Quarto seminario dei dottorandi - Dipartimento di Storia dell`Arte e

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Quarto seminario del dottorato di ricerca in Storia e analisi delle culture musicali
Università di Roma "la Sapienza" - 9-10 febbraio 2010
Aula di Storia della Musica “Nino Pirrotta” (IV Piano) - Facoltà di Lettere e Filosofia
Pure quest’anno l’attività dei dottorandi in Storia e analisi delle culture musicali troverà uno spazio di confronto all’interno
della programmazione accademica. Come negli anni precedenti, gli iscritti al secondo e terzo ciclo proporranno una
relazione, in forma problematica, su alcuni risultati o nodi teorico-metodologici della propria ricerca. Il convegno, aperto
a tutti, sarà introdotto da una relazione del Prof. Agostino Ziino (Università di Roma “Tor Vergata”).
Programma del seminario
Martedì 9 febbraio, ore 15.00 Aula di Storia della Musica.
Agostino Ziino (relazione d’apertura): Alcune riflessioni su un frammento inedito di musica trecentesca
ore 16.00
Ilaria Grippaudo: Musica Urbana. Interventi musicali nelle processioni a Palermo fra
Rinascimento e Barocco
Simone Caputo: La Missa pro defunctis di Palestrina e il Requiem di Cavalli: punti d’arrivo ed
estremi di percorsi che contribuisco alla “cristianizzazione della morte” e all’affermarsi di un
“tragico barocco”
ore 17.30
Massimo Rizzo: Il canto glagolitico dell'isola di Krk (golfo del Quarnaro, Croazia)
Valentina Brandazza: Mutarsi nel Buddha. Studio di un processo trasformativo della circolarità del tempo mediante il
canto e l’immobilità
Mercoledì 10 febbraio, Aula di Storia della Musica.
ore 9.00
Iyad Hafiez: L' Inshad dalla moschea al videoclip
Vanna Crupi: Voci nella foresta: i codici segreti della parola e della musica konzo negli spazi sacri del Ruwenzori
Giulia Ferdeghini: L’epopea curda di Dimdim: la storia, la leggenda e alcuni problemi linguistici affrontati
Pausa
ore 11.00
Erik Wallrup: An attunemental mode of listening
Patrizia Mazzina: Luciano Berio e il gesto della voce
Marco Spagnolo: Su alcuni tratti stilistici delle opere di Federico Incardona
ore 12.30
Discussione finale.
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ABSTRACTS ILARIA GRIPPAUDO Musica Urbana. Interventi musicali nelle processioni a Palermo fra Rinascimento e Barocco. Le fonti documentarie disponibili per lo studio delle attività musicali a Palermo fra Cinque e Seicento testimoniano il gran numero di cerimonie en plein air promosse dalle istituzioni operanti in città, e soprattutto dagli ordini religiosi. Quest'ultimi si dimostravano particolarmente attivi nell'ambito delle cerimonie processionali, organizzate in occasione delle festività principali (come il Corpus Domini o S. Rosalia) e che si distinguevano per la frequenza e significatività degli apporti sonori. I documenti che ne danno testimonianza – pur addentrandosi solo di rado nello specifico delle pratiche esecutive – forniscono talvolta informazioni sul ruolo che la musica doveva svolgere nelle celebrazioni ufficiali e di come esso fosse pianificato in modo attento, allo scopo di creare precise aspettative negli spettatori. Una prospettiva che tenga conto del rapporto fra musica e spazio urbano, sul modello della Urban Musicology, può servire ad una ricostruzione dei fenomeni musicali nella loro globalità, mostrando come la presenza della musica nelle processioni, oltre a fungere da richiamo dell'attenzione, costituisse un ulteriore elemento per delimitare lo spazio territoriale, contribuendo al consolidamento dell'istituzione di turno. Nel corso della discussione si presenteranno alcuni esempi di interventi musicali durante le processioni, partendo dai riferimenti delle fonti archivistiche e in particolare – per quanto riguarda la descrizione del ruolo delle musiche – dalla donazione del 1551 di Aloisia lo Fesi al convento di S. Domenico per la processione del SS. Rosario. SIMONE CAPUTO La Missa pro defunctis di Palestrina e il Requiem di Cavalli: punti d’arrivo ed estremi di percorsi che contribuisco alla “cristianizzazione della morte” e all’affermarsi di un “tragico barocco”. E’ dubbio che la morte sia un problema specificamente filosofico? Possono i lampi dell’arte che, considerati singolarmente, sarebbero sempre insufficienti, essere capaci di metter in luce qualcosa di simile a un’intuizione della morte? E quale il posto del Requiem, intimamente legato al senso della morte, nel lungo percorso del rapporto uomo‐morte attraverso la storia e il tempo? Le tre domande si specchiano l’una nell’altra. Indagare tali questioni equivale a compiere un lavoro di apprendimento e accumulo imponente, che non fornisce risposte sempre certe, ma continui stimoli e nuove domande. Ancor più se il tentativo è anche quello di restituire in questo percorso quello spazio problematico spesso negato alla musica, attraverso lo studio del Requiem, espressione intensa e ricca di significato religioso‐liturgico e manifestazione di precise visioni della trascendenza, del dolore derivato dalla finitudine dell’uomo, dell’aldilà. La prospettiva è duplice: da un lato affrontare la materia imboccando la strada della lunga durata, della visione plurisecolare degli atteggiamenti degli uomini d’Occidente sul piano del senso della morte, dello studio della storia del Requiem nella sua orizzontalità; dall’altro soffermarsi sull’analisi di singoli periodi o fenomeni o produzioni musicali, nella convinzione di trovarsi di fronte a nodi centrali per comprendere la storia del rapporto uomo‐morte. Perché mettere uno accanto all’altro gli eventi demografici, rituali, culturali, artistici con quelli musicali senza giungere a un’effettiva integrazione organica o a una profondità di sintesi non garantisce di per sé un risultato probante e valido. Uno dei nodi centrali al riguardo, nella storia culturale, ecclesiastica e musicale dell’Europa occidentale, è quello racchiuso tra due date: il 1591, anno in cui Palestrina compone la Missa pro defunctis, secondo le indicazioni presenti nel messale unico pubblicato da papa Pio V nel 1570, e il 1675, anno in cui Cavalli compone il Requiem per la sua stessa morte, lasciandone istruzioni nel testamento. Provare a esaminare le opere in questione in una prospettiva ampia, che va aldilà della sola analisi musicale, permette di aggiungere nuove intuizioni e domande quanto a quel processo complesso della storia dell’Occidente cui Vovelle ha dato il nome di “cristianizzazione della morte”. L’affermarsi del Requiem è infatti uno dei segnali che indicano il compimento di un processo durato secoli, che vede come protagonista la Chiesa romana, impegnata prima e dopo il Concilio di Trento. Le molteplici preghiere medievali per i morti, in cui il destino collettivo ha il sopravvento sul destino particolare, si trasformano nella messa per i defunti, in cui è il destino del singolo a prendere il sopravvento sul “tutti moriremo”. La Missa pro defunctis di Palestrina e il Requiem di Cavalli, presi come punti d’arrivo ed estremi di percorsi che contribuisco alla “cristianizzazione della morte” e all’affermarsi di un “tragico barocco”, pur nella loro diversità e nella consapevolezza che la comparazione di eventi lontani non porta ad alcun risultato se non ci si avvicina per accerchiamento, possono fornire inaspettate risposte ai seguenti quesiti che riguardano la musica e vanno oltre: quali le ragioni che portano all’affermarsi del cerimoniale della morte e con esso del Requiem, espressioni di una mutata visione della morte stessa, non più fine, ma coronamento di un agire‐per, e segni evidenti di un mutamento che investe individuo, famiglia, società? Quale il salto, le trasformazioni, che la musica composta per il rito funebre compie in un movimento che porta dall’affermazione di una visione istituzionale a quella individuale, in una stagione della storia in cui il controllo che l’autorità ecclesiastica rivolge alla produzione legata alla liturgia funebre, musicale e non, si fa forte e invadente? L’affermarsi del Requiem è solo il riflesso di un’atmosfera che produce una serie di comportamenti e rituali religiosi che modellano la morte e l’uomo, o è piuttosto espressione di una nuova idea di lutto che riesce ad andare al di là della sensibilità della fine del Cinquecento e del Seicento, lasciando un’impronta duratura? Quali molle, contraddizioni e spinte, infine, si celano dietro la composizione delle messe per i defunti, nelle pieghe di un sistema fatto di commissioni e realizzazioni, spesso schiacciato dietro l’uniformità di visione verso la quale spinge il post‐concilio di Trento e un racconto troppo monolitico della storia relativa a quel tempo? MASSIMO GIUSEPPE RIZZO
Il canto glagolitico dell'isola di Krk (golfo del Quarnaro, Croazia)
Il canto glagolitico (glagoliaško pjevanje) è il canto praticato nelle diocesi di liturgia veteroslava
che facevano uso della scrittura glagolitica. Sebbene a seguito dell'introduzione delle lingue
nazionali nelle liturgia ad opera del Concilio Vaticano II il canto glaglolitico sia ormai caduto in
disuso nella meggior parte delle diocesi del litorale adriatico orientale, nelle diocesi di Dobrinj e
Omišalj è stato tramandato oralmente fino ai giorni nostri, dov'è praticato insieme ai canti intonati
su testi in croato moderno. Si tratta di una pratica vocale paraliturgica ch'è parte inseparabile del
contesto sociale e simbolico legato delle diafonie strumentali (sopila) e vocali (kanat) dell'isola di
Veglia e dell'area istriana e quarnerina.
Nel mio intervento mi soffermerò sui rapporti formali che sono intercorsi tra tali repertori religiosi e
la pratica strumentale e - in relazione ai diversi tipi di rapporti configuratisi nel tempo - sulle
diverse caratteristiche del canto glagolitico praticato ad Omišalj e Dobrinj.
VALENTINA BRANDAZZA Mutarsi nel Buddha. Studio di un processo trasformativi della circolarità del tempo mediante il canto e l’immobilità. L’intervento ha come fine l’analisi e discettazione di un aspetto peculiare della ricerca condotta in Thailandia, nei territori propri ai “monaci della foresta”, il vasto manipolo di santi devoti al Buddha che da oltre due secoli ha preso distanza dalle pose politiche e cortigiane dei “monaci cittadini” per mezzo del ritorno alla parcità estrema predicata da Sakyamuni ed alla tensione ascetica assoluta come condotta di vita senza compromessi. Tale aspetto risiede nella volontà, e dunque nell’intendimento, di metamorfosare la propria mente –e quindi il proprio corpo‐ sino a convertirla alla buddhità. Tale processo, che è da intendersi come un procedimento di trasformazione e superamento della circolarità del tempo cosmico –
cioè a dire del costante e riproduttivo ciclo samsarico‐ accade non mediante intuizione, ma attraverso una progressiva e delicata coercizione dell’individuo che passa per l’educazione del corpo e della mente colla mediazione della positura immobile e della cantillazione giornaliera. Il canto ed il tempo del canto –con tutto quel che, più o meno segretamente, lega saldamente la parola intonata, il rito e la generazione e rigenerazione dell’universo nel mondo indiano, cuna originaria della fede buddhista‐ segnano uno spazio rituale inverso allo spazio secolare: uno spazio di possibilità e riscatto dall’ovvietà naturale della vita e della morte, nonché dall’orrore metapoetico della costrizione alla morte viva della mente quotidiana ed ottusa. IYAD HAFIEZ L' Inshad dalla moschea al videoclip Nel mio intervento intendo prima di tutto presentare in forma estremamente sintetica la mia ricerca e i
risultati finora acquisiti, toccando in modo “telegrafico” i seguenti punti:
1. Introduzione sulle finalità generali della ricerca e sull’oggetto di studio prescelto
2. Breve storia e sviluppi recenti dell’ inshad :
a. la figura del munshed(esecutore) negli anni ’30.
b. la figura del munshed (esecutore) negli anni ’70-‘85
c. evoluzione e trasformazione dei luoghi, dei testi verbali, dei modi e degli stili vocali degli inshad
nel corso degli anni
3. La nascita del Munshed Al Sharjah (festival dell’inshad) negli Emirati Arabi Uniti e la nuova
circolazione mediatica della cantillazione religiosa
4. Un obiettivo specifico della ricerca: analizzare le caratteristiche formali ed esecutive dei diversi
inshad sulla base dei parametri adottati dalla giuria della Sharjah, anche per valutare la natura dei
criteri adottati.
La parte finale del mio intervento sarà delicata a un singolo brano del festival e all’analisi delle sue
caratteristiche testuali e musicali, sui cui criteri mi piacerebbe discutere con gli altri colleghi.
VANNA VIOLA CRUPI Voci nella foresta: i codici segreti della parola e della musica konzo negli spazi sacri del Ruwenzori. La teoria di Schafer, secondo cui esiste una relazione fra il paesaggio sonoro, la musica e il linguaggio, sembra trovare conferma nell’uso da parte dei Bakonzo dell’Uganda di codici linguistici e modalità espressive differenti, in ambienti naturali specifici. La foresta e le vette della catena montuosa del Ruwenzori rappresentano per la popolazione uno spazio regolato da speciali norme di comportamento che disciplinano l’interazione dell’uomo con la natura e il soprannaturale: codici segreti si sovrappongono al linguaggio ordinario, il canto assume la forza e il potere di una preghiera, l’eco diviene la risposta degli spiriti alla rottura di un silenzio normativo. Che la voce umana si manifesti sotto forma di parole, incantesimi o canti, abbandonato l’eka (villaggio) e varcato il limite dell’omusitu (foresta), essa si riveste di un nuovo senso, entrando in sintonia con le voci e le tracce sonore dell’ambiente naturale. GIULIA FERDEGHINI L’epopea curda di Dimdim: la storia, la leggenda e alcuni problemi linguistici affrontati. L’epopea di Dimdim trae spunto da una battaglia tra tribù curde e impero safavide verificatasi negli anni 1017/1608‐1018/1610 e menzionata nel Tarik‐e ‘alam‐ara‐ye ‘Abbasi di Eskandar Beg Monsi, unica fonte storica. Alcune coincidenze riuguardo a nomi ed eventi rimangono, ma nella versione orale curda l’episodio storico assume i connotati della leggenda facendo emergere la figura eroica del condottiero Khano Lapzerin e il valore e la resistenza del popolo. L’epopea appartiene al genere “beyt”, in parte cantato. Nell’affrontare l’analisi testuale e metrica sono emersi alcuni problemi intrinsecamente legati alla frammentazione linguistica del Kurdistan, che verranno esaminati anche come indicatori della frammentazione sociale e culturale. ERIC WALLRUP An attunemental mode of listening When aesthetic and philosophic investigations have been confronted with the phenomenon of attunement (Stimmung), huge theoretical problems have occurred. It is situated between the subject and object poles. Heidegger has even argued that the Stimmung evaporates in the same moment as we begin to reflect upon it and objectify it. Since traditional analysis in musicology objectifies the musical work, we need another approach to attunement in music. My aim is to present an attunemental mode of listening, relating mainly to Heidegger’s philosophy of Stimmung but also to Hans Ulrich Gumbrecht’s recent writings on Stimmung in literature, hereby trying to avoid these theoretical obstacles. PATRIZIA MAZZINA Luciano Berio e il gesto della voce Nella seconda metà del Novecento il concetto di gesto, nel contesto musicale, assume significati molteplici e variegati. L’esecuzione strumentale, la partitura, la notazione, la spazializzazione sonora, l’elaborazione elettronica del suono, l’utilizzo della voce, costituiscono solo alcune delle possibilità espressive musicali concrete nelle quali i compositori della generazione postbellica hanno applicato principî di tipo propriamente gestuali. Nella musica vocale di Luciano Berio la compartecipazione di gesti, parole e suoni, ad esempio, innesca l’elaborazione di una dimensione visiva dell’ascolto. Per Berio la musica vocale è una messa in scena della parola, capace di mimare e descrivere quel prodigioso fenomeno che caratterizza il linguaggio in senso stretto: il suono che diventa significato. Il gesto vocale si sostituisce (talvolta: affianca) alla parola e alla sua compattezza referenziale, così come la musica tende a teatralizzare la parola in un costante alternarsi e confondersi di scenari e prospettive. Il presente intervento propone un’ipotesi di confronto tra le due semiotiche, testo‐musica, nell’ambito delle trasformazioni apportate dalle poetiche del Novecento ed in particolare in alcuni lavori di Luciano Berio. MARCO SPAGNOLO Su alcuni tratti stilistici delle opere di Federico Incardona All’interno del catalogo delle composizioni di Federico Incardona (Palermo, 1958‐2006), l’opera per grande orchestra Des Freundes Umnachtung (1985) assume una posizione di rilievo per chi vuole studiare le caratteristiche stilistiche del compositore palermitano. Quest’opera, infatti, è il punto d’arrivo delle esperienze creative maturate da Incardona negli anni precedenti (la prima opera riconosciuta dall’autore è del 1976), ovvero negli anni in cui il compositore definisce il suo stile personale che rimarrà sostanzialmente invariato nelle opere successive. La mia relazione, in particolare, sarà incentrata sulla descrizione delle prime cinque battute dell’opera che costituiscono, nella mia analisi, la sezione introduttiva della composizione. Per districare l’intreccio polifonico che qui si presenta prenderò in esame, in particolare, la scrittura melodica, la tecnica dell’eterofonia e la tipologia di suono presente nella composizione. 
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