“Le Carnaval Des Animaux” Il Carnevale nella Grande Musica: Saint-Saëns, un caso particolare Perché raccontare il compositore francese Camille Saint-Saëns? Ciò potrebbe destare qualche risentimento tra noi italiani, eredi degli antichi saturnali romani, fondatori del carnevale di Verona, proprietari indiscussi dei canti carnascialeschi del Magnifico, famosi per il carnevale di Viareggio, celeberrimi per quello di Venezia ... Al quesito iniziale rispondiamo con un classico proverbio. “A Carnevale tutto è lecito”, è quindi cosa ovvia presentare una guida all’ascolto di un caso particolarissimo che non ha eguali in tutta la storia della musica Classica: “le Carnaval des Animaux”, ironica galleria di caratteri non solo animaleschi ma anche umani, una “suite” formata da 14 piccoli brani satirici, scritta quasi per gioco durante un periodo di riposo, eseguito la sera di martedì grasso dell’anno successivo, nella casa del violoncellista Lebouc, in cui tanti amici musicisti si riunirono per festeggiare in allegria. Camille Saint-Saëns (1835 – 1921) fu un francese doc, nacque a Parigi e la sua vita fu tutta un carnevale: bambino prodigio, pianista virtuoso, compositore manierista, grande viaggiatore, i suoi concerti lo portarono in tutta Europa, nelle Americhe, in India e in Egitto. Tradusse impressioni e ricordi in musica e in parole, fu scrittore e critico musicale pieno di fuoco, mille articoli sui suoi viaggi, sulla musica, la filosofia, l’astronomia e su argomenti letterari. L’interesse per il mondo zoologico lo portò a scrivere il libro“Osservazioni di un amico degli animali”. Enorme la sua produzione musicale, toccò ogni genere, dal teatro alle cantate, dall’oratorio alla musica sinfonica, dalla musica da camera a quella per organo, per voci soliste e per coro. La sua musica è ricca di inventiva, spiritosa, ben proporzionata, sempre piacevole da ascoltarsi, piena di fascino. Camille era anche un gran burlone. Tanto per citare un aneddoto, una signora borghese suonava il pianoforte (male) e voleva affliggere gli ospiti in ogni occasione, favorevole o no: Saint-Saëns, il prodigio dall’orecchio assoluto, frequentava il suo salotto e continuava a chiamarla “il serpente a sonate”… Con questo spirito ironico, nel febbraio 1886 mentre si riposava a Vienna egli scrisse il Carnaval, sottotitolato come una “Grande Fantasia Zoologica”, affidando l’esecuzione ad un piccolo gruppo di strumenti che suscita l’impressione d’essere uscito da un giardino zoologico: Due pianoforti Due violini Una viola Un violoncello Un contrabbasso Un flauto traverso e un ottavino Un clarinetto Una celesta Uno xilofono Ascoltando la fantasia dall’inizio, l’attacco è inesorabile. Quasi un rullo di tamburi: una breve parte introduttiva affidata ai due pianoforti rincorsi dagli archi. Ecco l’andante maestoso, la marcia di entrata del leone, archi e pianoforti dopo un tema marziale imitano il suo ruggito possente; poi galli e galline beccano il cibo e il loro verso viene riprodotto da archi, pianoforte e clarinetto. Due pianoforti si rincorrono nel “presto furioso” in do minore, mezzo minuto di virtuosismo pianistico, mirato a ricreare la corsa sfrenata degli “emioni”, i cavalli selvatici delle praterie asiatiche. L'improvviso ingresso della tartaruga è quindi un contrasto, un andante che poggia sulle terzine stentate del primo pianoforte e sulla melodia eseguita dagli archi (è il famoso “Can Can” di Offenbach, volutamente rallentato e reso goffo). Pianoforte e contrabbasso accompagnano con un “allegretto pomposo” l’elefante. La seconda parte del tema riprende il motivo di una composizione di Hector Berlioz intitolata “la danza delle silfidi”: le silfidi sono figure mitologiche leggiadre ed eteree, Saint Saëns utilizza il loro tema per rendere ancora più evidente il contrasto tra la “leggerezza” della danza e la “pesantezza” dell’animale che la interpreta. Subito dopo alcuni canguri saltellanti sembrano passare sulla tastiera del pianoforte. L'atmosfera diventa suggestiva, di carattere vagamente orientale, si entra nell’acquario: l'ambiente e l'andatura elegante dei pesci sono resi dalla melodia ipnotica degli archi, dai leggerissimi arpeggi del pianoforte e dal suono etereo della celesta, destinata ad imitare le bollicine d’acqua. Ecco entrare in scena i personaggi dalle lunghe orecchie, due violini soli che si rincorrono in intervalli ampissimi, quasi stonati, ad imitazione dei ragli di un asino … questo brano è dedicato con una ironia sottile e pungente ai critici musicali dell'epoca, che spesso senza una vera conoscenza musicale, criticavano in modo aspro le musiche degli autori dell'epoca. Lentamente passiamo in fondo al bosco misterioso, una lenta melodia dei pianoforti fa da tappeto al cucù impersonato dal clarinetto. Improvvisamente, uno svolazzare e una serie di festosi gorgheggi: siamo in una voliera, diversi uccelli cantano col grande virtuosismo del flauto. Ecco che Saint-Saens inserisce una simpatica parodia dei pianisti, costretti troppo spesso a passare ore in noiosi esercizi tecnici (l’esecuzione spesso viene realizzata “sbagliando” le note e andando fuori tempo!). Tutto viene letto e pensato in maniera giocosa, inserendo numeri musicali a contrasto tra di loro, senza abbandonare il grande gusto nella scrittura compositiva. Lo xilofono annuncia un “allegro ridicolo”, l'ingresso in scena dei fossili col rumore delle loro ossa e l’atmosfera spettrale. Camille usa e mescola due canzoni popolari francesi, un tema di Rossini e la sua Danza Macabra. L'ultimo animale che entra elegantemente è un grazioso cigno che elegante e sinuoso si muove sull'acqua accompagnato da una celebre melodia eseguita dal violoncello e sostenuta da un romantico arpeggio pianistico. Dopo questo brano, diventato famosissimo come pagina d’album, la suite termina con una fantasia dei brani precedenti: un vorticoso finale, in cui le voci dei vari animali si combinano e dialogano, scritto formalmente come un rondò. Una gustosa commedia che trascina l’ascoltatore sino alle ultime battute. Pronti per ascoltarlo nuovamente da capo? Fate silenzio! Sta entrando il leone … Emanuele Stracchi