Riunione Unitel del 5 febbraio 2016

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Riunione Unitel del 5 febbraio 2016
Presenti:
1)
Gnecchi Antonio – vice presidente
2)
Maria Grazia Laini
3)
Pasinetti G. Pietro
4)
Roberto Bergamini
5)
Gozzoli
6)
Candida Sala
7)
Maura Gavazzoni
8)
Arch. Bianchi – comune Boario Terme
9)
Ivo Filosi
10) Bonezzi
11) Messali Manuela
12) Montini – comune di Bagnolo
13) Eva Semenzato
14) Corrado Martinelli
15) G. Pietro Fongaro
16) Roberto Mazzoletti
17) Luca Facchetti
18) Alessandra Cardellino
Giustificati: Benedetti Pierangelo e Valetti Ugo
Il presidente Bernardino Primiani ringrazia la sezione Unitel della Provincia di Brescia
MERCOLEDÌ 18 NOVEMBRE 2015 17:26
Dopo aver letto il verbale di novembre pubblicato stamane sul sito UNITEL, non posso fare a meno di
congratularmi con il collega Antonio Gnecchi e con tutti i colleghi della Sezione Unitel Brescia.
Veramente encomiabile, puntuale, ricco e leggibile su ogni aspetto trattato.
Un lavoro che non lascia spazio ad altre interpretazioni se non quella di farvi sentire la mia personale stima ma
sicuramente quella di tutti i Tecnici che vi leggeranno per lo straordinario lavoro che fate di formazione ed
informazione per tutti noi.
Sono onorato di essere un vostro collega e amico.
Grazie
Bernardino Primiani
Argomenti trattati:
1) Rinnovo quota associativa UNITEL per l’anno 2016.
Ricordato a tutti i presenti l’impegno di rinnovare, entro il 28 febbraio 2016, l’adesione a UNITEL, mediante
versamento di euro 50 secondo le classiche formule.
Lo stesso sollecito giungerà anche agli altri iscritti del 2015 che riceveranno il presente verbale.
Comunicazione del presidente nazionale
2) LL.PP. - Novità, aggiornamenti, chiarimenti e informazioni.
E' presente il sig. Capra dell’Ance di Brescia a presenziare il nostro incontro, enunciando le anticipazioni
interessanti che vengono illustrate nell’ALLEGATO “A”, oltre che dare risposta alla domanda di un collega sulla
validazione dei progetti, che pure viene inserita nel sopra citato allegato.
3) Segnalazione di alcuni articoli interessanti del Notiziario 12/2015 dell’ANCE Brescia.
A – Tributi.
 Frazionamento e accorpamento unità immobiliari – Aliquote IVA - pag. 632
B – Lavori pubblici.
 Stipula dei contratti d’appalto in forma elettronica: nuovo comunicato ANAC

Nuove soglie europee in vigore dal 1 gennaio 2016: per i lavori la soglia è fissata a € 5.225.000
C – Giurisprudenza:
 E’ vietato l’avvalimento a cascata
 Oneri per la sicurezza: quelli esterni sono calcolati e prefissati dall’appaltante, mentre quelli interni
dall’offerente.
 L’impugnazione dell’aggiudicazione deve avvenire entro 30 giorni
 Divieto di assunzione per l’ente che nell’anno precedente non ha rispettato i tempi di pagamento.
 È illegittima la clausola di scostamento massimo della manodopera dalle tabelle ufficiali
 È illegittima la revoca del subappalto senza contraddittorio con l’impresa.
D- Urbanistica:
 I lucernai sul tetto non sono “pareti finestrate” e quindi non contano ai fini delle distanze minime
 Manutenzione straordinaria, la nozione ampliata non è retroattiva.
 Permesso di costruire: è irricevibile il ricorso del vicino se presentato in ritardo.
E- Varie:
 Disciplina semplificata sulla gestione delle terre e rocce da scavo: consultazione pubblica sul nuovo
schema di regolamento.
Considerato alcuni aspetti interessanti contenuti nella rubrica dei tributi in ordine al frazionamento e
accorpamento di unità immobiliari e alla relativa applicazione aliquota IVA, riporto parte del testo e alcune
riflessioni che ne derivano in ordine definizione degli interventi di “ristrutturazione edilizia”.
FRAZIONAMENTO E ACCORPAMENTO DI UNITA’ IMMOBILIARI – ALIQUOTE IVA:
Mantiene la qualificazione di “impresa ristrutturatrice”, l’impresa che cede o loca abitazioni ad IVA, oggetto di un
preventivo intervento di frazionamento/accorpamento, autorizzato urbanisticamente prima del 12 novembre 2014.
Per contro, per gli interventi autorizzati dopo tale data, le recenti modifiche nella definizione di “manutenzione
straordinaria” possono produrre rilevanti cambiamenti alla disciplina fiscale.
Questo uno dei principi riflessi fiscali delle conclusioni a cui è giunto il Consiglio di Stato nella sentenza della Sez. IV, n. 4381
del 21 novembre 2015, secondo il quale la qualificazione di un intervento edilizio discende dalla verifica di legittimità del
titolo edilizio autorizzativo con riferimento alla disciplina vigente al momento del suo rilascio.
Chiamato a pronunciarsi nello specifico proprio sulla qualifica urbanistica di un intervento di frazionamento/accorpamento
di unità immobiliari a destinazione residenziale, il giudice amministrativo ha chiarito che questo non può essere qualificato
come “manutenzione straordinaria”, ai sensi del nuovo articolo 3, comma 1, lettera b), del dPR 380/2001, laddove sia stato
urbanisticamente autorizzato prima dell’entrata in vigore della normativa apportata alla citata norma, dall’art. 17 DL
133/2014 (convertito con modificazioni dalla legge 164/2014), ovverosia prima del 12 novembre 2014 (1).
A tal proposito, si ricorda, infatti, che da tale data la definizione di “manutenzione straordinaria” comprende anche gli
interventi “consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se
comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia
modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso”.
Sotto il profilo fiscale, tale nuova definizione di “manutenzione straordinaria” va ad incidere anche sulla disciplina IVA
applicabile agli interventi di frazionamento ed accorpamento, nonché alla successiva cessione o locazione di unità
immobiliari sulle quali questi sono eseguiti., tenuto conto che, inn generale, proprio la qualificazione urbanistica di un
intervento edilizio condiziona il regime tributario applicabile alla fattispecie ai fini della corretta applicazione della
disciplina IVA (2).
1. Effetti su appalti, cessioni e locazioni di fabbricati residenziali.
Il primo luogo, si evidenzia che la riconducibilità degli interventi di frazionamento ed accorpamento di unità immobiliari
alla manutenzione straordinaria, anziché alla ristrutturazione edilizia, non incide sull’applicabilità dell’aliquota IVA al 10%
nell’ipotesi di contratti d’appalto relativi alla loro realizzazione, qualora questi siano effettuati su immobili a destinazione
residenziale, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 244/2007, come modificato dall’art. 2, comma 11, della legge
191/2009.
Con riferimento a tali fabbricati, infatti, l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta al 10% non trova alcuna limitazione ed è
estesa a qualsiasi categoria di intervento edilizio, ivi compresa le manutenzioni ordinaria e straordinaria.
Riflessi, invece, si hanno relativamente al regime IVA applicabile alle operazioni di cessione o locazione di fabbricati
residenziali, laddove questi siano stati oggetto di preventivo frazionamento od accorpamento.
Per questi infatti, l’applicazione dell’IVA è consentita solo alle imprese cedenti o locatrici che possono qualificarsi come
“imprese ristrutturatrici”.
Invero, è lo stesso art. 10, comma 1, del dPR 633/1972, sia al n. 8 che al n. 8_bis, che definisce le imprese che , su
fabbricati residenziali, “hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all’articolo 3, comma 1,
lettere c), d) ed f), del TUE di cui al dPR 6 giugno 2001, n. 380.
…… omissis …..
Note
(1) Il Consiglio di Stato giunge a dette conclusioni sulla base del principio del tempus regit actum (art. 11, comma 1, disp. Prel. C.C.), che impone di
verificare la legittimità del titolo edilizio in riferimento alla disciplina vigente al momento del rilascio .
(2) Cfr. “DL 133/2014 (L. 164/2014) – art. 17
Brevi riflessioni sui contenuti di carattere tributario della rubrica in relazione agli aspetti edilizi contenuti nella sentenza
del Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4381 del 21 novembre 2015.
La sentenza sopra citata mette in evidenza alcuni principi fondamentali, da noi sostenuti di recente, negli approfondimenti
sulla qualificazione tecnico giuridica degli interventi edilizi, quali:
1) La qualificazione tecnico giuridica di un intervento deve attenersi scrupolosamente ai principi fondamentali contenuti
nella legislazione statale NON DEROGABILE dalla legislazione concorrente regionale, che definisce le categorie di
intervento, con riguardo al procedimento e al contributo, nonché degli abusi edilizi e dell’applicazione delle relative
sanzioni amministrative e penali (Corte Costituzionale n. 309 del 2011),
2) La giurisprudenza amministrativa si attiene alla legge statale nel giudicare le controversie in materia edilizia, avendo
riguardo sia al momento delle intervenute modificazioni che agli effetti che da queste ne derivano,
3) L’Amministrazione Finanziaria segue, all’interno della propria normativa di riferimento, la disciplina edilizia nazionale,
così che le agevolazioni fiscali IVA possono essere applicate a specifiche e ben definite categorie di intervento.
Quanto sopra è avvalorato dal fatto che l’Amministrazione Finanziaria non considera una “ristrutturazione edilizia” gli
interventi di sopralzo del sottotetto di fabbricato esistente ai sensi dell’art. 64 della legge regionale Lombardia n. 12 del
2005, perché non rispondente alla definizione alla definizione di cui all’art. 3, comma 1, lettera d), del dPR n. 380/2001,
ma come “ampliamento”, ovvero “nuova costruzione”, ai sensi della lettera e.1), stesso articolo.
4)
La nuova formulazione della “manutenzione straordinaria”, introdotta dalla legge n. 164/2014, sembra, di fatto,
avvallare la nostra opinione, secondo la quale le “manutenzioni straordinarie” possono essere considerate delle
modeste “trasformazioni edilizie”, poiché consentono, dal 2013, il frazionamento o l’accorpamento di unità
immobiliare, oltre ad aumentare le singole unità immobiliari e il carico urbanistico, purché a determinate condizioni.
Come abbiamo affermato nella nostra dispensa sulla qualificazione tecnico giuridica degli interventi edilizi, con i
provvedimenti legislativi di questi ultimi anni, alla manutenzione straordinaria è stata data una valenza urbanistica, di
livello superiore, aggiungendo alle consolidate operazioni manutentive e conservative, anche una sorta di funzioni
parzialmente “trasformative”, anche se limitate.
4) Divulgazione di alcuni articoli della rivista “L'UFFICIO TECNICO” di novembre-dicembre 2015.
Nell’ALLEGATO “B” si troveranno alcuni articoli di particolare interesse per i tecnici comunali in materia di ambiente, di
appalti, di edilizia, di pubblica amministrazione, oltre ai consuete rubriche di approfondimento, di rassegna di
legislazione e di giurisprudenza e le domande dei lettori con le risposte degli esperti.
1) Permesso di costruire e precarietà dell’opera: i rilievi della Corte di Cassazione, con la relativa giurisprudenza
commentata
2) La c.d. sanatoria giurisprudenziale alla luce della più recente giurisprudenza.
3) La responsabilità degli organi collegiali nell’adozione di provvedimenti amministrativi, con particolare riferimento a
quelli tecnici,
4) La sopraelevazione dell’ultimo piano di un condominio e le verifiche da parte dell’UTC,
5) Rassegna di legislazione,
6) Rassegna di giurisprudenza,
7) Le domande dei lettori e le risposte degli esperti.
5) Divulgazione ai colleghi di alcuni contributi che interessano la nostra categoria
Nell’ALLEGATO “C” sono disponibili alcune informazioni, approfondimenti e altro che interessano i colleghi, come di
seguito elencati:
1) Decreto legge 30 dicembre 2015, n. 210 – confermato l’obbligo di pubblicità sui quotidiani per il 2016,
2) Infocomuni della regione Lombardia – spazio regione Brescia: modulo unificato DIA e denuncia di inizio attività in
edilizia,
3) Circ. Area Tecnica 11 gennaio 2016 – Notiziario
4) Circ. Area Tecnica 15 gennaio 2016 – recupero canoni di locazione ed oneri condominiali a carico dei conduttori
inadempienti,
5) Circ. Area Tecnica 14 gennaio 2016 – delitti ambientali e responsabilità per la PA: chiunque obbligato non provveda
alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi.
6) Aggiornamento Area tecnica – Lombardia 22 gennaio 2016 – territorio-sismica,
7) Circ. Area Tecnica 18 gennaio 2016 – Notiziario dal 11 al 16 gennaio 2016.
8) Circ. Area Tecnica 25 gennaio 2016 – Notiziario dal 18 al 23 gennaio 2016,
9) Circ. Area Tecnica 22 gennaio 2016 – Le convenzioni urbanistiche,
10) Circ. Area Tecnica 28 gennaio 2016 – Collaudo ambientale,
11) Circ. Area Tecnica 29 gennaio 2016 – Autotutela ambientale
12) Circ. Area Tecnica 2 febbraio 2016 – Notiziario
13) Circ. Area Tecnica 4 febbraio 2016 – RUP - Sicurezza cantieri.
6) Informazioni circa la divulgazione dei cinque documenti di approfondimento di altrettanti temi trattati.
Come avevamo concordato, oltre al Collegio Costruttori e al Collegio Geometri, il geom. Gnecchi ha contattato sia
l’ordine degli ingegneri che degli architetti, chiedendo se fossero interessati a divulgare, a loro volta, i contenuti dei
temi ivi trattati.
I due collegi provvederanno a pubblicare sulle rispettive riviste, in tempi diversi, considerata l’entità dei testi, tutti i
documenti perché ritenuti interessanti per i loro iscritti.
Ad oggi solo l’ordine degli ingegneri ha fatto sapere di essere interessato all’iniziativa e ne ha chiesto i testi da
sottoporre all’esame della loro commissione urbanistica.
Aspettiamo di sapere se e come eventualmente divulgheranno i documenti ai loro iscritti.
7)
Legge di Stabilità 2016 – misure fiscali d’interesse per il settore delle costruzioni.
Nell’ALLEGATO “D” sono disponibili le misure fiscali contenute nella legge di Stabilità per il 2016 che riguardano il
settore delle costruzioni.
ALLEGATO “B 1”
Permesso di costruire e precarietà dell’opera: i rilievi della Corte di Cassazione:
di massimo Bisà
In un recente caso affrontato dalla Corte di Cassazione (Sez. III pen. del 24 settembre 2015, n. 38777) relativo ad un abuso
edilizio in essere in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico, viene in rilevo la qualifica di “precariaetà” dell’opera che,
secondo la normativa vigente, rende non necessario il rilascio di un’autorizzazione edilizia. La Suprema Corte, nel
respingere la tesi difensiva presentata dal ricorrente, pone in evidenza i principi che la consolidata giurisprudenza ha
enunciato sul punto e che possono, pertanto, essere di ausilio nella comprensione degli atti di assenso previsti dalla
legislazione.
Il caso affrontato dalla Corte.
In primo grado, il Tribunale aveva dichiarato un privato responsabile del reato di cui al dPR n. 380/2001, art. 44, lettera c)
(1) e del connesso reato paesaggistico di cui al D.Gls n. 42/2004, art. 181, a motivo del fatto che, in concorso con ignoti
esecutori, in qualità di committente ed esecutore materiale delle opere, eseguiva, in zona sottoposta a vincolo
paesaggistico, senza il permesso di costruire, un manufatto ad un’elevazione fuori terra, con superficie coperta di mq.
20,90, con struttura portante composta da sei pilastri in blocchetti cementizi vibro-compressi, con copertura realizzata in
legno lamellare, con sovrastante posa in opera di pannelli coibenti e con parete nord realizzata con forati in laterizio.
La condanna veniva confermata in secondo grado dalla Corte di Appello con sentenza avverso la quale veniva proposto
ricorso in Cassazione da parte del privato.
In particolare, la tesi difensiva del ricorrente si fondava anzitutto su un’asserita erronea applicazione della legge penale con
riguardo al dPR 380/2001, dal momento che i giudici di merito avevano considerato soggetta a permesso di costruire
l’opera in questione, nonostante si trattasse di tettoia a servizio dell’edificio principale preesistente e dunque di una
pertinenza collegata ad esso da un nesso funzionale strumentale, come tale sottratta al regime concessorio. Veniva poi in
rilievo, ad avviso del ricorrente, il fatto che la Corte di Appello avesse erroneamente ritenuto non applicabile la LR Sicilia n.
4/2003 (“Disposizioni programmatiche e finanziarie
per l’anno 2002”), il cui art. 20 stabilisce che “in deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggette a
concessione e/o autorizzazione(….) le verande, tutte le chiusure (…) relative a qual7unque superficie esistente su balconi,
terrazze ed anche fra fabbricati. Sono assimilabili alle verande le altre strutture aperte almeno su un lato, quali tettoie,
pensiline, gazebo, ed altre ancora, la cui chiusura sia realizzata con strutture precarie, sempre se ricadenti su aree private”.
Più nello specifico, era opinione dei giudici di merito che l’ostacolo all’applicazione della citata normativa regionale fosse
da rinvenirsi nelle dimensioni della struttura realizzata; conclusione, questa, ritenuta non condivisibile dal ricorrente in
quanto la LR 4/2003 non sembra porre espressamente alcun limite alla superfici, né alle dimensioni dell’opera, bensì al più
fonda sul requisiti dell’apertura almeno da un lato la riconducibilità delle opere assimilabili alle verande.
Altro motivo di censura della pronuncia emessa dalla Corte di Appello veniva poi rinvenuto in un’erronea applicazione della
legge penale e nell’assenza di adeguata motivazione con riferimento al Codice dei beni culturali; nello specifico, dopo aver
ricordato che il reato paesaggistico è qualificabile come reato di pericolo che, prescindendo dal verificarsi di un evento
dannoso, impone di conseguenza al giudice il compito non di accertare se vi sia stato un effettivo danno al paesaggio ed
all’ambiente bensì se il tipo di intervento sia astrattamente idoneo a ledere il bene giuridico, il ricorrente evidenziava come
la Corte avesse omesso ogni valutazione sul punto, ritenendo, a torto, che fosse sottratto alla propria cognizione ogni
sindacato in ordine alla concreta pericolosità della condotta perpetrata dal privato.
Nel respingere le doglianze del ricorrente, la Cassazione ha anzitutto ricordato come la legislazione regionale non debba
porsi in contrasto con i principi legislativi nazionali, con la conseguenza che la stessa vada interpretata “secondo la
prevalente giurisprudenza in punto di precarietà e quindi possibilità di realizzare l’opera senza permesso di costruire”.
Ciò premesso, la Suprema Corte riprende quanto già affermato in precedenti pronunce sul punto, in particolare
sottolineando come la ormai consolidata giurisprudenza in materia di reati edilizi privilegi, quale criterio da seguire nella
valutazione della precarietà, “il criterio funzionale, che riguarda all’uso effettivamente temporaneo cui la struttura è
destinata”, parametro, questo, che è quindi da preferire rispetto al criterio strutturale che m, al contrario, “valorizza il
fatto che le componenti della struttura siano facilmente rimovibili” (2). Aderendo a tale operazione ermeneutica, la
Cassazione ne ricava che, nel caso di specie, considerate la natura e le caratteristiche dell’opera realizzata senza titolo, non
se ne possa considerare l’uso come meramente temporaneo; essa, difatti, “appare destinata al servizio dell’edificio
principale e, quindi, al soddisfacimento di esigenze permanenti, non provvisorie, come del resto attestato anche dalle
dimensioni della struttura, tali da farla ritenere non una semplice veranda ma una prosecuzione dell’appartamento dal
punto di vista funzionale”.
In aggiunta, quand’anche l’interprete volesse applicare alla fattispecie il criterio strutturale, ad avviso della Cassazione
l’opera non potrebbe comunque essere considerarsi caratterizzata dalla precarietà, “trattandosi di struttura non
facilmente rimuovibile, ancorata al suolo mediante strutture in cemento”.
La logica conclusione della vicenda non può che essere, dunque, quella di considerare l’intervento come abusivo, in quanto
essendo lo stesso escluso dal regime di favore della “precarietà”, la sua esecuzione avrebbe richiesto il rilascio del
necessario permesso di costruire.
Note
(1) Interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione
essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso.
(2) Sul punto, è di interesse richiamare un precedente arresto giurisprudenziale della III sezione della Suprema Corte (n.
1191 del 16 gennaio 2012) secondo cui “la natura precaria deve ricollegarsi all’intrinseca destinazione materiale dell’opera,
utilizzata per fini specifici contingenti e limitati nel tempo, e l’opera precaria allo stesso tempo deve poter essere rimossa
con facilità e velocità dopo aver terminato la sua funzione”.
Giurisprudenza commentata.
Il comune non può introdurre limiti edilizi in aggiunta e/o in contrasto alle prescrizioni della legislazione statale di
settore.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 30 settembre 2015, n. 4577.
Pres. Cirillo;
in tema di installazione di impianti radioelettrici di debole potenza e di ridotte dimensioni e quindi di governo del
territorio e tutela della salute, è sufficiente la comunicazione di inizio lavori, permanendo sulla p.a. l’obbligo di
procedere ai controlli su potenza e dimensione degli stessi impianti e di agire nel rispetto della legislazione nazionale. È,
quindi, legittima, e va confermata, la sentenza di merito con cui, accertata l’esistenza del regolamento locale per la
telefonia mobile recante una prescrizione generale in ambito di distanza minima degli impianti da realizzare rispetto ad
alcuni tipi o categorie di immobili senza però individuarli specificatamente e stante la previa stipula di un contratto di
ospitalità tra società proponente e società avente la gestione del luogo di proposta ubicazione, venga disapplicata la
medesima disposizione specifica del regolamento ed annullato il diniego.
Il tema di fondo emerge dalla recente sentenza del Consiglio di Stato in epigrafe, chiamato a pronunciarsi sul gravame di
una società operante nel settore delle telecomunicazioni, è la valutazione della legittimità, o meno, di un diniego di
installazione di una stazione radio base nel territorio urbanizzato e, segnatamente, (se e) quali siano le situazioni giuridiche
configurabili in capo all’imprenditore ed alla generalità degli abitanti/residenti della zona.
Una società presentava una comunicazione per la realizzazione di una stazione radio base con antenne superiori a 20 watt
presso la stazione circumvesuviana locale, posta a meno di cento metri dalla villa comunale in cui era ubicato anche un
parco giochi per minorenni, previa stipula di contratto di ospitalità con una società avente la gestione di tale stazione
circumvesuviana. Il comune, però, esprimeva parere negativo e contestuale preavviso di rigetto, diffidando la stessa
società proponente dal dare inizio ai lavori e comunicando, qualche tempo dopo, l’avvio del procedimento per la rimozione
di quanto eventualmente realizzato e per il ripristino dello stato dei luoghi, emettendo , successivamente, relativa
ordinanza e definitivo rigetto.
Giuridicamente, in materia possono essere richiamati gli articoli 2, 3, 4, 32, 41, 97 e 117 Cost., 16, comma 7, dPR n.
380/2001, nonché la legge n. 36/2001, la legge n. 111/2001 ed il D. Lgs. n. 259/2003.
Nella fattispecie, bisogna stabilire se sia consentito localizzare un impianto entro una fascia di territorio urbanizzato e,
precisamente, a meno di cento metri dalla villa comunale, se tale area sia qualificabile come “sensibile”, se dunque possa
sussistere un divieto di ubicazione assoluta nelle immediate vicinanze di aree sensibili, nonché se tale opera possa
qualificarsi come servizio di pubblico interesse e, quindi, se si possa configurare un preciso dovere, a carico della p.a., di
garantire la copertura minima del servizio pubblico su tutto il territorio e, infine, se il comune abbia podestà legislativa in
ambito di localizzazione di impianti di telefonia mobile e se il Consiglio comunale possa, pertanto, deliberare un
regolamento ad hoc.
Segnatamente, necessita valutare, anche in via comparativa, tra libertà economica privata e diritto alla salute.
Apparentemente, bisognerebbe, quindi, distinguere tra facoltà del privato e poteri della p.a., e cioè se il contratto di
ospitalità abbia, o meno, giuridica rilevanza ad hoc e se questo sia qualificabile come contratto di comodato, rectius, come
titolo esperibile in sede amministrativa.
In realtà, però, trattasi di focalizzare sui concetti di podestà, competenza, legittimazione, procedimento, provvedimento,
diritto ed interesse.
Sotto il profilo formale, vanno principalmente osservate le attribuzioni costituzionali in materia di localizzazione degli
impianti di telefonia mobile.
Sul punto, è da notare che spetta esclusivamente allo Stato la relativa disciplina generale recante prescrizioni generali di
distanze minime: ciò in quanto inerente ad un’attività, quale appunto la fornitura di reti di comunicazione elettronica, di
preminente interesse generale e nazionale (1) e connessa, in re ipsa, alla determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni da garantire nell’erogazione dei servizi pubblici relativi alla salute ed alla salvaguardia dell’ambiente e
dell’ecosistema.
Segnatamente, le regioni ed i comuni possono individuare criteri per localizzare impianti di telefonia mobile purché non
consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (2).
In termini di diritto sostanziale, la principale osservazione da effettuare riguarda la natura giuridica delle stazioni radio
base per telefonia mobile, assimilate alle opere di urbanizzazione primaria e quindi localizzabili ovunque, anche in deroga
agli strumenti urbanistici vigenti (3), nonché in disapplicazione dei regolamenti locali (4).
De iure condito. È illegittimo quel regolamento locale che prevede una zonizzazione che non assicuri l’intera copertura del
servizio di telefonia mobile (5); in tal senso, non è, ex se, secundum legem l’azione amministrativa del comune meramente
perché fondata sulla propria previa attività normativa se questa risulti, invece, ultra potestatem.
Rebus sic stanti bus, peraltro, la p.a., in sede procedimentale, non può richiedere documenti diversi da quelli
tassativamente indicati ex lege (6); non può, così, costituire motivo ostativo la mancata presentazione di un documento
(es. piano programma) previsto dal regolamento locale che possa essere richiesto ed acquisito anche in corso del
procedimento. È, altresì, indifferente che la società proponente operi nel medesimo settore (della telefonia mobile).
In conclusione, in ambito di installazione di impianti per la telefonia mobile, la società “proponente”, munita di titolo
privatistico giuridicamente valido, è legittimata a realizzare una stazione radio base presso la struttura gestita da altra
società privata e posta nell’urbe, se ciò sia oggettivamente funzionale alla copertura del servizio sul territorio: in tal senso,
la p.a. non può, validamente, opporsi (meramente) sulla base di una disposizione generica ed eterogenea inserita nel
regolamento di settore (7).
Ergo, il ricorso va respinto.
Irrilevanti, ex se, il notevole interesse pubblico ed il vincolo ambientale paesaggistico ex post in caso di azione
amministrativa sic et simpliciter
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 30 settembre 2015, n. 4564
Pres. Barra Caracciolo
In tema di opere in area sottoposta a vincolo e quindi di governo del territorio e controllo dell’attività urbanistica
edilizia, la preesistenza del manufatto impone un ulteriore puntuale rispetto, da parte dell’autorità procedente, degli
oneri istruttori e degli obblighi motivazionali del relativo procedimento. È, quindi, illegittima, e va riformata, la sentenza
di merito relativamente a provvedimenti del comune con cui, accertata la ricostruzione del manufatto agricolo in
presenza di vincolo ambientale paesaggistico sopraggiunto ed apposto ai sensi di una legge statale anteriore alla
realizzazione della prima opera, venga negata la sanatoria, ed ordinata la relativa demolizione, conformemente a
previo parere della commissione edilizia integrata ma senza contenere alcuna considerazione sull’applicabilità degli artt.
32 o 33 legge n. 47/85, sostenendo, erroneamente, peraltro che trattasi di opera del tutto nuova e diversa, non
coincidente, neppure nell’ubicazione, con quella preesistente.
Il tema di fondo che emerge dalla recente sentenza del Consiglio di Stato in epigrafe, chiamato a pronunciarsi sul gravame
di un soggetto, è la valutazione della legittimità, o meno, dei provvedimenti locali di diniego e demolizione di un’opera
edilizia di tipo agricolo sulla base di un provvedimento statale ad hoc e, segnatamente, se e quali siano i presupposti per
l’esercizio e la conservazione dello ius aedificandi in area poi vincolata.
La vicenda.
Un agricoltore realizzava un manufatto agricolo adibito a deposito-magazzino, in un’area successivamente dichiarata di
notevole interesse pubblico con decreto ministeriale, poi crollato parzialmente a causa di neve e ricostruito vent’anni dopo
mediante sostituzione dei montanti verticali originari in legno ed edificazione di pilastri: formulava, quindi, istanza di
rilascio di nulla osta paesaggistico ma, previo parere contrario da parte della commissione edilizia integrata emesso l’anno
dopo, veniva adottata, al termine di un procedimento durato complessivamente tredici anni, ordinanza sindacale recante
diniego di condono edilizio e successiva altra ordinanza di demolizione.
Giuridicamente, in materia possono essere richiamati gli artt. 2, 3, 9, 41, 97 e 117 Cost., 832 c.c., 329, comma 2,c.p.c., 101,
comma 2 e 112 c.p.a., 32 e 331, legge 47(5, 21-novies legge n. 241/90, 3 dPR n. 380/2001, nonché la legge n. 1497/1939.
Nella fattispecie, bisogna stabilire se sia rilevante, o meno, la data di realizzazione del manufatto rispetto alla data di
imposizione del vincolo paesaggistico, se ciò rilevi il vincolo all’epoca dell’abuso o alla data dell’esame, da parte della p.a.,
dell’istanza del privato, nonché se sussista assoluta incompatibilità di qualsiasi edificazione con il vincolo di tipo
paesaggistico e se la durata del procedimento possa qualificarsi “irragionevole” e se possa, quindi, produrre effetti sul
consequenziali provvedimenti amministrativi negativi.
Segnatamente, necessita valutare, anche in via comparativa, tra diritto di proprietà e tutela amministrativa del vincolo
territoriale.
Apparentemente, bisognerebbe, quindi, valutare se la ricostruzione del manufatto rilevi come nuovo intervento ovvero
come risanamento conservativo o ristrutturativo, e cioè identificare la natura della sostituzione dei montanti verticali in
legno e dell'edificazione dei pilastri.
In realtà, però, trattasi di focalizzare sui concetti di podestà, procedimento, provvedimento, diritto, interesse, illecito,
responsabilità.
In termini di diritto sostanziale tre le osservazioni da effettuare.
La prima sulla natura giuridica dell'abuso edilizio in termini di illecito permanente, in quanto tale soggetto alle procedure di
sanatoria ovvero a misure sanzionatorie (8).
L a seconda, quale sub-osservazione, sugli effetti, preclusivi al condono, del vincolo di inedificabilità assoluta posto
anteriormente alla realizzazione dell'opera (9).
La terza sul rapporto tra condotta del privato e comportamento della p.a. nell'esercizio dei doveri di vigilanza e controllo
del territorio e di repressione degli abusi non può determinare, almeno sic et simpliciter, alcun consolidamento, ergo
affidamento tutelabile, nella posizione del privato autore dell'abuso (10).
Sotto il profilo procedurale, due le principali osservazioni da effettuare ed entrambe sulla funzione del magistrato e sui
relativi obblighi.
La prima sull'impossibilità di esame delle domande e delle eccezioni prospettate in primo grado e non formalmente
riproposte in appello (11).
La seconda sugli elementi da porre a fondamento della decisione , e cioè non soltanto le censure formalmente espresse ma
anche quelle desumibili in modo in equivoco dall’esposizione dei fatti e dal contesto del ricorso (12).
De iure condito, va, dunque, sottolineato, per un verso, che la lunghezza del procedimento amministrativo non rileva quale
silenzio assenso se l’interessato abbia presentato tardivamente la richiesta di nulla osta paesaggistico, risultando peraltro
indifferente che l’autore dell’opera agricola sia un agricoltore, e, per un altro verso, che la tardiva presentazione della
stessa richiesta di nulla osta paesaggistico risulta irrilevante anche in senso sfavorevole al privato medesimo, non
impedendo perciò al mantenimento dell’opera e l’interesse al corretto esercizio dell’azione autoritativa.
Rebus sic stantibus, a prescindere dalla configurabilità di eventuali responsabilità in termini edilizi in capo al privato,
rilevano le modalità di esercizio della podestà amministrativa ad hoc della p.a., “affievolendo”, così, l’introduzione del
vincolo se l’azione amministrativa risulti praeter legem: in tal senso , è irrilevante che tale azione sia stata esercitata (e sia
approdata al termine) a mezzo ordinanza sindacale ovvero doppia ordinanza sindacale così come che sia cronologicamente
ed “eziologicamente”successiva a decreto ministeriale ad hoc e che questo sia posteriore alla realizzazione della prima
opera ed emanato in forza di legge nazionale anteriore all’opera stessa.
In conclusione, in ambito di rapporti tra procedimento amministrativo e provvedimento, il comune non può, sic
etsimpliciter, negare, a distanza di anni, contrariamente a quanto sostenuto dal TAR Veneto, Venezia, sez. II, n. 352/2015,
il condono edilizio del’opera già realizzata ed ordinarne la demolizione per il solo fatto che la stessa, crollata a causa di
eventi natura eccezionali, sia stata (parzialmente) ricostruita in regime di vincolo sopravvenuto e richiamato meramente
per relationem; così, il provvedimento amministrativo risulta “generico” e privo di motivazione, dovendo quindi essere
annullato, con rinnovazione del procedimento, previa integrazione dell’istruttoria.
Ergo, il ricorso va accolto.
Note.
(1) Corte Cost. 7 ottobre 2003, n. 307,
(2) TAR Campani, Napoli, sez. VII, 14 marzo 2007, n. 5445; sez. I, 10 marzo 2005, n. 1708; Cons.,Stato, sez. VI, 9 giugno 2006, n. 3452, n.
2371/2010 e n. 44/2013.
(3) Cons. Stato, sez. IV, n. 3200/2005,
(4) TAR Campania, Napoli, sez. I, 5 aprile 2004, n. 4044 e sez. VII, 14 marzo 2007, n, 5445; TAR Abruzzo, L’Aquila, 4 luglio 2006, n. 500;
Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2008, n. 2535; 9 luglio 2007, n. 561; TAR Campani, Salerno, sez. II, 19 ottobre 2012, n. 1893,
(5) Cons. Stato, sez. IV, n, 1431/2007,
(6) Cons. Stato, sez. III, n. 7128/2010,
(7) TAR Campania, Salerno, sez. II, 8 maggio 2013, n. 1050,
(8) Approfondimenti …. omissis ….
(9) c.s.
(10) Cons. Stato, sez. IV, 3 settembre 2014, n. 4466; sez. V, 30 giugno 2014, n. 3281 e 7 agosto 2014, n. 4213 e sez. VI, 14 novembre
2014, n. 5610 e 22 aprile 2014, n. 2027,
(11) Cons. Stato, sez. IV, 9 ottobre 2012, n. 5253, 13 ottobre 2003, n. 6195; Cons. Stato, sez. V, 3° settembre 2913, n. 4829, 21 ottobre
2011, n. 5650 e 18 febbraio 2003, n. 856,
(12) Cons. Stato, sez. IV, 29 aprile 2014, n. 2222; Cass. Civ. sez. II, 5 luglio 2013, n. 16865.
VALIDAZIONE PROGETTI
ti trasmetto l’articolo sulla validazione dei progetti. E’ esaustivo ma un po’ lungo (7 pagine più le note).
Tieni conto che le principali cose che interessano i tuoi colleghi sono queste.
Per la verifica attraverso le strutture tecniche interne alla stazione appaltante
i lavori di importo inferiore ad un milione di euro per opere puntuali ed inferiore alla soglia di rilevanza
comunitaria per opere a rete, i cui progetti possono essere verificati dallo stesso responsabile del procedimento
qualora non abbia svolto le funzioni di progettista ovvero dagli uffici tecnici della stazione appaltante, anche non
dotati
di
un
sistema
interno
di
controllo
di
qualità.
La norma ha cura di specificare cosa si intenda per “sistema interno di controllo qualità”, chiarendo che (a) per la
verifica di progetti relativi a lavori di importo pari o superiore alla soglia di rilevanza comunitaria, si intende un
sistema coerente con i requisiti della norma UNI EN ISO 9001 e (b) per la verifica di progetti relativi a lavori
inferiori alla soglia di rilevanza comunitaria, si intende un sistema di controllo, formalizzato attraverso procedure
operative e manuali d’uso.
Per la verifica attraverso le strutture tecniche esterne alla stazione appaltante, il Regolamento (art. 48,
comma 1) prevede che l’appalto di servizi vada affidato dal responsabile del procedimento ai seguenti soggetti :
per verifiche di progetti relativi a lavori di importo inferiore ad un milione di euro per opere puntuali ed inferiore
alla soglia di rilevanza comunitaria per opere a rete, ai soggetti di cui all’art. 90, comma 1, lettere d), e), f), fbis),
g) ed h) (liberi professionisti, società o associazioni o consorzi di professionisti o di ingegneria) del Codice, senza
necessità che siano in possesso della certificazione di conformità alla norma UNI EN ISO 9001.
Poiché la verifica attraverso strutture esterne alla stazione appaltante è un servizio, è necessario che la pubblica
amministrazione segua procedure di evidenza pubblica per l’assegnazione dello stesso.
ALLEGATO “C 1”
Secondo quanto disposto dal DECRETO-LEGGE 30 dicembre 2015, n. 210 (art. 7 comma 7), entrato in vigore il
30.12.2015, è
confermato
l’obbligo
di
pubblicità
sui
quotidiani
sino
al
31.12.2016.
“7. All'articolo 26, comma 1-bis, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni,
dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, le parole: "dal 1° gennaio 2016" sono sostituite dalle seguenti: " dal
1°
gennaio
2017".
Gli enti pubblici sono quindi tenuti a pubblicare avvisi e bandi su Gazzetta Ufficiale della Repubblica
Italiana serie speciale relativa ai contratti pubblici, sul «profilo di committente» della stazione
appaltante, sito informatico del Ministero delle Infrastrutture, sul sito informatico presso l'Osservatorio
e per estratto su almeno due dei principali quotidiani a diffusione nazionale e su almeno due a maggiore
diffusione
localenel
luogo
ove
si
eseguono
i
contratti.
Tutte le spese di pubblicazione sui quotidiani sono rimborsate alla stazione appaltante dall'aggiudicatario entro il
termine di sessanta giorni dall'aggiudicazione (L. 221/2012 art. 34, comma 35).
ALLEGATO “C 2”
Infocomuni
Anno 10 gennaio 2016, n. 2
Regione Lombardia – Spazio Regione – Brescia
Modulo unificato DIA e Denuncia di inizio attività in edilizia
Regione Lombardia ha approvato la modulistica unificata e standardizzata per la presentazione della
denuncia di inizio attività in alternativa al permesso di costruire (DIA).
Il nuovo modulo, approvato dalla Conferenza Unificata Stato Regioni ed Enti locali della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, è stato adattato alle specifiche normative regionali e di settore, come previsto
dall’Accordo della Conferenza Unificata del 16 luglio 2015.
Le modifiche apportate sono il risultato dell’attività del Tavolo Regionale di confronto sull’edilizia, al quale
partecipano gli ordini professionali, le principali associazioni di categoria e l’Associazione Nazionale dei
Comuni Italiani (ANCI).
I Comuni lombardi sono tenuti ad adeguare la modulistica DIA già in uso entro il 23 marzo 2016.
Dopo tale data, il modulo regionale Denuncia di Inizio Attività (DIA) e i moduli Comunicazione di Inizio
Lavori (CIL) e Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata (CILA), approvati con precedente provvedimento,
potranno comunque essere utilizzati per i relativi adempimenti nei confronti dei Comuni.
Modulistica
I moduli DIA, CIL e CILA sono reperibili sulla homepage del sito
www.territorio.regione.lombardia.it alla voce “Modulistica per l’edilizia unificata”.
Informazioni
Maggiori informazioni, relative all’adeguamento della nuova modulistica, potranno essere chieste inviando
una e mail al seguente indirizzo di posta elettronica:
[email protected].
Fonte
Direzione Generale Territorio, Urbanistica e Difesa del Suolo
DGR n. 3543 dell’8/05/2015 pubblicata sul BURL n. 20 del 12/05/2015 – seo
DGR n. 4601 del 17 dicembre 2015 pubblicata sul BURL n. 52 del 24/12/2015 - seo
Sede Territoriale di Brescia
Via Dalmazia 92/94 – 25125 Brescia
Tel. 030.3462451 - Fax 030.347199
[email protected]
www.regione.lombardia.it
ALLEGATO “C 3”
Aggiornamento Area Tecnica
Circolare 11 gennaio 2016
Notiziario e notizie quotidiani dal 4 al 9 gennaio 2016
Corte di Cassazione: ripristino edifici e concetto di preesistente consistenza
Con sentenza n. 45147 dell’ 11 novembre 2015 la Corte di Cassazione si è espressa in merito all’inclusione degli interventi di
rispristino di edifici crollati o demoliti nell’ambito della ristrutturazione edilizia ai sensi del D.L. 69/2013 convertito in Legge
98/2013, chiarendo che il concetto di “preesistente consistenza” include tutte le caratteristiche
essenziali dell'edificio preesistente (volumetria, altezza, struttura complessiva, etc.), con la conseguenza che la mancanza
anche di uno solo di tali elementi determina l’esclusione del requisito richiesto dalla norma.
Corte di Cassazione: natura precaria dei manufatti
Pubblichiamo il testo della sentenza n. 50215, depositata il 22 dicembre 2015, nella quale la Corte di Cassazione afferma che
la natura precaria di un’opera non può essere valutata in base alla destinazione temporanea ad essa attribuita dal
costruttore, ma deve invece desumersi dalla reale destinazione della stessa, a nulla rilevando al riguardo il fatto che essa sia
rimovibile o che non sia ancorata al suolo (nel caso specifico, si trattava di un pollaio costruito con bloccetti di tufo, ricoperto
da travi in legno e lamiera zincata e perimetrato da una recinzione); una volta appurata la natura non precaria, diviene
obbligatorio richiedere il permesso di costruire; da un punto di vista penale, qualora l’imputato abbia provveduto
all’eliminazione dell’abuso è possibile applicare l’indicecriterio della tenuità dell’offesa (valutabile in base alla non abitualità
del comportamento, alla esiguità del danno o del pericolo, ecc.).
Collegato ambientale e raccolta differenziata
Installazione cartelli pubblicitari
05/01/2016 - ItaliaOggi
La giunta municipale non può deliberare un generico divieto di installazione assoluta di cartelli pubblicitari sul suolo
demaniale. In questo modo infatti il comune inibisce arbitrariamente qualsiasi attività imprenditoriale lecita. Lo ha chiarito il
Tar Friuli-Venezia Giulia, sez. I, con la sentenza n. 556 del 15 dicembre 2015.
Il comune di Tavagnacco ha rigettato la domanda di rinnovo di un impianto pubblicitario per contrasto della richiesta con
una sopravvenuta deliberazione della giunta che nel fissare le linee guida per l'installazione degli impianti pubblicitari ne
vieta la posa su tutto il territorio, al di fuori degli impianti specificamente adibiti alle pubbliche affissioni.
Contro questa determinazione di rifiuto l'interessato ha proposto con successo ricorso ai giudici amministrativi.
Stefano Manzelli
ALLEGATO “C 4”
Aggiornamento AREA TECNICA
Circolare 15 gennaio 2016
Recupero canoni di locazione ed oneri
condominiali a carico dei conduttori inadempienti
L’Ufficio Tecnico o Demanio e Patrimonio del Comune può incontrare notevoli difficoltà nella gestione dei contratti di
locazione relativi alla assegnazione e gestione degli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP) nonché alla locazione e
concessione di beni immobili non residenziali (quali negozi, box, immobili per associazioni, comitati, etc.) di proprietà
comunale.
Le difficoltà concernono i casi di morosità nel pagamento dei canoni di locazione e/o delle spese di partecipazione dell'unità
immobiliare locata e delle relative pertinenze al godimento delle parti e dei servizi comuni e gli altri oneri sostenuti dal
Comune locatore ai fini dell’erogazione dei servizi accessori e del riparto delle relative spese, ivi comprese le spese di
amministrazione e generali.
Difficoltà di non poco conto in relazione, da un lato, all’incidenza negativa della mancata riscossione dei canoni e delle spese
condominiali sul bilancio dell’Ente e, dall’altro lato, in relazione alla durata, alla difficoltà e ai costi dei procedimenti legali
(decreto ingiuntivo e/o sfratto per morosità) necessari per recuperare i canoni e le spese condominali.
Molti comuni hanno, conseguentemente, l’esigenza di individuare possibili rimedi e soluzioni che consentano quantomeno
di ridurre, se non di eliminare, la posizione di debolezza e di indubbia difficoltà gestionale in cui si viene a trovare il
Comune locatore quando l’inquilino non paga e, tuttavia, continua ad occupare l’immobile durante il lungo e difficoltoso
iter giudiziario che si rende necessario per ottenere la liberazione dell’immobile medesimo, con conseguente incremento, nel
frattempo, del debito insoluto che si rivela, in molti casi, non recuperabile neppure a seguito dell’esperimento di procedure
esecutive. Per essere il debito - specie in questi anni di gravi difficoltà economiche – privo di mezzi e/o di beni su cui agire
esecutivamente.
Occorre allora chiedersi che cosa si può fare per prevenire o, quantomeno, gestire al meglio queste difficoltà, correre meno
rischi e avere più opportunità di recuperare effettivamente gli insoluti.
1. Attuare una strategia di tutela del comune già a partire dal momento della assegnazione dell’alloggio e della
conclusione del contratto di locazione, senza attendere che si verifichi la morosità.
La morosità è la principale preoccupazione di un proprietario immobiliare. Non fa eccezione il Comune.
Il “rischio” morosità va analizzato, rilevato e trattato, per quanto possibile, a partire dal momento della assegnazione e della
conclusione del contratto di locazione, senza attendere che il potenziale rischio si traduca in un vero e proprio “sinistro”.
Per gli alloggi locati ad uso esclusivo di abitazione la legislazione regionale interviene nella disciplina della materia
mediante una regolamentazione che, di regola, include anche gli SCHEMI TIPO di contratto di locazione.
Al fine di porre in essere forme di tutela del Comune di natura preventiva occorre, in primo luogo, partire da tali schemi
contrattuali e verificare, sin dall’inizio, le possibili azioni da porre in essere, in un’ottica di prevenzione del rischio.
Le azioni possibili sono le seguenti: individuare gli altri componenti del nucleo familiare, in quanto obbligati in solido con il
conduttore, e acquisire dati e informazioni su mezzi, risorse e patrimonio di tali soggetti al fine di valutare eventuali azioni
stragiudiziali e giudiziali non solo nei confronti del conduttore ma anche nei confronti di tali soggetti, specie laddove il
conduttore si rilevi incapiente;
valutare, con il Segretario comunale, di modificare il regolamento comunale per includere, ai sensi dell’art. 63, comma 3,
delle Disp. Att. c.c., specifica autorizzazione che consenta, in caso di mora nel pagamento dei contributi, in base allo stato di
ripartizione approvato dall'assemblea, che si sia protratta per un semestre, la possibilità che l'amministratore proceda a
sospendere al condomino moroso l'utilizzazione dei servizi comuni che sono suscettibili di godimento separato;
elaborare la clausola di sospensione da inserire nei contratti di locazione ai sensi del regolamento, tenendo conto che trattasi
di una clausola che deve essere oggetto di doppia sottoscrizione, ai sensi dell'articolo 1341 comma 2 del codice civile. I
benefici che potrebbero derivare al Comune dall'introduzione, nei contratti di locazione, di tale
clausola sono principalmente collegati all’effetto "deterrente" e "preventivo", posto che l’accettazione della possibilità che
venga sospesa l’utilizzazione dei servizi comuni avrebbe la funzione di richiamare l'attenzione del conduttore, anche
attraverso la doppia sottoscrizione, sul rischio che lo stesso corre laddove si renda moroso. L’effetto deterrente e preventivo
va tuttavia accompagnato da una inevitabile cautela nell’attuazione della clausola, tenuto conto che, fino alla recente riforma
del condominio, che ha modificato il citato articolo 63 delle Disp. Att. c.c., l’unico mezzo per reagire alla morosità era
rappresentato, previa messa in mora, dall’art. 32 del R.D. del 28 aprile 1938, n. 1165, ovvero dalle ordinarie azioni di
recupero ai sensi delle disposizioni del codice civile in materia di inadempimento. In tale contesto un’eventuale sospensione
dei servizi comuni necessitava della preventiva autorizzazione del giudice civile che, tuttora, non sembrerebbe comunque,
per la cautela sopra menzionata, meno necessaria tenuto conto la giurisprudenza fatica ad avvallare la portata innovativa
dell’ 63 delle Disp. Att. c.c. .
2. Valutare la possibilità, al fine di salvaguardare il credito del comune per canoni e spese condominiali non pagati, di
stipulare apposita polizza assicurativa per avere la certezza di recuperare i canoni e le spese nei limiti dei massimali
previsti e nei termini pattuiti.
Il contratto di assicurazione in questione è un contratto avente ad oggetto una operazione finanziaria di acquisto di crediti
da parte dell’assicuratore, e per il Comune di cessione dei propri crediti derivanti dal contratto di locazione ed oggetto di
cessione, con l’effetto per il Comune di recuperare, nei limiti e alle condizioni del contratto prescelto, i canoni di locazione
non pagati, i danni arrecati all’immobile e cose ivi contenute, unitamente alle spese condominiali legali per la procedura di
sfratto.
La possibilità di adottare la soluzione della polizza assicurativa, ferma restando la possibilità di trovare, sul mercato, la
compagnia disponibile ad assicurare il Comune per i rischi in questione, presuppone ovviamente una situazione di rischio
di insolvenza. Tale rischio va analizzato caso per caso, con riferimento alla situazione del conduttore e degli altri
componenti il nucleo famigliare. Sussistendo un rischio di insolvenza, analizzato e rilevato, il trattamento di detto rischio a
mezzo di polizza assicurativa risulta legittimato, sotto il profilo della spesa correlata, laddove si dia espressa evidenza del
rischio e si dia congrua motivazione della circostanza che, nella comparazione tra rischio di mancato pagamento e di spese
di recupero da un lato e beneficio derivante dall’utilizzo della polizza in caso di necessità, il beneficio risulti equivalente o,
addirittura, superiore al costo della polizza medesima.
3. Valutare di includere nell’eventuale polizza assicurativa anche le spese legali che il comune dovrebbe affrontare per la
procedura di sfratto
La situazione di debolezza del Comune, quando l’inquilino non paga canoni e/o spese condominiali, si rivela più accentuata
laddove si consideri che, per ottenere libero l’immobile, occorre affrontare spese legali il cui ammontare, per i Comuni di
piccole dimensioni, è difficilmente sopportabile.
Va quindi tenuta in considerazione la possibilità di inserire nella polizza assicurativa stipulata, a copertura del rischio di
mancato pagamento da parte dell’inquilino, anche le spese legali per l’azione di sfratto per un massimale non inferiore a
euro duemila, tenuto conto dell’entità media del costo della relativa procedura.
ALLEGATO “C 5”
Aggiornamento AREA TECNICA
Circolare 14 gennaio 2016
Delitti ambientali e responsabilità per la PA: chiunque obbligato non provveda alla bonifica, al
ripristino o al recupero dello stato dei luoghi
Nell’ambito delle responsabilità riferite al danno ambientale, alla bonifica dei siti inquinati e al deposito incontrollato di
rifiuti, l’attuale normativa ambientale (Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152) individua1 diversi attori, ad esempio: i
rappresentanti di persona giuridica, “il proprietario”, “i titolari di diritti reali e o personali di godimento sull’area”, “soggetti
non responsabili della potenziale contaminazione”, “l’operatore” persona fisica o giuridica, pubblica o privata, il “titolare”,
il “responsabile dell’inquinamento”, il quale deve dichiararsi oppure deve essere individuato dalla Provincia, che infatti
“dopo aver svolto le opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida con
ordinanza motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere (…)”2.
E la Pubblica Amministrazione, che responsabilità ha ?
Il ruolo della PA si può ritenere chiaro ed è indicato nella normativa ambientale nazionale e nelle eventuali deleghe definite
a livello regionale.
Per via delle responsabilità, nel seguito sono riportate alcune semplici riflessioni (lasciando alla dottrina e alla
giurisprudenza i dettagli interpretativi e le varie sfumature) ed i principali effetti della nuova legge sui delitti ambientali, già
oggetto di tanti commenti in letteratura, che interessa anche i funzionari pubblici, i quali devono approfondire gli effetti dei
loro atti e tutelarsi, partendo dal principio che la PA agisce (o dovrebbe agire) nell’interesse della comunità e pertanto non
dovrebbe incorre nel rischio di essere accusata di colpe per aver agito male. Alla fine di tutti i ragionamenti possono essere
individuati reati e responsabili, ma se qualcuno non agisce l’inquinamento permane e si diffonde.
___________________________________________________________________________________
1 D.Lgs 152/2006 e s.m.i.
ad esempio , alcuni articoli sono:
art. 192 – Divieto di abbandono
art. 242 – Procedure operative ed amministrative
art. 245 – Obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili
della potenzialecontaminazione
art. 302 – Definizioni
art. 255 – Abbandono di rifiuti
art. 256 – Attività di gestione di rifiuti non autorizzata
art. 257 – Bonifica dei siti
2 art. 244 – Ordinanze
___________________________________________________________________________________________
Come noto, il D.Lgs 152/2006 prevede, fra l’altro, un ruolo attivo della PA nel caso in cui il responsabile di una
contaminazione o di un abbandono di rifiuti non sia individuato o non intervenga nel rispetto delle disposizioni di legge.
È il caso dei siti inquinati, per i quali l’articolo 250 del citato D.lgs prevede che “Qualora i soggetti responsabili della
contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non
provvedano nè il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di cui all'articolo 242 sono realizzati
d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, (…)”
Anche nel caso di abbandoni di rifiuti (art. 192) è previsto il “ripristino dello stato dei luoghi“ ed il ruolo sostitutivo della
PA; infatti “Il Sindaco dispone con ordinanza le operazioni a tal fine necessarie ed il termine entro cui provvedere, decorso il
quale procede all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme
anticipate.”
La legge 22 maggio 2015, n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente” (GU n. 122 del 28-5-2015) modifica il
codice penale introducendo i “delitti contro l’ambiente” ed uno dei nuovi articoli prevede il reato di “omessa bonifica”
all’art. 452-terdecies, precisando: ”Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, essendovi obbligato per legge, per
ordine del giudice ovvero di un’autorità pubblica, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei
luoghi è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 80.000”.
È chiaro quindi che una PA è obbligata per legge ad agire ma può anche essere interessata da ordini di giudici o altre
autorità.
Una delle novità della L. 68/2015 è aver introdotto oltre alla “bonifica” e al “ripristino” il nuovo concetto di “recupero dello
stato dei luoghi”, termine nuovo e non del tutto chiaro, come può essere approfondito leggendo i vari interventi pubblicati.
Anche il commento pubblicato dalla Corte di cassazione – Ufficio del Massimario del 29.05.2015 (nella stessa data della
pubblicazione in Gazzetta della Legge) critica l’utilizzo del termine “recupero”, che “se riferito – come pare – allo stato dei
luoghi, rischia di generare qualche equivoco, poiché nel Codice dell’Ambiente, tale espressione è adoperata con diverso e specifico
riferimento alle operazioni di riutilizzo dei rifiuti (n.d.r. vedi art. 183 D.Lgs 152/2006): una lettura coerente con l’intero impianto della
normativa dovrebbe condurre ad una interpretazione omnicomprensiva del lemma, che porti ad includervi ogni attività materiale e
giuridica necessaria per il “recupero” dell’ambiente inquinato o distrutto, e dunque anche e soprattutto la bonifica del sito da ogni
particella inquinata e da ogni agente inquinante.”
Per quanto riguarda il ripristino, l’art. 452-dodicies del codice penale riconduce sostanzialmente l’ipotesi di ripristino dello
stato dei luoghi alla bonifica (“Al ripristino dello stato dei luoghi … si applicano le disposizioni di cui al titolo II della parte
sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di ripristino ambientale “), equiparando di fatto tali interventi
alla bonifica e, quindi, restringendo il campo di applicazione dell’art. 452-terdicies.
Da circa un anno si scrive e si commenta sull’interpretazione del nuovo articolo e della sua relazione con gli altri reati a
sanzioni previsti dal d.lgs 152/2006, ma una cosa appare, per ora, certa: anche i funzionari pubblici potrebbero essere
accusati del reato di omessa bonifica per non avere adempiuto agli obblighi di legge, che prevedono di attivarsi in via
sostitutiva.
Altro aspetto da non trascurare è il caso in cui l’obbligo di bonifica o ripristino dello stato dei luoghi avvenga per mezzo di
un ordine di un giudice: ciò può avvenire, ad esempio, in caso di procedimenti civili, anche per contenziosi “banali” che
possono coinvolgere anche proprietà e beni della PA.
Altri esempi di casi in cui la PA può essere coinvolta sono relativi ad interventi di bonifica nelle proprie aree, ad esempio
derivanti da perdite da serbatoi di carburanti (centrali termiche, deposito mezzi, officine, ecc.), sversamenti e rifiuti presenti
lungo le infrastrutture stradali, parcheggi ed aree pubbliche.
La nuova Legge prevede anche la possibilità del cosiddetto “ravvedimento operoso”, ma solo per una riduzione delle pene
nei “confronti di colui che si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile,
al ripristino dello stato dei luoghi …”, senza quindi rappresentare una causa di non punibilità.
In conclusione, sebbene un inasprimento delle pene per i reati ambientali sia condivisibile e forse necessaria, i vari
commentatori concordano sul fatto che la nuova Legge 68/2015 non si coordina a pieno con il D.Lgs. n. 152/2006.
Ciò si traduce, per lo meno in prima battuta, in dubbi per gli operatori del settore, pubblici e privati, i quali potrebbero
cercare di aggirare compiti e responsabilità per evitare di trovarsi coinvolti in procedimenti penali anche solo per ipotesi
colpose.
A questo si aggiungono gli obblighi delle persone giuridiche in riferimento al D.Lgs 231/2001 e s.m.i e quindi la necessità che
esse si attivino per definire i propri modelli organizzativi, cosi come che capiscano l’importanza di dotarsi di validi sistemi
di gestione ambientali, che possano aiutare a tenere in ordine e sotto controllo le varie attività a rischio.
Un ruolo importante svolgeranno i tecnici, che dovranno supportate i giudici per individuare la problematica ambientale,
infatti le contestazioni dei nuovi reati lasciano un ampio margine di discrezionalità sia nella valutazione del caso ambientale,
sia nella valutazione della gravità di tale caso.
ALLEGATO “C 6”
Aggiornamento AREA TECNICA
Circolare 22 gennaio 2016
Le convenzioni urbanistiche
Premessa
Come noto, le iniziative di trasformazione del territorio volte all’inserimento di nuovi ambiti urbani piuttosto che la
necessità di rigenerare parte del tessuto urbano passano da strumenti che, oltre a comporsi degli elaborati progettuali veri e
propri, comprendono anche la convenzione urbanistica.
Normativa
Legge 17 agosto 1942, n. 1150 - Legge urbanistica
D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 - Testo Unico Edilizia
Contenuti della convenzione
La Legge n. 1150/1942 all’art. 28 prevede che nell’ambito della lottizzazione di aree l’approvazione, per l’appunto, di un
progetto urbanistico di trasformazione è subordinata alla stipula di una convenzione urbanistica.
La convenzione deve prevedere:
la cessione gratuita della aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria;
la cessione gratuita della aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria;
l’assunzione a carico del lottizzante degli oneri afferenti la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria;
l’assunzione a carico del lottizzante di una quota parte degli oneri afferenti la realizzazione delle opere di urbanizzazione
secondaria (standard).
Quanto ai punti appena richiamati è da determinarsi in funzione dell’entità dell’intervento: volumetria o superficie lorda di
pavimento.
Fin qui si tratta di governare l’onerosità classica degli interventi urbanistico-edilizi.
Nelle recenti disposizioni normative a carattere nazionale e regionale sono stati inoltre introdotti concetti quali il “maggior
valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica”, ovvero le pubbliche amministrazioni possono
richiedere standard qualitativi aggiuntivi sotto forma di contributo straordinario.
A livello nazionale, l’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, a seguito della modifica introdotta nel 2013 con il D.L. 12 settembre 2014,
n. 133, prevede che nel caso di interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione
d'uso, la determinazione degli oneri di urbanizzazione debba formarsi in relazione anche alla valutazione del maggior
valore generato da tali interventi. La legge nazionale propone altresì una suddivisione di tale maggior valore (plusvalore):
50% al privato e 50% al pubblico.
La convenzione entra in gioco per regolare queste nuove onerosità, sia stabilendo, per l’appunto, i criteri di determinazione
del plusvalore dell’intervento specifico, sia eventualmente regolando i rapporti tra privato e pubblico nel caso in cui in
luogo del versamento delle somme calcolate si opti per la realizzazione di opere.
Vale la pena ricordare che in luogo del versamento delle quote afferenti gli oneri di urbanizzazione e degli eventuali
contributi straordinari inquadrati nel novero dell'interesse pubblico, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione
di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, è altresì possibile prevedere la cessione di
aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche.
In ambito regionale, in alcuni casi, quanto proposto in ambito nazionale ha raggiunto una formulazione maggiormente
estensiva legata sia al tema del maggior valore generato a seguito della variante urbanistica sia al tema della verifica
dell’adeguatezza dei servizi esistenti e della loro necessità di adeguamento a seguito della programmazione di nuovi
interventi sul territorio.
Si ritiene utile in questa sede richiamare quanto previsto dall’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 in merito alle modalità con cui
l’operatore privato può dar corso agli impegni assunti in convenzione in termini di opere in relazione alle disposizione del
D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori e servizi); l’articolo richiamato,
infatti, prevede che in riferimento alla quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione, a scomputo totale o parziale
della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell'art. 32,
comma 1, lett. g) del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi con le modalità e le
garanzie stabilite dal Comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del Comune . Nell'ambito
degli strumenti attuativi e degli atti equivalenti comunque denominati nonché degli interventi in diretta attuazione dello strumento
urbanistico generale, l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria di cui al comma 7, di importo inferiore alla soglia di cui
all'articolo 28, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica
del territorio, è a carico del titolare del permesso di costruire e non trova applicazione il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
Altro aspetto novativo nella gestione dello standard deriva dalla Legge 14 gennaio 2013, n. 10 - Norme per lo sviluppo degli
spazi verdi urbani.
In particolare l’art. 4 di detta norma introduce “Misure per la salvaguardia e la gestione delle dotazioni territoriali di standard
previste nell'ambito degli strumenti urbanistici attuativi dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444”.
La convenzione, quindi, può già in origine prevedere che aree riservate al verde pubblico urbano cedute al comune nell'ambito
delle convenzioni e delle norme previste negli strumenti
urbanistici attuativi, comunque denominati, possano essere concesse in gestione, per quanto concerne la manutenzione, con diritto
di prelazione ai cittadini residenti nei comprensori oggetto delle suddette convenzioni e su cui insistono i suddetti beni o aree, mediante
procedura di evidenza pubblica, in forma ristretta, senza pubblicazione del bando di gara.
Si ritiene che nel caso di convenzionamento il soggetto attuatore possa assumere tale impegno in una sorta di regolamento
condominiale con l’amministrazione pubblica.
Scadenze - tempistiche
La Legge n. 1150/1942 all’art. 28 stabilisce che i termini per l’esecuzione delle opere “contrattualizzate” con la pubblica
amministrazione (nella legge … opere di cui al precedente paragrafo…) non devono essere superiori a dieci anni e le stesse
devono essere garantite da congrue garanzie finanziarie, come ad esempio una fideiussione.
Si precisa, comunque, che l’azione per l’adempimento dell’obbligo di realizzazione delle opere di urbanizzazione previste in
convenzione si prescrive nell’ordinario termine di dieci anni decorrenti dalla scadenza del termine per l’esecuzione delle
opere medesime (ossia dalla data di scadenza della convenzione).
Recentemente sono state apportate modifiche/integrazioni al dispositivo di cui all’art. 28 mediante la Legge n. 164/2014,
introducendo la possibilità dell’attuazione degli obblighi convenzionali per stralci funzionali, definendo fasi e stralci
distinti opportunamente garantiti e coerenti con l’intera area oggetto dell’intervento.
Altro
Oltre alle trasformazioni urbanistiche governate dagli strumenti urbanistici classici, la convenzione urbanistica è presente
anche nel Permesso di Costruire Convenzionato.
Il Permesso di Costruire Convenzionato è stato normato in maniera chiara e definitiva nel D.P.R. n. 380/2001 mediante
modifica apportata con la Legge n. 164/2014. Si può ricorrere a questo strumento nel caso in cui le esigenze urbanizzative, in
relazione all’intervento proposto, possano essere soddisfatte in forma semplificata. In questo caso la convenzione va
approvata con delibera del consiglio comunale, salva diversa previsione regionale, e specifica gli obblighi, funzionali al soddisfacimento di
un interesse pubblico, che il soggetto attuatore si assume ai fini di poter conseguire il rilascio del titolo edilizio, il quale resta la fonte di
regolamento degli interessi.
Sono, in particolare, soggetti alla stipula di convenzione:
la cessione di aree anche al fine dell'utilizzo di diritti edificatori;
la realizzazione di opere di urbanizzazione;
le caratteristiche morfologiche degli interventi;
la realizzazione di interventi di edilizia residenziale sociale.
Anche in questo caso le opere da realizzare in base alla convenzione possono essere attuate per stralci funzionali coerenti ed
opportunamente garantiti.
I termini previsti per la realizzazione delle opere “contrattualizzate” nel permesso di costruire convenzionato possono
essere modulati in funzione degli stralci funzionali.
Vale la pena rimarcare quanto previsto dalla norma, ovvero che alla convenzione si applica quanto previsto dall’art. 11 della
Legge n. 241/1990 in materia di Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento dove, in funzione del perseguimento del
pubblico interesse, possono esser stipulati accordi con gli interessati (proponenti) al fine di determinare il contenuto
discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo.
La stipulazione dell'accordo è preceduta da una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento; in
questo caso il Consiglio Comunale.
Nella pianificazione Comunale possono prevedersi degli interventi soggetti a Permesso di Costruire Convenzionato e i
parametri a cui sottendere gli interventi stessi (cessioni, onerosità, etc.) e a tal fine, sempre in Consiglio Comunale,
approvare una Convenzione
Tipo che di volta in volta, in applicazione del PRG (o altro strumento stabilito dalla Regione) e dei parametri dal Consiglio
Comunale, possa affiancare il PdC quando richiesto e senza che ciò comporti l’approvazione in Consiglio Comunale di ogni
singola convenzione.
ALLEGATO “C 7”
Aggiornamento Area Tecnica
Circolare 18 gennaio 2016
Notiziario e notizie quotidiani dall' 11 al 16 gennaio 2016
Decreto: MUD 2016
Sulla G.U. n. 300 del 28 dicembre è stato pubblicato il DPCM 21 dicembre 2015, che approva il modello unico di
dichiarazione ambientale (MUD) per l'anno 2016, confermando il modello già utilizzato per l’anno 2015 ed allegato al
D.P.C.M. del 17 dicembre 2014; tale modello dovrà essere utilizzato per le dichiarazioni da presentare entro il 30 aprile 2016
e fino alla piena operatività del SISTRI.
Pertinenza in edilizia
11/01/2016 - Il Sole 24 Ore
In materia edilizia si qualifica pertinenza esclusivamente l’opera che sia priva di autonoma destinazione ed esaurisca la sua
destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico. E’ quanto si
ricava dalla sentenza del Consiglio di Stato del 4 gennaio 2016, n. 19 che si colloca nel solco della giurisprudenza dei giudici
di Palazzo Spada.
Con determina dirigenziale, Roma Capitale stabilisce la demolizione di un’opera edilizia abusiva, senza permesso edilizio,
consistente nella realizzazione di una tettoia di mq 25 circa con copertura in lamiera e struttura in paletti metallici in
alluminio, imbullonata alla recinzione di un’area privata. Il ricorrente adduce che l’opera debba configurarsi come
pertinenza del manufatto principale a cui accede e pertanto la sua realizzazione non abbisogna di un permesso edilizio.
Anche perché l’opera si connota come sostituzione di una precedente tettoia.
Concorrono a complicare la questione le differenti accezioni che vengono fornite dalla giurisprudenza civile e
amministrativa alla nozione di pertinenza: la prima più elastica rispetto a quella più rigorosa dettata dall’
urbanistica/edilizia. Secondo quest’ultima un’opera può definirsi accessoria rispetto ad un’altra, da considerarsi principale,
solo allorquando la prima sia parte integrante della seconda, in modo da non potersi separare le due cose senza che ne
derivi l’alterazione dell’essenza e della funzione dell’insieme.
Conseguentemente, in edilizia, sono qualificabili pertinenze solo le opere che siano prive di autonoma destinazione e che
esauriscono la loro destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale (si veda Consiglio di Stato,
n.2549/2011).
L’altro aspetto della questione riguarda l’individuazione del titolo abilitativo necessario per poter realizzare un manufatto
che si configura come una tettoia in ferro, di circa 25 mq, ancorata al terreno con pali fissi di metallo. In materia edilizia si
tratta di una nuova costruzione per la quale è necessario il permesso di costruire, come Roma-Capitale e giudice Tar Lazio
sostengono.
Il Giudice di Appello rileva che il manufatto in questione si presenta come una nuova costruzione in quanto appare
solidamente ancorato a terra e pertanto di difficile rimozione e non può essere individuato come pertinente in quanto
implica una trasformazione urbanistico-edilizia. Conseguentemente l’opera per essere realizzata deve essere munita da
regolare permesso di costruire di cui all’articolo 3 del Testo unico edilizia. Ed in assenza di quest’ultimo, l’opera deve essere
demolita.
Lorenzo Camarda
Distributori di bevande e concessione edilizia
12/01/2016 - ItaliaOggi
Per installare dei distributori automatici di alimenti e bevande di grandi dimensioni sulle strade con caratteristiche di
ingombro non dissimili da quelle di un chiosco serve la licenza edilizia. Lo ha chiarito il Consiglio di stato, sez. VI, con la
sentenza n. 5064 del 6 novembre 2015.
In pratica i distributori automatici di alimenti e bevande se hanno caratteristiche dimensionali importanti sono assimilabili a
un chiosco quindi l'impatto visivo del manufatto determina una effettiva trasformazione dello stato dei luoghi. Quindi al di
là di tutte le altre considerazioni di carattere amministrativo per il posizionamento degli impianti più grandi su una strada o
una piazza comunale serve un permesso di costruire.
Stefano Manzelli
Ascensore esterno all'edificio e conteggio distanze
12/01/2016 - ItaliaOggi
L'ascensore esterno all'edificio non è una vera e propria costruzione: il condominio ben può realizzarlo a meno di tre metri
dal confine con la proprietà del vicino, a patto che la tromba delle scale sia troppo stretta per ospitare la cabina. E ciò perché
la popolazione italiana invecchia sempre di più e l'impianto va considerato come un bene necessario per evitare agli anziani
di fare le scale a piedi. È quanto emerge dalla sentenza 1002/15, pubblicata dalla prima sezione del Tar della Liguria, la
regione del nostro Paese dove la crescita zero si fa sentire di più.
Secondo la giurisprudenza della Cassazione deve essere considerata ogni opera edilizia priva di alcuna autonomia
funzionale, anche potenziale, che risulta destinata a contenere gli impianti serventi di una costruzione principale per
esigenze tecnico-funzionali. Nella categoria rientrano le condotte idriche e termiche che non è possibile realizzare all'interno
dello stabile. E altrettanto vale per l'ascensore: anche i piccoli spazi previsti appunto per la salita e la discesa dei passeggeri
non possono far mutare l'opinione in materia. Insomma: il computo delle distanze tra le proprietà non può tener conto
dell'innovazione rappresentata dalla colonna dell'ascensore progettato dal condominio.
Dario Ferrara
Mediazione e liti catastali
13/01/2016 - Il Sole 24 Ore
Dal 1° gennaio 2016 la mediazione è stata estesa anche alle liti catastali di valore indeterminabile. Secondo, infatti, quanto
previsto dal decreto di riforma del contenzioso tributario (decreto legislativo 156/2015), ferma restando la preclusione del
reclamo mediazione a tutti gli atti di valore indeterminabile, saranno invece reclamabili tutti gli
atti di classamento.
Questi atti, lo si ricorda, sono quelli emessi dall’Ufficio provinciale Territorio dell’agenzia delle Entrate, che, a seguito di un
accertamento catastale, rettifica il classamento di un immobile, rideterminandone il valore della rendita catastale.
Non riportando alcuna pretesa tributaria, dunque, gli avvisi di classa mento rappresentano atti dal valore indeterminabile e,
come tali, fino al 31 dicembre 2015 dovevano essere impugnati mediante la presentazione, improrogabilmente entro 60
giorni dalla loro notifica, di un ricorso all’Ufficio che lo aveva emesso con successivo deposito, nei 30 giorni successivi, con
gli allegati presso la segreteria della Commissione tributaria.
Dal 1° gennaio 2016, invece, tali atti devono essere impugnati mediante la presentazione, anche in questo caso
improrogabilmente entro 60 giorni dalla loro notifica, dell’istanza di reclamo mediazione, unitamente agli allegati richiamati
nel testo, all’Ufficio che lo ha emesso.
Tuttavia, alcuni dubbi stanno emergendo in merito alla effettiva decorrenza della nuova disposizione: non è, infatti, chiaro
se il reclamo è obbligatorio per gli atti di classa mento notificati dal 1° gennaio 2016 o anche per quegli atti notificati a
decorrere dal 2 novembre 2015 il cui termine di impugnazione è scaduto o sta per scadere dopo il 1° gennaio 2016.
Fermo restando l’auspicio di un tempestivo chiarimento di prassi, l’obbligatorietà del nuovo reclamo dovrebbe valere per gli
atti di classamento notificati dal 1° gennaio 2016, anche per non incorrere in rischi di inammissibilità del ricorso per tardiva
costituzione in giudizio.
Rosanna Acierno
Tariffe servizio idrico
14/01/2016 - Il Sole 24 Ore
La concessione in uso gratuito di reti e impianti ai gestori del servizio idrico integrato per tutta la durata della gestione e il
trasferimento, agli stessi gestori, delle immobilizzazioni, delle attività e delle passività relative al servizio idrico integrato
(compresi gli oneri connessi all'ammortamento dei mutui oppure i mutui stessi, al netto degli eventuali contributi a fondo
perduto in conto capitale, e/o in conto interessi nonché il subentro dei gestori nei relativi obblighi) giustificano l'inclusione
dei costi connessi quale componente della tariffa del servizio idrico integrato. Questa tariffa, infatti, resta relegata alla sfera
del rapporto intercorrente tra gestore ed utente del servizio idrico integrato, cui è estraneo il rapporto di concessione d'uso
tra proprietario e gestore, minimamente intaccato dalla disciplina tariffaria.
È quanto afferma il Consiglio di Stato con sentenza del 4 gennaio 2016, n. 2 respingendo il ricorso proposto da tre spa a
capitale interamente pubblico proprietarie delle reti e degli impianti afferenti al servizio idrico integrato.
Esper Tedeschi
Programmazione urbanistica e addestramento cani
14/01/2016 - Italia Oggi
Se lo strumento urbanistico consente interventi connessi all'attività agricola, attività agrituristiche, realizzazione di servizi e
attrezzature pubbliche o di uso o interesse pubblico, non c'è motivo alcuno per negare il diritto a esercitare, in zona agricola,
l'attività di addestramento cani finalizzato alla cosiddetta pet-terapy anche a chi non è
imprenditore agricolo. Ciò in quanto, ha chiarito il Tar Lombardia, sezione Brescia, con la sentenza n. 6 del 5 gennaio 2016,
la legge 349 del 93, che regolamenta l'attività di cinotecnica, non impone a colui che esercita l'attività di assumere
necessariamente lo status di imprenditore agricolo.
Peraltro, precisa la sentenza, le norme tecniche nella loro formulazione letterale permettono gli interventi connessi all'attività
agricola «contemplati dalla vigente legislazione», in tal modo effettuando un rinvio recettizio di tipo dinamico alle
disposizioni normative vigenti, tra le quali acquistano rilevanza gli articoli 1 e 2 della
sopraindicata legge 349/96.
Con riferimento alla disciplina specifica che regolamenta l'attività cinotecnica, si è anche rilevato, nell'ambiguità della norma
che semplicemente elenca le tre tipologie di attività (ossia allevamento, selezione e addestramento delle razze canine), non si
possono ravvisare ragioni logiche per escludere la sua operatività nel caso di iniziative limitate al solo addestramento. Se, in
pratica, è ammessa l'attività in forma non imprenditoriale, è ipotizzabile che la specializzazione investa anche solo una delle
tre fasi normativamente contemplate e che l'operatore effettui le prestazioni coinvolgendo gli animali che vengono di volta
in volta condotti in loco dai rispettivi proprietari.
Peraltro, la cura delle patologie che affliggono talune persone mediante l'ausilio di animali ben può rientrare nella
definizione di «servizi di interesse pubblico», adoperata dall'amministrazione per descrivere gli interventi ammessi nella
zona ove la ricorrente intende svolgere l'attività.
Marilisa Bombi
Legge delega e incentivo dipendenti ufficio tecnico
15/01/2016 - Italia Oggi
La parte più rilevante della legge, almeno con riguardo al ruolo delle pubbliche amministrazioni, è quella che stabilisce la
riallocazione delle funzioni delle pubbliche amministrazioni verso attività di programmazione (supportata da accurati studi
di fattibilità) e controllo (per esempio con la pubblicazione sul sito web del «resoconto
finanziario al termine dell'esecuzione del contratto») e l'esclusione dell'applicazione degli incentivi alla progettazione
interna della p.a. In particolare, si prevede come criterio direttivo che venga destinata una somma non superiore al 2%
dell'importo posto a base di gara alle attività tecniche svolte dai dipendenti pubblici relativamente alle fasi della
programmazione degli investimenti, della predisposizione dei bandi, del controllo delle
relative procedure, dell'esecuzione dei contratti pubblici, della direzione dei lavori e dei collaudi.
Muretto senza concessione edilizia e ordinanza di demolizione
15/01/2016 - Il Sole 24Ore
È illegittima l’ordinanza di demolizione di un muretto di cinta, di scarso impatto urbanistico-edilizio, in quanto realizzato in
assenza di permesso edilizio. È quanto si ricava dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione VI, 4 gennaio 2016, n. 10.
L’Unione Bassa Est Parmense ordina la demolizione di un muretto di recinzione a supporto della rete metallica posta a
divisione di due distinti lotti realizzato, senza permesso edilizio. Il privato ricorre al Tar Emilia Romagna-Parma adducendo
che il muro ha anche la funzione di muro di contenimento del terreno e che, comunque, non
costituisce un rilevante impatto urbanistico/edilizio.
Le questioni di diritto sono due e non sono di immediata soluzione:
a) la prima riguarda la natura giuridica del muro. Si tratta di un muro di cinta oppure di un muro di contenimento ?
b) la seconda riguarda il titolo abilitativo necessario per realizzare l’opera. È necessario il permesso edilizio oppure è
sufficiente una Dia (dichiarazione di inizio di attività) ?
In ordine alla prima questione il Consiglio di Stato ritiene che il muro si caratterizzi come vero e proprio muro di cinta in
quanto costruito sul confine con evidente funzione di separazione dei due distinti lotti. Il fatto che il muro assolva anche la
funzione di contenimento (come risulta dalla documentazione agli atti) non è rilevante nella fattispecie all’esame.
In ordine alla seconda questione il Consiglio di Stato evidenzia che il Tu edilizia (Dpr 6 giugno 2001, n. 380) non specifica se
il muro di cinta necessiti del permesso di costruire oppure se sia sufficiente una Dia (dichiarazione di inizio attività).
Pertanto la questione è rimessa alla giurisprudenza consolidata in materia (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione IV, 3
maggio 2011, n. 2621) secondo la quale la realizzazione di muri di cinta di modesti corpo ed altezza è generalmente
assoggettabile al regime della Dia (ora Scia).
Poiché, secondo il Collegio, l’opera in questione si configura come un impatto urbanistico accettabile (ancorché superi di
poco il piano di campagna) il ricorso viene accolto, la sentenza del Tar Emilia Romagna-Parma viene riformata e l’ordinanza
di demolizione viene annullata in quanto la fattispecie all’esame (assoggettata a Dia, ora Scia) non prevede, in caso di
violazione, la demolizione, ma solo la sanzione pecuniaria.
Lorenzo Camarda
Nuovo decreto per gestione terre e rocce da scavo
16/01/2016 - Italia Oggi
Il consiglio dei ministri ha dato via libera al secondo esame preliminare di un dpr che semplifica la disciplina di gestione
delle terre e rocce da scavo. Il provvedimento assorbe in un testo unico tutte le disposizioni vigenti sulla gestione e l'utilizzo
di questi sottoprodotti, sul deposito temporaneo delle terre e rocce da scavo qualificate come rifiuti e sulla loro gestione nei
siti oggetto di bonifica.
Tra le novità introdotte:
• l'allineamento della normativa italiana a quella Ue e il raccordo, in termini normativi, con le procedure di valutazione di
impatto ambientale;
• i soggetti che operano nel settore delle terre e rocce da scavo non saranno più obbligati ad attendere la preventiva
approvazione del piano di utilizzo delle terre e rocce da parte delle autorità competenti;
• fin dalla fase di predisposizione del piano di utilizzo delle terre e rocce da scavo, i soggetti che le utilizzano possano
interagire con le Agenzie regionali e provinciali di protezione ambientale per le verifiche tecniche, anticipando lo
svolgimento dei controlli di legge;
• arrivano procedure più veloci per attestare che le terre e rocce da scavo soddisfano i requisiti stabiliti dalle norme Ue e
nazionali per essere qualificate come sottoprodotti e non come rifiuti;
• si prevede il rafforzamento del sistema dei controlli e una disciplina più dettagliata ed efficace per il deposito intermedio
delle terre e rocce da scavo qualificate come sottoprodotti;
• si dettano tempi certi alle Arpa e Appa per svolgere le attività di analisi.
Espedito Ausilio
ALLEGATO “C 8”
Aggiornamento Area Tecnica
Circolare 25 gennaio 2016
Notiziario e notizie quotidiani dal 18 al 23 gennaio 2016
Ministero Ambiente: gestione semplificata terre e rocce da scavo
Il Ministero dell’Ambiente ha pubblicato le controdeduzioni alle osservazioni pervenute dalla consultazione pubblica sulla
proposta di regolamento di gestione semplificata delle terre e rocce da scavo.
Anac: responsabile dei lavori e responsabile del procedimento
Pubblichiamo il parere Anac 244 del 4 gennaio 2016, in risposta ad una richiesta di parere in merito alla gara di un Comune,
avente ad oggetto lavori pubblici, la cui lettera di invito prevedeva che l’appaltatore dovesse assume la qualifica e le
competenze di responsabile dei lavori: l’Autorità giudica illegittimo il comportamento della stazione appaltante, in quanto
in contrasto con quanto disciplinato dal D.Lgs. n. 81/2008 che, nell'ambito dei lavori pubblici, stabilisce che il responsabile
dei lavori è il Responsabile del procedimento.
Presidenza del Consiglio: novità dai decreti approvati per la riforma della PA
La presidenza del Consiglio dei Ministri ha pubblicato una nota del 21 gennaio nella quale riepiloga le novità contenute
negli 11 decreti legislativi approvati il 20 gennaio in attuazione della legge n. 124/2015 di riforma della Pubblica
Amministrazione, tra le quali vi sono novità in materia di servizi pubblici locali di interesse economico generale,
segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e conferenze di servizi.
Autorizzazione integrata ambientale
18/01/2016 - Italia Oggi
Le modifiche a impianti sottoposti ad Autorizzazione integrata ambientale che comportano emissione di nuove sostanze
pertinenti e significative sono da considerarsi «rilevanti» e necessitano dunque di un preventivo e rinnovato titolo «Aia» per
poter essere legittimamente realizzate dai gestori degli stabilimenti. Questa una delle indicazioni che arrivano con la
direttiva Minambiente 16 dicembre 2015 n. 274 recante la disciplina dei procedimenti di rilascio, riesame e aggiornamento
dei provvedimenti Aia di competenza statale. Il provvedimento, pubblicato sul sito del Dicastero il 29 dicembre 2015,
sebbene finalizzato a fornire indirizzi alle strutture pubbliche interessate dalla procedura amministrativa, reca nel suo
allegato 5 dei «Criteri speditivi per individuare alcune modifiche sostanziali Aia» che appaiono rilevanti anche per le
imprese tenute a osservare le stringenti regole in materia dettate dal dlgs 152/2006 (c.d. Codice ambientale).
Ex articolo 5, comma 1, Parte II del dlgs 152/2006 costituiscono «modifiche» di impianti le variazioni (anche di
caratteristiche, funzionamento o potenziamento) che possano produrre effetti sull'ambiente (lettera l); tali modifiche sono
altresì «sostanziali» (ex successiva lettera l-bis) qualora producano effetti negativi e significativi sull'ambiente,
oppure, riguardando attività soggette a valori soglia ex allegato VIII del Codice, comportino incrementi anche di una delle
grandezze previste, pari o superiore ai valori stessi. La realizzazione di modifiche sostanziali è subordinata, ex articolo 29quattuordecies del dlgs 152/2006, all'ottenimento di una nuova autorizzazione integrata ambientale. La realizzazione di
modifiche non sostanziali è invece subordinata (ex articolo 29-nonies citato) alla presentazione di preventiva comunicazione
alle Autorità competenti, e solo decorsi 60 giorni dalla stessa (senza rilievi da parte dell'Ente) è possibile realizzarle.
A evidenziare il confine tra modifiche sostanziali e non sostanziali (e dunque quello tra i due diversi regimi di adempimenti)
concorrono per le Aia di competenza statale (ma con valore, ad avviso dello scrivente, anche per quelle sub istruttoria
regionale vertendo sui principi generali della disciplina autorizzatoria) le indicazioni della citata direttiva 16 Minambiente
274/2015.
L'allegato 5 al provvedimento del Dicastero appare fornire innanzitutto chiarimenti sulle due fattispecie di modifiche
espressamente definite come «sostanziali» dall'articolo 5, comma 1, lettera l-bis) del dlgs 152/2006: in relazione a quelle che
determinano effetti negativi significativi sull'ambiente, si sottolinea infatti come in mancanza di parametri normativi per la
determinazione di tali caratteristiche, la decisione sia rimessa all'Autorità competente; in relazione a quelle che comportano
variazioni di grandezze oggetto di soglia, si evidenzia come l'incremento da valutare ai fini della sostanzialità della modifica
sia da calcolarsi a partire dalla capacità produttiva autorizzata dal provvedimento di «Aia iniziale» e sia costituito dalla
sommatoria del valore oggetto dell'istanza e dei valori di tutti gli eventuali ulteriori interventi non sostanziali già realizzati
dall'applicazione della suddetta autorizzazione.
Ancora, dalla nuova direttiva Minambiente appare emergere come siano altresì da considerarsi «sostanziali»: le modifiche
soggette a valutazione di impatto ambientale in base allo stesso dlgs 152/2006, sia in relazione ad attività rientranti nel citato
allegato XII sia ad altre attività soggette alla medesima Aia in quanto in quanto svolte in unità tecnicamente connesse; le
modifiche che comportano l'emissione di nuove sostanze pertinenti significative.
In base alla stessa direttiva 16 Minambiente 274/2015 possono invece generalmente considerarsi non sostanziali le modifiche
(evidentemente diverse da quelle articolo 5, comma 1, lettera l-bis, citato) che, se realizzate, consentano comunque di
condurre le attività sottese nel rispetto del previgente quadro prescrittivo Aia (con particolar riferimento ai valori limite
autorizzati) e che non coincidono con la realizzazione di nuove unità (ossia, dispositivi e sistemi destinati a svolgere
specifiche attività in modo autonomo) o l'integrale sostituzione di unità preesistenti, anche se comportanti un incremento
della capacità produttiva delle istallazioni, così come delle quantità di materie prime lavorate o delle emissioni in flusso di
massa.
Da inquadrare invece come interventi, diversi da mere modifiche, che necessitano invece ex dlgs 152/2006 di un vero e
proprio «riesame» dell'autorizzazione (attraverso relativa istruttoria) appaiono essere in base allo stesso provvedimento
Minambiente: gli interventi volti a incidere sulle unità nei termini sopra citati; l'emergere di nuovi elementi istruttori che
rendono necessaria la rivisitazione del quadro autorizzativo o modifiche al piano di monitoraggio e controllo (in relazione a
queste ultime se, previo carteggio con l'Ispra, esse non siano state considerate soluzioni alternative quantomeno equivalenti
a quelle originarie). Infine, appaiono essere fuori dal campo delle modifiche e del riesame gli interventi: finalizzati ad
adeguare le prestazioni dell'installazione alle prescrizioni Aia; quelle che non hanno alcune effetto sull'ambiente; quelle che
non riguardano l'installazione ex articolo 5, ma solo le unità non connesse tecnicamente (sia dal punto di vista impiantistico
che gestionale) all'impianto Aia.
A presidiare il rispetto delle norme sul regime autorizzatorio «Aia», lo ricordiamo, è l'articolo 29-quattuordecies del Codice
ambientale, ai sensi del quale: la realizzazione di modifiche sostanziali in assenza di autorizzazione: è punita con arresto
fino a un anno o l'ammenda fino a 26 mila euro; l'attuazione di modifiche non sostanziali senza preventiva comunicazione o
senza rispetto dei termini previsti dalla sua notifica con la sanzione amministrativa fino a 15 mila euro; l'attività condotta
senza autorizzazione o senza osservarne le prescrizioni, rispettivamente (per i casi più gravi), con l'arresto fino a due anni
unitamente all'ammenda fino a 52 mila euro e con l'ammenda fino a 26 mila euro.
Dall'11 aprile 2014 la nuova disciplina sull'autorizzazione integrata ambientale, che condiziona (sottoponendolo a un unico
titolo abilitativo) l'esercizio delle attività industriale a elevata potenzialità inquinante al rispetto dei più alti standard di
tutela ambientale, è rappresentata dalla Parte II del dlgs 152/2006 come riformulata dal dlgs 46/2014. Operando dal punto di
vista autorizzatorio una distinzione tra stabilimenti sottoposti a competenza regionale e nazionale (questi ultimi elencati
nell'allegato XII), con la riscrittura del generale allegato VIII alla stessa Parte Seconda del «Codice ambientale» il nuovo dlgs
46/2014 ha sensibilmente allargato il campo di applicazione dell'Aia, ricomprendendovi, tra le altre, numerose attività
relative alla gestione di rifiuti prima escluse.
Vincenzo Dragani
Responsabilità per lavori di ristrutturazione
18/01/2016 - Italia Oggi
Chiunque realizzi lavori di ristrutturazione di un edificio sarà responsabile, così come il costruttore, per la rovina o difetto
delle opere per dieci anni. A sottolinearlo sono stati i giudici della seconda sezione civile della Corte di cassazione con la
sentenza n. 22553 dello scorso 4 novembre.
Secondo gli Ermellini, la responsabilità ex art. 1669 c.c., potrà essere invocata con riguardo al compimento di opere (rectius
di interventi di modificazione o riparazione) afferenti a un preesistente edificio o ad altra preesistente cosa immobile
destinata per sua natura a lunga durata, e pertanto anche gli autori di tali interventi di modificazione o riparazione (rectius
gli esecutori delle opere integrative) possono rispondere ai sensi dell'art. 1669 c.c. allorché
le opere realizzate abbiano una incidenza sensibile o sugli elementi essenziali delle strutture dell'edificio ovvero su elementi
secondari od accessori, tali da compromettere la funzionalità globale dell'immobile stesso (si vedano: Cass. 4 gennaio 1993 n.
13; più di recente, segue la stessa linea interpretativa, Cass. 29 settembre 2009 n. 20853).
I giudici di piazza Cavour hanno richiamato l'ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, osservando che l'opera alla
quale la norma fa riferimento, non si identifica necessariamente con l'edificio o con la cosa immobile destinata a lunga
durata, ma ben può estendersi a qualsiasi intervento, modificativo o riparativo, eseguito successivamente all'originaria
costruzione dell'edificio, con la conseguenza che anche il termine «compimento», ai fini della delimitazione temporale
decennale della responsabilità, ha ad oggetto non già l'edificio in sé considerato, bensì l'opera, eventualmente realizzata
successivamente alla costruzione dell'edificio.
Maria Domanico
Condono edilizio e installazione tardiva
19/01/2016 - ItaliaOggi
Non basta accertare che un termoconvettore è stato installato tardivamente per rigettare la richiesta di condono edilizio. Per
rifiutare il beneficio occorrono infatti indicazioni più precise sull'effettiva abitabilità del manufatto prima del 31dicembre
1993. Lo ha chiarito il Consiglio di stato, sez. V, con la sentenza n. 54 dell'11 gennaio 2016.
Un utente ha trasformato abusivamente una cantina in un monolocale presentando domanda di condono edilizio e
dichiarando che tutti i lavori sono stati effettuati prima del 31 dicembre 1993. Il comune ha rigettato la richiesta
evidenziando carenze documentali e indicazioni verbali generiche di alcuni vicini di casa. Ma anche accertando che
successivamente a quella data l'interessato avrebbe installato nell'abitazione un termoconvettore.
I giudici di palazzo Spada hanno censurato questa decisione. Dalla documentazione fotografica prodotta in giudizio,
specifica il collegio, risulta evidente che l'immobile in questione aveva una propria autonomia strutturale già alla data del 31
dicembre 1993.
Non è sufficiente il successivo sopralluogo dei vigili che nel 1995 hanno riscontrato il montaggio in corso di un
termoconvettore per inficiare questa dichiarazione, prosegue la sentenza. La questione avrebbe dovuto essere meglio
approfondita eventualmente acquisendo agli atti specifiche dichiarazioni di testimoni in grado di chiarire definitivamente se
il locale in questione era già abitato prima del 31 dicembre 1993.
Stefano Manzelli
Espropriazione di beni culturali
21/01/2016 - Il Sole 24 Ore
L’amministrazione comunale non può disporre l’espropriazione di un bene culturale, in special modo in ipotesi di immobili
aventi carattere storico–archeologico, soprattutto se dichiarati di interesse pubblico particolarmente importante e sottoposto
a vincolo.
Così afferma il Tar Campania, Sezione V, con la sentenza n. 5966 del 29 dicembre 2015.
In particolare, nella fattispecie in esame, viene in rilievo il difetto dell’autorizzazione richiesta dall’articolo 95, comma 2, del
Codice dei beni culturali e del paesaggio, introdotto con Dlgs n. 42/2004, che stabilisce, nell’ipotesi in cui l’iniziativa sia
presa dagli enti territoriali, che il Ministero può autorizzare, a richiesta, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché
ogni altro ente ed istituto pubblico ad effettuare l’espropriazione.
Di talché, è necessario dichiarare la pubblica utilità ai fini dell’esproprio e rimettere gli atti all’ente interessato per la
prosecuzione del procedimento.
Solo con il successivo intervento del decreto del Ministero per i Beni e le Attività culturali di declaratoria di pubblica utilità
dell’espropriazione a favore dell’ente comunale dell’immobile, l’amministrazione comunale interessata può avviare l’iter
espropriativo.
Iter che, in ogni caso, deve caratterizzarsi per il pieno rispetto delle garanzie partecipative di cui alla Legge n. 241/1990 e, in
particolare, della comunicazione di avvio del procedimento di cui all’articolo 7 della stessa.
Il procedimento, pertanto, deve essere avviato, da parte dell’Organismo ministeriale, attraverso la comunicazione agli
interessati dell’avvio del procedimento relativo alla dichiarazione di pubblica utilità dell’esproprio del predetto immobile,
rigettando le osservazioni dei proprietari.
Con decreto del Ministero, quindi, viene dichiarata la pubblica utilità dell’espropriazione del cespite a favore del Comune, al
fine di assicurarne la valorizzazione, tutela e fruizione pubblica.
La disciplina ordinaria dell’espropriazione non può applicarsi al di fuori dei casi in cui scopo primario dell'espropriazione è
anzitutto l'acquisizione del bene, per la sua migliore fruizione, e non la realizzazione di un'opera con effetto di
trasformazione del territorio.
Il Ministero, inoltre, può far uso della facoltà di autorizzare gli enti locali, su loro richiesta, ad effettuare l'espropriazione,
conservandosi le attribuzioni in tema di dichiarazione di pubblica utilità.
A seguito di ciò, il Comune può emettere il decreto di esproprio.
Non sussiste alcuna discrepanza tra l’oggetto del decreto di esproprio e quello del Ministero.
L’esproprio di un’area contigua al bene immobile oggetto di tutela può essere necessario per garantire la fruizione
dell’immobile stesso da parte della cittadinanza, in special modo se rientra nel progetto di riqualificazione dell’intera area.
Ciò, tuttavia, unitamente all’eventuale volontà di estendere la dichiarazione di pubblica utilità anche a superfici ulteriori,
deve avvenire nel pieno rispetto delle garanzie partecipative, in particolar modo attraverso l’istituto della comunicazione di
avvio del procedimento.
Il fine di tale disciplina è, dunque, quello di assicurare la miglior tutela e fruibilità pubblica del bene già conosciuto e
dichiarato di interesse culturale, cioè vincolato; in questo caso la dichiarazione di pubblica utilità ministeriale coincide con la
manifestazione di volontà di assicurare migliori condizioni di tutela e fruibilità del bene vincolato
mediante l’acquisto al demanio pubblico.
Giovanni La Banca
Riforma della conferenza di servizi
22/01/2016 - ItaliaOggi
Il decreto legislativo di riordino dell'istituto della conferenza di servizi, parte integrante del pacchetto di 11 dlgs approvati
dal governo mercoledì notte, potrà anche riuscire nell'intento di abbreviare di molto procedimenti che in alcuni casi
duravano anni, ma l'opera di razionalizzazione sarà talmente improba che il risultato, nonostante la sua
potenziale efficacia, meriterà ulteriori interventi semplificatori.
Vi saranno solo tre tipi di conferenza di servizio. La prima è la conferenza «istruttoria», attivabile sia dall'amministrazione
procedente, sia su iniziativa del privato interessato.
Essa ha lo scopo di realizzare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in uno o più procedimenti
amministrativi connessi e si svolge in forma semplificata asincrona, o con altre modalità definite dall'amministrazione
procedente. Lo scopo di questa conferenza non è decidere, ma acquisire elementi per decidere.
La seconda conferenza è quella «decisoria». Deve essere indetta quando la decisione positiva sia subordinata all'acquisizione
di pareri, intese, nulla osta o altri atti di assenso comunque denominati, resi da amministrazioni diverse o anche da gestori
di beni o servizi pubblici. Può anche essere indetta su richiesta del privato interessato se la propria attività risulti
subordinata a più atti di assenso della pubblica amministrazione.
La conferenza «preliminare» potrà essere indetta dall'amministrazione competente nel caso di progetti di particolare
complessità, riguardanti insediamenti produttivi, su richiesta motivata dell'interessato. Nel caso in cui si debbano realizzare
opere pubbliche e di interesse pubblico, questo tipo di conferenza si esprime sui progetti preliminari, per indicare le
condizioni necessarie per ottenere gli assensi necessari in fase di progetto definitivo.
Forma semplificata. È indetta entro cinque giorni dall'avvio d'ufficio o su istanza del procedimento. Le amministrazioni
convocate possono chiedere integrazioni documentali o chiarimenti entro il termine fissato dall'amministrazione procedente,
che comunque non può superare i 20 giorni; la richiesta di integrazione o chiarimenti né sospende, né interrompe i termini
procedurali. Entro 60 giorni dall'indizione, le amministrazioni coinvolte dovranno rendere alla procedente le proprie
decisioni. È una conferenza «asincrona» perché le amministrazioni esprimono in sede autonoma le proprie decisioni; ma la
p.a. procedente può indire una conferenza «sincrona», cioè con la partecipazione simultanea alla riunione delle
amministrazioni.
Luigi Oliveri
SCIA e novità dalla riforma della PA
23/01/2016 - ItaliaOggi
Sportello unico per la Scia; modello unico standardizzato; rinvio a successivi decreti per l'individuazione dei singoli
procedimenti sottoposti a Scia, silenzio-assenso e autorizzazione; per tutti gli altri procedimenti basterà la sola
comunicazione. È quanto prevede lo schema di decreto attuativo della riforma della p.a. approvato dall'ultimo Consiglio dei
ministri che ridisegna, semplificandola, la disciplina sulla Scia (segnalazione certificata di inizio attività).
In realtà il decreto rinvia a successivi decreti l'individuazione dei procedimenti che saranno oggetto di Scia o di silenzio
assenso e di quelli per i quali sarà necessaria l'espressa autorizzazione. A parte questi procedimenti per tutti quelli non
previsti nei decreti si applicherà il principio generale per cui «ciò che non è espressamente disciplinato è soggetto a
comunicazione».
Il decreto prevede che dovrà essere l'amministrazione destinataria della Scia a informare il privato, attraverso la
pubblicazione sul proprio sito, di un modello unificato (uguale sul tutto il territorio) previsto dal decreto 90/2014. Se nel
modulo non sono indicati i documenti da produrre a corredo dell'istanza, l'amministrazione dovrà specificarli in
relazione alla «specificità del caso».
In particolare si stabilisce che per ogni procedimento deve essere chiarito l'elenco degli stati, qualità personali e fatti che
possono essere oggetto della dichiarazione sostitutiva, di certificazione o di atto di notorietà e le asseverazioni e attestazione
dei tecnici abilitati o le dichiarazioni di conformità dell'agenzia delle imprese (in tutti i casi deve poi essere citata la fonte
normativa dell'obbligo concernente la produzione dei documenti).
Dovrà poi essere indicato sempre sul sito quale sia lo «sportello di interlocuzione unica» (lo «sportello unico»), anche in caso
di procedimenti connessi di competenza di altre amministrazioni o di articolazioni territoriali della stessa amministrazione.
L'Amministrazione può anche istituire più sportelli unici ma solo per consentire al cittadino una pluralità di accessi sul
territorio. La mancata individuazione dello sportello unico (ma anche la richiesta di documenti che non andavano richiesti)
determina grave inadempimento ai doveri di ufficio, perseguibile disciplinarmente.
Nei casi di procedimenti connessi il termine per la convocazione della conferenza dei servizi (che dovrà esprimersi la
massimo entro 60 giorni, come prevede l'altro decreto attuativo) decorre dalla data di presentazione della Scia allo sportello
unico dell'amministrazione. Prova di ciò dovrà essere data con il rilascio da parte dell'ufficio competente della ricevuta di
avvenuta presentazione e di completezza della documentazione stessa. Se invece la Scia viene inviata per posta o per e-mail
il termine per convocare la conferenza dei servizi decorre dalla ricezione della documentazione.
La sospensione delle attività potrà essere motivata soltanto da pericoli per la tutela dell'interesse pubblico, della salute,
dell'ambiente, del paesaggio e dei beni culturali, della sicurezza e della difesa nazionale (per le attività edilizie può essere
disposta «solo in presenza di attività non veritiere», oltre che per il pericolo nei casi elencati in precedenza).
Per le attività edilizie, se necessarie autorizzazioni espresse, si indice la conferenza dei servizi e l'inizio dell'attività rimane
subordinato al rilascio delle autorizzazioni.
Se l'attività edilizia è soggetta a Scia il decreto chiarisce che è sempre unica e sostituisce tutte le altre segnalazioni,
asseverazioni, comunicazioni e notifiche.
Andrea Mascolini
ALLEGATO “C 9”
Aggiornamento AREA TECNICA
Circolare 22 gennaio 2016
Le convenzioni urbanistiche
Premessa
Come noto, le iniziative di trasformazione del territorio volte all’inserimento di nuovi ambiti urbani piuttosto che la
necessità di rigenerare parte del tessuto urbano passano da strumenti che, oltre a comporsi degli elaborati progettuali veri e
propri, comprendono anche la convenzione urbanistica.
Normativa
Legge 17 agosto 1942, n. 1150 - Legge urbanistica
D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 - Testo Unico Edilizia
Contenuti della convenzione
La Legge n. 1150/1942 all’art. 28 prevede che nell’ambito della lottizzazione di aree l’approvazione, per l’appunto, di un
progetto urbanistico di trasformazione è subordinata alla stipula di una convenzione urbanistica.
La convenzione deve prevedere:
la cessione gratuita della aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria;
la cessione gratuita della aree necessarie per le opere di urbanizzazione secondaria;
l’assunzione a carico del lottizzante degli oneri afferenti la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria;
l’assunzione a carico del lottizzante di una quota parte degli oneri afferenti la realizzazione delle opere di urbanizzazione
secondaria (standard).
Quanto ai punti appena richiamati è da determinarsi in funzione dell’entità dell’intervento: volumetria o superficie lorda di
pavimento.
Fin qui si tratta di governare l’onerosità classica degli interventi urbanistico-edilizi.
Nelle recenti disposizioni normative a carattere nazionale e regionale sono stati inoltre introdotti concetti quali il “maggior
valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica”, ovvero le pubbliche amministrazioni possono
richiedere standard qualitativi aggiuntivi sotto forma di contributo straordinario.
A livello nazionale, l’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001, a seguito della modifica introdotta nel 2013 con il D.L. 12 settembre 2014,
n. 133, prevede che nel caso di interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione
d'uso, la determinazione degli oneri di urbanizzazione debba formarsi in relazione anche alla valutazione del maggior
valore generato da tali interventi. La legge nazionale propone altresì una suddivisione di tale maggior valore (plusvalore):
50% al privato e 50% al pubblico.
La convenzione entra in gioco per regolare queste nuove onerosità, sia stabilendo, per l’appunto, i criteri di determinazione
del plusvalore dell’intervento specifico, sia eventualmente regolando i rapporti tra privato e pubblico nel caso in cui in
luogo del versamento delle somme calcolate si opti per la realizzazione di opere.
Vale la pena ricordare che in luogo del versamento delle quote afferenti gli oneri di urbanizzazione e degli eventuali
contributi straordinari inquadrati nel novero dell'interesse pubblico, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione
di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, è altresì possibile prevedere la cessione di
aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche.
In ambito regionale, in alcuni casi, quanto proposto in ambito nazionale ha raggiunto una formulazione maggiormente
estensiva legata sia al tema del maggior valore generato a seguito della variante urbanistica sia al tema della verifica
dell’adeguatezza dei servizi esistenti e della loro necessità di adeguamento a seguito della programmazione di nuovi
interventi sul territorio.
Si ritiene utile in questa sede richiamare quanto previsto dall’art. 16 del D.P.R. n. 380/2001 in merito alle modalità con cui
l’operatore privato può dar corso agli impegni assunti in convenzione in termini di opere in relazione alle disposizione del
D.Lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori e servizi); l’articolo richiamato,
infatti, prevede che in riferimento alla quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione, a scomputo totale o parziale
della quota dovuta, il titolare del permesso può obbligarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione, nel rispetto dell'art. 32,
comma 1, lett. g) del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi con le modalità e le
garanzie stabilite dal Comune, con conseguente acquisizione delle opere realizzate al patrimonio indisponibile del Comune . Nell'ambito
degli strumenti attuativi e degli atti equivalenti comunque denominati nonché degli interventi in diretta attuazione dello strumento
urbanistico generale, l'esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria di cui al comma 7, di importo inferiore alla soglia di cui
all'articolo 28, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, funzionali all'intervento di trasformazione urbanistica
del territorio, è a carico del titolare del permesso di costruire e non trova applicazione il decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
Altro aspetto novativo nella gestione dello standard deriva dalla Legge 14 gennaio 2013, n. 10 - Norme per lo sviluppo degli
spazi verdi urbani.
In particolare l’art. 4 di detta norma introduce “Misure per la salvaguardia e la gestione delle dotazioni territoriali di standard
previste nell'ambito degli strumenti urbanistici attuativi dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444”.
La convenzione, quindi, può già in origine prevedere che aree riservate al verde pubblico urbano cedute al comune nell'ambito
delle convenzioni e delle norme previste negli strumenti
urbanistici attuativi, comunque denominati, possano essere concesse in gestione, per quanto concerne la manutenzione, con diritto
di prelazione ai cittadini residenti nei comprensori oggetto delle suddette convenzioni e su cui insistono i suddetti beni o aree, mediante
procedura di evidenza pubblica, in forma ristretta, senza pubblicazione del bando di gara.
Si ritiene che nel caso di convenzionamento il soggetto attuatore possa assumere tale impegno in una sorta di regolamento
condominiale con l’amministrazione pubblica.
Scadenze - tempistiche
La Legge n. 1150/1942 all’art. 28 stabilisce che i termini per l’esecuzione delle opere “contrattualizzate” con la pubblica
amministrazione (nella legge … opere di cui al precedente paragrafo…) non devono essere superiori a dieci anni e le stesse
devono essere garantite da congrue garanzie finanziarie, come ad esempio una fideiussione.
Si precisa, comunque, che l’azione per l’adempimento dell’obbligo di realizzazione delle opere di urbanizzazione previste in
convenzione si prescrive nell’ordinario termine di dieci anni decorrenti dalla scadenza del termine per l’esecuzione delle
opere medesime (ossia dalla data di scadenza della convenzione).
Recentemente sono state apportate modifiche/integrazioni al dispositivo di cui all’art. 28 mediante la Legge n. 164/2014,
introducendo la possibilità dell’attuazione degli obblighi convenzionali per stralci funzionali, definendo fasi e stralci
distinti opportunamente garantiti e coerenti con l’intera area oggetto dell’intervento.
Altro
Oltre alle trasformazioni urbanistiche governate dagli strumenti urbanistici classici, la convenzione urbanistica è presente
anche nel Permesso di Costruire Convenzionato.
Il Permesso di Costruire Convenzionato è stato normato in maniera chiara e definitiva nel D.P.R. n. 380/2001 mediante
modifica apportata con la Legge n. 164/2014. Si può ricorrere a questo strumento nel caso in cui le esigenze urbanizzative, in
relazione all’intervento proposto, possano essere soddisfatte in forma semplificata. In questo caso la convenzione va
approvata con delibera del consiglio comunale, salva diversa previsione regionale, e specifica gli obblighi, funzionali al soddisfacimento di
un interesse pubblico, che il soggetto attuatore si assume ai fini di poter conseguire il rilascio del titolo edilizio, il quale resta la fonte di
regolamento degli interessi.
Sono, in particolare, soggetti alla stipula di convenzione:
la cessione di aree anche al fine dell'utilizzo di diritti edificatori;
la realizzazione di opere di urbanizzazione;
le caratteristiche morfologiche degli interventi;
la realizzazione di interventi di edilizia residenziale sociale.
Anche in questo caso le opere da realizzare in base alla convenzione possono essere attuate per stralci funzionali coerenti ed
opportunamente garantiti.
I termini previsti per la realizzazione delle opere “contrattualizzate” nel permesso di costruire convenzionato possono
essere modulati in funzione degli stralci funzionali.
Vale la pena rimarcare quanto previsto dalla norma, ovvero che alla convenzione si applica quanto previsto dall’art. 11 della
Legge n. 241/1990 in materia di Accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento dove, in funzione del perseguimento del
pubblico interesse, possono esser stipulati accordi con gli interessati (proponenti) al fine di determinare il contenuto
discrezionale del provvedimento finale ovvero in sostituzione di questo.
La stipulazione dell'accordo è preceduta da una determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento; in
questo caso il Consiglio Comunale.
Nella pianificazione Comunale possono prevedersi degli interventi soggetti a Permesso di Costruire Convenzionato e i
parametri a cui sottendere gli interventi stessi (cessioni, onerosità, etc.) e a tal fine, sempre in Consiglio Comunale,
approvare una Convenzione
Tipo che di volta in volta, in applicazione del PRG (o altro strumento stabilito dalla Regione) e dei parametri dal Consiglio
Comunale, possa affiancare il PdC quando richiesto e senza che ciò comporti l’approvazione in Consiglio Comunale di ogni
singola convenzione.
ALLEGATO “C 10”
Aggiornamento AREA TECNICA
Circolare 28 gennaio 2016
Collegato ambientale alla legge di stabilità
Premessa
E' stata pubblicata (nella G.U. n. 13 del 18 gennaio 2016) la Legge 28 dicembre 2015, n. 221 “Disposizioni in materia
ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali.” (in vigore
dal 02.02.2016), che contiene misure in materia di tutela della natura e sviluppo sostenibile, valutazioni ambientali, energia,
acquisti verdi, gestione dei rifiuti e bonifiche, difesa del suolo e risorse idriche (c.d. collegato ambientale).
I 79 articoli sono suddivisi in 11 tematiche:
Capo I - Disposizioni relative alla protezione della natura e per la strategia dello sviluppo sostenibile
Capo II - Disposizioni relative alle procedure di Valutazione di impatto ambientale e sanitario
Capo III - Disposizioni in materia di emissioni di gas a effetto serra e di impianti per la produzione di energia
Capo IV - Disposizioni relative al Green public procurement
Capo V - Disposizioni incentivanti per i prodotti derivanti da materiali post consumo o dal recupero degli scarti e dei
materiali rivenienti dal disassemblaggio dei prodotti complessi
Capo VI - Disposizioni relative alla gestione dei rifiuti
Capo VII -Disposizioni in materia di difesa del suolo
Capo VIII -Disposizioni per garantire l'accesso universale all'acqua
Capo IX -Disposizioni in materia di procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica per
impianti radioelettrici e in materia di scambio di beni usati
Capo X -Disposizioni in materia di disciplina degli scarichi e del riutilizzo di residui vegetali
Capo XI -Disposizioni varie in materia ambientale
Nel seguito è riportata una breve illustrazione dei contenuti suddividi per le tematiche elencate.
Per un maggior approfondimento è possibile vedere la specifica pagina nel sito della Camera dei Deputati: vai alla pagina
sul collegato ambientale
I vari articoli saranno oggetto di successivi approfondimenti anche alla luce dei nuovi decreti che sono attesi per dare corso
alle disposizioni della Legge.
Disposizioni relative alla protezione della natura e per la strategia dello sviluppo sostenibile
I primi 3 articoli trattano di responsabilità per danni all'ambiente marino causati dalle navi e dagli impianti, nel caso di
avarie o incidenti; dell’uso delle somme derivanti dall’'aliquota di prodotto annualmente versata per la concessione di
coltivazione di idrocarburi in mare; della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, che dovrà
considerare anche gli aspetti inerenti alla «crescita blu» del contesto marino.
L'articolo 4 apporta modifiche alla disciplina istitutiva dell'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo
economico sostenibile (ENEA).
L'articolo 5 si occupa del programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa scuola e casa-lavoro, e prevede
l'emanazione di apposite linee guida per favorire l'istituzione nelle scuole della figura del mobility manager.
L'articolo 6 amplia l'elenco delle zone in cui è consentita l'istituzione di parchi marini e riserve marine e prevede di destinare
somme per il potenziamento della gestione e del funzionamento delle aree marine protette istituite.
Disposizioni relative alle procedure di Valutazione di impatto ambientale e sanitario
Gli articoli 8 e 9 si occupano di procedure per le autorizzazioni ambientali di attività in mare e dell’obbligo della valutazione
di impatto sanitario (VIS) per raffinerie, impianti di gassificazione e liquefazione, i terminali di rigassificazione di gas
naturale liquefatto,
centrali termiche e impianti di combustione con potenza termica superiore a 300 MW.
Disposizioni in materia di emissioni di gas a effetto serra e di impianti per la produzione di energia
L'articolo 10 modifica il D.Lgs. 30/2013, con cui è stata recepita nell'ordinamento nazionale la disciplina relativa al sistema
europeo per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (EU-ETS).
L'articolo 11 prevede che i dati ambientali raccolti ed elaborati dagli enti e dalle agenzie pubblici e dalle imprese private
siano rilasciati su richiesta degli enti locali in formato open data.
Gli articoli 12, 13, 14 e 15 trattano di sistemi efficienti di utenza (SEU), di cui al D.Lgs. 115/2008 (impianti elettrici alimentati
da fonti rinnovabili), di sistemi di autoproduzione di energia elettrica con ciclo ORC (Organic Rankine Cycle), dei meccanismi
di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili (a biomasse e biogas) alimentati da
sottoprodotti di origine biologica; dei procedimenti di autorizzazione per le reti nazionali di trasporto dell'energia elettrica
di potenza superiore a 300 MW termici e di applicazione degli incentivi relativi alle fonti rinnovabili nei confronti degli
impianti di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento connessi ad
ambienti a destinazione agricola.
Capo IV - Disposizioni relative al Green public procurement
L'articolo 16 riporta disposizioni per agevolare il ricorso agli appalti verdi, in particolare riduce le garanzie previste a
corredo dell'offerta nei contratti pubblici relativi a lavori, servizi o forniture, per gli operatori in possesso di specifiche
registrazioni di tipo ambientale (EMAS e Ecolabel).
L'articolo 17 prevede che il possesso di determinate certificazioni di tipo ambientale (EMAS e Ecolabel, certificazioni ISO
14001 e 50001), costituiscano titoli preferenziali richiesti nell'assegnazione di contributi, agevolazioni e finanziamenti in
materia ambientale.
L'articolo 18 disciplina l'applicazione dei "criteri ambientali minimi" (CAM) negli appalti pubblici per le forniture e negli
affidamenti dei servizi nell'ambito delle categorie previste dal Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel
settore della pubblica amministrazione (PANGPP).
Ulteriori disposizioni in materia di criteri ambientali minimi sono contenute nell'articolo 19, riguardante l'applicazione di
criteri ambientali minimi negli appalti pubblici, assegnando all'Osservatorio dei contratti pubblici il monitoraggio
dell'applicazione dei criteri ambientali minimi disciplinati nei relativi decreti ministeriali e del raggiungimento degli
obiettivi previsti dal Piano d'azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della Pubblica amministrazione
(PAN GPP), e nell'articolo 20, che prevede, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, che le lampade ad
incandescenza utilizzate nelle lanterne semaforiche siano sempre sostituite - quando se ne presenti la necessità - da lampade
a basso consumo energetico.
L'articolo 21 prevede l'istituzione di uno Schema nazionale volontario per la valutazione e la comunicazione dell'impronta
ambientale, al fine di promuovere la competitività del sistema produttivo italiano nel contesto della crescente domanda di
prodotti ad elevata qualificazione ambientale sui mercati nazionali ed internazionali.
Capo V - Disposizioni incentivanti per i prodotti derivanti da materiali post consumo o dal recupero degli scarti e dei
materiali rivenienti dal disassemblaggio dei prodotti complessi
L'articolo 23 contiene una serie di misure finalizzate a incentivare l'acquisto di prodotti derivanti da materiali "post
consumo" riciclati o dal recupero degli scarti e dei materiali rivenienti dal disassemblaggio dei prodotti complessi. A tale
fine si prevede, per un verso, la stipula di accordi e contratti di programma, tra soggetti pubblici e privati, e, per l'altro, sono
dettati principi per la definizione di un sistema di incentivi per la produzione, l'acquisto e la commercializzazione di tali
prodotti.
Capo VI - Disposizioni relative alla gestione dei rifiuti
L'articolo 24 interviene sulla disciplina di attuazione dei meccanismi di incentivazione della produzione di energia elettrica
da impianti a fonti rinnovabili diversi dai fotovoltaici, in particolare introduce novità per l’uso del legno.
Dall’articolo 25 all’articolo 50 la legge interviene con disposizioni volte su molteplici aspetti: incremento della raccolta
differenziata e del riciclaggio, disciplina della c.d. ecotassa, possibilità per i Comuni di prevedere riduzioni tariffarie ed
esenzioni della tassa sui rifiuti, compostaggio aerobico, sia individuale che di comunità, con riduzione della tassa sui rifiuti
(TARI), sui rifiuti elettrici ed elettronici (RAEE) e di rifiuti di pile e accumulatori, sulla corretta gestione del "fine vita" dei
pannelli fotovoltaici, per uso domestico o professionale, immessi sul mercato successivamente all'entrata in vigore della
legge, in merito ai rifiuti da smaltire in discarica, sulla pulizia dei fondali marini e della relativa gestione dei rifiuti derivanti,
sulla vigilanza sulla gestione dei rifiuti, sulla disciplina del SISTRI, sulla gestione dei rifiuti di rame e di metalli ferrosi e non
ferrosi; sulla gestione dei rifiuti nei territori con isole minori, sul sistema volontario del vuoto a rendere su cauzione per gli
imballaggi contenenti birra o acqua minerale serviti al pubblico da alberghi e residenze di villeggiatura, ristoranti, bar e altri
punti di consumo; sull'abbandono nell'ambiente dei rifiuti di prodotti da fumo e di altri rifiuti di piccolissime dimensioni
(scontrini, fazzoletti di carta, gomme da masticare, ...), prevedendo il divieto di abbandono di tali rifiuti nel suolo, nelle
acque e negli scarichi (e apposite sanzioni pecuniarie in caso di inosservanza).
Capo VII -Disposizioni in materia di difesa del suolo
L'articolo 51 contiene un’articolata disciplina volta prevalentemente alla riorganizzazione dei distretti idrografici in materia
di difesa del suolo,
L'articolo 52 prevede un meccanismo per agevolare, anche attraverso la messa a disposizione di risorse finanziarie (10
milioni di euro per l'anno 2016), la rimozione o la demolizione, da parte dei comuni, di opere ed immobili abusivi, realizzati
nelle aree classificate a rischio idrogeologico elevato o molto elevato ovvero esposti a rischio
idrogeologico, sulla base di un elenco del Ministero dell'ambiente, adottato annualmente dalla Conferenza Stato-Città e
autonomie locali.
L'articolo 54 modifica in più punti il testo unico in materia edilizia (D.P.R. n. 380/2001) al fine di richiamare nelle varie
disposizioni e procedure la normativa, gli interessi e i vincoli collegati alla tutela dell'assetto idrogeologico. Si prevede,
inoltre, che agli atti e ai procedimenti riguardanti la tutela dal rischio idrogeologico non si applichi la disciplina generale sul
silenzio assenso.
L'articolo 56 istituisce un credito d'imposta per gli anni 2017-2019 (nel limite di spesa di 5,7 milioni di euro per ciascuno
degli anni considerati), per le imprese che effettuano nell'anno 2016 interventi (di importo unitario non inferiore a 20.000
euro) di bonifica dall'amianto su beni e strutture produttive. Al fine di promuovere la realizzazione di interventi di bonifica
di edifici pubblici contaminati da amianto, viene altresì prevista l'istituzione, presso il Ministero dell'ambiente, del Fondo
per la progettazione preliminare e definitiva degli interventi di bonifica di beni contaminati da amianto, con una dotazione
finanziaria di 17,5 milioni di euro per il triennio 2016-2018.
L'articolo 57 prevede che i comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti, nel cui territorio ricadono interamente i siti
di importanza comunitaria (SIC), effettuino le valutazioni di incidenza di taluni interventi edilizi minori. Fissando anche
tempi stretti per l'autorità competente al rilascio dell'approvazione definitiva degli interventi previsti.
Capo VIII - Disposizioni per garantire l'accesso universale all'acqua
L'articolo 58 prevede, a decorrere dal 2016, l'istituzione, presso la Cassa conguaglio per il settore elettrico, di un Fondo di
garanzia per il settore idrico.
L'articolo 59 disciplina i contratti di fiume, gli articoli 60 e 61 trattano di condizioni agevolate per utenti domestici del
servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate e il contenimento della morosità degli utenti del servizio
idrico integrato
L'articolo 62 si soccupa dei concessionari di derivazione d'acqua per produzione di forza motrice nei bacini imbriferi
montani (BIM).
L'articolo 63 si occupa delle competenze in materia di servizio idrico della Regione autonoma Valle d'Aosta.
Capo IX - Disposizioni in materia di procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica
per impianti radioelettrici e in materia di scambio di beni usati
L’articolo 64 si occupa di modifiche al codice delle comunicazioni elettroniche, in particolare di installazione di
infrastrutture per impianti radioelettrici e per gli impianti di completamento della rete di banda larga mobile.
Capo X - Disposizioni in materia di disciplina degli scarichi e del riutilizzo di residui vegetali
L'articolo 65 prevede l'assimilazione delle acque reflue di vegetazione dei frantoi oleari alle acque reflue domestiche, ai fini
dello scarico in pubblica fognatura.
L'articolo 66 consente ai comuni, per finalità di riutilizzo di prodotti e di preparazione per il riutilizzo dei rifiuti,
l'individuazione di appositi spazi presso i centri di raccolta per l'esposizione temporanea finalizzata allo scambio tra privati
cittadini di beni usati e funzionanti direttamente idonei al riutilizzo.
Capo XI - Disposizioni varie in materia ambientale
L'articolo 67 istituisce il Comitato per il capitale naturale, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare, disciplinandone le funzioni e la composizione, al fine di assicurare il raggiungimento degli obiettivi sociali, economici
e ambientali coerenti con l'annuale programmazione finanziaria e di bilancio dello Stato.
L'articolo 68 istituisce il Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli, presso il
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per la raccolta dei dati e delle informazioni sugli incentivi,
sulle agevolazioni, sui finanziamenti agevolati, nonché sulle esenzioni da tributi, direttamente finalizzati alla tutela
dell'ambiente.
L'articolo 69 riscrive le disposizioni volte a semplificare il trattamento dei rifiuti speciali relativi a talune attività economiche
(estetisti, tatuatori, agopuntori, ecc.), estendendone l'applicazione anche alle imprese agricole di cui all'art. 2135 del codice
civile.
L'articolo 70 delega il Governo all'introduzione di sistemi di remunerazione dei servizi ecosistemici e ambientali (PSEA),
stabilendone i principi e criteri direttivi.
L'articolo 71 promuove l'istituzione delle "Oil free zone", aree territoriali nelle quali si prevede la progressiva sostituzione
del petrolio e dei suoi derivati con energie da fonti rinnovabili, demandando le modalità di organizzazione di tali aree alla
legislazione regionale.
L'articolo 74 disciplina l'espropriabilità dei beni gravati da uso civico, prevedendo che tali beni possano essere espropriati
solo dopo che sia stato pronunciato il mutamento di destinazione d'uso, salvo il caso in cui l'opera pubblica o di pubblica
utilità sia compatibile con l'esercizio dell'uso civico.
L'articolo 76 si occupa del riordino dei provvedimenti normativi vigenti in materia di tutela dell'ambiente esterno e
dell'ambiente abitativo dall'inquinamento acustico prodotto dalle sorgenti sonore fisse e mobili.
L'articolo 77 prevede l'impignorabilità degli animali di affezione o da compagnia del debitore, nonché degli animali
impiegati ai fini terapeutici o di assistenza del debitore, del coniuge, del convivente o dei figli.
L'articolo 78 modifica le vigenti norme relative all'utilizzo dei materiali derivanti dalle attività di dragaggio di aree portuali
e marino-costiere poste in siti di bonifica di interesse nazionale (SIN).
ALLEGATO “C 11”
Aggiornamento AREA TECNICA
Circolare 29 gennaio 2016
Edilizia privata e Autotutela amministrativa Annullamento d’ufficio dei titoli abilitativi Illegittimi
Anche i titoli abilitativi edilizi possono essere oggetto di autotutela, attraverso il ricorso ai c.d. procedimenti di secondo
grado (o di revisione) rappresentati dall'annullamento d'ufficio e dalla revoca.
Tuttavia, rispetto al passato, nell'attuale contesto operativo l'esercizio dell'autotutela è diventato, senza alcun dubbio, più
difficoltoso e anche più rischioso, sotto il profilo della responsabilità amministrativa, sia per i responsabili dei procedimenti,
sia per i dirigenti sia, infine, per i responsabili di posizione organizzativa.
Al riguardo va evidenziato il mutamento intervenuto, in questa materia, a seguito:
dell’art. 25 del decreto legge 12.09.2014, n. 133, convertito dalla Legge 11 novembre 2014, n. 164 ( c.d. Sblocca Italia);
dell’art. 6 della legge 7 agosto 2015 n. 124 (c.d. Legge Madia).
Lo sblocca Italia ha modificato il testo dell'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante disposizioni relative
all’annullamento d'ufficio, intervenendo sul comma 1 con le seguenti importanti modificazioni:
dopo le parole: "dell'articolo 21-octies" sono inserite le seguenti: ", esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma
2,";
è aggiunto, infine, il seguente periodo: "Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento
del provvedimento illegittimo".
Il secondo provvedimento, la legge Madia, introducendo Norme per la semplificazione e l'accelerazione dei procedimenti
amministrativi, ha anch’essa modificato l'articolo 21- nonies apportando le seguenti modificazioni.
al comma 1, dopo le parole: «entro un termine ragionevole» sono inserite le seguenti: «comunque non superiore a diciotto
mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi
in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20»;
dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: «2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false
rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di
condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche
dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonchè delle
sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445».
Per effetto delle modifiche sopracitate, il nuovo testo dell'articolo 21-nonies della legge 241/1990 risulta oggi così
complessivamente riformulato:
“1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell' articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole
comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione
di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli
interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge.
Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.
2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed
entro un termine ragionevole.
2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di
certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata
in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al
comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445
Il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico,
entro un termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di
autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi
dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero
da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento
del provvedimento illegittimo”.
Così ricostruita la disciplina applicabile all’autotutela amministrativa, rappresentata dall’annullamento d'ufficio, la
questione che si pone oggi, sul piano operativo, è costituita dal nuovo profilo di responsabilità nella quale il dirigente o il
responsabile di posizione organizzativa può incorrere a causa del mancato annullamento d’ufficio del titolo abitativo
edilizio illegittimo.
In passato, detta responsabilità risultava configurabile, in capo al dirigente o responsabile di posizione organizzativa, con
riferimento al contrapposto profilo :
a) della adozione del titolo edilizio illegittimo;
b) della adozione del provvedimento di secondo grado, di annullamento d'ufficio in sede di autotutela illegittimo, perché
adottate in assenza dei presupposti necessari per l'esercizio dell'autotutela.
La novità attuale consiste nell'introduzione, nel nostro ordinamento, accanto alle due figure di responsabilità
precedentemente menzionate, di una nuova ipotesi di responsabilità personale del dirigente o responsabile di posizione
organizzativa, direttamente connessa alla omissione, da parte sua, del provvedimento di annullamento d'ufficio in
autotutela, a seguito di un comportamento inerte di fronte al titolo abilitativo illegittimo, e annullabile ai sensi dell'articolo
21-octies della legge 241 dal 1990.
In altri termini, oggi dà luogo a responsabilità anche la fattispecie che si determina quando, dopo aver rilasciato il titolo
edilizio illegittimo, il dirigente o il responsabile di posizione organizzativa non si attiva e non intervenga, entro un termine
ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione, ad annullare d'ufficio
il titolo illegittimo, sussistendone i presupposti di legge.
Con riferimento all'esercizio dell'autotutela, vediamo conseguentemente di riepilogare, in sintesi, i due diversi casi di:
- responsabilità per adozione di un illegittimo annullamento d'ufficio del titolo edilizio illegittimo;
- responsabilità per omessa adozione, doverosa, di annullamento d'ufficio del titolo edilizio illegittimo.
1. Responsabilità per adozione provvedimento di annullamento d'ufficio del titolo abitativo illegittimo: errata
valutazione delle “ragioni di interesse pubblico” ai fini dell'adozione del provvedimento di annullamento d'ufficio, in
sede di autotutela amministrativa
Il procedimento di annullamento d'ufficio è un procedimento di secondo grado, volto a rimuovere un precedente
provvedimento rivelatosi illegittimo a seguito di verifiche d'ufficio, o in accoglimento di istanze, esposti, ricorsi
amministrativi o richieste di riesame.
Anche nell’attuale formulazione, l’art 21-nonies della legge n. 241 del 1990 ha lasciato immutato il principio, già codificato,
per cui un provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d'ufficio:
a) sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole (ora individuato in un termine massimo di 18
mesi dalla adozione);
b) tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
In tale configurazione, l'annullamento d'ufficio è esplicazione di un potere ampiamente discrezionale, rispetto al quale il
dirigente o il responsabile di posizione organizzativa è tenuto a motivare, analiticamente, le ragioni di interesse pubblico
alla rimozione dell’atto.
In via generale, l’adeguatezza della motivazione del provvedimento di annullamento d'ufficio, per quanto concerne la
sussistenza dell'interesse pubblico all'annullamento, va controllata con riferimento:
all’accertamento della natura concreta ed attuale dell'interesse pubblico;
alla valutazione comparativa dell'interesse dei destinatari al mantenimento delle posizioni oramai acquisite;
all’affidamento insorto in capo ai medesimi.
E’ vero che, in materia edilizia, l’annullamento in autotutela di titoli edilizi illegittimamente rilasciati non necessita di una
espressa e specifica esplicitazione del pubblico interesse, configurandosi questo nell'interesse della collettività al rispetto
della disciplina urbanistica, ma, tuttavia, il dirigente o responsabile di posizione organizzativa non può non farsi carico
dell'interesse dei destinatari e, soprattutto, del consolidamento della posizione dei destinatari di titoli abilitativi conseguente
al passare del tempo.
Così, ad esempio, risulterebbe difficilmente legittimo l'annullamento d'ufficio di un titolo edilizio illegittimo dopo molti
anni dalla data del rilascio del titolo medesimo, come ha avuto modo di confermare, anche di recente, il giudice
amministrativo (Tar Lazio sent. 607/2016) con riferimento ad un annullamento d'ufficio disposto nel 2014, relativamente ad
un titolo abitativo rilasciato addirittura nel 2000. In questo specifico caso, esaminato dal giudice amministrativo, il
provvedimento di autotutela è risultato basato sulla erroneità oggettiva del calcolo della superficie fondiaria, utile per
definire la volumetria da realizzare, dovuta alla non conformità della rappresentazione grafica del lotto interessato,
rappresentata dal progettista, alle tavole del piano particolareggiato. Ciò ha comportato, secondo la ricostruzione degli uffici
comunali, un aumento della cubatura oggetto della concessione edilizia di cui, con il provvedimento di annullamento
d'ufficio, è stata anche ordinata la demolizione.
Il giudice amministrativo ha accertato l'illegittimità dell'annullamento d'ufficio, e l'illegittimità derivata dell'ordine di
demolizione, in quanto il provvedimento di annullamento risulta “privo di motivazione circa l’interesse pubblico ed attuale anche
in relazione al tempo trascorso e all’affidamento dei privati”, oltre che in contrasto con i principi di correttezza e buona fede a cui
deve essere improntata l’azione amministrativa, tenuto conto dei precedenti atti degli stessi uffici comunali e
dell’affidamento ingenerato nei destinatari circa l’esito di un precedente procedimento avviato nel 2008.
La responsabilità che si ingenera a seguito dell'accertamento dell’illegittimità dell'annullamento d'ufficio del titolo edilizio è
una responsabilità che può essere apprezzata sotto plurimi profili: amministrativo-contabile, per danno erariale, nel caso in
cui l'amministrazione abbia dovuto subire una diminuzione patrimoniale in conseguenza dell'illegittimità (come, ad
esempio, avviene in caso di soccombenza nelle spese di lite); dirigenziale; disciplinare; connessa alla misurazione e
valutazione della performance organizzativa ed individuale.
2. Responsabilità per omessa adozione, doverosa, di annullamento d'ufficio del titolo edilizio illegittimo
Dopo il decreto legge 12.09.2014, n. 133, convertito dalla Legge 11 novembre 2014, n. 164 risulta annoverabile, tra i compiti
d'ufficio, il preciso dovere del dirigente o responsabile di posizione organizzativa, di procedere all’annullamento del titolo
edilizio illegittimamente rilasciato. L'esercizio di tale compito implica la valutazione dei presupposti che debbono sussistere
alla base dell'annullamento e, quindi, per quanto anzidetto,
la verifica della natura concreta ed attuale del pubblico interesse all'annullamento;
la corretta valutazione della prevalenza dell'interesse pubblico nella comparazione tra l'interesse pubblico al ripristino della
disciplina urbanistico-edilizia violata e l'interesse del destinatario del titolo edilizio al mantenimento del titolo.
Al fine di andare esente da responsabilità per omissione, in caso di controlli, è necessario che, laddove l'ufficio edilizia
privata abbia rilasciato titoli edilizi illegittimi, quand'anche il dirigente o responsabile di posizione organizzativa,
procedendo all'istruttoria, verifichi che non sussistano i presupposti di legge per procedere all'annullamento d'ufficio e
quindi non adotti il relativo provvedimento, venga “formalizzata” tale verifica in un provvedimento da conservare agli atti
dell'ufficio.
In altri termini, è necessario avviare un procedimento ad hoc, avente ad oggetto il titolo edilizio illegittimo.
Nell'ambito di tale procedimento, che deve coinvolgere anche il destinatario del titolo edilizio (a cui deve essere inviata la
comunicazioni di avvio), va valutata la sussistenza dei presupposti per l'annullamento d'ufficio. In assenza dei presupposti
di legge per procedere all'annullamento, la determinazione, conclusiva del procedimento, deve dare atto che non vi è
omissione nell'adozione dell'annullamento d'ufficio ma che, per contro, la mancata adozione dell’annullamento, pur in
presenza di un titolo edilizio illegittimo, è imputabile alla scadenza, nel caso specifico, dei presupposti di legge.
E’ utile, per tutelare il dirigente o responsabile di posizione organizzativa che non procede all'annullamento pur in presenza
di un titolo illegittimo, acquisire un apposito parere giuridico-legale in ordine alla fondatezza della scelta di non procedere
all'annullamento, con riguardo al dettato normativo e agli orientamenti della giurisprudenza
ALLEGATO “C 12”
Aggiornamento Area Tecnica
Circolare 2 febbraio 2016
Notiziario e notizie quotidiani dal 25 al 30 gennaio 2016
Notifica dell'ordine di demolizione
25/01/2016 - Il Sole 24Ore
Se è vero che la notifica dell’ordine di demolizione al proprietario di una costruzione abusiva, oltreché al proprietario
dell’abuso, è il presupposto per il successivo provvedimento di acquisizione dell’opera al patrimonio comunale, è altrettanto
vero che quest’ultimo, costituendo sanzione per l’inottemperanza dell’ordine di demolizione, non può essere pronunciato
nei confronti di chi non sia stato destinatario dell’ordine di demolizione.
Pertanto la mancata notifica al proprietario dell’ordine di demolizione (pur non facendo venir meno la legittimità dello
stesso) preclude l’emanazione del provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale. È quanto afferma il Tar
Calabria – Reggio Calabria, sezione I, sentenza del 13 gennaio 2016, n. 29.
Il Tribunale richiama l’orientamento già affermato dalla giurisprudenza (Tar Napoli, sezione VIII, n. 4964 del 2013) sulla
base di quanto affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 345 del 1991), secondo il quale l’acquisizione gratuita
dell'area non è una misura strumentale, per consentire al Comune di eseguire la demolizione, né una sanzione accessoria di
questa, ma costituisce una sanzione autonoma che consegue all'inottemperanza all'ingiunzione, abilitando
l'Amministrazione ad una scelta fra la demolizione d'ufficio e la conservazione del bene, definitivamente già acquisito, in
presenza di prevalenti interessi pubblici, vale a dire per la destinazione a fini pubblici, e sempre che l'opera non contrasti
con rilevanti interessi urbanistici o ambientali.
L'acquisizione gratuita al patrimonio comunale è peraltro una sanzione prevista per l'ipotesi di inottemperanza
all'ingiunzione di demolizione e si riferisce dunque al responsabile dell'abuso.
Solveig Cogliani
Efficienza energetica in Lombardia
26/01/2016 - ItaliaOggi
Aggiornate le norme per l'efficienza energetica degli edifici della regione Lombardia e il rilascio dell'Ape. Tra le più
importanti novità vi è l'esclusione dall'obbligo di allegazione dell'Ape per i provvedimenti giudiziali relativi trasferimenti
immobiliari conseguenti a procedure esecutive o concorsuali. Inoltre costituisce un inadempimento del certificatore l'assenza
dell'indicazione degli interventi migliorativi nell'apposita sezione dell'Ape. È con il decreto regionale Lombardia n. 224 /
2016 che viene chiarita la corretta applicazione, del decreto del 30/07/2015 n. 6480 in alcuni ambiti, per l'efficienza energetica
degli edifici e per il relativo Ape.
L'indicazione degli interventi migliorativi può essere omessa solo qualora il certificatore dichiarerà, in caso di edifici di
classe A3 e A4, che ulteriori interventi migliorativi non sarebbero convenienti in termini di costi/benefici.
Il libretto d'impianto dovrà essere unito all'Ape destinato all'acquirente dell'edificio e non necessariamente allegato all'atto
di compravendita.
La dichiarazione di conformità del certificatore che, con la nuova veste, funge anche da dichiarazione sostitutiva dell'atto di
notorietà con cui il professionista dichiara che la copia cartacea è conforme al file depositato nel catasto energetico edifici
regionale.
Il decreto specifica più dettagliatamente i requisiti degli impianti di illuminazione, i requisiti di trasmissione termica dei
serramenti e dell'involucro opaco con isolamento in intercapedine o dall'interno, in caso di riqualificazione energetica.
Inoltre contiene le disposizioni normative relative alla sostituzione del generatore di calore, all'installazione di pompe di
calore di potenza inferiore a 15 kW e di impianti alimentati a biomassa e all'obbligo di integrazione delle fonti energetiche
rinnovabili. Il decreto contiene anche le disposizioni a cui attenersi nel caso di ampliamento volumetrico.
Marco Ottaviano
Nuovi indirizzi per la Via
27/01/2016 - ItaliaOggi
Dal 22 gennaio 2016 sono scattati nuovi indirizzi metodologici dei provvedimenti di valutazione d'impatto ambientale. Con
una maggiore chiarezza ed esaustività delle prescrizioni contenute nei provvedimenti di valutazione ambientale di
competenza statale anche al fine di superare le principali criticità riscontrate nella fase di attuazione del proponente e nella
fase di verifica dell'ottemperanza delle prescrizioni da parte dell'ente di controllo. Queste le novità contenute nel decreto del
ministero dell'ambiente del 24 dicembre 2015 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 16 del 21 gennaio) sugli indirizzi
metodologici per la predisposizione dei quadri prescrittivi nei provvedimenti di valutazione ambientale di competenza
statale.
Vista la particolare rilevanza e complessità degli argomenti oggetto dei provvedimenti di valutazione ambientale gli
«indirizzi» sono finalizzati a uniformare i contenuti dei quadri prescrittivi nell'ambito dei pareri espressi. Tanto che sono
strumenti a disposizione della commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale Via e Vas, della direzione
generale per le autorizzazioni e le valutazioni ambientali del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare,
della direzione generale belle arti e paesaggio e della direzione generale archeologia del ministero per i beni e le attività
culturali e del turismo un atto di indirizzo.
Allo stesso tempo gli «indirizzi» forniscono ai soggetti proponenti l'opera o l'intervento un quadro di riferimento certo ed
esplicito per l'attuazione delle prescrizioni dei provvedimenti di valutazione dell'impatto ambientale.
I nuovi indirizzi, in caso di procedura coordinata Via (valutazione impatto ambientale) e Aia (autorizzazione integrata
ambientale) servono per coordinare i quadri prescrittivi anche al fine di evitare sovrapposizioni, duplicazioni o incoerenze
tra le prescrizioni relative alla valutazione dell'impatto ambientale e quelle relative all'autorizzazione integrata ambientale.
Marco Ottaviano
Criteri ambientali minimi per edifici e cantieri
27/01/2016 - ItaliaOggi
Un appalto può essere definito «verde» dalla p.a. se include almeno i criteri di base. Le stazioni appaltanti però sono invitate
a utilizzare anche i criteri premiali quando aggiudicano la gara con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
Tra i criteri ambientali minimi di base c'è quello della selezione dei candidati. Secondo questo criterio l'appaltatore deve
dimostrare la propria capacità di applicare misure di gestione ambientale, conformemente alle normative vigenti. Queste le
novità contenute nel dm 24 dicembre 2015 del ministero dell'ambiente (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21 gennaio
2015 n. 16) con il quale vengono adottati i criteri ambientali minimi (Cam) per l'affidamento di servizi di progettazione e
lavori per la nuova costruzione, ristrutturazione e manutenzione di edifici e per la gestione dei cantieri della pubblica
amministrazione.
Vengono forniti i criteri minimi sia per gruppi di edifici che per singoli edifici.
Tra le specifiche tecniche dei gruppi di edifici è da segnalare l'inserimento naturalistico paesaggistico, la sistemazione delle
aree verde e il mantenimento della permeabilità dei suoli.
Tra le specifiche tecniche del singolo edificio è stata inserita la prestazione energetica (nei nuovi progetti l'indice di
prestazione energetica globale deve essere uguale ad A2), l'approvvigionamento energetico, il risparmio idrico,
l'illuminazione naturale ecc.
Inoltre vengono illustrate le specifiche tecniche dei componenti edilizi come calcestruzzi, laterizi, prodotti in legno ecc., di
cui vengono per esempio specificate la quantità che bisogna riciclare.
Nelle specifiche tecniche del cantiere vengono esplicitati i criteri da seguire nelle demolizioni, per i materiali usati in
cantiere, per gli scavi ecc.
Infine vengono definiti i criteri minimi premiali come il miglioramento prestazionale del progetto, l'uso di materiali
rinnovabili, la distanza di approvvigionamento dei prodotti da costruzione e il miglioramento delle prestazioni ambientali
dell'edificio.
Cinzia De Stefanis
ALLEGATO “C 13”
Aggiornamento AREA TECNICA
Circolare 4 febbraio 2016
Il ruolo del responsabile unico del procedimento in materia di sicurezza cantieri
Premessa
Il recentissimo parere ANAC n. 244 del 4 gennaio 2016, circa il ruolo del RUP ai fini del rispetto delle norme di sicurezza e
salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro nel settore dei contratti pubblici, offre lo spunto per un approfondimento circa le
competenze ed incombenze in capo al soggetto nominato.Conferma, inoltre, come la normativa in materia di sicurezza
scinda e disciplini differentemente i cantieri del settore privato ed i cantieri pubblici rimandando, per questi ultimi, alla
normativa prevalente, ovvero al Codice dei Contratti.
Riferimenti normativi
Artt. 89 e 90 del D.Lgs. n. 81/2008 - “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e
della sicurezza nei luoghi di lavoro” (di seguito D.Lgs 81/2008)
D.Lgs. n. 163/2006 - Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (di seguito Codice dei Contratti)
Artt. 9 e 10 del D.P.R. n. 207/2010 - Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163 (di
seguito Regolamento)
Art. 89 del D.Lgs. 81/2008 – Definizioni
Committente: è il soggetto per conto del quale viene realizzata l’intera opera, indipendentemente da eventuali
frazionamenti della sua realizzazione.
Responsabile dei lavori: è il soggetto che può essere incaricato dal committente per svolgere i compiti ad esso attribuiti
dal decreto in materia, appunto, di salute e sicurezza.
Per quanto attiene i lavori pubblici, lo stesso art. 89 introduce una disciplina speciale ovvero :
Committente: è il soggetto titolare del potere decisionale e di spesa relativo alla gestione dell’appalto (Amministrazione
ovvero il Dirigente a cui spetta, ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 165/2001, l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi,
compresi quelli che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa
mediante autonomi poteri di spesa);
Responsabile dei lavori: è il responsabile del procedimento (RUP).
Sicurezza in cantieri di opere pubbliche
Ulteriori i rimandi del D.Lgs 81/2008 al Codice dei Contratti e/o alla figura del RUP, che rimarcano la volontà del legislatore
di considerare il codice norma prevalente; alcuni esempi:
all’art. 90, dove gli obblighi del responsabile dei lavori nelle fasi di progettazione dell’opera “avviene nel rispetto dei compiti
attribuiti al responsabile del procedimento”; all’ art. 100, dove di regola il committente, o il responsabile dei lavori, deve
assicurare che il datore di lavoro corrisponda al subappaltatore i compensi per gli oneri di sicurezza non soggetti a ribasso,
mentre, per cantieri operanti nel campo di applicazione del Codice di Contratti, viene fatto espresso riferimento all’art. 118
comma 4 ed al ruolo della stazione appaltante (RUP); all’ art. 101 dove, mentre nei cantieri privati vige l’obbligo di
trasmissione del piano di sicurezza e di coordinamento a tutte le imprese invitate a presentare offerte, “in caso di appalto di
opera pubblica si considera trasmissione la messa a disposizione del piano a tutti i concorrenti alla gara di appalto” .
Il RUP - Codice dei Contratti , Regolamento e D.Lgs 81/2008
E’ l’art. 10 del Codice dei Contratti che delinea il difficile e complesso ruolo del RUP, che deve essere nominato dalle
amministrazioni aggiudicatrici per sovrintendere le fasi di progettazione, affidamento ed esecuzione di ogni singolo
intervento.
L’articolo rimanda esplicitamente al Regolamento (al comma 4) l’individuazione di eventuali ulteriori compiti del RUP di
coordinamento con il Direttore dei Lavori, con il Direttore dell’esecuzione del contratto nonché con i coordinatori in materia
di salute e di sicurezza durante la progettazione e l’esecuzione.
Il Regolamento, infatti, aumenta i compiti del soggetto nominato RUP con particolare riferimento al ruolo di
responsabile dei lavori (di cui appunto all’art. 89 del D.Lgs 81/2008).
Art. 9 del Regolamento: è il RUP che “provvede a creare le condizioni affinchè il processo realizzativo dell’intervento
risulti condotto in modo unitario in relazione ai tempi e ai costi preventivati, alla qualità richiesta, alla manutenzione
programmata, alla sicurezza e alla salute dei lavoratori ed in conformità di qualsiasi altra disposizione di legge in materia”
Art. 10 del Regolamento - Il responsabile del procedimento tra l’altro: comma 1 -“n) adotta gli atti di competenza a seguito
delle iniziative e delle segnalazioni del coordinatore per l'esecuzione dei lavori sentito il direttore dei lavori”;
“u) trasmette agli organi competenti della amministrazione aggiudicatrice sentito il direttore dei lavori, la proposta del
coordinatore per l'esecuzione dei lavori di sospensione, allontanamento dell'esecutore o dei subappaltatori o dei lavoratori
autonomi dal cantiere o di risoluzione del contratto”.
Comma 2 - “Il responsabile del procedimento assume il ruolo di responsabile dei lavori, ai fini del rispetto delle norme
sulla sicurezza e salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro.”
Comma 3 - “Il responsabile del procedimento, nello svolgimento dell'incarico di responsabile dei lavori, salvo diversa
indicazione e fermi restando i compiti e le responsabilità di cui agli articoli 90, 93, comma 2, 99, comma 1 e 101, comma 1, del decreto
legislativo 9 aprile 2008, n. 81:
a) nella fase di progettazione dell’intervento richiede la nomina del coordinatore per la sicurezza (per la progettazione e
per l’esecuzione) e vigila sulla loro attività;
b) verifica, sentito il DL ed il coordinatore in fase di esecuzione, il corretto pagamento degli oneri per la sicurezza (non
soggetti a ribasso) da parte dell’impresa esecutrice nei confronti dei subappaltatori.
Il Regolamento conferma quindi le disposizioni indicate dal D.Lgs 81/2008 ed il RUP diventa “garante”
dell’Amministrazione anche in materia di sicurezza non solo nella prima fase di elaborazione e progettazione
dell’intervento, ma anche in quella più complessa di esecuzione, rivestendo il ruolo di colui che controlla e sovrintende
sull’operato delle numerose figure interessate.
A tale proposito, in punto di responsabilità penale, la giurisprudenza ha avuto di modo di affermare che “In materia di
infortuni sul lavoro, a carico del RUP - ai sensi degli art. 7 comma 2 e 8 commi 1 lett. f) e 3 d.P.R. n. 554 del 1999 (ora sostituito dal
cit. D.P.R. n. 207 del 5 ottobre 2010) - grava una posizione di garanzia connessa ai compiti di sicurezza non solo nella fase
genetica dei lavori, in sede di redazione dei piani di sicurezza, ma anche durate il loro svolgimento, ove deve svolgere
un'attività di sorveglianza del loro rispetto.
Laddove l'evento lesivo sia causalmente collegato alla inosservanza di tali obblighi la condotta colposa del lavoratore infortunato non
assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della
lavorazione svolta: in tal senso il garante per la sicurezza del lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il
comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità,
dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute” (cfr. Cassazione penale,
sez. IV, 14/06/2011, n. 41993).
Invero, anche nel settore dei lavori pubblici e, nello specifico, a carico del RUP, trova applicazione il principio generale
desumibile dal D.Lgs 81/2008 secondo cui “La responsabilità del datore di lavoro non è esclusa dai comportamenti
negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio (salva l'ipotesi in cui
si tratti di comportamenti eccezionali e abnormi, tali da recidere il nesso causale ex art. 41, comma 2, c.p.). Infatti, è pur vero che il
lavoratore, come soggetto destinatario di protezione, è anche soggetto destinatario di responsabilità, come si desume dall'art. 20 d.lg. 9
aprile 2008 n. 81, che obbliga il lavoratore a prendersi cura non solo della propria salute e sicurezza, ma anche di quella delle altre
persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni od omissioni (si tratta di un obbligo cautelare
"specifico", la cui violazione può integrare un addebito a titolo di "colpa specifica", con gli effetti,in caso di danno alle persone, di cui
agli art. 589 comma 2 e 590 comma 3 c.p.). Ma tale disposizione va letta unitamente a quella (art. 18, comma 3 bis, d.lg. n. 81 del
2008) che fonda l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro e del dirigente sull'adempimento degli obblighi previsti a carico,
tra gli altri, proprio del lavoratore: obbligo di vigilanza la cui violazione è autonomamente sanzionata ai sensi del
successivo art. 55 dello stesso d.lg. n.
81 del 2008. (cfr. Cassazione penale, sez. IV, 17/06/2015, n. 29794)
Riassumendo, quindi, in capo al RUP gravano numerosi compiti e responsabilità, tra i quali, in materia di sicurezza e quindi
desunti dal D.Lgs 81/2008:
obblighi previsti per il committente o responsabile dei lavori di cui agli artt. 89 e 90;
obbligo di controllo sull’operato del coordinatore per la progettazione e del coordinatore in fase di esecuzione dei lavori (art.
93);
obbligo di mettere a disposizione alle imprese concorrenti alla gara d’appalto il piano di sicurezza e coordinamento (art.
101);
invio della notifica preliminare alla azienda unità sanitaria locale e alla direzione provinciale del lavoro territorialmente
competente (art. 99).
Nomina del RUP
Il RUP deve essere nominato dall’Amministrazione per ogni singolo intervento e deve avere determinati requisiti e
competenze professionali (indicate nel Codice dei Contratti all'art. 10).
Di fatto tale nomina comprende tutte le responsabilità e i ruoli insiti nella funzione stessa tra cui, appunto, quelle
proprie del responsabile dei lavori in materia di sicurezza ai sensi e per effetto del Codice dei Contratti e del D.Lgs .
81/2008 stesso .
Non è quindi necessario formalizzare in altro modo tale incarico, poiché insito e compreso in quello più vasto del RUP.
ALLEGATO “D”
LEGGE DI STABILITA’ 2016 – MISURE DFISCALI D’INTERESSE PER IL SETTORE DELLE
COSTRUZIONI.
(legge del 28 dicembre 2016, n. 208).
Le novità in materia fiscale introdotte dalla Legge di Stabilità 2016, la legge n. 208 del 28 dicembre 2015, sono numerose.
Con riferimento alle misure fiscali interesse per il settore delle costruzioni, in vigore dal 1° gennaio 2016, il provvedimento
contiene una serie di disposizioni di particolare significato per il rilancio dell’attività edilizia che si spera possano contribuire
ad accelerare la ripresa economica del nostro paese.
In particolare, oltre all’adozione delle misure del cd. “pacchetto casa” (tra cui: eliminazione della TASI sulla “abitazione
principale”, proroga delle detrazioni fiscali, leasing abitativo, benefici fiscali per l’acquisto “prima casa”), di significativo
interesse è la detrazione IRPEF riconosciuta all’acquisto di case in classe energetica elevata, commisurate al 50% dell’IVA
pagata dall’acquirente.
Si esaminano di seguito alcune delle principali misure fiscali contenute nella Legge di Stabilità 2016.
Disposizioni in materia di IMU.
Nuove agevolazioni
Con riferimento alle misure per la casa, il provvedimento ha previsto nuove forme di agevolazioni IMU per determinate
categorie di soggetti.
In particolare la legge di Stabilità 2016, stabilisce la riduzione al 50% della base imponibile ai fini IMU nell’ipotesi di
abitazioni (escluse quelle classificate nelle categorie A/1, A/8 e A/9) concesse in comodato d’uso ai parenti in linea diretta
entro il primo grado (padre-figlio).
Il beneficio viene riconosciuto in presenza delle seguenti condizioni:
 Destinazione dell’alloggio ad abitazione principale da parte del comodatario,
 Registrazione del contratto.
 Il comodante che possiede, oltre all’immobile concesso in comodato, un altro alloggio, nello stesso comune, adibito a
propria abitazione principale (escluse quelle classificate nelle categorie A/1, A/8 e A/9).
A tal riguardo, tra le ulteriori novità approvate si segnala lo sconto del 25% sull’IMU dovuta per i fabbricati locati a canone
concordato.
In particolare, viene previsto che gli immobili locati a canone concordato (legge 431/1998), l’IMU, determinata in base
all’aliquota stabilita dal comune, è dovuta in misura pari al 75%.
Tale misura si affianca all’applicabilità, per i medesimi alloggi locati a canone concordato, della cedolare secca, con aliquota
ridotta al 10%, stabilita per il quadriennio 2014-2017.
Inoltre la Legge di Stabilità 2016 prevede l’esenzione dall’IMU per le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie,
a proprietà indivisa, destinate a studenti universitari, in qualità di soci assegnatari (anche in assenza dei requisiti della
residenza anagrafica).
A queste misure si aggiungono, poi, l’esenzione IMU delle aree agricole possedute dai coltivatori diretti e dagli imprenditori
agricoli professionali.
Disposizioni in materia di TASI
Abitazione principale – esclusione TASI
Viene prevista l’eliminazione della TADI sulla casa ad “abitazione principale” del contribuente che, pertanto, dal 1° gennaio
2016, non sconterà più alcun prelievo locale di carattere patrimoniale(né IMU né TASI).
La cancellazione del prelievo interessa tutte le “prime case” dei contribuenti, ad eccezione delle unità immobiliari residenziali
accatastate nelle categorie considerate di lusso, ossia: A/1 (abitazioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli,
palazzi di pregio artistico e storico), per le quali, quindi, viene mantenuto il prelievo IMU/TASI.
TASI – ulteriori agevolazioni soggettive.
Viene confermata l’eliminazione della TASI a favore degli inquilini che abbiano destinato la casa locata a propria “abitazione
principale”, che , quindi, rimane a carico del proprietario locatore.
Quest’ultimo deve versare la TASI in base alla percentuale stabilita a suo carico dal comune nel regolamento relativo
all’anno 2015. Tuttavia, nell’ipotesi di mancata individuazione della predetta percentuale, il possessore deve pagare il tributo
sui servizi indivisibili in misura pari al 90% dellammontare complessivo TASI.
Sempre per quel che riguarda le abitazioni concesse in locazione, a favore del proprietario, viene previsto lo sconto del 25%
sulla TASI dovuta per i fabbricati locali a canone concordato.
Analogamente a quanto previsto ai fini IMU, quindi, viene stabilito che per gli immobili locati a canone concordato (legge
431/1998) la TASI, determinata in base all’aliquota stabilita dal Comune, è dovuta in misura pari al 75%.
Inoltre, vengono introdotte ulteriori agevolazioni, quali l’applicazione delle definizioni ai “terreni agricoli ed abitazione
principale”, già dettate ai fini IMU, per l’esenzione anche dalla TASI.
A tal riguardo, in base alla formulazione della nuova disposizione, le ipotesi di esenzione soggettiva previste ai fini IMU
sembrerebbero applicarsi anche alla TASI.
Pertanto, l’ambito applicativo delle esenzioni del tributo sui servizi indivisibili riguarderebbe:
 Gli immobili delle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite a “prima casa” dai soci, gli alloggi sociali e quelli
posseduti dal personale delle forze armate,
 Gli immobili adibiti ad abitazione in cui risiede e dimora l’ex coniuge assegnatario in caso di separazione, divorzio o
annullamento degli effetti del matrimonio,
 Le unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie, a proprietà indivisa, destinate a studenti universitari, in qualità
di soci assegnatari.
Maggiorazione dell’aliquota TASI per il 2016.
Viene prorogata, anche per il 2016, la facoltà per i comuni di applicare sulle aliquote TASI, mediante propria delibera,
un’ulteriore maggiorazione, pari allo 0,8 per mille, naturalmente solo per gli immobili diversi da quelli per i quali viene
stabilita l’esenzione dal tributo (quale, ad esempio, l’abitazione principale non di lusso).
Registro/IVA per riacquisto della “prima casa”.
La Legge di Stabilità 2016 prevede, altresì, una disposizione in materia di applicabilità dei benefici fiscali (Registro 2% -IVA
4%) per l’acquisto della “prima casa”.
In particolare, viene stabilito che le agevolazioni si applicano anche al riacquisto di una nuova abitazione, a condizione che
la “prima casa” già posseduta entro un anno dal nuovo acquisto.
Come noto, tra le condizioni per fruire dei benefici “prima casa”, ai fini dell’imposta di registro, viene stabilito che tali
agevolazioni sono riconosciute se, nell’atto di acquisto dell’alloggio, l’acquirente dichiari di non essere proprietario di un’altra
abitazione per cui abbia già beneficiato delle medesime agevolazioni.
Intervenendo su tale disposizione, viene prevista una deroga a tale principio, stabilendo che i suddetti benefici sono
nuovamente applicabili per l’acquisto di una nuova “prima casa”, a condizione che l’abitazione già posseduta (il cui acquisto
era stato a suo tempo agevolato) venga venduto entro un anno dal nuovo acquisto.
Tale modifica produce effetti anche ai fini IVA, in caso di acquisto o costituzione di una nuova abitazione dall’impresa
(aliquota IVA al 4%).
Bonus per acquisto di abitazioni in classe energetica A o B.
Viene introdotta una detrazione IRPEF commisurata al 50% dell’IVA dovuta sull’acquisto di abitazioni in classe A o B,
effettuato dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016, da ripartire in 10 quote annuali di pari importo, a partire dal periodo d’imposta
nel quale l’acquisto è effettuato e nel 9 successivi.
Il beneficio, quindi, spetterà alle persone fisiche che nel 2016 acquisteranno dalle imprese costruttrici abitazioni in classe A o
B di nuova costruzione od incisivamente ristrutturate, a prescindere dall’uso che ne faranno (come “prima casa”, abitazione
da dare in affitto o da tenere a disposizione) ed a prescindere dall’accatastamento (potendo questa essere anche qualificata
come “casa di lusso”, classificata in una delle categorie catastali A/1 – abitazioni di tipo signorile; A/8 – abitazioni in ville o
A/9 – castelli, palazzi di pregio artistico e storico).
La limitazione temporale ad un anno, in ragione dell’esiguità delle risorse disponibili e dell’esigenza di testarne l’efficacia, ne
accentua la natura fortemente anticongiunturale, come strumento per sbloccare l’invenduto delle imprese di costruzioni..
Proprio in quest’ottica,, infatti, la disposizione è in grado di incrementare la domanda nel comparto residenziale, attribuendo
all’acquirente dell’abitazione un significativo risparmio d’imposta.
Basti pensare, ad esempio, che su un acquisto di un’abitazione per 250.000 euro di prezzo, il contribuente risparmierà:
 5.000 euro complessivi (500 euro l’anno), se si tratta di “prima casa”,
 12.500 euro complessivi (1,250 euro l’anno), se si tratta di una seconda casa.
Imposte d’atto in caso di riordino fondiario.
È stata introdotta l’esenzione dalle imposte di registro, ipocatastali e di bollo per gli atti e i provvedimenti emanati in
esecuzione dei piani di ricomposizione e riordino fondiario adottati dalle regioni, comuni, province e comunità montane.
Come noto, l’atto di ricomposizione fondiaria ha lo scopo di ristabilire l’originaria “capacità edificatoria” dei lottizzanti,
superando gli squilibri apportati dalle decisioni degli enti locali esplicitate nelle convenzioni attuative.
A tal riguardo, si ricorda che, in base alla disciplina ad oggi in vigore, gli atti di redistribuzione di aree tra co-lottizzanti
scontano l’imposta di registro in misura fissa e l’esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale e, se posti in essere da
imprese, sono esclusi da IVA.
Con la modifica approvata, pertanto, tali atti potranno beneficiare di un regime fiscale ancora più vantaggioso, consistente
nell’esenzione generale dalle imposte d’atto (registro, ipo-catastali e bollo).
Si tratta di una misura particolarmente positiva, tenuto conto che gli atti di ricomposizione fondiaria si sostanziano in scambi
di aree, tra soggetti attuatori di paini urbanistici, caratterizzati dall’assenza di qualsiasi intento speculativo ed, anzi, posti in
essere al mero scopo di riequilibrare la posizione dei singoli attuatori, superando gli squilibri che spesso si vengono a creare
a seguito delle convenzioni attuative stipulate con gli enti locali territoriali.
In quest’ottica, quindi, la completa detassazione di tali atti, ai fini delle imposte di registro, ipo-catastali e di bollo, non può
che valutarsi positivamente.
Riduzioni dell’Ires
Viene prevista la riduzione dell’aliquota IRES (imposta sul reddito sulle società), dall’attuale 27,5% al 24% a decorrere dal 1°
gennaio 2017.
Recupero e riqualificazione energetica.
Ristrutturazione edilizie.
La legge di Stabilità 2016 conferma la proroga delle detrazioni per le ristrutturazioni edilizie.
In particolare viene prorogato a tutto il 2016 il termine d’applicazione della detrazione IRPEF “potenziala” al 50% per gli
interventi di recupero del patrimonio edilizio, nel limite massimo di 96.000 euro per unità immobiliare, per le spese sostenute
dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016, relative a:
 Interventi di recupero edilizio (manutenzione ordinaria sulle parti comuni, manutenzione straordinaria, restauro,
risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia), nonché ulteriori interventi agevolabili (ad esempio: eliminazione
delle barriere architettoniche, misure volte a prevenire atti illeciti di terzi):
 Acquisto di abitazioni poste all’interno di fabbricati interamente ristrutturati da imprese di costruzioni o ristrutturazione
immobiliare, ovvero da cooperative edilizie, che prevedono, entro diciotto mesi dal termine dei lavori, alla successiva
vendita o assegnazione dell’immobile.
In tale ipotesi , la detrazione del 50% va calcolata forfetariamente, su un importo pari al 25% del corrispettivo di acquisto, da
assumere nel limite massimo di 96.000 euro per unità immobiliare.
Per le spese sostenute dal 1° gennaio 2017, invece, salvo ulteriori proroghe, la detrazione continuerà ad operare nella
misura ordinaria del 36%, nel limite massimo di 48.000 euro, ai sensi dell’art. 16-bis del dPR 917/1986 –TUIR.
Resta confermato che, al momento dell’accredito dei bonifici di pagamento delle spese sostenute agevolate, le banche
operano una ritenuta pari all’8% a titolo di acconto delle imposte sul reddito dovute dall’impresa esecutrice degli interventi.
Viene, altresì, prorogata la detrazione IRPEF del 50% per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici, ivi compresi i grandi
elettrodomestici dotati di etichetta energetica, di classe non inferiore alla A+ ( A per i forni), destinati ad abitazioni
ristrutturate, riconosciuta per le spese sostenute dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016, fino ad un importo massimo di 10.000
euro.
Le spese sostenute per l’acquisto di mobili si considerano nel complesso, ai fini della detrazione, a prescindere dall’importo
delle spese per i lavori di ristrutturazione, come, peraltro, già previsto per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2015.
Restano ferme le attuali modalità operative delle suddette detrazioni, che devono essere ripartire in 10 quote annuali di pari
importo.
Bonus mobili per e giovani coppie.
La Legge di Stabilità introduce, per il 2016, un nuovo “bonus mobili” a favore delle giovani coppi e che acquistano una
“prima casa”, a condizione che almeno uno dei due componenti non abbia superato i 35 anni d’età e siano sposati o
conviventi da almeno 3 anni.
In particolare, viene attribuita una detrazione IRPEF del 50% per le giovani coppie che acquistano, dal 1° gennaio 2016 al
31 dicembre 2016, mobili destinati all’arredo della nuova abitazione “prima casa”, calcolata su un ammontare complessivo
non superiore a 16.000 euro.
Il beneficio, da ripartire in dieci quote annuali di pari importo, non è cumulabile con il “bonus mobili”ordinario, collegato agli
interventi di recupero edilizio.
Riqualificazione energetica degli edifici (65%).
Rimane confermata, altresì, la proroga della detrazione IRPEF/IRES per la riqualificazione energetica degli edifici esistenti
che si applicherà ancora nella misura del 65% per le spese sostenute dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016, anche con
riferimento ai lavori su parti comuni condominiali (ovvero su tutte le unità immobiliari che contengono il condominio).
Inoltre, per le persone fisiche appartenenti alle cd. “tasse deboli”, viene previsto un regime alternativo di fruizione della
detrazione del 65% per interventi, effettuati nel corso del 2016, di riqualificazione energetica sulle parti comuni condominiali
degli edifici.
Tali soggetti possono optare, in luogo della detrazione spettante, per la cessione del corrispondente credito fiscale ai
fornitori che hanno eseguito i lavori, con le modalità che verranno definite in un provvedimento del Direttore dell’Agenzia
delle Entrate (da emanare entro 60 giorni dall’entrata in vigore della Legge di Stabilità 2016).
La suddetta possibilità è riconosciuta a favore dei seguenti soggetti:
 Pensionati con redditi inferiori o uguali a 7.500 euro annui),
 Lavoratori dipendenti con un reddito complessivo inferiore o uguale ad 8.000 euro,
 Soggetti che percepiscono redditi assimilabili a quelli di lavoro dipendente, inferiori o uguali a 4.800 euro.
In sostanza, con tale disposizione viene riconosciuta la possibilità di godere dell’agevolazione anche ai cd. “soggetti
incapaci”.
Viene previsto, altresì, che dal 1° gennaio 2016 l’agevolazione per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici è
estesa anche a favore degli interventi energetici eseguiti sugli immobili posseduti dagli ex istituti autonomi per le case
popolari (ex IACP).
Ulteriore novità riguarda l’estensione del beneficio cd. del 65% anche alle spese sostenute per l’acquisto, l’installazione e la
messa in opera di dispositivi multimediali a distanza degli impianti di riscaldamento, produzione di acqua calda o di
climatizzazione delle unità abitative.
Tali dispositivi devono essere volti ad aumentare la consapevolezza dei consumi energetici da parte degli utenti e a
garantire un funzionamento degli impianti.
Resta ferma, anche per le spese agevolabili con la detrazione del 65%, l’applicabilità della ritenuta operata dalle banche al
momento dell’accredito dei bonifici di pagamento, in misura pari all’8%, a titolo di acconto delle imposte sul reddito dovute
dall’impresa esecutrice degli interventi.
Sicurezza antisismica (65%).
Dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016 viene riconosciuta la proroga anche del “bonus antisismica”, che consiste in una
detrazione IRPEF/IRES pari al 65% delle spese sostenute, sino ad un ammontare massimo di 96.000 euro per interventi di
messa in sicurezza statica.
Il beneficio riguarda le abitazioni principali e gli immobili a destinazione produttiva, situati nelle zone sismiche ad alta
pericolosità (zone 1 e 2).
Come noto, questa forma di agevolazione si applica relativamente agli interventi per i quali la richiesta del titolo edilizio dei
lavori è stata presentata a partire dal 4 agosto 2013, data di entrata in vigore della legge 90/2013, di conversione del DL
63/2013.
La detrazione, riconosciuta per gli interventi di messa in sicurezza statica riguardanti le parti strutturale per la redazione
della documentazione obbligatoria, atta a comprovare la sicurezza statica è fruibile con le modalità già previste per la
detrazione IRPEF per le ristrutturazioni edilizie, e deve essere ripartita obbligatoriamente in 10 quote annuali di pari importo.
Compensazione dei debiti fiscali con i crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione.
Anche per il 2016, viene riconosciuta la possibilità di compensare le somme iscritte a ruolo con i crediti commerciali vantati
nei confronti della PA, non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, relativi a somministrazioni, forniture ed appalti, previa
acquisizione, da parte del creditore, della certificazione relativa all’esigibilità del credito, rilasciata dalla medesima PA.
Le modalità attuative di tale misura verranno definite con un decreto da adottare entro novanta giorni dal’entrata in vigore
della Legge di Stabilità 2016.
Come noto, l’art. 28-quater del dPR 602/1973 prevede che i crediti commerciali vantati nei confronti della PA, non prescritti,
certi, liquidi ed esigibili, relativi a somministrazione, forniture ed appalti, possono essere compensati con le somme iscritte a
ruolo, previa acquisizione, da parte del creditore, della certificazione relativa all’esigibilità del credito, rilasciata dalla
medesima PA.
Si ricorda che, sul tema, sono intervenuti, nel corso degli anni, diversi e successivi provvedimenti, colti a definire l’ambito
applicativo di tale strumento, specie per quel che riguarda il termine di notifica delle cartelle di pagamento che hanno
consentito di effettuare la compensazione con i crediti verso la PA.
Rivalutazione delle aree edificabili possedute da privati.
La Legge di Stabilità 2016 prevede una nuova riapertura dei termini per la rivalutazione delle aree edificabili ed agricole,
possedute da privati non esercenti attività commerciale, introdotta dall’art. 7 della legge 448/2001, ed oggetto, nel tempo, di
diverse proroghe e riapertura di termini.
In sostanza, viene nuovamente ammessa la possibilità di rideterminare il valore d’acquisto dei terreni edificabili ed agricoli
posseduti da privati non esercenti attività commerciale alla data del 1° gennaio 2016, mediante la redazione di una perizia di
stima ed il versamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sul reddito, pari all’8% dell’intero valore rivalutato delle aree.
Per completezza, si ricorda che la maggiorazione dell’aliquota all’8% si applica anche alle ipotesi di rivalutazione delle
partecipazioni qualificate e non.
Il versamento dell’imposta sostitutiva deve essere effettuato in unica rata entro il 30 giugno 2016, ovvero in 3 rate annuali di
pari importo da corrispondere entro il 30 giugno di ciascuna delle annualità 2016, 2017 e 2018.
In sostanza mediante la rivalutazione, i possessori possono utilizzare il nuovo valore dell’area come riferimento (“nuovo
valore d’acquisto”) ai fini del calcolo delle imposte sui redditi (ossia della cd. “plusvalenza” – artt. 67 e 68 del dPR 917/1986
– TUIR) e delle imposta d’atto dovute in fase di cessione del terreno.
N.B. per chi fosse direttamente interessato potrà avere informazioni da inoltrare al geom. Gnecchi in ordine ai
seguenti ulteriori regimi fiscali agevolativi:
- leasing abitativo;
- beni strumentali - “superammodernamento”
- consorzi – split payment e reverse charge
- rivalutazione dei beni d’impresa.
N.B. L’allegato “B 1” è riportato all’inizio del presente verbale.
ALLEGATO “ B 2”
a c.d. sanatoria giurisprudenziale alla luce della più recente giurisprudenza.
1. di Antonella Mafrica
Esperta in edilizia, urbanistica e diritto degli enti locali
Premessa
Secondo quanto previsto dall'art. 36 del Testo unico
edilizia u), "in caso di interventi realizzati in assenza di
permesso di costruire, o in difformità da esso ... il
responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario
dell'immobile possono ottenere il permesso in sa-7atoria
se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica
ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione
dello stesso, sia al momento della presentazione della
domanda”.
Il tenore della disposizione indica quale condizione per
l'applicabilità dell'istituto in questione la sussistenza
della cosiddetta "doppia conformità": l'opera eseguita
deve essere, cioè, conforme sia alle norme vigenti al
momento della sua realizzazione, sia a quelle vigenti
(2)
alla presentazione della domanda. In realtà, in
giurisprudenza si riscontrano due diversi orientamenti,
frutto di interpretazioni opposte che hanno portato a
sviluppi applicativi di segno assolutamente difforme: in
questa occasione andremo ad esaminarli brevemente.
L’orientamento minoritario.
Una posizione (3), in verità minoritaria, ma
autorevolmente sostenuta anche dal Consiglio di Stato in
passato,
ritiene
possibile
la
c.d.
“sanatoria
giurisprudenziale”, ammettendo la sanabilità delle
costruzioni originariamente abusive (in quanto non
rispettose delle norme urbanistiche vigenti al momento
della loro realizzazione) e divenute conformi a strumenti
urbanistici sopravvenuti e vigenti all’epoca della
presentazione della domanda ex art. 36 del Testo unico
edilizia. Tale tesi si basa, essenzialmente, sulla semplice
considerazione che sarebbe “palesemente irragionevole
negare una sanatoria di interventi che sarebbero
legittimamente concedibili al momento della istanza,
perdendo oltretutto automaticamente efficacia, a seguito
della presentazione di questa, il pregresso ordine di
demolizione e ripristino” (4), determinando inoltre
un’inutile dissipazione di mezzi e risorse, in violazione del
principio di economicità.
Secondo tale orientamento, il canone della doppia
conformità sarebbe preordinato a garantire il richiedente
dalla possibile variazione in peius della disciplina
urbanistico-edilizia, a seguito di adozione di strumenti
che riducano o escludano, appunto, lo ius aedificandi
sussistente al momento dell’istanza, mentre non
potrebbe ritenersi diretto a disciplinare l’ipotesi inversa
dello ius superveniens favorevole, rispetto al momento
ultimativo della proposizione dell’istanza. La regola in
parola sarebbe, dunque, enucleata “contro l’inerzia
dell’amministrazione”, e starebbe a indicare “che, se
sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la
sanatoria non può essere opposta una modificazione
della
normativa
urbanistica
successiva
alla
presentazione della domanda, tale regola non preclude
il diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere
che, realizzate senza concessione o in difformità dalla
concessione, siano conformi alla normativa urbanistica
vigente al momento in cui l’autorità comunale provvede
sulla domanda di sanatoria” (5).
L’orientamento maggioritario.
Un’altra tesi, invece, sicuramente maggioritaria,
sostenuta sia dalla giurisprudenza amministrativa (6) sia
dalla Corte di Cassazione (7), ritiene necessaria la c.d.
doppia conformità dell’intervento rispetto alla disciplina
edilizia-urbanistica vigente sia al momento della
realizzazione sia al momento della presentazione
dell’istanza ex art. 36 del TUE per poter ottenere il
permesso di costruire in sanatoria.
E ciò sulla base di solide argomentazioni, la prima delle
quali si basa sul dato letterale, nel senso di una rigorosa
applicazione del canone della “doppia conformità”milita,
innanzitutto, il tenore letterale del citato art. 36, del tutto
perspicuo ed in equivoco nel riferire il requisito della
conformità urbanistico-edilizia dell’opera (formalmente
abusiva) “sia” al momento della sua realizzazione, “sia”
al momento della presentazione della domanda di
sanatoria,
accettare
l’orientamento
interpretativo
minoritario significherebbe abrogare, di fatto, l’inciso
della norma “sia al momento della realizzazione dello
stesso” (e cioè dell’immobile abusivo) e, quindi, si
arriverebbe una interpretazione chiaramente contra
legem e, come tale, inammissibile; se, infatti, l’art. 36
fosse unicamente volto a salvaguardare il privato
istante dalle conseguenze sfavorevoli (nel senso di una
sopravvenuta modifica in peius dello ius aedificandi)
dell’interzia dell’amministrazione nel concludere l’avviato
procedimento di sanatoria, ras ebbe stato sufficiente in
riferimento testuale “al momento della presentazione
della domanda”.
Un secondo argomento è di natura storica.
Infatti, nell’emanare il nuovo art. 36, comma 1, in luogo
del previgente art. 13, comma 1, della legge 28 febbraio
1985, n. 47, il legislatore delegato, discostandosi dalla
linea suggerita dal Consiglio di Stato, ad. gen. atti norm.
29 marzo 2001, n. 52, nel senso di codificare la regola
pretoria della “sanatoria giurisprudenziale”, ha preferito
“non inserire una tale previsione, sia perché la
giurisprudenza sul punto non è pacifica (sicché non può
dirsi formato quel diritto vivente che avrebbe consentito
la modifica del dato testuale), sia soprattutto, per le
considerazioni in senso nettamente contrario contenute
nel parere espresso dalla Camera” (8). Un simile
antefatto storico dell’iter legislativo denota chiaramente
la resistenza dell’ordinamento al recepimento della regola
pretoria della “sanatoria giurisprudenziale”.
Un terzo solido argomento è di natura sistematica.
L’istituto dell’accertamento di conformità è stato
introdotto, nell’ambito di una revisione complessiva del
regime sanzionatorio degli illeciti edilizi, orientata nel
senso di una maggiore severità, con l’intento di
consentire la sanatoria dei soli abusi meramente formali,
vale a dire di quelle costruzioni per le quali, sussistendo
ogni altro requisito di legge e regolamento, manchi
soltanto il necessario titolo abilitativo. Il rilascio di
quest’ultimo in esito ad accertamento di conformità
presuppone, pertanto, in capo al responsabile dell’abuso,
una situazione giuridica del tutto equiparabile a quella di
chi richieda un ordinario permesso di costruire, ivi
compresa la sussistenza ab origine della conformità
urbanistico-edilizia dell’opera.
Del resto, alla sanabilità degli abusi sostanziali è dedicato
non l’istituto dell’accertamento di conformità, bensì quello
diverso del condono edilizio, nei limiti segnatamente
temporali, in cui quest’ultimo sia applicabile alla
fattispecie concreta considerata. Ciò posto, ammettere la
“sanatoria giurisprudenziale” significherebbe anche
introdurre surrettiziamente nell’ordinamento una sorta di
condono atipico, affrancato dai predetti limiti, mediante il
quale il responsabile di un abuso sostanziale potrebbe
trovarsi a beneficiare degli effetti indirettamente sananti
di un più favorevole ius superveniens, anziché di
un’apposita disciplina legislativa condonistica.
Nel delineato contesto sistematico l’art. 36, in quanto
norma circoscritta alle ipotesi di abusi meramente formali
e derogatoria del principio per il quale i lavori realizzati
sine titulo sono sottoposti alle prescritte misure
rispristinatorie e sanzionatorie, non è, dunque,
suscettibile di applicazione analogica né di una
interpretazione riduttiva, secondo cui, in contrasto con
suo tenore letterale, basterebbe la conformità delle opere
con lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui sia
proposta l’istanza di accertamento. Viceversa, stante
l’evidenziata portata speciale e derogatoria della norma
in esame, la sanabilità da essa prevista postula sempre
la conformità urbanistico-edilizia dell’intervento sine titulo
alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della
sua realizzazione sia alla data della presentazione della
domanda.
Infine, un’ulteriore argomentazione guarda alla funzione
teleologica della norma. I
Il denominatore comune delle argomentazioni addotte in
favore
della
regola
pretoria
della
“sanatoria
giurisprudenziale” è precipuamente rappresentato dalla
pretesa esigenza di ispirare l’esercizio del potere di
controllo sull’attività edificatoria dei privati al buon
andamento della pubblica amministrazione ex art. 97
Cost. Tale canone costituzionale imporrebbe, in sede di
accertamento di conformità ex art. 36, di accogliere
l’istanza di sanatoria per quei manufatti che potrebbero
ben essere realizzati sulla base della disciplina
urbanistica vigente al momento della proposizione della
predetta istanza, sebbene non conformi alla disciplina
vigente al momento della loro realizzazione. Si
eviterebbe, così, uno spreco di attività inutili, sia
dell’amministrazione (il successivo procedimento
amministrativo preordinato alla demolizione dell’opera
abusiva), sia del privato (la nuova edificazione), sia
ancora dell’amministrazione (il rilascio del titolo per la
nuova edificazione).
A ben vedere, invece, quella sorta di antinomia
adombrata
nel
propugnare
la
“sanatoria
giurisprudenziale” – e, quindi, nel ripudiare l’esigenza
della doppia conformità – tra i principi di legalità e di
buon andamento della pubblica amministrazione, con
assegnazione della prevalenza a quest’ultimo, in nome
di una presunta logica “efficientista”, si rileva artificiosa.
Va innanzitutto, rimarcato che l’agire della p.a. deve
essere in ogni sua fase retto dal principio di legalità
inteso quale regola fondamentale cui è informata
l’attività amministrativa e che trova un fondamento
positivo in varie disposizioni costituzionali (9). In altri
termini , lungi dal’esservi, antinomia fra fra efficienza e
legalità, non può esservi rispetto del buon andamento
della p.a. ex art. 97 Cost., se non vi è, nel contempo,
rispetto del principio di legalità. Il punto di equilibrio fra
efficienza e legalità è stato, nella materia de qua,
individuato dal legislatore nel consentire – come già
detto – la sanatoria dei c.d. abusi formali, sottraendo alla
demolizione le opere che risultino rispettose della
disciplina sostanziale sull’utilizzo del territorio, e non
solo di quella vigente al momento dell’istanza di
sanatoria, ma anche di quella vigente all’epoca della
loro realizzazione (e ciò in applicazione del principio di
legalità), e quindi evitando un sacrificio degli interessi
dei privati che abbiano violato soltanto le norma
disciplinanti il procedimento da osservare nell’attività
edificatoria (e ciò in applicazione dei principi di efficienza
e buon andamento, che sarebbero violati ove agli aspetti
solo formali si desse un peso preponderante rispetto a
quelli dell’osservanza rispetto a quelli dell’osservanza
sostanziale delle disposizioni generali e locali in materia
di uso del territorio).
La vera insanabile contraddizione risiederebbe, da una
lato, nell’imporre alle autorità comunali di reprimere e
sanzionare gli abusi edilizi, dall’altro, nel consentire
violazioni sostanziali della normativa del settore, quali
rimangono – sul piano urbanistico – quelle connesse ad
opere per cui non esista la doppia conformità, dovendosi
aver riguardo al momento della realizzazione dell’opera
per valutare la sussistenza dell’abuso.
Ciò in quanto sarebbe davvero contrario al principio di
buon andamento ex art. 97 Cost. ammettere che
l’amministrazione, u volta emanata la disciplina sull’uso
del territorio, di fronte ad interventi difformi dalla stessa,
sia indotta – anziché a provvedere a sanzionarli - a
modificare la disciplina stessa. Si finirebbe così per
incoraggiare, anziché impedire, gli abusi perché ogni
interessato si sentirebbe incitato alla realizzazione di
manufatti difformi, confidando sulla loro acquisizione di
conformità ex post, a mezzo di modifiche della disciplina
del settore. E si finirebbe per alterare l’essenza stessa
dell’accertamento (doppia) conformità, che risiede
(anche) nello sterilizzare e nel disancorare l’attività
pianificatoria
degli enti locali dalla tentazione di
“legalizzare” surrettiziamente l’illecita trasformazione del
territorio da parte dei privati tramite varianti “pilotate” agli
strumenti urbanistici.
Conclusioni.
Le argomentazioni dell’orientamento dominate sono
sicuramente fondate e difficilmente contrastabili.
In definitiva, predicare l’operatività della regola pretoria
della “sanatoria giurisprudenziale” e, per l’effetto,
consentire la legittimazione postuma di opere
originariamente
e
sostanzialmente
abusive
significherebbe tradire:
 il principio di legalità, di cui agli artt. 23, 24, 97, 101 e
113 Cost. e all’art. 1, comma 1 della legge n.
241/1990 (secondo cui “l’attività amministrativa
persegue i fini determinati dalla legge “).sia in quanto
si svuoterebbe della sua portata precettiva, certa e
vincolante la disciplina urbanistico-edilizia vigente al
momento della commissione degli illecitì, sia in
quanto,
estendendosi
l’ambito
oggettivo
di
applicazione del permesso di costruire in sanatoria, se
ne violerebbe la tipicità provvedi mentale, ancorata
dalla norma primaria che lo prevede (art. 36) alle sole
violazioni di ordine formale,
 il principio di imparzialità, di cui all’art. 97 Cost. e
al’art. 1, comma 1, della legge n. 2431/1990 (secondo
cui “l’attività amministrativa è retta da criteri …. di
imparzialità”), in quanto si finirebbe per premiare gli
autori di abusi edilizi sostanziali, a
discapito di tutti coloro che abbiano correttamente
eseguito
attività
edificatorie,
nel
doveroso
convincimento di rispettare prescrizioni da altri,
invece, impunemente violate;
 i principi di buon andamento e di efficienza, di cui
all’art. 97 Cost. e all’art. 1, comma 1 della legge n.
241/1990 (secondo cui l’attività amministrativa è retta
da criteri … di efficienza”), in quanto, premiando –
come detto – gli autori degli abusi edilizi sostanziali,
risulterebbe
attenuata,
se
non
addirittura
neutralizzata, la forza deterrente
dell’apparato
sanzionatorio posto a presidio della disciplina di
governo del territorio;
 i principi di proporzionalità e di ragionevolezza, cui agli
artt. 3 e 97 Cost., in quanto si estenderebbe l’ambito
oggettivo di applicazione di un istituto (permesso di
costruire in sanatoria) al di là della fenomenologia
(abusi edilizi meramente formali) in rapporto alla
quale quest’ultimo è stato enucleato e commisurato
dal legislatore.
Di conseguenza, eventuali spazi eccezionali per
l’applicabilità della sanatoria giurisprudenziale potrebbero
essere individuati solo da un intervento legislativo statale
(10), peraltro di difficile realizzabilità, visto che si
rischierebbe comunque di violare in modo più o meno
evidente i principi prima elencati (11).
Note.
(1) Decreto legislativo n. 380/2001.
(2) “nel concetto di «disciplina urbanistica ed edilizia vigente» è
da ritenersi indubbiamente ricompresa anche la disciplina
urbanistica solo adottata, el cui disposizioni sono vigenti ai sensi
dell’art. 12, dPR n, 380/2001”: TAR Lombardia, sez. II, Milano, 31
luglio 2012, n. 2157,
(3) TAR Valle l’Aosta, sent. 14 giugno 2011, n. 42; TAR Umbria,
sent. 14 gennaio 2011, n. 9; sent. 20 maggio 2010, n. 329 e
sent. 8 settembre 2005, n. 431; Consiglio di Stato, sez. VI, sent.
7 maggio 2009, n. 2835; sent. 7 maggio 2009, n,. 2835 e sent. 6
febbraio 2003, n. 592; sez. V, sent. 19 aprile 2005,n. 1796 e
sent. 21 ottobre 2003, n. 6498; sent. 28 maggio 2004, n. 3431 e
19 aprile 2005, n. 1796; TAR Abruzzo, sez. Pescara, sent. 11
maggio 2007, n. 634; TAR Sicilia, Palermo, sez. III, sent. 31
gennaio 2008, n. 137; TAR Sardegna, sez. II, sent. 17 marzo
2010, n. 314.
(4) Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 7 maggio 2009, n. 2835.
(5) Consiglio di Stato, sez. V, sent. 21 ottobre 2003, n. 6498.
(6) TAR Calabria, sez. Reggio Calabria, sent. 25 agosto 2015, n.
861; TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 13 agosto 2015, n.
1900; sent.5 settembre 2012, n. 2234 e sent. 9 giugno 2006, n.
1352; TAR Campania, Napoli, sez. III, sent. 26 giugno 2015, n.
3405; sez. VIII, sent. 20 marzo 2014, 1690; sent. 3 luglio 2012,
n. 3153 e sent. 22 maggio 2012, n. 2369; sez. VII, sent. 26
novembre 2012, n. 4796; Sez. IV, sent. 25 marzo 2011, n. 1746:
TAR Molise, sent. 13 marzo 2015, n. 110:TAR Umbria, sent. 3
dicembre 2014, n. 590; TAR Valle d’Aosta, sent. 11 marzo 2014,
n. 13 e sent. 2 novembre 2011, n. 71; TAR Toscana, sez. III,
sent. 27 marzo 2013, n. 497; sent. 11 febbraio 2011, n.n. 263;
sent. 14 giugno 2002, n. 1245 e sent. 15 aprile 2002, n. 724;
Consiglio di Stato , sez. V, sent. 6 luglio 2012n. 3961; sez. VI,
sent. 2 novembre 2009, n. 684; sent. 17 settembre 2007, n.
4838 e sent. 26 aprile 2006, n. 2306;TAR Abruzzo, sez. Pescara,
sent. 11 maggio 2012, n. 204; TAR Puglia, Lecce, sez. III, sent.
18 aprile 2012, n. 699 e sentenza 4 agosto 2011, n. 1484; TAR
Veneto, sez. II, ord. 29 marzo 2012, n. 236 e sent. 20 febbraio
2003, n. 1498.
(7) Cass. Pen., sez. III, sent. 25 maggio 2015, n. 26715, 26
aprile 2007, n. 24451, 21 ottobre 2008, n. 42526, 21 settembre
2009, 36350 e 21 gennaio 2010, n. 9446.
(8) Relazione illustrativa al TUE
(9) Artt, 23, 24, 97, 101 e 103 Cost.
(10) “Solo il legislatore statale (con preclusione non solo per il
potere giurisdizionale, ma anche per il legislatore regionale:
Corte Cost., 29 maggio 2013, n. 101) può prevedere i casi in
cui può essere rilasciato un titolo edilizio in sanatoria (avente
anche una rilevanza estintiva del reato già commesso)”: TAR
Lombardia, Milano, sez. II, sent. 13 agosto 2015, n. 1900.
(11) Ricordiamo, infine e solo incidentalmente, che anche la
Corte Costituzionale ha avuto modo di esprimersi sull’art. 36 del
TUE nella sentenza 29 maggio 2013, n. 101, nella quale ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 5, commi 1, 2
e 3, 6 e 7 della legge della regione Toscana 31 gennaio 2012, n.
4 (Modifiche alla legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 «Norme
per il governo del territorio» e della legge regionale 16 ottobre
2009, n. 58 «Norme in materia di prevenzione e riduzione del
rischio sismico»).
Nell’occasione i giudici hanno affermato, per quello che qui
rileva, che il principio della doppia conformità previsto dall’art. 36
del TUE, come è evidente dal contenuto letterale della norma,
“risulta finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della «disciplina
urbanistica ed edilizia» durante tutto l’arco temporale compreso
tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza
volta ad ottenere l’accertamento di conformità. Il rigore insito nel
principio in questione trova conferma anche nell’interpretazione
della giurisprudenza amministrativa, la quale afferma che, ai fini
della concedibilità del permesso di costruire in sanatoria, di cui
all’art. 36 del dPR n. 380 del 2001, è necessario che le opere
realizzate siano assentibili alla stregua non solo della disciplina
urbanistica vigente al momento della domanda di sanatoria, ma
anche di quella in vigore all’epoca di esecuzione degli abusi. In
tal senso la stessa giurisprudenza afferma che la sanatoria in
questione - in ciò distinguendosi da un vero e proprio condono –
è stata deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi
«formali», ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo,
rendendosi così palese la ratio ispiratrice della previsione della
sanatoria in esame, «anche di natura preventiva e deterrente»,
finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere
letture «sostanzialiste» della norma che consentano la possibilità
di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica
ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione , ma con
essa conformi solo al momento della presentazione dell’istanza
per l’accertamento di conformità”.
ALLEGATO “ B 3”
La responsabilità degli organi collegiali nell’adozione di provvedimenti
amministrativi, con particolare riferimento a quelli tecnici.
 di Pippo Sciscioli
Responsabile SUAP del Comune di Corato, Consulente Anci Puglia, avvocato specialista in scienze delle autonomie costituzionali, docente
formatore di enti locali, autore di pubblicazioni in materia
Nell'ambito della pubblica amministrazione per organo si intende la persona fisica (organo monocratico) o
il complesso di persone fisiche (organo collegiale) che agiscono per conto dell'ente persona giuridica e che
sono legittimati ad esercitare una pubblica potestà in quanto titolari di competenza amministrativa. È
l'organo che adotta i provvedimenti amministrativi che impegnano l'ente verso l'esterno in presenza di una
norma che attribuisca all'ente stesso e perciò all'organo il potere amministrativo.
La nozione di organo è stata da sempre al centro di un serrato dibattito in dottrina e giurisprudenza, che
sono giunte ad una pacifica definizione nel senso prima indicato, distinguendo la nozione di organo da quella
di ufficio che invece è costituito dal complesso di persone, beni e mezzi, preposto al servizio di un organo
per consentire a quest'ultimo l'espletamento delle funzioni assegnate.
Sulla natura giuridica del rapporto che lega l'organo all'ente esso può essere definito organico o di servizio.
Relativamente al primo, sia in dottrina che in giurisprudenza si è affermata la tesi che lo qualifica in termini
di immedesimazione organica, in virtù del quale l'organo e l'ente costituiscono un unicum inscindibile,
sicché il titolare dell'organo non viene considerato a sé stante e separato dall'ente.
II rapporto organico è un rapporto non giuridico ma organizzativo, tale per cui l'atto compiuto
dall'organo produce effetti giuridici automaticamente in capo all'ente.
Invece, diverso da esso è il rapporto di servizio che è di tipo giuridico ed indica la relazione esterna tra la
persona fisica e l'ente. Esso può sorgere con un formale atto di assunzione ma anche di fatto, come anche
quell'organico il quale, a sua volta, normalmente presuppone il rapporto di servizio.
Inquadrato il concetto di organo e la sua relazione con l'ente, va detto che gli organi si distinguono secondo vari
criteri di differenziazione fra cui quello della composizione.
Si hanno allora organi monocratici, costituiti da una sola persona, e organi collegiali, per i quali la
competenza amministrativa è assegnata ad un complesso di persone che costituiscono, appunto, un
collegio. Si pensi nel primo caso al sindaco e nel secondo al consiglio comunale.
A loro volta, i collegi si distinguono in collegi perfetti e collegi imperfetti, a seconda che il quorum
richiesto per la valida costituzione delle sedute sia pari o meno alla totalità dei componenti (si pensi quale
esempio di collegio perfetto alla commissione comunale di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo ex
art. 80 TULPS).
Ma il criterio distintivo più rilevante e spesso fonte, se male applicato, di provvedimenti illegittimi è quello
funzionale. In sostanza esso attiene alla distribuzione di competenze fra i vari tipi di organi, sia
monocratici che collegiali, in relazione alla diversa tipologia di funzioni svolte.
Sul punto, il d.lgs. 29/1993 ha rappresentato un fondamentale spartiacque nella distribuzione di competenze tra
organi politici e organi dí gestione.
Infatti ai primi sono assegnate funzioni di indirizzo politico e di controllo, sicché al ministro come al
presidente della regione o al sindaco è rimesso il potere di fissare obiettivi politici che gli organi di
gestione, cioè i dirigenti, hanno il compito di attuare, essendo poi assoggettati al controllo e alla verifica
dei primi. Tutto questo al fine di dare piena attuazione, anche sotto questo profilo, all'art. 97 Cost. (in virtù
del quale i pubblici uffici sono organizzati in base alla legge in modo da assicurare l'imparzialità e il buon
andamento della p.a.).
La suddetta distinzione, rimarcata più volte anche dalla giurisprudenza costituzionale e di merito, è
fondamentale per comprendere poi le dinamiche dei rap porti e delle rispettive responsabilità tra organi politici e
gestionali, che siano monocratici o collegiali.
Infatti, la stessa normativa successiva al d.lgs. 29/1993, dal d.lgs. 267/2000 (Tuel) al d.lgs. 165/2001, dalla I.
15/2009, al relativo decreto delegato 150/2009 e sino all'ultimissima legge Madia 124/2015, ha ribadito con
nettezza la diversità di funzioni tra le differenti tipologie di organi, ascrivendo a ciascuno di essi diversi profili di
responsabilità e di partecipazione al procedimento amministrativo di volta in volta in rilievo.
La suddetta diversificazione si riflette in modo evidente nel settore degli enti locali il cui Testo Unico (d.lgs. 267/2000)
all'art. 42 individua e scolpisce i poteri e le prerogative del consiglio comunale, organo politico collegiale, limitati
all'adozione di atti di indirizzo, nonché di piani e programmi senza alcun potere gestionale, al pari della giunta, le cui
funzioni vengono identificate in via residuale rispetto al consiglio e al sindaco.
Invece l'art. 107 del TUEL elenca gli atti di competenza dei dirigenti (organi di gestione), dal rilascio di autorizzazioni e
concessioni all'assunzione della presidenza e della qualità di componente delle commissioni di gara e di concorso.
Va tuttavia opportunamente segnalato che, specie per gli enti locali, questa distinzione di competenze fra organi politici e
gestionali soffre di alcune eccezioni come nel caso del sindaco, organo politico, che limitatamente alle ipotesi normate
dagli articoli 50 e 54 TUEL è legittimato ad adottare comunque atti ge-stionali nella fattispecie delle ordinanze contingibi-li
ed urgenti.
In disparte la particolare categoria degli atti politici, insindacabili giurisdizionalmente e sottratti alle regole della I.
241/1990 sul procedimento amministrativo e che consistono in quelli con cui si attua al massimo livello la direzione
suprema della cosa pubblica, tanto gli organi monocratici quanto quelli collegiali, sia politici che gestionali, sono
tenuti all'osservanza in generale delle disposizioni di cui alla I. 241/1990 in fase di adozione dei provvedimenti
amministrativi di competenza.
Provvedimenti che giungono all'esito di un procedimento amministrativo che dia conto delle motivazioni sottese alle
scelte effettuate, della partecipazione (salvi i casi previsti per legge) dei soggetti interessati, nonché dei principi di
proporzionalità, ragionevolezza, legittimo affidamento suscitato, rispetto dei termini fissati, oltre che delle disposizioni
previste dalle variegate discipline di settore con l'acquisizione dei pareri endoprocedimentali di altri organi.
Relativamente agli organi politici collegiali (per es. il consiglio o la giunta comunale) va posto un chiarimento.
Fermo restando che anch'essi sono tenuti all'osservanza della I. 241/1990 nell'adozione dei provvedimenti
amministrativi di competenza, sempre rimanendo nel campo degli enti locali, ai sensi dell'art. 49 TUEL così come
novellato dalla I. 213/2012, su ogni proposta di deliberazione da sottoporre a giunta e consiglio che non sia atto di
indirizzo deve essere acquisito il parere di regolarità tecnica e contabile (quest'ultimo ove l'atto abbia incidenza sugli
equilibri finanziari dell'ente) da parte dei dirigenti dei settori interessati.
Sicché se gli organi politici intenderanno poi discostarsi dai pareri degli organi gestionali dovranno congruamente
motivarlo in deliberazione, esponendosi in via esclusiva alle connesse responsabilità.
Conseguentemente, correlata alla distinzione tra i vari tipi di organi operanti nella p.a. e alle procedure caratterizzanti
l'adozione degli atti di competenza, si pone la particolare disciplina della responsabilità degli organi.
Giova subito richiamare il riferimento costituzionale che fa da sfondo al regime della responsabilità del personale
della p.a. e/o che opera per conto della p.a., nell'accezione ormai unanimemente accolta di p.a. a "geometrie
variabili" identificata in base alla funzione espletata e non alla natura giuridica formale.
E cioè l'art. 28 Cost., norma in base alla quale i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici in genere
sono direttamente responsabili secondo le leggi civili, penali e amministrative delle violazioni compiute in
conseguenza dei propri atti.
Intanto si evidenzia, in generale, che la responsabilità riservata al personale dipendente degli enti pubblici si estende,
con le opportune precisazioni che si illustreranno, anche agli organi politici, monocratici e collegiali.
Inoltre la responsabilità nelle sue varie forme non è limitata ai dipendenti pubblici ma si estende anche a coloro che
operano per conto della p.a. Infatti, costituisce un dato assolutamente pacifico in giurisprud enza (cfr. ex multis ss.uu.
Cassazione civile, sent. n. 11/12) che l'elemento che legittima l'ascrivibilità degli addebiti di responsabilità
non è costituito in via esclusiva dal rapporto alle dipendenze dell'ente, cioè il rapporto di impiego, ma
anche dal rapporto di servizio o gestorio in senso lato verificato in virtù dell'espletamento di un'attività
amministrativa in nome e per conto dell'ente di riferimento.
Ciò che conta è la funzionalizzazione dell'attività del soggetto per il soddisfacimento di interessi generali e
pubblici, per cui può essere chiamato a rispondere non solo colui che ha un rapporto di impiego ma anche
colui che, a qualsiasi titolo, svolge un munus pubblico, che sia organo politico o gestionale ovvero, ancora,
un privato investito di una pubblica funzione. La responsabilità di soggetti che operano per conto della p.a.
può essere civile, penale, amministrativa e, esclusivamente per gli organi gestionali e addetti anche agli
uffici, anche disciplinare, e, infine, soltanto per i dirigenti, anche dirigenziale nei casi di cui all'art. 21 del
d.lgs. 165/2001.
Occorre quindi distinguere fra i vari profili di responsabilità.
Per quanto attiene a quella penale, richiamato l'art. 27 Cost. per cui la responsabilità penale è personale,
essa è ascritta alla persona fisica che, attinta da un rapporto di servizio con l'ente a qualsiasi titolo, organo
politico o gestionale, monocratico o gestionale, si rende autore di uno dei reati di cui al titolo Il del capo I
del libro II del codice penale (reati contro la p.a). Per quanto attiene alla responsabilità civile essa involge,
sia nei casi dell'art. 2043 c.c. che in quelli speciali disciplinati dall'art. 2047 all'art. 2054 c.c. e da leggi
speciali, sia il soggetto legato da rapporto di servizio con l'ente che l'ente stesso. Con la particolarità,
tuttavia, che il creditore, proprio per la natura solidale di tale forma di responsabilità, preferirà
normalmente agire contro l'ente per l'intero, in ragione della sua più sicura e maggiore solvibilità, fatta
salva la successiva azione di rivalsa dell'ente verso il dipendente autore del fatto illecito.
Relativamente poi alla responsabilità amministrativo-patrimoniale (detta anche "erariale"), essa trova la disciplina di
riferimento nella I. 20/1994 che individua cinque elementi costitutivi, e cioè:
- il danno all'erario, sotto forma di depauperamento e mancato incremento del patrimonio dell'ente;
- la condotta illecita (non essendo sufficiente il singolo atto illegittimo che al più potrebbe risultare un indizio);
- il dolo o la colpa grave (intesa quest'ultima come la sprezzante trascuratezza dei minimi doveri d'ufficio, l'errore
marchiano e grossolano, la clamorosa superficialità);
- il nesso di causalità fra condotta ed evento;
il rapporto gestorio che lega l'agente all'ente (potendo il primo anche essere un soggetto privato coinvolto
in un procedimento amministrativo, come l'imprenditore che utilizza a diverso scopo i fondi pubblici
ricevuti dallo Stato allo scopo di ammodernamento o costruzione di impianti produttivi).
La responsabilità amministrativa (che comprende anche quella particolare di tipo contabile, appuntabi-le
solo in capo a coloro che maneggiano soldi e valori pubblici come gli agenti contabili, i cassieri, i
consegnatari, gli economi, ecc.) è personale.
Ne consegue che quando il danno è compiuto da più persone (tranne i casi di dolo o di illecito
arricchimento in cui è solidale) la responsabilità è imputabile a ciascun agente in relazione all'effettivo
apporto causale del singolo.
In ragione di ciò, la responsabilità amministrativa si distingue in relazione agli organi monocratici e
collegiali, politici e di gestione, sul presupposto che saranno tenuti a rispondere tutti coloro che, a
prescindere dalla natura soggettiva pubblica del rapporto di lavoro con la p.a., gestiscano comunque
risorse pubbliche per il conseguimento di finalità pubbliche.
Ed allora, fermo restando che le scelte discrezionali della p.a. sono sottratte al sindacato del giudice
contabile se non per manifesta illogicità e irrazionalità, si ha che agli organi monocratici di gestione è
imputabile la responsabilità erariale ove ricorrano ì cinque presupposti di cui alla I. 20/1994, fatto salvo il
concorso nel fatto causativo di danno erariale di tutti coloro che hanno rilasciato — in sede di procedimento
amministrativo — i pareri tecnici di compètenza.
Relativamente agli organi collegiali, politici e di gestione, risponderanno in via amministrativa soltanto
coloro che hanno votato a favore in sede di deliberazione dell'atto da cui è scaturito il danno.
In relazione a ciò, in disparte il potere riduttivo del giudice contabile per l' utilitas comunque prodotta
all'ente, tranne che nei casi di dolo e illecito arricchimento degli agenti, il giudice potrà graduare la
responsabilità di ciascuno degli autori della condotta in relazione all'apporto causale dato ed al ruolo rivestito
nell’ambito dell’ente.
Ancora, nel caso degli organi politici che si siano discostati dai contrari pareri degli organi tecnici, la
responsabilità sarà loro ascritta in via esclusiva .
Inoltre, per gli organi politici l'art. 1, comma 1-ter della I. 20/1994 prevede, nei casi di provvedimenti
tecnici di loro competenza ma per i quali è stato acquisito il parere di uffici tecnici o amministrativi, la c.d.
"esimente politica", sicché essi non risponderanno se in buona fede li abbiano approvati o ne abbiano
consentito l'esecuzione.
Ma ad una condizione: che, cioè, si tratti di atti con elevati profili di complessità tecnica o giuridica tali da
non consentire agli organi politici adottanti un'autonoma, agevole e piena comprensione.
Infine, la materia della responsabilità erariale conosce una sua particolare declinazione anche con
riferimento alle società in mano pubblica.
Sulla scorta della svolta impressa dalle ss.uu. della Cassazione civile con la sentenza n. 26283/13,
successivamente ripresa dalle ss.rr. della Corte dei Conti, per le
società in house, così come definite dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale e da ultimo dall'art. 12 della
direttiva Ue n. 24/14 che, ancorché non ancora recepita in Italia con legge ordinaria, avendo natura self-executing
sarebbe già applicabile, giusta parere n. 298 del 30 gennaio 2015 del Consiglio di Stato reso in sede consultiva,
vige relativamente ai propri organi la stessa disciplina già esaminata per gli organi degli enti pubblici, di cui le
predette società in house rappresentano una mera articolazione interna a dispetto della "formale" veste societaria
privata.
Nel caso in cui, invece, si tratti di società partecipate non in via totalitaria dall'ente pubblico e per le quali
difettino i requisiti del controllo analogo, del capitale interamente pubblico e dello svolgimento in via
prevalente dell'attività per conto dell'ente, si ha che per l'atto di mala gestio posto in essere
dall'amministratore in danno del patrimonio della società sarà esperibile l'azione di responsabilità sociale
ex artt. 2392 e 2393 c.c. nei suoi riguardi di fronte al giudice ordinario e non a quello contabile, in virtù del
principio di autonomia patrimoniale perfetta tipico delle società di capitali in base al quale delle
obbligazioni contratte dalla società risponde solo la società con il suo patrimonio e noni singoli soci.
Invece, sarà configurabile una fattispecie di responsabilità erariale, da azionare dinanzi alla Corte dei Conti,
per l'omesso controllo del socio pubblico sull'atto di mala gestio dell'amministratore della società da cui sia
derivato un detrimento della quota azionaria pubblica e, dunque, all'erario pubblico.
Infine, tuttavia, sulla tematica particolare della responsabilità delle società partecipate dall'ente pubblico
— ma non in maniera totalitaria — si segnala un recente orientamento della magistratura contabile
(vedasi sul punto sent. 178/15 della I sezione giurisdizionale centrale d'appello della Corte dei Conti)
proclive ad estendere la sua giurisdizione anche in questi casi e non solo alle società a totale capitale
pubblico, superando il già cennato principio fissato con sentenza n. 26283/13 dalle ss.uu. civili della
Cassazione.
Scrivono i giudici contabili: "(...) in un periodo, come quello presente, nel quale si comprimono con frequenza
sempre maggiore, per (serissimi!) motivi di bilancio, insopprimibili esigenze di carattere sociale nei confronti dei
soggetti più deboli e bisognosi (...) un'interpretazione che assegnasse al giudice ordinario la giurisdizione sui danni
a società partecipate da enti pubblici potrebbe determinare, se trattasi di società deputate allo svolgimento di
servizi pubblici, la violazione dei fondamenti costituzionali e degli stessi principi del diritto Ue, con la responsabilità
-
dello Stato-giudice per inadempimento dei principi del diritto comunitario: il quale, come ampiamente noto,
valorizza con decisione l'interesse dei cittadini e delle imprese contribuenti ad una gestione delle risorse pubbliche
trasparente, sana, efficiente ed economica (...) tutto questo complesso normativo postula un controllo
magistratuale, o comunque indipendente e neutrale, su tutte le gestioni pubbliche, onde verificare, con trasparenza
e tracciabilità, l'esistenza di gestioni inefficienti e diseconomiche di risorse pubbliche. Il diritto dell'Unione europea,
difatti, nel prevedere la procedura di sorveglianza multilaterale sui disavanzi eccessivi, ha imposto a tutti gli Stati di
porre in essere meccanismi idonei a elaborare i dati finanziari da trasmettere alle Istituzioni europee, per
consentire le necessarie verifiche. Proprio in ottemperanza a tali principi, la legislazione nazionale ha modificato gli
strumenti di finanza pubblica introducendo, tra l'altro, il patto di stabilità interno, la decisione di finanza pubblica, la
legge di stabilità (legge n. 196/2009) ed il conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni, nel quale
sono considerate anche le risorse consumate attraverso partecipazioni in società di gestione di servizi pubblici.
E le stesse linee di politica legislativa interne, tese all'attuazione del federalismo fiscale e del principio di
tracciabilità dei tributi, richiedono a loro volta un più incisivo, efficace (nonché completo e complessivo) controllo
della gestione della spesa pubblica.
(….) La giurisdizione di responsabilità attribuita dalla Carta fondamentale alla Corte dei Conti, dunque, è
strumentale al soddisfacimento di rilevantissimi e preminenti interessi pubblici, a vantaggio dell'intera collettività
dei cittadini e delle imprese contribuenti, sicché un'interpretazione restrittiva delle disposizioni che ne definiscono
l'ambito appare non solo non giustificate (…) ma anche lesiva di basilari principi di rango costituzionale ed europeo
escludere da tale contesto una quota ingentissima di risorse pubbliche, quelle gestite cioè da soggetti formalmente
privati (e per questa sola ragione) – con l''unica, limitatissima eccezione per le società formalmente in house –
rappresenterebbe un vulnus grave e inconcepibile ai principi di integrità e trasparenza della finanza pubblica
allargata, innanzi richiamati”.
ALLEGATO “B 4”
La sopraelevazione dell’ultimo piano di un condominio e le verifiche da
parte dell’ufficio tecnico comunale.
 Di Antonella Mafrica
Esperta in edilizia, urbanistica e diritto degli enti locali.
Premessa
L'art. 1127 c.c. dispone che "Il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche,
salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare. La
sopraelevazione non è ammessa se le condizioni statiche dell'edificio non la consentono.
I condomini possono altresì opporsi alla sopraeleva-zione, se questa pregiudica l'aspetto architettonico dell'edificio
ovvero diminuisce notevolmente l'aria o la luce dei piani sottostanti
Chi fa la sopraelevazione deve corrispondere agli altri condomini un'indennità pari al valore attuale dell'area da
occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e detratto l'importo
della quota a lui spettante. Egli è inoltre tenuto a ricostruire il lastrico solare di cui tutti o parte dei condomini
avevano il diritto di usare". Si tratta di una norma che in più occasioni è stata oggetto di attenzione da parte della
giurisprudenza che ha evidenziato una serie di peculiarità: può essere utile, perciò, indicarle a beneficio dell'ufficio
tecnico comunale che ben potrebbe trovarsi dinanzi ad una richiesta di un titolo edilizio per la sopraelevazio-ne
dell'ultimo piano di un condominio (1).
La nozione di sopraelevazione
Preliminarmente, è importante chiarire che nella sopraelevazione rientrano:
- la realizzazione di nuovi piani (senza limite di numero o di altezza) ulteriori a quelli già esistenti;
- l'innalzamento di 50 cm. delle mura perimetrali ed il corrispondente rifacimento del tetto al di sopra delle
stesse, con la trasformazione del preesistente locale sottotetto in due nuove unità abitative (2);
- la realizzazione di una struttura stabile in alluminio, immobilizzata solidamente sul terrazzo di copertura
di proprietà esclusiva (3);
- la sostituzione del tetto con una terrazza se quest'ultima, oltre ad assolvere la funzione di copertura dell'edificio,
acquista, per struttura e ubicazione, il carattere di bene di proprietà di uso esclusivo del proprietario dell'ultimo
piano, oppure è destinata al godimento anche dei condomini estranei alla sopraelevazione (4);
l'installazione di una veranda a vetri, con copertura del terrazzo all'ultimo piano dell'edificio
condominiale (5);
- la trasformazione di locali preesistenti aumentandone le superfici e le volumetrie (6);
- in generale, in tema di condominio, costituisce "sopraelevazione" l'intervento edificatorio che comporti lo
spostamento in alto della copertura del fabbricato, in modo da occupare lo spazio sovrastante e superare
l'originaria altezza dell'edificio: la nozione di "sopraelevazione" non va pertanto limitata alla costruzione di
nuovi piani dell'edificio, ma si estende ad ogni intervento che comporta l'innalzamento della copertura del
fabbricato (7).
Sono escluse, invece, le modificazioni attuate all'interno delle singole unità abitative e contenute negli
originari limiti strutturali (es. trasformazione di un locale sottotetto in un'unità abitabile o divisione in senso
orizzontale di un appartamento mediante la costruzione di una soletta in cemento) (8), la realizzazione di
altane (9) e di pensiline in tenda o in altro materiale che non dia luogo alla delimitazione con pareti (1.°) e la
ristrutturazione di un sottotetto o di una soffitta a condizione che le modifiche siano solo interne e contenute
negli originari limiti dell'edificio, senza alcun aumento della sua altezza (11)
L'obbligo delle verifiche in capo all'ufficio tecnico
Secondo la giurisprudenza (12) , ai fini del rilascio del titolo edilizio l'amministrazione è onerata del solo
accertamento della sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità
dell'area oggetto dell'intervento edilizio e, nel verificare l'esistenza in capo al richiedente di un idoneo
titolo di godimento sull'immobile, non si assume il compito di risolvere eventuali conflitti di interesse tra le
parti private in ordine all'assetto proprietario, ma accerta soltanto il requisito della legittimazione
soggettiva di colui che richiede il permesso.
In sede di rilascio di un titolo abilitativo edilizio il comune ha l'obbligo di verificare il rispetto da parte
dell'istante dei limiti privatistici solo a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti, o
immediatamente conoscibili, o non contestati, di modo che il controllo da parte dell'ente locale si traduca in
una semplice presa d'atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un'accurata e approfondita
disamina dei rapporti civilistici (13).
Non vi è, infatti, da parte dell'amministrazione la necessità di procedere a un'accurata ed approfondita
disamina dei rapporti tra i vicini o i condomini, rientrando la presenza di eventuali diritti ostativi o la supposta
pretesa di lesioni di diritti soggettivi, quali quelli di luce e veduta, nell'ambito delle controversie tra privati, che
gli stessi privati potranno difendere nelle opportune sedi, e non all'aspetto della legittimità degli atti
autorizzatori dell'esercizio dello ius ae-dificandi anche in sede di sanatoria (14) .
E ancora, se l'amministrazione normalmente non è tenuta a svolgere indagini particolari in presenza di
una richiesta edificatoria presentata da un comproprietario, qualora invece uno o più comproprietari si
attivino per denunciare il proprio dissenso rispetto al rilascio del titolo edificatorio, il comune dovrà
verificare se, a base dell'istanza edificatoria, sia riconoscibile l'effettiva sussistenza della disponibilità del
bene oggetto dell'intervento edificatorio (15) , che evidenzia la possibile rilevanza in fase autorizzatoria dei
limiti posti da diritti di terzi.
Questo significa che l'ufficio tecnico dovrà pretendere copia del titolo giuridico in base al quale il
richiedente si qualifica come proprietario dell'ultimo piano dell'edificio e da cui emerge il proprio diritto a
sopraelevare e/o l'assenza di limiti all'esercizio del diritto suddetto (in realtà, come vedremo meglio nel
proseguo, l'ufficio dovrà effettuare anche una verifica circa il regolamento condominiale, se il titolo è rappresentato
da un atto negoziale) (16).
Il limite previsto dal titolo
II primo elemento di verifica, quindi, deve essere il titolo giuridico in base al quale il proprietario dell'ultimo
piano dell'edificio o il proprietario esclusivo del lastrico solare ( 17) può effettuare l'intervento di sopraelevazione: l'atto negoziale da cui ha avuto origine il condominio o il regolamento condominiale redatto
dall'originario venditore ed accettato da tutti i compratori o il regolamento condominiale successivamente
adottato con consenso unanime o l'atto di acquisto da cui deriva la proprietà del singolo (18). Secondo
quanto previsto dal codice civile, il diritto a sopraelevare deve considerarsi sussistente se dal titolo non
risulta diversamente; di conseguenza, potremo avere le seguenti alternative:
- il titolo non prevede nulla in merito al diritto alla sopraelevazione: deve ritenersi sussistente il
diritto, in virtù della previsione codicistica ex art. 1127;
- il titolo riconosce espressamente il diritto alla so-praelevazione;
- il titolo prevede dei limiti all'esercizio del diritto alla sopraelevazione (ad esempio, in merito ai materiali da
utilizzare per l'edificazione o alle relative dimensioni o al numero dei piani per i quali è possibile la
sopraelevazione);
- il titolo nega il diritto alla sopraelevazione (integrandosi così un'ipotesi di "servitus altius non tol-lene (193).
È evidente che l'ufficio tecnico comunale dovrà valutare attentamente il titolo per potersi esprimere sulla
richiesta di sopraelevazione secondo le alternative del caso concreto. Nel caso in cui già dall'esame del
titolo emergano elementi ostativi (perché viene esclusa tale facoltà o perché l'intervento proposto non è
rispettoso dei limiti previsti dal titolo), l'ufficio tecnico dovrà respingere la richiesta, motivando
congruamente il diniego per difetto della facoltà (nel caso di esclusione del diritto a sopraelevare) o per
contrasto con i limiti indicati nel titolo.
Il limite previsto dal regolamento condominiale
Secondo la giurisprudenza (28) , i limiti all'esercizio del diritto di sopraelevare, assimilabili ad una servitù al-tius
non tollendí, possono essere costituiti soltanto con espressa pattuizione, che può essere contenuta anche nel
regolamento condominiale, di tipo contrattuale: di conseguenza, se il titolo non esclude il diritto alla
soraelevazione, è necessario che l'ufficio tecnico richieda copia del suddetto regolamento al richiedente il permesso
di costruire per verificare la presenza di eventuali limiti concreti nel caso specifico, di cui tenere conto ai fini del
rilascio o del diniego del titolo edilizio.
Il limite della staticità dell'edificio
Superate positivamente le verifiche sul titolo giuridico e sul regolamento condominiale, l'ufficio tecnico è
chiamato a verificare il limite della staticità dell'edificio. Secondo la giurisprudenza (21), il divieto di sopraelevazione, per inidoneità delle condizioni statiche dell'edificio, previsto dall'art. 1127, secondo comma, c.c.,
va interpretato non nel senso che la sopraeleva-zione è vietata soltanto se le strutture dell'edificio non
consentono di sopportarne il peso, ma nel senso che il divieto sussiste anche nel caso in cui le strutture siano
tali che, una volta elevata la nuova fabbrica, non consentano di sopportare l'urto di forze in movimento quali le
sollecitazioni di origine sismica. Pertanto, qualora le leggi antisismiche prescrivano particolari cautele tecniche
da adottarsi, in ragione delle caratteristiche del territorio, nella sopraelevazione degli edifici, esse sono da
considerarsi integrative dell'art. 1127, secondo comma, c.c., e la loro inosservanza determina una presunzione
di pericolosità della sopraelevazione che può essere vinta esclusivamente mediante la prova, incombente
sull'autore della nuova fabbrica, che non solo la sopraelevazione, ma anche la struttura sottostante sia idonea a
fronteggiare il rischio sismico.
Si tratta di un limite considerato assoluto dalla giurisprudenza (22) (a differenza delle altre ipotesi che
affronteremo nei successivi due paragrafi, che possiedono carattere facoltativo (23)), a cui però è possibile
ovviare se, con il consenso unanime dei condomini, il proprietario sia autorizzato all'esecuzione delle opere
di rafforzamento e di consolidamento necessarie a rendere idoneo il fabbricato a sopportare il peso della
nuova costruzione.
In ragione del carattere assoluto del limite de quo, perciò, è necessario che il richiedente il permesso di
costruire per la sopraelevazione dell'ultimo piano provi, con idonea documentazione tecnica, il rispetto della
staticità dell'edificio a seguito dell'intervento programmato e che sia la sopraelevazione sia l'edificio
sottostante sono idonei a fronteggiare il rischio sismico (24).
Il limite dell'aspetto architettonico dell'edificio
L'art. 1127 c.c. prevede che i condomini (anche singolarmente (25)) possono opporsi (26) alla sopraeleva-zione se tale
intervento "pregiudica l'aspetto architettonico dell'edificio (...]".
Secondo la giurisprudenza:
- in materia di condominio negli edifici, la nozione di aspetto architettonico, di cui all'art. 1127, c.c., che opera
come limite alla facoltà di sopraelevare, non coincide con quella, più restrittiva, di decoro architettonico, di
cui all'art. 1120 c.c., che opera come limite alle innovazioni, sebbene l'una nozione non possa prescindere
dall'altra, dovendo l'intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e
non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne
l'originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista (27);
il giudizio relativo all'impatto della sopraelevazio-ne sull'aspetto architettonico dell'edificio va
condotto, ai sensi dell'art. 1127, comma terzo, c.c., esclusivamente in base alle caratteristiche
stilistiche visivamente percepibili dell'immobile condo miniale, inteso come struttura dotata di un aspetto
autonomo, al fine di verificare se la nuova opera si armonizzi con dette caratteristiche ovvero se ne discosti in
maniera apprezzabile (28);
- il pregiudizio all'aspetto architettonico consiste in un'incidenza di particolare rilievo della nuova opera sullo
stile architettonico dell'edificio, che — essendo immediatamente apprezzabile ictu oculi ad un'osservazione
operata in condizioni obiettive e soggettive di normalità da parte di persone di media preparazione— si
traduce in una diminuzione del pregio estetico e quindi economico del fabbricato (29) (un'ipotesi concreta di
pregiudizio è stata riscontrata nella diversità di composizione di materiali del manufatto, nella minore altezza
rispetto agli altri piani, nel tipo di copertura e di finestratura, tale da escludere l'equilibrio estetico della
facciata (39.
Qui si pone un dubbio: se certamente l'ufficio tecnico sarà chiamato a valutare l'eventuale pregiudizio dell'aspetto
architettonico dell'edificio derivante dal progettato intervento di sopraelevazione nel caso di opposizione scritta e
comunicata da parte dei condomini, come dovrà comportarsi nel caso di assenza di opposizione?
Secondo noi, l’intervento dovrà essere apprezzato secondo quanto previsto dal regolamento edilizio comunale:
di conseguenza, l'ufficio tecnico dovrà comunque affrontare il problema e risolverlo alla luce di quanto
previsto dalla citata fonte regolamentare locale
Il limite della diminuzione notevole dell'aria e della luce per i piani sottostanti
L'art. 1127 c.c. prevede che i condomini possono opporsi alla sopraelevazione anche se tale intervento
"diminuisce notevolmente l'aria o la luce dei piani sottostanti" (ipotesi che potrebbe facilmente verificarsi
quando l'edificio si trova in una strada angusta o prospetta su un cortile di piccole dimensioni). Anche in
questa ipotesi si pone il dubbio indicato nel punto precedente: come deve comportarsi l'ufficio tecnico? In
presenza di un'opposizione da parte dei condomini (anche di uno solo), l'ufficio sarà chiamato ad
effettuare le necessarie valutazioni; in assenza, invece, riteniamo che la valutazione dell'intervento debba
essere effettuata con riferimento alle norme del regolamento edilizio.
I limiti urbanistici
Ovviamente, anche le prescrizioni urbanistiche costituiscono un limite da rispettare: di conseguenza, sarà
impossibile la sopraelevazione quando, ad esempio, l'edificio ha già raggiunto il massimo della volumetria assentibile secondo quando indicato dallo strumento urbanistico oppure quando il volume della nuova costruzione sia
eccedente rispetto al valore residuo possibile. Allo stesso modo, sarà impossibile una sopraelevazione non rispettosa delle
norme in materia di distanze
(31)
.
Prescrizioni indicate dalla giurisprudenza
La giurisprudenza ha indicato anche alcune prescrizioni che la sopraelevazione deve rispettare:
- deve tenersi entro l'area delimitata dai muri perimetrali e non è possibile costruire opere a sbalzo che
per struttura e dimensione compromettano l'equilibrio degli interessi dei condomini (32) ;
- non si può spingere il corpo sopraelevato oltre la linea della facciata sottostante, occupando lo spazio
soprastante un cortile comune al proprietario di un edificio contiguo (33);
- il diritto di sopraelevazione è commisurato alla proprietà esclusiva dell'ultimo piano dell'edificio stesso: ne
consegue che se l'appartamento sito all'ultimo piano confini con il vano scala comune anche al
proprietario di un appartamento sito su una verticale diversa, colui che sopraeleva non può occupare con
la sua opera anche l'area di detto vano, salvo che non risulti diversamente dal titolo (34) ;
- il condomino che ha diritto di sopraelevare ha facoltà di apportare le modifiche necessarie alla scala
comune, mediante le indispensabili demolizioni e le successive ricostruzioni a livello più elevato (35).
Il ruolo dell'assenso condominiale
Secondo la giurisprudenza (36) , la facoltà di sopraelevare in discorso non necessita di alcun riconoscimento
da parte degli altri condomini: tuttavia, poiché il titolo (ad esempio, il regolamento condominiale) potrebbe
disporre la necessità di un preventivo assenso condominiale, l'ufficio tecnico dovrà effettuare la relativa
verifica e, all'occorrenza, richiedere di allegare la relativa delibera assembleare di assenso all'intervento .
Note
(1)
Secondo Cass., sent. n. 4258/2006, la facoltà di sopraelevare, concessa dall'art. 1127, primo comma, c.c., al proprietario dell'ultimo
piano dell'edificio condominiale, deve ritenersi spettante, ove tale piano appartenga pro diviso a più proprietari, a ciascuno dì essi nei
limiti della propria porzione di piano con utilizzazione dello spazio aereo sovrastante a ciascuna porzione e nel rispetto dei limiti di cui al
secondo e al terzo comma dello stesso art. 1127 c.c.
(2) Cass. civ, ss.uu., sent. 30 luglio 2007, n. 16794.
(3) Cass., sent. 1° luglio 1997, n. 5839.
(4) Cass., sent. 7 gennaio 1980, n. 99.
(5) Cass., sent. n. 4804/1978.
(6) Cass. civ., sez. Il, sent. 7 febbraio 2008, n. 2865.
(7) Cass. civ., sez. Il, sent. 12 agosto 2011, n. 17284.
8) Cass., sent. 24 gennaio 1983, n. 680.
9) Cass., sent. n. 503/2013, secondo cui non costituisce "nuova fabbrica" in sopraelevazione, agli effetti dell'art. 1127 c.c., la cosiddetta
"altana" (denominata anche "belvedere"), struttura tipica dei palazzi veneziani consistente in una piattaforma o loggetta, di regola in
legno, realizzata sulla sommità del fabbricato, la quale a differenza delle terrazze e dei balconi normalmente non sporge dal corpo
principale dell'edificio, dando luogo ad un intervento che non comporta lo spostamento in alto della copertura, mediante occupazione
della colonna d'aria sovrastante il medesimo fabbricato, quanto, piuttosto, la modifica della situazione preesistente, attuata attraverso
una diversa ed esclusiva utilizzazione di una parte del tetto comune, con relativo potenziale impedimento all'uso degli altri condomini.
(10) Cass., sent. 15 febbraio 1999, n. 1263.
1. Cass., sent. 10 giugno 1997, n. 5164.
2. TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 19 maggio 2015, n. 2763; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 2 luglio 2015,
n. 921 e sent. 2 dicembre 2014 n. 1308; Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 6 marzo 2012, n. 1270.
In dottrina, sulle verifiche riguardanti la legittimazione del richiedente il permesso di costruire, rinviamo a A. MAFRICA, M. PURULLI, Il permesso
di costruire richiesto da soggetto diverso dal proprietario, Maggioli Editore, 2014.
3.Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 28 settembre 2012, n. 5128; sent. 20 dicembre 2011, n. 6731; sent. 4 settembre 2012, n. 4676; sent. 4
maggio 2010, n. 2546.
4.Con riferimento ai condomini: Consiglio di Stato, sent. 26 luglio 2012, n. 4255.
5.Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 20 dicembre 2011, n. 6731; sez. V, sent. 8 novembre 2011, n. 5894.
6.Il condomino che intende effettuare la sopraelevazione dell'edificio in condominio per l'intera sua superficie ha l'onere di provare di essere
proprietario esclusivo dell'intero ultimo piano o del lastrico solare: Cass. civ., sez. Il, sent. 8 gennaio 1974, n. 52.
(17) La terrazza a livello, anche se di proprietà esclusiva, è equiparata (in relazione alla sua funzione di copertura dell'edificio) al lastrico
solare in senso stretto e tale è considerata anche nel regime della sopraelevazione; ne consegue che il regolamento condominiale può limitare
il diritto di soprae-levazione spettante al proprietario dell'appartamento a cui la terrazza afferisce soltanto se esso ha natura contrattuale
(Cass., sent. n. 7678/1999).
(18) Cass., sent. 6 maggio 1954, n. 1417.
(19) In tema di condominio negli edifici, il divieto di soprae-levazione sulle terrazze di copertura e sui balconi stabilito contrattualmente nei
singoli atti di acquisto degli immobili di proprietà individuale integra una "servitus altius non tollen-di ", che si concreta nel dovere del
proprietario del fondo servente di astenersi da qualunque attività edificatoria che abbia come risultato quello di comprimere o ridurre le
condizioni di vantaggio derivanti al fondo dominante dalla costituzione della servitù; ne consegue che non è possibile subordinare la tutela
giuridica di tale servitù all'esistenza di un concreto pregiudizio derivante dagli atti lesivi, dato il carattere di assolutezza di questa situazione
giuridica soggettiva: così Cass. civ., sez. II, sent. 12 ottobre 2009, n. 21629.
(20) Cass., sent. n. 15504/2000
(21) Cass., sent. n. 3196/2008.
(22) Cass., sent. n. 21491/2012. 26 maggio 1986, n. 3532. In passato è stato affermato (Cass. n. 1300/1977) che "/I divieto di
sopraelevazione, nel caso in cui le strutture dell'edificio condominiale siano inidonee a sorreggere il nuovo piano, ha carattere assoluto e non
può essere rimosso neanche dall'unanime consenso di tutti i condomini. Il consenso unanime di questi ultimi è, invece, richiesto per la
preventiva esecuzione delle opere di consolidamento, eseguite le quali risorge il diritto del proprietario dell'ultimo piano di eseguire il sopralzo
non condizionato all'assenso, concorde o maggioritario, degli altri comunisti. Il suddetto consenso non richiede la forma scritta, non implicando
un atto di disposizione di diritti reali, sia nel caso in cui i lavori di consolidamento impongano l'introduzione o il passaggio nelle parti dell'edificio
di proprietà esclusiva, sia nel caso in cui tali lavori siano da effettuarsi soltanto nell'ambito delle parti comuni dello stesso stabile, salvo, in
quest'ultima ipotesi, che i detti lavori rendano la parte comune inservibile per l'uso anche di un solo comproprietario".
(23) Cass., sez. Il, sent. n. 2708/1996.
(24) Cass., sez. II, sent. 11 febbraio 2008, n. 3196 e sent. n. 10082/2013.
(25) Cass. civ., ss.uu., sent. 21 gennaio 1988, n. 426.
(26) Sia prima dell'intervento sia entro i venti anni successivi (con richiesta di riduzione in pristino e risarcimento dei danni): Cass., sent. 4
dicembre 1982, n. 6611.
Secondo Cass., sent. n. 10334/1998, i condomini possono opporsi alla sopraelevazione eseguita dal condomino dell'ultimo piano sul suo
terrazzo a livello, o lastrico solare, che pregiudica le caratteristiche architettoniche dell'edificio e, se eseguita, ne possono chiedere la
riduzione in pristino e il risarcimento del danno; ma la relativa azione, posta a tutela dei proprietari esclusivi del piano sottostante,
comproprietari delle parti comuni, è soggetta a prescrizione ventennale, perché il diritto soggettivo reale del condomino a far valere la
non alterazione del decoro architettonico è disponibile e si prescrive per mancato esercizio ventennale, sì che il condomino che ha
sopraelevato in violazione dell'obbligo di cui al comma terzo dell'art. 1127 c.c. acquista, per usucapione, il diritto a mantenere la
costruzione così come l'ha realizzata, diversamente dal caso in cui con essa comprometta le condizioni statiche dell'edificio, perché in
questo caso non vi è un limite al suo diritto di sopraelevare, ma manca il presupposto stesso della sua esistenza, e perciò la relativa
azione di accertamento negativo è imprescrittibile.
(27) Cass., sez. Il civ., sent. 24 aprile 2013, n. 10048.
(28) Cass., sent. n. 2865/2008.
(29) Cass., sent. n. 13426/2003.
(30) Cass. civ., sez. Il, sent. 14 luglio 1988, n. 4613.
(31) Ricordiamo l'art. 90 del T.U. edilizia, rubricato Sopraelevazioni, secondo cui:
"1. È consentita, nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti:
a) la sopraelevazione di un piano negli edifici in muratura, purché nel complesso la costruzione risponda alle prescrizioni di cui al presente
capo;
b) la sopraelevazione di edifici in cemento armato normale e precompresso, in acciaio o a pannelli portanti, purché il complesso della
struttura sia conforme alle norme del presente testo unico.
2. L'autorizzazione è consentita previa certificazione del competente ufficio tecnico regionale che specifichi il numero massimo di piani che è
possibile realizzare in sopraelevazione e l'idoneità della struttura esistente a sopportare il nuovo carico". L'acquisizione gratuita al patrimonio
comunale di una so-praelevazione abusivamente realizzata da un condomino sul terrazzo di copertura di un edificio che, per la restante parte,
risulta legittimamente realizzato si estende esclusivamente alla parte del lastrico solare che rappresenta l'effettiva area di sedime dell'abuso,
senza incidere sull'area materialmente e giuridicamente impegnata urbanisticamente dalle altre parti dell'edificio che possono essere,
viceversa, conservate: così TAR Campania, Napoli, sez. IV, sent. 4 gennaio 2002, n. 74.
(32) Cass., sent. 12 ottobre 1971, n. 2873.
(33) Cass., sent. 22 febbraio 1976, n. 624.
(34) Cass., sent. 30 gennaio 1979, n. 669.
(35) Cass. civ., sez. Il, sent. 9 dicembre 1980, n. 6362.
(36) TAR Liguria, sez. I, sent. 9 luglio 2015, n. 651; Cass. civ., sez. Il, sent. 6 dicembre 2000, n. 15504.
ALLEGATO “B 5”
Rassegna di giurisprudenza
Cons. Stato, sez. VI,
sentenza 15 settembre 2015, n. 4293
Pres. Caracciolo, Est. Buricelli
Edilizia ed urbanistica — Demolizione di costruzioni abusive — Data di esecuzione dell'intervento antecedente al
1° settembre 1967.
L'epoca di esecuzione dell'intervento edilizio, antecedente o posteriore al 1° settembre 1967, non può considerarsi in
astratto priva di rilevanza atteso che solo a decorrere dal 1° settembre 1967, in seguito all'entrata in vigore della I. 6
agosto 1967, n. 765 (c.d. "legge-ponte"), sussiste l'obbligo generalizzato di preventivo titolo edilizio autorizzatorio per la
realizzazione di opere in qualsiasi parte del territorio comunale; prima di quella data, ai sensi dell'art. 31 della I. 17
agosto 1942, n. 1150, sussisteva l'obbligo di previa licenza edilizia solo per edificare nei centri abitati o nelle zone di
espansione previste dal piano regolatore generale; pertanto, ove siano stati realizzati senza titolo interventi edilizi in
un'area posta fuori dal centro abitato e in un momento storico in cui nessuna norma comunale prevedeva la necessità
del titolo abilitativo fuori dal centro abitato, non è configurabile un abuso edilizio e, quindi, tali opere devono ritenersi
legittime e non può essere irrogata la sanzione della demolizione.
Cons. Stato, sez. VI,
sentenza 15 settembre 2015, n. 4287
Pres. Caracciolo, Est. Giovagnoli
Edilizia ed urbanistica — Ampliamento di un piccolo manufatto già esistente, con modifica della sagoma, al fine
di poterlo adibire a residenza — Condono edilizio — Art. 31, comma 2, legge n. 47 del 1985 — Criterio da
applicare per verificare l'ultimazione dell'opera ai fini del rilascio della concessione edilizia in sanatoria —
Criterio del completamento del "rustico".
In una situazione consistente nel radicale ampliamento di un piccolo manufatto già esistente, con completo
stravolgimento della sagoma, al fine di poterlo adibire a residenza, l'unico criterio da applicare per verificare
l'ultimazione dell'opera è quello del completamento del "rustico" e non anche quello del completamento funzionale.
L'art. 31, comma 2, legge n. 47 del 1985 prevede due criteri alternativi per la verifica del requisito
dell'ultimazione, rilevante ai fini del rilascio del condono. Si tratta del criterio strutturale, che vale nei casi dì nuova
costruzione, e del criterio funzionale, che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti.
Qualora le opere edilizie, pur avendo ad oggetto una costruzione già esistente, non si limitino ad un semplice
mutamento interno o cambio di destinazione, ma abbiano consistenza tale da determinare il completo mutamento
dei connotati strutturali di una costruzione già esistente (dato il significativo ampliamento della volumetria e il
radicale mutamento della sagoma), il criterio da applicare non può che essere unicamente quello c.d. strutturale.
Diversamente opinando, infatti, si finirebbe per riservare un trattamento differenziato e più severo (pretendendosi
anche il completamento funzionale) a quelle situazioni in cui l'intervento edilizio, anziché dare vita ad una costruzione
prima totalmente inesistente, abbia avuto come base di partenza una costruzione già esistente, ma radicalmente
diversa (per volumetria e sagoma) rispetto a quella che risulta all'esito dell'attività di trasformazione.
Tale distinzione, fondata su una circostanza di per sé non significativa, quale è quella appunto rappresentata dalla
preesistenza o meno di un manufatto sebbene radicalmente diverso da quello poi realizzato, risulterebbe
evidentemente irragionevole e, quindi, fonte di un'altrettanto irragionevole disparità di trattamento.
L'unico criterio da applicare è, pertanto, quello strutturale del completamento del rustico.
Ai fini del condono, per edifici "ultimati" si intendono quelli completi almeno al "rustico". Costituisce principio
pacifico che per edificio al rustico si intende un'opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione,
tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i
volumi, rendendoli individuabili ed esattamente calcolabili.
Nel caso di specie, il criterio dell'esecuzione del rustico e del completamento della copertura risulta soddisfatto, atteso
che la soletta in laterocemento posta a chiusura del manufatto integra una reale chiusura superiore in grado di definire
la sagoma e la volumetria del fabbricato. Tale copertura, infatti, è in muratura, è stabilmente infissa al corpo verticale
ed è costituita con materiale non precario (soltanto non rifi nita con tegole o simili); essa è, pertanto, tale da
permettere la precisa individuazione del volume da condonare, escludendosi ogni possibilità di far luogo a
successive modifiche o ampliamenti.
Cons. Stato, sez. III,
sentenza 8 settembre 2015, n. 4188
Pres. Romeo, Est. Noccelli
Edilizia ed urbanistica — Istanza di autorizzazione, ai sensi dell'art. 87 del d. Igs. 259/2003, al fine di realizzare un
impianto di telefonia — Titolo abilitativo per silentium per decorso del termine di novanta giorni prescritto
dall'art. 87, comma 9, del d.Igs. 25 9/2003 — Avvio del procedimento diretto all'annullamento in autotutela del
silenzio-assenso, sul presupposto che il sito oggetto di intervento ricade all'interno di un'area a verde attrezzato
— La destinazione ad attrezzature ricreative, sportive e a verde pubblico, data dal piano regolatore ad aree di
proprietà privata, non comporta l'imposizione sulle stesse di un vincolo espropriativo, ma solo di un vincolo
conformativo.
La destinazione ad attrezzature ricreative, sportive e a verde pubblico, data dal piano regolatore ad aree di proprietà
privata, non comporta l'imposizione sulle stesse di un vincolo espropriativo, ma solo di un vincolo conformativo, che
è funzionale all'interesse pubblico generale conseguente alla zonizzazione, effettuata dallo strumento urbanistico,
che definisce i caratteri generali dell'edificabilità in ciascuna delle zone in cui è suddiviso il territorio comunale.
Ai sensi dell'ad. 2 della I. 19 novembre 1968, n. 1187, infatti, costituiscono vincoli soggetti a decadenza quelli
preordinati all'espropriazione o che comportino l'inedificabilità e che, di conseguenza, svuotano il contenuto del
diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene ín modo tale da renderlo inutilizzabile rispetto alla sua
destinazione naturale, ovvero diminuendone significativamente il valore di scambio, e fra essi non rientra il vincolo
di destinazione di "area a verde pubblico-verde urbano", che costituisce invece espressione della potestà conformativa dell'ente pianificatore, avente validità a tempo indeterminato.
Ne segue che l'esistenza del vincolo conformativo, avente validità a tempo indeterminato, non necessariamente deve
essere seguita e confermata dalla sua concreta attuazione poiché l'esistenza del vincolo di destinazione a parcheggio
o a verde attrezzato è espressione, appunto, di un generale e permanente potere pianificatorio da parte dell'ente
comunale, capace di conformare l'assetto del territorio.
Tar Veneto, Venezia, sez. I
sentenza 1° settembre 2015, n. 954
Pres. Amoroso, Est. Falfieri
Edilizia ed urbanistica — Annullamento giurisdizionale — Richiesta di risarcimento del danno a carico della
pubblica amministrazione — Nesso causale tra l'illecito e il danno subito — Dimostrazione, secondo un giudizio
di prognosi formulato ex ante, che l'aspirazione al provvedimento fosse destinata ad esito favorevole —
Necessità.
Il risarcimento del danno a carico della pubblica amministrazione non è conseguenza automatica e costante
dell'annullamento giurisdizionale, richiedendosi, invece, la positiva verifica, oltre che della lesione della
situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, della sussistenza della colpa o del dolo
dell'amministrazione e del nesso causale tra l'illecito e il danno subito. È stato, altresì, precisato che il
risarcimento conseguente a lesione di interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in presenza di tutti
i requisiti dell'illecito (condotta, colpa, nesso di causalità, evento dannoso), alla dimostrazione, secondo un
giudizio di prognosi formulato ex ante, che l'aspirazione al provvedimento fosse destinata ad esito
favorevole, quindi alla dimostrazione, ancorché fondata con il ricorso a presunzioni, della spettanza
definitiva del bene collegata'a tale interesse, ma siffatto giudizio prognostico non può essere consentito
allorché detta spettanza sia caratterizzata da consistenti margini di aleatorietà .
In buona sostanza, necessita fornire congrua prova della possibilità di ottenere il c.d. "bene della vita",
sicché in mancanza la domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno non può trovare accoglimento.
ALLEGATO “B 6”
Le domande dei lettori, le risposte degli esperti.
Q Termine ultimazione lavori e proroga permesso di costruire
È legittimo respingere una istanza di proroga del termine di ultimazione dei lavori di un permesso di costruire che
non contenga in modo analitico i motivi alla base della richiesta?
Secondo la giurisprudenza, la proroga del termine triennale di ultimazione dei lavori dalla data di rilascio
della concessione edilizia può avvenire solo in presenza di fatti estranei alla volontà del concessionario,
che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione, l'onere della cui sussistenza incombe
esclusivamente sul richiedente la proroga stessa; i detti fatti sopravvenuti, che possono legittimare la
proroga del termine di inizio o completamento dei lavori ai sensi dell'articolo 15, comma 2 del Testo Unico
Edilizia (d.P.R. n. 380/2001), non hanno un rilievo automatico, ma possono costituire oggetto di
valutazione in sede amministrativa qualora l'interessato proponga un'apposita domanda di proroga, il cui
accoglimento è indefettibile affinché non sia pronunciata la decadenza del titolo edilizio (Consiglio di Stato,
sez. IV, 10 agosto 2007, n. 4423).
Peraltro, secondo un orientamento in materia, nel caso in cui l'amministrazione sia a conoscenza di eventi
che hanno impedito al titolare della concessione edilizia di ultimare i lavori, la stessa non può adottare un
provvedimento di decadenza della concessione, trovando applicazione, anche senza richiesta del
concessionario, la proroga del termine per la ultimazione dei lavori per fatti estranei alla volontà del
concessionario che siano sopravvenuti a ritardare i lavori durante la loro esecuzione (cfr. TAR Calabria, sez.
Reggio Calabria, 20 aprile 2010, n. 420 e TAR Sicilia, sez. III, Palermo, 19 febbraio 2007, n. 560).
Senza necessariamente dover giungere a condividere le predette conclusioni, tuttavia, secondo un
condivisibile orientamento espresso in alcune occasioni dalla giurisprudenza, può fondatamente
ritenersi che, in presenza di una tempestiva istanza di proroga non contenente la puntuale indicazione
dei fatti sopravvenuti non imputabili sulla base dei quali sia stata formulata la richiesta, nel caso in cui
l'amministrazione sia comunque a conoscenza piena ed effettiva dei detti fatti, legittimamente la stessa
possa provvedere a concedere la richiesta proroga del termine di ultimazione dei lavori edilizi (cfr. TAR
Lazio, sez. II-ter, Roma, 16 dicembre 2011, n. 9600 e TAR Calabria, sez. Reggio Calabria, 25 agosto
2015, n. 864).
Rimborsabilità oneri di urbanizzazione
Da quale momento diventano rimborsabili gli oneri di urbanizzazione versati per una costruzione mai
realizzata?
Il versamento di oneri di urbanizzazione riferibile ad opere assentite ma non realizzate diventa rimborsabile
nel momento in cui matura la certezza che le opere stesse non saranno più effettuate (cfr., in tal senso,
T.A.R. Piemonte, sent. 14 agosto 2015 n. 1327). In concreto, si potranno avere due ipotesi: se il titolare del
permesso di costruire avanza formale rinuncia all'edificazione, è da quel momento che il rimborso diventa
esigibile; in mancanza di un espresso atto di rinuncia alla realizzazione delle opere da parte dell'interessato,
tale momento si può e si deve far coincidere con la scadenza del termine di efficacia del titolo edilizio previsto
per l'inizio lavori: anche in giurisprudenza è già stato affermato che il diritto al rimborso di oneri di
urbanizzazione versati in relazione ad opere mai iniziate può essere fatto valere dalla scadenza del termine
annuale entro il quale i lavori devono avere inizio (T.A.R. Emilia Romagna, sez. Il Bologna, sent. n.
489/2013), e tale affermazione deve appunto correlarsi al principio per cui il mancato inizio dei lavori entro
l'anno dal rilascio del permesso di costruire comporta la perdita di efficacia del medesimo .
Tecnico comunale e asseverazione ex d.P.R. 380/2001
Un tecnico abilitato, in organico a tempo pieno e indeterminato presso un ente pubblico, può firmare una
pratica edilizia come tecnico asseverante ai sensi del d.P.R. 380/2001 per un'opera da realizzarsi per la
sua amministrazione, con le relative asseverazioni/certificazioni, senza iscrizione a un albo professionale,
in virtù del suo status di dipendente pubblico?
È altresì ammissibile il rapporto di dipendenza lavorativa che verrebbe ad instaurarsi fra il tecnico
asseverante dipendente e il committente/datore di lavoro?
Le asseverazioni sono una delle forme con cui si esplica l'attività professionale dei tecnici abilitati, peraltro
di fondamentale rilevanza e oggetto anche di risvolti penali nel caso di asseverazioni mendaci; poiché
l'iscrizione all'albo è propedeutica allo svolgimento dell'attività, non è possibile asseverare alcun intervento
da parte di un soggetto che, sebbene in possesso dei requisiti previsti dalla legge (titolo di studio idoneo e
superamento di esame statale), non può essere qualificato come professionista in quanto non iscritto al
proprio albo.
Peraltro, nella nostra pur limitata esperienza, non abbiamo mai riscontrato un'asseverazione firmata da tecnico
non iscritto all'albo.
Di conseguenza, si ritiene di dover fornire una risposta negativa al primo quesito posto.
Per quanto attiene al secondo quesito, posto che il dipendente ha già un rapporto di lavoro con il proprio
datore, non potendosi ammettere l'asseverazione per i motivi indicati in risposta al quesito precedente, si
ritiene di dover fornire, anche in questo caso, una risposta negativa all'ammissibilità di quanto proposto.
Accesso ad un esposto anonimo per presunto abuso
edilizio
Questo comune ha effettuato un sopralluogo per la verifica della regolarità edilizia di un fabbricato a seguito di un
esposto anonimo pervenuto. Il proprietario dell'immobile richiede copia dell'esposto: si chiede se tale richiesta deve
essere accolta pm può essere respinte?
Secondo quanto affermato recentemente dalla giurisprudenza (TAR Emilia Romagna, SS,UU. Sentenza 26 agosto
2015, n. 784), la conoscenza all’origine di un controllo non risponde a nessun interesse di colui che subisce
l’attività ispettiva, poiché, qualunque sia stata la ragione che ha mosso gli agenti, le conseguenze dannose per
l’interessato possono nascere solo dall’esito del controllo. Pertanto nessun vantaggio ai fini della difesa dei propri
interessi può scaturire dalla conoscenza dell’autore dell’esposto, circostanza peraltro impossibile nel caso di
specie, poiché la denuncia è stata presentata in forma autonoma.
L’amministrazione ha esercitato il suo dovere ispettivo e la denuncia ha semmai svolto il ruolo-che era certamente
necessario – di sollecitarne l’esercizio.
È pertanto evidente che l’accesso alla denuncia non incide sul diritto di difesa del proprietario.
Conseguentemente, non vi è alcun obbligo di accogliere la richiesta di accesso.
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