ANNO ACCADEMICO 2009/2010: GIURISPRUDENZA RELATIVA AI DELITTI CONTRO LA PERSONA OMICIDIO Cass. pen., sez. I, 18-10-2004. Sia nella fattispecie dell’omicidio volontario che in quella dell’infanticidio costituisce presupposto necessario che il feto sia vivo fino al realizzarsi della condotta che ne cagiona la morte, pur non richiedendosi che esso sia altresì vitale ovvero immune da anomalie anatomiche e patologie funzionali, potenzialmente idonee a causarne la morte in tempi brevi, perché costituisce omicidio anche solo anticipare di una frazione minima di tempo l’evento letale. Cass. pen., sez. I, 08-06-2007. In tema omicidio volontario, in mancanza di circostanze che evidenzino ictu oculi l’animus necandi, la valutazione dell’esistenza del dolo omicidiario può essere raggiunta attraverso un procedimento logico d’induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati, la direzione e l’intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l’azione cruenta (nel caso di specie, la suprema corte ha ritenuto corretta la configurabilità del dolo omicidiario nella forma del dolo alternativo, anziché l’ipotesi dell’omicidio preterintenzionale, con riferimento all’omicidio realizzato con violenti calci alla schiena e al torace ed il pestaggio di parti vitali del corpo della vittima, inerte a terra a causa del suo stato di ubriachezza). Cass. pen., sez. I, 22-11-2007. Correttamente viene ritenuto configurabile il reato di omicidio volontario (in concorso con quelli di esercizio abusivo della professione medica e di circonvenzione di incapace) a carico di un soggetto il quale, qualificandosi come laureato in medicina ma, al tempo stesso, cultore di terapie «alternative» ed approfittando delle condizioni di debilitazione psichica e di facile suggestionabilità di una donna a lui rivoltasi dopo che le era stato di recente diagnosticata la presenza di una formazione tumorale al seno, peraltro ancora di modesta entità, induca in lei o, quanto meno, rafforzi il proposito di rifiutare le cure offerte dalla medicina ufficiale per sottoporsi, invece, a fronte di cospicui esborsi di danaro, a trattamenti di assoluta ed evidente inefficacia terapeutica, con il risultato, oggettivamente prevedibile, e poi verificatosi, di una irreversibile ingravescenza della malattia e della conseguente produzione, o quanto meno accelerazione, dell’evento morte. Sez. 1, Sentenza n. 2112 del 22/11/2007 Ud. (dep. 15/01/2008 ) Rv. 238637 È configurabile il delitto di omicidio volontario nella condotta di chi, prescrivendo a un paziente di attenersi esclusivamente alle sue cure, l'abbia indotto ad evitare quelle della medicina ufficiale, con la consapevolezza che ciò avrebbe causato con rilevante probabilità la morte o l'avrebbe anticipata nel tempo. Assise Milano, 16-07-2009. Risponde di omicidio commesso con dolo eventuale, per aver accettato il verificarsi dell’evento con un grado significativo di probabilità, il conducente di un’autovettura il quale, dopo aver investito ad elevata velocità un pedone che attraversava sulle strisce pedonali, e che dopo l’impatto si teneva aggrappato al cofano anteriore della stessa automobile investitrice allo scopo di salvaguardare la 1 propria incolumità, compia plurime manovre zigzaganti di direzione di marcia per liberarsene e, fattolo cadere a distanza di circa cento metri, lo arroti provocandone la morte. Cass. pen., sez. I, 14-05-2008, n. 21329. Non è configurabile l’ipotesi aggravata di cui all’art. 572, 2º comma, c.p. (morte come conseguenza non voluta dei maltrattamenti) - ma quella di omicidio volontario di cui all’art. 575 c.p. - nel caso in cui la morte della vittima, sottoposta a continui maltrattamenti, sia oggetto della sfera rappresentativa e volitiva dell’agente, oltre ad essere causalmente collegata alla condotta da questi posta in essere (in applicazione di questo principio la corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la sussistenza del delitto di omicidio volontario nella condotta di due conviventi che avevano omesso di somministrare il cibo ad una bimba, continuamente sottoposta a maltrattamenti e di cui avevano la responsabilità della cura ed educazione, correttamente ritenendo che rientra nella cognizione e nell’esperienza di qualsiasi individuo, pur se dotato di modeste facoltà cognitive e intellettive, che la mancata somministrazione di cibo ad un bambino è destinata a provocarne la morte). Cass. pen., sez. fer., 24-07-2008, n. 40878. Atteso il criterio differenziale tra dolo eventuale e colpa cosciente (secondo cui il primo è caratterizzato dalla consapevole accettazione del rischio che si realizzi l’evento, tipicamente il secondo è caratterizzato dal convincimento che l’evento tipico, pur astrattamente previsto, non sia concretamente destinato a verificarsi), deve ritenersi configurabile l’omicidio volontario a titolo di dolo eventuale e non l’omicidio colposo con previsione dell’evento in un caso in cui il conducente di un autoarticolato, avendo intrapreso una irregolare manovra di conversione ad «U» che aveva dato luogo all’impatto con un’autovettura proveniente da tergo, accortosi che quest’ultima era rimasta incastrata con la parte anteriore sotto quella posteriore del semirimorchio, abbia effettuato, allo scopo di provocarne il distacco e darsi quindi alla fuga, altre manovre di trascinamento e retromarcia dalle quali sia derivata la morte del conducente della suddetta autovettura. Cass. pen., sez. IV, 10-02-2009, n. 13083. In tema di distinzione tra colpa cosciente e dolo eventuale, corretta e pertanto insindacabile in sede di legittimità deve ritenersi la motivazione con la quale il giudice di merito, con riguardo all’investimento mortale di due pedoni ad opera di un soggetto che, in stato di ebbrezza alcolica, conduceva in modo spericolato un’autovettura di grossa cilindrata, abbia ritenuto sussistente la prima di dette due ipotesi (con conseguente configurabilità del reato di omicidio colposo e non di quello, ipotizzato dall’accusa, di omicidio volontario), ponendo in luce come la condotta posta in esser dall’agente rivelasse il convincimento, da questi nutrito, di essere in grado, con la propria bravura, di padroneggiare il veicolo di cui era alla guida, evitando i pur prevedibili eventi dannosi. Cass. pen., sez. I, 16-12-2008, n. 5029. La prova del dolo del tentato omicidio può essere tratta da una serie di elementi sintomatici ritenuti utili, secondo le regole di esperienza e l’id quod plerumque accidit, per la individuazione della direzione teleologica della volontà dell’agente verso la morte della vittima, quali la micidialità del mezzo usato, la reiterazione della lesività, la mancanza di motivazioni alternative dell’azione (nel caso di specie, la suprema corte ha ritenuto corretta la configurabilità del dolo omicidiario, nella forma del dolo alternativo, con riferimento alla condotta realizzata da un soggetto che, allo scopo di sfuggire al controllo delle forze dell’ordine, aveva investito frontalmente un carabiniere con la propria autovettura, e, dopo l’impatto, aveva ripreso la marcia dirigendo nuovamente il veicolo contro la vittima, pur avendo la possibilità di allontanarsi attraverso altra via). 2 Cass. pen., sez. I, 23-06-2009, n. 35174. Il tentativo di omicidio si caratterizza per l’oggettiva idoneità e destinazione univoca dell’azione a realizzare il più grave evento, denunciata solo in parte dall’intenzione dell’agente, concorrendovi anche, e in misura prevalente, elementi di carattere oggettivo, quali la natura del mezzo usato, la parte del corpo della vittima presa di mira, la gravità della lesione inferta. Cass. pen., sez. I, 02-05-2007. La configurazione del delitto tentato non è compatibile con l’elemento psicologico del dolo eventuale, ma solo con quello del dolo diretto, ivi compreso il c.d. dolo alternativo, che si verifica quando il soggetto si rappresenta indifferentemente, siccome in sostanza equivalenti, l’uno e l’altro evento, entrambi eziologicamente collegabili alla sua condotta e alla sua cosciente volontà. Cass. pen., sez. I, 24-05-2007. In tema di delitti omicidiari, deve qualificarsi come dolo diretto, e non meramente eventuale, quella particolare manifestazione di volontà dolosa definita dolo alternativo, che sussiste quando il soggetto attivo prevede e vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l’uno o l’altro degli eventi (nella specie, morte o grave ferimento della vittima) causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria, con la conseguenza che esso ha natura di dolo diretto ed è compatibile con il tentativo (fattispecie in cui la suprema corte ha ritenuto sussistente un dolo diretto di omicidio, quanto meno nella forma alternativa, in relazione al concorso in un tentativo di omicidio posto in essere esplodendo numerosi colpi di arma da fuoco contro un carabiniere postosi all’inseguimento degli autori di una tentata rapina aggravata in danno di un istituto di credito, dopo che egli aveva inutilmente intimato l’alt ed esploso con la pistola di ordinanza un colpo in aria a scopo intimidatorio). Cass. pen., sez. I, 11-12-2007, n. 47039. Non può essere riconosciuta la circostanza attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale all’omicida del coniuge affetto da grave malattia (morbo di Alzheimer in stadio avanzato), il cui movente sia stato quello di porre fine a una vita di strazi, in quanto dall’azione criminosa non esula la finalità egoistica di trovare rimedio alla sofferenza, consistente nella necessità di accudire un malato grave ridotto in uno stato vegetativo. Cass. pen., sez. I, 06-05-2008, n. 32851. In tema di circostanze aggravanti comuni, per motivo abietto si intende quello turpe, ignobile, che rivela nell’agente un grado tale di perversità da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità, nonché quello spregevole o vile, che provoca ripulsione ed è ingiustificabile per l’abnormità di fronte al sentimento umano (nella specie, si è ritenuta sussistente l’aggravante con riferimento a un omicidio rituale di persone indifese, rilevando che il sacrificio umano è fermamente riprovato e considerato con orrore dalla comune coscienza). Sez. U, Sentenza n. 337 del 18/12/2008 Ud. (dep. 09/01/2009 ) Rv. 241575 Elementi costitutivi della circostanza aggravante della premeditazione sono un apprezzabile intervallo temporale tra l'insorgenza del proposito criminoso e l'attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l'opportunità del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell'animo dell'agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica). 3 Cass. pen., sez. I, 06-02-2007. In tema di omicidio volontario, per la sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione, sono necessari due elementi: uno, ideologico o psicologico, consistente nel perdurare nell’animo del soggetto, senza soluzione di continuità fino alla commissione del reato, di una risoluzione criminosa ferma ed irrevocabile; l’altro, cronologico, rappresentato dal trascorrere di un intervallo di tempo apprezzabile, fra l’insorgenza e l’attuazione di tale proposito, intervallo la cui consistenza minima non può essere in astratto rigidamente quantificata, ma deve risultare in concreto sufficiente a far riflettere l’agente sulla decisione presa ed a consentire il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere (nel caso di specie, la corte ha confermato la sussistenza dell’aggravante della premeditazione, riconosciuta dal giudice di merito, in riferimento ad un duplice tentato omicidio, posto in essere da partecipi di un’associazione a delinquere di stampo mafioso, per il movente dei delitti, l’anticipata manifestazione del proposito criminoso, la ricerca dell’occasione favorevole, l’accurata preparazione dell’agguato). Cass. pen., sez. I, 30-01-2008. Il dolo «condizionato» è pienamente compatibile con l’aggravante della premeditazione, la quale ricorre anche quando l’attuazione del proposito criminoso è condizionata al verificarsi, o non, di un determinato evento. Cass. pen., sez. I, 27-11-2008, n. 1079. Sussiste l’aggravante della premeditazione anche quando l’agente abbia risolutivamente condizionato il proposito criminoso al mancato verificarsi di un determinato evento ad opera della vittima (fattispecie in cui la decisione di commettere l’omicidio era stata programmata dall’imputato per il caso in cui la vittima avesse opposto l’ennesimo rifiuto alla richiesta di rinunziare alla domanda di separazione) Cass. pen., sez. I, 30-06-2009, n. 30304. Il criterio distintivo tra l’omicidio volontario e l’omicidio preterintenzionale risiede nel fatto che nel secondo caso la volontà dell’agente esclude ogni previsione dell’evento morte, che si determina per fattori esterni e il cui accertamento deve fondarsi su elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta (nella specie, la configurabilità dell’omicidio volontario è stata ritenuta sulla base dell’azione conosciuta, lo strangolamento, idonea, di per sé, a cagionare la morte, nell’assenza di elementi in grado di dimostrare che l’autore si era prefissato il fine di intaccare l’incolumità personale e solo un’interferenza causale impropria aveva determinato l’offesa alla vita). OMICIDIO DEL CONSENZIENTE Cass. pen., sez. I, 06-05-2008, n. 32851. L’omicidio del consenziente presuppone un consenso non solo serio, esplicito e non equivoco, ma perdurante anche sino al momento in cui il colpevole commette il fatto. Cass. pen., sez. I, 14-02-2008. Non sussistono i presupposti della fattispecie di cui all’art. 579 c.p. nel caso in cui la particolare patologia psichica da cui è affetto il soggetto passivo sia tale da incidere sulla piena e consapevole formazione del consenso alla propria eliminazione fisica; ne consegue che, in mancanza di elementi di prova univoci della effettiva e consapevole volontà della persona di morire, deve essere data la prevalenza al diritto alla vita indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e volere del soggetto interessato e della percezione che altri possono avere della qualità della vita stessa. 4 T. Roma, 23-07-2007. Il medico che, su espressa richiesta del paziente, ne cagiona la morte, interrompendo il trattamento sanitario «salvavita» cui lo stesso era sottoposto, non risponde del reato di omicidio del consenziente, operando l’esimente dell’adempimento del dovere, sempre che il dissenso alla prosecuzione del trattamento sia stato espresso liberamente e personalmente da paziente capace, compiutamente informato circa le conseguenze della sua richiesta. Proc. Rep. T. penale Roma, 06-03-2007. Deve riconoscersi in capo ad un soggetto in stato vegetativo permanente il diritto fondamentale a rifiutare i trattamenti medici di c.d. «sostegno vitale» che, alla luce del diritto interno ed internazionale, non possono essere imposti coattivamente al paziente che sia dissenziente e nemmeno proseguiti contro la sua volontà stante la revocabilità del consenso; ne consegue che non può essere considerato contra legem il comportamento del medico il quale, in presenza di una impossibilità fisica del paziente, abbia dato effettività al diritto del paziente di non continuare il trattamento terapeutico operando materialmente, come nel caso di specie, il distacco del ventilatore automatico così determinando una fatale crisi respiratoria. Assise Trieste, 02-05-1988. Non integra gli estremi del reato di omicidio comune aggravato, bensì del reato di omicidio del consenziente, l’uccisione della propria madre colpita da affezione morbosa inguaribile, anche se non giunta allo stadio terminale, quando risulti accertato che l’infermità non ha determinato nella vittima una deficienza psichica tale da renderne invalido il consenso. ISTIGAZIONE O AIUTO AL SUICIDIO Cass. pen., sez. I, 06-02-1998. Risponde del delitto di istigazione o aiuto al suicidio di cui all’art. 580 c.p., e non di omicidio del consenziente ai sensi dell’art. 579 c.p., chi, pur senza avere in alcun modo contribuito a far nascere o rafforzare l’altrui proposito suicida, abbia fornito aiuto o mezzi, sul piano materiale, che abbiano reso più agevole la realizzazione del suicidio (nella specie, si trattava di un doppio suicidio con sopravvivenza di uno dei soggetti). Assise Messina, 10-06-1997. Nell’ipotesi di concordato doppio suicidio, ove uno dei partecipi sia morto mentre l’altro sia sopravvissuto, quest’ultimo non è punibile ex art. 580 c.p. quando il suicida si sia autonomamente determinato senza esser da lui minimamente influenzato, giacché anche l’agevolazione al suicidio sul piano soltanto materiale va ricondotta al fenomeno istigativo e un’interpretazione della norma conforme a costituzione impone di circoscrivere le condotte punibili a quelle nelle quali l’aiuto al suicidio abbia esercitato un’apprezzabile influenza nel processo formativo della volontà della vittima, che ha trovato nella collaborazione dell’estraneo incentivo e stimolo a togliersi la vita. OMICIDIO PRETERINTENZIONALE Cass. pen., sez. V, 11-12-2008, n. 4237. L’integrazione dell’omicidio preterintenzionale richiede l’accertamento di una condotta dolosa (atti diretti a percuotere o a ledere) e di un evento (morte) legato eziologicamente a tale condotta; l’elemento soggettivo del delitto in questione va identificato nell’inosservanza del precetto di non 5 porre in essere atti lesivi dell’altrui incolumità mentre il riferimento normativo ad «atti diretti a percuotere o a ledere» non esclude che tali atti possano essere sorretti da un dolo eventuale poiché la direzione degli atti va intesa come requisito strutturale oggettivo dell’azione comprendente anche quelli costituenti semplice tentativo (in applicazione di questo principio la suprema corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha affermato, la responsabilità a titolo di omicidio preterintenzionale, nei confronti dell’imputato che, guidando un autocarro in condizioni di alterazione psichica correlata all’uso di stupefacenti, aveva investito la vittima, cagionandone la morte, ritenendo sulla base di una serie di elementi - ripartenza lenta, aumento di giri del motore, andatura a singhiozzo, l’uso dell’avvisatore acustico - che gli si era avveduto della presenza di quest’ultimo ed aveva sospinto in avanti la vittima anche a costo di toccarlo con la motrice e di provocargli possibili Assise Milano, 23-11-2007. L’omicidio preterintenzionale viene tradizionalmente classificato nell’ampia categoria dei delitti aggravati dall’evento, e si caratterizza per il fatto che l’evento più grave viene imputato all’autore di percosse o lesioni sulla base del solo rapporto di causalità, senza necessità di alcuna indagine sull’atteggiarsi della volontà o sulla prevedibilità dell’evento più grave, essendo sufficiente che, con atti diretti a percuotere o ferire una persona, se ne determini la morte; la responsabilità per tale conseguenza non voluta trova, quindi, un unico limite nell’atteggiarsi del rapporto causale e nell’esclusione di cause concorrenti o sopravvenute da sole idonee a determinare l’evento letale. Cass. pen., sez. I, 15-01-2008, n. 2112. In tema di omicidio preterintenzionale la possibile verificazione della morte non deve essere prevista dal soggetto, dovendo al contrario la morte essere conseguenza non presente nella cosciente determinazione del reo, neanche a livello di mera possibilità, bensì soltanto essere conseguenza prevedibile del reato base. Cass. pen., sez. V, 08-03-2006. Nell’omicidio preterintenzionale non entra minimamente in giuoco la responsabilità obiettiva, men che la colpa, bensì solo il dolo di evento minore, che assorbe la prevedibilità dell’evento omogeneo più grave; pertanto il giudice non deve verificare se l’evento morte fosse prevedibile secondo un parametro legale, dettato per la colpa, ma solo se l’agente ha agito con il dolo di cui all’art. 5 81 o 582 c.p. Cass. pen., sez. I, 21-09-2004. Il delitto preterintenzionale di cui all’art. 584 c.p., come quello aggravato dall’evento di cui all’art. 586 c.p., è caratterizzato dal verificarsi di un evento non voluto, che comporta un più severo trattamento sanzionatorio; pertanto, esso è incompatibile con il tentativo e con la desistenza volontaria, che presuppongono, invece, un evento voluto, e non verificatosi, per circostanze indipendenti o, nella desistenza, per resipiscenza dell’agente, con la conseguenza che non è possibile configurare un’ipotesi di omicidio preterintenzionale tentato. MORTE O LESIONE COME CONSEGUENZA DI ALTRO DELITTO Cass. pen., sez. un., 22-01-2009. Nell’ipotesi di morte verificatasi in conseguenza dell’assunzione di sostanza stupefacente, la responsabilità penale dello spacciatore ai sensi dell’art. 586 c.p. per l’evento morte non voluto richiede che sia accertato non solo il nesso di causalità tra cessione e morte, non interrotto da cause eccezionali sopravvenute, ma anche che la morte sia in concreto rimproverabile allo spacciatore e che quindi sia accertata in capo allo stesso la presenza dell’elemento soggettivo della colpa in 6 concreto, ancorata alla violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina il reato base) e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità in concreto del rischio per il bene della vita del soggetto che assume la sostanza, valutate dal punto di vista di un razionale agente modello che si trovi nella concreta situazione dell’agente reale ed alla stregua di tutte le circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale (nella specie, la morte del tossicodipendente si era verificata a seguito della assunzione della sostanza stupefacente nel corso di un festino a base di droga e alcol da parte di un soggetto dedito al consumo di bevande alcoliche e di farmaci diverso dal diretto acquirente). Cass. pen., sez. V, 19-12-2003. Il delitto previsto dall’art. 586 c.p. (morte come conseguenza di un altro delitto), si differenzia dall’omicidio preterintenzionale perché nel primo delitto l’attività del colpevole è diretta a realizzare un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni personali, mentre nel secondo l’attività del colpevole è diretta a realizzare un evento che, ove non si verificasse la morte, costituirebbe reato di percosse o lesioni; nella preterintenzionalità, quindi, è necessario che la lesione si riferisca allo stesso genere di interessi giuridici (incolumità della persona), mentre nell’ipotesi di cui all’art. 586 la morte o la lesione deve essere conseguenza di delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni (nel caso di specie la corte ha affermato la configurabilità dell’omicidio preterintenzionale, rilevando che l’occlusione delle vie respiratorie e l’immobilizzazione, durante una rapina, di un individuo che si dibatteva violentemente per liberarsi, costituiva violenza fisica gravida di conseguenze lesive, che l’agente non poteva non essersi rappresentato ed aver voluto; l’art. 581 contempla, infatti, ogni condotta di violenta manomissione dell’altrui persona fisica, ancorché non costituita da pugni o schiaffi). Cass. pen., sez. V, 12-11-2008, n. 44751. Nel caso in cui nel corso di una rapina posta in essere con violenza sulla persona (nella specie, spintonando la vittima e trascinandola per alcuni metri per strapparle la borsa) la persona offesa riporti gravi lesioni personali che ne cagionino il decesso correttamente l’evento morte viene addebitato a titolo di omicidio preterintenzionale (art. 583 c.p.), e non come morte in conseguenza di un altro reato (art. 586 c.p.). INFANTICIDIO Cass. pen., 16-04-1985. Nel reato di infanticidio di cui all’art. 578 c.p., così come modificato dalla l. 5 agosto 1981, n. 442, le condizioni di abbandono materiale e morale menzionate dalla norma devono sussistere congiuntamente; esistere oggettivamente; essere connesse al parto nel senso che, in conseguenza della loro oggettiva esistenza, la madre ritenga di non poter assicurare la sopravvivenza del figlio subito dopo il parto. Cass. pen., 12-06-1989. Il delitto di infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale è configurabile soltanto se l’evento letale avviene immediatamente dopo il parto, e cioè in quella situazione di turbamento psichico che costituisce la ragione del diverso trattamento sanzionatorio rispetto all’omicidio volontario; manca tale immediatezza quando la morte sia cagionata oltre i due giorni dal parto (nella specie, è stato ritenuto sussistente il reato di omicidio volontario). 7 Cass. pen., sez. I, 07-10-2009, n. 41889. L’infanticidio in condizioni di abbandono materiale o morale postula uno stato di abbandono della madre inteso non come fatto contingente legato al momento culminante della gravidanza, bensì come condizione di vita, che si sostanzia nell’isolamento materiale e morale della donna dal contesto familiare e sociale (situazione d’indigenza e difetto di assistenza pubblica e privata; solitudine causata da insanabili contrasti con parenti e amici e conseguente allontanamento spontaneo o coatto, dal nucleo originario di appartenenza e così via) produttivo di un profondo turbamento spirituale, che si aggrava grandemente, sfociando in una vera e propria alterazione della coscienza, in molte partorienti immuni da processi morbosi mentali e tuttavia coinvolte psichicamente al punto da smarrire almeno in parte il lume della ragione (fattispecie relativa a ritenuta configurabilità di omicidio volontario nella soppressione, subito subito dopo la nascita, con modalità efferate, del figlio da parte di madre volontariamente isolatasi dal contesto familiare e sociale). Cass. pen., sez. I, 17-04-2007. Per la configurabilità del reato di infanticidio di cui all’art. 578 c.p. è necessario che la madre sia lasciata in balia di se stessa, senza alcuna assistenza e nel completo disinteresse dei familiari, in modo che venga a trovarsi in uno stato di isolamento totale che non lasci prevedere alcuna forma di soccorso o di aiuto finalizzati alla sopravvivenza del neonato (nel caso di specie, la corte di cassazione ha ritenuto corretta la qualificazione come omicidio volontario della condotta della madre, che, nonostante fosse assistita anche economicamente da un genitore e potesse inoltre contare sull’aiuto di altri parenti, dopo aver occultato la gravidanza, aveva causato la morte del neonato). Cass. pen., sez. I, 10-02-2000. La situazione di abbandono materiale e morale ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 578 c.p. deve ritenersi concretizzata solo quando la madre è lasciata in balia di se stessa, senza assistenza e con palesi manifestazioni di completo disinteresse, sicché sia resa certa di trovarsi in uno stato di isolamento tale da non far prevedere alcun aiuto o soccorso; di conseguenza risponderà del reato di omicidio volontario, e non di infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale, la madre, peraltro minorenne, che, dopo una gravidanza nascosta solo all’esterno della propria famiglia, abbia ucciso il figlio, subito dopo il parto, avvenuto in casa, e sia stata assistita nell’immediatezza dai familiari T. minorenni Perugia, 08-11-1996. Ricorre il delitto di infanticidio in condizioni di abbandono morale connesse al parto, e non quello di omicidio, nel caso di una minore che abbia cagionato la morte della propria neonata subito dopo averla partorita nel bagno della propria abitazione, al termine di un lungo travaglio e di una gravidanza vissuti in stato di profondo isolamento psicologico e di totale incomunicabilità, a causa dell’assoluta incapacità dell’ambiente familiare della minore, pur apparentemente coeso e del tutto normale, di cogliere l’evidenza del dramma dalla minore vissuto e di avvertire ogni esigenza d’aiuto e di sostegno alla minore stessa necessari. Cass. pen., 10-11-1987. Le condizioni costituenti il presupposto del delitto di cui all’art. 578 c.p., così come modificato dalla l. 5 agosto 1981, n. 442 debbono ritenersi sussistenti quando il soggetto attivo, la madre, si determini all’infanticidio in conseguenza delle condizioni di abbandono morale e materiale connesse al parto, connessione che non può non trovare causa nella situazione precedente al parto stesso; nella fattispecie l’abbandono si è compiuto col lasciare la madre in balia di se stessa, senza alcuna assistenza da parte della sua famiglia e dell’uomo con cui aveva concepito il neonato, che hanno invece manifestato disinteressamento per la sua situazione e minacciato di negare ogni forma 8 di cura o di aiuto sia morale che materiale in futuro sì da renderla certa di trovarsi in uno stato di isolamento tale da non consentire l’intervento di terzi ovvero un qualsiasi soccorso fisico e morale; né le condizioni di abbandono possono trovare surrogazione nel ricorso da parte della madre al momento del parto all’aiuto di presidi sanitari o di altre strutture, esulando tale eventuale ricorso dalla natura della nozione di abbandono che va riferita ad una concezione temporale più estesa di quella limitata al momento del parto o subito prima o dopo di esso. OMICIDIO COLPOSO Cass. pen., sez. IV, 23-04-2009, n. 36857. La responsabilità colposa implica che la violazione della regola cautelare deve aver determinato la concretizzazione del rischio che detta regola mirava a prevenire (c.d. causalità della colpa), poiché alla colpa dell’agente va ricondotto non qualsiasi evento realizzatosi, ma solo quello causalmente riconducibile alla condotta posta in essere in violazione della regola cautelare (nella specie, la corte ha confermato il proscioglimento dell’imputato, poiché si era accertato che il pieno rispetto delle regole cautelari - la cui violazione era stata contestata - non avrebbe evitato il verificarsi dell’evento). Cass. pen., sez. IV, 26-05-2009, n. 26677. In materia di responsabilità da circolazione veicolare, l’osservanza delle norme precauzionali scritte non fa venir meno la responsabilità per colpa dell’utente della strada, nel caso di infortunio subìto da terzo, qualora tali norme non siano esaustive delle regole precauzionali adottabili (fattispecie in cui è stata ritenuta la penale responsabilità del guidatore per la morte di un bambino, investito mentre improvvisamente attraversava la carreggiata, nonostante al momento dell’incidente stesse procedendo regolarmente a velocità imposta dallo stato dei luoghi). Cass. pen., sez. IV, 23-09-2009, n. 40587. Il conducente di un veicolo, scorgendo un bambino in movimento o fermo al margine della strada, deve rallentare e, se occorre, fermarsi, per norma di comune prudenza che impone di prevenire le imprudenze altrui, probabili e ragionevolmente prevedibili, dovendo i bambini considerarsi come pedoni incerti e inesperti, portati per loro natura a movimenti inconsulti e improvvisi; pertanto, in caso di investimento, va affermata la responsabilità del conducente che non abbia moderato particolarmente la velocità del veicolo ed è da escludere che la condotta del bambino che si sposti incautamente sulla carreggiata possa concretare una concausa sopravvenuta fornita di un’efficienza causale esclusiva e configurare, quindi, l’ipotesi di cui all’art. 41, 2º comma, c.p. (nella specie, il conducente aveva provocato la morte di un bambino investendolo mentre questi, alla guida della sua bicicletta, sfilava nel ristrettissimo spazio di carreggiata tra il lato destro dell’automezzo ed il marciapiede). Cass. pen., sez. IV, 25-09-2009, n. 42502. In tema di omicidio colposo da incidente stradale, le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità non sono solo quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo da quello determinato dall’agente, bensì anche quei fatti sopravvenuti che realizzano una linea di sviluppo del tutto anomala e imprevedibile della condotta antecedente (fattispecie in cui la corte, in relazione ad un incidente stradale «a catena» con esiti mortali, ha escluso che la condotta negligente od imprudente di alcuni conducenti - quale nella specie la mancata osservanza di distanza di sicurezza, l’esecuzione di manovre improprie, e l’eccesso di velocità - originata dalla condotta colposa dei conducenti di due autoarticolati costituisse causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento, non risultando abnorme né del tutto imprevedibile). 9 Cass. pen., sez. IV, 01-07-2009, n. 37840. In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro per tutti i soggetti che prestano la loro opera nell’impresa, senza distinguere tra lavoratori subordinati e persone estranee all’ambito imprenditoriale. LESIONI PERSONALI E PERCOSSE Cass. pen., sez. V, 05-12-2008, n. 2081. Ai fini della configurabilità del delitto di lesioni personali l’ematoma è riconducibile alla nozione di «malattia». Cass. pen., sez. V, 05-06-2008, n. 36657. È riconducibile alla nozione di «malattia» ai sensi dell’art. 582 c.p. e, pertanto, integra l’elemento oggettivo del reato di lesione personale il trauma contusivo che determini un’alterazione delle normali funzioni fisiologiche dell’organismo tale da richiedere un processo terapeutico, con specifici mezzi di cura e appropriate prescrizioni mediche. Cass. pen., sez. IV, 19-03-2008. La malattia nel corpo o nella mente - necessaria perché possa ritenersi realizzato il delitto di lesione personale volontaria o colposa - non può consistere nella mera alterazione anatomica occorrendo, a tale fine, la presenza di una limitazione funzionale o di un processo patologico significativo (nella specie, è stata confermata la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto che il mero accrescimento della formazione tumorale provocato dal ritardo nell’accertamento della patologia costituisse aggravamento della malattia). Cass. pen., sez. II, 12-03-2008. Ricorre il delitto di lesioni, e non già quello meno grave di percosse, sia, in caso di contusione escoriata che di cervicoalgia, rientrando entrambe nella nozione di «malattia», in quanto l’una consiste nella lesione sia pure superficiale del tessuto cutaneo e quindi nella patologica alterazione dell’organismo, e l’altra comporta una pur limitata alterazione funzionale del rachide cervicale non esaurendosi in una semplice sensazione di dolore. Cass. pen., sez. V, 17-09-2008. Correttamente viene ravvisato il reato di lesioni volontarie gravissime, sotto il profilo del dolo eventuale, nella condotta della donna che, pur consapevole di essere affetta da sindrome da Hiv, abbia avuto con il proprio convivente rapporti sessuali non protetti, sì da trasmettergli il virus. Cass. pen., sez. un., 18-12-2008. Ove il medico sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, e tale intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, nel senso che dall’intervento è derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento anche alle alternative ipotizzabili, e senza che ci fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di rilevanza penale, tanto sotto il profilo della fattispecie di lesione personale di cui all’art. 582 c.p., che sotto quello del reato di violenza privata di cui all’art. 610 c.p. Cass. pen., sez. V, 16-06-2009. In tema di lesioni cagionate nel corso di attività sportiva, non può ritenersi automaticamente scriminata la condotta lesiva posta in essere nel corso di una partita di calcio a gioco non interrotto, 10 atteso che, anche in assenza di tale condizione, è ben possibile che un giocatore attenti all’incolumità fisica di un altro con finalità puramente e semplicemente lesiva, pur se occasionata dal contesto agonistico (nella specie, la suprema corte ha annullato con rinvio la sentenza di primo grado che aveva assolto l’imputato, autore di una testata ai danni di un avversario, per aver agito in presenza della causa di giustificazione non codificata dell’esercizio di attività sportiva). T. Milano, 18-06-2008. È configurabile il reato di lesioni volontarie a carico del medico che abbia effettuato sul paziente un intervento chirurgico inutile (non solo perché non necessario, ma anche perché effettuato in assenza di stati patologici), conscio del fatto che esso cagionerà una menomazione non necessaria all’integrità fisica del paziente medesimo. Cass. pen., sez. IV, 08-07-2009, n. 32687. La lesione personale deve considerarsi grave se l’incapacità ad attendere alle ordinarie occupazioni perduri oltre il quarantesimo giorno, ivi compreso il periodo di convalescenza o quello di riposo dipendente dalla malattia. VIOLENZA SESSUALE Sez. III, sent. n. 21167 del 25-05-2006 (ud. del 25-05-2006), (rv. 234174) In materia di reati sessuali non è affetta da indeterminatezza la nozione di atti sessuali di cui all'art. 609 bis cod. pen., la quale - interpretata alla luce della libertà sessuale, interesse protetto dalla fattispecie - comprende tutti quegli atti indirizzati verso zone erogene della vittima e quindi anche i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime anche sopra i vestiti, suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale dell'autore. (Rigetta, App. Genova, 11 febbraio 2004) Sez. III, Sent. n. 35625 del 11-07-2007 (ud. del 11-07-2007), P.S. (rv. 237294) In tema di reati sessuali, la condotta vietata dall'art. 609-bis cod. pen. comprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest'ultimo, sia finalizzato e idoneo a porre in pericolo la sua libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale, non avendo rilievo determinante, ai fini del perfezionamento del reato, la finalità dell'agente e neppure l'eventuale soddisfacimento del proprio piacere sessuale. (Annulla in parte senza rinvio, App. Catanzaro, 10 Maggio 2006) Sez. III, Sent. n. 25112 del 13-02-2007 (ud. del 13-02-2007), G.A. (rv. 236964 Ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, va qualificato come "atto sessuale" anche il bacio sulla bocca che sia limitato al semplice contatto delle labbra, potendosi detta connotazione escludere solo in presenza di particolari contesti sociali, culturali o familiari nei quali l'atto risulti privo di valenza erotica, come, ad esempio, nel caso del bacio sulla bocca scambiato, nella tradizione russa, come segno di saluto 11 Sez. 3, Sentenza n. 16757 del 04/02/2009 Ud. (dep. 21/04/2009 ) Rv. 243480 Il delitto di violenza sessuale è configurabile sia nel caso di rapporto sessuale completo sia nel caso di compimento di atti sessuali, in quanto ai fini della configurabilità del reato è sufficiente un'intrusione nella sfera sessuale della vittima. Sez. 3, Sentenza n. 6643 del 12/01/2010 Ud. (dep. 18/02/2010 ) Rv. 246186 La nozione di violenza nel delitto di violenza sessuale non è limitata alla esplicazione di energia fisica direttamente posta in essere verso la persona offesa, ma comprende qualsiasi atto o fatto cui consegua la limitazione della libertà del soggetto passivo, così costretto a subire atti sessuali contro la propria volontà. (Nella specie, la persona offesa era stata condotta con un pretesto dagli imputati in un luogo isolato senza conseguente possibilità di opporre una valida resistenza). Sez. 3, Sentenza n. 39718 del 17/06/2009 Ud. (dep. 12/10/2009 ) Rv. 244622 . L'elemento soggettivo del reato di violenza sessuale consiste nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona non consenziente, restando pertanto irrilevante l'eventuale fine ulteriore, sia esso di concupiscenza, ludico o d'umiliazione, propostosi dal soggetto agente. (Fattispecie di palpeggiamenti al seno di una donna asseritamente posti in essere con intento scherzoso, al cospetto di amici, al fine di "verificare" gli esiti di un intervento di chirurgia estetica). Sez. 3, Sentenza n. 27762 del 06/06/2008 Ud. (dep. 08/07/2008 ) Rv. 240828 In tema di violenza sessuale, il tentativo è configurabile non solo nel caso in cui gli atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere un abuso sessuale non si siano estrinsecati in un contatto corporeo, ma anche quando il contatto sia stato superficiale e fugace e non abbia attinto una zona erogena o considerata tale dal reo per la reazione della vittima o per altri fattori indipendenti dalla volontà dell'agente. (Fattispecie nella quale il reo, nel tentare di slacciare il reggiseno alla vittima, per la pronta reazione di quest'ultima era riuscito solo a toccarle le spalle). Sez. 3, Sentenza n. 37251 del 11/06/2008 Ud. (dep. 01/10/2008 ) Rv. 241277 In tema di reati sessuali, rientra nella nozione di minaccia impiegata dall'art. 609 bis cod. pen. anche la prospettazione, da parte del soggetto agente, di esercitare un diritto quando essa sia finalizzata al conseguimento dell'ulteriore vantaggio di tipo sessuale, non giuridicamente tutelato, ottenendosi per tale via un profitto ingiusto e "contra ius". (Fattispecie di minaccia rappresentata dal prospettato esercizio di un'azione di sfratto) 12 Sez. 3, Sentenza n. 15910 del 12/02/2009 Ud. (dep. 16/04/2009 ) Rv. 243403 In tema di violenza sessuale in danno di persona in stato di inferiorità psichica o fisica, un rapporto consensuale è ammissibile solo se non connotato da induzione od abuso delle condizioni di menomazione, anche dovute a fattori ambientali, di consistenza tale da incidere negativamente sulla volontà e sulla libertà sessuale della vittima, sì da determinare in quest'ultima un'assente o diminuita capacità di resistenza agli stimoli esterni. Sez. 4, Sentenza n. 40795 del 17/09/2008 Ud. (dep. 31/10/2008 ) Rv. 241326 In tema di violenza sessuale ai danni di soggetti che si trovano in stato di inferiorità fisica o psichica, l'induzione sufficiente alla sussistenza del reato non si identifica solamente nell'attività di persuasione esercitata sulla persona offesa per convincerla a prestare il proprio consenso all'atto sessuale, bensì consiste in ogni forma di sopraffazione posta in essere senza ricorrere ad atti costrittivi ed intimidatori nei confronti della vittima, la quale, non risultando in grado di opporsi a causa della sua condizione di inferiorità, soggiace al volere dell'autore della condotta, divenendo strumento di soddisfazione delle voglie sessuali di quest'ultimo. Sez. 3, Sentenza n. 2119 del 03/12/2008 Ud. (dep. 20/01/2009 ) Rv. 242306 Con riferimento al reato di violenza sessuale nei confronti di minore infraquattordicenne, la posizione di convivenza dell'imputato con la madre del minore stesso può rappresentare presupposto dell'"abuso di autorità". Sez. 2, Sentenza n. 3764 del 16/12/2008 Cc. (dep. 27/01/2009 ) Rv. 242307 In tema di concorso di persone nel reato, non è configurabile la responsabilità a titolo di concorso "anomalo" nel reato di violenza sessuale del soggetto che, in occasione di una rapina in abitazione, si sia limitato a fare da "palo", in quanto la violenza che caratterizza il delitto sessuale ha natura diversa da quella che connota i reati contro il patrimonio. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che la circostanza di essere i correi entrati nell'abitazione della vittima, sola ed in orario notturno, comportava che anche il "palo" avrebbe dovuto e potuto prevedere che la forza e la violenza usata per consumare la rapina si sarebbe potuta trasformare in violenza sessuale). Sez. 2, Sentenza n. 3189 del 08/01/2009 Ud. (dep. 22/01/2009 ) Rv. 242670 In tema di violenza sessuale, ai fini della configurabilità dell'attenuante della minore gravità del fatto non rileva la circostanza che la vittima eserciti la prostituzione, in quanto il diritto al rispetto della libertà sessuale prescinde da condizioni e qualità personali, dal motivo e dal numero dei rapporti avuti in passato con persone più o meno conosciute. Sez. 3, Sentenza n. 14230 del 15/02/2008 Cc. (dep. 04/04/2008 ) Rv. 239964 In tema di reati sessuali, non è sufficiente ai fini della concedibilità dell'attenuante speciale prevista dall'art. 609 bis, comma terzo, cod. pen. (casi di minore gravità) l'assenza di congiunzione carnale tra vittima ed autore del reato. 13 Sez. 3, Sentenza n. 44681 del 16/11/2005 Ud. (dep. 07/12/2005 ) Rv. 232907 Il bene giuridico tutelato nel delitto di corruzione di minorenni consiste nella salvaguardia di un sereno sviluppo psichico della sfera sessuale di soggetti di età minore, che non deve essere turbato dal trauma che può derivare dall'assistere ad atti sessuali compiuti con ostentazione da altri. Sez. 3, Sentenza n. 3196 del 13/11/2008 Ud. (dep. 23/01/2009 ) Rv. 242176 Il delitto di corruzione di minorenne e quello di atti osceni in luogo pubblico concorrono formalmente se la condotta dell'agente non si limita ad offendere il pudore o l'onore sessuale, ma è posta in essere anche in modo da coinvolgere emotivamente la persona offesa. (Fattispecie nella quale il reo aveva esibito in una pubblica via il proprio organo sessuale, afferrandolo prima con una e poi con entrambe le mani alla presenza di una minore cui lo aveva mostrato). Sez. 3, Sentenza n. 15633 del 12/03/2008 Ud. (dep. 15/04/2008 ) Rv. 240035 In tema di reati sessuali, il delitto di corruzione di minorenne (art. 609 quinquies, cod. pen.) richiede il dolo specifico, in quanto è necessario che gli atti sessuali siano compiuti al fine di far assistere il minore, ovvero nella consapevolezza dell'agente di agire allo scopo specifico di far assistere il minore agli atti sessuali commessi in sua presenza. (Fattispecie nella quale il dolo è stato escluso per aver l'agente posto in essere atti masturbatori alla presenza di due minori, dei quali uno dormiva e l'altro faceva finta di dormire). Sez. 3, Sentenza n. 42111 del 12/10/2007 Ud. (dep. 15/11/2007 ) Rv. 238149 Ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo di cui all'art. 609 octies cod. pen., non è necessario che l'atto sessuale sia compiuto contemporaneamente da tutti i partecipanti essendo sufficiente la mera presenza di tutti anche se l'atto viene posto in essere a turno da ciascuno dei partecipanti. Sez. 3, Sentenza n. 42111 del 12/10/2007 Ud. (dep. 15/11/2007 ) Rv. 238150 In tema di reati contro la libertà sessuale l'attenuante di cui all'ultimo comma dell'art. 609 bis cod. pen. (ipotesi di minore gravità) non può essere concessa nell'ipotesi di reato di violenza sessuale di gruppo di cui all'art. 609 octies cod. pen., in quanto trattasi di attenuante specifica prevista soltanto per la violenza sessuale individuale ed essendo peraltro incompatibile logicamente con la maggiore gravità di una violenza sessuale di gruppo. Sez. 3, Sentenza n. 42111 del 12/10/2007 Ud. (dep. 15/11/2007 ) Rv. 238151 In tema di reati sessuali, a seguito dell'avvenuta introduzione del reato di violenza sessuale di gruppo di cui all'art. 609 octies cod. pen., il concorso eventuale di persone nel reato di violenza sessuale è divenuto configurabile solo nelle forme dell'istigazione, del consiglio, dell'aiuto o dell'agevolazione da parte di chi non partecipi materialmente all'esecuzione del reato stesso. Sez. 3, Sentenza n. 45970 del 09/11/2005 Ud. (dep. 19/12/2005 ) Rv. 232537 In tema di violenza sessuale di gruppo, il reato è ravvisabile anche nell'ipotesi in cui i partecipi dell'azione criminosa non siano presenti contestualmente al compimento degli atti sessuali da parte di uno dei componenti del gruppo, ma lo siano stati nella fase iniziale della violenza e siano tuttora presenti nel luogo dei fatti, permanendo in tal caso l'effetto intimidatorio derivante dalla 14 consapevolezza, da parte della vittima, di essere in balia di un gruppo di persone, con accrescimento, quindi, del suo stato di prostrazione ed ulteriore diminuzione della possibilità di sottrarsi alla violenza. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che correttamente fosse stata affermata la sussistenza del reato in un caso in cui gli agenti avevano, tutti insieme, sequestrato, percosso e minacciato la vittima, sulla quale ciascuno di essi aveva poi compiuto atti sessuali mentre gli altri, all'esterno, attendevano il proprio turno). Sez. 3, Sentenza n. 45970 del 09/11/2005 Ud. (dep. 19/12/2005 ) Rv. 232538 In tema di violenza sessuale di gruppo, allorché gli atti sessuali non vengano posti in essere in unico contesto temporale, ma intercorra un apprezzabile periodo di tempo fra i vari episodi, ciascuno dei quali caratterizzato dalla ripresa dell'azione violenta in danno della vittima, viene in tal modo a configurarsi una cesura tra i singoli fatti, ognuno dei quali costituente reato, con conseguente ravvisabilità del vincolo della continuazione. PROSTITUZIONE MINORILE Sez. 3, Sentenza n. 18854 del 05/03/2003 Ud. (dep. 22/04/2003 ) Rv. 224897 Il delitto di cui all'art. 600 bis cod. pen., introdotto dall'art. 2 della legge 3 agosto 1998 n. 269, in adesione ai principi contenuti nella Convenzione sui diritti del fanciullo, è diretto a proteggere l'integrità e la libertà fisica e psichica del minore ed ha pertanto natura autonoma, attesa la sua diversa oggettività giuridica rispetto ad analoghe fattispecie criminose in materia di prostituzione di soggetti adulti, contemplate nella legge 20 febbraio 1958 n. 75, la quale mira a tutelare soltanto il buon costume e la pubblica moralità; tale affermazione trova conferma anche nell'inter venuta abrogazione dell'aggravante prevista dall'art. 4, n. 2, della suddetta legge per i fatti commessi in danno di minori. Sez. 3, Sentenza n. 40432 del 13/07/2006 Ud. (dep. 12/12/2006 ) Rv. 235752 Le fattispecie criminose di induzione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione minorile e di fruizione di rapporto sessuale con un minore in cambio di denaro o altra utilità, previste ai commi primo e secondo dell'art. 600 bis cod. pen., sono caratterizzate dal dolo generico ed è pertanto sufficiente per la sussistenza dell'elemento soggettivo che l'agente abbia la rappresentazione degli elementi del fatto tipico tra cui si pone l'età della vittima. Sez. 3, Sentenza n. 21181 del 19/03/2009 Ud. (dep. 20/05/2009 ) Rv. 243622 L'esercizio della violenza o della minaccia nei confronti della vittima non è evento necessario all'integrazione del reato di induzione alla prostituzione minorile che può essere commesso, a differenza del reato di violenza sessuale, anche solo con un'attività di persuasione ad acconsentire agli atti sessuali. 15 Sez. 3, Sentenza n. 33470 del 04/07/2006 Ud. (dep. 05/10/2006 ) Rv. 234787 Il delitto di cui all'art. 600 bis cod. pen. sussiste anche nel caso il cui l'autore del reato abbia indotto soggetti minorenni ad avere rapporti retribuiti non già con una pluralità indiscriminata di persone, ma solo con l'agente stesso; infatti l'interesse protetto dalla fattispecie - a differenza di quello tutelato nella legge n. 75 del 1958 in materia di sfruttamento della prostituzione - è il libero sviluppo psicofisico del minore, il quale può essere messo a repentaglio da qualsiasi tipo di mercificazione del suo corpo. Per tale ragione il legislatore ha previsto in riferimento alla prostituzione minorile, nei commi secondo e terzo della citata disposizione, la punibilità del "cliente", per la quale è sufficiente che il minore abbia ricevuto denaro od altra utilità economica in cambio di prestazioni di tipo sessuale. (Nel caso di specie, si trattava di un soggetto che, dopo avere svolto un'attività di convincimento volta a superare le inibizioni morali e ad influire sulle determinazione di minori di anni quattordici per indurli al meretricio, aveva avuto con gli stessi rapporti sessuali a pagamento). Sez. 3, Sentenza n. 8285 del 09/12/2009 Ud. (dep. 03/03/2010 ) Rv. 246231 È materiale pornografico rilevante per l'integrazione del delitto di pornografia minorile, quello di contenuto lascivo, idoneo ad eccitare le pulsioni erotiche del fruitore, sicché in esso vanno ricomprese non solo le immagini raffiguranti amplessi ma anche corpi nudi con i genitali in mostra. (Fattispecie di fotografie raffiguranti un minore infraquattordicenne nell'atto di cambiarsi all'interno di uno spogliatoio di una piscina). Sez. 3, Sentenza n. 49604 del 01/12/2009 Cc. (dep. 28/12/2009 ) Rv. 245749 Il reato di pornografia minorile di cui al primo comma dell'art. 600 ter cod. pen. richiede il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto. (Fattispecie di riprese fotografiche, mediante telefono cellulare, di minore nudo). Sez. 3, Sentenza n. 8285 del 09/12/2009 Ud. (dep. 03/03/2010 ) Rv. 246232 La detenzione di materiale pornografico di cui all'art. 600 quater cod. pen. non riguarda il materiale prodotto dallo stesso soggetto agente, contemplando tale norma, di carattere residuale, tutte quelle condotte consistenti nel procurarsi o detenere materiale pornografico fuori delle ipotesi previste dall'art. 600 ter cod. pen.. (In applicazione di tale principio la Corte ha escluso, in relazione all'art. 600 ter cod. pen., la configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 2 cod. pen. con riguardo al fine di detenere il materiale in precedenza prodotto). Sez. 3, Sentenza n. 28524 del 09/06/2009 Ud. (dep. 13/07/2009 ) Rv. 244595 Il reato di pornografia minorile commessa per via telematica è integrato dall'immissione in rete del materiale pedopornografico, in quanto si tratta di condotta idonea a rendere concretamente possibile la diffusione del materiale, attesa la possibilità di accesso al medesimo da parte di un numero indeterminato di persone. (Fattispecie nella quale l'"hard disk" dell'imputato conteneva software che consentiva a chiunque si collegasse in rete la condivisione del materiale pedopornografico). 16 Sez. 3, Sentenza n. 8285 del 09/12/2009 Ud. (dep. 03/03/2010 ) Rv. 246232 La detenzione di materiale pornografico di cui all'art. 600 quater cod. pen. non riguarda il materiale prodotto dallo stesso soggetto agente, contemplando tale norma, di carattere residuale, tutte quelle condotte consistenti nel procurarsi o detenere materiale pornografico fuori delle ipotesi previste dall'art. 600 ter cod. pen.. (In applicazione di tale principio la Corte ha escluso, in relazione all'art. 600 ter cod. pen., la configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 2 cod. pen. con riguardo al fine di detenere il materiale in precedenza prodotto). Sez. 3, Sentenza n. 43189 del 09/10/2008 Ud. (dep. 19/11/2008 ) Rv. 241425 In tema di reato di detenzione di materiale pornografico, le condotte di procurarsi e detenere tale materiale non integrano due distinti reati ma rappresentano due diverse modalità di perpetrazione del medesimo reato, sì che non possono concorrere tra loro. Sez. 3, Sentenza n. 1814 del 20/11/2007 Ud. (dep. 14/01/2008 ) Rv. 238567 Non è configurabile il concorso tra il reato di detenzione di materiale pornografico ed il reato di pornografia minorile, dovendo applicarsi, in virtù della clausola di riserva di cui all'art. 600 quater cod. pen., la più grave fattispecie di cui all'art. 600 ter cod. pen., rispetto alla quale la detenzione costituisce, quindi, un "post factum" non punibile. Sez. 3, Sentenza n. 41570 del 20/09/2007 Ud. (dep. 12/11/2007 ) Rv. 237999 Integra il reato previsto dall'art. 600 quater cod. pen. (detenzione di materiale pornografico utilizzando minori degli anni diciotto), la condotta consistente nel procurarsi materiale pedopornografico "scaricato" (cosiddetta operazione di "download") da un sito internet a pagamento, in quanto il comportamento di chi accede al sito e versa gli importi richiesti per procurarsi il materiale pedopornografico offende la libertà sessuale e individuale dei minori coinvolti come il comportamento di chi lo produce. (In motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha altresì dichiarato manifestamente infondata la questione di costituzionalità della norma sanzionatoria sollevata dalla difesa per presunta violazione degli artt. 2, 3, 24, 25, 27 e 111 Cost.). Sez. 5, Sentenza n. 36094 del 27/09/2006 Ud. (dep. 31/10/2006 ) Rv. 235488 In tema di reati contro la libertà sessuale dei minori, ai fini della configurazione del delitto di cui all'art. 600 quater cod. pen., la disponibilità del materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori deve essere intesa come possibilità di libera utilizzazione di detto materiale, senza che ne sia necessario l'effettivo uso. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto sussistente il reato in questione nella detenzione di materiale pedopornografico, conservato in un vecchio quaderno, custodito in un armadio di cui era, comunque, garantito l'accesso in ogni tempo). 17 Sez. 3, Sentenza n. 20303 del 07/06/2006 Ud. (dep. 14/06/2006 ) Rv. 234699 In tema di reati relativi alla pornografia minorile, mentre il delitto di cui all'art. 600 ter, comma primo, cod. pen., ha natura di reato di pericolo concreto, la fattispecie di cui all'art. 600 quater cod. pen. (anche nella formulazione applicabile al caso di specie, anteriore a quella introdotta con la legge n. 38 del 2006), richiede la mera consapevolezza della detenzione del materiale pedopornografico, senza che sia necessario il pericolo della sua diffusione ed infatti tale fattispecie ha carattere sussidiario rispetto alla più grave ipotesi delittuosa della produzione di tale materiale a scopo di sfruttamento. INGIURIA E DIFFAMAZIONE Cass. pen., sez. V, 04-07-2008, n. 34599. In tema di ingiuria, la nozione di onore è relativa alle qualità che concorrono a determinare il valore di un determinato individuo, mentre quella di decoro si riferisce al rispetto o al riguardo di cui ciascuno, in quanto essere umano, è comunque degno (in motivazione, la suprema corte ha rilevato che le due nozioni vanno unitariamente riferite al concetto di dignità della persona che trova fondamento nell’art. 2 cost.). Cass. pen., sez. V, 15-01-2008. È integrata l’esimente del diritto di critica qualora, con lettera, si revochi l’incarico al professionista (nella specie avvocato), attribuendogli l’incapacità del proprio studio di seguire con la dovuta diligenza e la necessaria professionalità le pratiche affidategli, considerato che tali espressioni rientrano nel diritto dell’assistito di spiegare le ragioni del venir meno del rapporto fiduciario, e che tale critica, ancorché aspra, non comporta uno sconfinamento dai limiti della continenza. Cass. pen., sez. V, 28-04-2009, n. 22421. Integra il reato di ingiuria l’invio di una missiva, ad opera del presidente di una società, al socio di altra società consorziata, contenente censure sulla persona e non già contestazioni di violazioni di obblighi inerenti la carica (fattispecie relativa ad una missiva connotata dalle seguenti espressioni offensive: «scrivere bestialità»; «avere la competenza inferiore a quella di uno studente di ragioneria al primo anno»). Cass. pen., sez. V, 13-06-2008, n. 31613. Integra il delitto di ingiuria l’affissione, sotto l’abitazione della persona offesa, di manifesti contenenti il testo di una sentenza di condanna nei confronti di quest’ultima, in quanto l’attribuzione ad un soggetto di un fatto di rilevanza penale costituisce attività idonea a lederne l’onore ed a tal fine nessuna efficacia scriminante riveste il fatto che lo scritto offensivo sia costituito da una sentenza, posto che, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 594 c.p. non è riconosciuta efficacia scriminante alla verità del fatto offensivo e che, d’altro canto, anche l’efficacia esimente riconosciuta, ex art. 596 c.p., alla sopravvenienza della sentenza di condanna della persona offesa in ordine al fatto offensivo attribuitole, è subordinata alla constatazione, demandata al giudice di merito, che i modi usati non rendano per sé stessi applicabili le disposizioni di cui all’art. 594 c.p. (in applicazione di questo principio la suprema corte ha ritenuto immune da censure la decisione del giudice di merito che ha ritenuto integrato il delitto di cui all’art. 594 c.p., considerati i modi della condotta concretatasi nella affissione della sentenza avvenuta nello stesso 18 ambiente, pubblico o aperto al pubblico, nel quale si era verificato l’episodio incriminato, per giunta in danno di chi aveva beneficiato della non menzione). Cass. pen., sez. V, 12-05-2009, n. 37105. Non integra il reato di ingiuria l’espressione «pedofilo» usata in senso scherzoso (in quanto riferita, nel caso di specie, all’atteggiamento mantenuto dal destinatario nei confronti di altra persona più giovane, ma comunque adulta) e pronunciata, nel corso di un programma televisivo (c.d. reality show) caratterizzato dalla sollecitazione del contrasto verbale tra i partecipanti, dovendosi aver riguardo al contesto spazio-temporale nel quale è stata pronunciata. Cass. pen., sez. V, 04-03-2009, n. 31096. Non costituisce esercizio del diritto di critica politica, con effetto scriminante della condotta ingiuriosa, l’espressione che ecceda il limite della continenza, consistendo non già in un dissenso motivato espresso in termini misurati e necessari, bensì in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale della persona che, anche nel contesto di vivace polemica di un confronto politico, resta penalmente rilevante (nel caso di specie l’imputazione si riferiva alla frase «ti stai comportando da cretino» pronunciata nel corso di una seduta di un consiglio comunale; in motivazione, la suprema corte ha escluso la fondatezza della tesi secondo cui nell’area del confronto politico si sia sedimentata una sorta di sensibilizzazione ai termini offensivi, che perderebbero, per consuetudine, rilevanza penale). Cass. pen., sez. V, 23-04-2009, n. 33857. In tema di diffamazione a mezzo stampa, la scriminante del diritto di cronaca ricorre, in relazione ad un articolo concernente le conclusioni di un rapporto di polizia, qualora tali conclusioni siano state riportate fedelmente, il giornalista abbia assunto una posizione imparziale e il rapporto presenti profili di interesse pubblico per la materia e per il contesto in cui si era inserito. Cass. pen., sez. V, 18-06-2009, n. 43403. In tema di diffamazione, per la sussistenza dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica è necessario che quanto riferito non trasmodi in gratuiti attacchi alla sfera personale del destinatario e rispetti un nucleo di veridicità, in mancanza del quale la critica sarebbe pura congettura e possibile occasione di dileggio e di mistificazione, fermo restando che l’onere del rispetto della verità è più attenuato rispetto all’esercizio del diritto di cronaca, in quanto la critica esprime un giudizio di valore che, in quanto tale, non può pretendersi rigorosamente obiettivo. Cass. pen., sez. V, 17-07-2009, n. 45051. In tema di diffamazione a mezzo «mass media» - fermo restando che la libertà di stampa, espressione del diritto di manifestazione del pensiero sancito dall’art. 21 cost., comporta la compressione dei beni giuridici della riservatezza, dell’onore e della reputazione, peraltro, anch’essi, aventi dignità costituzionale, ex art. 2 e 3 cost. - il riferimento a distanza di tempo, in sede di c.d. talk show televisivo, dello sviluppo di indagini di polizia giudiziaria, consentito in chiave storica dell’evento nonché di critica all’operato degli inquirenti, comporta che l’obbligo deontologico del giornalista deve parametrarsi a criteri di rigore ancora maggiori dell’ordinario, nel senso che, ove permanga o si riattualizzi l’interesse pubblico alla relativa propalazione - che, in tal caso, deve essere bilanciato con il diritto all’oblio - ed esigenze di ricostruzione storica o artistica lo richiedano, la notizia deve essere accompagnata dalla doverosa avvertenza che le tesi investigative rimaste a livello di mera ipotesi di lavoro, non hanno trovato alcuna conferma o addirittura sono state decisamente smentite dal successivo sviluppo istruttorio, in quanto incombe sul giornalista il dovere giuridico di rendere una informazione completa e di effettuare, all’uopo, tutti i controlli necessari per verificare gli esiti di una data indagine. 19 Cass. pen., sez. V, 12-05-2009, n. 37105. In tema di diffamazione nel valutare la portata offensiva di un’espressione verbale occorre avere riguardo al contesto nel quale essa è inserita; ne consegue che non è punibile chi, nel corso di un reality, riferendosi a un avversario di gioco lo definisca «pedofilo» dal momento che quel tipo di programma televisivo ha la caratteristica di sollecitare il contrasto verbale tra i partecipanti, secondo uno schema oggi abusato, che non può sfuggire ai soggetti direttamente coinvolti. Cass. pen., sez. V, 08-04-2009, n. 28258. In tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini dell’operatività dell’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca, non determinano il superamento della verità del fatto modeste e marginali inesattezze che concernano semplici modalità del fatto senza modificarne la struttura essenziale (in applicazione di questo principio la corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha ritenuto integrata l’esimente di cui all’art. 51 c.p. nei confronti del giornalista e direttore di un giornale per la pubblicazione di un articolo concernente l’applicazione della custodia cautelare nei confronti di un chirurgo per il reato di cessione di stupefacenti, nel quale gli si attribuiva la paternità di un conversazione, non presente nel testo dell’ordinanza cautelare, del seguente tenore: «sbrigati, mi serve quella cortesia, non ho più tempo, devo operare», considerato che l’ordinanza cautelare descriveva detto medico come assiduo assuntore di sostanze stupefacenti, facendo, inoltre, espresso riferimento ad operazioni chirurgiche effettuate sotto l’effetto dell’eroina e che, pertanto, la notizia era vera e di sicura rilevanza pubblica mentre le espressioni attribuite al medico non erano idonee a stravolgerla, trattandosi di mere inesattezze e, pertanto, di coloritura del nucleo essenziale di notizia relativa a fatto grave e allarmante Cass. pen., sez. V, 12-02-2009, n. 10631. In tema di diritto di critica giudiziaria, non è scriminante la condotta di attribuzione di parzialità per ragioni politiche ad un soggetto che esercita la funzione giudiziaria in quanto intrinsecamente offensiva (fattispecie nella quale un opinionista televisivo aveva accusato un p.m. di avere esercitato per ragioni politiche l’azione penale in danno di un noto imprenditore per il reato di finanziamento illecito ad un partito politico, e di non avere fatto altrettanto in relazione ai finanziamenti illecitamente ricevuti da altro partito politico antagonista; la corte ha anche precisato che la scriminante postula comunque il rispetto del dovere di verità, laddove nella specie l’azione penale de qua era stata esercitata da altro p.m.). 20