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Titolo originale: Ethics in action. Untangling the ethical jungle in business
Traduzione di Nadia Zuddas
Joan Fontrodona Felip
Manuel Guillén Parra
Alfredo Rodríguez Sedano
L’etica d’impresa al crocevia
Copyright © MMX
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
isbn 978–88–548–3490–3
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: settembre 2010
Indice
7 Introduzione
13 Capitolo I
Etica: una visione d’insieme
1.1. Approcci unilaterali – 1.2. Approcci intermedi – 1.3. Visione complessiva
dell’etica
71 Capitolo II
Integrazione dell’etica nel management
2.1. Tentativi di collegare l’etica al management – 2.2. L’etica nelle varie teorie
organizzative
109 Capitolo III
L’etica nell’azione direttiva
3.1. Il ruolo dell’etica e l’azienda – 3.2. La responsabilità etica di un manager – 3.3.
Visione aziendale dell’etica – 3.4. Il percorso verso l’eccellenza etica
145 Conclusioni
151 Bibliografia
5
Introduzione
Negli ultimi decenni, il numero dei dibattiti relativi al tema
dell’etica è notevolmente aumentato. È sufficiente guardare i notiziari televisivi, leggere un giornale o ascoltare la radio per trovarvi
argomenti di discussione che, in un modo o nell’altro, hanno a che
fare con l’etica. Chi fa parte del mondo degli affari, sa bene che questo è un tema scottante nella stampa specializzata. Tuttavia, data la
grande importanza attribuita, soprattutto in tempi recenti, a episodi
di corruzione, estorsione, frode, danni ambientali e pratiche abusive, si può perdonare chi pensa si tratti di una questione nuova.
Considerata la preoccupazione generale, sembra giusto chiedersi se quelli relativi alla morale, in effetti, non costituiscano da
sempre dei problemi nel campo degli affari. Se è così, a cosa si
deve questo improvviso interesse? E perché, quando ci si riferisce
all’etica d’impresa, si utilizza sempre il termine “problema”? È importante sfatare il mito, peraltro infondato, secondo il quale l’etica
entrerebbe in gioco solo quando ci sono da affrontare problemi,
conflitti o crimini. Dopotutto, ogni giorno i manager si trovano
a dover prendere e mettere in pratica decisioni che implicano un
giudizio morale; chiunque lavori all’interno di un’organizzazione
si trova regolarmente in situazioni in cui la propria crescita personale e quella delle persone intorno a sé vengono messe in gioco.
La felicità propria e altrui non è qualcosa che si può lasciare nel
dimenticatoio mentre si va a lavoro, perciò non è affatto esagera7
8
L’etica d’impresa al crocevia
to affermare che l’etica, un’etica che consideri non solo ciò che è
sbagliato ma anche ciò che è giusto, è sempre stata una costante
all’interno delle aziende.
Tuttavia, è innegabile che l’etica d’impresa in quanto “fenomeno”
non sia emersa fino al tardo xx secolo. Prima di allora, non era mai
stata oggetto di tante controversie, e ancor meno un numero così
elevato di aziende aveva adottato dei codici o delle filosofie aziendali basate su considerazioni di tipo morale. Come è stato più volte
affermato: “l’etica è di moda” o, per essere più precisi: “parlare di
etica è di moda”. Uno sguardo alle pubblicazioni recenti basta per
farsi un’idea di quanti manager, titolari d’azienda, economisti, filosofi e giornalisti, abbiano scritto, e continuino a scrivere su questo
tema. Ciò che è accaduto negli anni Ottanta negli Stati Uniti sembra
ripetersi ora in altri paesi: i corsi, i seminari e gli studi monografici si
moltiplicano; nuove riviste, associazioni, istituzioni e progetti spuntano come funghi
Il lettore potrebbe pensare che il nostro libro non sia che un
ulteriore esempio di questa tendenza generale, tuttavia, non è
intenzione degli autori “seguire la corrente”; piuttosto è vero il
contrario. Siamo, infatti, convinti che senza un serio tentativo di
spiegare cosa sia l’etica e perché sia rilevante per le imprese, le
persone si stancheranno presto di sentire parlare dell’argomento
e rivolgeranno l’attenzione ad altre e più interessanti tematiche,
come è accaduto in passato con altre mode passeggere dell’ambito
manageriale.
Questo libro è stato scritto nella convinzione che l’etica sia intrinseca alle funzioni del management: lontana dall’essere una
moda, essa è indissolubilmente legata alla teoria e alla pratica della
gestione aziendale. L’etica d’impresa è prima di tutto una necessità; ma può anche capitarle di trasformarsi in tendenza. Gli studiosi
di economia non sempre hanno accettato il suo importante ruolo,
o forse non abbastanza; ma affermare che fino ad ora nessuno ha
mai mostrato interesse nei confronti dell’etica equivarrebbe a dire
Introduzione
9
che, fino al xx secolo, le aziende hanno trascurato ogni considerazione di tipo morale1.
Non di rado si sentono proteste riguardo l“abisso” che separa
l’etica d’impresa difesa dai teorici e quella di cui manager e professionisti necessitano nella vita di tutti i giorni. I critici sostengono
che l’etica d’impresa accademica sia spesso troppo generica, troppo
teorica e, soprattutto troppo poco realistica2. Queste critiche non
sono infondate, anche se, è pur vero che non vi è alcun vantaggio
nella mera lagnanza, nel ricadere nei luoghi comuni o nell’alimentare lo stereotipo del manager messo costantemente sotto pressione
per riuscire a mantenere redditizia ad ogni costo la propria impresa,
contro lo stereotipo della torre d’avorio accademica che rivolge ai
professionisti richieste irragionevoli.
Il principale obiettivo di questo libro è proprio quello di andare
oltre tali esagerate caricature allo scopo di avvicinare sempre di più
l’etica al management. Spesso l’idea della morale associata al business fa spuntare un sorriso ironico, in quanto viene equiparata a
un’impossibilità metafisica. Chi ritiene che la morale non sia altro
che un buon proposito o una forma di paternalismo benevolo non
riesce ad accettare l’idea che possa essere compatibile con il management: la convinzione generale è che qualsiasi comportamento etico
finirebbe col nuocere ai profitti aziendali.
Dal nostro punto di vista, non vi è alcun bisogno di costruire
delle teorie etiche totalmente nuove o di scoprire idee “riservate”
all’ambito aziendale e separate dalla tradizione morale. Dopotutto,
si suppone che l’etica d’impresa applichi i principi generali dell’etica
a un campo specifico dell’agire umano che ha acquistato particolare importanza nell’epoca moderna. In altre parole, possediamo già
1. Cfr. M. Guillén, D. Melé, “Intellectual Evolution of Strategic Management and
Its Relationship with Ethics and Social Responsibility”, Working Paper iese, (D/658) ottobre 2006.
2. Cfr. A. Stark, What Is the Matter with Business Ethics? in «Harvard Business Review», 71(maggio–giugno 1993) n. 3, pp. 38–48.
10
L’etica d’impresa al crocevia
una tradizione di pensiero, risalente a molti secoli fa e relativa alla
dimensione morale dell’agire umano, che sarà molto utile al nostro
scopo. Sebbene trasporre la saggezza proveniente da secoli di pensiero e pratica morale al campo dell’etica d’impresa richieda creatività
(ingrediente essenziale in ogni impegno intellettuale), noi optiamo
per una creatività radicata nella conoscenza scientifica della realtà
morale e nei problemi specifici del management. Solo coordinando
queste due prospettive troveremo risposta a quesiti vecchi e nuovi.
In questo libro, gli autori utilizzano i risultati di vari progetti svolti negli ultimi anni. Per sfruttare i punti d’incontro dei propri campi
di ricerca, si sono accordati per scrivere insieme un libro, che è stato pubblicato alcuni anni fa in Spagna. In occasione dell’edizione
inglese3, il testo originale è stato modificato in alcuni punti e la bibliografia aggiornata, senza perdere, ci auguriamo, la semplicità e la
brevità, nei limiti del rigore scientifico, che avevano dato all’edizione
spagnola la sua originalità e il suo interesse.
Gestire un’organizzazione, intesa come gruppo di persone che
coordinano i propri sforzi per il bene degli altri, è un’arte sulla quale molti dirigenti potrebbero tenere seminari senza nemmeno aver
mai letto un libro al riguardo. Lasceremo, pertanto, il compito di
dimostrare cosa significhi una buona gestione aziendale a chi se ne
occupa professionalmente ogni giorno. Noi ci proponiamo, piuttosto, di condividere una serie di riflessioni sull’importanza e la necessità dell’etica d’impresa, che forniscano ai manager una base
concettuale per le proprie azioni e agli studiosi di management una
corretta comprensione del ruolo dell’etica nella gestione d’impresa.
Entrambe le categorie si renderanno conto del fatto che la morale
non è semplicemente una questione di strategia economica o di immagine aziendale, né è confinata alla stesura di codici di condotta.
L’etica classica ha sempre tratto fondamento dall’idea di eccellenza;
3. La presente traduzione si riferisce all’edizione inglese del testo. [N.d.T.]
Introduzione
11
in relazione alle imprese, essa indaga sulle condizioni dell’eccellenza
umana nelle organizzazioni e nel management.
Questo libro intende fornire una “mappatura” che inserisca i concetti e i fondamenti teorici dell’etica nel contesto che è loro proprio.
È destinato principalmente ai ricercatori poco esperti di teoria morale, che hanno necessità di capire “i perché e i percome” del mondo
dell’etica in generale e dell’etica d’impresa in particolare. È indirizzato, inoltre, ai manager interessati alle questioni etiche e che vorrebbero una vasta panoramica sul tema senza troppi dettagli accademici.
A tal proposito, avvertiamo i lettori che, sebbene nel libro vengano presentate varie teorie etiche, il nostro interesse sta nella loro
utilità rispetto all’etica d’impresa. Non ci proponiamo di analizzarle
a fondo, e nemmeno di considerare tutte le dottrine esistenti, ma
solo quelle che riteniamo rilevanti per l’ambito economico.
Il testo è diviso in tre capitoli separati, ma collegati tra loro. Il
primo fornisce una descrizione sistematica delle principali correnti
di pensiero che hanno influenzato l’etica d’impresa. Il mondo della
morale applicata al business è ancora in continuo cambiamento: vi è
una considerevole confusione tra i professionisti, e perfino gli esperti non si trovano in una situazione di maggiore chiarezza. Le regole
morali di cui si servono le persone sono disparate, a volte addirittura
in contraddizione tra loro. Il nostro testo si propone di presentare
una semplice mappa delle varie teorie, che si basi su una struttura
generale in grado di evidenziare le particolarità e i limiti di ognuna,
di mostrare perché esistano delle concezioni morali così ampiamente divergenti, cosa abbiano in comune le varie teorie, e quale idea
di etica contribuisca maggiormente all’auto–realizzazione da parte
delle aziende nel contesto che è loro proprio. Dopo una classificazione dei vari approcci, proponiamo una visione olistica o complessiva
dell’etica.
Mentre il primo capitolo del libro si rivolge all’etica d’impresa da
un punto di vista filosofico, il secondo costruisce un ponte tra l’etica
e il management strategico. In esso discutiamo le risposte che i mag-
12
L’etica d’impresa al crocevia
giori esperti di strategia aziendale hanno dato al quesito sull’etica, il
che dimostrerà, inoltre, come l’interesse per questa disciplina si sia
sviluppato prima di quanto si creda.
Dopo aver analizzato l’etica dal punto di vista della filosofia e della teoria del management, nel terzo capitolo utilizziamo i concetti
introdotti nei primi due per osservare come l’etica sia protagonista
dell’attività quotidiana delle imprese e dei loro manager. Sul piano
personale, essa si manifesta nei processi decisionali e nei principi e
nelle virtù che questi richiedono; su quello organizzativo, influisce
sulla definizione della mission aziendale e sulla creazione di una cultura d’impresa etica.
Dopo la revisione del testo originale per la traduzione in inglese,
ci siamo resi conto che le nostre riflessioni potevano ancora considerarsi valide e utili. Sappiamo bene che questa non è una descrizione
imparziale, dal momento che sosteniamo una particolare concezione di etica a scapito di altre, tuttavia, rispettiamo ognuna di esse e
siamo aperti al dialogo e alla discussione. In effetti, è così che dovrebbe sempre funzionare: da un lato, l’etica richiede un impegno
radicale, dall’altro, il progresso del sapere umano è legato allo scambio ragionevole di opinioni contrastanti, piuttosto che al “pensiero
debole” che compromette il dialogo.
Confidiamo, pertanto, nel fatto che questo libro aiuterà chi lo
leggerà a trovare la propria strada tra le miriadi di teorie etiche, a
convincersi della necessità dell’etica nel business e a proporre argomenti a supporto del proprio punto di vista, il tutto in forma chiara
e interessante.
Capitolo I
Etica: una visione d’insieme
In qualsiasi dibattito sull’etica d’impresa vanno considerati due
aspetti fondamentali: uno relativo a quanto essa sia centrale o periferica rispetto al management, l’altro riguardante la scelta del punto di
vista da adottare tra quello descrittivo e quello normativo.
In un articolo che riflette sul ruolo dell’etica nella pianificazione
strategica, Hosmer1 afferma che essa dovrebbe essere centrale nelle
attività dei manager d’azienda. La sua argomentazione non riguarda
semplicemente il fatto che un comportamento etico ha come risultato un miglior rendimento aziendale, come suggerisce Schwab2 in
una replica, ma che tutte le azioni umane sono soprattutto pratiche
e, pertanto, lo sono anche quelle dei manager d’azienda.
Hosmer, tuttavia, sembra basare la presunta centralità dell’etica
su una trattazione puramente descrittiva delle varie teorie morali,
limitandosi a indicare i principi sui quali sono costruite. A nostro
parere, un dibattito etico non deve solo mostrare una selezione di
teorie in modo che ognuno scelga quella che più gli aggrada, come
fosse al supermercato, anche se questo è quanto spesso si trova nei
vari manuali sull’etica d’impresa. Noi vorremmo andare oltre e con1.Cfr. L.T. Hosmer, Strategic Planning As if Ethics Mattered, in «Strategic Management
Journal», 15(1994), n. 20, pp. 17–34.
2. Cfr. B. Schwab, A note on ethics and strategy: do good ethics always make for good business? in «Strategic Management Journal», 17(1996), n. 6, pp. 499–500.
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14
L’etica d’impresa al crocevia
durre un’analisi critica delle varie teorie in modo da poter vedere
quale di esse meglio rispecchia la vera natura dell’agire umano.
Il fatto che le persone abbiano a disposizione diverse teorie non
significa che queste siano tutte uguali; è inevitabile che alcune siano
migliori di altre, a seconda dei casi. Noi sosteniamo che non tutte le teorie esistenti siano ugualmente utili per spiegare l’attività aziendale.
Per analizzare i vari approcci all’etica, dobbiamo usare il sistema
metodologico descritto da Leonardo Polo nel libro Ética: hacia una
versión moderna de los temas clásicos3. Polo afferma che una visione
globale dell’etica dovrebbe simultaneamente abbracciare tre dimensioni: i beni, i valori e le regole.
Perché l’etica dovrebbe prendere in considerazione proprio questi tre elementi, né di più, né di meno? Il buon senso ci dice che
l’uomo compie le proprie azioni per raggiungere degli aspetti della
realtà che considera dei beni; ma ci dice anche che questi beni spesso
sono tali solo apparentemente. Il compito di distinguere tra i beni
che hanno solo un’apparenza di bene, e quelli che davvero offrono all’uomo la possibilità di sviluppare il suo pieno potenziale appartiene alla ragione e al volere umano. È attraverso la ragione che
conosciamo il bene ed è da questa consapevolezza che ricaviamo le
regole che ci aiutano a stabilire cosa si debba fare per conseguirlo.
Inoltre, è attraverso la volontà che desideriamo il bene, e nella lotta
per conquistarlo sviluppiamo determinate virtù che ci aiutano a raggiungere l’obiettivo. Il bene attira l’uomo e lo predispone affinché
riesca a ottenerlo; le regole e le virtù promuovono e supportano tale
predisposizione.
Utilizzeremo questo modello per analizzare le varie teorie che
hanno influenzato il mondo dell’etica d’impresa. Cominceremo dalle teorie in cui le tre dimensioni sembrano meno integrate per poi
farci strada verso quelle in cui l’integrazione è più completa. Inizie3. Cfr. L. Polo, Ética. Hacia una versión moderna de los temas clásicos, Unión Editorial,
Madrid 1996.
1. Etica: una visione d’insieme
15
remo con gli approcci unilaterali per muoverci verso le teorie che
considerano almeno due delle tre dimensioni; infine, concluderemo
con la descrizione di un approccio globale che racchiude tutti e tre
gli aspetti dell’etica. La nostra tesi è che solo un approccio concettuale che riunisca la triplice prospettiva di virtù, beni e regole sia
in grado di darci una visione completa della natura etica dell’agire
umano nelle organizzazioni.
1.1. Approcci unilaterali
Il primo gruppo di dottrine etiche considerato riguarda quelle
incentrate su una sola delle tre dimensioni. Nella maggior parte
dei casi, queste teorie sono molto utili ai nostri studi, non tanto per
le informazioni che forniscono riguardo le aziende, quanto per gli
approcci generali che esemplificano, poiché questi costituiscono il
fondamento di altri, successivi sviluppi. Nei paragrafi seguenti, analizzeremo ciascuno degli approcci unilaterali, raggruppati in base
all’enfasi posta, rispettivamente, su beni, virtù o regole.
1.1.1. Etica del bene
Dal punto di vista storico, l’etica del bene ha origine dall’edonismo, termine derivante dal greco hedoné, che significa piacere. Secondo tale scuola di pensiero, l’unico bene è il piacere e l’unico male
è il dolore, pertanto, gli edonisti identificano la felicità umana con il
piacere.
L’approccio edonistico è ricomparso in epoca moderna nella forma dell’utilitarismo. Il termine “edonismo” può essere analizzato da
una prospettiva generale e da una più specifica: in senso lato, esso
racchiude sia il piacere che l’utilità, perciò l’utilitarismo si presenta
come una forma di edonismo; in senso stretto, l’edonismo si differenzia dall’utilitarismo per il fatto che il primo valuta il bene in termini
di piacere individuale, mentre per il secondo l’universo di analisi è
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L’etica d’impresa al crocevia
costituito dalla società e la valutazione del bene è data dal piacere,
dal benessere o dall’utilità che questo può offrire alla società.
In relazione alla morale, l’utilitarismo insegna che dobbiamo calcolare le conseguenze delle nostre decisioni, in modo da raggiungere il massimo grado di felicità per il maggior numero di persone. È
un metodo che considera la bontà basandosi sullo stato delle cose:
qualsiasi stato “x” è buono tanto quanto un alternativo stato “y” se
e solo se la somma delle utilità individuali in “x” è uguale o maggiore alla somma delle utilità in “y”4. Secondo l’utilitarismo, quindi, l’azione giusta (cioè quella che deve essere perseguita) è quella
che offre l’utilità maggiore, intesa come la tendenza di un’azione od
omissione a produrre un’esperienza di “piacere”, “soddisfazione” o
“felicità”. La sfida, pertanto, è quella di identificare l’azione che massimizza il bene desiderato, la quale, per definizione, è quella con la
maggiore utilità, e, di conseguenza, eticamente corretta.
Secondo Jeremy Bentham, uno dei maggiori esponenti di questa
dottrina filosofica, la scelta tra due azioni alternative è governata dal
principio che stabilisce come criterio quello della massima felicità
per il massimo numero di persone5. Il principio dell’utilità è quello che approva o disapprova un’azione in base al fatto che questa
sembri tendere ad aumentare o a diminuire la felicità delle parti in
gioco6. Per l’uomo, la felicità risiede nel benessere, inteso come la
differenza tra il piacere e il dolore. Tale teoria può essere utilizzata non solo per le decisioni individuali, ma anche per formulare un
principio di ordine sociale, in quanto il bene della società può essere
definito (secondo la massima utilitaristica) come la somma totale
4. Cfr. A. Sen, “Utilitarismo e welfarismo”, in Saggi di filosofia della scienza economica,
a cura di S. Zamagni, trad. di G. Gozzi, NIS, Roma 1982, pp. 179–205.
5. Cfr. J. Bentham, The Utilitarians, Anchor Press, Garden City, New York 1973.
6. Cfr. J. Bentham, Introduzione ai principi della morale e della legislazione, a cura di E.
Lecaldano, trad. e note di S. Di Pietro, UTET, Torino 1998.
1. Etica: una visione d’insieme
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delle soddisfazioni che gli individui ottengono dal perseguimento di
schemi di preferenza edonistici7.
Successivi sviluppi del pensiero utilitaristico hanno portato a due
tendenze: l’utilitarismo dell’atto e l’utilitarismo della regola8. Il primo sostiene che il principio utilitaristico del massimo bene per il
maggior numero di persone debba essere applicato a ogni azione
umana. Ciò sembra una naturale conseguenza dei principi dell’utilitarismo, dato che, se lo scopo è quello di massimizzare il valore
dell’azione in generale, il modo migliore per farlo sarà attraverso la
massimizzazione del valore di ogni singola azione individuale. Questo non vuol dire che non vi siano linee guida generali: i sostenitori
dell’utilitarismo dell’atto riconoscono che gli individui apprendano
dalle azioni passate, ma tale apprendimento fornisce, nel migliore dei
casi, semplici regole empiriche, che non potranno mai essere valide
per tutti. Le regole empiriche sono necessarie, prima di tutto, per risparmiare tempo: prendere delle decisioni richiederebbe moltissimo
tempo se in ogni caso si dovessero esaminare tutte le conseguenze
di ciascuna azione possibile. Servono, inoltre, perché l’interesse personale può influenzare la valutazione, da parte del soggetto, delle
conseguenze delle proprie azioni9.
L’utilitarismo della regola, al contrario, sostiene che la massima
utilitaristica non debba essere applicata alle azioni individuali, bensì
alle regole generali che governano tutte le azioni. Un’azione moralmente giusta, quindi, sarà quella conforme alla corretta regola
morale applicabile al tipo di situazione preso in esame, laddove la
corretta regola morale è quella che massimizza l’utilità sociale se
7. Cfr. J. Schumpeter, Storia dell’analisi economica, trad. di P. Sylos Labini e L. Occhionero, Einaudi, Torino 1960.
8. Cfr. J. Hospers, Human Conduct. Problems of Ethics, Harcourt Brace College Publishers, Fort Worth 19963 e cfr. J. Fontrodona, El utilitarismo en la ética empresarial, in «Cuadernos empresa y humanismo» n. 12 Universidad de Navarra, Pamplona 1987, pp. 3–60.
9. Cfr. J.C. Smart, Extreme and Restricted Utilitarianism, in «The Philosophical Quartely», 6(ottobre 1956), n. 25, pp. 346–347.
18
L’etica d’impresa al crocevia
osservata da tutti in situazioni dello stesso tipo10. In riferimento a
questo concetto, il fatto che un’azione massimizzi l’utilità in un caso
particolare, non significa che sia eticamente corretta. I sostenitori
dell’utilitarismo della regola partono dal presupposto che tutti gli individui seguano la stessa regola morale, questo perché in una società
l’interesse della maggioranza è più tutelato se ognuno rispetta una
serie di regole operative. L’osservanza della regola è centrale nella
morale e non può essere compromessa dalla richiesta di una particolare situazione che minaccia di rendere inefficace la regola stessa.
Pertanto, quando un sostenitore dell’utilitarismo della regola desidera determinare la correttezza morale di una particolare azione,
non si chiede se l’azione produrrà il massimo bene, ma se la norma
morale che tutti devono osservare la ritiene necessaria. Le conseguenze dell’azione sono irrilevanti quando si tratta di casi individuali, e vengono prese in considerazione solo quando si deve decidere
quali regole siano da considerarsi validi motivi per comportarsi in
un determinato modo. L’utilitarismo della regola si può collocare
a metà strada tra l’utilitarismo dell’atto e l’etica del dovere. Si distingue dall’etica del dovere per il fatto che in esso qualsiasi regola
data è flessibile e può essere sostituita da un’altra in grado di offrire
maggiore soddisfazione; mentre per gli etici del dovere le regole non
sono passibili di cambiamento, anzi, le persone devono compiere il
loro dovere a prescindere dalle conseguenze. In altre parole, gli utilitaristi sostengono un’etica basata esclusivamente sui beni, senza vincolarsi a nessun’altra regola che a quella del calcolo dei beni, mentre
i deontologisti o etici del dovere, come vedremo in seguito, aspirano
a una morale basata esclusivamente sulle regole.
Il limite dell’approccio utilitaristico rispetto all’etica è evidente:
poiché i beni sono l’unico criterio, quelli che è possibile ottenere più
facilmente acquistano presto preponderanza, mentre le virtù vengono ignorate. «Qui le virtù non trovano collocazione. Esse, infatti,
10.Cfr. M.G. Velasquez, Etica economica, trad. di C. Borghi, Cafoscarina, Venezia 1993.
1. Etica: una visione d’insieme
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servono a organizzare la vita, ma se la cosa più importante è il bene
materiale, l’organizzazione della vita diviene superflua: essa è sacrificata dal piacere immediato. Mentre le virtù sono disposizioni stabili
con le quali le persone affrontano il futuro, i piaceri sono effimeri.»11.
Allo stesso tempo, «l’etica del bene è un’etica riduzionistica che diffida delle regole: è inevitabile che le regole debbano essere accettate,
non tanto perché sono etiche, quanto perché sono utili»12.
Una delle più grandi debolezze dell’utilitarismo è la sua definizione di concetti basilari quali utilità, felicità, piacere, dolore e sofferenza. Bentham replica a questa obiezione affermando che la felicità
può essere assimilata al piacere e l’infelicità alla sofferenza. Egli stesso propose un “calcolo edonistico” per definire il grado di correttezza o scorrettezza di un’azione: stando a questo calcolo, il grado non
è dato dalle cose in se stesse, ma dall’utilità che queste hanno per il
soggetto. È quindi il soggetto stesso che stabilisce liberamente il grado di ciò che è utile o meno in ogni momento dato. Infine, Bentham
utilizza una misura quantitativa della felicità: il numero di individui
influenzati dalla decisione morale e la somma totale del dolore e
del piacere. La differenza tra la somma delle conseguenze positive
e quella delle conseguenze negative indica se un’azione è giusta o
sbagliata.
Il primo a controbattere alcune delle principali tesi di Bentham
da un punto di vista utilitarista fu John Stuart Mill13, un altro importante esponente della stessa corrente di pensiero. Mill fondò il suo
utilitarismo su due colonne portanti; sebbene continuasse ad accettare il principio utilitarista, la sua idea della natura umana lo portò a
precisare alcune delle affermazioni più radicali di Bentham.
11.L. Polo, op. cit., p. 124.
12.Ibidem.
13. Cfr. J.S. Mill, L’utilitarismo, a cura di M. Baccianini, trad. di M. Baccianini e M.
Saule, SugarCo, Milano 1991.
20
L’etica d’impresa al crocevia
Mill propose il “principio dell’utilità” come principio normativo
dell’etica. Secondo tale principio, le azioni sono giuste nella misura
in cui tendono a promuovere la felicità o l’assenza di dolore e sbagliate nella misura in cui causano dolore o dispiacere. Il principio
dell’utilità è opposto all’egoismo o alla mera convenienza, in quanto
la felicità non è intesa come specifica della persona che agisce, ma
come il più elevato grado di felicità globale. Secondo Mill, la felicità è
universalmente riconosciuta non solo come bene, ma come il bene.
Allo stesso modo di Bentham, Mill ritiene che il principio dell’utilità
sia ovvio, in quanto la felicità è da tutti riconosciuta come un bene.
L’esperienza dimostra che ogni individuo desidera la propria felicità,
e poiché la felicità del singolo rappresenta un bene per quest’ultimo,
allora lo sarà anche per tutti gli altri.
Nella maturità, Mill fece una distinzione (rifiutata da Bentham)
tra la felicità, da un lato, e la soddisfazione o l’appagamento dall’altro. Mentre l’appagamento viene indicato come uno stato transitorio che deriva da un piacere momentaneo, la felicità si riferisce a
qualcosa che riguarda l’intera esistenza di una persona, a prescindere da qualsiasi suo atto individuale. Come dichiara Mill: «è meglio
essere un Socrate insoddisfatto che uno stolto felice»14, in quanto
le soddisfazioni che si ottengono devono essere ponderate in relazione all’ideale di felicità che perseguono. Questa puntualizzazione
costituisce di per sé una critica all’utilitarismo, in quanto sottolinea
il fatto che i beni ai quali aspirano gli esseri umani sono diversi e
non commensurabili. Il principio dell’utilità può stabilire solo una
somma totale di beni, non una gerarchia tra loro; per completarlo è
necessario un diverso modello di riferimento.
Dal punto di vista psicologico, Mill parte dall’idea che gli uomini desiderino essenzialmente vivere in unità e armonia con i loro
simili. Mentre Bentham basava il suo utilitarismo sul presupposto
che fosse nell’interesse di ogni persona perseguire l’interesse comu14.Ivi, p. 22.