7. LE FORME DEL R I L I E V O
Le forme del suolo
La superficie esterna della litosfera, sia dove è coperta dalle acque
marine, sia dov'è scoperta e direttamente osservabile, presenta configurazione molto varia. Ciò porta a distinguere numerose forme del rilievo
( o forme del suolo o del terreno). Queste differiscono per dimensioni,
per altezza relativa, ossia dislivello tra i punti più bassi e quelli più
alti, e per pendenza. La distinzione elementare tra pianure, altopiani,
colline, monti e montagne è del tutto generica e insufficientissima a
qualificare la varietà delle forme.
La descrizione delle forme del rilievo nel loro concreto aspetto
odierno deve essere integrata dalla spiegazione della loro origine. Un
monte, per esempio, può essersi formato per l'accumulo di materiali
emessi da un vulcano, oppure per lo scavo operato dalle acque correnti
in una grande massa rocciosa, in quanto per contrapposto rimangono
delle parti in rilievo, così come da un blocco d i marmo si ricava una
statua per scalpellatura. Una pianura può aver preso origine dall'accumulo dei materiali solidi depositati dai corsi d'acqua, oppure dallo
spianamento totale dei rilievi operato in un lunghissimo periodo di
tempo dalle acque correnti.
A modellare le varie forme lavorano diversi agenti, per esempio
oltre i vulcani e i fiumi, i ghiacciai, il vento, le onde marine lungo le
coste, ecc. Di massima le forme attuali derivano dalla trasformazione
di forme precedenti, quindi risultano da un'evoluzione, più o meno
lunga, per lo più lenta o lentissima a paragone della vita umana e
degli stessi tempi storici, cosicché non viene da noi percepita direttamente. Vi sono tuttavia ancke fenomeni particolari che producono o
modificano forme del suolo in breve tempo, come una violenta eruzione vulcanica o una frana.
Oltre a spiegare l'origine si dovrà rendersi conto della distribuzione geografica dei vari tipi di forme, ossia chiarire perché certe si
trovino in un luogo piuttosto che un altro. Ancora per esemplificare
menzioniamo le innumerevoli cavità, grandi e piccole, occupate oggi
da laghi in Svezia, Finlandia, Canada, sorte per l'azione sia di escavo
sia di accumulo del grande ghiacciaio dell'epoca glaciale.
Lo studio delle forme del rilievo prende nome di morfologia terrestre o più semplicemente geormofologia, e costituisce un vasto capitolo della geografia in stretto collegamento con la geologia. Esso presenta due aspetti, cioè la pura descrizione esteriore delle forme, morfografia, e la ricerca della loro origine morfogenesi. La morfografia
è riflessa nelle carte topografiche precise con rilievo figurato mediante
le curve di livello (isoipse), purché in scala compatibile con la dimensione di esse forme. I1 termine orografia, che letteralmente significa
« descrizione delle montagne D, è press'a poco equivalente a morfografia, però non è mai riferito alle forme piane.
È da avvertire che questi termini morfologia e orografia vengono
usati molto spesso in senso traslato, per intendere il rilievo di una
regione, come quando diciamo la morfologia delle Alpi e l'orografia
dell'Italia.
Le varie forme del suolo offrono all'uomo condizioni diverse. È
ovvio pensare, ad esempio, che terreni assai inclinati pongono limitazioni e difficoltà all'attività umana, in ispecie alla coltivazione ed alla
circolazione, come si accennerà meglio in seguito.
Agenti geomorfologici
La ricerca delle cause che hanno dato origine alle varie forme del
rilievo deve necessariamente prendere in considerazione i processi che
operano alla trasformazione, o modellamento che dir si voglia, mediante
gli agenti morfologici, detti anche agenti modellatori.
Si distinguono in due grandi categorie, agenti esogeni o esterni,
fenomeni che si volgono alla superficie della litosfera; e agenti endogeni o interni, che possono operare all'esterno ma la cui origine è
dentro la crosta terrestre.
Questi ultimi sono di due sorte, i fenomeni vulcanici ( vulcanismo),
consistenti nella fuoriuscita dalla crosta terrestre di gas caldi e di materiali rocciosi fusi; e moti tettonici, ossia sollevamenti e abbassamenti
del terreno, rotture e spostamenti di tratti della litosfera (dislocazioni)
per forze interne. Gli agenti esogeni sono essenzialmente le manife-
stazioni dinamiche, cioè di movimento, dell'aria e dell'acqua nelle sue
varie forme, quindi il vento, le acque correnti e sotterranee, i ghiacciai,
il mare e i laghi. Le acque sotterranee, essendo di origine meteorica
e penetrando sino a non grande profondità nel sottosuolo, sono agenti
esterni. Infine è da aggiungere l'aria nelle sue componenti chimiche
e nelle variazioni di stato fisico.
A parte q~est'ultirna~ogni agente opera in genere secondo due
processi, cui corrispondono effetti diversi: l'erosione e il deposito.
La prima consiste nell'asportazione dal suolo di detriti rocciosi e la
sua conseguenza è un lento abbassamento della superficie del terreno
e quindi una tendenza alla demolizione dei rilievi. Quei detriti sono
poi depositati e accumulati più in basso rispetto al luogo d'origine,
rialzando la superficie del terreno o costruendo nuova terra emersa
se vengono scaricati in mare o in un lago. Così nascono forme di PIOsione e forme di accumulazione.
Tra l'erosione e il deposito vi è naturalmente un processo intermedio, il trasporto, ma in genere questo non lascia tracce evidenti e
forme proprie. Si osservino i tre aspetti in un fiume in piena: le
acque appaiono torbide perché cariche di materiali solidi strappati al
terreno, che saranno poi depositati in mare o in un lago o anche in una
pianura.
Di regola diversi agenti agiscono contemporaneamente o in successione, ma spesso uno è prevalente sugli altri, e quindi si usa distinguere forme eoliche (dovute al vento), torrentizie, glaciali, ecc., anche
se in realtà hanno contribuito più processi.
Terminologia geomorfologica
Sia per i processi che modellano il suolo, sia per le forme del
rilievo è necessario usare termini con significato specifico, il più possibile preciso. Questi termini possono essere semplicemente descrittivi
( morfografici) oppure involgere l'idea dell'origine. Sono descrittivi,
ad esempio, i comuni vocaboli pianura, valle, golfo, e con significato
più particolare gola, cresta, terrazza. Hanno invece significato soprattutto genetico o duplice le parole circo (glaciale), incavo aperto dalla
azione erosiva di un ghiacciaio, duna, collinetta di sabbia accumulata
dal vento, penepiano, territorio pianeggiante derivato da erosione fluviale durata lunghissimo tempo, ria ( u n tipo d'insenatura costiera
formatasi in seguito alla sommersione di una valle).
I termini geomorfologici possono constare anche di due o più
parole, ad esempio anfiteatro morenico, solchi carsici, falde detritiche,
ecc. Molti sono vocaboli della lingua comune, che però hanno assunto
in campo scientifico un significato particolare; taluni sono voci dialettali
proprie di una regione elevati a termini tecnici, per esempio calanco.
Altri sono stati ripresi da una lingua straniera e diventati d'uso internazionale, come lo spagnolo cuesta e il tedesco Inselberg. Quest'ultimo termine ci offre anche l'esempio di un termine appositamente
coniato dagli studiosi, com'è pure quello su citato di penepiano.
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Fattori attivi e passivi
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I1 modellamento del rilievo non dipende soltanto dai processi geomorfologici: questi, infatti, operano su materiali diversi, cioè su rocce
differenti per le loro proprietà fisiche e per la loro disposizione (aiacitura). Rispetto all'erosione un calcare, per esempio, si comporta in
modo differente da un granito o dal17argilla.
Le rocce si differenziano per omogeneità o eterogeneità, costituzione chimica, divisibilità (stratificazione, scistosità); e per la disposizione dei loro strati o banchi, che possono presentarsi orizzontali,
obliqui, verticali, diritti o piegati cioè incurvati, nonché per la posizione di una massa rocciosa rispetto a quelle adiacenti. Tutte queste
condizioni costituiscono « fattori » delle forme del suolo, che rispetto
ai fattori attivi, cioè i processi dinamici, possiamo qualificare di fattori
passivi ( o inerti ) .
È necessario poi tener conto, per interpretare le forme del rilievo e
giudicare della fase in cui si trovano, della durata di tempo per il quale
hanno agito i processi morfologici; una stessa massa rocciosa presenterà differente modellamento a seconda che gli agenti abbiano operato più o meno a lungo.
Prima di esporre le principali nozioni geomorfologiche è opportuno richiamare qualche nozione elementare sulle rocce e la loro piacitura.
Queste si distinguono in: 1 ) rocce sedimentarie, che hanno preso
origine dall'accumulo (sedimentazione) di frammenti solidi, deposti
via via, ma non con regolare continuità, di modo che usualmente risultano divise in strati di vario spessore, e pertanto vengono spesso indicate anche col nome di rocce stratificate; 2 ) rocce eruttive, formate
per il raffreddamento e la solidificazione di magma, cioè un impasto
di minerali fusi, originatosi entro la crosta terrestre ( m a la solidificazione può avvenire anche all'esterno); 3 ) rocce metamorfiche, deri-
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vate da quelle sedimentarie o eruttive per una trasformazione profonda.
Rocce sedimentarie
Le rocce sedimentarie si formano in tre differenti modi: I ) per
accumulazione di frammenti di rocce preesistenti, grossi o minuti, trasportati e poi depositati dagli agenti esterni; 2 ) per accumulo di resti
solidi di organismi; 3 ) più di rado per precipitazione chimica di sostanze disciolte nell'acqua. La sedimentazione può avvenire in mare, in
un lago o sullla terra asciutta, ma le rocce oggi affioranti alla superficie sono soprattutto marine. Di regola il materiale depositato subisce
in seguito una certa modificazione, la più comune essendo la « cementazione », che lo rende più compatto e quindi più resistente alla
erosione.
Hanno preso origine dall'accumulo di frammenti di rocce preesistenti i ciottoli e le ghiaie, che una volta cementati assumono il nome
di conglomerati (brecce se i frammenti sono spigolosi anziché arrotondati ) , le sabbie ( incoerenti) e le corrispondenti arenarie ( cementate),
le argille ad elementi minutissimi e in parte colloidali.
Fig. 79 - Schema delle caiegorze /undan~entalzdz rocce: Ba batolzte dz rocce zntrusiue, fi filonz, me rocce metamorfiche, cl rocce sedimentarie e stratificate elastiche,
czoè derivate da /rammenti di rocce preesistenti, ch rocce di deposito chimico, org
rocce organogene; magmi e rocce vulcaniche in nero, punteggiati i tufi vulcanici
Le rocce organogene derivano da animali o piante: concorrono a
formarle specialmente gusci di molluschi, supporti di colonie coralline,
minutissimi gusci di foraminifere (di costituzione calcarea), gusci microscopici di radiolari (silicei). Tra i vegetali acquatici marini, certe
alghe che s'incrostano di calcare, e microscopiche diatomee con guscio
siliceo. Anche le piante terrestri possono dar origine a depositi assimilabili a rocce (carbon fossile, lignite, torba).
Derivano appunto da organismi i diffusissimi calcari, con proprietà
ed aspetti molto varii, ora puri compatti e di grana finissima, ora più
o meno « marnosi » ossia contenenti una certa quantità d'argilla, fin
a diventare marne, assai più tenere, mescolanza di calcare e d'argilla.
Certi calcari contengono invece della silice diffusa o ?iù frequentemente come noduli e straterelli (calcari selciferi). Le dolomie, derivate
soprattutto da antiche costruzioni coralline, sono ugualmente rocce a
base di carbonato di calcio misto con carbonato di magnesio. Sedimenti silicei sono invece i diaspri, originariamente costituiti da gusci
di radiolari.
Tra le rocce di precipitazione chimica troviamo salgemma e gesso,
depositati specialmente in lagune e laghi salati. Calcareo è il travertino,
deposto da acque sorgive o fluviali in ispecie alle cascate, dove l'acqua
facilmente evapora abbandonando il carbonato di calcio, che incrosta
foglie ed altre parti vegetali.
Rocce eruttive
Le rocce eruttive, derivate dalla conscjlidazione di magmi, si distinguono in due gruppi: rocce intrusive (dette anche plutoniche), solidificate entro la crosta terrestre, ed efusive o vulcaniche, venute all'esterno e qui solidificate. Se le rocce intrusive sono oggi alla superficie è perché l'erosione ha demolito la massa rocciosa che le sovrastava.
Le rocce intrusive si presentano ordinariamente come un compatto
aggregato di granuli, che sono cristalli di silicati varii e di quarzo.
Roccia tipica e abbondante il granrto (costituito da quarzo, ortoclasio
e mica), roccia acida, cioè ricca di silice; analoghe, formate da minerali in parte differenti o in diversa proporzione, sono le sienite e la
diorite (più « basiche », ossia con minor quantità di silice).
Se non alterate o troppo fessurate queste rocce sono assai resistenti
all'erosione, anche perché massicce, cioè non stratificate ( non è però
esclusa una suddivisione in grossi banchi irregolari).
Le rocce effusive derivano da magmi la cui composizione chimicomineralogica è la stessa di quelli delle rocce intrusive; ma per essersi
raffreddate all'esterno, al contatto con l'aria o l'acqua, hanno caratteri
in parte diversi. I n generale sono anch'esse rocce cristalline e possono
presentarsi come un'aggregato granulare compatto, per esempio la iiparite, corrispondente al granito; oppure sono costituite da cristalli
abbastanza grandi per essere distinti ad occhio nudo, sparsi in una pasta
omogenea microcristallina, com'è nei varii pòrfidi. Talvolta la pasta
è in parte vetrosa anziché cristallina e può essere anche esclusiva, formando I'ossidiana, vero vetro vulcanico; di questo sono costituite anche le pomici, scoriacee, vacuolari e quindi leggerissime ( n o n sono una
qualità di roccia, ma un aspetto).
Le rocce vulcaniche erano generalmente indicate con nomi diversi
a seconda che fossero geologicamente antiche (anteriori all'èra terziaria: paleovulcaniche) o recenti (neouulcaniche, terziarie o quaternarie e attuali), pur avendo uguale composizione ed analogo aspetto; ma
questa distinzione va cadendo in disuso. È roccia effusiva antica il
porfido quarzijero (corrispondente, fra le intrusive, al granito ) ; sono
recenti I'andesite e la riolite, la trachite, meno acide. Abbondanti sono
i basalti, basici, microcristallini e compatti, relativamente pesanti. Un
gruppo pure assai diffuso è quello delle cosiddette pietre verdi (oppure ofioliti), di composizione fortemente basica, tra le quali i gabbri
e le serpentine (quest'ultime si ritengono eruttate nei fondi sottomarini).
Le rocce nate dall'azione del vulcanesimo non sono tutte lave. Violente eruzioni spezzettano il magma e lo lanciano in alto ridotto a
frammenti di varia grandezza (lapilli, ceneri, polveri anche finissime);
questi materiali piroclastici ricadono al suolo (o nelle acque) e si accumulano in una successione di strati, dando origine a rocce che in un
certo modo sono qualcosa di mezzo tra le rocce effusive e quelle
sedimentarie. Queste rocce, spesso ancora incoerenti, stratificate, prendono il nome generico di t u j vulcanici ( l a parola « tufo » nelle parlate
di molte regioni italiane viene usata in generale per indicare rocce
tenere, che possono essere anche calcari, sabbie ed arenarie).
Rocce metamorfiche
Una profonda trasformazione delle rocce avviene in conseguenza
di elevate temperature interne e di forti pressioni, e per azione di gas
caldi di varia composizione, i quali reagiscono con le rocce preesistenti.
Tale fenomeno di profonda trasformazione dicesi metamorjismo e il
suo primo effetto è la cristallizzazione delle rocce sedimentarie e la
ricristallizzazione di quelle eruttive; pertanto le rocce metamorfiche
sono genericamente qualificate rocce cristalline al pari di quelle eruttive. Avviene anche un cambiamento nei minerali costituenti e spesso
la roccia diventa scistosa, ossia facilmente divisibile in sottili lamine
o piccole scaglie, a causa della disposizione parallela dei minerali allungati e lameliari. Scisti cridallini sono pertanto rocce metamorfiche più
O meno scistose.
Tra queste rocce caratteristici e frequenti sono i gneiss (leggi
ghnauis) affini al granito per composizione, i micascisti fortemente scistosi
per l'abbondanza di mica (associata al quarzo) e le filladi, argillosoquarzose di aspetto fogliaceo. Rocce cristalline ma non scistose sono i
marmi, derivati da varie specie di calcari, e le quarziti, provenienti da
arenarie.
Si ritengono prodotti da metamorfismo generale intensissimo, in
profondità, anche certi graniti.
Viceversa, può presentarsi scistosità anche in certe rocce sedimentarie, soprattutto quelle marnose e argillose; la direzione di divisibilità può coincidere o no con quella di stratificazione. Un tipo particolare, molto diffuso nelllAppennino, è dato dalle argille scagliose,
che si frammentano in scaglie irregolari.
La tettonica
La crosta terrestre ha subito, e subisce tuttora, spostamenti differenti da luogo a luogo (dislocazioni), detti movimenti tettonici; e
tettònica è la disposizione, l'assetto che le masse rocciose hanno preso
di conseguenza. Spinte dalle forze interne le rocce si comportano, in
grande massa (ma talora anche a piccola scala), come un corpo d'una
certa plasticità e quindi si piegano; oppure, essendo più rigide. si rompono lungo estese fratture. Ma può essere che la crosta si sollevi o si
abbassi su vasta area senza vere deformazioni. Pertanto i moti tettonici si distinguono in corrugamenti e moti epirogenetici, questi ultimi
relativamente uniformi su ampio spazio (spostamento verticale, a bilancia, leggiero inarcamento, ecc.).
I moti tettonici si svolgono molto lentamente ed oggi si manifestano direttamente solo nel caso di forti terremoti, che talora producono crepacci e spostamenti superficiali al massimo di qualche metro,
in senso verticale od orizzontale. I moti tettonici sono però perdurati
per lunghissimi tempi e quindi i loro effetti sono grandiosi: grandi
pieghe e fratture delle masse rocciose, sollevamenti e abbassamenti di
porzioni della crosta terrestre.
Nell'assetto delle masse rocciose derivato dai moti tettonici si
distinguono due tipi essenziali di dislocazioni: la piega e la faglia, ben
riconoscibili specialmente se le rocce sono stratificate, in quanto gli
strati generalmente erano in origine orizzontali o quasi, mentre ora li
vediamo spesso variamente inclinati. La piega è un'ondulazione più o
meno accentuata, che si sviluppa specialmente in lunghezza (ma può
essere anche breve rispetto alla larghezza, costituendo allora un ellissoide). Ovviamente si distingue una pmte convessa verso l'alto, detta
anticlinale, ed una concava, la sinclinale. Gli strati più interni della
anticlinale formano il suo « nucleo D.
Fig. 30 - Anticlinale e sinclinale e vari tipi di pieghe: diritta, obliqua, coricata, con
scorrimento. Le due figure di questa pagina sono s t e r e o g r a m m i , immagini schematiche in prospettiva di un blocco ritagliato nella litosfera (inglese block-diagram).
Sui fianchi del blocco si può rappresentare l'assetto geologico
L'asse di una piega può essere verticale o più o meno obliquo, e a
volte orizzontale (piega coricata, in cui risulta sovrapposizione di
strati più antichi a strati più recenti). Un'anticlinale così « rovesciata
può anche distaccarsi dalle rocce sottostanti (scollamento) e scorrere
per un certo tratto (sovrascorrimento) o addirittura per diversi chilometri. In questo caso essa costituisce una falda di ricoprimento, con
sovrapposizione anomala di una massa rocciosa ad un'altra. La prima è
alloctona rispetto al luogo dove si trova.
Faglia diretta
Faglia inversa
Fig. 31 - Faglie e fossclto
L'altro tipo di dislocazione è la faglia, una frattura con scorrimento
di due blocchi adiacenti secondo un piano verticale od obliquo, con un
« rigetto », ossia dislivello, che può esser piccolo o anche ammontare a
più centinaia di metri. Spesso una faglia porta a brusco contatto rocce
differenti per età e costituzione, influenzando così la morfologia. Sistemi di faglie più o meno parallele determinano blocchi rialzati, detti
pilastri (ma spesso, con parola tedesca, Horst) e blocchi relativamente
abbassati, che prendono nome di fossati (tedesco Graben); di questi
ultimi un grandioso esempio ci è offerto dai fossati dell'Africa orientale, con prolungamento a nord lungo il Mar Rosso e fino al Mar
Morto ed oltre.
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temente sismiche l'Irpinia, la Calabria e la Sicilia orientale, il Friuli,
mentre la Sardegna è quasi asismica.
Terremoti sottomarini sono causa di paurose onde, i maremoti, che
riversandosi sulle terre producono ingenti distruzioni e molte vittime;
ne sono colpite specialmente le isole dell'Asia orientale, compreso il
Giappone.
È troppo noto quali gravissimi danni e quante vittime possono apportare i terremoti, perciò non è necessario qui insistervi. Ricordiamo
solo uno dei maggiori disastri ben conosciuti, il terremoto di Messina
del 28 dicembre 1908, che investì la Sicilia e la Calabria nella parte
prossima allo Stretto; Messina e Reggio furono interamente distrutte
e si ebbero circa 80.000 vittime. Altri terremoti hanno provocato un
numero di morti ancora mag,'viore.
Si dicono bradisismi certi movimenti lenti (del tutto distinti dai
terremoti), che si avvertono lungo le coste e possono essere di sollevamento o di abbassamento. Non è che essi siano limitati alle coste, ma
è qui che possiamo notarli in quanto il mare ci offre un livello di riferimento. Le loro cause possono esser diverse, non sempre tettoniche. I1
termine bradisismi tende perciò ad andare in disuso.
Caratteristiche morfografiche dei rilievi
A parte il modo d'origine, è già grande la varietà di rilievi terrestri
nelle loro caratteristiche esteriori, alcune delle quali possono esprimersi in forma numerica (morfometria): esse sono date essenzialmente
dall'ampiezza delle masse rilevate, e quindi la loro spazieggiatura che
può denominarsi la trama; dal dislivello tra punti culminanti e punti
più bassi, solitamente indicato energia del rilievo, e infine la pendenza
del terreno.
La trama comporta maglie larghe fin ad alcuni chilometri, l'energia del rilievo può ammontare a pochi metri in una pianura e centinaia o qualche migliaio in montagna (nelle Alpi, il dislivello tra cime
e fondi vallivi sottostanti può essere fir, di 2000-3000 m, nell'Himalaia addirittura 4000-5000).
La pendenza è un dato importante anche agli effetti pratici, tanto
che viene rappresentata specificamente in apposite carte. Può esprimersi in due maniere: come inclinazione, angolo che la superficie di un
versante fa col piano orizzontale, o come pendenza, rapporto percentuale tra il dislivello tra due punti e la distanza orizzontale fra di
essi. Un'inclinazione di 45" corrisponde a una pendenza del 1 0 0 % ,
Fig. 32 - Elementi essenziali dei rilievi: AB trama; AH energia del rilievo. Notare
le variazioni di questi due elementi e della pendenza.
una di 15" al 26,8%, e una di 5" a11'8,7%. Nelle carte topografiche la
maggiore o minor pendenza risulta subito dalla varia fittezza delle
isoipse 2.
L'inclinazione media di una pianura può essere anche molto meno
di lo, quella media di un territorio collinare resta in genere compresa
fra 5" e 15", mentre un territorio montuoso può arrivare fin sui 40".
Con inclinazione superiore a 45" i1 versante prende generalmente aspetto di parete rocciosa. È da rilevare che l'occhio, da vicino, giudica la
pendenza maggiore del reale.
Altri dati che possono riuscire utili per l'analisi del rilievo sono
l'altitudine media di un crinale, l'altitudine media di tutto un territorio, la fittezza della rete idrografica, che in genere esprime l'ampiezza
della trama.
È intuitivo che l'acclività del suolo influisca sullo scorrimento delle
acque; inoltre essa porta a un diverso angolo d'incontro dei raggi
solari col terreno e quindi a un diverso riscaldamento di questo. A
parità di altre circostanze varia poi secondo la pendenza il rapporto
tra l'uomo e il terreno. Essa ostacola o facilita gli spostamenti, le
costruzioni edilizie e stradali, la coltivazione. Sui versanti ripidi può
rendersi necessaria la riduzione del pendio in successive terrazze artificiali, la cui scarpata deve spesso esser consolidata con muretti a
secco.
Le forme del suolo si distinguono naturalmente anche per le dimensioni, ma al riguardo non si usa una precisa classificazione. Si va
da « microforme », quali un masso o una cavità nella roccia, sino alle
dimensioni continentali, come l'arco montuoso himalaiano, l'allineamento di fossati dell'Africa orientale, la dorsale medio-atlantica, attra2. Dati due punti A e B si misura sulla carta topografica la loro distanza planimetrica d , e si deduce dalle isoipse il dislivello fra i due, h. La pendenza è
hld x 100 e l'inclinazione a si ricava con la formula tang a = hld.
8. MODELLAMENTO EOLICO,
FLUVIALE E GLACIALE
Il disfacimento meteorico delle rocce
Esposte all'aria le rocce subiscono nella parte superficiale, più o
meno lentamente, un'alterazione più o meno profonda e di vario tipo,
fisica e chimica, che dicesi disfacimento meteorico. Questo è molto
importante per lo svolgersi dei processi d'erosione ad opera degli agenti
esterni, poiché in certo modo li prepara. I1 disfacimento infatti diminuisce la compattezza della roccia e la disgrega, con formazione di detrito grossolano o fine facilmente asportato; l'erosione diretta della
roccia originaria (« fresca », si usa dire) sarebbe tanto più lenta.
L'azione dell'aria è molteplice. Le variazioni di temperatura esercitano
un'azione meccanica di disgregazione in quanto producono dilatazioni
e contrazioni alternate dei minerali costituenti la roccia; più che di temperatura dell'aria si deve parlare di quella della roccia stessa alla superficie, spesso riscaldata direttamente dalla radiazione solare. I1 processo
è accentuato dalla presenza d'acqua nei pori o nelle fessure, con alternanza di umidificazione e disseccamento. Così si distaccano massi, scaglie, granuli, soprattutto se la roccia è eterogenea (graniti, arenarie,
ecc.), tanto che può ridursi addirittura in sabbia.
Molto efficaci sono gli sbalzi di temperatura se avviene un ripetiito
passaggio da sopra a sotto zero e viceversa. Esili fessure non mancano
mai nella roccia (tra l'altro le diaclasi, sistemi di fratture parallele) e
l'acqua vi penetra, aumentando poi di volume se si converte in ghiaccio, così che esercita l'effetto di un cuneo allargando le fessure. Si
produce allora un detrito piuttosto grossolano, angoloso, specialmente
nell'alta montagna, fredda per l'altitudine. Nella formazione del detrito vi è una certa analogia con le regioni aride dove gli sbalzi di temperatura sono forti e manca un rivestimento vegetale protettore.
Numerosi sono i processi chimici: reazioni con i gas dell'aria e con
l'acqua, dalla semplice dissoluzione della roccia ( soprattutto i calcari )
fino alla profonda trasformazione di certi minerali. Operano specialmente l'umidità, l'ossigeno, l'anidride carbonica, e si produce quindi
idratazione, ossidazione (che impartisce colorazioni rossastre o brune
se sono presenti sali di ferro o manganese), idrolisi. Quest'ultima conduce fino all'argillificazione dei silicati, che abbondano in tanti tipi di
rocce. Ossidazione ed argillificazione sono intense specialmente nei
climi caldi e umidi, dove spesso si giunge alla formazione di laterite,
specie di terriccio rossastro ricco di ossidi e idrossidi di alluminio e di
ferro, a spese di rocce cristalline.
Come appare da questi accenni le alterazioni sono diverse o d'intensità differente secondo i climi, e così è pure dell'opera degli agenti
esterni, tanto che può parlarsi di una morfologia climatica, ossia differenziazione di forme secondo i climi, come meglio sarà accennato in
seguito.
I1 materiale alterato e disgregato forma una coltre che ricopre la
roccia per spessori molto vari, da esile pellicola a parecchi metri. Naturalmente il passaggio dalla roccia a questa coltre avviene in genere
gradualmente, sotto troviamo grossi frammenti di roccia, più su detriti
via via più piccoli e più alterati.
A modificare ulteriormente questo mantello di disfacimento interviene anche l'opera degli esseri viventi - batteri, animali terricoli,
piante -, che gli conferiscono sostanze organiche e così la coltre diventa un suolo, secondo l'uso ristretto e scientifico di questa parola.
Dei suoli, che sono l'oggetto di studio della pedologia, si daranno alcune nozioni in seguito, introducendo alla geografia della vegetazione.
Forme derivate dal disfacimento meteorico
I1 detrito viene via via asportato dagli agenti esterni, ma se la
superficie esposta all'aria è verticale o fortemente inclinata, è già sufficiente la gravità per far cadere i frammenti rocciosi; comunque interviene sempre anche l'azione di piogge violente e del vento. Con rocce
non omogenee o fittamente fessurate, sì che certe parti si disfano più
facilmente, prendono origine delle cavità, per esempio i ripari sotto
roccia, in rocce stratificate (alcuni furono abitati dall'uomo preistorico), con rocce massicce i tafoni nei graniti della Corsica e della Sardegna, le scsllture alveolari, somiglianti a favi d'api, ecc.; un ulteriore
logoramento di massi sporgenti porta talora a forme somiglianti ad
Fig. 33 - Effetti morfologici del disfacimento meteorico delle rocce: A riparo sotto
rotcia (punteggiato: rocce tenere); B profilo di « tafone »; C parete rocciosa e falde
detritiche fd; O frana ( n nicchia di distacco, C cumulo dr frana)
animali, figure umane, ecc. Se invece la superficie è poco acclive e la
roccia molto fessurata si possono formare caos di massi arrotondati in
quanto gli spigoli sono consumati più rapidamente, o campi di pietre
sporgenti a guisa di ruderi.
Queste « microforme » costituiscono oggetto di curiosità, senza
importanza pratica, a meno che, riunite in gruppi, diventino un'attrattiva turistica.
Più importanti sono le forme di accumulazione del detrito al piede
di pareti, come quelle celebri delle Dolomiti. I detriti, più o meno grossolani, cadono per semplice gravità e si ammucchiano a formare falde
detritiche ( « ghiaioni » degli alpinisti ) , con profilo pressoché rettilineo
e inclinazione più o meno forte a seconda della grossezza e spigolosità
del materiale. Sulla parete la roccia fresca si rinnova continuamente, e
la parete retrocede, mentre al suo piede la falda si va ampliando.
Le frane
La caduta di una considerevole massa di materiale roccioso da un
pendio per effetto prevalente della gravità, può avvenire improvvisamente o comunque con movimento rapido e di breve durata: ciò caratterizza la frana.
Talvolta si ha caduta di una massa detritica accumulata su un
versante, ma per lo più la frana avviene con distacco di una massa
propriamente rocciosa, che nella caduta si frammenta in detriti di
varia dimensione, tra cui grossi blocchi, eccetto il caso di roccia argil-
losa o marnosa imbevuta d'acqua, la quale a un certo momento « cola »
come un fluido molto vischioso.
Si individuano un'area di distacco ed una di accumulazione. La
prima lascia in alto come una specie di ferita, spesso in forma di
nicchia. I1 deposito può avvenire più in basso sul versante stesso, ma
di regola al piede di questo; anzi in una valle può essere raggiunto
il versante opposto e in tal caso il corso d'acqua che la percorre risulta
sbarrato, con formazione di un lago, come già fu detto. L'accumulo di
frana, in cui il materiale è mescolato caoticamente, è irregolare, con
una superficie ondulata, a monticelli, tra i quali possono rimanere delle
piccole conche presto trasformate in laghetti.
Tra l'area di distacco e quella d'accumulo s'interpone naturalmente quella di scorrimento, che però, di solito, non assume carattestiche evidenti e proprie.
La frana è preparata da diminuita coesione della roccia secondo
una o più superficie interne, in ispecie ad opera dell'acqua circolante.
I1 distacco può essere favorito ad un certo momento da piogge intense
o rapida fusione della coltre nevosa, ed eventualmente da un terremoto. Può anche essere facilitato da qualche opera umana, come il
taglio di un tratto del versante per costruzioni stradali o simili.
I1 meccanismo delle frane presenta alcune varietà, ma qui ci
limitiamo a indicare tre modi fondamentali: 1 ) frana di crollo, con
distacco secondo una qualsiasi superficie interna, per lo più subverticale; 2 ) frana di scivolamento, per scorrimento di una massa rocciosa
stratificata lungo la facciata d'uno strato, soprattutto argilloso, che
imbevuto d'acqua si comporta come un lubrificante: avviene se la stratificazione è inclinata nello stesso senso del versante, ma meno di questo, disposizione detta appunto a franapoggio; 3 ) frana per colata,
più comunemente detta smottamento (specie se piccola), moto d'una
massa argillosa fortemente rammollita, semifluida. Naturalmente vi sono
anche frane miste.
Alcune regioni sono molto colpite dalle frane, a causa della loro
costituzione; in Italia, per esempio, vaste aree dell'Appennino, soprattutto settentrionale e meridionale. Le frane sono spesso di danno per
l'uomo, che nei luoghi minacciati cerca a volte di prevenirle mediante
opere di rinforzo del pendio. Speciali circostanze possono poi dar
luogo a ripercussioni disastrose, come fu per la grande frana precipitata nel lago artificiale del Vajont il 9 ottobre 1963; essa provocò una
enorme ondata nel torrente emissario e quindi nel Piave, con gravissime distruzioni e centinaia di vittime umane.
La gravità provoca anche altri movimenti superficiali, lenti e che
non hanno a che fare con le frane. Sono movimenti di discesa delle
coltri detritiche sui pendii, facilitati dall'acqua che le compenetra. Un
movimento particolare assai diffuso, detto soliflusso, è quello delle
coltri in cui abbondano granuli minuti o l'argilla, che fortemente imbevute « colano » pian piano anche su pendii lievissimi.
Forme di erosione e di accumulazione eoliche
I1 vento esercita una non trascurabile azione erosiva, detta erosione
eolica, laddove manchi o sia molto discontinua la copertura vegetale,
quindi nei deserti tipicamente aridi, ma anche in regioni fredde. La
capacità di erosione e trasporto è naturalmente cornmisurata alla frequenza e soprattutto alla velocità del vento.
' L'erosione eolica avviene in due modi: per deflazione, asportazione di detrito minuto, soprattutto sabbia e polvere, che il vento
trova già sciolto o che distacca facilmente dalle rocce assoggettate al
disfacimento meteorico; e per corrasione consistente nello scolpimento
della roccia per mezzo dei granuli trasportati, che sfregano sulla roccia
stessa e sui massi. Spesso non è punto facile distinguere gli effetti
dell'uno o dell'altro processo, anche per il fatto che estendendosi l'erosione a un vasto spazio - erosione areale - non sempre ne derivano
forme tipiche. La corrasione, per esempio, si riconosce nella sfaccettatura e levigatura delle pietruzze posate sul suolo. L'allontanamento
del materiale fine mantiene un tipo di deserto, il deserto roccioso a
lastre o grossi massi, detto hammada in Libia, oppure a pietruzze spigolose, chiamato serir.
Le cavità, anche in forma alveolare, spesso attribuite alla corrasione
in realtà possono esser derivate da entrambi i due processi cooperanti,
o più probabilmente dalla deflazione.
Naturalmente l'erosione eolica è più intensa su certi tipi di rocce,
assai più lenta su altri, il che si esprime dicendo che l'erosione è
selettiva, come avviene pure per gli altri agenti esterni. Essa ha dato
origine in taluni deserti a lucghe affossature, parallele perché subordinate alla direzione del vento più forte dominante; oppure a conche
(poco depresse), in quanto il vento può trasportare i detriti minuti
anche in salita.
Più caratteristiche sono le forme di accumulazione eolica, che
prendono origine dove l'azione del vento è rallentata, per motivi vari.
Tipica è la duna, piccolo rialzo o collinetta di sabbia depositata dal
vento, che nei grandi deserti può arrivare anche a più di iin centinaio
di metri d'altezza. Normalmente essa ha due versanti assai differenti,
quello dalla parte del vento a pendio lieve o moderato, quello sottovento ripido. La duna elementare su terreno pianeggiante è la barcana,
collinetta di contorno semilunare, con la concavità sottovento. Più barcane possono riunirsi a formare una duna trasversale (rispetto al
vento) e addirittura una lunga catena collinare; ma vi sono anche dune
i , alluntrasversali accumulate in altro modo, e dune l ~ n ~ i t u d i n a lcioè
gate nella direzione del vento, di non chiara spiegazione.
Fig. 34 - A duna semplice semilunare (barano); B spostamento della duna (la freccia indica la direzione del vento)
Nei deserti le dune possono coprire superficie vastissime costituendo
un erg (termine del Sahara).
Oltre che nei deserti le dune si formano lungo le coste basse, anche
se il clima è umido, dove salsedine dell'aria e violenza e frequenza del
vento allontanano la vegetazione e la spiaggia abbonda di sabbia. Si
trovano perciò anche sui litorali italiani, talora anche un po' all'interno,
perché formate quando la costa era arretrata rispetto ill'odierna; in
genere sono alte solo qualche metro, fino a una ventina o poco più.
Le dune, almeno in una fase della loro esistenza, si spostano, poiché la ripresa del vento, dopo una calma, asporta sabbia dal lato
sopravvento e la scarica sull'altro versante. Ciò avviene sia nei deserti
sia presso le spiagge, e sono famose in proposito, per esempio, le dune
delle Landes nella Francia di sud-ovest. Si cerca di fissare le dune
per mezzo di staccionate e soprattutto con piantagioni. Vi sono anche
molte dune oramai stabilizzate naturalmente, come certe che si trovano all'interno nell'Europa centrale, formatesi nell'epoca glaciale,
quando i depositi morenici dei grandi ghiacciai fornivano il materiale
fine e la vegetazione era allontanata dal freddo; esse sono dunque dune
« fossili D.
Analogamente deve dirsi di un altro deposito eolico, il loess ( o
Loss), accumulato a formare pianure, in regioni adiacenti ai deserti
(donde i1 materiale è stato prelevato) e semi-aride, con vegetazione
di steppa o prateria. Famoso quello della Cina settentrionale, accumulato con spessore perfino di qualche centinaio di metri. I1 loess, che
si trova anche nell'Europa centrale e orientale, può dare suoli ottimi
per la coltivazione specialmente dei cereali.
Azione delle acque correnti
L'acqua scorrente in superficie è un efficacissimo mezzo di erosione,
e poiché la sua azione erosiva è diffusa in tutte le regioni della Terra
non assolutamente aride e non coperte dal ghiaccio, viene spesso
denominata erosione normale. Essa dà luogo a caratteristiche forme,
tuttavia molto varie, e ad una generale, lenta demolizione dei rilievi,
alla loro progressiva degradazione. Un'idea di questa lentezza può essere fornita dal tempo occorrente ad abbassare in media la superficie
del terreno di un metro: tempo che può andare da qualche centinaio
d'anni a diverse migliaia, secondo la pendenza del rilievo, la qualità
della roccia, la potenza di trasporto dei fiumi, ecc.
L'acqua di pioggia scorrendo sul terreno come un velo continuo è
capace d i rimuovere e far discendere il detrito minuto e indirettamente
anche pietre e'massi; essa pertanto esercita un'azione « dilavante » o di
denudazione, che tende a mettere allo scoperto la roccia nuda. I n realtà la coltre detritica prodotta dal disfacimento meteorico- ben raramente viene completamente asportata, in quanto via via si riforma:
può accadere in qualche caso, se mutano bruscamente certe condizioni,
per esempio l'eliminazione del rivestimento vegetale spontaneo ad
opera dell'uomo (diboscamento, messa a coltura); tuttavia la vegetazione frena ma non annulla l'erosione.
Questo modo d'erosione, operato dalle acque dilavanti (inglese
Sheet wash), è « estensivo », cioè distribuito su tutta la superficie
investita dalla pioggia, quindi un'erosione « areale D, come si è già
detto per il vento.
Poiché i versanti non sono piani inclinati perfetti, le acque si vanno
raccogliendo lungo talune linee di massima pendenza (ruscellamento),
e se la roccia oppone scarsa resistenza si formano in breve tempo, lungo quelle linee, solchi più o meno profondi e più o meno ravvicinati:
ciò può vedersi per esempio, sulle scarpate che l'uomo intaglia su un
pendio per la costruzione di strade.
Alcuni solchi si approfondiscono e si allargano più di altri, e dal
solco primitivo si passa ad una piccola valle elementare, che intacca
il pendio generale. Le acque, raccolte lungo la linea d'impluvio, che
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diventa un alveo ( o letto), seguono allora una via ben definita ed esercitano un'erosione incanalata, espressione valida per qualsiasi corso di
acqua piccolo o grande che sia.
Dall'erosione per dilavamento e da quella appena incanalata prendono origine forme caratteristiche, se le rocce sono incoerenti o argillose e quindi scarsamente resistenti. Forme cave sono i calanchi, nelle
argille, sistemi di fittissime vallecole con versanti ripidi divisi da creste
acute, comunissimi in diverse regioni d'Italia (Emilia, Basilicata, ecc.),
dei quali menzioneremo come esempio tipico le cosiddette « Bolge »
di Atri nell'Abruzzo.
Sono invece forme rilevate le piramidi di terra, guglie alte parecchi
metri formate per isolamento in seguito all'approfondirsi d'una serie
di solchi. Si sviluppano in materiale incoerente, specie se cosparso di
alcuni grandi massi (come spesso è nelle vecchie morene deposte), i
quali proteggono il materiale sottostante dall'erosione. Si trovano in
diversi luoghi delle Alpi, tra le altre belle e molto note quelle del
Renòn, sopra a Bolzano. Guglie, pilastri, torrioni possono svilupparsi
anche in rocce sabbiose e conglomerati poco coerenti. Si tratta comunque di forme di minuto dettaglio, occupanti aree molto ristrette, e
quindi di scarsa importanza nel quadro morfologico di una regione; si
offrono come forme pittoresche, che suscitano curiosità.
Fig. 35 - Formaztonc. delle piramidi di ferra in un deposifo morenrc-o, t,sempio di
erosione elementare delle acque
Forme dei versanti
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Dilavamento e ruscellamento modificano i versanti, facendone
arretrare parallelamente la superficie o rendendoli via via meno inclinati, caso più frequente. Ma la loro evoluzione è di solito complicata dal fatto di non avere costituzione e struttura geologica uniformi.
Si parla di rocce più o meno resistenti, e si deve intendere rispetto
all'erosione (compreso il disfacimento meteorico); non di rado si
dice anche rocce dure e tenere, ma questi sono termini del tutto
convenzionali, cioè non corrispondono a reale durezza della roccia.
Fig. 36 - Forme di versanti: A con balze in roccia resistente r ; B dissimetria di
versanti in dipendenza della inc1iiza:ione degli strati rocciosi: a a reggipoggio, b a
Jranapoggio
La diversità dell'erosione secondo i diversi tipi di roccia (selettività) fa sì che alle rocce più resistenti corrispondano sul versante
pendii ripidi, a volte subverticali (balze, cornici), a quelle tenere
pendii moderati o poco inclinati (si usa anche dire « dolci » ) e talora
addirittura dei ripiani; fra un tratto e l'altro vi è quindi, spesso, « rottura di pendenza D. Su un versante possono alternare dall'alto in basso
gruppi di strati rocciosi con differente comportamento (per esempio
calcari, resistenti, e marne, tenere) e quindi alternano tratti ripidi e
tratti poco inclinati.
Fasce subverticali possono formarsi anche con rocce di scarsa resistenza, purché capaci di reggersi con forte inclinazione, com'è delle sabbie poco cementate. Esempio tipico, le Balze di Volterra, dove grossi
banchi di sabbia posano sull'argilla; questa viene erosa (con formazione
di calanchi) e la sabbia sovrastante, scalzata via via alla propria base,
retrocede per piccole frane, dando origine ad una balza o parete.
L'irregolarità del versante non è tuttavia una situazione permanente, perché alla lunga, con la continua erosione, il pendio si regolarizza e tende alla stabilità; la coltre di suolo si fa più spessa, la vegetazione vi si sviluppa ed attenua l'erosione.
Pure la stratificazione interviene a dar forma ai versanti: balze e
ripiani hanno andamento orizzontale se la stratificazione è orizzontale,
obliquo se gli strati sono inclinati. Qualora la direzione degli strati
sia più o meno la stessa del versante, questo assume aspetto diverso
a seconda che penda dalla medesima parte degli strati o in senso
opposto. I1 primo caso è quello degli strati a « franapoggio », e il
versante si sviluppa come superficie relativamente regolare, a volte
seguendo proprio la facciata di uno strato. I1 versante a « reggipoggio W,
che taglia gli strati mettendone in mostra le « testate », ha un pendio
più ripido e più irregolare. Pertanto in una catena di monti i due
fianchi sono in questo caso disuguali, la montagna è dissiminetrica, al
pari di una valle chiusa tra due catene.
Evoluzione degli alvei
Anche gli alvei dei corsi d'acqua, dai minimi ai maggiori, subiscono una lenta evoluzione. Nel letto viene convogliata, insieme all'acqua
discesa dai pendii circostanti, una certa massa di detriti (torbide) e per
mezzo di questi materiali solidi il corso d'acqua esercita un'azione
erosiva, perché li sfrega sul fondo e le sponde; così, pur le rocce più
dure vengono logorate, in ispecie dove l'acqua assume moto vorticoso
I detriti stessi via via rimpiccioliscono e si arrotondano (ciottoli).
Può destar sorpresa vedere in un torrente montano scorrere acqua
limpidissima e stazionare grossi blocchi; ma occorre pensare alle piene,
e soprattutto alle maggiori, quando le acque acquistano tale forza da
trasportare non solo sabbie e ghiaie, ma anche massi rimasti a lungo
immobili nel letto.
L'erosione tende ad abbassare l'alveo, ma non indefinitamente,
in quanto è necessaria una sia pur piccola pendenza verso il punto
di sbocco (foce o confluenza), la cui altitudine ne costituisce il livello
di base. Sviluppato l'alveo su un piano verticale, risulta una Iiiiea
detta profilo longitudinale del corso d'acqua, linea che dopo un lungo
periodo d'erosione assume figura simile a un ramo d'iperbole (purché
non intervengano movimenti tettonici), cioè vi si distingue un tratto
iniziale ripido e breve, un tratto finale molto lungo con pendenza
minima e un tratto di raccordo.
Prima di arrivare a questc profilo regolarizzato, o profilo d'equilibrio, in cui non vi è più praticamente né erosione né deposito, possono delinearsi delle irregolarità mancanti inizialmente, e ciò a causa
della diversa natura delle rocce, come per i versanti. Tratti con debole
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1. I1 vortice, sfregando sabbie e ciottoli sulla roccia con moto rotatorio, agisce
come un trapano, producendo cavità cilindroidi profonde anche qualche metro, note
col nome di marmitte (o caldaie) dei giganti.
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I1 corio, chiamato anche conòide, è situato allo sbocco di una valle
(che può essere anche molto piccola) fuori dalla montagna o in una
valle maggiore con fondo largo, dove per la brusca diminuzione di
pendenza i materiali grossolani sono abbandonati. La forma, in realtà,
è quella di un mezzo cono appoggiato alle falde dei rilievi o solo di
un settore di cono, caso più frequente, col vertice verso monte. Nelle
grandi valle delle Alpi spesso si susseguono numerosi coni, luogo prediletto (se non sono piccoli) delle coltivazioni e dei villaggi, a ragione della moderata pendenza del terreno e dell'incoerenza di questo,
e di trovarsi al riparo dalle inondazioni. Anche al piede della montagna alpina, dove comincia la pianura, sono stati costruiti grandi coni,
molto schiacciati: un tipico cono del genere è, per esempio, quello del
torrente Cellina in Friuli. Anzi l'alta pianura padana risulta proprio
dalla fusione di tanti coni adiacenti.
Sui coni molto schiacciati i corsi d'acqua ricchi di torbide presentano un letto largo, suddiviso in tanti rami anastomizzati formanti un
reticolo, i quali circuiscono degli isolotti ghiaiosi e sabbiosi, sommersi
poi nelle grandi piene; ce ne offre un chiaro esempio il Tagliamento
nell'alta pianura friulana.
Deposto il materiale grossolano e diminuita fortemente la pendenza, il corso d'acqua può ancora alluvionare, cioè deporre il materiale residuo (fine) distendendolo largamente, sia con le inondazioni,
sia con i cambiamenti di corso, frequenti in condizioni naturali (cioè
se non interviene l'opera dell'uomo). L'accumulo può diventare spesso
perfino decine o centinaia di metri, se per cause endogene una regione
tende ad abbassarsi (com'è stato della pianura padana).
Anche nella pianura, o nel piano di larghi fondi vallivi, un fiume è
capace di erodere, non più in profondità ma lateralmente, come mostra
10 sviluppo delle anse chiamate meandri. Una prima leggiera incurvatura di una sponda sposta il filone della corrente avvicinandolo alla
sponda concava, che viene erosa e retrocede; dall'altro lato la corrente
è meno veloce e si depositano alluvioni. Così la curva si accentua, sino
ad assumere forma di semicerchio e poi di ferro di cavallo. La base
del meandro a un certo momento è divenuta così stretta che le acque
durante una piena la rompono facilmente; il fiume riacquista corso
rettilineo, nell'ansa l'acqua stagna e poi scomparirà, rimanendo un
meandro morto (come termini locali nella pianura padana detto anche
mortizza e lanca). Numerosi esempi sono offerti dal Po e dai suoi
affluenti.
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struendo argini lungo le sponde. Ogni inondazione provoca un deposito di alluvioni, maggiore presso le sponde per la brusca diminuzione
della velocità delle acque. Ne segue che attorno al fiume si forma una
striscia di terreno rialzato rispetto agli spazi più lontani, tra un fiume
e l'altro, dove quindi il deflusso diventa difficile o impossibile. Se
un fiume cambia di corso, tali strisce permangono. Nel Ferrarese sono
chiamate « terre vecchie », perché in quanto più asciutte l'uomo vi si
è insediato e le ha coltivate da molto tempo, a differenza delle terre
più basse intermedie, molte delle quali rimaste allo stato paludoso fino
alle bonifiche moderne.
Se s'impedisce al fiume di uscire dalle sue sponde il deposito può
avvenire nel letto stesso, che si rialza, mentre il livello delle acque,
anche durante la portata normale, diventa superiore a quello dei terreni interfluviali; il fiume è allora pensile, e la probabilità d'inondazioni diviene maggiore.
Evoluzione delle valli
Dopo aver descritto le forme elementari sorte per erosione o accumulazione ad opera delle acque correnti, esaminiamo quelle più complesse e in genere di maggiori dimnsioni.
Le valli sono nate dall'erosione torrentizia o fluviale o normale
che dir si voglia, la quale ha intagliato una porzione della litosfera
più o meno elevata sul livello del mare. Vi sono anche valli « glaciali D, ma per lo più si tratta di valli fluviali poi rimodellate dalla
azione dei ghiacciai. Quanto ai rilievi, essi altro non sono, in generale
(ed eccettuati quelli vulcanici), che le parti residuate tra valle e valle.
È perciò doppiamente importante seguire l'evoluzione delle valli e
notare le loro forme.
Qualunque sia la superficie su cui un corso d'acqua s'imposta, esso
scava da prima un solco stretto e più o meno profondo, tra due pareti
subverticali, poiché prevale l'erosione del letto; occorre però che la
roccia in cui avviene l'incisione sia piuttosto resistente o comunque
capace di reggersi con forte inclinazione.
I1 solco ha il nome generico di gola, accanto ad altri applicati
localmente, come forra, stretta, chiusa, orrido. Le gole sono spesso
spettacolari, ma intralciano le comunicazioni lungo i fondi delle valli.
Quasi sempre esse corrispondono, nelle regioni montuose, come le
Alpi, a tratti della valle in rocce « dure », mentre a monte e a valle i
fianchi sono più aperti, il fondovalle più ampio. Nelle regioni di grandi
altopiani le gole possono essere molto lunghe, e ne offrono grandiosi
esempi i cosiddetti canon o (canyon) ' nei territori occidentali degli
Stati Uniti.
Fig. 41 - Evoluzione del profilo trasversale d i una valle (in roccia omogenea)
La configurazione tipica è però la valle a V, cosiddetta perché la
figura del profilo trasversale è costituita da due aste inclinate che si
riuniscono nell'alveo. Essa può derivare dalla trasformazione di una
gola per l'elaborazione dei versanti operata dal dilavamento e ruscellamento; ma in molti casi la gola non si è mai formata perché l'erosione areale dei versanti è proceduta di pari passo con l'approfondimento dell'alveo. Via via che rallenta l'erosione verticale del fondo,
i due versanti si « aprono », cioè le aste della V si fanno meno inclinate, però con le complicazioni già viste; tra l'altro possono risultarne
valli simmetriche o dissimmetriche.
Esaurita la capacità di erosione in profondità il fiume o torrente può
ancora erodere le sponde, scalzando quindi e facendo retrocedere il
piede ora di un fianco ora dell'altro; così il fondo della valle si allarga,
non è più limitato al letto e si depositano alluvioni. I1 profilo trasversale diventa « a fondo di battello D, mentre i versanti continuano ad
addolcirsi.
3. La voce originaria cafion (pronuncia cagnòn) è spagnola e significa cannone;
gli Americani l'hanno modificata in canyon, ma in base al principio della priorità
si dovrebbe preferire la prima. I1 celebre Canyon del Colorado è infossato in un
altopiano da cui si scende al fiume con più gradini.
I1 crinale del rilievo interposto tra due valli contigue, che funge
da spartiacque, risulta dall'intersezione dei due versanti, se non subito,
almeno nel corso di un'avanzata erosione. Con la diminuzione di pendenza dei versanti il crinale s'abbassa, anzi tutto il rilievo nel suo
insieme subisce una « degradazione » . Con versanti ripidi e rocce
resistenti il crinale assume forma di cresta acuta.
Dopo la formazione di un fondovalle largo ad un certo momento
può riprendere l'erosione in profondità, in conseguenza di moti tettonici o anche di un cambiamento climatico. Si forma un nuovo solco e
così tra i1 piano e il letto s'interpone una scarpata; lo stesso avviene
per gli affluenti, che si vanno adeguando al nuovo livello di base per
essi rappresentato dalla confluenza, e quindi sezionano il piano. I
residui di questo formano una terrazza. Procedendo l'erosione, la terrazza si riduce e può del tutto scomparire o ne rimangono soltanto
delle tracce.
Fig. 42 - Stereogramma delle terrazze entro una valle: ti,
t2
successivi livelli
I1 processo può ripetersi più volte, con successivi approfondimenti,
dando origine a più « livelli >p o « ordini » di terrazze. I1 dislivello
tra due successive terrazze può essere di pochi metri o di qualche
decina, ma la più alta e più antica può sovrastare l'alveo anche per
centinaia di metri.
Le terrazze non sono esclusive delli valli, anzi se ne formano di
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ampie nelle pianure alluvionali quando si riattiva l'erosione; i nuovi
solchi fluviali smembrano la pianura in tanti lembi delimitati da scarpate. È « terrazzata », per esempio, la pianura padana a nord del P o in
Lombardia e in Piemonte. Le terrazze interamente formate in materiali alluvionali vengono appunto chiamate « terrazze alluvionali D.
Rapporti con l'assetto tettonico
Oltre alla varia erodibilità delle rocce, interviene nel diversificare
le valli e i rilievi l'assetto tettonico delle masse rocciose, come altro
fattore « passivo ». Si è già accennato, per esempio, alla dissimmetria
conseguente alla disposizione inclinata degli strati.
I n articolare sono da richiamare i rapporti tra le pieghe e le
forme esterne. A tutta prima potrebbe pensarsi che ad ogni anticlinale corrisponda una montagna e ad una sinclinale una valle, un bacino,
una bassura in genere. Questa corrispondenza però si riscontra come
regola soltanto in poche regioni, dove un rapido ed energico corrugamento è avvenuto in tempi gcologicamente molto recenti e magari perdura anche oggi (come nelle catene al margine occidentale dell'Altopiano Iranico) .
I n genere le pieghe sono già state fortemente erose e sono rimaste
in rilievo, per erosione selettiva, le masse di rocce più resistenti: su
scala grandiosa ciò si riscontra, per esempio, nei Monti Alleghani o Appalachi dell'ilmerica del Nord, dove delle pieghe sono rimaste solo le
radici, ossia le parti inferiori, e una catena montuosa può corrispondere sia a un'anticlinale sia ad una sinclinale. Naturalmente anche per
una singola montagna è da dire lo stesso, cioè questa può essere impostata su un'anticlinale o su una sinclinale. Addirittura un versante
intero può corrispondere, più o meno perfettamente, alla superficie di
uno strato. Queste forme adeguate all'assetto tettonico, ma non prodotte direttamente dai moti tettonici, vengono dette forme pseudostrutturali.
Tipiche forme pseudostrutturali sorgono in una serie di strati debolmente inclinati tutti nella stessa direzione ( tnonoclinali) . L'erosione
vi modella rilievi dissimmetrici paralleli, denominati cuestas ( spagnolo), separati da larghe bassure in rocce « tenere ». I n Italia tipiche
cuestas sono rare; si può citare la Vena del Gesso in Romagna.
Sono forme pseudostrutturali anche i tavolati, altopiani piatti, delimitati all'ingiro da un netto gradino, con la superficie corrisponden-
te ad uno strato orizzontale: ma una serie di strati sovrastanti è stata
asportata dall'erosione.
Per le faglie non più in movimento da molto tempo vale quanto
si è detto per le pieghe. Un versante può essere parallelo al piano di
una faglia, ma non coincidere con questo perché l'erosione lo ha fatto
arretrare. I due blocchi disgiunti da una faglia a volte sono stati livellati, oppure uno dei due si presenta oggi più basso dell'altro indipendentemente dal fatto che esso originariamente fosse quello innalzato o
quello abbassato, in quanto l'erosione ha raggiunto delle rocce « tenere » e le ha demolite maggiormente.
Conseguenze dirette dei moti tettonici
I moti della crosta terrestre agiscono anche in modo diretto sui
processi modellatori e le forme del suolo, e non solo mentre si svolgono, ma anche per un tempo successivo. Essi infatti provocano il
sollevamento e I'emersione di porzioni del fondo marino e sulla nuova
terra emersa prendono ad operare gli agenti esterni; oppure in un
territorio già emerso da tempo e modellato, modificano le altitudini e
le pendenze del terreno.
Spesso si dice, molto genericamente, che un sollevamento ha riattivato l'erosione; ma l'erosione riprende o si rinforza se si accresce la
pendenza degli alvei. O r a un qualsiasi sollevamento avviene in uno
spazio definito, cosicché almeno alla periferia dell'area innalzata dovrà
ben crearsi un pendio, sia questo un gradino per faglia o una piega
molto blanda, ed è su questo pendio che s'inizia o si ravviva l'erosione.
11 nuovo processo erosivo si trasmetterà via via, per l'erosione regrcssiua, verso l'interno: qui, ducque, l'erosione si manifesterà più tardi,
anche dopo che il moto di sollevamento è cessato.
Tutta un'area può risultare semplicemente inclinata dal sollevamento con un movimento « a bilancia »; se la nuova inclinazione concorda con quella dei corsi d'acqua, questi riprenderanno l'approfondimento dei loro letti o la rinforzeranno, se invece è in senso opposto
rallenteranno l'azione erosiva o addirittura passeranno all'alluvionamento. Nel caso di sollevamento ai due lati di un'area abbassata ( o meno
sollevata) si formerà un bacino, con erosione dalle due parti e deposito nel mezzo. Anzi, nella depressione mediana si può formare un
lago, che solo in prosieguo di tempo sarà colmato. È i1 caso tipico dei
bacini « intermontani » dell'Appennino ( formatisi generalmente alla
fine del pliocene) che presentano oggi fianchi montani più o meno in-
taccati dall'erosione, delimitanti una potente serie di depositi lacustri
e alluvionali quaternari.
Detti moti possono avere carattere epirogenico (ossia d'una certa
uniformità su vaste regioni) o di vero corrugamento. I n questo secondo
caso lo ~vo!~imentodell'erosione o dell'accumulazione è assai più complicato; ma, come si è accennato, soltanto in caso di piegamento rapido
prendono origine rilievi e depressioni concordanti col piegamento
stesso. Va inoltre notato che l'erosione si attiva non a moti già avvenuti, ma appena questi si iniziano.
Nello studio delle forme del suolo si va prestando sempre maggior attenzione ai moti tettonici recenti (e attuali! ), in ispecie in paesi,
come l'Italia, distinti fin dal terziario da irrequietezza tettonica: questi
moti sono brevemente compresi sotto il termine generico di neotettonica.
Sviluppo delle reti idrografiche
L'insieme dei corsi d'acqua d'un territorio forma una rete, le cui
caratteristiche sono subordinate a diversi fattori, sia nel momento
iniziale della sua formazione, sia nei cambiamenti successivi.
Il caso più semplice della nascita di una rete idrografica è quello
d'un fondo marino che si solleva ed emerge, dotato d'una certa pendenza, che può essere quella sua originaria o modificata da ineguale
sollevamento. Sulla superficie emersa si formano tanti corsi d'acqua
seguendo le linee di massima pendenza, all'incirca paralleli, che vengono qualificati corsi conseguenti. Ne possiamo scorgere un esempio
nei fiumi delle Marche e dellz Basilicata attraverso la fascia di terreni
pliocenici marini pliocenici e quaternari, salvo che il tracciato è divenuto poi più irregolare.
In un lungo periodo d'erosione le rocce meno resistenti, che l'assetto tettonico fa apparire come fasce allungate con la stessa direzione
della stratificazione, risultano generalmente depresse, come già si è
detto, e nelle depressioni si formano corsi d'acqua trasversali ai fiumi
conseguenti: vengono chiamati corsi d'acqua susseguenti. Valli con
corsi susseguenti sono caratteristiche in particolare nei territori a
cuestas.
Nelle pianure alluvionali con pendenza piccolissima i corsi d'acqua
cambiano con facilità il tracciato (divagazioni) sia per lo sviluppo di
meandri, sia per diversioni dall'uno o dall'altro lato del. vecchio alveo.
che viene abbandonato. Nella bassa pianura padana sono numerose le
tracce di vecchi alvei abbandonati in epoca storica (specialmente del
P o ) . Tanta variabilità cessa se la pianura viene terrazzata, ma continuano le divagazioni minori, specialmente quelle dei meandri.
Invece nelle regioni montuose e collinari la rete idrografica mantiene una sostanziale fissità, essendo incanalata nelle valli.
Fig. 45 - Schema di una cattura fluviale per erosione con retrocexxione della lesfata
di una valle
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Non mancano del tutto, però, importanti « diversioni » per tracimazione o cattura. I n seguito a forte alluvionamento di una valle può
essere raggiunto il livello dello spartiacque con una valle contigua, più
bassa, e il fiume della prima devia nella seconda ( tracimazione); ovviamente ciò può avvenire in regioni collinari con scarso dislivello tra
crinali e fondovalle. La diversione per cattura invece può avvenire anche in regione fortemente montuosa, in ispecie se una valle ripida, con
forte erosione, ha direzione trasversale rispetto a d una contigua, più
elevata. L'erosione regressiva sposta la testata della prima fino a raggiungere il fondovalle della seconda, sì che il corso d'acqua di questa
è catturato dalla valle ripida. I n tal caso il corso d'acqua composito
che così sorge presenta un caratteristico gomito.
Una conseguenza di forti moti tettonici è
di rado la discordanza tra la rete idrografica e I'orografia: certi fiumi tagliano una o più
catene montuose con direzione più o meno pe@endicolare a queste,
in valli trasuersali. I n generale la spiegazione &ò essere la seguente:
le catene si sono formate o sollevate dopo che quei fiumi già avevano
stabilito il proprio corso; essi sono poi riusciti « a tener testa » al
sollevamento via via che questo avveniva, scavando il loro alveo in
modo da conservare la pendenza sempre nello stesso senso. Un esempio
grandioso di discordanza si osserva in Abruzzo, dove i massicci più
elevati ed allineati ( G r a n Sasso e Maiella) sono situati più verso il
mare dello spartiacque appenninico principale, meno elevato. I1 fiume
Pescara intaglia il suo corso trasversalmente appunto tra i due massicci.
Un altro tipo di discordanza, ben più modesto, si osserva in alcuni
tratti di valle dove il corso d'acqua è inciso in rocce « dure », mentre
ai lati nella stessa valle le rocce sono di facile erodibilità. Ciò sembrerebbe contraddire la regola della selettività, ma occorre pensare che
quel corso d'acqua si è impostato su rocce d'altra natura e solo durante
l'erosione ha incontrato la massa di rocce resistenti ed ha scavato in
queste rimanendovi come prigioniero; questi tronchi di valle sono detti
sovrimposti o epigenetici.
Sostanzialmente è lo stesso fenomeno dei meandri incastrati, formatisi in una valle larga e alluvionata, dove poi è ripresa l'erosione.
Gli alvei sono stati approfonditi conservando il tracciato a meandri e
quindi questi appaiono ora incassati tra i fianchi montuosi o le terrazze.
Superficie di spianamento e ciclo d'erosione
Le pianure non sono soltanto quelle sorte per alluvionamento, oppure superficie pseudostrutturali come nel caso dei tavolati. Vediamo
altri due tipi di forme piane o debolmente ondulate di vasta estensione.
Un lunghissimo periodo di continuata erosione, senza che sia disturbata da moti tettonici, può portare alla demolizione pressocché totale
dei rilievi, e un territorio risulterà allora ridotto ad una superficie pianeggiante o appena ondulata, e in parte alluvionata, con minimo dislivello rispetto al suo livello di base.
I1 geomorfologo americano W. M. Davis, che ha esercitato grande
influenza sullo sviluppo della geomorfologia, elaborò già nel secolo
scorso una teoria, o meglio uno schema ( o modello, come oggi si usa
dire) dell'evoluzione di un territorio sino alla totale demolizione dei
rilievi partendo da una superficie originaria di forma semplice, un
piano inclinato, in clima umido. Su quel piano si delineano corsi d'acqua
conseguenti, che cominciano a scavare i loro letti; in un primo « stadio », di giovinezza, troveremo una serie di valli strette e relativamente rade, mentre tra l'una e l'altra si stendono ampi lembi della
superficie originaria. I n un secondo stadio, di maturità, le valli sono
più fitte, essendosi formati numerosi tributari ed eventualmente anche
valli susseguenti, più larghe, tra versanti addolciti e congiunti tra loro,
in modo che solo pochi resti sono rimasti del piano originario. I n un
terzo stadio, di vecchiaia 4, le valli sono ancora più larghe nonché allu4. I termini giovinezza, maturità e vecchiaia sono comodi, mancano però di
precisione. Inoltre essi indicano una fase entro lo svolgimento del ciclo, non l'età
vionate, i versanti pochissimo inclinati, l'energia del rilievo piccola,
ogni traccia della superficie originaria scomparsa. Si passa infine allo
stato finale con rilievo poco percettibile, quindi a un « quasi piano D
o penepiano.
Fig. 46 - Stereogrammi delle successive fasi (stadri) di un ciclo d'erosione, dalla
« superficie originaria », con le prime solcature, alla giovinezza, alla maturità, al prnepiano.
Questa evoluzione graduale è propria di un territorio litologicamente uniforme. Se vi sono rocce variamente erodibili, nel passaggio
dalla giovinezza alla maturilà l'erosione selettiva metterà in risalto
le differenze, che nel prosieguo dell'erosione scompariranno; deboli
nello stato di vecchiaia, saranno del tutto eliminate nel penepiano,
quando la superficie del terreno risulta « rasata » indipendentemente
dalla varietà delle rocce e dal loro assetto tettonico.
Si è così compiuto un ciclo d'erosione, partendo da una superficie
pianeggiante e ritornando a una superficie pianeggiante (perciò si
parla di ciclo). Un sollevamento del penepiano provoca una ripresa
dell'erosione o ringiovanimenlo, dando inizio a un nuovo ciclo.
Si può ammettere che l'evoluzione si svolga secondo il modello
davisiano, però in totale assenza di moti tettonici. I1 Davis ha tuttavia previsto le complicazioni. I n seguito a moti tettonici il ciclo può
degli eventi e delle forme: valli mature, per esempio, possono essere più antiche
di valli vecchie.
essere interrotto in qualsiasi stadio del suo sviluppo. Un sollevamento
darà luogo a una ripresa o intensificazione dell'erosione, con « ringiovanimento » dei corsi d'acqua e quindi di tutto il rilievo. Naturalmente i disturbi possono ripetersi più volte, le forme si complicano,
la formazione del penepiano è impedita.'
Le tracce più manifeste di queste complicazioni sono costituite da
tratti di superficie sommitali (cioè sulle parti culminanti dei rilievi)
spianate o dolcemente ondulate, resti dell'antica superficie originaria
o di successivi spianamenti, detti superficie d'erosione, di spianamento
o paleosuperficie; oppure da terrazze a più livelli, che però sono spesso
ridotte a piccoli lembi o addirittura a speroni dei versanti, più o meno
profilati orizzontalmente.
Al modello del ciclo d'erosione normale sono state opposte varie
critiche, soprattutto in considerazione della mobilità tettonica e del
fatto che l'erosione non agisce a movimenti conclusi ma già durante
questi. Tuttavia la sostanza dello schema davisiano è ancora generalmente accolta, salvo che si sono individuati anche altri processi evolutivi che portano pure allo spianamento su vaste aree. Prima di accennarne, aggiungiamo che il Davis estese poi il concetto di ciclo ad altri
processi morfologici: ciclo glaciale, carsico, arido, costiero.
Altre superfici di spianamento
Nelle regioni oggi aride, semiaride o con aridità stagionale prolun- ,
gata (clima della savana) si stendono ampie superfici pianeggianti con
piccola pendenza (qualche g a d o ) , che partono dal piede di rilievi;
superficie d'erosione anch'esse, in quanto tagliano indifferentemente
rocce diverse e di diversa giacitura. Non di rado sono parzialmente
coperte da un sottile mantello di detriti e nella parte più bassa addirittura da un deposito di alluvioni. Queste superficie spianate fanno
netto contrasto con i rilievi, i cui versanti si ergono bruscamente in
modo che alla loro base si forma un netto gomito (knick).
Sono superficie sicuramente sorte in seguito a un processo differente da quello che conduce al penepiano, chiamate con termine inglese pediment dal quale non si è ancora ricavato un termine italiano d'uso generale (francese glacis d'érosion). Si ammette che i ver-_
santi esterni di un'area montuosa arretrino più o meno parallelamente
',
5. Si noti che questo vocabolo non ha alcun rapporto, come parrebbe, con
la posizione « al piede » di un rilievo; pediment è termine architettonico, frontone.
'
Ilg.
47 - Sterrogroiunza di un pediment ( i n parte su rocce cristalline c r ) ; k gomito
(knick)
1
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II
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« a se stessi », così che al loro piede si allarga via via una superficie
pianeggiante, il pediment. L'erosione (asportatrice dei detriti provenienti dalla montagna) che crea e modella il pediment ha carattere
« areale », cioè diffuso, anche se operano i corsi d'acqua, in genere
temporanei o addirittura effimeri, che divagano facilmente in varie
direzioni senza infossarsi in un solco. Tuttavia a un certo momento
il pediment può essere inciso e terrazzato. Questo tipo d'erosione è
favorito dall'assenza o discontinuità della vegetazione.
Da superficie di questo genere si levano qua e là con netto contrasto monti isolati o in piccoli gruppi, designati col termine tedesco
Inselberg, che vuol dire « monte-isola », appunto per il loro aspetto.
I pediment occupano grandi estensioni nelle regioni aride e di savana dell'Africa, degli altopiani occidentali dell'America del Nord e
del Brasile. Qua è là sono cosparsi di Inselberg, i quali però si trovano anche in regioni tropicali umide.
Antiche superfici d'erosione in Europa sono anch'esse probabilmente resti di pediment; in passato i climi sono stati anche sensibilmente diversi e quindi certe forme hanno preso origine sotto climi
differenti da quelli odierni. Altre superficie sono invece resti di penepiani.
Forme dell'eiosione glaciale
I ghiacciai esercitano una propria azione erosiva, detta esarazione,
sia indiretta trasportando i detriti rocciosi caduti sulla loro superficie
dalla montagna circostante, sia diretta sfregandoli sui fianchi e sul fondo
insieme con i detriti inclusi nel ghiaccio o trascinati sul fondo stesso,
dove, inoltre, avvengono particolari processi di frantumazione della
roccia.
Le forme elementari dell'erosione glaciale consistono in gruppi di
piccoli dossi rocciosi mammellonari, arrotondati e levigati, detti con
tipico francesismo rocce montonate, per la vaga analogia con le groppe
di un gregge 6.
Tra i mammelloni si trovano spesso piccole cavità occupate da
pozze e laghetti. Queste microforme furono modellate dai ghiacciai
dell'epoca glaciale o durante il loro ritiro; poco lontano dai ghiacciai
attuali appaiono « freschissime », il loro modellamento essendosi protratto fino al più recente ritiro del ghiacciaio.
Ben più importanti le forme di maggiori dimensioni, e qui bisogna distinguere tra le regioni montuose e quelle pianeggianti. Nelle
prime sono tipiche forme i circhi e le valli glaciali. I circhi appaiono
come incavi o grandi nicchie che intaccano la parte alta d'un versante,
immediatamente sotto le creste; l'incavo è aperto verso la valle che
essi sovrastano. I1 circo ha forma semicircolare, a ferro di cavallo o
rettangolare, con ampiezza media da mezzo a un chilometro. I1 suo
« recinto » è roccioso, fasciato al piede da falde detritiche, il fondo è
spesso pianeggiante o incavato da una piccola conca, che spesso acco-
Fig. 18 - Srhemr dr un crrco glarrale (a srnrstra) e dr una ualle glaciale ad U , con
valle sospesa
.
t
glie un laghetto ( o lo accoglieva prima del suo interrimento). LO
sfocio, verso valle, presenta spesso una barra di rocce arrotondate
leggermente rialzata; questa può essere già incisa dal solco d'un torrentello emissario delle acque del circo.
I n generale i circhi debbono derivare da rimodellamento glaciale
delle testate di valli torrentizie, dove poté installarsi un ghiacciaio; ma
il preciso processo non è ben chiarito.
Anche la ualle glaciale non è in genere sorta interamente per esa-
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6 . Su queste rocce levigate non è raro osservare delle strie, leggiere scalfitture
provocate da qualche sasso angoloso trasportato dal ghiacciaio.
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razione, cioè erosione glaciale: questa ha rimodellato una precedente
valle fluviale, approfondendola e ampliandola con l'erosione sul fondo
e sui fianchi. Ne è risultato una forma a doccia o somigliante alla
lettera U, ossia fondo largo, versanti ripidi ( m a di rado o solo in parte
subverticali), donde il nome di doccia glaciale, valle a U ed anche truogolo. Per lo più non è l'intero profilo trasversale modellato in questo
modo, ma solo la parte inferiore di un versante, che appare quindi
incastrata in quella superiore, intaccata dai circhi.
Le valli minori che confluiscono alla doccia glaciale spesso non si
innestano gradualmente al fondo della valle principale, ma terminano
a una certa altezza sul versante, come troncate; un gradino separa
pertanto queste valli sospese dal fondo della valle maggiore, gradino
alto fin qualche centinaio di metri. Anche queste valli presentano modellamento a doccia e spesso prendono origine sotto uno o più circhi.
I1 corso d'acqua che le percorre può precipitare in cascata sul gradino
oppure questo è già inciso da una gola.
Nelle grandi valli modellate dai ghiacciai quaternari possono incontrarsi tre particolari tipi di forme: 1 ) gradini nel profilo longitudinale,
spesso provvisti all'orlo superiore d'un rialzamento di rocce arrotondate; 2 ) collinette emergenti sul fondo della valle (rilievi intravallivi),
anche questi arrotondati dalla parte a monte; 3 ) conche allungate, che
generalmente oggi ospitano laghi, dovute a « sovrescavazione », in
quanto il ghiacciaio, dato il suo grande spessore, può erodere anche in
contropendenza. Queste forme dipendono in parte da erosione selettiva, secondo la presenza di rocce « dure » o « tenere » oppure fortemente fessurate.
Circhi, valli ad U, valli sospese si associano a formare un complesso
che dà impronta inconfondibile alle regioni montuose invase da grandi
ghiacciai nell'epoca glaciale.
I n regioni di rilievo molto modesto o pianeggianti le forme della
erosione glaciale sono naturalmente diverse. Consistono in tratti spianati e levigati, in collinette arrotondate e conche per lo più allungate
e a volte frastagliate, oggi in massima parte occupate da laghi di variatissima dimensione, come si osserva nella Scandinavia, in Finlandia,
nel Canadà, regioni che furono sottoposte alle grandi cappe glaciali
quaternarie. L'allineamento delle conche e dei rilievi è in relazione
alle diversità delle rocce e alla direzione delle loro fratture.
Forme di accumulazione glaciale
I ghiacciai accumulano le morene, rilievi costituiti di materiale
eterogeneo, dai grossi massi al limo sottilissimo, caoticamente mescolati '.
Le morene frontali e laterali deposte hanno forma di lunghi argini
(cordoni rnorenici), arcuati o diritti. Nelle vecchie morene il loro culmine ben di rado è una cresta acuta, per lo più è arrotondato e talora
quasi spianato, forme che dipendono non solo dalla deposizione, ma
anche da azioni di dilavamento posteriori. Inoltre il materiale di cui
sono costituite ha spesso subito un'alterazione più o meno profonda
in superficie; nelle morene alpine più vecchie, deposte fuori della
montagna, è caratteristico un suolo rossastro, il ferretto, derivato da
ossidazione del ferro e da decalcificazione.
Una serie di morene frontali arcuate, l'una dietro l'altra, deposte
durante le soste nel generale ritiro, costituiscono un anfiteatro rnorenico, i vari argini (cordoni, cerchie) essendo disposti a semicerchio;
ma il nome non è del tutto proprio, poiché i veri anfiteatri sono ellit-
Fig. 49 - Schema di un anfiteatro morenico davanti alla fronte di un ghiacciaio
tici e chiusi. Tale forma è derivata da quella della fronte, e se questa
aveva più lobi, risulta una forma lobata anche delle cerchie moreniche,
per esempio nel grande anfiteatro d'Ivrea allo sbocco della valle
d'Aosta. Altri grandi anfiteatri situati fuori della montagna alpina
stanno davanti ai laghi prealpini, Maggiore, di Como (due rami),
7. I grossi blocchi emergenti dalle morene e quelli isolati in seguito all'asportazione del detrito più fine, sono chiamati massi erratici, perché venuti di lontano;
generalmente la loro roccia è del tutto differente da quella del terreno su cui
riposano.
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d'Iseo, di Garda; questi laghi, che occupano conche allungate e profonde, altro non sono che l'ultimo tratto di valli ultraescavate dai
ghiacciai.
Consimili morene arginiformi sono numerose anche nelle regioni
pianeggianti già citate, talune lunghissime, con molti lobi arcuati (la
concavità è rivolta veno l'antico ghiacciaio); esse segnano le varie
soste dell'orlo delle grandi cappe glaciali quaternarie. Altre morene
sono in forma di collinette brevi, a contorno ellittico, arrotondate e disposte in schiere parallele (drumlin); oppure costituiscono semplicemente dei piani a dolci ondulazioni ( derivanti specialmente dalla morena di fondo). Queste varie forme (alle quali si aggiungono altri particolari rialzi deposti da torrenti sotto il ghiacciaio o ai suoi orli) alternano con rilievi modellati dall'erosione e con le conche, formando
un paesaggio infinitamente ondulato.
All'esterno rispetto alle morene spesso si trapassa in conoidi o
piani di accumulazione $uuiogiaciale, cioè costruiti da corsi d'acqua con
materiali ripresi dalle morenc, tanto allo sbocco delle valli montane
quanto nelle regioni pianeggianti.
Fenomeni periglaciali
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Certi processi morfologici sono connessi con la formazione di ghiaccio, ma non con i ghiacciai. Sono i fenomeni periglaciali, che si manifestano sotto climi freddi, con alternanza di gelo e rigelo dell'acqua
del suolo nello strato superficiale almeno in una parte dell'anno.
Periglaciali significa attorno ai ghiacciai e quei fenomeni furono così
qualificati perché da prima riconosciuti (non più attivi, « ma fossili » )
in regioni dell'Europa centrale situate attorno alle grandi cappe di
ghiaccio quaternarie; .più esatto è il termine, ma meno comune, di fenomeni crionivali, che allude al ghiaccio e alla neve. Essi danno luogo
a forme del terreno poco evidenti o di minuto dettaglio, perciò è sufficiente farne qui un brevissimo cenno.
In vastissime regioni artiche e subartiche, al disotto di uno strato
di piccolo spessore, il suolo è « permanentemente gelato », detto con
termine internazionale permafrost. È una condizione, che, insieme ai
fenomeni di superficie, pone severi problemi riguardo all'uso del territorio, per esempio sfruttamento minerario, costruzioni edilizie e
ferroviarie, stradali, ecc.
I fenomeni crionivali si svolgono però al disopra, dove l'acqua
del suolo può congelare e disgelare ripetutamente per le alternanze
diurne e stagionali della temperatura. Per questo gioco gli elementi che
costituiscono il suolo vengono rimossi e spostati. Sui pendii ne derivano
movimenti lenti, che rientrano nel tipo del soliflusso ( a geliflusso » in
questo caso), e particolari configurazioni del terreno. Ci limitiamo a
menzionare le due forme più caratteristiche, assai diffuse, i cuscinetti
erbosi, specialmente sui pendii, e i suoli poligonali su terreno pianeggiante. I primi sono rialzamenti rotondeggianti, alti qualche decimetro,
strettamente accostati gli uni agli altri, rivestiti d'erba; i secondi consistono in particolari disposizioni del detrito fine e grossolano, il loro
aspetto tipico essendo quello di una rete di piccole aiuole di terriccio
delimitate da file di pietre secondo un contorno poligonale.
I fenomeni periglaciali si riscontrano naturalmente -inche in montagna, ad elevazioni prossime al limite delle nevi e sono stati riconosciuti non solo nelle Alpi, ma anche in vari luoghi dell'Appennino.