FINANZA INTERNAZIONALE E DISTRIBUZIONE DEL REDDITO• di Pietro Alessandrini e Alberto Niccoli 1. Introduzione Il nostro obiettivo è quello di ripercorrere sinteticamente i principali contributi di Fausto Vicarelli su temi di economia internazionale, con particolare riferimento alla crisi strutturale del sistema finanziario internazionale e ai suoi effetti sulla distribuzione internazionale dei redditi. L’arco temporale coperto dagli studi di Vicarelli va dagli anni Cinquanta agli anni Settanta del secolo scorso. Si tratta di un periodo molto importante, segnato da grandi cambiamenti nello scenario dell’economia mondiale. Il sistema monetario internazionale basato sugli accordi di Bretton Woods del 1944, dopo aver contribuito nei primi quindici anni alla diffusione dello sviluppo economico trainato dagli scambi internazionali, è progressivamente entrato in crisi negli anni Sessanta. I rapporti di cambio sono rimasti troppo a lungo irrigiditi e non più rispondenti agli squilibri delle bilance dei pagamenti. Le banche centrali hanno fatto ampio ricorso a politiche di sterilizzazione per isolare i mercati interni dagli effetti di aggiustamento provocati, in cambi fissi, dagli squilibri esterni. La conseguenza inevitabile è stata l’attivazione della spirale speculativa sui mercati valutari, difficilmente contrastabile da parte delle banche centrali, soprattutto nei paesi in deficit. Negli anni Settanta sono giunte a piena maturazione le spinte destabilizzanti della crisi, con la fine del sistema di Bretton Woods, sancita con la dichiarazione dell’inconvertibilità del dollaro in oro e il passaggio ad un sistema di cambi fluttuanti, e con l’esplosione di due pericolose ondate di inflazione mondiale. • Gli autori desiderano ringraziare Michele Fratianni, Luca Papi, Alberto Zazzaro e un anonimo referee per gli utili commenti ricevuti, ovviamente senza impegno di responsabilità. Vicarelli si è distinto come un osservatore attento e rigoroso del processo involutivo del sistema finanziario dei primi decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale. E’ riuscito a ricondurre entro un quadro interpretativo unitario le cause delle dinamiche sottostanti la crisi progressiva e le conseguenze che si sono prodotte soprattutto in termini di distribuzione internazionale del reddito. La nostra ricognizione è articolata in quattro parti, oltre alla introduzione e alle conclusioni. Nel secondo paragrafo si mette in evidenza il metodo che ha contraddistinto i contributi di Vicarelli e vengono ripresi i termini essenziali del modello di base che egli ha utilizzato come chiave interpretativa della crisi del sistema finanziario internazionale. Il terzo paragrafo prende in esame le spiegazioni delle crisi degli anni Settanta. Nei successivi due paragrafi si sposta l’attenzione sullo scenario attuale che, pur essendo profondamente modificato rispetto ai decenni precedenti, rinnova le stesse preoccupazioni di fondo espresse da Vicarelli sui rischi di una accumulazione eccessiva di ricchezza finanziaria, che rappresenta una potenziale fonte di destabilizzazione dell’economia mondiale. Emerge un contesto di prevalente finanziarizzazione, nel quale assumono un rilievo centrale le decisioni relative alla gestione degli stock, reali e finanziari, con conseguenti guadagni e perdite in conto capitale, che determinano forti mutamenti nella distribuzione dei redditi. 2. Il metodo e il modello di riferimento Su temi internazionali, come in tutta la sua attività, i contributi di Vicarelli si distinguono per il metodo, basato su rigore scientifico, coerenza di pensiero, chiarezza espositiva. Il rigore scientifico lo ha spinto ad una serrata e approfondita ricerca dei nessi logici in una visione di assieme, senza accontentarsi di spiegazioni parziali. L’idea di fondo che con coerenza ha perseguito è la necessità di integrare quattro livelli di analisi: 1) lo schema teorico con la verifica empirica 2) il sistema reale con il sistema finanziario 3) l’ottica di breve con l’ottica di lungo termine 4) le interazioni dei flussi con gli stock Questo approccio integrato è nello stesso tempo necessario e difficile da realizzare. Necessario perché nell’analisi degli scambi reali e finanziari internazionali tra aree e paesi entrano in gioco interdipendenze strutturali a livello macroeconomico che rendono inevitabile assumere una visione d’assieme. E’ però difficile ricondurre entro un quadro interpretativo coerente e rappresentativo 2 l’individuazione dei nessi causali fondamentali che spiegano l’intricata rete di rapporti reali e finanziari. Ciò nonostante i lavori di Vicarelli hanno il pregio della chiarezza espositiva, dettata dall’impegno non solo di capire, ma anche di farsi capire, con un linguaggio chiaro, stringato, ordinato in senso logico, nel quale l’analisi empirica non è mai descrittiva, ma viene posta a sostegno del ragionamento economico, limitando all’essenziale i tecnicismi e le formalizzazioni. La sua chiave interpretativa unitaria si rifà ad un modello base che considera i legami flussi-stock che legano gli squilibri reali alla formazione di ricchezza finanziaria netta, la quale può determinare effetti di ritorno destabilizzanti sui mercati reali. Il meccanismo di trasmissione di questi impulsi retroattivi è il real balance effect alla Patinkin. Secondo questo schema le perturbazioni traggono origine dalla intrinseca instabilità del sistema finanziario, che in presenza di squilibri strutturali genera comportamenti speculativi. Il principale lavoro nel quale Vicarelli ha messo a punto il modello teorico di riferimento è il lungo saggio “Verso un’integrazione tra teoria pura e teoria monetaria del commercio internazionale” (1972). Lo stesso approccio è già presente nei saggi raccolti nel volume “Moneta, ricchezza e bilancia dei pagamenti” (1971) e successivamente viene sviluppato in “Flussi finanziari internazionali” (1974). “L’idea di fondo di quella proposta è la distinzione tra equilibrio di breve periodo e equilibrio di lungo periodo del sistema di scambi internazionali” (1975, p.11). In un sistema a cambi fissi, nel breve periodo si realizzano surplus (deficit) esterni correnti compatibili con gli equilibri interni dei mercati reali. La controparte finanziaria di questi squilibri registra l’attivazione di flussi finanziari internazionali a saldo nei portafogli dei privati, degli intermediari e/o delle banche centrali. Se squilibri esterni dello stesso segno si protraggono nel lungo periodo, la redistribuzione di ricchezza finanziaria netta determina alla lunga effetti ricchezza positivi per i paesi in surplus (negativi per i paesi in deficit) con conseguente spostamento verso l’alto (verso il basso) dei livelli di assorbimento interno delle risorse che portano all’aggiustamento delle bilance correnti e alla determinazione delle ragioni di scambio con esso coerenti. “Se, però, per vari motivi, quegli spostamenti nei livelli di assorbimento non si verificano, il meccanismo di aggiustamento non opera, ed il sistema è soggetto ad una crisi strutturale che, pur se latente per molto tempo, troverà prima o poi l’occasione per manifestarsi” (1975, p.12) 3 Mutamenti nelle aspettative sui tassi di cambio, sui tassi di interesse, sui tassi di inflazione possono determinare improvvise riallocazioni degli stock di ricchezza finanziaria con effetti destabilizzanti sui mercati valutari e soprattutto sui mercati reali La ricchezza finanziaria indesiderata viene trasformata in domanda di ricchezza reale, con variazioni di stock in un lasso di tempo molto breve che determinano una forte spinta inflazionistica: prima sulle merci immagazzinabili (beni primari, in primis) e sulle merci già esistenti, senza che ci sia il tempo per aumentare l’offerta. Il primo impatto avviene sui mercati internazionali. Poi si propaga ai mercati interni. Il risultato finale è il rovesciamento rapido delle ragioni di scambio e dei saldi correnti. 3. Le crisi degli anni Settanta Con questo schema interpretativo Vicarelli è riuscito a fornire spiegazioni convincenti dei gravi problemi che l’economia mondiale ha dovuto affrontare negli anni Settanta1, segnati dalla crisi del sistema monetario internazionale, dalla inflazione mondiale e dal rallentamento del processo di integrazione europea. Il potenziale destabilizzante che ha scatenato questo stato di crisi generalizzata è stato accumulato negli anni Cinquanta-Sessanta. In questo lungo periodo, il sistema monetario internazionale è stato amministrato secondo quanto previsto dagli accordi di Bretton Woods, con l’impegno degli Stati Uniti a garantire la convertibilità in oro del dollaro e l’impegno delle banche centrali del resto del mondo ad intervenire per mantenere fissi i tassi di cambio e controllare i movimenti di capitale. Ma le regole del gioco sono state rispettate solo in parte, perché si è realizzata una convergenza di interessi a mantenere nel tempo gli squilibri strutturali senza adottare i previsti correttivi2. Le monete dei paesi in surplus non sono state rivalutate per non perdere i vantaggi della competitività. Gli Stati Uniti hanno evitato di svalutare il contenuto aureo del dollaro via aumento del prezzo dell’oro, per non perdere i vantaggi della sovranità monetaria derivante dall’emettere la moneta-chiave del sistema monetario internazionale. Le banche centrali, soprattutto (ma non solo) dei paesi in deficit, hanno fatto ampio ricorso ad operazioni di sterilizzazione degli squilibri esterni, compensando gli effetti monetari dei loro interventi sui mercati dei cambi con interventi di segno opposto sui mercati interni. E’ così prevalso un sistema di finanziamento senza aggiustamento degli squilibri esterni, con il duplice obiettivo di mantenere i cambi fissi, per favorire gli scambi internazionali, e di non subordinare gli equilibri interni (reddito, occupazione, inflazione) al raggiungimento degli equilibri esterni. 1 2 Vicarelli (1973), (1975), (1985). Vedi Alessandrini (1974) 4 Il mantenimento di prezzi delle monete e dell’oro amministrati dalle banche centrali, ma palesemente disallineati rispetto ai valori di equilibrio, ha alla lunga innescato massicci attacchi speculativi sui vari mercati, dei cambi, delle materie prime, dei manufatti. Le conseguenze sono state la fine del sistema di Bretton Woods, con la dichiarazione di inconvertibilità in oro del dollaro e la fluttuazione dei tassi di cambio, e la crisi inflazionistica mondiale, sancita dal primo shock petrolifero. Correttamente, Vicarelli ha individuato nell’eccessivo accumulo di ricchezza finanziaria il combustibile che ha alimentato queste gravi crisi dell’economia mondiale: “Non è pensabile il persistere nel tempo di un sistema internazionale in cui alcuni paesi esportano costantemente risorse reali accumulando ricchezza finanziaria, perché ciò finisce per innescare prima o poi un processo di riaggiustamento la cui velocità, essendo a priori indeterminata, può indurre spinte inflazionistiche incontrollabili” (1975, p.35) Il mutamento delle aspettative sui tassi di cambio, sui tassi nominali di interesse, sui tassi di inflazione può determinare improvvise riallocazioni degli stock di ricchezza finanziaria con effetti destabilizzanti sui mercati valutari e soprattutto sui mercati reali. “Ebbene, all’inizio degli anni settanta tutte e tre queste variabili si sono mosse nella direzione di ridurre il rapporto desiderato tra ricchezza finanziaria sull’estero e ricchezza reale al di sotto del rapporto esistente” (1975, p.26) L’eccesso indesiderato di ricchezza finanziaria internazionale, accumulata nel lungo periodo, provoca un repentino aumento della domanda di risorse reali (materie prime, manufatti). Ma poiché è logico attendersi che nel breve periodo l’offerta di queste risorse non sia sufficientemente elastica, il risultato finale è la forte spinta inflazionistica che l’economia mondiale ha sperimentato negli anni Settanta. L’errore di fondo è stato quello di non considerare le implicazioni di medio-lungo periodo di bilance dei pagamenti fortemente squilibrate e ignorare le interazioni tra vincolo esterno e sviluppo dell’integrazione internazionale: “Si considerava accettabile il raggiungimento dell’equilibrio esterno qualunque fosse la composizione del saldo tra partite correnti e movimenti di capitali” (1985, p.108)3. Il mancato aggiustamento degli squilibri ha avuto effetti ritardanti anche sul processo di integrazione reale-finanziaria europea4. Nei primi quindici anni dopo il Trattato di Roma, i sei paesi fondatori della 3 4 Per i limiti di questa impostazione si veda McKinnon (1969), al quale rinvia lo stesso Vicarelli. Vedi Vicarelli (1973) ed anche Alessandrini e Vito Colonna (1973). 5 CEE più che da trade diversion, a favore degli scambi comunitari, hanno tratto vantaggio da trade creation dell’apertura dei mercati internazionali. Hanno esportato risorse reali nette, accumulando riserve in dollari, le cui contropartite interne sono state sterilizzate con interventi compensativi delle banche centrali, secondo le tendenze sopra evidenziate. L’ottica prevalente è stata quella di preservare l’autonomia nazionale. Questo atteggiamento non ha certo favorito l’integrazione europea e ha esposto le monete dei paesi membri a forti attacchi speculativi destabilizzanti sui mercati valutari, che hanno vanificato i tentativi di mantenere rapporti di cambio stabili all’interno della CEE, per tutti gli anni Settanta. Questa instabilità si è protratta anche dopo l’istituzione dello SME, le cui parità hanno subito numerosi riaggiustamenti nel corso degli anni Ottanta. Pertanto trova ampie giustificazioni il pessimismo espresso da Vicarelli nei primi anni Settanta nei confronti dell’unificazione monetaria: “i vari progetti di <unione monetaria> appaiono sempre più come delle fughe in avanti (…) l’unione monetaria non può precedere ma solo coronare un processo di effettiva <omogeneizzazione> delle economie dei paesi membri” (1973, p.285) L’economia italiana rappresenta un caso emblematico di mancati aggiustamenti che hanno soddisfatto esigenze di equilibrio interno di breve periodo, ma che hanno alla lunga creato il potenziale finanziario destabilizzante le cui conseguenze sono state pagate negli anni Settanta. Un periodo cruciale da questo punto di vista è il quinquennio 1964-1969, durante il quale l’Italia ha accumulato forti surplus delle partite correnti, che hanno compensato le carenze della domanda interna. Anno dopo anno sono state cedute all’estero risorse reali in cambio di risorse finanziarie, con il risultato di accumulare due potenziali destabilizzanti. Il primo riguarda il settore reale: in alternativa alle esportazioni nette, l’eccesso di risorse prodotte poteva essere assorbito all’interno sotto forma di maggiori investimenti privati e pubblici. Si è trattato di un’occasione storica perduta per innovare il sistema produttivo e soddisfare le crescenti esigenze di infrastrutture e di servizi pubblici5. Si è investito meno di quanto era possibile e di quanto era necessario. Di conseguenza, l’economia italiana si è trovata impreparata a sostenere le richieste di redistribuzione dei redditi provocate dallo shock salariale dell’autunno 1969. Il secondo potenziale destabilizzante ha agito sul fronte finanziario, con l’accumulazione di ricchezza finanziaria internazionale sull’estero come contropartita ai surplus correnti. Anche in questo caso si è trattato di un’occasione storica perduta, perché l’economia italiana non si è internazionalizzata via investimenti diretti, ma più semplicemente e meno elegantemente sono 5 Vedi Alessandrini (1983). 6 state seguite le vie dei movimenti di capitale clandestini, registrati ex-post sotto forme di rimesse di banconote italiane dall’estero. Anche su questo aspetto Vicarelli (1970) ha dato un significativo contributo. Su entrambi i fronti, reale e finanziario, l’apertura ai mercati internazionali non è stata sfruttata come opportunità di sviluppo e di consolidamento del capitalismo italiano. Ma piuttosto è prevalsa un’ottica residuale di breve periodo a fini di stabilizzazione congiunturale e, sul fronte finanziario, di speculazione puramente parassitaria, di sfiducia nei confronti della stabilità della lira. Le conseguenze di queste miopie strategiche sono diventate evidenti nelle crisi degli anni Settanta, che hanno trovato l’economia italiana attardata a livello tecnologico, produttivo e sociale, quindi più vulnerabile di altri paesi alla crisi energetica, all’aggravamento del vincolo esterno, alla destabilizzazione dei cambi, all’inflazione, ai conseguenti conflitti sociali interni per la redistribuzione dei redditi. 4. Lo scenario attuale: vecchi e nuovi squilibri strutturali E’ certamente utile riportare al contesto attuale l’analisi compiuta da Vicarelli con riferimento al ventennio Sessanta-Settanta del secolo scorso, per verificare se il metodo e la chiave interpretativa che egli ha adottato mantengono la loro validità pur in presenza di profondi cambiamenti strutturali. La situazione economica del mondo si è modificata in misura assai ampia. Nuovi attori, importanti come la Cina e l’India, sono saliti alla ribalta internazionale. La rivoluzione tecnologica informatica ha abbattuto i costi di raccolta e distribuzione delle informazioni e ha consentito nuove modalità organizzative dell’attività economica. A livello istituzionale, il cambiamento più rilevante è legato alla realizzazione dell’Unione monetaria europea, che ha comportato l’istituzione della Banca Centrale Europea, a capo del Sistema Europeo di Banche Centrali, e l’accentramento sopranazionale delle decisioni di politica monetaria all’interno dell’Eurosistema. Il sistema monetario internazionale è divenuto più flessibile e più efficiente, per l’effetto combinato di diversi fattori evolutivi, quali la liberalizzazione dei mercati finanziari, la flessibilità dei tassi di cambio, l’unione monetaria europea, che ha contribuito a ridurre le monete oggetto di speculazione internazionale, ha istituzionalizzato la cooperazione tra le più importanti banche centrali europee ed ha contribuito a rafforzare il principio della indipendenza della politica monetaria. Ciò nonostante, il potenziale di instabilità finanziaria alla Vicarelli, basato su interazioni stock-flussi che nel lungo periodo possono divenire destabilizzanti, è ancora presente. 7 Dal punto di vista dei flussi reali e dei conseguenti saldi finanziari, si sommano vecchi squilibri strutturali, che si sono aggravati, come è nel caso dei deficit esterni degli Stati Uniti, a nuovi squilibri, che si sono rapidamente dilatati, come è nel caso dei surplus correnti della Cina e di altri paesi asiatici. Nello scenario internazionale, vi è una dissociazione crescente tra vecchi debitori netti (gli Stati Uniti, oltre ai paesi in via di sviluppo) e nuovi paesi creditori netti. Non c’è sufficiente spinta all’aggiustamento degli squilibri reali, per una serie di fattori che, sia pure in un contesto differente, ripropongono i comportamenti che in precedenza hanno portato alla crisi del sistema di Bretton Woods. Le variazioni dei tassi di cambio vengono contenute rispetto alle esigenze di aggiustamento degli squilibri fondamentali. Da questo punto di vista il dollaro è sopravalutato e la moneta cinese è sottovalutata, con il risultato di favorire le esportazioni nette cinesi, da un lato, e rendere più convenienti gli investimenti diretti in Cina, dall’altro. Il consolidamento degli squilibri esterni viene rafforzato dal diffuso ricorso delle banche centrali dei paesi eccedentari alla sterilizzazione monetaria, che interrompe il meccanismo di trasmissione dei saldi finanziari esterni sugli equilibri interni. Come evidente conseguenza, si ha una distribuzione squilibrata di stock di ricchezza finanziaria internazionale nei portafogli di privati, intermediari e delle banche centrali, soprattutto di quella cinese. A fronte di questa situazione, è lecito temere che per l’economia mondiale si rinnovi il pericolo della accumulazione di un potenziale finanziario destabilizzante che, al mutamento delle aspettative e in presenza di una eventuale crisi di fiducia, possa in tempi rapidi e con una massa d’urto inarrestabile scaricarsi sui cambi e sui prezzi. 5. La finanziarizzazione dell’economia Tra i diversi cambiamenti che caratterizzano lo scenario attuale, si osserva una crescita del ruolo degli stock, in particolare di quelli relativi alla finanza, che ha sempre interessato Vicarelli6 ed è divenuta centrale. Si è fortemente ridimensionata la manifattura; nei paesi più importanti, le attività produttive in senso stretto, cioè materiali e fisiche, hanno perso peso; le operazioni relative alla compravendita di beni capitali, i mercati e le imprese finanziarie hanno assunto un rilievo quale non si era mai avuto in passato; i comportamenti e le scelte relative alla finanza sono divenute centrali anche per le famiglie e le imprese non finanziarie. In particolare, tre cambiamenti relativi alla finanza appaiono particolarmente significativi nella prospettiva e nel taglio che Vicarelli ha utilizzato nei propri lavori: 6 Vedi Vicarelli (a cura di), (1979). 8 1. la riduzione drastica, in particolare in Italia, della dimensione dei saldi finanziari; 2. l’aumento, altrettanto significativo e pure più diffuso, della dimensione degli stock finanziari; 3. la finanziarizzazione, enorme, dei sistemi economici. Fig. 1 Italia - settori istituzionali Somma dei valori assoluti dei saldi finanziari, in % del PIL Saldi dei settori finanziari Somma dei valori assoluti 50% 40% 30% 20% 10% 0% 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 Fonte dei dati: Banca d’Italia, Conti finanziari, diversi anni Pochi dati statistici sono sufficienti per illustrare i tre punti. Per quanto riguarda il primo, e cioè la riduzione in Italia della dimensione dei saldi finanziari, in proporzione a quella del sistema economico, e quindi al PIL, possono essere utili i valori riportati nella figura 1. Si può notare che il valore della somma assoluta dei saldi finanziari dei diversi settori istituzionali, che si era quasi triplicato nel ventennio compreso fra il 1965 e il 1985, passando dal 15% del PIL nel 1965 a più del 41% nel 1985, si è ridotto ad un livello ancora più basso rispetto a quello iniziale nel ventennio successivo, risultando per il 2005 pari ad appena il 12,4% circa, sempre del PIL. Certamente, i valori non sono omogenei nel corso del tempo, e quindi vanno presi con cautela. Sono cambiate sia le definizioni dei settori istituzionali, sia le modalità di calcolo; tuttavia la riduzione risulta estremamente rilevante, e non è limitata solo al caso dell’Italia. 9 Per quanto riguarda il secondo punto, e cioè quello relativo all’aumento dell’incidenza degli stock, risulta significativa la figura 2, nella quale è mostrato, in rapporto al PIL, il totale delle attività, o passività finanziarie. Fig. 2 Italia - settori istituzionali Somma dei valori delle AF, o delle PF, in rapporto del PIL 10 8 6 4 2 0 1965 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 Fonte dei dati: Banca d’Italia, Conti finanziari, diversi anni L’aumento del valore dell’indice, progressivo ma lento fino alla metà degli anni ’90 del secolo scorso, mostra un salto nell’ultimo decennio: lo stesso aumento percentuale, circa i due terzi del valore iniziale, che si era avuto nell’arco di un trentennio, si manifesta in cinque anni soltanto, fra il 1995 e il 2000; il lieve ridimensionamento nei cinque anni successivi, dovuto alla crisi delle quotazioni azionarie a cavallo del millennio, non modifica in modo sostanziale il quadro che ne risulta. Le modalità di calcolo dei valori sono ovviamente cambiate, e a più riprese, nel corso dei 40 anni considerati, ma l’evidenza empirica è chiara: il mondo è cambiato, rispetto a quello di prima. Gli stock sono cresciuti enormemente, pur in presenza di una riduzione altrettanto forte nella dimensione dei flussi che pure quegli stock alimentano. 10 Per gli anni più recenti sono disponibili dati per più paesi, relativi agli stock di attività e passività finanziarie, per il settore delle famiglie e per quello delle imprese. La tavola 1 si riferisce alle attività finanziarie; la tavola 2 alle passività. Tav. 1 Attività finanziarie di famiglie e imprese, in % del PIL Paesi Famiglie Imprese Anni 1995 2004 1995 2004 Italia 173 220 63 93 Francia 140 176 132 230 Germania 149 183 69 89 Regno Unito 273 280 79 128 Stati Uniti 290 310 75 112 Fonte dei dati: Banca d’Italia, Relazione annuale per il 2005, tav. D4 Tav. 2 Passività finanziarie di famiglie e imprese, in % del PIL Paesi Famiglie Imprese Anni 1995 2004 1995 2004 Italia 18 28 127 180 Francia 36 41 189 319 Germania 63 70 114 151 Regno Unito 67 94 218 245 Stati Uniti 66 88 236 264 Fonte dei dati: Banca d’Italia, Relazione annuale per il 2005, tav. D8 Attività e passività aumentano parallelamente, sia per le famiglie, sia per le imprese non finanziarie; l’aumento rispetto al PIL è molto rapido, soprattutto negli anni alla fine del secolo scorso; negli anni dal 2000 al 2004, l’andamento è in genere decrescente per il periodo caratterizzato dal crollo delle 11 borse, nel biennio 2000-2002, torna a salire successivamente. Per quanto, in generale, si osservino ancora valori più bassi per i paesi dell’Europa continentale rispetto a quelli anglosassoni, appare evidente una forte tendenza alla crescita. In generale, dal puro punto di vista quantitativo, la funzione relativa alla gestione degli stock finanziari ha acquisito importanza, mentre quella relativa al trasferimento dei flussi risulta fortemente ridimensionata. Si osserva, inoltre, una progressiva divaricazione delle condizioni delle famiglie, anche di quelle italiane, molte delle quali sono indebitate, non solo, come avveniva in passato, per il mutuo relativo all’acquisto dell’abitazione, ma pure per il credito al consumo: le famiglie appartenenti ai primi due quartili di reddito disponibile hanno un debito al consumo superiore al 36 % dello stesso reddito, cioè rilevante, e quelle appartenenti al primo quartile hanno una ricchezza finanziaria negativa7; si conferma dunque l’importanza della gestione della ricchezza finanziaria. La finanziarizzazione dei sistemi economici – ed in questo consiste il terzo fenomeno meritevole di attenzione – appare così un fenomeno evidente, sul piano interno e su quello internazionale; esso coinvolge operazioni di dimensioni enorme: a solo titolo di esempio, ricordiamo che i flussi “TARGET”, in entrata e in uscita dall’Italia, cioè per un paese di dimensioni limitate, corrispondono per il 2005 a circa 40 mld di € al giorno, ovvero circa 700 € pro capite al giorno, e che i flussi annui trattati nei sistemi di compensazione e regolamento corrispondono a circa trenta volte il PIL8. Il confronto fra i dati relativi ai sistemi di compensazione e regolamento, da una parte, e quelli concernenti la matrice intersettoriale dell’economia, dall’altra, mostrano come gli scambi abbiano un’enorme componente di natura finanziaria e relativa agli stock rispetto a quella di natura “reale” e relativa ai flussi: nelle matrici più recenti il valore degli scambi di natura “reale” – tutti concernenti i flussi e relativi alle materie prime, alle componenti della domanda finale, alle importazioni di beni e servizi, da una parte, e alla distribuzione dei redditi ai diversi fattori produttivi, dall’altra – è dell’ordine del triplo rispetto a quello del PIL; i sistemi di pagamento, invece, regolano pagamenti dell’ordine delle trenta volte, sempre rispetto al PIL. Per quanto i confronti fra questi dati vadano presi con beneficio d’inventario, perché essi hanno origini diverse fra loro, gli uni sono, per valore, un decimo degli altri, il che rappresenta un indice significativo di quanto pesino gli scambi di origine finanziaria e relativi agli stock sul totale di quelli del sistema: gli 7 8 Vedi Banca d’Italia (2006), tav. D7, p. 215. Vedi Banca d’Italia (2006), tavv. aH11 e aH12, p. 226 dell’Appendice. 12 scambi relativi ai flussi “reali” per un decimo; quelli concernenti gli stock, reali e finanziari, per nove 9. In ogni caso, se anche gli scambi relativi ai flussi “reali” avessero dimensione doppia rispetto a quelli rilevati dall’ISTAT attraverso la tavola intersettoriale – e non si comprende perché un Istituto di Statistica che gode di buona fama a livello internazionale dovrebbe commettere errori così gravi – la dimensione di quelli relativi agli stock, reali e finanziari, ne manterrebbe una più che quadrupla rispetto ai primi; ovvero, non la semplice maggioranza, ma la stragrande quota degli scambi in una economia pur non particolarmente finanziarizzata come quella italiana si manifesta con riferimento agli stock, reali e finanziari: operazioni di compravendita di abitazioni, terreni, beni d’investimento, come quadri, capannoni, impianti, da una parte, e la miriade di contratti finanziari, dall’altra. Le implicazioni di questo fatto sono esaminate nel par. 5.2 del lavoro. 5.1. Flussi e stock nell’analisi di Vicarelli Quando i saldi sono grandi e gli stock relativamente piccoli, i riaggiustamenti nella composizione degli stock possono avvenire tramite quella dei saldi. Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, questo è il mondo che Vicarelli aveva in mente con riferimento agli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso, con una eccezione che esamineremo in seguito. Se, come risulta dai dati alla base della figura 1, il risparmio finanziario delle famiglie costituisce percentuali dell’ordine persino del 15-20% del PIL, quello negativo delle imprese e del settore pubblico rispettivamente il 5-10%, o il 10-15% della stessa variabile, è sufficiente scegliere in modo adeguato la composizione dei flussi per modificare in misura anche molto rilevante quella degli stock; non vi è bisogno, per lo meno a livello di interi settori dell’economia, di vendere attività o passività finanziarie per adeguare i portafogli finanziari al mutare delle condizioni. Quando invece le percentuali relative ai flussi sono dell’ordine dei pochi punti percentuali del PIL il riaggiustamento ottenibile in questo modo, cioè riallocando opportunamente i flussi, risulta il più delle volte insufficiente, perché permette modifiche solo marginali nella composizione della ricchezza finanziaria. La valutazione appena espressa risulta anche più fondata quando si pensi all’enorme aumento dell’articolazione dei portafogli finanziari: come risulta dai dati delle tabelle 1 e 2, i settori istituzionali delle famiglie e delle imprese non finanziarie detengono contemporaneamente attività e passività, non più prevalentemente attività, le prime, e passività, le seconde; i portafogli finanziari di ogni operatore si 9 Una parte dei pagamenti avviene utilizzando il circolante; ciò presumibilmente avviene per una quota più elevata per i pagamenti relativi ai flussi che non per quelli concernenti gli stock, il che accentua la rilevanza delle considerazioni svolte nel testo. 13 gonfiano e si sgonfiano continuamente, ogni volta che una nuova operazione finanziaria conduce al contemporaneo accumulo di nuovi strumenti finanziari attivi finanziati attraverso la raccolta di nuove passività. Inoltre, il numero degli strumenti disponibili si è ampliato enormemente, attraverso continui processi di innovazione finanziaria, per cui quelli nuovi sono inseriti nei portafogli a scapito di quelli vecchi. Gli effetti in termini di accumulazione di stock finanziari sono stati enormi, come abbiamo già evidenziato in sede di commento della figura 2. Vicarelli (1975) aveva presagito che i prezzi degli stock sarebbero divenuti il meccanismo di riaggiustamento della composizione della ricchezza, in particolare quando aveva affermato che l’aumento del prezzo delle materie prime e del petrolio nel corso dei due shock petroliferi degli anni Settanta del XX secolo era dovuto a tre fattori: 1. alla riduzione dei tassi d’interessi nominali; 2. all’aumento delle attese di inflazione; 3. alle attese di un deprezzamento del dollaro. Da questi elementi deriva in effetti una ricomposizione della ricchezza, ai danni di quella finanziaria e a vantaggio delle componenti reali; gli stocks di materie prime non deperibili sono la variabile sulla quale si scarica l’aumento di domanda. I prezzi del petrolio e delle altre materie prime aumentano di conseguenza; l’aumento dei prezzi, negli anni Settanta del secolo scorso, non è dunque dovuto all’esigenza di accomodare i flussi, cioè all’aumento della produzione corrente per far fronte a una domanda che cresce nel tempo, bensì a quella di riaggiustare la composizione desiderata degli stock. Un fenomeno analogo si è manifestato nuovamente, negli anni più recenti, nella sfera reale del sistema. Ci riferiamo all’enorme aumento nel prezzo delle abitazioni avutosi nel corso degli ultimi anni. Anche in questo caso è stato assai rilevante l’effetto della riduzione, enorme in Italia a seguito dell’adozione dell’euro, ma forte anche a livello internazionale, dei tassi d’interesse nominali. A fianco di questo effetto, è stato significativo il ruolo del peggioramento delle aspettative sull’andamento dei mercati azionari, in particolare in concomitanza con la crisi post “11 settembre 2001”. La composizione della ricchezza si è spostata a favore della componente reale, e il prezzo delle abitazioni è cresciuto di conseguenza. Lo stesso fenomeno si è verificato in Giappone, con cause simili e con un anticipo di dieci-quindici anni. Sono insomma i prezzi degli stock che riaggiustano l’equilibrio dei portafogli. Processi analoghi avvengono anche per le componenti della ricchezza finanziaria; le conseguenze verranno analizzate in quanto segue. 14 5.2. Variazione dei prezzi degli stock e redistribuzione dei redditi Nonostante l’aumento dello spessore dei mercati, i prezzi delle diverse attività e passività finanziarie hanno una variabilità enorme, dovuta alle difficoltà che incontrano i riaggiustamenti negli stock, le bolle speculative diventano estremamente rilevanti e il loro scoppio causa enormi guadagni e perdite in conto capitale; la distribuzione del reddito, o del potere d’acquisto, non passa più, soltanto o principalmente, tramite i flussi reali, ma attraverso i guadagni e le perdite in conto capitale. I diversi soggetti del sistema economico, insomma, risultano arricchirsi, o impoverirsi nel corso del tempo, essere ricchi o essere poveri in un certo momento, in modo totalmente diverso da quello considerato nella teoria neoclassica, o dalla concezione che Vicarelli aveva a proposito della distribuzione del reddito. Secondo la teoria neoclassica, un soggetto accumula ricchezza attraverso la politica della formica: il risparmio è rinuncia al consumo presente e viene gratificato dall’ottenimento di interessi che, insieme alla ricchezza, crescono nel corso del tempo. È facile rendersi conto, tuttavia e con semplici calcoli, che questo comportamento genera livelli di ricchezza assolutamente trascurabili, rispetto a quelli che caratterizzano i soggetti realmente ricchi10. Vicarelli, pur non condividendo la teoria neoclassica della distribuzione, considera rilevanti gli aspetti relativi alla distribuzione fra salari, profitti e interessi, o rendite; la sua concezione al proposito è fortemente influenzata dalla visione di Sraffa (1960), secondo cui la distribuzione dipende dalla forza relativa delle classi sociali; interessi e rendite, in linea con Ricardo (1821) e, si può aggiungere, Schumpeter (1912), frenano lo sviluppo. Anche Vicarelli, tuttavia, considera centrale la distribuzione dei redditi, sia pure con la qualificazione che per lui risulta particolarmente importante quella funzionale; sono principalmente i flussi, non gli stock, quelli che contano. Nell’attuale contesto economico, entrambe queste concezioni – quella neoclassica e quella di derivazione neoricardiana – appaiono inadeguate. La distribuzione del potere d’acquisto ha limitatamente a che fare con salari, profitti e interessi; risente molto di più della distribuzione dei guadagni, e contestualmente delle perdite, in conto capitale. La miriade di operazioni, relative agli stock, sia reali sia finanziari, che ogni giorno vengono realizzate, nei mercati regolamentati e al di fuori degli stessi, conduce a guadagni e perdite di dimensioni enormi. Chi guadagna nelle operazioni di gestione degli stock? Chi perde? A livello empirico sappiamo ben poco, per mancanza di dati statistici. 10 Una famiglia, anche con un reddito pari al doppio di quello medio nazionale italiano, se accumula risparmio finanziario, per 40 anni e in quota del proprio reddito doppia rispetto a quella media, con un tasso d’interesse reale dell’ordine del 3% all’anno, dopo 40 anni si ritrova con una ricchezza dell’ordine dei due milioni di €: un valore certamente elevato, proprio di una famiglia benestante, ma non quello di una ricca. 15 Le informazioni relative ai redditi derivano da numerose indagini campionarie, che hanno numerosi limiti, ma che mantengono una loro rilevanza e significatività Quelle relative alla ricchezza, in particolare a quella finanziaria, sono molto meno attendibili, per gli ovvi comportamenti reticenti da parte degli intervistati. Ancora meno dettagliate sono le informazioni relative ai risultati delle singole operazioni e contratti: acquisto e vendita di beni capitali; trasformazione della loro natura ed utilizzabilità, come avviene quando un terreno agricolo viene, con un tratto di penna, reso edificabile; operazioni finanziarie e relativi contratti; trasformazione e ristrutturazione di strumenti finanziari; ecc.. L’elenco delle operazioni è pressoché infinito; ne vengono inventate ogni giorno di nuove. Eppure, sulle loro conseguenze in termini di chi ci guadagna e chi, parallelamente, ci perde, non sappiamo pressoché nulla, perché vi sono ovvie ragioni che conducono a livelli di ritrosia particolarmente intensi sulla rivelazione dei loro risultati. In effetti, vi sono forti motivazioni razionali, legate al desiderio di evitare imposte, da una parte, e dall’esigenza di non diffondere notizie negative, dall’altra, che spingono i soggetti a nascondere i risultati delle proprie operazioni in conto capitale, sia quando essi sono positivi, ovvero consistono in guadagni, sia quando sono negativi, ovvero costituiscono l’altra faccia della medaglia. Quindi, l’enorme volume delle operazioni di questo genere emerge dai dati sui sistemi dei pagamenti che venivano ricordati al termine della prima parte di questa sezione, non se ne trova invece il riscontro in quelli relativi alla distribuzione del reddito, se non nella misura in cui le società a responsabilità limitata decidano di farli apparire nei loro bilanci. A livello teorico, possono tuttavia essere avanzate due ipotesi non alternative che possano contribuire ad identificare i soggetti che ottengono i guadagni e quelli che invece subiscono le perdite; proponiamo al proposito due linee di spiegazione che risultano facilmente riconducibili al pensiero di Vicarelli: quella che si basa sull’innovazione finanziaria; quella che invece considera le frodi e i comportamenti illeciti. Per quanto riguarda la prima11, occorre considerare il fatto che l’innovazione finanziaria nasce nei principali centri finanziari del mondo, si diffonde in tempi molto rapidi e, usualmente, non è brevettata: per avere successo, questo tipo di innovazione, e a differenza di quelle relative ai prodotti industriali o di altro genere, deve essere utilizzata contemporaneamente, o quasi, da un numero molto elevato di soggetti; per questo, chi la introduce, non la brevetta. Perché allora viene introdotta, nonostante non dia luogo a profitti da monopolio? 11 Vedi Niccoli (1989, parr. 3.2.1 e 3.5.3). 16 La spiegazione è molto semplice: ogni nuovo strumento finanziario determina una riallocazione dei portafogli finanziari dei diversi soggetti, che debbono incorporare quello nuovo, dando allo stesso lo spazio che merita; ciò comporta una riduzione della domanda per quelli precedentemente esistenti, e quindi una caduta dei loro prezzi, tanto più rapida, quanto più il nuovo strumento si diffonde istantaneamente. Inoltre, alcuni vecchi strumenti finanziari possono essere complementari rispetto al nuovo, e quindi i loro prezzi si muoveranno in direzione opposta, verso l’alto. Chi introduce l’innovazione finanziaria, ne conosce in anticipo le caratteristiche ed è in grado di prevedere come si modificheranno i prezzi degli altri strumenti finanziari; effettua quindi una congrua quantità di operazioni in conto capitale, ed ottiene i relativi guadagni. Sono insomma gli operatori dei centri finanziari più importanti che introducono l’innovazione finanziaria, ne conoscono le caratteristiche, e sono in grado di lucrare i guadagni in conto capitale con le operazioni che svolgono al momento, o immediatamente prima, del lancio di tale innovazione; le perdite si distribuiscono nella periferia del mondo e tra coloro che non detengono le informazioni rilevanti. Pochi guadagnano tanto, e tantissimi perdono poco, in assoluto, molto in proporzione alla loro ricchezza. Questo spiega perché la ricchezza finanziaria sia così concentrata nel mondo, in misura assolutamente non raggiungibile attraverso la politica della formica alla quale avevamo fatto riferimento in precedenza, secondo il meccanismo di accumulo della ricchezza proposto dalla teoria neoclassica. Il secondo canale di spiegazione fa riferimento alle frodi e ai comportamenti illeciti: i guadagni e delle perdite in conto capitale possono essere la conseguenza di comportamenti truffaldini e fraudolenti. Chi detiene l’informazione e la usa in modo fraudolento sa in anticipo come varieranno i prezzi degli strumenti finanziari, e utilizza in modo accorto queste informazioni, anche senza l’acquisizione di specifiche competenze. I casi Argentina, Cirio, Enron, Parmalat sono solo esempi, le cui caratteristiche appaiono tuttavia costanti: le dimensioni complessive di questi fenomeni sono enormi; il numero dei soggetti che se ne avvantaggiano è estremamente ridotto, mentre quello di quanti subiscono le perdite è estremamente elevato12. In ogni caso, non importa se a seguito di comportamenti rispettabili, come quelli relativi alla introduzione di innovazioni finanziarie, o deprecabili, come i veri e propri reati penali, nelle operazioni 12 Non sono soltanto le operazioni finanziarie che possono dar luogo a fenomeni illeciti quali quelli descritti; anche operazioni di natura reale possono condurre a risultati simili: un terreno non edificabile ha un valore pari ad una frazione trascurabile dello stesso terreno dopo che ne è stata sancita la edificabilità; la decisione è, in Italia, ampiamente discrezionale, e gli illeciti verificatisi al proposito sono numerosissimi. Enormi ricchezze sono state accumulate in questo modo, pure alcune fra le più grandi fra quelle esistenti. 17 relative agli stock, e in particolar modo negli scambi finanziari, ricavi e costi non si ripartiscono in modo equilibrato fra le due parti dei diversi contratti; una delle due ottiene, per esempio, il 51% del loro valore complessivo, e l’altra il 49%: questa piccola differenza trasferisce il 9% del reddito nazionale, se tali scambi costituiscono il 90% di quelli complessivi, o il 4,5% dello stesso se essi sono pari a 4,5 volte tanto quelli relativi ai flussi reali; questi sono in effetti i due casi – il primo realistico e il secondo per ipotesi estrema – considerati al termine della parte iniziale del paragrafo 5 come indice del peso degli scambi relativi agli stock rispetto a quelli relativi ai flussi 13 . Quelli appena formulati sono puri esempi scolastici; non dovrebbe essere perso, tuttavia, il significato generale che essi hanno. Gli spostamenti nella distribuzione del reddito, quali risultano nel corso del tempo dai dati statistici, impallidiscono rispetto alla dimensione di quelli che abbiamo appena evidenziato: la distribuzione del reddito non è dunque tanto il risultato di fenomeni relativi all’andamento dei flussi, quanto quello dovuto alla gestione degli stock. 13 Le stime formulate in quella sede mostravano un’incidenza del 90% degli scambi relativi agli stock, “reali” e finanziari, e del 10% di quelli relativi ai flussi “reali”; in tale caso un 2% di differenza fra le due parti del valore degli scambi finanziari conduce al 9% a vantaggio di una delle due, e al 9% a danno dell’altra, in termini di reddito nazionale. Per assurdo, si è poi supposto che l’ISTAT non rilevi la metà degli scambi relativi ai flussi; in questo caso, quelli relativi agli stock sono proporzionali a 0,9, quelli relativi ai flussi a 0,2, cioè il doppio di quelli rilevati, e i primi sono 4,5 volte più grandi dei secondi. L’ipotizzato 2% di differenza fra le due parti del valore degli scambi conduce, in questo caso, ad un vantaggio del 4,5% in termini di reddito nazionale per una parte e ad un analogo danno per l’altra.. 18 6. Conclusioni Pur in presenza di importanti mutamenti strutturali e comportamentali, il metodo e le intuizioni di Vicarelli rappresentano un patrimonio di insegnamenti ancora attuale. Egli si sarebbe espresso in modo assai preoccupato dinanzi al mancato aggiustamento di squilibri fondamentali negli scambi internazionali e al conseguente accumulo di ricchezza finanziaria potenzialmente destabilizzante sui mercati reali e finanziari dell’economia mondiale. Con riferimento alla finanziarizzazione dell’economia, Vicarelli avrebbe assunto un atteggiamento di rigorosa severità nei confronti degli effetti redistributivi asimmetrici che possono derivare sia dai processi di innovazione finanziaria sia dalla facile diffusione di comportamenti illeciti e fraudolenti. Questi ultimi hanno l’aggravante di porre gravi problemi non solo di equità, ma anche di etica. A fronte di questi problemi, che mettono in evidenza l’esistenza di una conflittualità di fondo all’interno del sistema finanziario globalizzato, perché i guadagni degli uni corrispondono alle perdite degli altri, è necessario mantenere una visione unitaria dei fenomeni strutturali, secondo l’approccio integrato adottato da Vicarelli. Vi è necessità di analisi rigorose e approfondite, che debbono poter contare su informazioni statistiche più dettagliate e che debbono essere finalizzate alla sensibilizzazione delle istituzioni internazionali e nazionali, ma anche degli operatori, a porre i correttivi necessari affinché lo sviluppo della finanza non sia fine a se stesso, ma sia funzionale alle esigenze degli investimenti produttivi e della distribuzione equilibrata dei redditi. Altrimenti i focolai di crisi e le tentazioni di guadagni “facili” saranno sempre presenti. 19 OPERE CITATE ALESSANDRINI, P. (1974), Composizione delle riserve e crisi del sistema monetario internazionale, Rivista Internazionale di Scienze Sociali, maggio-giugno. (1983), Note sull’apertura dell’economia italiana: dalla ricostruzione allo SME, Rassegna economica, n.1, gennaio-febbraio. ALESSANDRINI, P., VITO COLONNA, O. (1973), Integrazione finanziaria internazionale, formazione della ricchezza e struttura delle bilance dei pagamenti, Contributi alla ricerca, n.3, Banca d’Italia, dicembre. McKINNON, R. (1969), Portfolio Bilance and International Payments, in MUNDELL, R.A., SWOBODA, A.K. (eds.), Monetary Problems of the International Economy, The University of Chicago Press. NICCOLI, A. (1989), L’innovazione finanziaria, La Nuova Italia Scientifica, Roma. RICARDO, D. (1821), Principi dell’economia politica e delle imposte, trad. it. UTET, Torino, 1965. SCHUMPETER, J. 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