GLI STRANI CAMMINI DELLA MECCANICA QUANTISTICA RENATO MUSTO 1. 1905 .................................................................2 2. I QUANTI DI LUCE ................................................4 3. LE ONDE DI MATERIA .............................................6 4. IL PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE ..........................8 5. IL DIBATTITO BOHR-EINSTEIN ..................................9 6. AVEVA RAGIONE BOHR ? .........................................13 7. IL PARADOSSO EPR ..............................................17 8. NOTA: LE RAGIONI DELL’APPARENZA .........................18 COME CONTINUANO GLI STUDI ........................................19 INTERVISTE AI LAUREATI ............................................... 23 Renato Musto è professore ordinario di Fisica Teorica e collabora al Master in Divulgazione e Comunicazione Scientifica presso l'Università di Napoli Federico II (www.mastercodis.unina.it). Si interessa di problemi di Meccanica Quantistica e dell'unificazione delle interazioni fondamentali in Teoria quantistica di campo e di Stringa E-mail: [email protected] Tel. 081 676489 1. 1905 E' una strana storia. La facciamo iniziare cento anni fa, quando un giovane fisico pubblicò alcuni articoli che avrebbero completamente sconvolto le concezioni esistenti della natura. Erano anni straordinari. A noi, abituati ad un flusso continuo d'informazione e ai mutamenti della vita quotidiana indotti dalla tecnologia, quei tempi potrebbero apparire lenti e noiosi. Ma erano in atto trasformazioni epocali. Lo sviluppo delle ferrovie strappava dall'isolamento regioni che sembravano ancora lembi del paradiso terrestre; telefono e telegrafo collegavano per la prima volta punti opposti del globo. L'arte amplificava la novità di quel mondo e di quello stile di vita che ancora oggi chiamiamo moderno. Pirandello mostrava la presenza in un personaggio di individui diversi; in un quadro di Picasso una singola forma valeva come un fianco di donna, una cassa di chitarra o un arco in una molteplicità di percezioni contemporaneamente possibili. E poi il cinema. Il miracolo della continuità che nasce dalla rapida successione discreta dei fotogrammi. Il cinema offre modi di percepire la realtà a cui ora siamo abituati ma allora totalmente nuovi. In una dissolvenza l'immagine del Dr Jekyll si trasforma in quella di Mr Hyde. In questo vortice di novità fisici vecchi e famosi dichiaravano che, in fisica, tutto ormai era stato capito. A smentirli arrivarono subito, oltre ad inattese scoperte sperimentali, le nuove teorie del giovane Einstein. Anche nella scienza sono importanti i salti generazionali. Nel 1905 Albert Einstein aveva 26 anni. Solo da un anno aveva trovato, dopo un periodo di lavori precari, una posizione stabile presso l'ufficio Brevetti di Berna. Finalmente un pò di sicurezza. Sicurezza per Mileva, che Albert aveva sposato due anni prima, malgrado sua madre non approvasse quella relazione da cui era già nata una figlia. Finalmente un impiego che gli lasciava tempo per le sue ricerche teoriche. 2 Al centro degli interessi del giovane Einstein vi era il fenomeno più affascinante della natura: la luce. Della luce si credeva di avere una teoria completa. Fin dal 1803 gli esperimenti di Young avevano mostrato che la luce si propaga sotto forma di onde, come le increspature prodotte sulla superficie di uno stagno dalla caduta di una pietruzza, come le deformazioni di una corda di chitarra o di violino. E Maxwell, nel 1864, aveva mostrato che a propagarsi erano il campo elettrico e il campo magnetico. La luce è quindi un'onda elettromagnetica. Questa frase può apparire misteriosa, eppure, oggi, le onde elettromagnetiche sono una presenza quotidiana. Diamo una rapida occhiata al telefonino per controllare se c'è campo e intendiamo, appunto, campo elettromagnetico; dirigiamo le nostre antenne per ottimizzare la sua ricezione; ne avvertiamo la presenza nei disturbi di una radio accesa vicino ad un forno a microonde. Tutta questa tecnologia si basa sulle equazioni che Maxwell ha trovato quando le onde elettromagnetiche note erano solo quelle della radiazione solare. Tutte le onde elettromagnetiche viaggiano alla velocità della luce, indicata con c, pari a circa trecentomila chilometri al secondo. Differiscono per la lunghezza d'onda λ e di conse- guenza per il periodo di oscillazione T e per la frequenza ν=1/T infatti, come è chiaro dalla fig.1 il rapporto tra la lunghezza d'onda ed il periodo, e quindi il prodotto tra lunghezza d'onda e frequenza, è pari alla velocità della luce: c=λ/T=λν. La lunghezza d'onda aumenta e la frequenza diminuisce andando dal verde verso il rosso, l'infrarosso, le microonde, le onde radio etc. Invece λ diminuisce (ν aumenta) andando dal verde verso il violetto, l'ultravioletto, i raggi X, i raggi γ. Nel 1905 il giovane Einsten mostrò che la luce aveva un cuore di tenebra, con nuovi misteri da svelare. La luce arriva dal sole viaggiando nello spazio vuoto. Eppure si credeva ancora che fosse necessario un supporto materiale per le vibrazioni del campo elettromagnetico e per questo si immaginava l'esistenza di una sostanza impercettibile, l'etere. Con l'articolo Sull' Elettrodinamica dei Mezzi 3 in Movimento, introducendo la Relatività Ristretta, Einstein dematerializzò il mondo fisico, abolendo la necessità dell'etere. La luce, pura vibrazione del campo elettromagnetico nello spazio vuoto, viaggia con velocità indipendente dallo stato di moto della sorgente o dell'osservatore. Einstein mette in discussione questa contrapposizione introducendo l'idea della presenza di strutture discrete all'interno della radiazione, i quanti di energia o quanti di luce. Più precisamente, riprendendo il lavoro di Planck del 1900, Einstein asserì che tutta l'energia di un fascio di luce di frequenza ν è raggrumata in quanti, ciascuno di energia hν , dove h è la costante di Planck. Per sottolineare l'analogia di queste strutture discrete con le particelle di materia, al quanto di luce è stato dato il nome di fotone. Infatti la luce, ed ogni radiazione elettromagnetica, può, secondo Einstein, essere considerata come un gas di fotoni. I fotoni sono strane particelle che viaggiano alla velocità della luce, hanno massa nulla, eppure posseggono energia E = hν. Einstein indicò nei processi di scambio di energia tra radiazione e materia i fenomeni che potevano dimostrare la correttezza della sua ipotesi. Infatti gli esperimenti FIGURA 1: In un’onda sinusoidale la lunghezza d’onda λ è la distanza tra due creste adiacenti, il periodo T è il tempo in cui una cresta sostituisce quella precedente, quindi la velocità dell’onda è c =λ/T. sull'effetto fotoelettrico - lo strano fenomeno dell'emissione di elettroni da superfici metalliche investite da onde elettromagnetiche confermarono l'ipotesi dei quanti di luce, fruttandogli l'assegnazione del premio Nobel nel 1921. 2. L'esistenza dei quanti di luce non appariva ad Einstein in alcun modo contraddittoria con la descrizione di Maxwell della radiazione, che rimase sempre un riferimento ideale nelle sue ricer- I QUANTI DI LUCE Ma non bastava. In un altro articolo, sempre del 1905, Un punto di vista euristico sulla creazione e assorbimento della luce, Einstein postulò l'esistenza dei quanti di luce. L'articolo parte da un problema centrale: la realtà fisica va analizzata in termini di grandezze continue o discrete? Einstein nota che esisteva un profondo dualismo nella descrizione della natura. Le proprietà dei corpi materiali, ad es. la loro energia, possono essere descritte in termini degli atomi che li compongono. Al contrario, nella teoria di Maxwell della luce, l'energia luminosa è distribuita con continuità, punto per punto, lungo tutta l'onda. 4 che, dalla Relatività Generale alle teorie unificate. Per lui la situazione era analoga a quella di un gas che ha un comportamento semplice e continuo, benché sia composto da un numero molto elevato di atomi che si muovono urtandosi in modo irregolare. Analogamente un tipico raggio luminoso, che si usa negli esperimenti sulla natura ondulatoria della luce, risulta composto da un numero di fotoni tanto elevato da creare l'apparenza di una distribuzione continua di energia (vedi Nota). 5 3. LE ONDE DI MATERIA Quando Louis-Victor de Broglie, nel 1923, presentò la sua tesi di dottorato aveva già 31 anni. Ma il ritardo era del tutto giustificato. Louis, che era uno studente di storia medioevale, attratto dai misteri della fisica moderna, aveva cambiato campo. Poi aveva fatto la prima guerra mondiale in un'unità che si occupava di trasmissioni radio. Per Louis de Broglie la duplice natura che Einstein aveva visto nella luce - la natura di onda e, insieme, di particella - costituiva una caratteristica fondamentale della realtà. Se ad un'onda luminosa sono associati fotoni, diventava concepibile che ad una particella di materia, come l'elettrone, fosse associata un'onda. Le proprietà di queste onde di materia sono suggerite dal fotone. Nella teoria della relatività al fotone è associata, oltre ad un'energia, una quantità di moto. Cioè, se un fotone colpisce un elettrone gli trasmette velocità, come una palla di biliardo che ne colpisce un'altra. La quantità di moto del fotone p è pari all'energia diviso la velocità della luce p=hν/c. Ricordando che c=λν si ottiene la quantità di moto di un fotone, associata ad un'onda di lunghezza d'onda λ, p=h/λ . Quindi, ragiona de Broglie, se anche l'elettrone possiede una duplice natura di onda e di particella, deve ancora valere la relazione p=h/λ, che ora collega la quantità di moto classica dell'elettrone, data dal prodotto della sua massa per la velocità, p=mv, alla lunghezza d'onda dell'onda di materia di cui si postula l'esistenza. In altri termini la relazione p=h/λ collega la lunghezza d'onda di un'onda classica alla quantità di moto della particella quantistica associata - il fotone e la quantità di moto di una particella classica - l'elettrone - alla lunghezza d'onda dell'onda quantistica associata. Einstein capì l'importanza delle idee di de Broglie, che sem- talmente, quando Davisson e Germer mostrarono che un fascio di elettroni, con una lunghezza d'onda di de Broglie pari circa alle distanze interatomiche (vedi Nota) si comportava come un'onda nel colpire un cristallo. Di qui l'assegnazione del premio Nobel a de Broglie nel 1929. La descrizione di un elettrone mediante una funzione d'onda ha permesso di analizzare e chiarire finalmente la struttura atomica. L'esperimento di Rutherford del 1911 aveva condotto al modello planetario dell'atomo. Nel caso più semplice, nell'atomo di Idrogeno, un elettrone dovrebbe ruotare intorno al protone, come la terra intorno al sole. Eppure tutti i fisici sapevano che questo era impossibile. Una particella carica, come l'elettrone, ruotando dovrebbe perdere energia emettendo onde elettromagnetiche e cadere rapidamente sul protone. Louis de Broglie intuì che la descrizione ondulatoria dell'elettrone permette una spiegazione fisica molto semplice del mistero della stabilità dell'atomo. Fin dai tempi di Pitagora ad una corda con estremi fissi era stata associata una serie di note, cioè una serie discreta di onde stazionarie possibili, quelle per cui agli estremi fissi corrispondono nodi dell'onda. L'idea di de Broglie è allora immediata: l'atomo è come uno strumento musicale. I possibili stati energetici dell'elettrone corrispondono alle onde stazionarie possibili ad esso associate. L'armonia del mondo, che secondo Keplero regna nelle orbite celesti, sembra regolare anche l'atomo. L'idea era molto bella, ma non ancora sufficiente a dare accesso alle segrete armonie della struttura atomica. Bisognava conoscere l'equazione che descrive le onde di materia, l'equazione trovata da Erwin Schrödinger nel 1926, durante una vacanza in montagna con la sua amante preferita. Ma questa è un'altra storia. brarono fantasiose speculazioni finché furono confermate sperimen6 7 4. IL PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE Lo studio di Schrödinger dell'atomo di idrogeno ha costituito una svolta per la teoria quantistica. La relazione tra un'onda luminosa ed i numerosi fotoni ad essa associati appariva semplice: dove l'intensità è maggiore vi è un maggiore numero di fotoni, dove è nulla non ve ne è nessuno. Ma che senso si può dare ad un'onda che descrive un singolo elettrone? Max Born propose che dove l'onda è più intensa è più probabile trovare l'elettrone, dove l'intensità è nulla si ha probabilità zero di trovarlo. Di colpo la conoscenza della posizio- Se Δx e Δp rappresentano l’imprecisione sulla misura della posizione x e della quantità di moto p=mv vale la relazione d’indeterminazione: Δx Δp ≥h. Vi è un limite alla conoscenza simultanea di posizione e velocità: più precisa è la misura di una grandezza peggiore è quella dell'altra. Di fatto il principio pone reali limiti solo per particelle microscopiche come l'elettrone (vedi Nota). FIGURA 2: ne dell'elettrone diventa molto meno precisa che in meccanica classica, dove si pretende di conoscere la posizione e la velocità delle particelle con precisione arbitraria. Se la funzione d'onda è diversa da zero in una zona limitata di spazio sappiamo solo che l'elettrone si trova all'interno di quella zona. Quanto più è piccola tanto meglio è determinata la sua posizione. L'unica forma d'onda che abbiamo presentato, quella di fig.1, è un'onda sinusoidale di una determinata lunghezza d'onda che si estende indefinitamente. In questo caso la posizione dell' elettrone è del tutto indeterminata. In compenso, la lunghezza d'onda, e quindi secondo de Broglie la velocità dell'elet- Al crescere delle onde sinusoidali componenti (mostrate in basso) l'onda risultante (mostrata in alto) è meglio localizzata. L'intensità dell'onda, pari al quadrato dell'ampiezza, è riportata in rosso. trone, ha un valore preciso. Come è possibile costruire un'onda localizzata? La fig.2 mostra che questo si ottiene sommando onde sinusoidali di diversa lunghezza d'onda. Quanto maggiore è il loro numero tanto meglio è localizzata l'onda risultante. Ma ogni nuova lunghezza d'onda corrisponde ad un nuovo possibile valore della quantità di moto, p=mv, dell'elettrone. Mentre si guadagna informazione sulla posizione, costruendo un'onda più limitata nello spazio, si perde informazione sulla velocità. Raffinando il ragionamento si giunge alla relazione di indeterminazione di Heisenberg. 8 5. IL DIBATTITO BOHR-EINSTEIN A questo punto i fisici si trovavano in una situazione paradossale. Dovevano applicare ad uno stesso oggetto concetti antitetici, come onda e particella. Ritorniamo alla natura della luce. Per mostrare che essa si comporta come un'onda basta ripetere l'esperimento di Young. Sul cammino di un raggio luminoso viene posto uno schermo S1(vedi Fig. 3) con due fenditure. 9 posizioni assolutamente casuali, e ciascuno in seguito all'assorbimento dell'energia di un singolo fotone. Come aveva indicato Einstein la luce è costituita da particelle. Ma, quando la maggior parte dei pixel si è attivata dando un'immagine continua, ecco ricomparire le frange d'interferenza. Quindi, colpendo lo schermo, la luce si rivela composta da fotoni, ma la distribuzione dei fotoni dipende dal suo comportamento ondulatorio. Un vero rompicapo. FIGURA 4 FIGURA 3: Schema dell’esperimento di Young. Lungo lo schermo S2 è riportato l’andamento dell’intensità luminosa tipico delle frange d’interferenza. La luce proveniente dalle fenditure viene raccolta su di un secondo schermo S2, parallelo al primo. Sullo schermo S2 si alternano zone illuminate e zone buie. I fasci provenienti dalle due fenditure danno luogo a frange d'interferenza. La teoria ondulatoria della luce spiega il fenomeno. Nei punti dello schermo S2 in cui i due fasci arrivano insieme (o a distanza di uno o più periodi) le onde oscillano in fase, le loro ampiezze si sommano e l'intensità luminosa è quattro volte quella del singolo fascio (Fig. 4a). Allontanandosi da queste zone le due onde arrivano sfasate, le ampiezze si sommano parzialmente o, addirittura, si cancellano, Fig. 4b,c. Dunque la luce si comporta come un'onda. Ma l'esperimento può essere raffinato. Immaginiamo che lo schermo S2 sia costituito, in modo simile a quello di un computer, da centinaia di migliaia di elementi attivi, detti pixel, ciascuno capace di accendersi quando colpito dalla luce. Realizzando l'esperimento con luce di ordinaria intensità, i pixel In Fig. 4 sono mostrate, dal basso verso l’alto, le due onde componenti, l’onda risultante e, in rosso, l’intensità dell’onda risultante. In 4a le onde componenti sono in fase, in 4b e 4c sono sfasate di 90° e 180°. In 4a l’intensità dell’onda risultante è quattro volte quella delle componenti, in 4b doppia, in 4c nulla. Questo esperimento, anche se non realizzabile al tempo accesi ridanno l'immagine delle frange d'interferenza. Ma, se l'intensità luminosa è estremamente bassa, la situazione cambia drasticamente. Sullo schermo S2 si attivano singoli pixel, uno alla volta, in della nostra storia, illustra i problemi che portarono Bohr ad enunciare nel 1927 il Principio di Complementarietà per i fenomeni quantistici: "Esistono proprietà ugualmente reali, ma mutuamente esclusive". In termini semplici, le proprietà di un sistema quantistico dipendono da come viene osservato. Se misuriamo esattamente la 10 11 posizione, non sappiamo niente della quantità di moto. Se osserviamo proprietà ondulatorie perdiamo di vista quelle tipiche di una particella. Le idee di Bohr ebbero un'accoglienza favorevole, ma tra i fisici vi era grande attesa dell'opinione di Einstein. L'occasione arrivò nell'ottobre dello stesso anno, al quinto Congresso Solvay. Era presente una sola donna, Maria Curie, erano presenti i padri della meccanica quantistica e i giovani leoni. Le relazioni scientifiche erano importanti, ma l'attenzione si concentrò sul dibattito che si era acceso fuori dalle riunioni ufficiali. Einstein non accettava le idee di Bohr e, a colazione, gli aveva presentato un problema. Se i fotoni sono reali, deve essere possibile osservare, nell'esperimento di Young, da quale fenditura passa ciascun fotone. E suggerì un semplice esperimento ideale capace di fornire questa informazione. Provenendo dalla sorgente il fotone deve rimbalzare contro uno dei bordi della fenditura per giungere sullo schermo dove si formano le frange di interferenza (S2). Misurando questo urto diventa possibile identificare la fenditura attraversata dal fotone. L'obiezione di Einstein sembrava colpire al cuore il principio conoscibile solo a prezzo di eliminare l'evidenza della natura ondulatoria della luce. Einstein accettò la risposta, ma non rimase convinto. Il dibattito continuò negli anni successivi con lo stesso esito: Bohr rafforzò le sue idee, trovando risposte alle obiezioni di Einstein che comunque rimaneva scettico. Fin qui abbiamo presentato l'aspetto intellettuale del dibattito, ma sarebbe sbagliato nasconderne l'impatto emotivo. Nel 1927 Einstein era già un mito per tutti i fisici. Vedere Einstein confutato, fermo nelle sue convinzioni malgrado le ragioni contrarie, fu per i fisici presenti al Congresso Solvay un'esperienza drammatica. Ehrenfest, quasi in lacrime, dichiara di non poter non essere d'accordo con Bohr e ricorda al suo amico Albert le resistenze incontrate dalla teoria della relatività. Heisenberg parla di quel dibattito come di un duello e non ha dubbi sul vincitore. Fatto è che la risposta di Bohr è diventata un paradigma per interpretare i fenomeni quantistici. Per osservare il cammino del fotone si crea un'indeterminazione che distrugge le proprietà ondulatorie. Cioè dipende dall'osservatore l'aspetto sotto cui la natura si presenta. di complementarietà, con i limiti che esso pone alla conoscenza. Ma Bohr, a cena, diede la sua risposta. Einstein suggeriva di rendere mobili le parti dello schermo (S1) adiacenti alle fenditure, per osservare quale si muovesse a causa dell'urto del fotone. Ma, per questo, occorre sapere che prima erano ferme o, meglio, conoscere la loro velocità iniziale con precisione maggiore della variazione di velocità dovuta all'urto del fotone. Ma una tale accuratezza sulla velocità, e quindi sulla quantità di moto, comporta per il principio di indeterminazione, un'incertezza sulla posizione. E quindi, concluse Bohr, la posizione delle fenditure, la loro distanza da un punto dello schermo S2 e il tempo impiegato dalla luce per percorrerla diventano tanto imprecisi da far sovrapporre le zone buie e le zone illuminate, cancellando le frange d'interferenza. Il cammino del fotone era 12 6. AVEVA RAGIONE BOHR ? La prima analisi quantistica completa, svolta nel 1979 da Wooton e Zurek, mostra che la risposta al problema posto da Einstein è più strana e sottile. Per illustrare i risultati in modo semplice, sfrutteremo una nota proprietà della luce. Un'onda luminosa oscilla solo nelle direzioni perpendicolari alla direzione in cui si propaga. Se oscilla in una direzione determinata si dice che è polarizzata in quella direzione. (Precisamente il campo elettrico dell'onda ha quella 13 direzione). Quando orientiamo l'antenna di una radio per migliorare la ricezione cerchiamo di metterla parallela alla direzione di polarizzazione dell'onda che stiamo ricevendo. Dal punto di vista quantistico la luce è costituita da fotoni. Quindi alle due direzioni ortogonali di polarizzazione indipendenti della luce corrispondono due stati di polarizzazione del fotone. FIGURA 5: Esperimento di Young modificato. Lungo lo schermo S2 è riportato l’andamento dell'intensità luminosa: _____ frange d'interferenza, - - - - assenza di frange d'interferenza. FIGURA 6: L'intensità di un'onda risultante dalla somma di una onda polarizzata lungo x e di una lungo y non produce interferenza, in quanto l’intensità è somma di quantità positive E2=Ex2+Ey2 invece, il fascio 2 viene polarizzato in una direzione perpendicolare a quella del fascio 1, chiamiamola y le frange d'interferenza scompaiono. Infatti, come mostrato in fig.6, due onde con polarizzazioni ortogonali non interferiscono. Vi sono, però, le condizioni per sapere, se si vuole, attraverso quale fenditura è passato ciascun fotone. Basta misurare la sua polarizzazione! Se è lungo x è passato dalla fenditura 1, se è lungo y è passato per la fenditura 2. Sembra quindi che Bohr abbia ragione. Le frange d'interferenza scompaiono e si acquista la possibilità di sapere con certezza da che parte è passato il fotone. Ma il meccanismo è del tutto diverso: l'intervento dell'osservatore non causa nessuna indeterminazione, l'unica modifica è la polarizzazione del fascio 2, che non distrugge ma solo nasconde le proprietà ondulatorie della luce. Ci accorgiamo di questa differenza quando si sceglie per il fascio 2 una polarizzazione intermedia tra la direzione x e la direzione y, ad es. a 45°. Ora la situazione è più complicata: la polarizzazione del fascio 2 deve essere decomposta in una componente lungo x ed una lungo y. Il risultato è il seguente. Si vedono ancora frange d'interferenza, ma meno pronunciate che nel- Per effettuare l'esperimento di Young e, allo stesso tempo, cercare di identificare il cammino del fotone si può usare luce polarizzata in una certa direzione, che chiamiamo x. Il fascio che esce dalla fenditura 1 (vedi Fig.5), è quindi polarizzato nella direzione x; quello che esce dalla fenditura 2 viene fatto passare attraverso uno strumento che può ruotare a piacere la sua polarizzazione (polarizzatore). Quindi i due fasci convergono sullo schermo S2 come in precedenza. Che cosa si vede sullo schermo al variare della polarizzazione del fascio 2? Se esso ha la stessa polarizzazione del fascio 1, si tratta di un normale esperimento di Young e si osserveranno le solite frange di interferenza. I fotoni del fascio 1 e del fascio 2 hanno la stessa polarizzazione (x) e non sono in alcun modo distinguibili. Se, 14 l'ordinario esperimento di Young. In nessun punto si ha buio e l'illuminazione varia tra un massimo e un minimo. Al contempo si ha una parziale capacità di sapere da quale fenditura è passato il fotone: se è polarizzato lungo y di certo è passato dalla fenditura 2, se è lungo x è solo più probabile che sia passato dalla fenditura 1 che dalla 2. Quindi variando la polarizzazione del fascio 2 si passa con continuità dal caso in cui la luce si comporta come un'onda a quello in cui la luce appare composta da fotoni. Nei casi intermedi si ha un compromesso: quanto peggiore è la qualità delle frange d'interferenza tanto maggiore è la capacità di prevedere da quale fenditura è passato il fotone e viceversa. Ma si può fare ancora di più. In fig.7 è presentata una modifica dell'esperimento di Young in cui il fascio 1 è separato in due fasci 15 1A e 1B, analogamente il fascio 2, dopo il polarizzatore, è separato nei fasci 2A e 2B. I fasci 1A e 2A si sovrappongono sullo schermo S2, i fasci 1B e 2B, dopo che quest'ultimo è passato per un secondo pola- solo nascoste dalla scelta della polarizzazione. In questo caso possiamo dire da quale fenditura sono passati i fotoni arrivati sullo schermo S2, misurando la loro polarizzazione. Dei fotoni arrivati sullo rizzatore, si sovrappongono sullo schermo S3. Come prima l'esperimento è condotto con luce polarizzata lungo la direzione x. schermo S3 non possiamo saperlo. Ma i fotoni quando arrivano alle fenditure sono assolutamente identici e, a caso, finiscono su uno o l'altro schermo. E la possibilità, o meno, di sapere il loro cammino dipende dall'azione dei polarizzatori che può essere anche decisa e effettuata solo dopo che i fotoni sono passati dalle fenditure. La descrizione di questo semplice fatto, il passaggio dei fotoni dalle fenditure, non dipende solo da quanto accade in quei punti, ma da come è fatto l'intero esperimento! 7. IL PARADOSSO EPR Questa strana proprietà degli oggetti quantistici di essere correlati e interdipendenti anche a distanza è stata resa evidente da FIGURA 7: Esperimento di Young modificato. I fasci 1 e 2 attraversano specchi semitrasparenti e sono suddivisi nei fasci 1A, 1B e 2A, 2B. Quest'ultimo viene fatto passare per un nuovo polarizzatore. I fasci 1A e 2A si sovrappongono sullo schermo S2, mentre i fasci 1B e 2B si sovrappongono sullo schermo S3. Se entrambi i polarizzatori polarizzano la luce nella direzione y su entrambi gli schermi non si osservano figure d'interferenza. Come nell'esperimento precedente la natura ondulatoria della luce sembra scomparsa. Ma se il secondo polarizzatore ripristina la polarizzazione lungo x, dopo che il primo l'aveva portata lungo y, sullo schermo S3 (e non sullo schermo S2) ecco ricomparire le frange d'interferenza. Le proprietà ondulatorie non erano scomparse, erano 16 un paradosso proposto nel 1935 da Einstein, insieme a B. Podolski e N. Rosen. E’ più semplice la versione del paradosso dovuta a D. Bohm. E' possibile produrre, in un decadimento atomico, due fotoni identici, ma con polarizzazione opposta, che chiamiamo + e -. Se un fotone ha polarizzazione + l'altro ha -, ma non sappiamo quale ha + e quale -. Fin qui tutto bene. Ma i fotoni, appena prodotti, viaggiano alla velocità della luce e possono allontanarsi chilometri, o anche anni luce, l'uno dall'altro. Ora è possibile misurare la polarizzazione di uno dei due fotoni. Immaginiamo che il risultato sia +, allora immediatamente l'altro fotone, per quanto lontano, avrà polarizzazione -. Gli esperimenti hanno mostrato che le cose stanno proprio così. Il fatto è paradossale solo se si pensa i fotoni come due oggetti isolati, lontani l'uno dall'altro. In realtà essi, malgrado la lontanan17 za, dipendono l'uno dall'altro, formano un unico sistema, sono intrecciati (entangled), come si dice in gergo. Il paradosso che avrebbe dovuto mostrare i limiti della meccanica quantistica è COME CONTINUANO GLI STUDI IN FISICA diventato la base di precise verifiche e di applicazioni straordinarie come il teletrasporto. Einstein ha avuto ancora una volta torto, ma solo la sua chiarezza mentale ha permesso di rivelare il segreto più intimo e affascinante della meccanica quantistica. LAUREA TRIENNALE IN FISICA Il corso di Laurea triennale in Fisica intende fornire una preparazione che spazia da un ambito puramente conoscitivo, rivolto allo studio teorico e sperimentale delle leggi fondamentali della NOTA: LE RAGIONI DELL'APPARENZA natura, ad ambiti di carattere tecnologico e applicativo. Esso prevede un curriculum a carattere generale e più curricula a carattere tecnologico o applicativo. Il curriculum generale ha lo scopo di dare una formazione in fisica sufficientemente approfondita per permet- Non percepiamo la natura quantistica della realtà perché la costante di Plank è piccola, in unità di misura adatte ai fenomeni ordinari: metro, chilogrammo e secondo, circa h=6,6·10-34 joule sec. Per una frequenza tipica della luce visibile, ν= 5·1014 oscilla- tere il proseguimento degli studi nelle lauree specialistiche senza debiti formativi o l'ingresso nel mondo del lavoro con una solida formazione di base e ulteriori conoscenze, a scelta dello studente, in uno dei settori della Fisica: Astrofisico, Biofisico, Geofisico, Cibernetico, Nucleare, Subnucleare, Struttura della Materia, 8. zioni al sec., l'energia del fotone è una frazione impercettibile dell'energia emessa in un secondo da una lampadina di 30 Watt, pari a cento miliardi di miliardi di fotoni. Per un elettrone, la cui massa è circa 9·10-31 Kg, con una tipica velocità di 6·106 m/sec la lunghezza d'onda di de Broglie, λ=h/mv, è circa 10-10 m, una tipica distanza atomica, dove si manifestano le proprietà ondulatorie. Per un oggetto ordinario con massa di qualche grammo e velocità di qualche metro al secondo la lunghezza d'onda è talmente piccola che gli aspetti ondulatori non possono mai manifestarsi. Similmente, per un oggetto di questo tipo misure di altissima precisione della posizione e della velocità soddisfano sempre il principio di indeterminazione. Invece per un elettrone anche una misura rozza, con un errore dello stesso ordine della velocità, 106 m/s, implica un'imprecisione dell'ordine delle tipiche distanze atomiche. 18 Teorico. I curricula tecnologici o applicativi riguardano: Tecniche fisiche per la biomedicina, Fisica dei semiconduttori, Fisica dell'Ambiente, Metodologie Nucleari Applicate, Elettronica. Il primo anno è comune a tutti i curricula. In ogni caso i primi due anni sono dedicati ad acquisire le basi della fisica e la metodologia delle osservazioni sperimentali ed al terzo anno lo studente struttura il piano di studi, nell'ambito del curriculum scelto, in funzione dei suoi obiettivi: entrare subito nel mondo del lavoro o continuare gli studi. In particolare le attività didattiche del corso di laurea triennale in Fisica si articolano in attività di base che introducono lo studente alla Matematica e all'Informatica ed al loro uso in Fisica, attività caratterizzanti che forniscono le adeguate conoscenze di meccanica, di termodinamica, elettromagnetismo classico, meccanica quantistica e di fisica moderna, dal subnucleare agli stati aggregati all'astrofisica, con un forte corredo metodologico di laboratorio (che costi19 tuisce una componente essenziale nella formazione del laureato in Fisica) e di calcolo tale da poter essere utilizzato proficuamente in un vasto campo di applicazioni, attività in ambiti affini alla fisica che forniscono conoscenze e capacità in matematica, in fisica matematica, in chimica ed in applicazioni informatiche, adeguate ad operare in ambiti teorici, sperimentali ed applicativi della fisica classica e moderna, attività a libera scelta dello studente fra cui approfondimenti di lingua inglese ed informatica, attività correlate con la produzione dell'elaborato finale, che include eventuale stage preparatorio. L'organizzazione didattica è articolata in due periodi didattici ("semestri") nell'anno accademico; tra il primo ed il secondo periodo è inserita una interruzione di alcune settimane, in cui si svolgono gli esami, per la verifica della preparazione raggiunta dagli studenti negli insegnamenti svolti nel periodo. Una delle novità introdotte dalla riforma universitaria è il credito formativo universitario (corrispondente a 25 ore di impegno per lo studente, comprensivo di lezioni, laboratorio, studio individuale). Ad ogni insegnamento o attività è assegnato un determinato numero di crediti e la laurea triennale (il titolo di "dottore in Fisica") si consegue con l'acquisizione di 180 crediti in tre anni ed una prova finale che consiste nella discussione di un elaborato su un'applicazione di metodi teorici e/o sperimenta-li ad un problema specifico. L'elaborato è anche finalizzato all'acquisizione di abilità riguardanti la comunicazione, la diffusione ed il reperimento delle informazioni scientifiche anche con metodi bibliografici, informatici e telematici. Le prospettive professionali dei laureati in fisica sono principalmente nel settore industriale, in ambiti in cui è richiesta la capacità di costruire e trattare modelli di realtà complesse (elettronico, opto-elettronico, informatico, ottico, biomedico, ecc.), negli Enti pubblici quali ospedali, nei laboratori di controllo, nelle strutture sanitarie in cui è richiesta competenza sulle tecnologie per la diagnostica medica e per la terapia medica, nei laboratori o strutture di controllo ambien20 tale, in cui si applicano e si sviluppano metodologie fisiche per il controllo degli impatti fisici sull'ambiente, nelle società di consulenza e servizi per aziende, tra cui, per esempio, banche e agenzie finanziarie, in cui si utilizzano le capacità del laureato in fisica di costruire modelli per la trattazione di realtà complesse, nel settore della formazione (insegnamento, divulgazione e giornalismo scientifico) e nella ricerca scientifica presso Università ed Enti di ricerca. Per i fisici l'apertura delle frontiere e l'unificazione europea, anche della formazione universitaria, costituisce nuove opportunità e più ampie opportunità di lavoro anche all'estero. LAUREA MAGISTRALE IN FISICA Dopo la laurea triennale è possibile frequentare il corso di Laurea magistrale in Fisica (due anni) che permette di raggiungere una più spiccata specializzazione nei vari settori scientifici ed applicativi e consente, se si vuole continuare nella ricerca, l'accesso al Dottorato di Ricerca (tre anni). La Laurea magistrale si consegue con 120 crediti. Il corso di Laurea magistrale in Fisica si articola in otto differenti curricula: Fisica Subnucleare, Fisica della Materia, Fisica Teorica, Fisica Nucleare, Fisica Biomedica, Geofisica, Elettronica, Astrofisica ed il titolo di "Dottore Magistrale in Fisica" si consegue dopo aver superato una prova finale che consiste nella discussione di un elaborato scritto di tesi su un’applicazione originale di metodi teorici o sperimentali ad un problema specifico di interesse per la ricerca nei campi della Fisica e delle sue applicazioni. L'attività svolta nell'ambito della tesi potrà essere effettuata sia nell'interno delle strutture universitarie, sia presso Enti di ricerca (fra cui l'INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, il CNR-INFM - Istituto Nazionale di Fisica della Materia, il CNISM - Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze Fisiche della Materia, l’INAF 21 Istituto Nazionale di Astrofisica, l'INGV Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, il CNR), centri di ricerca o laboratori nazionali ed internazionali, in Italia o all'estero, aziende o enti esterni. I laureati magistrali potranno trovare impiego nella ricerca fondamentale ed applicata presso Università ed Enti di ricerca ed in altre attività produttive e di pubblica utilità, quali, ad esempio, produzione e studio INTERVISTA A FRANCESCO PALOMBA delle proprietà di nuovi materiali, prevenzione e controllo dei rischi ambientali, analisi nel campo dei beni culturali, analisi del rischio sismico, progettazione di sistemi di rivelatori e di sensori, radioprotezione dell'uomo e dell'ambiente, controllo e rivelazione di fenomeni fisici nell'ambito della prevenzione, diagnosi e cura, modellizzazione matematica di fenomeni complessi. Siti Web e riferimenti utili http://www.na.infn.it http://www.na.infn.it/didattica/didattica.htm - Che studi ha compiuto ? Maturità scientifica, Laurea in Fisica (1996), dottorato di Ricerca in Fisica a Napoli (2000). - Che lavoro svolge ora ? Hardware Designer Senior presso ERICSSON LAB ITALY S.p.A. a Milano (Progettazione di circuiti integrati analogici operanti a frequenze da 2 a 40 GHz). - Che ruolo hanno avuto gli studi nella sua esperienza lavorativa? Per il lavoro che svolgo sono fondamentali le conoscenze di elettronica acquisite durante il corso di laurea e l'attività di ricerca nel campo delle microonde che ho svolto durante la tesi di Laurea ed il Per saperne di più La Fisica di Feynman, Zannichelli, 2001, vol 1, cap. 32 A.D. Aczel, Entanglement. Il più grande mistero della fisica. Cortina 2004 Dottorato di Ricerca. - E' stato più importante che il corso di laurea abbia fornito una forma mentis o competenze specifiche ? Sicuramente per i problemi che mi trovo ad affrontare nella vita lavorativa è importantissima la forma mentis acquisita durante il corso dei miei studi. Dal mio punto di vista ciò rappresenta per me un piccolo vantaggio rispetto ai colleghi ingegneri (la quasi totalità), meno inclini ad un'analisi complessiva dei problemi, che compensa 22 23 largamente la mancanza di alcune nozioni più tecniche, che comunque si acquisiscono agevolmente a partire dalle conoscenze sull'elettronica di base che il corso di laurea in fisica fornisce. - Avrebbe gradito un curriculum di studi o un'impostazione diversa ? Per l'attività che svolgo non credo che un'impostazione diversa del corso di laurea mi avrebbe aiutato maggiormente. Per quanto riguarda il curriculum, probabilmente avrei fatto bene a seguire il corso di elettronica. INTERVISTA A MARIO NICODEMI Pensando più in generale ad un corso di laurea che debba formare gli studenti non solo per un futuro dedicato alla ricerca di base, ma anche per un eventuale impiego in ambito aziendale, credo che sarebbe molto utile prestare maggiore attenzione al mondo dei semiconduttori ed alle tecnologie di punta utilizzate attualmente - Che studi ha compiuto ? Maturità scientifica, Laurea in Fisica (1993), dottorato di Ricerca in Fisica a Napoli (1996). nelle industrie. Mi sembra invece molto importante che nel corso degli ultimi anni si sia introdotto l'insegnamento di linguaggi di programmazione come il C, il C++ e le tecnologie object-oriented, dato che un buon numero di fisici finiscono per lavorare nel campo dell'informatica. - Che lavoro svolge ora ? Sono Ricercatore presso il Dipartimento di Fisica dell'Università di Napoli "Federico II" e collaboro con vari centri di ricerca internazionali, come l'Imperial College di Londra (UK), l'ESPCI di Parigi Ai miei tempi, infatti, noi imparavamo il FORTRAN, che e' un linguaggio utilizzato prevalentemente in ambito scientifico e assolutamente non usato per applicazioni di uso comune. (Francia) o il KITP -UCSB di Santa Barbara (USA), dove passo molti mesi l'anno. - Che ruolo hanno avuto gli studi nella sua esperienza lavorativa? Naturalmente, per il mio lavoro gli studi universitari compiuti sono quelli ottimali. Il Dipartimento di Fisica di Napoli fornisce una preparazione di base di livello eccellente ed è per tradizione aperto a stimolare carriere scientifiche internazionali. E' stato più importante che il corso di laurea abbia fornito una forma mentis o competenze specifiche? Nella mia esperienza, il Corso di Laurea consente agli studenti di padroneggiare gli strumenti di base necessari ad affrontare il mondo della ricerca scientifica e tecnologica a livello internazionale e sti- 24 25 mola la maturazione di un modo di pensare aperto e solido, molto utile nel mondo del lavoro. Spesso questo conta molto più di conoscenze tecniche specifiche che si possono apprendere facilmente dai "manuali". - Avrebbe gradito un curriculum di studi o un'impostazione diversa? Ai fini della mia carriera nell'ambito della ricerca scientifica non credo che un'impostazione diversa del Corso di Laurea mi avrebbe aiutato maggiormente. Forse, più in generale, il Corso di Laurea potrebbe porre l'accento più fortemente sulle nuove importanti prospettive di lavoro che si sono aperte ai laureati in Fisica negli ultimi anni. Oggi, infatti, oltre agli sbocchi professionali nelle multinazionali delle tecnologie (dalle tecnologie hardware, all'elettronica, a quelle dei materiali avanzati, etc...) esistono molti sbocchi nelle società che si basano su applicazioni dei metodi quantitativi, dalla Finanza dei derivati, al Risk managment, alle compagnie di assicurazione, etc... Ad esempio, moltissimi laureati in Fisica nei paesi del nord europa e negli USA, dopo aver conseguito un master in Finanza, sono oggi richiesti presso banche ed istituti finanziari. Io stesso, negli anni in cui ho lavorato a Londra ho avuto offerte in questa direzione. 26