Un 18 safar Era un 18 Safar quando Massimo D’Amato ha costruito questo dialogo fotografico tra Africa e Italia, tra Dakar e Pisa, legato a un mondo di diaspora e di viaggio delle popolazioni senegalesi verso i mondi dell’Occidente. Quest’anno il 18 Safar del calendario lunare Higri era il 23 gennaio secondo il commutatore che si trova nel sito calendario islamico. Siamo nel 1433. Ricordiamoci sempre che non esiste solo il nostro tempo, ma quello cinese, quello ebraico, quello musulmano e tanti altri tempi. Dicono molti antropologi che dobbiamo periferizzare l’Europa ( e l’Occidente) , smetterla di credere che sia l’ombelico del mondo, che presunzione pensare che il tempo lo misuriamo solo noi con la nascita di Cristo. Cominciamo così, guardando questa mostra, a vedere la storia da altri punti di vista. Era il 1433 dunque a Pontedera in località Fornacette, quando la comunità senegalese emigrata in toscana ha festeggiato il Grand Magal di Touba. Nel Senegal , regione legata al nome del grande fiume, ci sono tracce di vita preistorica, commerci, storie di regni e un Impero Wolof che percorre parallelo tutto il nostro medioevo ed età moderna, con vari scambi con l’Europa, fino alla colonizzazione francese a fine 1800 cioè a fine 1200 del calendario islamico. Sono state le potenze coloniali a far credere che l’Africa fosse fatta da popoli ‘senza storia’. Negli anni seguenti la seconda guerra mondiale il colonialismo è stato denunciato ed è cominciata l’era della decolonizzazione, che continua ancora. Nei nostri anni ’60, Leopold Sedar Senghor, presidente del Senegal indipendente, era noto come uno straordinario poeta e uomo di cultura, che propose al superbo uomo bianco l’elogio della ‘negritudine’. Erano quindi gli anni 1379. Il maggio del 68’ era in realtà il Safar 1388. L’Arno esondò a Firenze il 20 Rajab 1386. Il Magal è una festa del calendario religioso, anche se non una festa ufficiale. E il Grand Magal di Touba ha una chiara natura di festa di fondazione di uno specifico culto, quello delle confraternite Muridiche. Si tratta di comunità religiose che interpretano e praticano la religione islamica in una chiave mistica, con legami con la tradizione del sufismo. La presenza in Italia di queste comunità è legata alle prime emigrazioni senegalesi. I primi studi di antropologia dell’emigrazione negli anni ’90 segnalavano comunità muridiche (circoli o dahira) e connettevano con queste anche un certo modo di essere dei lavoratori senegalesi , impegnati nel lavoro, in un senso religioso del destino e del viaggio migratorio inteso come esperienza di vita, con una idea sempre presente di ritorno. La festa ricorda l’esilio dello Cheik (Maestro o anche saggio) Ahmadou Bamba , voluto dal colonialismo francese, e interpretato da Ahmadou Bamba come missione e destino, voluto da Dio. Un esilio con il quale si esprime anche una resistenza religiosa al dominio coloniale che è ancora iscritta nel significato della festa. Festa di un popolo disperso, con la quale queste comunità si tornano ad unire, in uno stesso tempo ma in diversi spazi. Una mostra può essere una guida a capire meglio la pluralità del mondo. In queste immagini siamo invitati a vedere il tempo e lo spazio con gli occhi e il sentimento religioso di una comunità internazionale di migranti legata ad una grande terra di origine. Nei siti www.magal-touba.org, e www.mourides.com si può navigare per conoscere un mondo religioso, trovare profili di face book, brani di you tube, una posta elettronica 18safar1433, che mostrano il web come spazio di transito comune, aiutano a capire. Non è sufficiente dare alla comunità senegalese il riconoscimento, il rispetto e la dignità che più volte in Toscana con il proprio comportamento ha saputo conquistare . Tutti e in particolare le generazioni nuove è giusto che comincino un viaggio dell’immaginazione verso le molte terre e culture che sono confluite dentro il nostro mondo, per imparare a conoscerle, e a rispettarle nella loro diversità, e accoglierle per la risorsa nuova, gli scambi, gli innesti, e la prospettiva di futuro che portano nelle nostre terre . E’ un obbligo delle istituzioni, dei mezzi di comunicazione, degli studi, quello di permetterci di capire, attraverso le molte storie, religioni, e culture migratorie i segni del nostro futuro. Pietro Clemente