(Pubblicato in Osservatorio Isfol, n. 5 – 2006) La regolazione dei

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(Pubblicato in Osservatorio Isfol, n. 5 – 2006)
La regolazione dei diritti sociali sociali:profili costituzionali e garanzie di uniformità.
Sommario. Note introduttive. 1. La costituzionalizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali. 2. La tutela dei diritti
sociali. 3 L’effettività delle prestazioni di diritti sociali..4 La legge quadro.5. Il finanziamento dei diritti sociali. 6. Ruolo dei
soggetti pubblici e privati nel sistema integrato dei servizi sociali. 7 La difficile lettura della formula costituzionale e il rinvio
alla valutazione discrezionale del legislatore statale. 8.La definizione dei livelli essenziali nella sentenza n.88 del 2003 della
Corte costituzionale, in materia di servizi per le tossicodipendenze. 9 Esistenza di uno strumento per garantire il
mantenimento di adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti. 10. La garanzia uniforme dei livelli essenziali : un
caso emblematico del giudice costituzionale.
di Giovanni Bartoli∗
Note introduttive
La definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali costituisce uno snodo cruciale
per la riforma del Welfare italiano. L’interesse all’argomento trae origini lontane: dalla
richiesta avanzata sin dagli anni novanta, della necessarietà di una normativa in grado di
ridurre l’eterogeneità dell’offerta tra le diverse aree del Paese, allo scopo di aumentare le
garanzie per i cittadini. La legge 328/00 ha inteso, seppur con notevoli difficoltà interpretative
scaturenti dall’applicazione della stessa, rispondere alle esigenze di criticità sopraevidenziate,
attraverso i “livelli essenziali delle prestazioni sociali” definiti in modo assai vago.
La medesima non ha fornito nuove garanzie in tema di esigibilità, collocando tra i diritti
soggettivi esclusivamente le prestazioni monetarie assistenziali già previste da norme
specifiche, vincolando la definizione dei livelli alle risorse economiche disponibili. Un
tentativo di ulteriore precisazione è stato rimandato al primo Piano sociale (2001-2003) ma
anch’esso è risultato assai generico.
Ma, con la riforma del titolo V della Costituzione, l’assistenza sociale non rientra tra le
materie di competenza concorrente delle Regioni, ed è passata tra le loro attribuzioni
legislative esclusive. Quindi allo Stato resta la funzione di determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali.
I liveas in buona sostanza acquistano in teoria un ruolo fondamentale nella riforma del
Welfare, ma manca ancora una definizione univoca, condivisa da dottrina e giurisprudenza
dominanti, a livello di governo centrale.
∗ Isfol, Area Politiche sociali e pari opportunità
1
1.La costituzionalizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali.
La legge costituzionale n. 3/2001 canonizza il concetto di livello essenziale, privilegiando
senz’altro il profilo che attiene all’esercizio dei diritti, e dunque alla relativa fruizione delle
prestazioni. L’espressione ricorre sia all’art. 1171 il cui comma secondo lettera m) riserva allo
Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, quanto nell’ art. 120 comma
secondo2, in cui si riconosce al Governo poteri sostitutivi in presenza di diverse circostanze,
tra cui quella della tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali.
1
1. L'articolo 117 della Costituzione è sostituito dal seguente:
"Art. 117. - La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di
Stati non appartenenti all'Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione
delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull'istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentalidi Comuni, Province e Città metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e
locale; opere dell'ingegno;
s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela
e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;
professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento
sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione;
produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività
culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie
di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla
legislazione dello Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli
atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle
norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle
Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione
e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e
promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi
comuni.
Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme
disciplinati da leggi dello Stato".
2
Art. 120 Cost.II comma:
Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e
trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la
tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel
rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.
2
Appare evidente come il nuovo titolo V della Costituzione riprenda il Grundgesetz tedesco,
anche se lo utilizza in un diverso contesto. L’art. 120 Cost. prevede poteri sostitutivi di
carattere amministrativo, attraverso l’inciso “ tutela dell’unità giuridica o dell’unità
economica”, in riferimento ai poteri sostitutivi del Governo, il cui intervento è previsto anche
per la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni, concernenti i diritti sociali.
Ma, la stessa espressione “unità giuridica ed economica” è prevista dall’articolo 72 della
Cost. tedesca, il quale disciplina la legislazione concorrente. Da ciò discende che, il
mantenimento o la promozione, il rafforzamento dell’unità giuridica ed economica è
individuata come uno dei due obiettivi il cui perseguimento può legittimare un’esclusione dei
Lander dalla potestà legislativa. L’altro obiettivo è quello della creazione nel territorio
federale di condizioni di vita analoghe.
Questo è stato per lungo tempo un segno distintivo della Germania federale occidentale
qualificata da una buona coesione sociale, dall’idea basilare di Stato retto da un’economia
sociale di mercato, che per il fatto di essere sociale, non poteva tollerare insostenibili
difformità nel livello delle condizioni generali di vita dei suoi cittadini.
Ma, le differenze tra l’ordinamento tedesco e quello italiano sono evidenti.
In primo luogo l’esigenza dell’unità giuridica ed economica invocata dall’art. 72 sopracitato,
come presupposto per l’esercizio da parte della federazione (il Bund) di potestà normative,
mentre il nuovo art. 120 Cost., ne contempla la sola valenza in ambito amministrativo.
Il ricorso al potere sostitutivo riguarda in sintesi due poteri ben distinti:
la funzione legislativa nel contesto tedesco;
la funzione strettamente amministrativa, nel contesto italiano.
L’espressione utilizzata nel sistema tedesco, ovvero l’inciso” condizioni di vita analoghe”
potrebbe in sostanza corrispondere al concetto “livelli essenziali uniformi.” La prima si
riferisce all’effettivo tenore di vita, mentre la seconda, utilizzata nel nuovo titolo V sembra
limitarsi ad individuare un parametro di accettabilità delle prestazioni, a prescindere
dall’efficacia delle stesse. Il riferimento ai livelli essenziali uniformi, relativi ai diritti civili e
sociali, conduce immediatamente al concetto di uguaglianza sostanziale, e dunque la
preoccupazione che emerge dai due testi costituzionali, sembra complessivamente piuttosto
omogenea. L’idea stessa di livelli essenziali richiede l’approntamento necessario di strutture
di prestazione che almeno in forma sussidiaria la mano pubblica deve poter fornire.
3
Il concetto è ulteriormente confermato dall’art. 119 Cost.,3 infatti tra le funzioni attribuite agli
enti territoriali nel nuovo titolo V sono incluse sicuramente le prestazioni destinate a
soddisfare i diritti sociali e/o civili dei cittadini.
A tale finalità, opera un fondo perequativo, previsto per assicurare su tutto il territorio
nazionale l’effettivo esercizio dei diritti, qualora il soddisfacimento dei medesimi, rientri tra le
normali funzioni di comuni, province regioni, nonché città (aree) metropolitane. La stessa
disposizione prevede poi un ulteriore intervento solidaristico da parte dello Stato, in questa
prospettiva, in termini di interventi speciali e risorse aggiuntive allo scopo di promuovere lo
sviluppo economico la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici
e sociali e favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona.
Ancora una volta, infatti, si parla di diritti alla persona, in funzione della cui garanzia lo Stato
può destinare ulteriori risorse, sforzandosi di realizzare per tale via, quella uniformità del
tenore di vita o almeno una concreta progressione di avvicinamento che costituisce il vero
contenuto del principio di uguaglianza sostanziale ed il presupposto per la partecipazione dei
cittadini, anzi lavoratori, alla vita sociale, politica, economica, del Paese ( art. 3 comma II
Cost.).
In sintesi sembrerebbe acquisito che il concetto dei livelli essenziali ed uniformi abbia ormai
assunto valenza autonoma, solo parzialmente connessa ad esigenze di natura finanziaria: esso
ormai si configura come parametro di riferimento in materia di diritti sociali, e, a quanto pare,
anche civili, il che sta a significare che questo è il nuovo nome dell’uguaglianza.
3
Art. 119
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri,
in armonia con la Costituzione e secondo i principî di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di
compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per
abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle
Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per
favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo
Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e
Regioni.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principî generali
determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento. E’ esclusa ogni
garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti.
4
2. La tutela dei diritti sociali
Una seria difficoltà segnalata dagli interpreti della Costituzione è quella di posizionare
anche cronologicamente l’ambito soggettivo e la profondità oggettiva delle prestazioni che
sono proprie di quello che fu lo Stato sociale, che ordinariamente può identificarsi con
l’espressione società solidale. E’ già stato segnalato da alcuni studiosi4, come la lettera delle
norme costituzionali contenute nei titoli II e III Cost. descriva ovviamente un’Italia del
dopoguerra, la cui situazione demografica , economica e sociale era completamente diversa ed
arretrata da quella attuale. Questo presupposto segnala carenze genetiche obiettive, ravvisabili
nel testo costituzionale in vigore, a partire da alcuni termini lessicali. Alcuni esempi
chiariranno le precedenti annotazioni. Nell’Italia fine anni Quaranta, in cui non esisteva il
problema delle morti sulle nascite, con la conseguenza della prevalenza delle classi anziane
rispetto a quelle giovani, non vengono messe al centro della considerazione le persone in età
avanzata e in condizione di autosufficienza, dando invece risalto al dovere e diritto dei
genitori di mantenere, istruire ed educare i figli, mentre non è costituzionalmente previsto un
dovere di mantenere i genitori anziani non autosufficienti. Così nella stessa linea è a tutti noto
che la garanzia delle cure gratuite è prevista dalla Costituzione soltanto a favore degli
indigenti. (art.32).5
Su un piano diverso viene ora da domandarsi (dopo l’entrata in vigore della legge
costituzionale n. 3/2001 di revisione del titolo V) se il riferimento allo Stato inserito nell’art.
38 Cost., ovvero per i profili dell’assistenza laddove si dice che ai compiti assistenziali
provvederanno organi dello Stato ovvero istituiti o predisposti dallo Stato stesso, possa
ritenersi escludente degli altri soggetti pubblici che insieme allo Stato costituiscono la
Repubblica (art. 114 novellato)6 e che invece soprattutto nelle regioni e nei Comuni hanno
ormai competenze ragguardevoli e in taluni casi decisive.
Secondo un orientamento consolidato in dottrina, con la dizione Stato inserita nel IV
comma dell’art. 38,7 ci si intendesse in realtà riferire alla Repubblica ovvero all’insieme
C. Pinelli “Livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali in diritto pubblico” e M. Belletti “I
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali alla prova della giurisprudenza costituzionale.”
5
Art. 32 .La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e
garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana .
4
6
5 Art.114 Cost.
La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni [cfr. art. 131] e dallo Stato.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi
fissati dalla Costituzione.
Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento
7
.Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.
5
pluralistico delle potestà pubbliche e che in ogni caso l’indicazione del soggetto onerato dei
compiti assistenziali (lo Stato) non fosse tale da escludere funzioni e prestazioni affidate ad
altri soggetti pubblici.
Attualmente sulla nuova lettura dell’art. 38 incide il nuovo testo dell’art. 117 ( secondo
comma, lettera o) e III comma). Si potrebbe immaginare una legislazione esclusiva dello
Stato, in tema di previdenza sociale che lasci qualche spazio alle regioni, ma appare quanto
mai improbabile che questo spazio possa estendersi tanto da diventare vera e propria
occasione di governo o co-governo del sistema. In sintesi la riforma del 2001, potrebbe avere
chiuso gli spiragli che la pura e semplice lettera dell’art. 38 quarto comma lasciava aperti. E’
necessario sottolineare come quanto sia necessaria la prudenza e la cautela, quando ci si
accinge a riscrivere le norme costituzionali.
3.L’effettività delle prestazioni di diritti sociali
Le novità dell’azione politico-sociale degli anni novanta si caratterizzano principalmente per
il progressivo rafforzamento delle autonomie locali, prevalentemente comunali e regionali,
privilegiando con questa scelta politica la via della non omogeneità e della differenziazione. La
sfida attuale consiste nel cercare di trovare un il difficile equilibrio tra il bisogno
dell’eguaglianza e la spinta di all’innovazione, quando questa serve a far crescere i livelli delle
prestazioni e il tasso di attività che poi torneranno utili a tutti.
Ma la non completa uniformità di trattamento in situazioni tra loro eguali può essere tollerabile
in quanto essa costituisca il passaggio necessario verso un maggiore dinamismo dei singoli
sistemi regionali e quindi verso livelli di trattamento più elevati. Una simile condizione ottimale
ha presupposti e confini: il presupposto è che sussista una parità di opportunità iniziali tra sistemi
regionali eventualmente raggiunta attraverso l’intervento perequativo dello Stato. Il confine è
che non sono ammesse disuguaglianze di trattamento, in relazione ai livelli minimi
costituzionalmente imposti e che nel lungo periodo la loro declinazione può essere soggetta a
variazioni, portando ritenere illegittima una situazione di disuguaglianza marcata e instabile.
Nonostante la nozione di livello minimo, o meglio l’idea del contenuto necessario, del diritto
fondamentale sia meno recente rispetto a quella di livello essenziale, essa non è meno
controversa.
Infatti come è noto la Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia,
invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L'assistenza privata è libera
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dell’uomo (art. 2), contenente quindi una clausula generale, così pure essa impegna la
Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la
libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3 II
comma). Tra le molte condizioni di minorilità che possono affliggere l’uomo, solo alcune sono
oggetto di disposizioni costituzionali più specifiche e perentorie, quali le cure gratuite assicurate
ai soli indigenti e il mantenimento e l’assistenza sociale sono garantiti solo agli inabili, sprovvisti
di propri mezzi di sussistenza ( art. 38, I comma).
Ma si impone un problema ermeneutico. In primo luogo ci si interroga su come estrarre da
queste disposizioni un vincolo giuridico, capace di dare effettività al diritto, anche a fronte di
errori o omissioni del legislatore. Pariteticamente ci si deve domandare se esista un contenuto
minimo di ciascun diritto o comunque se nella conformazione del contenuto dei diritti, il
legislatore sia del tutto libero o no.
Uno dei punti maggiormente sottolineati è proprio la necessità logica per i diritti sociali, della
interpositio legislatoris, che inevitabilmente finisce per metterli in qualche misura a disposizione
della maggioranza parlamentare: lo stesso problema si pone infatti anche per i più classici diritti
civili e politici che richiedono parametri amministrativi e giurisdizionali posti alla soglia
dell’effettività e gli altri, su quelli della garanzia.
Ma ciò, non risolve il problema ermeneutica, anzi lo evidenzia. Come si può giungere a trovare il
livello minimo dei diritti, ammesso che esista? Sono due le proposte interpretative, intese a
valorizzare l’effettività dei diritti sociali, ponendo però argini alla discrezionalità del legislatore.
Entrambe hanno trovato autorevoli sostenitori ed agguerriti critici; ciò ha contribuito
notevolmente ad orientare la giurisprudenza costituzionale.
La prima via è quella del sindacato di ragionevolezza delle scelte del legislatore. Esistono infatti
veri e propri digesti della giurisprudenza in materia. Anche recentemente si è dimostrato come il
sindacato della Corte sia stato molto incisivo rispetto alla discrezionalità del legislatore. E’ da
sottolineare come l’affinità di questa forma di sindacato con altre tipiche del giudizio
amministrativo: la logica del seguito finanziario delle sentenze, l’esame dei lavori preparatori, il
raffronto di situazioni omogenee, alla luce del principio di ragionevolezza, sembra
particolarmente interessante da questo punto di vista.
Giurisprudenza e dottrina hanno ormai distillato tecniche decisorie in grado di correggere talune
omissioni del legislatore.
Il secondo modello è quello di interpretazione sistematica della Costituzione: ovvero tesa a
ricavare regole precettive che delimitano un contenuto materiale indefettibile del diritto.
Ovviamente i materiali testuali sono molto ampi e spesso sfuggenti, ma questa tecnica si avvale
7
di argomenti sistematici, teleologici e “combinati disposti” ( di articoli di testi legislativi), che a
volte sono stati accusati, non senza qualche fondamento di operare torsioni artificiali del testo
costituzionale, facendone evaporare la lettera e il contenuto sostanziale.
Sembra però che le due tecniche possano essere entrambe impiegate con gli ovvi correttivi della
temperanza e prudentia iuris.
Per citare un esempio per quanto riguarda il discorso relativo all’assistenza prendiamo in
considerazione il primo comma dell’art. 38 Cost. Povertà e inabilità costituiscono situazioni
fattuali di discriminazione, già sul piano della dignità che la Repubblica è chiamata a rimuovere.
Quindi sarebbe incostituzionale un assetto legislativo che non assicuri all’inabile sprovvisto di
mezzi, assistenza e mantenimento a carico della Repubblica. Ma sorge spontanea una domanda,
ovvero in cosa consistano in concreto l’assistenza e il mantenimento? A questo interrogativo
soccorre l’interpretazione sistematica, ovvero il cosiddetto combinato disposto. L’inabile è colui
che non può lavorare e quindi versa in una situazione personale di disagio che gli inibisce la
possibilità di guadagnare il salario sociale di cui all’art. 36 Cost.
Dunque il contenuto minimo essenziale dell’assistenza, deve consistere in una serie di
prestazioni che considerate nella loro complessità consentano all’inabile di condurre un avita
libera e dignitosa che si almeno paragonabile assimilabile a quella di un lavoratore.
4. Legge quadro
La legge quadro sull’assistenza sociale è infatti attaccabile, nella contenutistica, o per
usare un’altra espressione non riesce a garantire compiutamente il nucleo essenziale del diritto
all’assistenza. Anzi tramuta il diritto costituzionale in una priorità di accesso ai servizi
nell’ambito della programmazione. A prescindere o meno dall’esaurimento delle risorse la cui
spesa è programmata, i soggetti di cui all’art. 38 I comma Cost. hanno diritto al mantenimento e
all’assistenza sociale. Si tratta di una posizione soggettiva di diritto perfetto incomprimibile e
costituzionalmente garantito.
Naturalmente il concetto di assistenza equivalente al salario sociale ha dei margini indefiniti e
verosimilmente l’assistenza potrà non essere del tutto equivalente sul piano monetario al salario
del lavoratore medio, ma, sicuramente non si potrà negare l’assistenza o prestarne una a livelli
minimali a chi, senza colpa si trova incapace di provvedere da sé ai propri bisogni. Ma, resta il
principio fondamentale di cui all’art. 3, Cost. II comma. In difetto di una sanzione espressa come
quella dell’art. 38 I comma, o come quella del III comma, quanto alla formazione professionale
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di minorati e inabili, le altre posizioni soggettive non potranno che essere garantite mediante il
sindacato di ragionevolezza sulle scelte dell’amministrazione e del legislatore.
In tali ambiti, sembra che l’esaurimento delle risorse potrebbe essere più difficilmente
censurabile come causa di diniego dell’accesso ai servizi.
L’ idea dei certificati rappresentativi di un diritto alla prestazione sbrigativamente denominati
buoni, siano essi buoni scuola o titoli di acquisto dei servizi sociali, può incontrare in questo
quadro al di là della previsione normativa, tutti i limiti delle soluzioni generiche e astratte, specie
in relazione ai diritti muniti di un nucleo essenziale.
Cosa accade se un soggetto in situazione di particolare bisogno, imprevisto o accresciuto
esaurisce i propri buoni? Oppure che fare con le persone in situazione di bisogno, che si trovino
poi ad uscirne?
Occorre in primo luogo uno scrutinio molto attento dei criteri di distribuzione e
amministrazione-gestione dei buoni, sui quali finisce per ricondursi e scaricarsi il diritto del
cittadino.
Probabilmente appare più razionale l’idea di una determinazione globale delle prestazioni, le
condizioni di accesso, alle quali siano certificate in occasione di ogni fruizione: dunque il
sistema dei buoni difficilmente potrebbe diventare l’asse portante del sistema di garanzia dei
diritti sociali.
A presidio dei diritti sociali e dei doveri del pubblico, stanno i giudici: quelli comuni, massime
amministrativi e quello costituzionale. Il trasferimento a livello amministrativo della funzione di
programmazione, in particolare, sottolineerà il ruolo dei giudici amministrativi che potranno
essere chiamati a sindacare le scelte di pianificazione locali e regionali in rapporto alla loro
conformità adeguatezza a quella nazionale.
Sarà di grande interesse osservare, ne prossimi anni, quale livello di incisività raggiungerà il
sindacato su atti talmente anomali, sia per la struttura che è loro propria, sia per l’ampia
discrezionalità che li connota.
La scelta del sindacato di ragionevolezza e dello scrutinio delle motivazioni appare obbligata :
sarà interessante osservare il fenomeno, nei prossimi anni, anche in relazione alla nozione di
livelli essenziali. Di fatto come comunque lo spostamento di decisioni dall’area legislativa a
quella amministrativa carica il giudice ordinario di compiti di giustizia costituzionale, ossia di
tutela dei diritti fondamentali, mai come in passato.
Si deve considerare come buon auspicio pur nella sua specificità la recente decisione di un
giudice ordinario che ha ordinato ex art. 700 c. p. c. ad un Comune di versare ad un disabile la
somma di denaro necessaria, per assumere un assistente personale, considerando che tale
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prestazione implicita nel contenuto minimo dei diritti fondamentali. Sebbene quel giudice
facesse riferimento solo all’art. 32 Cost.; ma, alla medesima conclusione si sarebbe potuti
arrivare argomentando le basi di diritto sostanziale in base all’art. 38 I comma Cost. ciò infatti
che più rileva è la complessa strategia argomentativa e la sensibilità così dimostrata ai temi
costituzionali fondamentali.
A questo punto appare opportuno precisare il tipo di prestazioni che il potere pubblico è
costituzionalmente obbligato ad erogare. In primo luogo, una precisazione di carattere
quantitativo. Ma, in base a quanto abbiamo detto in precedenza non è possibile anche attraverso
l’uso di strumenti ermeneutici, stabilire con assoluta “perfezione” il contenuto del nucleo
minimo, sicchè in misura marginale piccole oscillazioni, saranno inevitabili.
La seconda invece è di carattere qualitativo e si basa sulla necessità di coordinare l’indefettibilità
del diritto con le esigenze di amministrazione gestione degli apparati prestazionali, nel momento
in cui il potere pubblico si fa carico di garantire il livello minimo di assistenza al cittadino, il
potere stesso deve essere in condizione di auto-organizzarsi e di autodeterminare le modalità
concrete di erogazione della prestazione, che pure deve sempre rispondere ai parametri minimi.
In altre parole, il potere pubblico deve avere la discrezionalità quanto alle modalità di
organizzazione del servizio, perché quest’ultimo possa stabilire se la prestazione possa essere
erogata a domicilio o previo trasporto dell’interessato in un luogo determinato, mediante un
unico operatore o mediante più operatori attraverso questo o quel medico, assistente sociale ecc.,
nei limiti in cui la scelta organizzativa non si traduca in un sostanziale svilimento del diritto.
5. Il finanziamento dei diritti sociali
Un punto critico in materia di finanziamento dei diritti sociali è costituito dalla spettanza
dei doveri di erogazione dei differenti livelli di governo. In particolare al centro del dibattito
stanno i livelli essenziali ed il nuovo art. 119 Cost. Chi è chiamato a pagare per il
raggiungimento dei livelli essenziali? In astratto si può pensare a diversi modelli. In linea di
principio lo Stato lo Stato non può avere strutture di erogazione sue proprie, l’intervento diretto
da parte di strutture regionali è possibile solo in via sostitutiva.
Ma anche in questo caso è opportuno fare delle precisazioni che nascono dalla cattiva prova che
l’idea, in sé valida, dal punto di vista pratico si traduce in estrema difficoltà nel “ trovare l’ufficio
preposto competente” dislocato nel nostro paese. Quindi il potere sostitutivo dello Stato e per lo
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Stato il Governo, secondo l’interpretazione del nuovo testo costituzionale di cui all’art. 120
Cost., è struttura tecnica depositaria del concetto di “livelli essenziali.”
Ovvero in altre parole il diritto all’assistenza postula l’esistenza di funzioni e organizzazioni che
lo garantiscano, senza di esse il diritto resta privo di effettività. Tuttavia non sarebbe giustificato
che per questa motivazione lo Stato mantenesse in capo a sé strutture permanenti di erogazione,
con compiti di intervento sostitutivo.
Questo intervento potrà ben attuarsi attraverso la cooperazione dell’amministrazione statale, per
esempio gli Uffici del Governo,
delle preesistenti strutture, istituzioni e organizzazioni locali,
impartendo alle medesime le opportune direttive. Sarà oltretutto un importante banco di prova
della leale cooperazione interistituzionale che è assunto adesso a principio fondamentale
dell’organizzazione repubblicana.
Se effettivamente si attuerà un sistema di autonomia finanziaria avanzata, le Regioni dovranno
finanziare i livelli essenziali con le risorse proprie e derivate di cui dispongono. In ogni caso per
promuovere lo sviluppo economico e la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli
squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritto alla persona, o per
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni lo Stato destina risorse aggiuntive
ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e
Regioni.
In questo modello lo Stato potrebbe limitarsi stabilire senza finanziare direttamente se non in via
sussidiaria, risorse aggiuntive i livelli essenziali. Certo il difficile tema del federalismo fiscale, è
all’ordine del giorno, sebbene il legislatore nazionale non paia affannarsi per la sua
realizzazione. Nella legge quadro poi, il sistema appare quello di un co-finanziamento, statale e
di una serie di vincoli per gli enti territoriali.
Qui più che altrove, risulta evidente la mancanza di coordinamento tra la legge in esame ed il
nuovo titolo della Costituzione. Infatti la l. 328, che pure per molti aspetti anticipa e precorre i
tempi nuovi, in modo particolare per quanto riguarda la funzione di determinazione dei livelli
minimi essenziali, sembra piuttosto timida e legata a canoni del passato per tutti i profili di
reperimento e spendita delle risorse. Il nuovo art. 119 Cost. pur nella sua sinteticità, che sfiora, a
volte l’ermetico, tenta di rendere strutturalmente autonomi tutti i livelli di governo, pareggiando
uscite ed entrate. D’altronde ciò non può stupire, se, infatti si pone attenzione alle riforme
appena inaugurate, laddove l’autonomismo deve crescere fino a diventare adulto, sapendo e
volendo raccogliere dalla società civile e con il suo consenso quanto è indispensabile per un’
efficace resa dei servizi, nel rispetto dei principi di economicità, efficienza, ma soprattutto
equità.
11
6. Ruolo dei soggetti pubblici e privati nel sistema integrato dei servizi sociali.
Il primo elemento da mettere in rilievo che scaturisce dall’applicazione della legge
328/2000 è che vuol essere istitutiva di un sistema di interventi e servizi sociali, ovvero un
complesso di azioni diretto e finalizzato unitariamente ad assolvere al diritto all’assistenza
sociale di cui all’art. 38 Cost. Ma, giova ricordare che la legge non intende istituire un servizio
nazionale come avvenne per la legge di riforma sanitaria n. 833 del 1978, ma un assetto ordinato
di interventi con una finalizzazione comune: rete di servizi, ovvero sistema integrato.
In questo consiste la novità prospettica della legge, rispetto alla legislazione nazionale di
principio precedente che è stata soprattutto una legislazione per soggetti, come la legge sulle
IPAB del 1890, alle più recenti sui soggetti pubblici e privati operanti nel campo dell’assistenza
sociale, e solo per dati segmenti o settori è stata una legislazione per tipi di interventi e
prestazioni come la n. 285/1997 sull’assistenza ai minori.
La l. 328, se si eccettua l’immediato precedente ( l. n.285) si ricollega piuttosto alla legislazione
regionale intervenuta nel corso degli anni che ne ha anticipato l’impostazione mirando creare dei
sistemi regionali di servizi sociali ( come legge n1/1986 Regione Lombardia).
Il secondo dato da mettere in rilievo è costituito da ciò che rappresenta il fine unitario del
sistema. Ora il fuoco di attenzione primario è quello già anticipato dal d. lgs. n. 112 del 1998 che
in occasione del conferimento di nuove funzioni amministrative a Regioni ed enti locali ha
ridefinito la materia dei servizi sociali secondo un approccio finalistico, ricomprendendovi tutti
quei servizi diretti a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona
umana incontra nel corso della sua vita (art. 128 Cost.).
Analogamente l’art. 1 comma 1 della legge, fa riferimento al fine di garantire la qualità della
vita, pari opportunità, non discriminazioni e diritti di cittadinanza, prevenire eliminare e ridurre
le condizioni di disabilità, di bisogno e disagio individuale e familiare derivanti da inadeguatezza
di redditi, difficoltà locali e condizioni di non autonomia.
Dalla lettura dell’articolo 1 e di tutta la legge emerge una forte e accentuata finalizzazione del
sistema alla persona singola, concreta, alla prevenzione e alla rimozione delle condizioni di
dipendenza e di incapacità individuale a soddisfare le ordinarie esigenze personali di vita, ad
essere persona dotata di una dignità sua propria. Vi è un rovesciamento di prospettiva anche da
questo punto di vista, in coerenza con i principi costituzionali: si parte dal singolo, dalla sua
individualità concreta, dal contesto specifico in cui si colloca, per risalire al sistema.
Il sistema quindi risulta costituito da un complesso di azioni ed interventi che corrispondono solo
in parte a prestazioni di base specie di natura economica, a carattere minimo ed uniforme, per il
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resto corrispondono in maniera privilegiata e preferenziale a modalità d’intervento
personalizzate sulla base di progetti individuali.
In questo modo l’ordinamento giuridico riflette il mutamento di indirizzo del Welfare da un
indirizzo di tipo riparativo a un indirizzo di protezione sociale attiva. Si tratta di particolari
interventi di servizi che non possono che essere progettati e realizzati se non dagli stessi
destinatari, ovvero da coloro che sono vicini nei luoghi, negli ambiti, di vita e di aggregazione
sociale in cui si trovano, dalle famiglie e dalle formazioni sociali che sono loro prossime, o
comunque da strutture pubbliche. Da quanto detto in precedenza si hanno notevoli riscontri
costituzionalisti. Oltre agli articoli precedentemente illustrati rivestono ruolo centrale l’art. 22
Cost. che prevede che il sistema integrato di interventi e servizi sociali sia costituito da:
“politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale”, gli articoli da 14 a 17
che sotto il titolo di disposizioni per particolari interventi di integrazione e sostegno sociale
confermano l’intento di promuovere prioritariamente lo svolgimento di compiti di integrazione a
sostegno dell’impegno attivo delle famiglie e degli altri soggetti sociali prossimi a coloro che si
trovano in condizioni di bisogno e di difficoltà, sebbene adeguatamente appoggiati e agevolati
dalle strutture pubbliche.
La personalizzazione del sistema assume un duplice significato: in primo luogo le persone sono
soggetti destinatari, ma insieme soggetti attivi del sistema.
7. La difficile lettura della formula costituzionale ed il rinvio alla valutazione discrezionale
del legislatore statale.
Il futuro del modello sociale italiano e l’efficacia delle politiche pubbliche sono al centro
del dibattito europeo. Gli interrogativi ai quali dare una risposta sono molteplici: la
conciliazione tra la vita familiare e quella professionale, le politiche attive per i giovani, gli
aiuti concreti che possono ottenere le famiglie, gli interventi per garantire la qualità della vita,
le pari opportunità, l’abbattimento delle forme discriminatorie.
Le Politiche sociali devono fronteggiare domande sempre più numerose e differenziate, da
parte dei cittadini, con interventi non a posteriori, ma tentano di prevenire e rimuovere le
vecchie e nuove forme di discriminazione ed esclusione sociale.
Il principio di universalità dei diritti alla persona deve essere ricercato non nelle disposizioni
specifiche dedicate ai diversi tipi di servizi, ma nelle norme generali dell’art.3 Costituzione
secondo comma, dedicate alla promozione di eguaglianza sostanziale. E’ particolarmente
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significativo che le condizioni sociali siano prese in considerazione contestualmente dalle
disposizioni che
attendono alla eguaglianza formale e sostanziale, per esigere che non
possano costituire elementi di discriminazione davanti alla legge e che debbano essere
annoverate tra gli ostacoli da rimuovere in funzione di perseguire il pieno sviluppo della
persona umana. Lo specifico richiamo che l’art. 3 II comma opera alle condizioni sociali
(condizioni economico-sociali che non devono costituire ostacolo alla pari realizzazione dei
soggetti), sembra conferire a questo particolare tipo di bisogno una condizione che impone
che si articoli un sistema di fruizione universale dei servizi, diretta a soddisfarli, si potrebbe
quasi dire che il carattere di assoluta generalità che si riconnette al dato della condizione
sociale quando essa è presa in considerazione per affermare l’irrilevanza davanti alla legge ,
esige che questo carattere l’assista anche quando si tratti di considerarla come causa da
rimuovere per la promozione dell’eguaglianza sostanziale. Il valore assolutamente generale
del riferimento alla condizione sociale quando rileva agli effetti di garantire l’eguaglianza
formale, implica un effetto altrettanto universale quando lo stesso elemento è configurato
come ostacolo da rimuovere per la piena realizzazione del soggetto.
L’universalità è apprezzabile sotto diversi profili: in primo luogo significa accesso
generalizzato dei soggetti ai servizi e alle prestazioni; il concetto di bisogno, ricollegato
ovviamente alla condizione sociale, può essere da un lato configurato in condizione
permanente o dipendente dall’età, dall’altro da una particolare condizione anche transeunte, in
cui un soggetto nel corso della vita si può venire trovare.
Da ciò discendono alcuni importanti corollari. Infatti le prime due ipotesi risultano
particolarmente comprensibili, e facilmente configurabili e previste dalla legge quadro, la
terza si apre ad una serie infinita di casi, che non è possibile configurare se non con qualche
indicazione esemplificativa.
Con l’entrata in vigore della legge quadro 8 novembre 2000, n. 328, norma paradigmatica
nel comparto servizi sociali, la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema
integrato di interventi e servizi sociali, per garantire la qualità della vita, le pari opportunità, la
non discriminazione, i diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di
disabilità, di bisogno o disagio individuale e familiare, che possono derivare da inadeguatezza
di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con quanto disposto
dagli articoli 2, 3, 38 della Costituzione.
Con la locuzione “interventi e servizi sociali” espressa nella legge suddetta, si intendono tutte
quelle attività, previste ed elencate nell’art. 128 del Decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
112, volte alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, di prestazioni
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economiche atte a rimuovere e a superare situazioni di bisogno e di difficoltà, che le persone
incontrano nel corso della loro vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema
previdenziale, e da quello sanitario, nonché quelle previste in sede di amministrazione della
giustizia.
L’articolo 117 lettera m) “ determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” del testo
costituzionale, offre all’interprete una difficile lettura.
Infatti come rilevato da autorevole dottrina e dalla giurisprudenza di merito, l’interprete è di
fronte a concetti indeterminati, ad espressioni a contenuto indeterminato, che lasciano
inevitabilmente ampi spazi discrezionali, allo svolgimento interpretativo del Legislatore,
nonostante la valutazione in ordine alla misura di materie dell’intervento statale, sia stata già
sottratta alla competenza di riparto delle Regioni. L’individuazione delle prestazioni
essenziali sono volte a garantire il principio di uguaglianza, (art. 3 Cost. formale e sostanziale
dei cittadini dinanzi alla legge), ma le scelte legislative possono rispondere ad esigenze o
decisioni di carattere politico, e pertanto ad ulteriore garanzia, sono inderogabilmente
sindacabili dalla Corte Costituzionale.
Quindi la concreta determinazione dei “livelli essenziali delle prestazioni” compete in via
esclusiva al legislatore statale, sottoponibile come già detto, al sindacato di legittimità
costituzionale,
(della
Corte
Costituzionale)
onde
valutare
l’eventuale
manifesta
irragionevolezza o contraddittorietà dell’opzione legislativa, che deriva dalla lapalissiana
latitudine della formula costituzionale. Tenendo conto degli svolgimenti giurisprudenziali
immediatamente successivi all’entrata in vigore del nuovo titolo V parte II della Costituzione,
sembra desumersi una indiretta conferma di sovrapponibilità dei sopraindicati soggetti,
identificabili nel Legislatore statale e regionale.
A tal proposito con la sentenza n. 282 del 2002 la Corte Costituzionale dopo aver rimarcato il
carattere trasversale della materia dei livelli essenziali delle prestazioni, ha precisato che non
si tratta di una materia in senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad
investire tutte le materie.
Quindi il legislatore statale deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti i
cittadini che compongono il tessuto sociale nazionale, il godimento di prestazioni garantite,
quale contenuto essenziale dei diritti, senza che la legislazione nazionale, possa limitarle o
condizionarle. Emerge il tentativo della Corte di ancorare la previsione del contenuto
essenziale dei diritti, sull’intero territorio nazionale. Il livello essenziale è riferito alle
prestazioni che devono essere determinate dal legislatore statale e garantite almeno fino al
15
soddisfacimento del contenuto essenziale del diritto al quale accedono: le prestazioni sono
dunque parte del contenuto essenziale, o meglio devono essere garantite fino al
raggiungimento del medesimo; o ancora la misura del contenuto è data dall’essenzialità delle
prestazioni.
Se la competenza esclusiva statale è intesa in questi termini, diventa di semplificata lettura
l’apparente riferimento al contenuto essenziale del diritto costituzionale alla salute, rinvenibile
in una sentenza del Tar del Lazio (citata a titolo esemplificativo), nella motivazione della
quale si legge che la fissazione dei LEA sanitari, come stabiliti dal D.P. c.m. novembre 2001,
dà senso e contenuto concreto alla tutela del diritto sociale alla salute ex art. 32 Costituzione,
il quale come è noto, implica il diritto ai trattamenti sanitari necessari a garantire il
mantenimento o il ripristino sia della sanità personale, attraverso la somministrazione di
prestazioni di terapie e profilassi corrette, efficaci ed appropriate, sia di quel grado di salute
collettiva ritenuta allo stato delle conoscenze scientifiche idonea ad attuare l’uguaglianza
sostanziale dei soggetti di diritto. Il riferimento al contenuto essenziale del diritto alla salute
non esime dunque il legislatore statale dal determinare quelle prestazioni, ovvero quei livelli
essenziali di prestazioni che rientranti in quel medesimo diritto devono essere
necessariamente garantite in maniera uniforme sull’intero territorio nazionale, così da dare
senso e contenuto concreto alla tutela del diritto sociale alla salute.
Il riferimento al concetto di contenuto essenziale del diritto alla salute non assume valenza
sintomatica nel sindacato operato dalla consulta, sulla decisione politica in ordine alla
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sotto il profilo della manifesta
irragionevolezza o contraddittorietà della relativa determinazione.
In questi termini può dunque ritenersi evocato il concetto di contenuto essenziale dei diritti in
ordine alla determinazione statale dei livelli essenziali delle prestazioni sotto il profilo della
manifesta irragionevolezza o contraddittorietà della relativa determinazione.
Come da alcuni rilevato, la Corte configura una violazione del contenuto essenziale del diritto
alla prestazione inteso in senso assoluto, in quanto il livello corrispondente è stato
determinato al di sotto di quel minimo, che solo può dimostrare la manifesta irragionevolezza
della stessa determinazione.
Il sindacato della Consulta si svolge dunque fino alla salvaguardia del livello minimo del
diritto, coincidente con il contenuto essenziale del medesimo. Oltre detto livello, ciò che è
essenziale e deve pertanto essere garantito come livello minimo dalle Regioni, è determinato
dalla legge statale. Può essere assai penetrante il sindacato svolto in questo caso dalla Corte
Costituzionale, non per limitare la capacità del legislatore statale, bensì allo scopo di
16
salvaguardare il contenuto essenziale dei diritti da conformazioni statali che, prevedendo
livelli troppo bassi, determinerebbero una lesione del medesimo. Non vi è dubbio infatti che
permangono sensibili margini per la capacità conformativa dei diritti costituzionali in capo al
legislatore. In ragione dell’avvenuta riforma costituzionale le stesse Regioni possono inoltre
rivendicare una seppur limitata (e talvolta circoscritta dai principi fondamentali stabiliti con
legge dello Stato) competenza a disciplinare dati fondamentali e dunque a compartecipare alla
formazione degli stessi. In un contesto di riferimento nel quale la determinazione legislativa
dei livelli essenziali riferita ai diritti è comunque già sottoposta alla pressione di una pluralità
di fattori di carattere politico, economico, culturale, sociale.
In occasione della pronuncia 282/2002, a fronte di una legge regionale che all’art. 1 enunciava
generiche finalità di tutela della salute e di garanzia della integrità psicofisica delle persone, la
Corte, prevedendo alla declaratoria di incostituzionalità dell’intero testo legislativo, con
estensione al sopracitato art.1, precisava tuttavia che in esso vi era una generica enunciazione
di finalità di per sé non eccedente la competenza della Regione. Così senza escludere, ma anzi
confermando una capacità regionale seppur limitata alla disciplina di dettaglio, nella
compartecipazione alla conformazione dei diritti fondamentali della persona, nello specifico,
diritti fondamentali del malato.
Ne consegue che lo stesso concetto di contenuto essenziale dei diritti deve essere ora calato
nel nuovo contesto ordinamentale, ove la competenza a legiferare è delle Regioni, salvo la
riserva costituzionale a favore dello Stato in ambiti espressamente e tassativamente, per
quanto trasversalmente individuati. In un contesto nel quale è ora lo Stato a dovere dare la
prova della sua competenza, e non già la regione che in difetto della detta riconduzione agli
ambiti di pertinenza esclusiva o concorrente limitatamente ai principi statali, si avvale del
cosiddetto criterio di residualità legislativa. Vi è da rilevare inoltre che il riconoscimento in
capo al legislatore statale del compito di determinare in via esclusiva i livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, se da un lato conferma la detta competenza
regionale in materia di diritti fondamentali, dall’altro chiarisce comunque che per la regione
la citata attività di conformazione troverà il suo naturale svolgimento in senso migliorativo
dei livelli fissati dallo Stato.
Uno spunto utile per decifrare il dettato della formula può trarsi dalle pronunce costituzionali
nelle quali il parametro, pur non avendo trovato materiale applicazione, veniva comunque
invocato dalla parte ricorrente o dal giudice. Nel caso specifico, in forza del parametro di cui
alla lettera m) comma 2 art. 117 Costituzione veniva sollevata da parte del Tribunale di
Milano, questione di legittimità costituzionale, dell’art 27 della legge regionale Lombardia 5
17
dicembre 1983, n. 91 recante la “Disciplina dell’assegnazione e della gestione degli alloggi di
edilizia residenziale pubblica.” Il giudice remittente denunciava in particolare la violazione di
detto parametro, ad opera di quell’ articolo che contemplava le regole per la determinazione
del canone di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, assumendo la lesione
della riserva di podestà esclusiva statale in materia di determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni, in ragione del supposto contrasto con i parametri di cui agli artt. 14 e 22
della legge statale 392/1978. A fronte delle dette eccezioni, la Consulta premetteva che la
legge regionale impugnata in materia di disciplina organica
gestione degli alloggi di edilizia residenziale
dell’assegnazione e della
pubblica con particolare riguardo alla
determinazione dei canoni relativi ai detti alloggi, costituisce in linea di principio, espressione
della competenza spettante alla regione in questa materia, indipendentemente dalla
intervenuta modifica del Titolo V, parte seconda della Costituzione.
Il che però potrebbe non essere sufficiente prima facie ai fini della definizione della questione.
La ragione risiede nel fatto che trattasi di trasversalità di competenza esclusiva del legislatore
statale, non sarebbe titolo idoneo ad escludere una determinazione statale dei livelli essenziali
delle relative prestazioni, non escluderebbe in radice la fissazione di limiti massimi di canoni
di locazione, riferiti agli immobili in questione.
Quindi la Regione sarebbe libera di fissare misure minori di questi canoni, ma non potrebbe
superare il massimo determinato dallo Stato, pena la invasione di un livello essenziale di
prestazione concernente un diritto civile o sociale fissato dallo Stato. In particolare dalle
deduzioni del remittente, si tra la scontata condivisione della natura trasversale della relativa
competenza statale, ma soprattutto la convinzione che i livelli essenziali delle prestazioni non
debbano essere soltanto tratti da apposite leggi, ma sia dato trarli anche da leggi statali
preesistenti; così come nel caso di specie dalla legge 392/ 1978.
Portando dunque alle estreme conseguenze le argomentazioni del remittente, anche in difetto
di precipuo intervento legislativo statale, in assenza di altra legge statale dalla quale poter
trarre i livelli essenziali, i medesimi potrebbero essere tratti in via interpretativa direttamente
dal testo costituzionale, dal contenuto essenziale del diritto coinvolto.
Tornando alla questione del giudizio della consulta, è da rilevare come pur venendo definita
con la dichiarazione di manifesta inammissibilità, fornisca comunque utili argomenti per una
migliore comprensione dell’azionata competenza statale.
La relativa questione veniva sollevata in via incidentale assumendo la violazione degli artt. 2
e 3 della Costituzione e non già in via diretta, assumendo un’invasione di competenza statale;
tuttavia sembra potersi trarre che in generale il giudizio per instaurato per accertare la
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violazione dei livelli essenziali da parte delle Regioni sia volto a sanzionare l’eventuale
violazione di un diritto, e non già la l’invasione di una competenza o forse ancor prima,
dell’invasione di una competenza. La Corte richiama infatti lo schema trilatero tipico del
giudizio di ragionevolezza, assumendo che la disciplina specifica in tema di costo di
costruzione degli immobili ristrutturati, recata dalla legge statale n. 392 del 1978 è male
invocata ai fini della valutazione di legittimità della disposizione regionale impugnata.
Cosicché in difetto di qualsiasi precisazione da parte del giudice remittente per la parte
riguardante i canoni l’entità dei canoni dovuti e i redditi degli assegnatari, non è offerta alcuna
dimostrazione della circostanza, più presupposta che affermata, che i canoni calcolati secondo
i criteri stabiliti dalla legge regionale siano tali da risultare in concreto superiori ai limiti
espressi di livelli essenziali di prestazioni , livelli dei quali non viene nemmeno indicata una
valida fonte di determinazione.
Ne deriva che il giudizio in questione assume la configurazione di un sindacato di
ragionevolezza svolto sulla legislazione regionale, rispetto alla quale la legge statale che fissa
i livelli essenziali funge da termine di comparazione.
Qualora inoltre se ne avvertisse ancora la necessità, si ha quindi la probatio della trasversalità
dell’azionata competenza statale. La Consulta conviene infatti che nell’ambito materiale
interessato sia di pertinenza regionale, rigettando tuttavia la questione, non già in ragione
dell’impossibilità per i livelli essenziali determinati dal legislatore statale di esplicare efficacia
sulle materie di competenza regionale, bensì, in quanto i detti livelli non sono stati dal
remittente correttamente individuati, non risultando provato che i livelli fissati dalla regione
siano concretamente superiori rispetto a quelli determinati dallo Stato.
In altra occasione la provincia autonoma di Trento denunciava la incostituzionalità dell’art.
3bis, commi 7 e 5 del decreto legislativo 26 maggio 1997 n. 155, di attuazione di talune
direttive comunitarie in materia di igiene dei prodotti alimentari, nella parte in cui riconosceva
al ministro della sanità il potere di determinare con decreto i requisiti minimi e i criteri
generali per il riconoscimento di analisi non annessi alle industrie alimentari utilizzabili in
sede di autocontrollo, attribuendo inoltre allo stesso ministro il potere di disporre le modalità
dei sopralluoghi per la verifica della sussistenza dei relativi requisiti. La provincia ricorrente
assumeva in particolare la violazione della propria autonomia normativa e amministrativa, in
materia di igiene e sanità.
L’intervenuta modifica del Titolo V parte seconda della Costituzione avrebbe inoltre
comportato sempre ad avviso del ricorrente l’abrogazione della norma impugnata, per effetto
della sopravvenuta normativa di rango superiore, o comunque avrebbe ricondotto l’intera
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normativa entro la materia della tutela della salute e dell’alimentazione entro ambiti dunque
non certo di pertinenza esclusiva statale, ma, bensì di pertinenza concorrente Stato Regioni.
Per quanto qui interessa la difesa dello Stato, dopo aver evidenziato il carattere di indirizzo
dell’atto impugnato con riguardo in particolare agli adempimenti degli obblighi comunitari,
assumeva la conformità della normativa contestata, con il nuovo assetto delle competenze
regionali, in ragione del fondamento della lettera m) comma 2 art. 117 Cost. precisando
inoltre che si trovava così conseguente legittimazione la stessa potestà regolamentare statale
in materia.
Dal canto suo la Consulta, trovandosi di fronte a ricorsi proposti anteriormente all’entrata in
vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 con i quali venivano dedotti nei
confronti di atti legislativi, vizi attinenti alla ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni,
non poteva che richiamare la sua nota giurisprudenza in ragione della quale il giudizio va
compiuto alla stregua dei parametri costituzionali vigenti, alla data degli stessi atti legislativi
impugnati. Ciò premesso dopo aver rilevato l’inapplicabilità
del nuovo riparto di
competenze, precisava tuttavia che trattandosi di questione attinente alla ripartizione di
competenze tra Stato e Provincia autonoma, le disposizioni contenute nella legge
costituzionale richiamata, non sono destinate a prevalere sugli Statuti speciali di autonomia e
attualmente sono invocabili solo per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie
di quelle già attribuite e non per respingerle, ma da considerarsi in modo unitario, nella
materia o funzione amministrativa presa in considerazione. Forse si può giungere ad una
duplice lettura della pronuncia in commento. In primo luogo può trarsi conferma come
evidenziato dalla Consulta, che l’igiene e la sanità rientrano nella competenza delle Province
autonome risultando così di tutta evidenza la violazione del principio di cui all’articolo 4 del
d. lgs. 16 marzo 1992 n. 266, secondo il quale nelle materie di competenza della Regione e
delle Province autonome, la legge statale non può attribuire ad organi statali funzioni
amministrative, comprese quelle di vigilanza, di polizia amministrativa e di accertamento di
violazioni amministrative, diverse da quelle attribuite allo Stato, in base allo Statuto speciale
e relative norme di attuazione.
In secondo luogo per quanto specificatamente interessa questa sede se ne può trarre una
lettura per così dire minimalista,
con
riguardo alle Regioni a statuto speciale della
competenza esclusiva statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni. Tornando al caso in esame della Consulta ed alle sue parole, i controlli e la
vigilanza spettano alle stesse Province autonome, non essendo escluse da alcuna previsione
dello Statuto speciale o delle relative norme di attuazione, spettando alle stesse la tutela
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igenico-sanitaria della produzione commercio e lavorazione di sostanze alimentari e bevande
ancorché sulla base di standard di qualità e salubrità stabiliti dallo Stato. In questo senso ed
entro questi margini,
pare trovare applicazione potenziale e futura per le Province la
competenza statale in questione. Oltre che naturalmente in veste surrogatoria e sostitutiva così
come contemplata dall’art. 120 comma 2 Cost. post riforma, anche se poi la Corte non ne
ravvisa gli estremi posto che l’intervento statale può esservi solo in presenza di un verificato
inadempimento da parte delle Province autonome di specifici obblighi di vigilanza comprese
quelli sul rispetto di prescrizioni comunitarie e con le garanzie previste.
Non può certamente pervenirsi all’affrettata conclusione che la competenza esclusiva statale
in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, in quanto particolarmente
incisiva sui margini di autonomia regionale non possa nemmeno in futuro trovare
applicazione nei confronti delle Regioni a Statuto speciale e delle due province autonome, se
non con riguardo a quei settori entro i quali analoghe limitazioni ed il riconoscimento di
analoghe competenze statali, siano comunque rinvenibili nei relativi statuti di autonomia, in
forza di una valutazione che deve avere riguardo alla singola fattispecie ed alle specifiche
limitazioni che si traggono dallo Statuto.
Una lettura solo apparentemente di segno contrario, con quanto rilevato, sicuramente di
grande problematicità, si trae dalla sentenza 536/2002 in materia di tutela dell’ambiente, e
dunque con riguardo ad altra competenza esclusiva statale trasversale. La Corte dichiara in
quell’occasione incostituzionale, una legge della Regione Sardegna, in materia di caccia, ove
detta Regione gode di potestà legislativa primaria, pervenendo però alla relativa declaratoria,
non già in forza dell’operatività nei confronti della resistente lettera s ) comma 2, art.117
Cost., tutela dell’ambiente, in quanto non certo disposizione migliorativa delle condizioni di
autonomia della stessa, bensì in forza dei limiti alla legislazione regionale
primaria
contemplati dallo statuto speciale. Si legge nella pronuncia che la previsione per cui il nuovo
regime stabilito dalla riforma si applica anche alle Regioni a Statuto speciale ove sia più
favorevole all’autonomia regionale, ma non implica che ove una materia attribuita dallo
Statuto speciale alla potestà regionale interferisca in tutto o in parte con un ambito ora
spettante alla potestà esclusiva statale, la Regione speciale possa disciplinare la materia
riservata allo stato, senza dover osservare i limiti statutari imposti alla competenza primaria
delle Regioni.
Da ciò deriva che la Regione speciale non perde certamente la titolarità nella detta materia,
anzi l’aver contemplato un ambito di competenza esclusiva statale non porta contestualmente
alla sottrazione o allo svuotamento delle competenze primarie delle Regioni speciali, tuttavia
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l’applicazione in senso migliorativo della riforma non può spingersi sino a far venir meno i
limiti statutari della sulla medesima competenza, incidenti ove si registri una coincidenza
anche solo parziale con un ambito di pertinenza esclusiva statale. Tuttavia, anche volendo
solo prescindere da quest’ultimo aspetto, tentando di fornire un primo parziale elemento di
lettura, è certamente incontestabile che dalle pronunce sopracitate ordinanza 526/2002 e
sentenza 103/2003 non emerga affatto quella portata dirompente nei confronti delle regioni
della competenza statale in materia dei livelli essenziali delle prestazioni, che pur si trae in
trasparenza da taluni passaggi della sentenza 282/2002 . Per quanto dalla trasversalità della
competenza statale vi è stato chi già aveva dedotto la sottoposizione del limite in questione ad
una interpretazione non estensiva. Sembra pertanto che della detta competenza statale, possa
essere data una lettura residuale, tale da conformarla in una sorta di clausola di salvaguardia
verso fughe in avanti di talune Regioni, in parte legittimate tra l’altro dal cosiddetto
regionalismo differenziato di cui all’art. 116 terzo comma Costituzione, oppure nei confronti
di eccessivi ritardi di altre una clausula per mutare una chiara definizione fornita dalla Corte,
con riguardo alla tutela dell’ambiente, volta a garantire standard minimi e uniformi di tutela.
8. La definizione dei livelli essenziali nella sentenza n. 88 del 2003 della Corte costituzionale,
in materia di “Servizi per le tossicodipendenze.
La forza e l’incisività nei confronti delle competenze regionali della lettera m) comma 2 art.
117 Cost. riemerge tuttavia nella giurisprudenza costituzionale con la sentenza 88/2003. In
quell’ occasione con ricorso per conflitto d’attribuzione, veniva contestato un decreto del
ministro della salute adottato di concerto con il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali,
del 14 giugno 2002, recante “disposizioni di principio sull’organizzazione e sul
funzionamento dei servizi sulle tossicodipendenze delle aziende sanitarie locali ser.T, di cui al
decreto ministeriale 30 novembre 19990 n. 444.
Le ricorrenti (Regioni) denunciavano la violazione di loro sfere di autonomia, assumendo
di essere titolari di competenza legislativa concorrente in materia di tutela della salute e
residuale in materia di assistenza sociale, titolari di potestà primaria, in tema di assistenza e
beneficenza pubblica e ripartita in tema di igiene e sanità, ivi compresa l’assistenza sanitaria e
ospedaliera.
Le regioni ricorrenti assumevano la violazione del VI comma dell’art. 117 Cost. posto
che, il decreto contestato, anche se emanato nella forma di atto amministrativo, presentava le
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caratteristiche di atto regolamentare, rilevando che dopo la riforma costituzionale, dovrebbe
invece escludersi che in materie come l’assistenza sanitaria, l’assistenza sociale e
l’organizzazione dei servizi, materie di pretesa competenza regionale, possa invece al
contrario esercitarsi un potere regolamentare statale.
La provincia autonoma di Trento perveniva in particolare ad analoghe conclusioni in
termini di applicabilità del sesto comma dell’art.117 e dunque di in operatività del contestato
decreto, argomentando che sulla base dell’art.10 della legge costituzionale 3/2001, che
ammette l’operatività della riforma nei confronti delle regioni a statuto speciale solo in quanto
e nella misura in cui sia migliorativa delle loro condizioni di autonomia.
La difesa dello Stato sosteneva che il decreto ministeriale contestato contenesse
disposizioni volte a garantire la tutela di diritti basilari che la Costituzione riconosce e
protegge sia come diritti fondamentali per la persona, che come interessi della collettività.
Quindi la competenza in tal modo esercitata non poteva che essere ricondotta alla
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni ed in relazione a tale potestà sarebbe
quindi irrilevante l’invocazione di competenze regionali poiché queste ultime sarebbero
cedevoli per le parti, concernenti l’individuazione dei livelli minimi essenziali,
indefettibilmente rimasta nella competenza esclusiva dello Stato.
E’ interessante ricostruire, allo scopo di tracciare i confini della materia in esame, il percorso
argomentativo seguito dalla consulta. In primo luogo occorre ricordare che la Corte
costituzionale ha patrocinato due strade distinte che contribuiscono indubbiamente a decifrare
taluni aspetti problematici della competenza in tema di livelli essenziali delle prestazioni.
Le due “fasi” presentano una articolata peculiarità interna: nella prima non viene fatta
menzione di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117 Cost. lettera m); nella seconda,
ciò diventa il perno attorno al quale fare ruotare il giudizio.
Quanto al primo, la Consulta
ritiene che
il contestato decreto ministeriale comprime
indubbiamente la sfera di autonoma organizzazione delle regioni e delle province autonome
in relazione ai servizi preposti alle tossicodipendenze, e pone l’obbligo di erogare livelli
assistenziali diversi e ulteriori rispetto a quanto determinato in materia dal decreto 29
novembre 2000, ovvero, definizione dei livelli essenziali di assistenza. Precisa tuttavia che
l’evidente rilevanza generale degli interessi sanitari e sociali connessi con il fenomeno della
tossicodipendenza ha legittimato una parziale ed eccezionale compressione dell’autonomia
organizzativa e funzionale delle Regioni e Province autonome, limitazione della sfera di
autonomia regionale che viene evidenziata, ma forse e soprattutto giustificata dalla previsione
in forza della quale sul progetto di regolamento ministeriale da emanarsi deve essere sentita la
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conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome. Con
riguardo al caso specifico, considerato che il contestato decreto non è stato preceduto dal
parere della conferenza permanente Stato-Regioni, essendo anzi documentato un successivo
esplicito dissenso da parte del rappresentante della Conferenza permanente e quindi del
principio di leale collaborazione, rendono illegittima la compressione dei poteri delle Regioni
e Province autonome, rispondendo così alle eccezioni in ordine alla natura e alla procedura di
adozione del decreto ministeriale, in quanto atto sostanzialmente regolamentare e dunque
illegittimo, prescindendo inoltre dalla questione della permanenza della potestà regolamentare
nella detta materia, in capo allo Stato a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione.
La questione controversa potrebbe essere definita nei detti termini se solo non venisse
richiamata la competenza statale di cui alla lettera m) comma 2 art. 117 Cost. in grado di
riaprire la contesa, così da costringere la Corte a ricorrere ex novo, ad altro percorso
argomentativo.
La prima fase del ragionamento della Consulta è caratterizzata dal massimo della linearità,
infatti, si registra una compressione delle competenze organizzative regionali, giustificata
tuttavia dalla rilevanza generale degli interessi coinvolti e soprattutto dalla previsione di una
procedura di consultazione e collaborazione, il mancato rispetto della quale è dunque
sufficiente per rendere non più sostenibile e quindi illegittima la relativa compressione di
autonomia. Ma tutto si complica con il riconoscimento esplicito ed in via esclusiva in capo
allo Stato del potere di determinare in via unilaterale i livelli essenziali delle prestazioni. A
quanto è dato desumere dalla pronuncia in commento, l’intervento statale giustificato dalla
determinazione di detti livelli è in grado di prescindere dalle procedure più sopra richiamate,
di incidere sull’autonomia regionale, indipendentemente dal rispetto di una qualsiasi
procedura collaborativa.
9.Esistenza di uno strumento per garantire il mantenimento di adeguata uniformità di
trattamento sul piano dei diritti.
La Corte ha rilevato preliminarmente che l’inserimento fra le materie di legislazione esclusiva
dello Stato della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, attribuisce al legislatore
statale, un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità
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di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un
livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto.
Non può che avvertirsi dunque l’esigenza di definire le forme del relativo intervento,
evidentemente a salvaguardia del dell’autonomia regionale, posto che la forte incidenza
sull’esercizio delle funzioni nelle materie assegnate alle competenze legislative ed
amministrative delle regioni e delle Province autonome, impone evidentemente che queste
scelte almeno nelle linee generali, siano operate dallo Stato con legge, che dovrà determinare
adeguate procedure e precisi atti formali per procedere alle specificazioni ed articolazioni
ulteriori, che si rendano necessarie nei vari settori.
E’ preliminarmente da rilevare che, quanto alla peculiare capacità incisiva della competenza
statale, la Corte non distingue affatto tra le Regioni ordinarie e Regioni a statuto speciale, non
facendo alcuna menzione all’ipotesi di in operatività della relativa previsione nei confronti
delle ultime, in quanto non certo migliorativa delle loro condizioni di autonomia.
Probabilmente tutto si spiega in quanto risolve la questione in termini di inosservanza della
procedura per la determinazione dei livelli essenziali, senza dunque pervenire alla
problematica dell’applicabilità o meno della relativa disposizione alla provincia di Trento
anche se sarebbe bastato un obiter dictum, per chiarire definitivamente la questione.
Quanto alle forme di determinazione dei livelli essenziali, in ragione della peculiare capacità
incisiva della competenza in questione, è dunque necessario che, quanto meno nelle linee
generali, siano fissati con legge. Del resto già nella sentenza 282/2002 si leggeva che spetta
al legislatore porre le norme necessarie per assicurare i livelli essenziali delle prestazioni. Ma
questo determina l’insorgenza di un’ulteriore questione che è qui solo il caso di accennare,
vale a dire la configurabilità
di un esercizio in forma
amministrativa del compito di
determinare i livelli essenziali o meglio se questa competenza giustifichi l’allocazione in
capo allo Stato di compiti di natura amministrativa ulteriori rispetto a quelli sostitutivi
contemplati all’art. 120 Cost.
Appunto con legge ( di conversione 16 novembre 2001, n. 45) per poter giungere alla
definizione dei livelli essenziali di assistenza nel settore sanitario, si è inteso disciplinare il
procedimento di adozione dei livelli essenziali di assistenza attraverso l’attribuzione ad un
apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del compito di definirli, e la
previsione del coinvolgimento delle Regioni e Province autonome attraverso la previa intesa
con il Governo, da conseguire in sede di conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, la
Regione e le Province autonome di Trento e Bolzano. Il che induce a concludere la Corte che
al di là di ogni valutazione di
merito sul procedimento e sulla adeguatezza dei livelli
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essenziali in tal modo individuati, resta indubbio che in tutto il settore sanitario esiste una
precisa procedura, individuata con fonte legislativa per la determinazione di quanto previsto
nell’art. 117 secondo comma, lettera m) della Cost. intervenuta con il d.p.C.m. 29 novembre
2001. Ne consegue che il contestato decreto essendo stato adottato da un organo e con
procedura radicalmente difforme da quella così disciplinata, non può certo determinare i
livelli di cui all’art. 117 secondo comma, lettera m), configurandosi come invasivo delle
concorrenti8.
10. La garanzia uniforme dei livelli essenziali
un caso emblematico del giudice
costituzionale.
In mancanza di una definizione legislativa come più volte abbiamo ricordato, non mancherà
una sorta di garanzia dei livelli essenziali fruibili uniformante sul territorio nazionale, per
opera del Giudice costituzionale. Il suo compito sarà infatti volto ad estendere mediante la
sanzione di incostituzionalità, le leggi regionali in contrasto con livelli già definiti in ambito
statale, non solo livelli già legislativamente determinati, ma anche di quelli che
progressivamente la Consulta ha enucleato in occasione della sua incisiva giurisprudenza a
salvaguardia dei diritti fondamentali.
Vi è un certo tasso di probabilità che ipotesi del genere siano destinate ad aumentare nella
casistica della giurisprudenza costituzionale; già ora è interessante rilevare come ipotesi
analoghe si possano verificare mediante la semplice estensione alle Regioni di livelli di
garanzia di diritti costituzionali già conseguiti mediante la sanzione di incostituzionalià di
leggi statali, indipendentemente tra l’altro dal richiamo della lettera m), secondo comma ,
art.117 Cost..
Significativa sembra la questione
definita dalla Consulta con sentenza 148/2003. In
quell’occasione il Tribunale di Bari, solleva la questione di legittimità costituzionale nei
confronti di due leggi della Regione Puglia ( la n.56/1980; art. 37 comma 5 e l.n.20 del 2001
art.17 comma due) assumendo la violazione dell’art. 42 secondo e terzo comma Cost. poiché
le predette norme regionali, imporrebbero dopo la scadenza dei termini previsti per
Si spiega così anche il più sopra evidenziato silenzio della Consulta in ordine all’operatività della relativa competenza
statale e nello specifico dei livelli essenziali di assistenza nei confronti della Regioni a Statuto speciale, data la
compartecipazione delle medesime al procedimento volto alla definizione di detti livelli.
Spiegazione che vale però con esclusiva limitazione all’ipotesi decisa, posto che vero è che per la definizione e per la
modifica dei livelli in questione è necessario conformarsi al descritto procedimento, pena l’illegittimità del relativo atto
con conseguente invasione di competenza, altrettanto vero è che qualora si intenda derogare alla stessa procedura è
possibile farlo direttamente con legge dato che come dalla Corte rilevato, compete alla legge statale la determinazione
dei livelli e dunque la definizione, ma anche specularmene ed unilateralmente, l’eventuale modifica del procedimento
volto a definirli in concreto.
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l’attuazione dei piani, la protrazione automatica dei vincoli di natura espropriativa e di
inedificabilità trasformati a tempo indeterminato e senza previsione di indennizzo.
Quello che preme rilevare è costituito dalla rilevata inapplicabilità della disciplina statale,
contemplata in materia dall’art. 38 Cost. e dal DPR 8 giugno 2001, n. 237 data la differita
entrata in vigore delle relative disposizioni.
La Consulta accoglie la questione argomentando esclusivamente sulla base dell’iter
interpretativo della garanzia costituzionale in materia di espropriazione, che ha portato a
riconoscere il principio secondo il quale, per i sopraindicati vincoli urbanistici espropriativi,
la reiterazione o proroga comporta, necessariamente un indennizzo, diretto al ristoro del
pregiudizio causato dal protrarsi della durata.
Constatata la inapplicabilità dei livelli predisposti dal legislatore statale a salvaguardia del
diritto di proprietà la Corte non ha fatto che richiamare la sua giurisprudenza in argomento,
applicando i principi relativi a tutela del diritto di proprietà, così come venuto
progressivamente conformandosi, non già in forza di interventi legislativi, bensì in forza di
aggiustamenti giurisprudenziali, pervenendo così a dichiarare incostituzionali le leggi della
regione Puglia,al suo esame che a quei principi non si conformavano, e conseguentemente ad
estendere alla detta regione quei livelli, giudicati evidentemente essenziali, relativi alla
prestazione indennitaria per l’ipotesi di non completa fruizione del diritto di proprietà.
Ferma restando quella condivisione delle ipostazioni che giudicano la norma sui livelli
essenziali delle prestazioni
come uno snodo decisivo nella configurazione di un nuovo
disegno autonomistico, per tentare di delineare una conclusione ( seppur parziale) volta alla
individuazione di un parametro plausibile volto alla definizione dei livelli delle prestazioni da
garantirsi su tutto il territorio nazionale, è certo tenere in considerazione il dato che attraverso
l’inserimento della lettera m) al comma 2 dell’art. 117 Cost. il legislatore di revisione
costituzionale ha voluto così introdurre nel corpo della Costituzione, nel momento in cui
dava una configurazione all’ordinamento in senso marcatamente autonomista, quella che
viene comunemente definita come clausula di tendenziale omogeneità o uniformità.
E’ indubbio che clausole del genere siano volte a garantire non situazioni di eguaglianza
formale assoluta, ma, bensì eguaglianza sostanziale e per certi versi circoscritta ai contenuti
essenziali e costituzionalmente rilevanti dei diritti. Clausule che presentano dunque
contestualmente elementi di residualità, tali da precostituire una sorta di ultima difesa ai diritti
costituzionalmente tutelati, ed accedono soprattutto in via residuale alle altre competenze
statali che, con riguardo ad altri settori, sono a volte salvaguardare analoghe esigenze di
tendenziale uniformità e rispetto del principio di uguaglianza sostanziale.
27
Sotto questo profilo è certamente di grande interesse sondare il rapporto che si instaura con la
competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, di cui alla lettera l) del comma
2 art. 117 Cost. Al riguardo infatti, vi è già chi ha evidenziato (come Azon, Belletti, Lucani)
un rapporto di complementarità fra le due fattispecie; o meglio come la riserva statale in
materia di ordinamento civile debba essere intesa come complementare a quella
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, nel senso che la prima è chiamata ad
operare a tutela dell’uguaglianza nel godimento dei diritti ogni qual volta la seconda non è
abilitata a intervenire e cioè al di fuori del campo delle prestazioni dei pubblici poteri.
Indubbi i momenti di contatto tra le due riserve esclusive di legislazione statale; basta infatti
rilevare che nella sentenza 88/2003 con riguardo ovviamente ai livelli essenziali delle
prestazioni sociali, si legge che l’inserimento della detta competenza tra le materie di
legislazione esclusiva dello Stato attribuisce al legislatore statale un fondamentale strumento
per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti,
a tutti i soggetti. Analogamente, con riguardo alla materia ordinamento civile o meglio con
riguardo al tradizionale limite del diritto privato, si registra invero un percorso evolutivo, che
muove dall’esclusività per la Regione degli interessi pubblici, unitamente all’esigenza di
garantire il principio di unità ed indivisibilità della Repubblica, tale da evitare che l’unità
politica possa venire turbata dalla pluralità della disciplina dei rapporti privati ( sent. 6/1958)
conosce il richiamo ulteriore al principio di eguaglianza fino a pervenire con la sent. 35/1992,
a ravvisare il fondamento costituzionale
del limite del diritto
privato, unicamente
nell’esigenza di assicurare il rispetto del principio di uguaglianza, e più precisamente del
principio di eguaglianza di tutti i cittadini nel godimento dei diritti fondamentali. In entrambi i
casi la riserva in capo allo Stato, trova dunque giustificazione nell’esigenza di garantire una
fruizione il più possibile uniforme su tutto il territorio nazionale dei diritti fondamentali, che
deve essere addirittura identica con riguardo con riguardo al nucleo essenziale degli stessi.
Ferma restando la più sopra evidenziata complementarietà tra le due riserve legislative statali,
può forse ritenersi che laddove si registri una sorta di arretramento del limite del diritto
privato, ora nell’ordinamento civile, tale da aprire spazi alla legislazione regionale con
riguardo alla disciplina di rapporti di diritto privato, ove non si pongono esigenze di disciplina
uniforme dei relativi rapporti in ambito nazionale, potrà aversi contestualmente, quanto meno
con riferimento al nucleo essenziale delle situazioni soggettive coinvolte, un recupero in forza
della garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, da fruire uniformemente su tutto
il territorio nazionale.
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Ne deriva così che il rapporto tra le dette competenze potrà essere non solo orizzontale, ed
appunto complementare, ma anche verticale, nel senso che laddove è consentito alle Regioni
legiferare in ambiti concernenti la disciplina privatistica, la salvaguardia del contenuto
essenziale del diritto coinvolto, sarà sempre in virtù della lettera m) di pertinenza statale.
Come attentamente segnalato, la massima apertura nei confronti del cosiddetto limite del
diritto privato, si registra pochi giorni prima dell’entrata in vigore della riforma organica del
Titolo V, con sentenza 352/2001. In quell’ occasione viene ribadita la tradizionale
giustificazione del detto limite, ribattezzato dall’ordinamento del diritto privato in quanto
fondato sull’esigenza sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire nel
territorio nazionale l’uniformità di disciplina dettata per i rapporti tra privati, con la novità che
la Consulta inizia a parlare di un’area riservata alla competenza esclusiva della legislazione
statale, accogliendo ancor prima dell’entrata in vigore della riforma, il criterio dell’inversione
nel conferimento delle competenze, preannunciando inoltre il carattere trasversale di detto
limite, laddove si precisa che si tratta di limite che attraversa le competenze legislative
regionali, in rispetto del fondamentale principio di eguaglianza.
Tuttavia, continua la Corte, questo limite non opera però in modo assoluto, posto che anche la
disciplina dei rapporti privatistici può subire un qualche adattamento, ove questo risulti in
stretta connessione con la materia di competenza regionale e risponda al criterio di
ragionevolezza, che vale soddisfare il rispetto del richiamato principio di uguaglianza.
Nonostante talune perplessità in ordine alla locuzione ordinamento civile, ed il timore che il
legislatore costituzionale avesse voluto così cristallizzare il limite del diritto privato nella sua
configurazione più radicale, tale da escludere ogni intervento regionale in ambiti privatistici,
dalla prima pronuncia resa in applicazione del novellato titolo V sent. 282/2002 è emersa
chiara la volontà di mantenere aperta la strada del legislatore regionale verso una limitata
disciplina della materia.
Non soltanto si registra una continuità, con il più recente orientamento giurisprudenziale, ma,
la Consulta fornisce inoltre un chiaro esempio di come deve essere applicato il principio
enucleato in seguito alla pronuncia 352/2001, precisando che altro sono infatti i principi e i
criteri della responsabilità che indubbiamente appartengono a quell’area, altro le regole
concrete di condotta la cui osservanza o la cui violazione possa assumere rilievo in sede di
osservanza o violazione dei doveri inerenti alle diverse attività, che possono essere
disciplinate, salva l’incidenza di altri limiti, dal legislatore regionale.
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La regola generale anche in questa fattispecie è che per esigenze del rispetto del principio di
uguaglianza, i principi e i criteri di responsabilità civile, devono trovare disciplina uniforme,
presumibilmente codicistica, a livello nazionale.
Come già evidenziato il limite in questione non opera però in maniera assoluta, purchè si versi
in ambiti di competenza regionale, e purchè la diversità di disciplina che viene a delinearsi
non sia irragionevole; così le regole di condotta, possono essere disciplinate dal legislatore
regionale, anche se evidentemente il mancato rispetto delle medesime può comportare
l’attivarsi di meccanismi di responsabilità civile.
La stessa Consulta, ammettendo una legislazione regionale in ambiti privatistici, salva
l’incidenza di altri limiti, pare adombrare un rapporto di complementarietà o raccordo sia
orizzontale che verticale tra le due riserve di legislazione statale. Un rapporto che vede
appunto la competenza in materia di livelli essenziali delle prestazioni sociali, inserirsi negli
spazi lasciati vuoti dall’arretramento del limite dell’ordinamento civile, anche se
limitatamente alla garanzia uniforme sul territorio nazionale del nucleo essenziale dei diritti
coinvolti.
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