», Introduzione possa e debba ancora essere seguita per irrobustire gli studi sull’immaginario televisivo, così come abbiamo tentato di fare fin dal titolo di questo volume. Gian Marco De Maria Antonio Santangelo Università di Torino Introduzione . Immaginari imperfetti La realtà? non esiste la realtà. Esiste solo l’immaginazione. La realtà? La realtà siamo e te, seduti al caffè Hungaria, come due imbecilli. Natalia Ginzburg, Vita Immaginaria, Arnoldo Mondadori Editore, Milano , p. . .. La superficie prima di tutto: possono i proprietari di Rolls Royce desiderare che ragazze delle pulizie sognino di sposarli? L’immagine della copertina riproduce un antico bacino di carenaggio. L’abbiamo scelta perché ci sembra possa farsi interprete (simbolico) della necessità di operare periodici controlli e riparazioni a un concetto di immaginario sottoposto alle continue sollecitazioni, erosive come propulsive, di forze contingenti. In particolare il bacino di carenaggio è indispensabile per intervenire in zone inaccessibili, spesso invisibili: si tratta di poter lavorare su quella parte dello scafo che si chiama, non a caso, opera viva, perché è quella che, pur restando sempre immersa, quindi non visibile, permette, quando è solida, di affrontare il mare. Col nostro lavoro abbiamo cercato proprio questo, di evidenziare l’opera viva dell’immaginario, quella parte forse più nascosta, ma determinante per solcare culture. E questa porzione di immaginario (di scafo) è anche quella più fragile, dove occorrono quelle manutenzioni che devono adattare il mezzo al passare del tempo e a cambiamenti di condizioni spesso sconosciute. L’omaggio evidente al testo di Edgar Morin () nel titolo di questo volume non si riferisce solo al fatto se la tv, come il cinema (o dopo il cinema), con i doverosi distinguo quando si chiamano in causa media diversi (seppure per tanti aspetti vicini) e in contesti storici molto differenti, sia in grado di saldare, nel passaggio dalla macchina cinematografica a quella televisiva, «la realtà semi–immaginaria»(Morin cit.: –) dell’uomo con quella del nuovo mezzo audiovisivo, realizzando quell’ «uomo immaginario» battezzato da Morin. Su questo tema si è già espresso Peppino Ortoleva (b) offrendo brillanti riflessioni su cui ci permetteremo di ritornare più avanti con ulteriori proposte di discussione. Introduzione Piuttosto, per inquadrare in prima battuta il concetto di immaginario in generale, e quello televisivo in particolare, il testo di Morin risulta prezioso perchè ci consente almeno due considerazioni preliminari. a) Proporre una sorta di passaggio di testimone, anche se in chiave più squisitamente antropologica, tra un medium affermato come il cinema e uno in fase di gestazione come la televisione. E questo anche grazie alla relazione anticipata dallo stesso Morin tra la specificità del mezzo tecnico oggetto del suo studio e la natura umana. Infatti, due anni dopo la pubblicazione di Le cinéma ou l’homme imaginaire, siamo dunque nel , Roberto Rossellini, ormai regista di rango internazionale, rilascia un’ intervista a Andrè Bazin insieme al suo amico Jean Renoir dove, anche se non fa esplicito riferimento a una natura umana «semi–immaginaria», trasferisce dal cinema alla televisione la capacità di trovare l’uomo: «nella società moderna l’uomo ha un bisogno enorme di conoscere l’uomo. La società e l’arte moderna hanno distrutto completamene l’uomo. L’uomo non esiste più e la tv aiuta a ritrovare l’uomo. La tv essendo un’arte ai suoi inizi, ha osato andare alla ricerca dell’uomo» . A questo punto ci chiediamo se, «trovare l’uomo», non possa anche implicare, senza troppe forzature, mettere in relazione la «realtà semi–immaginaria dell’uomo» e la macchina televisiva. b) Esplorare, attraverso il confronto con l’esperienza cinematografica, il percorso di formazione e le metamorfosi dell’immaginario della televisione, o per lo meno, di alcuni suoi aspetti. Possiamo allora cominciare col prendere in prestito alcune considerazioni di Siegried Kracauer () perché ci sembra che possano costituire un buon viatico per le questioni sull’immaginario proposte da Morin, questioni che, lo ribadiamo, pur con esclusivo riferimento al cinema, intercettano, secondo noi, anche il dispositivo televisivo . Cinema et television. Un entretien d’Andrè Bazin avec Jean Renoir et Roberto Rossellini, «France Observateur», luglio , pp. – (trad. it. Il nostro incontro con la tv, «Cinema Nuovo», n., novembre/dicembre , pp. –; ora in Roberto Rossellini, Il mio metodo. Scritti e Interviste, Adriano Aprà (a cura di) Marsilio, Venezia,, p. . Introduzione grazie alle sue successive frequentazioni, problematiche o feconde, vissute proprio col mezzo cinematografico. Ma è veramente la società che si mostra nei film di cassetta? Queste commoventi riabilitazioni, questa impossibile nobiltà d’animo. Questi giovani levigati damerini, questi mostruosi capitani d’industria, criminali ed eroi, queste notti d’amore così morali e questi matrimoni così poco morali, ma esistono veramente? Si, esistono davvero, basta sfogliare i quotidiani di provincia. Non si può inventare nulla di così kitsch che non venga superato dalla vita stessa. [. . . ] Di solito il film di cassetta e la vita coincidono tra loro, perché le dattilografe modellano la loro esistenza sugli esempi dello schermo; ma forse, gli esempi più falsi sono quelli rubati alla vita. Eppure non si può mettere in dubbio che la maggior parte dei film di oggi abbia uno svolgimento inverosimile. Colorano di rosa le più nere istituzioni e, calcando le tinte, imbrattano il bello. E così non cessano mai di riflettere la società. Anzi: quanto più imprecisamente ne rappresentano la superficie, tanto più diventano esatti trasformandosi in uno specchio fedele nel quale si riflette il meccanismo segreto della società. Nella realtà non accade facilmente che una ragazza delle pulizie sposi il proprietario di una Rolls Royce, d’altra parte non sono proprio i proprietari di Rolls royce a desiderare che le ragazze delle pulizie sognino di innalzarsi fino a loro? Le stupide ed irreali fantasie del film sono i sogni ad occhi aperti della società, nei quali si manifesta la sua vera realtà, prendono forma i suoi desideri altrimenti repressi» (Kracauer ; ; : ) . Kracauer evidenzia un immaginario (cinematografico) che, grazie alla sua rappresentazione del tutto imprecisa, laddove l’imprecisione . A integrazione delle parole di Kracauer ci sembra interessante utilizzare le considerazioni esposte da Remo Bodei nell’introduzione allo stesso volume che raccoglie alcuni degli scritti dello studioso tedesco: «Non è sufficiente affermare, come farà più tardi Adorno, che vi è un circolo vizioso, per cui la gente preferisce ciò che è stata abituata a preferire, dimodoché le propensioni o i vai indici di gradimento esprimono unicamente il tasso di manipolazione giornalmente quotato. Tutto questo è innegabilmente vero, ma è solo una parte della verità, dà eccessivo rilievo ad una variante della teoria del complotto sociale. Vi è un altro aspetto che deve esser preso in considerazione, e cioè che il mondo dei desideri collettivi ha una sua logica inconscia relativamente autonoma dai condizionamenti immediati e programmati. Essa mostra le classi sociali non nella loro staticità, nella puntualità del presente, ma nella loro proiezione nel futuro. [. . . ] si potrebbe dire che i prodotti dell’industria cinematografica non sono né ingenue manifestazioni dei desideri di massa, né astutissime manipolazioni di essi da parte dei ceti dominanti, bensì formazioni di compromesso, luoghi di equilibrio instabile tra la forza ascendente del rimosso sociale e le potenze della censura, di sublimazione e di convenzionalizzazione egemoni. Sono la tangente in cui si toccano il desiderio della ragazza delle pulizie con quello del proprietario di una Rolls Royce» Remo Bodei, Introduzione, in Kracuaer, cit., p. . Introduzione risulta un fattore decisivo, appare direttamente modellato dalla superficie della realtà in cui, da un lato imperano i desideri repressi delle ragazze delle pulizie, e dall’altro quelli dei proprietari di Rolls Royce. Per quanto ai due poli della scala sociale, i due soggetti fanno parte di uno stesso mondo quotidianamente osservabile, non sono collocati in un altrove fantastico, e si desiderano reciprocamente. L’immaginario contemporaneo della televisione sembra aver sublimato e intensificato questo rapporto di contatto quotidiano tra soggetti di un desiderio ricambiato, dove la seduzione è rappresentata dall’immagine della realtà che essi sono in grado di rilasciare in quanto elementi del quotidiano. «L’immagine del reale» è proprio quell’aspetto seduttivo che Morin metteva in evidenza al principio del suo libro: L’inaudito entusiasmo suscitato dalle tournées di Lumiere non nasce soltanto dalla scoperta del mondo sconosciuto [...] ma dalla visione del mondo conosciuto [. . . ] dal quotidiano. Lumiere, al contrario di Edison i cui primi films presentavano scene da music–hall, incontri di boxe, ebbe la geniale intuizione di filmare e proiettare come spettacolo ciò che spettacolo non è: la vita prosaica, i passanti che pensano ai loro affari [...] aveva capito che la curiosità primaria si rivolgeva al rispecchiamento della realtà. Che le persone si sarebbero prima di tutto meravigliate di rivedere ciò che non le meravigliava: le proprie cose, i propri visi, il proprio ambiente familiare [. . . ] cose già viste mille volte, trite e abusate, attirano le prime folle. Ciò che attirò le prime folle, non fu cioè un’uscita dalla fabbrica, un treno che entra in stazione (sarebbe stato sufficiente andare alla stazione o alla fabbrica) ma un’immagine del treno, un’immagine dell’uscita dalla fabbrica. Non era per il reale, ma per l’immagine del reale che si faceva ressa alle porte del Salon Indien” (Morin ; : –). La realtà, una volta ri–presa, diventa dunque spettacolare; la tv sembra allora aver trasformato la “fotogenia” del cinema cara a Louis Delluc in una certa “telegenia”, sviluppando, in modo non dissimile, “un estremo aspetto poetico degli esseri e delle cose”. E quell’aspetto «maggiorato» che Jean Epstein attribuiva alle peculiarità della riproduzione cinematografica, potrebbe riferirsi ora a quel parossismo d’esistenza visibile in tanti personaggi della televisione. È un attributo che conferisce un carattere quasi soprannaturale alle riprese televisive: una qualità capace di trasfigurare il reale, e condurre Introduzione fino alla magia dove un elemento decisivo come la ridondanza «non svolge solo un’azione rassicurante di «promessa di presenza» [. . . ] ma attraverso la demoltiplicazione e la ripetizione dà vita a una sorta di ”infinitazione”» (Giaccardi : ). Torniamo a Morin. L’immaginario non è fatto solo di una realtà, per così dire, “spettacolarizzata”, esso è soprattutto, attraverso una maniera «contraddittoria» che lo stesso Morin sottolinea, «un commercio effettivo con il mondo»: L’immaginario mescola nella medesima osmosi l’irreale ed il reale, il fatto ed il bisogno, non solamente per attribuire alla realtà i fascini dell’immaginazione, ma anche per conferire all’immaginario la virtù della realtà. Ogni sogno è una realizzazione irreale ma che aspira alla realizzazione pratica [. . . ] la trasformazione fantastica e la trasformazione materiale della natura e dell’uomo interferiscono fra di loro e si intrecciano [. . . ] Il cinema testimonia dell’opposizione fra l’immaginario e la pratica, come pure testimonia della loro unità. [. . . ] Il mondo a portata di mano, l’uomo soggetto del mondo: non è che un programma di illusioni. L’uomo soggetto del mondo non è ancora e non sarà forse mai, altro che una rappresentazione, uno spettacolo: non sarà altro che del cinema. Ma al tempo stesso e contraddittoriamente [ ed è questa contraddizione concreta che dovremo ulteriormente analizzare] come ogni immaginario, il cinema è commercio effettivo con il mondo (Morin,cit. pp. –). Se ora sostituissimo la parola «cinema» usata dallo studioso francese con “televisione” probabilmente non commetteremmo una vera infrazione. Nello scenario attuale ci pare infatti che la televisione, rispetto al cinema, contribuisca a sparigliare con maggiore irruenza il fondo di questo rapporto tra reale e immaginario. E lo fa a beneficio di una realtà che, per essere accettata e compresa, ha bisogno non solo di essere ri–presa come un evento che subisce un vero e proprio “montaggio in macchina”, in diretta (Derrida e Stiegler ), quanto piuttosto di rispondere a precisi canoni, se proprio non direttamente . “In un mondo liquefatto, evaporato e frammentato [. . . ] i media sono dispositivi magici alla portata di (quasi) tutti per ricomporre in una forma «leggera» istantanea e temporanea le unità perdute e insieme per ricreare [. . . ] il legame sociale. Come nelle fiabe di magia, l’alro ha il potere (che io gli concedo) di far emergere la mia vera identità (che nemmeno io conosco), quasi istantaneamente” Chiara Giaccardi, , Liturgie di presenza. Canali magici e vita quotidiana, Media e Magia. Secolarizzazione dell’esperienza magica, usi magici dei media, Chiara Giaccardi e Simone Tosoni (a cura di), “Comunicazioni sociali”, Settembre–Dicembre, : –. Introduzione estetici, per lo meno linguistici. Carlo Lizzani, in un testo che riflette proprio sui rapporti (estetici) tra cinema e televisione ci offre un esempio lucido di quanto cerchiamo di sostenere. Il regista anni fa si trovava a Houston per una celebrazione su Rossellini e gli capitò di constatare [. . . ] un altro degli scherzi che un evento improvviso (non sufficientemente «estetizzato», non abbastanza «messo in scena» può giocare ai danni degli stati percettivi dell’uomo della strada . Il giornale locale «Houston Chronicle» [. . . ] denunciava l’indifferenza con cui i frequentatori di un parco pubblico avrebbero assistito, in pieno giorno, allo stupro di una ragazzina da parte di un bruto. [. . . ] Pensai: ancora si parla di queste cose in America? Ci si meraviglia di questi fenomeni di indifferenza metropolitana? Poi volli fare una passeggiata in quel parco. Uno spazio molto esteso e ondulato. Tanti alberi, laghetti, siepi. Qualche coppia qua e là. Molti bambini che giocavano. Passanti frettolosi che usavano il parco come scorciatoia. Un uomo gridava qualcosa di incomprensibile verso un altro nascosto da una siepe, forse un fontaniere che regolava l’acqua. Un litigio? Un ordine? Il monologo di un folle? Una madre rincorreva un bambino gridando. Il bambino piangeva. Allo stesso modo una bambina poteva aver gridato, un uomo poteva averla rincorsa. Forse la bambina, violentata dietro una siepe, aveva taciuto per lo spavento. Come distinguere la corsa di una bambina impaurita da quella di una bambina che gioca, magari inseguita da un padre ansioso che le urla qualcosa, se non sei preparato a percepire un evento non «messo in scena»? Insomma un caos di piccoli dati che possono bombardarci e anche di giorno non essere decifrati. Si, Rossellini, Godard possono . Ecco come Lizzani descrive uno gli scherzi giocati dall’immaginario cinematografico: «mi è capitato anni fa, prima di girare Banditi a Milano (), di fare un’inchiesta nelle banche dove erano state effettuate delle rapine. Impiegati e clienti che avevano vissuto la spiacevole avventura furono sempre [. . . ] concordi nel dirmi che le rapine sembravano finte. Decenni di cinema sui gangsters avevano strutturato, nell’immaginario dell’uomo della strada, un certo tipo di rappresentazione della rapina, per cui la rapine vera veniva percepita come finta. E questo aveva provocato, più di una volta, incidenti gravi. Anche un morto. Un cliente che si era messo a ridere e aveva strattonato invitandolo a celebrare il carnevale da un’altra parte. Una reazione che aveva di rimbalzo spiazzato il bandito facendogli saltare i nervi. Quanto era povera, sciatta e insomma indecifrabile, ridicola, quella rapina vera, senza l’effetto indotto dal montaggio, dalla musica, dalla voce misteriosa del grande attore carismatico che da sotto la maschera fulmina con lo sguardo e impone il silenzio, senza il dettaglio in primissimo piano della pistola e del mitra, senza la lenta panoramica [. . . ] sui volti terrorizzati degli impiegati e dei clienti.. e invece tutto qui: tre tipi nemmeno magari tanto atletici, magari con la voce un po’ sgranata, un accento un po’ ridicolo, i passamontagna messi alla meglio, e non sapientemente aggiustati da un abile costumista. A quel poveretto caduto per non aver saputo leggere la rapina, dovrà essere un giorno dedicata una lapide [. . . ] che dovrebbe recitare [. . . ] ”Cadde vittima dell’immaginario cinematografico”». Carlo Lizzani, Il discorso delle immagini. Cinema e Televisione: quale estetica?, Marsilio Venezia , pp. –