la domenica DI REPUBBLICA DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 NUMERO 508 Cult La copertina. Tutto in cinque minuti, la parte è il tutto Straparlando. Piergiorgio Bellocchio: Non conto nulla La poesia. Il sogno veneziano di Iosif Brodskij Natalia Aspesi. Ernesto Assante. Emanuela Audisio. Alessandro Baricco. Gino Castaldo. Maurizio Crosetti. Concita De Gregorio. Alessandro Del Piero. Gipi. Licia Granello. Gianni Mura. Nicholas Negroponte. Federico Rampini. Gabriele Romagnoli. Paolo Rumiz. Gabriele Salvatores. Roberto Saviano. Michele Serra. Riccardo Staglianò. Bernardo Valli. Vittorio Zucconi. La Domenica di Repubblica compie dieci anni la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 30 Le copertine. 2004-2014 Il mondo corre, le notizie volano, la vita divora. Poi arriva la domenica, il caos si distrae, il tempo quasi si dimentica Natalia Aspesi C’è sempre un lato nascosto di noi. E noi possiamo finalmente scegliere di entrare nel- anche nelle cose più note c , che si era perle storie da ingressi secondari, o anche solo sfogliare pagiduto nel tempo, che si è trovato per caso o per assennata ricerca. Il lato di ciò che si conosce e che, ne dal respiro tutto diver- scovato, dànascosto più luce ai fatti, ai ricordi, alle previsioni, all’immaginazione. Fantasie che realtà e misteri che vengono alla so. Diverso anche per chi, diventano luce. Scrivere superando la cronaca e le supposizioni, ricreare un mondo già conosciuto nella sua completezza e nelle sue rivelada Natalia Aspesi a Vitto- ma zioni sconosciute o dimenticate. Quando leggi La Domenica, o vi scrivi, entri in pagine speciali, che ti promettono, o ti chiedono, uscire dalla pur indispensabile informario Zucconi, su quelle pagi- dizione, per sfiorare la letteratura e spalancare le porte di un mondo più ricco di immagine scrive con il ritmo del ni, segreti, piaceri. racconto C IÒ HE NON SI SAPEVA dieci firme ILLUSTRAZIONE DI GIPI PER “LA DOMENICA DI REPUBBLICA” © RIPRODUZIONE RISERVATA Federico Rampini Gabriele Romagnoli Paolo Rumiz Quando una mela cinese spiega più di mille libri Una chiamata internazionale in un giorno festivo Meglio la bicicletta dell’aereo se è il dettaglio che cerchiamo ICORDO LA MELA CINESE: era lì da anni, sotto gli occhi di tutti, venduta nelle bancarelle d’Italia. Bisognava scoprire cosa c’era dietro l’avanzata dell’agricoltura cinese, raccontare i loro frutteti, incontrare i contadini, sentire l’inquietudine per l’assedio del boom industriale che stringe il cerchio attorno alle campagne, prosciuga l’acqua, avvelena i suoli. Poi la storia della “scatola globale”. Dall’altra parte dell’oceano Pacifico, facendo jogging sulle spiagge di San Francisco quante ne avevo viste passare di navi portacontainer. Il container era il personaggio da inseguire, intervistare: la biografia di un parallelepipedo di metallo che ha reso il mondo sempre più piccolo. N MAESTRO DEL GIORNALISMO (se mai ne sono esistiti) mi insegnava questo: quando scrivi immagina una personalità per il giornale e una per il suo lettore, diventa il tramite per il loro dialogo. Quanto a lui, virava spesso su Socrate e i suoi studenti. A me, oggi, pare spesso di essere il conducente della metropolitana con i suoi passeggeri: ogni tanto mi faccio sentire mentre quelli parlano, inviano messaggi, guardano un film al cellulare, vanno, vengono. Poi, c’è LaDomenica di Repubblica. E lì è un po’ diverso. Lì è come ritrovarsi a fare una chiamata internazionale in un giorno festivo, quando costava meno, con un telefono fisso. Dall’altra parte c’è qualcuno che conosci e che vorresti sentire più spesso, ma forse basta questo. La linea è disturbata, entrano i rumori di fondo del Paese da cui chiami e pure questo fa parte del gioco. L’altro ascolta con una pazienza che si è perduta. Fa qualche domanda, sembra perfino interessato. Due uomini al largo: uno si è immerso e sta raccontando quel che vede nell’abisso, l’altro ascolta, prende nota, mantiene la posizione. UANDO ARRIVAI IN BICI a Istanbul attraverso i Balcani, successe una cosa strana. Era il primo dei miei viaggi per Repubblica, e avrei dovuto essere fiero di me. Invece, alla vista del Bosforo, dissi a me stesso: ma come, tutto qui? D’un tratto, l’Europa mi era parsa piccola. Non avevo diritto a nessun trionfo, ma solo alla sana gioia del nomade. Come mai? Il mistero lo risolsi al ritorno in aereo, quando vidi la mia strada al finestrino. Era pazzesco: riconoscevo ogni bivio, ogni ponte, ogni locanda! La bici aveva fissato nella mente ogni dettaglio, e ora quell’immensità era mia, familiare come il giardino di casa. Altro che autostrada. Avevo smentito Einstein: la velocità non contraeva affatto lo Spazio ma lo rendeva infinito, noioso come una galera. Viva la lentezza! R © RIPRODUZIONE RISERVATA U © RIPRODUZIONE RISERVATA Q © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 31 Emanuela Audisio Concita De Gregorio Gianni Mura Il piacere è tutto lì, prendersi e dare tempo Un uomo, il lager, la musica una storia per la Domenica Dove raccontare i personaggi che stanno stretti nello sport CRIVERE PER CHI LEGGE alla domenica vuol dire avere un altro ritmo. Diminuisce il rumore del traffico, si è più oziosi, più riflessivi. Si guarda alle cose attorno a noi con un occhio più curioso, più sentimentale, meno legato all’oggi e più al ricordo. Sia mentre atterri al Polo Nord e devi salire su una motoslitta, sia mentre sei in mutande, nel fango e sotto la pioggia di una foresta amazzonica, cercando di sollevare un tronco d’albero. La domenica spesso è più silenziosa e le parole meglio se sanno un po’ di poesia sbriciolata. Il piacere è tutto lì: nel prendersi e dare tempo. E nell’immaginare che in quelle pagine ci sia la storia del mondo. È UN UOMO DI QUARANT’ANNI e rotti, vive a Barletta, si chiama Francesco Lotoro. Da qualche anno appena ha i soldi per il biglietto parte e va a cercare la musica. Nelle capitali e nei paesi d’Europa, negli archivi. La musica che cerca è stata scritta nei campi di concentramento. Da soldati americani prigionieri dei giapponesi, da quelli del terzo Reich presi dagli alleati, dagli ebrei deportati. Ha trovato opere liriche, canti religiosi, jazz, musica da cabaret, sonate. Scritte col carbone che serviva a scaldarsi, sulla carta igienica o sulle lenzuola, dentro i vestiti. Finora ha trovato quattromila brani. Non lo paga nessuno, va perché, dice , questa è la ragione per cui è venuto al mondo. Nessun altro cerca la musica dei prigionieri, nessuno aveva pensato al loro canto. La Musica, i Lager. Invece ecco. Una storia per queste pagine. Perché La Domenica, invece. O SPORTÈ UNA COSA molto semplice che va divisa in due: chi lo fa e chi lo guarda. Si vince, si perde, si ricomincia. Chi fa sport lo fa per sé, con motivazioni sue, ma rappresenta anche chi guarda ed è emotivamente coinvolto. E sono quelli che piangono o esultano, che si abbracciano e purtroppo sempre più spesso si picchiano. Lo sport, dal più popolare al meno conosciuto, è un grande contenitore di storie che vanno oltre lo sport stesso, si allargano, occupano altri spazi sui mezzi di comunicazione e nel sentire collettivo. Sono storie umane, in cui uomini e donne si riconoscono e vedono la fatica e la bellezza del vivere. S © RIPRODUZIONE RISERVATA C’ L © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA Michele Serra Bernardo Valli Vittorio Zucconi Poche purché belle e buone il lusso di leggere in poltrona Le notizie in redazione non arrivano mai da sole Ce ne sono di piccole e grandi dietro ogni finestra illuminata A DOMENICA DI REPUBBLICA è un lusso, un lusso grafico e un lusso intellettuale. Articoli lunghi, illustrazioni che chiedono allo sguardo di spendere un po’ di tempo, un ritmo di lettura che si ribella alla velocità compulsiva e alla dimensione puntiforme dell’informazione. Parafrasando la dialettica (e la polemica) tra fast food e Slow Food, la Domenica è slow news contro le fast news che ci fibrillano attorno. Pagine da leggere in poltrona, vorrei dire “come una volta” se non avessi il fondato dubbio che la riconquista del proprio tempo sia, al contrario, una delle chiavi del futuro. Ritmi più civili, meno cose però migliori, qualità contro quantità. In questo senso la Domenica è avveniristica. E contiene anche un paio di risposte alla crisi dei media di carta: fai di quella carta qualcosa di appena più sostanzioso, di meno volatile, dalle più peso, falla più “bella”, connotala come un medium meno distratto e più riflessivo. Se vuoi avere lettori, produci lettura. A VELOCITÀ DELL’INFORMAZIONE, aumentata nei nostri anni con la trasmissione in diretta delle immagini, e poi con lo spazio spalancato dall’informatica, ha provocato nel giornalismo un cambiamento simile a quello avvenuto nella navigazione. Quando, con grande dolore di Conrad, si passò dalla vela al motore. O sulla terraferma dal cavallo all’automobile e poi all’aereo a reazione. La tecnologia ha rivoluzionato il nostro mestiere. Ma un aspetto è rimasto immutato. Ed è il ruolo essenziale del cronista che raccoglie le notizie, che le va a cercare e controllare, e che con il suo lavoro alimenta, fa vivere l’informazione. Dalla cui autenticità dipende in gran parte il livello democratico di una società. Le notizie affluiscono nelle redazioni come un fiume in piena. Sembra che arrivino da sole. Ma all’origine c’è sempre il cronista. Il testimone sul posto, spesso anonimo e sempre più dimenticato. IETRO OGNI FINESTRA illuminata c’è una storia che aspetta di essere raccontata”, diceva Charles Osgood, grande giornalista narratore di storie, attraversando la New York di notte. Non ci sono piccole storie e grandi storie, perché nella più umile e in apparenza irrilevante vicenda c’è l’essenza della condizione umana, se si vuole scavare, come da dieci anni cerca di fare la nostra Domenica. Nel tempo allucinato dalla celebrità, intontito dalle avventure dei ciarlatani famosi, la salvezza dal nulla è aprire quelle finestre illuminate e ascoltare la voce che da esse cerca di farsi sentire. L © RIPRODUZIONE RISERVATA L © RIPRODUZIONE RISERVATA “D © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 32 L’attualità. 2004-2014 Da una rivoluzione nata per caso, quella innescata da Facebook, alle incredibili dimissioni di un papa. Tante cose sono successe in questi anni, la crisi economica, le guerre, molte notizie hanno riempito i giornali. Abbiamo chiesto a Roberto Saviano di sceglierne soltanto dieci. Non le più importanti né le più eclatanti. Solo quelle che più di altre lo hanno colpito. Anche personalmente dieci fatti FEBBRAIO 2004 Facebookper tutti N RAGAZZO DI PROVINCIA nato a White Plains e cresciuto a Dobbs Ferry, figlio di un dentista e di una psichiatra, il suo nome è Mark Zuckerberg, entra a Harvard e per vendicarsi della sua ex fidanzata crea un programma che consente agli studenti del campus di scegliere la ragazza più bella. Il suo compagno di stanza dice che Zuckerberg ha creato Facebook «per divertimento». È la prova che non esiste una strada maestra per la creatività e l’efficienza. Che non esiste una strada maestra per le rivoluzioni epocali. Che il mondo lo puoi cambiare anche senza accorgertene. Zuckerberg, «per divertimento», ha costruito quello Stato negli Stati che è Facebook, il social network che distrugge tutti gli altri perché ha una caratteristica che lo rende unico: la griglia comune. Beyoncé e la più piccola, la più giovane, la più apparentemente insignificante tra le sue fan hanno graficamente la stessa pagina e devono rispettare le stesse regole. I rapporti tra le persone, il mondo, sono cambiati per sempre. U ILLUSTRAZIONE DI GIPI PER “LA DOMENICA DI REPUBBLICA” R OB ERT O SAVIANO FEBBRAIO 2008 In morte di Eluana Englaro APRILE 2009 La terra trema a L’Aquila NOVEMBRE 2010 Wikileaks, anarchici digitali UORE DOPO DICIASSETTE ANNI in stato vegetativo. Di quei giorni ricordo tutto in maniera vivida, ricordo le bottiglie d’acqua, le dichiarazioni di Berlusconi sulle capacità riproduttive di Eluana, ma soprattutto ricordo che su tutti questi uomini mediocri si ergeva la figura pulita di Beppino Englaro che decise di lottare per difendere un diritto che è di tutti: quello di decidere del fine vita. Se possiamo decidere come vivere è giusto anche poter decidere come morire. È una battaglia di civiltà. Beppino Englaro avrebbe potuto risolvere il dramma che la sua famiglia viveva da quasi vent’anni in maniera privata, clandestinamente. In qualche modo gli fu suggerito di farlo. Taci e ti risolviamo il problema. Decise invece di battersi perché in Italia l’eutanasia diventasse un dirit- NA SCOSSA DI TERREMOTO di magnitudo 6,2 fa tremare la provincia dell’Aquila alle 3.32 del 6 aprile causando 308 vittime, 1500 feriti, 65mila sfollati e il crollo di molti edifici. Il 10 aprile si celebrano i funerali di Stato; il 23 il Consiglio dei ministri sceglie L’Aquila come nuova sede del G8 per il 2009. Un capitolo tristissimo e vergognoso della storia del nostro Paese. Per la genesi della tragedia, per come è stata gestita l’emergenza, per come si sta gestendo la ricostruzione. Cinque anni fa il terremoto cancellava L’Aquila e seppelliva le vite di molte persone sotto le macerie dovute spesso all’imperizia di costruttori senza scrupoli. Era un altro dolore che sarebbe dovuto servire a non aspettare la prossima calamità naturale. È rimasta la cartolina di una tragedia e non la nuova topografia della speranza. Ennesima occasione persa. L SITO RILASCIA oltre decentocinquantunomila documenti diplomatici del Dipartimento di Stato americano, inclusi oltre centomila documenti contrassegnati come “segreti” o “confidenziali”. Forse il più grande gesto anarchico del secolo. Wikileaks ha messo a nudo il potere: quale è il suo linguaggio, quali informazioni veicola e fin dove riesce ad arrivare. Apre anche molti interrogativi: è giusto pubblicare dati segreti, commenti, informazioni senza verifica? Ma se ci fosse verifica, non si tratterebbe di tradire lo spirito iniziale di non manomissione delle fonti? M to di tutti e non un privilegio per pochi. U I la Repubblica DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 41 FEBBRAIO 2005 Che c’è stasera su YouTube OTTOBRE 2006 Da oggi vivo sotto scorta AGOSTO 2007 La strage di ferragosto ASCE YOUTUBE E NASCE COSÌ la possibilità di produrre e diffondere video. È il primo passo per la fine della televisione che con i suoi rigidi palinsesti dà un ordine di importanza e decide come gli utenti devono scandire il proprio tempo. Finisce la televisione che non ammette interazione, che esclude e non include. Che ha decine di protagonisti e milioni di osservatori passivi. Su YouTube tutti siamo produttori, tutti possiamo creare e diffondere contenuti, l’unico limite è la creatività. Ovviamente. ORSE, PER OPPORTUNITÀ, dovrei concentrare la mia attenzione su altro. Siccome sono io a scegliere non dovrei soffermarmi su un fatto che mi riguarda. Ma non ci riesco. E quindi rivendico. Dal 13 ottobre 2006 la mia vita è cambiata, cambiata per sempre. Mi è stata data la scorta, e dopo di me è stata assegnata ad altri giornalisti, come se tutto questo, se il fatto che giornalisti e scrittori venissero minacciati in Europa, in regime di democrazia, rientrasse tutto sommato nello scorrere normale della vita e degli eventi. UISBURG, GERMANIA: sei italiani vengono uccisi nel giorno di ferragosto. Il delitto è collegabile alla ‘ndrangheta, in particolare alla faida mafiosa di San Luca, paesino dell’Aspromonte in Calabria. La Germania si accorge di avere la mafia in casa. La ‘ndragheta ammazza in terra straniera, o almeno in una terra che si credeva straniera per un’organizzazione che ha le sue radici in Calabria. In realtà la Germania per le ‘ndrine era ormai casa da tempo. Di quel sangue versato si pentiranno amaramente: per l’attenzione dei media e per aver distrutto un muro di silenzio che era congeniale e necessario. Ma in quel momento, e in quelle circostanze, versare sangue serviva a riportare ordine e a ristabilire priorità e gerarchie. Le organizzazioni sono sempre molto prudenti. In quel caso era molto più forte l’obiettivo della faida che difendere e schermare gli affari. N F D SETTEMBRE 2011 Occupy Wall Street MAGGIO 2012 Obama e i matrimoni gay FEBBRAIO 2013 Si è dimesso il Papa UELLO DI ZUCCOTTI PARK è stato, e in parte nei suoi effetti è ancora, un movimento potentissimo che ho potuto vivere dal suo interno. Un movimento composto da tante diversità. Per poter scendere in piazza, per poterti unire alla protesta, non dovevi essere solo proletario, solo disoccupato, solo studente, solo pensionato, solo cassintegrato, solo impiegato pubblico, solo metalmeccanico, solo imprenditore. No. La protesta includeva chiunque volesse cambiare il corso delle cose, la protesta includeva chiunque (il 99 per cento) avesse la consapevolezza che solo insieme si sarebbe davvero potuto cambiare qualcosa. Nessuna preclusione di razza, religione o ceto sociale. Occupy Wall Street è stata la rivoluzione della rivoluzione. ARACK OBAMA SI SCHIERA a favore del matrimonio fra persone dello stesso sesso, diventando così il primo presidente degli Stati Uniti d’America a dirsi favorevole a questo tipo di unione. Il primo presidente a dare importanza a un diritto civile che nulla toglie alla società, ma che apre la strada a nuove ipotesi di famiglia e di felicità. ENEDETTO XVI ANNUNCIA le sue dimissioni dall’incarico di pontefice. Non era mai accaduta una cosa del genere nella modernità (l’ultimo papa dimissionario, Gregorio XII, lasciò il pontificato nel 1415). Ecco perché si apre un dibattito mondiale sulle ragioni che hanno motivato un gesto cui nessuno era preparato. Ragioni fisiche? Morali? Inadeguatezza al potere? La perdita di consenso con cui anche il pontificato deve confrontarsi? Si dimette Benedetto XVI e viene eletto un papa argentino che comunica diversamente, che inizia con la società civile una interlocuzione nuova, che pone una visione nuova del papato. Q B B © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 42 Officine. 2004-2014 Dove cerca spunti per i suoi libri Alessandro Baricco? Anche qui, sulla “Domenica”. Così almeno ci assicura lui dieci storie E NELLA VITA SCRIVI LIBRI, bene o male sei sempre a caccia di storie. Un modo di trovarle è leggere: qualsiasi cosa, in qualsiasi momento. Alle volte passi ore a sfogliare roba e ti porti a casa giusto qualche briciola; altre, abbassi gli occhi su una pagina e trovi il tuo prossimo romanzo. Va così. Ma certo accade, di tanto in tanto, di trovare delle vere e proprie miniere. Faccio un esempio a caso: La Domenica di Repubblica. Sono dieci anni che la tengo d’occhio, e il mio taccuino è pieno di mozziconi di storie che vengono da lì: spesso è anche solo un nome, o una data. Per me che me li appunto, sono il cuore di un possibile racconto, o addirittura di un romanzo. Sono il possibile inizio di un sacco di cose. Faccio un mestiere strano. Comunque sia, dovendo festeggiare in qualche modo il decennale, mi sono deciso a restituire una parte del maltolto. Ho aperto il taccuino, ci ho preso dieci appunti che vengono da La Domenica, e ho pensato di spiattellarli qui. Quel che vorrei far capire è che il giornalismo, quando è narrazione, ha nel sangue un virus: farsi contagiare, e ammalarsi alla grande, è poi un nulla. Dunque, con gratitudine e ammirazione, ecco la cronaca di dieci istanti in cui ho rubato a La Domenica una scheggia di realtà, o di fantasia, pensando, almeno per un attimo, di cavarne un libro. S 1. Il rigore perfetto ENNAIO 2005. LEGGO un articolo su un pazzo che si è messo in testa di studiare il sistema perfetto per battere un calcio di rigore. Con costernazione apprendo che non si tratta di un pazzo ma di un laureato a Oxford. Nome: Ronald Ranvaud (tipico nome da romanzo). Attualmente insegna fisiologia e biofisica all’Università di San Paolo del Brasile (e lì si comincia a capire…). La sua idea è che, se ti metti a studiare le cose per benino, riduci il caso a nulla, e il resto è scienza. Lo ha molto incoraggiato sentire un centravanti brasiliano pronunciare la seguente frase: «Certo, ci vuole fortuna, ma ho notato che più mi alleno più sono fortunato». (Per un attimo penso a un romanzo in cui uno studia per anni il metodo perfetto per battere un calcio di rigore, e intanto la sua vita va a pezzi senza che lui riesca anche solo minimamente a capirci qualcosa. Nella scena finale l’uomo, ormai in rovina, batte, a piedi nudi, un rigore, in un giardino pubblico, contro un bambino di sette anni, e in una porta che come pali ha un maglione e un cane addormentato. Mai scritto. Il libro, dico: non riuscivo a decidermi se segnava o no). G ILLUSTRAZIONE DI GIPI PER “LA DOMENICA DI REPUBBLICA” AL E SSANDRO BAR I C C O 5. L’aeroporto dei partigiani 6. Il grande Fred 7. L’anno bisestile EL SETTEMBRE 2009, TROVO un articolo che racconta una cosa che non sapevo, anche se è avvenuta dalle mie parti: a cavallo tra il 1944 e il 1945, i partigiani costruirono un aeroporto, segretamente e nel nulla, dalle parti del fiume Bormida. Ci misero undici giorni, con l’aiuto di gente che abitava vagamente in zona. La pista era lunga quasi un chilometro. Terra battuta. Ci atterrarono almeno sei aerei americani. Quando i tedeschi la scoprirono, la distrussero arandola. (Per un attimo penso al tedesco che ara un chilometro di pista per aerei, e mi viene da immaginarlo improvvisamente felice, mentre fa quello che faceva a casa sua: lavorare la terra. Vedo anche i partigiani, che acquattati da qualche parte, da lontano lo vedono andare avanti e indietro. Penso che sarebbe un bellissimo racconto, ma poi, per ragioni sconosciute, non lo scrivo). N UN MESE CHE NON RICORDO DEL 2005, trovo un articolo su Fred Buscaglione, e naturalmente lo leggo, perché io adoro quell’uomo. Mi son sempre chiesto perché non sia considerato un grande assoluto: probabilmente c’entra la piemontesità, una cosa complicata. Comunque. Nell’articolo scopro come morì. Erano le 6 e 20 del mattino e lui stava attraversando il centro di Roma ai cento all’ora sulla sua Ford Thunderbird rosa decappottabile, interni in crema. 3 febbraio 1960. Centrò in pieno un camion. Trovo magnifico quel che il camion stava trasportando: blocchi di tufo. (Per un istante immagino un racconto di quegli istanti. Il protagonista, naturalmente, è il camionista. Sono sicuro che aveva incontrato la donna della sua vita in una sala danze, una sera che a cantare era Fred Buscaglione. Poi, per diverse ragioni, non avevano finito per amarsi come sarebbe stato conveniente. Poi, per diverse ragioni, il racconto non l’ho mai scritto). 2007, NON RIESCO a resistere, ovviamente, a un articolo sull’anno bisestile (scopro, tra l’altro, perché si chiama così: troppo lungo da spiegare). Apprendo che, a proposito di inesattezze del calendario, il Papa Gregorio XIII scoprì, mettendo sotto i suoi astronomi, che in realtà, a furia di errorini, la cristianità era in ritardo di una decina di giorni sul tempo reale. Presto fatto: con una bolla papale spostò tutto il mondo cristiano, in una notte del 1582, dal 4 al 15 ottobre. Dieci giorni sparirono nel nulla: coi casini che si possono immaginare. La cosa che mi colpisce di più, comunque, è un’altra. Dato che anche gli astronomi del Papa non erano infallibili, da allora contiamo i giorni con un minuscolo eccesso di tre millesimi di giorno all’anno. Fa notare l’ammirevole estensore dell’articolo che, andando avanti di questo passo, fra soli tremila anni ci troveremo tutti quanti un giorno avanti rispetto alla realtà. Dovremo dunque tornare indietro e rivivere un martedì. (Per un istante concepisco l’idea di fare un racconto fantascientifico in un cui un intero pianeta, fra tremila anni, torna indietro di un giorno, per riallineare il calendario alla realtà: si decide, per l’occasione, di tornare veramente tutti indietro e di rivivere lo stesso giorno appena tramontato: ma con un sacco di informazioni in più, ovviamente. Poi non l’ho mai scritto perché mi ricordava maledettamente “Il giorno della marmotta”). N I N EL DICEMBRE la Repubblica DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 2. Il signor Moplen EL DICEMBRE 2004 FINISCO su un articolo dedicato 3. La teoria dei vetri rotti EL SETTEMBRE 2007 LEGGO, non so perché, un articolo sulla “tolleranza zero”, mitica dottrina dell’allora sindaco di NY. Apprendo che si trattava di una bufala, e va be’. Quel che mi colpisce però è la “teoria dei vetri rotti”: dice che il degrado di un quartiere non è l’effetto ma la causa della delinquenza. Abbiate cura delle strade, dei giardini, dei vetri alle finestre, e la gente si vergognerà di rubare: più o meno suonava così. Per legittimarla, tal Philip Zimbardo, psicologo di Stanford, fece il seguente esperimento: parcheggiò un’automobile senza targa e col cofano aperto in una strada del Bronx, e un’altra automobile, nelle stesse condizioni, in una via di Palo Alto, California. Poi stette a vedere cosa succedeva. Nel Bronx, dopo dieci minuti era già arrivata una famigliola a portarsi via la batteria: in ventiquattr’ore, la macchina era ridotta ai minimi termini. A Palo Alto, per una settimana nessuno la toccò. Allora il prof. Zimbardo ne fracassò una fiancata con una mazza da fabbro: da quel momento bastarono poche ore per vedere famigliole per bene spuntare da ogni parte e portarsi via tutto. Fine dell’esperimento. (Per un attimo immagino un racconto con un montaggio alternato, prima su una macchina e poi sull’altra. Solo i suoni, le parole, le voci. Poi capisco che sarebbe un racconto che piacerebbe solo a me). 43 4. Le misure scomparse EL LUGLIO 2008 NON POSSO fare a meno di leggere un N N N 8. Histoire d’O 9. Il coefficiente Gini 10. Marte sola andata EL FEBBRAIO 2014 TROVO un articolo su una cosa che mi interessava già da tempo: il coefficiente Gini. È l’indicatore da tutti adottato per misurare la distanza tra i ricchi e i poveri di un Paese. Praticamente misura la diseguaglianza. Dall’articolo apprendo che a metterlo a punto era stato uno statistico italiano, Corrado Gini. La cosa interessante è che un uomo così geniale si prese, in vita, almeno due svarioni celestiali. Il primo fu scrivere, nel 1927, un libro, molto argomentato, con questo singolare titolo: Le basi scientifiche del fascismo. Non contento, e riabilitato dopo un po’ di purgatorio, dopo la caduta del fascismo, il Gini aderì entusiasticamente a un movimento il cui obbiettivo, perlomeno curioso, era il seguente: annettere l’Italia agli Stati Uniti. (Per un attimo decido di dedicarmi a un racconto in cui emerga, con la necessaria chiarezza, il fatto che un uomo capace di un’idea geniale può con assoluta naturalezza, e nel medesimo arco di anni, partorire convinzioni di un’idiozia spettacolare. Poi non lo scrivo perché non amo scrivere libri troppo esplicitamente autobiografici). NFINE, NELL’APRILE 2013, FINISCO a leggere un articolo su una storia assurda: c’è gente, in Olanda, che sta seriamente producendo un reality show in cui un certo numero di umani va su Marte e poi lì, per evidenti ragioni, crepa. Il progetto si chiama “Mars One”. Il preventivo di spesa è altino, ma il produttore è convinto che alla fine ci sarà da guadagnare. Ecco quello che ha dichiarato: «Se hai un miliardo di telespettatori, i sei miliardi di dollari necessari per la colonizzazione di Marte non sono poi così tanti». Prima di deprimermi riesco a trovare, in un angolino dell’articolo, una notiziola che mi fa tornare il buon umore: nel 1968, Juan Trippe, fondatore della Pan Am, cominciò a raccogliere prenotazioni per i primi voli sulla Luna. Il biglietto costava 14mila dollari. Si misero in lista di attesa in centomila. Il primo viaggio era previsto per trent’anni dopo: non se ne fece niente perché la Pan Am fece fallimento. (Per un istante penso che mi piacerebbe terribilmente descrivere in un raccontino una coppia di trentenni americani che, lucidamente, decidono una sera di comprare un biglietto per la Luna e di passare là sopra il loro sessantesimo compleanno. Già me li immagino invecchiare per anni, ammorbati da una vita molto ordinaria, ma splendidi nel fulgore della loro decisione. Il giorno della partenza, i figli li chiudono in casa e non se ne fa niente. Adesso, a ripensarci, come raccontino non era poi tanto male. Capace che lo scrivo, prima o poi). al Moplen. Come sarebbe a dire «cos’è?». Non scherziamo: la mia generazione ci è cresciuta, col Moplen. Praticamente era la plastica: ma prima non esisteva. Adesso la plastica è demonizzata, ma bisogna pensare che, ai tempi, era un anticipo di Paradiso (si avevano idee piuttosto modeste a proposito del Paradiso). Dall’articolo apprendo che a inventarlo, il Moplen, era stato un italiano con un nome da comunista: Giulio Natta. (Per un attimo concepisco il progetto di raccontare tutta la mia giovinezza raccontando dodici oggetti in Moplen. Abbandono presto il progetto perché detesto scrivere libri troppo esplicitamente autobiografici). ELL’AGOSTO 2009 FIGURATI se non leggo un articolo N dedicato a Gallimard, la più mitica delle case editrici. Scopro un sacco di belle storie. La migliore è questa: il boss della faccenda, Paulhan, uomo di immenso fascino, aveva una segretaria di nome Dominique Aury: una donna austera, dai tratti scialbi, sempre in tailleur scuro. Erano amanti, come alle volte succede. La suddetta signorina Aury confessò poi, quando più o meno era sui novant’anni, che a scrivere Histoire d’O, capolavoro della letteratura erotica, era stata lei. Lo fece in un’intervista al New Yorker. (Per un istante penso, naturalmente, a un modo per raccontare di un uomo che si fa stenografare ogni giorno le lettere da una signorina, finendoci senza grande entusiasmo a letto, quasi per dovere: poi, quando ha novant’anni, e vive ormai di pantofole e modeste soddisfazioni culinarie, scopre che quella signorina era stata per anni una star del cinema porno. Per mia fortuna, ho poi lasciato cadere il progetto). N articolo dall’argomento sublime: le misure scomparse. Nel senso: tutte le unità di misura che sono scomparse dopo l’avvento del metro. Già i nomi sono commoventi: il cubito, la parasanga, l’acro (apprendo, tra l’altro, che l’acro è di origine medioevale e indicava, oh meraviglia, la quantità di terreno che un uomo e un bue potevano arare in una giornata di lavoro). Tra le altre cose, dopo aver letto centinaia di pagine di Cechov e Verne, scopro finalmente quanto è lunga un versta russa (non ve lo dico) e cosa significava 20.000 leghe sotto i mari (uno sproposito). In un angoletto dell’articolo, trovo questa storia: tal Steve Thoburn, droghiere, si ostinò per sette anni a sfidare la legge e a vendere le sue banane in libbre e non in chili. Morì di crepacuore subito dopo essere stato condannato in via definitiva da un tribunale inglese. (Per un attimo penso seriamente di inventare la storia di Steve Thoburn, facendone un simbolo di un’anarchica allergia alle regole. Non è una cosa che poi ho fatto: ma non escludo di farla, prima o poi). I © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 44 Spettacoli. 2004-2014 Da “Up” a “Gravity”, dall’animazione alla fantascienza. Gabriele Salvatores attraversa i generi. E assegna i suoi Oscar al decennio dieci film D IECI ANNI, dieci generi cinematografici, dieci film. Un gioco interessante. Anche “crudele”, perché mi costringe a non citare film molto belli di autori che amo, ma che non rientrano in un genere specifico. Un bel gioco, comunque, perché ho sempre amato i “film di genere”, soprattutto quando a realizzarli è un autore con un suo sguardo personale, riconoscibile... Per cui, ecco qui. THE DEPARTED MARTIN SCORSESE, 2006 (THRILLER) È incredibile come Scorsese riesca a rimanere “giovane”. Ritmi serrati, musica che irrompe con la forza di una folata di vento, violenza e tensione. Cosa è vero e cosa è falso? Chi sono i buoni e chi i cattivi? Un gruppo di attori straordinari con tutti i colori della recitazione, dal minimalismo di Damon all’istrionismo (perfettamente in linea col personaggio) di Nicholson, passando dalla verità alterata di Di Caprio. LA PROMESSA DELL’ASSASSINO DAVID CRONENBERG, 2007 (GANGSTER) Un regista visionario e non “allineato” si confronta con uno dei più classici tra i generi cinematografici. Grande capacità di creare atmosfere e inquietudini. Un viaggio scuro in un mondo nascosto e arcaico, con le sue leggi da clan, che si annida nella Londra contemporanea, teatro di storie e segreti che vengono da lontano. La sequenza della lotta nella sauna con Mortensen nudo, è una di quelle che ti si ficcano nella memoria. TALKIEWALKIE AIR, 2004 Se Moon Safari aveva portato il duo francese degli Air alla vetta della creatività elettronica, Talkie Walkie li mette al vertice dell’espressione sentimentale. Il disco è suadente, commovente, umano, romantico, e al tempo stesso iperelettronico, tecnologicamente splendente, essenziale. Canzoni e esperimenti, algoritmi e lacrime, si fondono in un album dove non c’è una sola nota fuori posto. E Alone in Kyoto, colonna sonora di Lost in Translation, è uno dei grandi capolavori contemporanei. BACK TO BLACK AMY WINEHOUSE, 2006 Era il prodigio del nuovo millennio, una gemma che sembrava spuntata da chissà quale epoca, e al secondo disco aveva sbancato la scena col suo misto di classicità soul e stridente modernità. Era la migliore voce emersa negli ultimi anni, bruciante di sincerità emotiva, fuori dagli schemi, geniale e dissoluta come solo le grandi sanno essere. Da Rehab, con l’autoironica ammissione di refrattarietà a ogni trattamento riabilitativo, all’infinita bellezza romantica di Love is a Losing Game, il disco è un irripetibile carniere di pulsante vita musicale. WHATEVER PEOPLE SAY I AM, THAT’S WHAT I’M NOT ARCTIC MONKEYS, 2006 Si può essere una giovane band “indie” e realizzare uno degli album più influenti degli ultimi anni. Si può scrivere rock senza copiare i classici, uscendo dai cliché. Si può avere successo e vendere un disco dopo aver conquistato il pubblico con i concerti e internet. È così che hanno fatto gli Arctic Monkeys con il loro album d’esordio nel 2006. Il nuovo rock inglese comincia da questo pugno di canzoni che fanno piazza pulita di quanto era stato fatto dalla fine del brit pop in poi, dimostrando che il rock non solo non è morto ma gode di un’ottima salute. ILLUSTRAZIONE DI GIPI PER “LA DOMENICA DI REPUBBLICA” G AB RIELE SALVAT O R ES GOOD NIGHT AND GOOD LUCK GEORGE CLOONEY, 2005 (BIOPIC) Anche un giornalista e conduttore tv ha diritto a un film biografico. Con uno splendido bianco e nero (perché i produttori storcono sempre il naso davanti a un progetto da girare in bianco e nero?), Clooney regista ci racconta una storia piena di ironia, umanità e impegno con un protagonista che non puoi non amare, interpretato da un grandissimo attore purtroppo poco utilizzato, David Stroathairn. Cinema di impegno civile, mai dogmatico, mai didascalico, sempre divertente. Con alcuni inserti di immagini documentarie che si integrano nel film. Quali, tra quelli che avete amato in questi dieci anni, ascolterete ancora? La coppia più notturna del web non ha dubbi. Questi dieci dischi E R NEST O ASSANT E e G I N O CAST AL D O D IECI ALBUM per raccontare dieci anni di musica sono veramente troppo pochi. Quindi, più che il «meglio» del decennio abbiamo preferito segnalare gli album che secondo noi, non sono invecchiati, quelli che ancora oggi sembrano «nuovi», interessanti, originali e contemporanei. Tanto per dire che la buona musica non viene solo dal passato. la Repubblica DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 LASCIAMI ENTRARE TOMAS ALFREDSON, 2008 (HORROR) Per me, forse, uno dei film sui vampiri più belli degli ultimi anni. Perché è un film d’amore! E se, nel genere, la passione ha sempre giocato un ruolo importante, qui si parla proprio di tenerezza, attrazione, protezione, rinuncia del proprio io a favore di un altro essere (umano?), in una parola, appunto, d’amore. Un grande, piccolo film europeo che si confronta con un genere riuscendo a dire qualcosa di nuovo. E che mi ha fatto venire gli occhi lucidi. Una domanda da porre: come mai il remake americano, stesso plot, stessa ambientazione, non funziona? NEON BIBLE ARCADE FIRE, 2007 Amati da tutti i grandi musicisti dei nostri giorni, considerati come la più plastica e geniale rappresentazione musicale odierna, gli Arcade Fire sono riusciti nel giro di pochi anni a diventare star planetarie, senza cedere nulla sul piano della creatività e dell’ingegno. Il successo, al contrario, ha consentito alla band di crescere, arrivando alla maturità di questo Neon Bible che è, senza alcun dubbio, uno dei dischi più completi e affascinanti degli ultimi dieci anni. Rock, pop, folk, jazz e altro ancora in un’unica, misteriosa, miscela. UP P. DOCTER E B. PETERSON, 2009 (ANIMAZIONE) La Pixar ha cambiato il modo di fare i cartoon. E lo continua a fare con lo sguardo di un “autore”. Innovazione tecnica a parte (comunque straordinaria), quello che colpisce, inUp e nel precedente Wall E (più sorprendente e innovativo fino a sfiorare l’arte figurativa contemporanea) è la perfezione degli script, la psicologia dei caratteri, lo sguardo cinico e insieme tenero sulla vita e (curioso per un cartoon) l’umanità dei personaggi. Come una volta le fiabe, i film della Pixar parlano di noi e delle nostre vite. VIVA LA VIDA COLDPLAY, 2008 Con questo album, secondo Chris Martin, la band esce «da un mondo in bianco e nero per entrare in uno a colori». Tra la poetica della “malinconoia” e la fascinazione dell’elettronica, i Coldplay hanno cambiato pelle e nel disco si respira aria di grande libertà e di creatività. Brian Eno come produttore permette al gruppo di allargare gli orizzonti. I quarantadue minuti dell’album lasciano una piacevole sensazione, quella che il rock, anche oggi, possa essere un territorio dove avanguardia e popolarità si incontrano. INCEPTION CHRISTOPHER NOLAN, 2010 (NOIR) Incrociando fantascienza cyber, azione e thriller, Nolan costruisce un noir onirico che è una matrioska cinematografica o una scatola cinese narrativa che, a ogni strato, ti rivela nuove dimensioni. Da sempre amo il cinema di Nolan per la sua capacità di usare le immagini, per gli intrecci narrativi dove il reale continua a sfuggirti, perché ricerca un cinema innovativo, a volte sperimentale, che, però, non rifiuta il rapporto con il grande pubblico e il confronto con il mercato. Cinema spettacolare ma non omologato. HUGO CABRET MARTIN SCORSESE, 2011 (FANTASY) Mi rendo conto che definire “fantasy” questo film è un po’ azzardato, ma, trattandosi di Méliès e della magia del cinema... In fin dei conti è una di quelle favole di cui, a volte, abbiamo bisogno. Qui c’è un uso intelligente ed efficacissimo del 3D, tutto giocato sulla profondità di campo, dallo schermo verso il fondo della scena, non verso la platea. L’anima non realistica del Cinema, la vertigine dell’illusione che diviene reale. È tutto finto, ma sembra tutto vero. Un “fantastico” atto d’amore, un gioco di prestigio che sarebbe piaciuto all’illusionista Georges Méliès. 007 SKYFALL SAM MENDES, 2012 (AZIONE) Uno 007 un po’ acciaccato, la presenza costante della Morte fin dai bellissimi titoli di testa, dopo la straordinaria sequenza d’azione che apre il film. Da un regista che viene dal teatro, una pellicola che riesce a fondere, azione e malinconia, suspense e pensiero. Magnifiche immagini, grande divertimento e un senso ineluttabile di “perdita”, di tempo che passa, di vecchie navi da battaglia che rientrano ferite in porto, di vita che se ne va. VECKATIMEST GRIZZLY BEAR, 2009 Il rock ha molte vite, è spesso morto, altrettanto spesso rinato, con nuove forme, nuovi suoni e nuovi sentimenti. Quindi, anche se è difficile apparentemente considerare rock nel senso classico del termine i Grizzly Bear, è facile dire che ne sono l’odierna e più originale incarnazione. Veckatimest è un ottimo esempio di come si possa fare della musica che sia al tempo stesso contemporanea e fuori dal tempo, come solo le grandi musiche sanno essere. HIGH VIOLET THE NATIONAL, 2010 Gli anni Ottanta, un certo sapore dark, la voglia di rimettere in circolo poesia ed emozione. Questo è High Violet dei National e anche qualcosa in più. La band di Brooklyn ha ben chiaro il compito, difficile, che ha davanti: quello di creare una musica per il nuovo millennio che sappia essere colonna sonora. La crepuscolare bellezza delle canzoni trova nella vocalità profonda di Matt Berninger una chiave espressiva sentimentale. È la bellezza il cuore di questo lavoro, oscura, misteriosa, affascinante, che prende la forma di canzoni indimenticabili. WRECKING BALL BRUCE SPRINGSTEEN, 2012 C’è chi l’ha definito il più arrabbiato dei dischi del Boss, ed è singolare considerando che si tratta della sua diciassettesima produzione e che è stato inciso all’età di sessantatré anni. Come dire che lo spirito eroico di Springsteen non ammette cedimenti, e anzi viene rilanciato dai disagi del tempo e della desolazione economica e sociale. È anche il migliore della sua recente produzione, per varietà, intensità dei versi, per la sofferta ispirazione con cui è stato realizzato, segno che la vitalità del rock può non essere una questione di età. 45 GRAVITY ALFONSO CUARON, 2013 (FANTASCIENZA) La fantascienza nell’epoca del digitale e degli effetti speciali. L’assenza di gravità viene fatta sperimentare allo spettatore con una macchina da presa che galleggia insieme agli oggetti e ai corpi, grazie anche al buio dello spazio cosmico che si fonde in quello della sala fino alla perdita di qualsiasi punto di riferimento. Il lungo piano sequenza iniziale che danza nello spazio passando dai totali ai dettagli e viceversa è già la cifra stilistica del film. Ormai la creazione delle immagini sta sempre di più passando dal set alla post-produzione. GRAND BUDAPEST HOTEL WES ANDERSON, 2014 (AVVENTURA) Forse non è solo un film d’avventura ed è anche per questo che mi piace, per la sua forte derivazione letteraria e “filosofica”, per il suo dichiarato amore per Lubitch e perché è un film di Wes Anderson: umanità e cinismo, divertimento e pensiero, meravigliosa messa in scena, attori straordinari. I film di Wes Anderson sono immediatamente riconoscibili. Qui ti ritrovi tra montagne incantate dalla neve, in compagnia di personaggi bizzarri, dalle biografie incredibili ma che ti sembra di riconoscere. E inizia l’avventura. OVERGROWN JAMES BLAKE, 2013 Nel disco, il secondo realizzato da Blake, ci ha messo lo zampino Brian Eno, portando l’estro cupo del cantautore elettronico a un livello altissimo, in cui il calore dolente della voce si sposa con una sorta di disperato nichilismo. Più di altri, nel contrasto tra l’umanità desolata e tormentata della sua voce e la scheletrica ossatura elettronica dei suoi pezzi, Blake sembra un perfetto figlio dei nostri tempi, come fosse un’elegia sintetica a tutto quello che abbiamo perso e non abbiamo ancora riconquistato. Vedi soprattutto il brano Retrograde, un gioiello di musica 2.0. YEEZUS KANYE WEST, 2013 Il rap si ripete, da tempo. Allora Kanye West, sfrontata stella del genere, pensa bene con Yeezus di esagerare, di rompere abitudini e formalità e di inventare una musica che non c’è. Elettronica e rumore, digitalizzazione e tecnologia, mescolati con carne e sangue, sudore e passione, per uno degli album più clamorosamente innovativi del nuovo millennio. Lui resta antipatico, eccessivo, volgare, ma la musica lo porta altrove, trasformandolo in un innovatore senza paura, che giganteggia in un mondo musicale dove la ripetitività e la noia regnano sovrani. © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 46 Next. 2014-2024 La conoscenza la ingeriremo in pillole. Il cibo lo stamperemo in 3D. Quanto a noi, capsule senza pilota ci porteranno ovunque (quando non saremo teletrasportati). Ecco come sarà la nostra vita tra dieci anni secondo quel Nicholas Negroponte che vent’anni fa profetizzò come avremmo vissuto oggi dieci invenzioni GNI RIVOLUZIONE ha un suo ideologo. Quella digitale non fa eccezioni. Ed è davvero difficile evitare di associare Nicholas Negroponte, fondatore del Media Lab del Mit, a questa primogenitura teorica. La mise per iscritto in Essere digitali, nel 1995 un manuale di istruzioni per il futuro. E un manifesto da cui oggi è arduo scegliere i passaggi più profetici. La scelta, alla fine, cade su questa intuizione: “L’informatica non si occupa più di computer ma della vita. I bit, il dna dell’informazione, stanno rapidamente rimpiazzando gli atomi come materia prima di base dell’interazione umana”. Da calcolatori a strumenti di comunicazione. Dalla matematica alle lettere. Dalle astrazioni della tecnica O ILLUSTRAZIONE DI GIPI PER “LA DOMENICA DI REPUBBLICA” R ICCARDO ST AGLI ANÒ La sua “profezia” fu capire che «tutto ciò che avrebbe potuto essere digitalizzato lo sarebbe stato». È andata così ma alcuni critici, come il tecnologo Jaron Lanier e gli economisti Brynjolfsson e McAfee, sostengono che questo trasloco dagli atomi ai bit abbia impoverito la classe media, distruggendo più posti di lavoro di quanti ne abbia creati. «Lanier è troppo auto-referenziale e con i piedi non abbastanza per terra. McAfee e il suo socio hanno uno sguardo più equilibrato al fenomeno. La stessa tecnologia che criticano è utilizzata per imparare meglio e costruire così una società con maggior resilienza anche di fronte agli sconvolgimenti del mondo del lavoro. In questo dibattito immagino anche esiti paradossali, come il protestare contro le auto senza pilota per far sì che gli autisti di Uber continuino ad avere di che campare. Ma anche loro sono visti come distruttori dello status quo dei tassisti. Insomma, tutto è relativo». Lei coniò anche il concetto di “daily me”, il giornale a immagine e somiglianza del lettore. Google 3. News gli assomiglia molto ma oggi, in Spagna, Google minaccia di cancellare il servizio se il governo insisterà per condividere un po’ dei profitti di Mountain View con i giornali che producono le notizie linkate. «Google genera così tanto traffico verso quei siti che, da parte loro, pretendere anche una parte dei proventi del motore di ricerca mi parrebbe altrettanto folle dello scenario in cui fosse Google a pretendere un po’ dei profitti realizzati dai siti che linka». Lei prefigurava i micropagamenti. Non più giornali comprati in blocco ma à la carte, pagando per gli articoli del giornalista preferito. Lo stesso poteva applicarsi ad altri servizi. Perché non hanno attecchito? «Riformulerei la sua domanda: perché non hanno ancora attecchito? Le ripeto ciò che pensavo allora: vedrà, attecchiranno. Comprare la musica a brani anziché ad album è ormai normale. Lo sarà presto anche per i giornali. E anche per l’editoria in senso più ampio, con sempre più persone che si pubblicheranno da soli». 4. 5. 6. Riagganciandoci al decimo compleanno della nostra Domenica di Repubblica, quali principali sviluppi immagina per i prossimi dieci anni? «I veri grandi cambiamenti saranno nella biotecnologia, all’intersezione tra microelettronica e biologia. Man mano che riusciamo a produrre chip sempre più minuscoli realizzare robot che possano vivere nel nostro sistema sanguigno, eliminando le malattie, diventa realistico». L’ultima moda è la stampante in 3D. Grazie a lei cosa riusciremo a fare? «Direi che potrebbe anche riuscire a stampare animali viventi». Accolgo l’iperbole solo perché detta da uno che vent’anni fa profetizzò la fine di Blockbuster, il gigante del noleggio di videocassette. Scherzi a parte, come consumeremo i media tra due lustri? «Tutti i tipi di conoscenza saranno ingeriti, ingoiati. La conoscenza arriverà direttamente nel nostro cervello attraverso il sistema sanguigno. E, mi creda, neppure questa è un’iperbole. Ciò non significa che guardare o ascoltare perderà il suo appeal». la Repubblica DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 alla vita pulsante. Alcuni dei suoi azzardi, all’epoca, ci sembravano colpi di teatro. Invece, se non la tempistica, la sostanza era giusta. Perciò oggi siamo tornati da lui per un bilancio sui due decenni trascorsi e per una previsione sul prossimo. «Se dovesse sopravvivere solo una frase dalla nostra conversazione voglio che sia questa» risponde tra un aereo e l’altro: «La connessione è un diritto umano. Ogni essere umano, in quanto tale, dovrebbe avere accesso a internet». A vent’anni dal suo libro seminale di quali parti è più orgoglioso? «Direi l’obbedienza pedissequa con cui il futuro si è dispiegato dopo la sua pubblicazione. Ma non è stata una sorpresa. E il motivo è semplice: il libro non era una previsione, ma un’estrapolazione da ciò che stava succedendo all’epoca. Non è stato così difficile quindi prendere quelle attività e proiettarle nel futuro». Tra le cose che si sarebbero smaterializzate erano inclusi i libri. Ora gli ebook sono una realtà: le piacciono? E quali altre evoluzioni immagina per la lettura? 7. 8. E come studieremo? Piattaforme online come Coursera avranno la meglio su Harvard? «Coursera no, perché nonostante la prevalente gratuità ha fatto l’errore di partire come un’impresa per fare profitti. La sua concorrente EdX potrebbe mangiarsi i propri sponsor, tra cui il mio Mit, Harvard, Berkeley, ma solo quanto a efficienza dell’insegnamento. Ciò che immagino è che assisteremo a un abbandono del modello tradizionale di lezione in classe e le università diventeranno piuttosto il luogo della concezione di nuovi format di apprendimento». Crede che per allora ci sposteremo da un luogo all’altro con le auto senza pilota che stanno testando sulle strade della California? «Credo piuttosto che si tratterà più precisamente di capsule senza pilota. La maggior parte della gente vivrà in città. Nessuno sotto i trent’anni vivrà nei suburbi, come accade oggi. E queste capsule, come navette automatizzate, costituiranno una fetta di mobilità maggiore di quella che riusciamo a immaginare oggi. Ma a priori non esclu- 1. 2. 9. 47 «L’incarnazione del testo come softcopy, ovvero la sua versione non stampata (il contrario di hardcopy), trasmissibile e malleabile, è stata realizzata bene su vari apparecchi ed è destinata a restare con noi a lungo. I prossimi passi riguarderanno più la scrittura che la lettura. Una storia, in futuro, potrà avere più a che fare con un modello narrativo che con una modalità espressiva. E quel modello sarà usato per generare, in maniera personalizzata grazie al software, un film, un audio, un’animazione, un testo o qualsiasi altra cosa. Magari una pillola». Un altro suo cavallo di battaglia era l’interfaccia uomo-macchina. Battere su una tastiera le sembrava innaturale. Il touch, che lei aveva invocato in tempi non sospetti, ora è ubiquo. Intravede altri sviluppi? «L’interazione touch è ormai realizzata assai bene. Forse potrebbe diventare ancora più affidabile e meno costosa da realizzare. Il prossimo passo potrebbe essere un apparecchio che riconosce i gesti voluti e quelli compiuti per errore, come quando si aprono applicazioni che non volevamo aprire e così via. Ma la parte che dav- vero mi lascia senza parole, e che mi sembra abbia molto a che fare con l’arrogante recalcitranza della Apple, è la limitatezza della correzione automatica. Anche questa è personalizzabile e bisogna migliorarla il prima possibile». A proposito di Apple, per la prima volta le vendite dei suoi iPad sono diminuite tanto che c’è chi scommette che faranno la fine dei pc e punta piuttosto sui “phablet”. È il futuro della specie? «Ogni situazione richiede una dimensione diversa e appropriata. Se stai rivedendo dei progetti di architettura intorno a un tavolo con cinque persone, allora andrebbe bene un tablet da 24 pollici. Che però non puoi portarti dietro mentre scii. La domanda più giusta, quindi, è: quale misura va bene per la maggior parte delle situazioni? Per quanto mi riguarda passerò all’iPhone 6 Plus. Spero di riuscire a usarlo più come un tablet che come telefono. Tutti a chiedersi se è troppo grande, ma è un dibattito piccino, di marketing. E anche un po’ stantio, dal momento che Samsung fa apparecchi così grandi da tempo». derei neppure che si possa arrivare a concepire una qualche vera e propria forma di teletrasporto». Altri cambiamenti importanti in vista per l’umanità prossima ventura? «Il cibo verrà stampato, soprattutto la carne. Abbiamo già assistito ai primi esperimenti in materia,è assolutamente certo che su quel terreno ci saranno sviluppi davvero enormi». Uno dei tormentoni della Silicon Valley è “disruption”, ovvero cambiamento radicale, una specie di distruzione creatrice shumpeteriana. A quale tipo di cambiamento secondo lei dovremmo dare il benvenuto e a quale invece dovremmo tentare con tutte le nostre forze di resistere? «Io credo che noi dovremmo accogliere tutti i cambiamenti che eliminano la povertà e resistere invece a tutti gli altri, ovvero quelli che riproporranno ancora una volta le solite vecchie forme di nazionalismo». Quella del 2024 sarà una società meno diseguale oppure internet, che tende a premiare spropositatamente il vincitore a scapito di tutti gli altri, alla fin fi- ne renderà il dislivello tra chi ha e chi non ha ancora più profondo di quello attuale? «Dal mio punto di vista l’unico dislivello davvero importante è quello che separa i due miliardi di persone che stanno peggio da un livello di vita piena e dotata di senso. Se il gap tra me e il signor Bill Gates dovesse crescere, per dire, mi preoccuperebbe assai meno. Tuttavia una ricchezza assoluta concentrata in un così piccolo numero di persone non ha senso quando tanti non hanno niente. Piketty la spiega attraverso la tecnologia, in quanto parte costitutiva del capitale (il cui ritorno, storicamente, risulta maggiore della crescita economica). Per me invece non è questione di tecnologia. Anzi, per come la vedo io, la tecnologia è il mezzo per raggiungere un più alto e migliore livello di istruzione, in un contesto in cui la connessione diventa un diritto per tutti gli esseri umani». Il guru settantenne che vuole portare un computer portatile a ogni bambino del mondo non ha perso niente del suo tradizionale ottimismo. 10. © RIPRODUZIONE RISERVATA la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 48 Sapori. 2004-2014 Capesante in sashimi, ravioli farciti di burrata e faraona, scampi alla menta, risotto ai pistilli di zafferano e carciofi fritti. Da Ferran Adrià a Massimo Bottura, da Alain Passard a Nadia Santini, abbiamo chiesto a dieci tra i più celebri chef tristellati del mondo qual è la loro ricetta del cuore tra quelle che hanno ideato in questi ultimi anni. Ed ecco cosa ci hanno preparato dieci piatti La patata calda-fredda sinergia degli opposti EGLI ULTIMI DIECI ANNI, abbiamo creato molti piatti, ma il mio favorito resta la patata calda-fredda, incarnazione di spirito ideativo e collaborazione indispensabili per trasformare la cena da Alinea in un’esperienza complessa. In questo boccone, utilizziamo la dinamica della doppia temperatura di servizio. Martin Kastner, anima creativa del Crucial Detail Design Studio, ha creato per noi una ciotolina di cera a forma di conchiglia, con un perno sottile che separa i componenti caldi e freddi. Quando l’ospite lo attiva, le due temperature si miscelano. La ricetta è una semplice crema di patate tartufata, ma l’effetto sul palato è tutt’altro che banale. L’idea di due persone impegnate in campi differenti, che lavorano per realizzare una cosa bella insieme, rende il piatto speciale e caro al mio cuore. N ALLIEVO DI ADRIÀ, L’AMERICANO GRANT ACHATZ DIRIGE IL RISTORANTE “ALINEA” DI CHICAGO, CONSIDERATO TRA I MIGLIORI DEGLI STATI UNITI ILLUSTRAZIONE DI GIPI PER “LA DOMENICA DI REPUBBLICA” LICIA GRANELLO Grant Achatz Annie Feolde Chicco Cerea Scampi con menta e lime tra Mazara e il Giappone UASIMEZZOSECOLO di storia — i miei genitori aprirono il ristorante nel 1996 — e una costante: il pesce di primissima qualità. Per questo, scegliere tra i piatti più rappresentativi della nostra cucina mi porta verso una ricetta di mare. Protagonisti, i deliziosi e inimitabili scampi di Mazara del Vallo, un’eccellenza siciliana che mio padre cominciò a usare quando ero bambino. Per esaltarli, utilizziamo la cottura giapponese shabu-shabu (immersione rapida in brodo bollente), accostando vari sapori. Tra tutte, la preparazione a cui sono forse più legato vede gli scampi accompagnati da una granita di lime, pepe rosa, peperoncino, menta, cristalli di sale e olio extravergine, tutto appoggiato su una crema di pesce bianco. Un modo fresco di gustare i crostacei-simbolo della nostra cucina. Q Un doppio raviolo diventato un grande classico A CHICCO CEREA È IL MAGGIORE DI CINQUE FRATELLI CHE SI DIVIDONO TRA IL RISTORANTE “DA VITTORIO” E LA PASTICCERIA “CAVOUR”, A BERGAMO LL’ENOTECA PINCHIORRI, esi- stono i grandi classici e le ricette a tempo. Il doppio raviolo farcito di burrata e stracotto di faraona con fonduta di Parmigiano Reggiano era nato come piatto del menù degustazione, destinato cioè a durare per un periodo limitato. Ma piacque così tanto, che fu messo tra i piatti in carta. Anche la carta viene periodicamente rinfrescata e i piatti cambiati. Con il doppio raviolo non è stato possibile: i clienti hanno cominciato a prenotarlo addirittura al momento di riservare il tavolo, tanto che ci è toccato tenerlo come piatto speciale! Il segreto è nella combinazione armoniosa tra i tre ingredienti principali, quella stessa armonia che trasforma il confronto quotidiano tra me e i nostri chef Riccardo Monco e Italo Bassi nel vero passe-partout per il successo della cucina. Daniel Humm Così speziata, così carnosa un’anatra per tutte le stagioni ANATRA ARROSTO resiste come uno dei piatti inamovibili da anni sul nostro menù. È uno dei favoriti dei nostri clienti, ma anche nostro. Malgrado cambiamo carta insieme al succedersi delle stagioni, offriamo sempre una versione della nostra anatra arrosto, combinata con i diversi ingredienti del momento. L’anatra è carnosa, saporita, untuosa, un ingrediente ricco, insomma. La facciamo frollare un paio di settimane per intensificarne il sapore, la spalmiamo con miele, lavanda e un mix di spezie (cumino, coriandolo, pepe di Sichuan) prima di infornarla. La serviamo con una salsa fatta con il suo fondo, un tocco di acidità e zucchero caramellato, un bilanciamento fresco-dolce che esaltiamo rifinendo il piatto con fichi e raperonzoli. L’ DALL’INCONTRO TRA LA NIZZARDA ANNIE FEOLDE E L’EMILIAN0 GIORGIO PINCHIORRI È NATA L’ENOTECARISTORANTE, IN UN PALAZZO DEL ’700 DI FIRENZE LO SVIZZERO DANIEL HUMM GESTISCE CON WILL GUIDARA L’“ELEVEN MADISON” DI NEW YORK: SPLENDIDO SALONE GIÀ SEDE DEL CREDITO SVIZZERO la Repubblica DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 49 Ferran Adrià Max Alajmo Massimo Bottura La mia melacotogna che in pochi hanno assaggiato Brodo Oro, sacro e ironico quintessenza delle origini Tempo, silenzio, magia tutto in una pasta e fagioli E DEVO SCEGLIERE un piatto tra quelli ideati negli ultimi dieci anni, non ho bisogno di guardare troppo indietro: la scelta cade su un piatto che non è veramente tale, così come non lo si può definire strettamente un dessert. Si tratta della melacotogna Melba, il cui numero di catalogo — tutti i piatti ideati al “Bulli” sono rigorosamente catalogati — è esso stesso emblematico: 1846. Si tratta di una sequenza di elaborazioni intorno al classico di Auguste Escoffier, concepite come un omaggio a questo grande cuoco, scomparso nel 1846. La nostra interpretazione della melacotogna Melba è stata servita una sola volta, il 30 luglio 2011, atto di chiusura del ristorante “Bulli” (“El Bulli”, trasformato in fondazione, riaprirà nel 2016, ndr): cinquanta persone al mondo possono dire di averla provata. L BRODO ORO è un viaggio nel passato, oltre a essere un esempio probante di fluidità allo stato puro, in cui la liquidità assume una consistenza quasi masticabile. Si tratta di un semplice brodo (di guancia di vitello) aromatizzato, tra l’altro con zafferano e liquirizia. In una prima versione nel brodo veniva lasciata una morbida guancetta. Averla tolta, sciogliendo qualsiasi tipo di nodo, ha trasformato un buon piatto in un cibo quintessenziale, riassuntivo di un’intera ricerca. L’oro, in questo contesto, può rappresentare il sacro, che si coglie soprattutto nelle lievi sfumature speziate e affumicate; ma è anche un tocco d’ironia, a contrasto con un piatto di stile monacale, di rinuncia e concentrazione. Qualcosa di minimale ma intenso, che mi fa tornare all’origine, o meglio al principio. S I IL CATALANO FERRAN ADRIÀ È IL CUOCO PIÙ CREATIVO DEL MONDO. HA IDEATO COTTURE E PORTATO ALLA RIBALTA INGREDIENTI SCONOSCIUTI P FIGLIO DI RISTORATORI, MASSIMILIANO ALAJMO (“LE CALANDRE” DI RUBANO, PADOVA) È STATO IL PIÙ GIOVANE TRE STELLE MICHELIN D’EUROPA ER ME CUCINA E INFANZIA fan- no parte della stessa memoria, elemento indispensabile come rimando continuo per i miei piatti. Ma invece di rifarli uguali, cerco ogni volta di trasformare il ricordo in un concetto, da elaborare senza le ansie di replica che fanno dire “Erano meglio i tortellini di mia madre...”. Ho preso la pasta e fagioli, l’ho scomposta e ricomposta, anzi compressa in poche cucchiaiate, utilizzando il meglio delle tecniche della cucina moderna per esaltare ingredienti meravigliosi. Così, tra una crème di Ducasse e l’aria di rosmarino di Adrià, ho compresso la ricetta di mia nonna e le croste di Parmigiano Reggiano, formaggio che non smette di emozionarmi, testimone infallibile dell’essenza del nostro essere emiliani: tempo, silenzio, magìa. E sapore puro. NUMERO TRE NELLA CLASSIFICA MONDIALE DEI 50BEST, MASSIMO BOTTURA È CHEF E PROPRIETARIO DEL RISTORANTE “LA FRANCESCANA” (MODENA) Alain Passard Joan Roca Nadia Santini Capesante in sashimi la perfezione in una conchiglia Come un panino al contrario che mi faceva mia nonna Riso zafferano e carciofi fritti, la discussione è aperta LMIOPIATTODELCUORE è nato in seguito a un momento emotivamente molto forte, la morte di nostra nonna (Joan Roca lavora insieme ai fratelli Josep, in sala, e Jordi in pasticceria ndr). Iaia Angeleta è stata la nostra musa, una persona deliziosa e amata che ha vissuto una vita felice in cucina, con tutti noi. Impossibile ricordarla senza risentire il gusto dell’agnello e del pane strofinato col pomodoro, che ci preparava quand’eravamo piccoli, tagliandoli entrambi a pezzetti, per permetterci di mangiarli con le mani. Un piatto dell’infanzia, insomma, legato alla famiglia e alla nostra terra. Al ristorante, lo serviamo come in un panino al contrario, cuocendo l’agnello a temperatura controllata e usando il pane e pomodoro a mo’ di farcitura, preservando in questo modo il senso del gioco che ancora ci accompagna. ELLA NOSTRA FAMIGLIA, come nella cultura lombarda, il riso è un elemento di convivialità e buona tavola. Una delle ricette a cui noi tutti — mio figlio Giovanni con me in cucina, l’altro figlio Alberto con mio marito Antonio in sala — siamo molto legati, è il risotto con pistilli di zafferano e carciofi fritti. Il piatto parte dalla ricerca del riso, rigorosamente Vialone Nano, e dalla scelta dello zafferano — optiamo per quello di Navelli — e infine i carciofi, che danno gusto e nota croccante al piatto. Un risotto così non è particolarmente difficile da preparare. Ma attenzione: il giudizio sulla cottura, il tipo di riso usato, la morbidezza, l’aspetto visivo, possono scatenare amabili discussioni tra persone abituate a concetti e culture diverse sul riso. Per fortuna, è proprio questa la bellezza del nostro mestiere. amo moltissimo le capesante, che rappresentano da sempre un piatto importante nella nostra tradizione culinaria. Quand’ero piccolo, mia nonna era solita prepararle ogni anno in occasione del Natale, accompagnate da un poco di crema. Le adoravo. La sua conchiglia mi affascina. La prendo tra le mani e la trovo ogni volta perfetta, di una perfezione rara. La natura è perfetta. Credo di avere sempre avuto le capesante nei miei menù invernali. Devo aver dedicato alle capesante almeno sessanta ricette! Eppure, ogni anno aspetto che arrivi ottobre, il mese del loro debutto sul mercato, per crearne ancora di nuove. Ultimamente, le propongo in sashimi con il tè matcha e le verdure del mio orto. Sono così belle... Il loro color madreperla ancora mi emoziona. D A BUON BRETONE, I IN CUCINA DA PIÙ DI 40 ANNI, ALAIN PASSARD SUONA IL SASSOFONO E DELIZIA GLI OSPITI DE “L’ARPÈGE”, PARIGI, CON LE VERDURE DEL SUO ORTO BIODINAMICO N JOAN ROCA E I SUOI FRATELLI CON IL LORO “CELLER DE CAN ROCA”, A GIRONA, SPAGNA, SONO AL SECONDO POSTO NELLA CLASSIFICA MONDIALE 50BEST NADIA SANTINI, ELETTA LO SCORSO ANNO MIGLIOR DONNA-CHEF DEL MONDO, DIRIGE “DAL PESCATORE” A CANNETO SULL’OGLIO, (MANTOVA) la Repubblica LA DOMENICA DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 50 L’incontro. Alessandro Del Piero L SENSO di un numero, il sentimento di un ruolo. La creatività e la I leggerezza. Vere, reali eppure apparenti, perché ogni vocazione accudita significa soprattutto lavoro. Il numero 10 è ancora quello che era a scuola: il massimo. Lo indossano solo i fuoriclasse. Pelè, Maradona, Rivera, Mazzola, Zico, Baggio, Totti. E Alessandro Del Piero. Predestinazione e talento. Il dovere della bellezza. M A URIZIO CRO SETT I Del Piero, se le dicono “dieci”, lei d’istinto a cosa pensa per prima cosa? E per seconda? E per terza? «Fantasia. Stupore. Istinto». A scuola ha mai preso 10, a parte condotta e religione? «Il fatto che non ne ricordi uno, significa che non ne ho presi molti. Ma se non sbaglio, ai miei tempi i voti arrivavano solo fino all’otto». C’è stato un momento della sua carriera in cui lei ha pensato: sì, io sono proprio un numero 10? «Era un obiettivo, era quello che speravo di diventare quando da bambino provavo a imitare Zico, Platini e Maradona. In campo, la consapevolezza è arrivata col passare degli anni. Però mi piace ricordare che ho iniziato con il 7 sulla maglia, ma sognavo il 10». Dieci anni: che arco di tempo è? Qual è la sua definizione di decennio? «Un tempo abbastanza lungo per cambiare vita. Anche più volte. E sapere che fino ad adesso ne ho vissuti solo quattro mi fa pensare che ho ancora un sacco di cose da fare». «Tattica e fisica, di pari passo con l’evoluzione del calcio. Ma il 10 rimane il campione che riesce a stupire con le sue giocate, a fare la differenza». Il 10 che ha amato di più? Cosa gli invidiava? «Non ne ho uno in particolare, non ne ho mai invidiati ma di certo mi sono ispirato a tanti. Però ci sono dei giocatori che mi sarebbe piaciuto vedere dal vivo, per esempio Cruyff, un 10 anche se sulla maglia aveva il 14. O Pelè e Di Stefano». Le sarebbe piaciuto essere un 9, o magari un 1? «Ho iniziato con il 7 e ho giocato per molti anni con il 9. Ma effettivamente il ruolo del portiere mi ha sempre intrigato. Sia da bambino che da grande, in allenamento mi sono spesso divertito a giocare in quel ruolo». Il suo 10 è ora sulle spalle di Tevez: cosa prova? «Tevez sta facendo molto bene. Sono felice per lui e soprattutto per la Juventus. E poi, l’ho detto fin dall’inizio: sono contento che quella maglia rimanga un sogno e un obiettivo per i futuri “dieci” bianconeri». Il numero 10, proviamo a scomporlo: c’è l’uno, l’unità, il tutto. E c’è lo zero, ovvero il niente. Come è possibile che dall’unione tra il “tutto” e il “niente” ILLUSTRAZIONE DI GIPI PER “LA DOMENICA DI REPUBBLICA” Numero dieci DUE CIFRE, UNO E ZERO, IL TUTTO E IL NIENTE È UN NUMERO FATTO DI FANTASIA, STUPORE E ISTINTO. IO HO INIZIATO CON IL SETTE E PER MOLTI ANNI HO GIOCATO CON IL NOVE. MA TUTTA LA VITA HO SOGNATO IL DIECI RTV-LA EFFE DOMANI SU RNEWS (ORE 13,45 E 19,45, CANALE 50 DEL DT E 139 DI SKY) VIDEOSERVIZIO CON GIPI AL LAVORO PER ILLUSTRARE QUESTO NUMERO SPECIALE DE “LA DOMENICA DI REPUBBLICA” Le dieci cose per cui vale la pena vivere? «Sono un tipo troppo entusiasta, non riesco a rispondere a queste domande, me ne vengono in mente cento e poi appena ne tolgo una mi viene il rimorso, e alla fine al posto di ridurle le aumento. Non ce la faccio proprio a citarne così poche, a meno che non mi si consenta di mettere in classifica ciò che occupa senza concorrenza almeno le prime dieci posizioni: i miei figli». I grandi 10 del calcio. Ci farebbe un loro ritratto? Cominciamo da Rivera. «Difficile, l’ho visto poco anche in tv. Mi viene in mente un modo di interpretare quel ruolo con intelligenza ed eleganza, dentro e fuori dal campo». Pelè. «Un’icona. Quelle quattro lettere rimarranno per sempre sinonimo di calcio. E quella rovesciata in Fuga per la Vittoria…». Maradona. «El diez, colui che in campo poteva fare tutto. Anche vincere da solo». Zico. «Ci ho giocato insieme in Brasile, per divertimento, durante gli ultimi Mondiali. Confesso di avergli visto fare, quel giorno, cose che raramente ho visto in campo. Piedi magici, anche a sessant’anni». Platini. «Per uno juventino dalla nascita come me, per anni è stato il punto di riferimento. Era bello sentire l'Avvocato parlare di lui». Baggio. «L’istinto puro per il calcio, classe sopraffina, un privilegio avere ereditato la sua maglia alla Juventus. Una grande persona». Totti. «Il cucchiaio in semifinale all’Europeo 2000 rappresenta la sua lucida follia, che in realtà è straordinaria consapevolezza del proprio talento. E per me, Francesco è anche un amico». Mancini. «Il suo gioco sarà moderno anche se dovesse tornare in campo tra vent’anni, aveva almeno quattro occhi, non due come gli altri». Del Piero. «Non so giudicarmi, ma mi piace quando dicono di me che ho onorato questo gioco. Lascio parlare gli altri». Che evoluzione ha avuto il 10, cioè il ruolo del 10, negli ultimi anni? possa nascere il numero perfetto? «Il tutto e il niente: quella straordinaria sensazione che si prova prima di un dribbling, di una grande giocata, di una punizione, o di un rigore decisivo. Dentro o fuori, tutto o niente: il destino del 10, senza paura». La creatività è più ispirazione o traspirazione? «Sicuramente ispirazione». Un numero 10 che, nel calcio, ha avuto molto meno di quanto meritasse? «Penso ai tanti che ho incontrato, sia a livello giovanile, sia nel calcio dei grandi, che sono stati penalizzati dagli infortuni». Chi sono i suoi numeri 10 negli altri sport che più ama? «Ce ne sono tanti. Ne cito alcuni: Michael Jordan e Magic Johnson nel basket. Roger Federer nel tennis. Evgeni Plushenko, un artista nel pattinaggio». Papa Francesco è un numero 10? Del resto, è argentino e ama il calcio... «Certo! Un grande numero dieci, un trascinatore per la sua squadra. Uno che non fa pesare di essere il numero uno, ed esce sempre con la maglia sudata anche se è il migliore di tutti». Si crede sempre che il 10 sia un personaggio baciato dal talento e dalla grazia, insomma un artista predestinato. Ma è poi vero? Numeri 10 si nasce o si diventa? O meglio, in percentuale, quanto si nasce e si diventa? «Numeri 10 si nasce, ma senza coltivare il talento non si diventa. Insomma: senza il talento non puoi diventare un vero 10, ma se non ti alleni e non soffri, gli altri non se ne accorgeranno e rimarrai un incompiuto». Alcuni pensano: un grande 10 come Del Piero è andato in India a perdere quasi tutte le partite, chi gliel’ha fatto fare? Lei cosa risponde a chi lo dice? «Penso che, se si giudica attraverso la lente dei risultati, non si capisca molto della mia scelta e delle esperienze che sto facendo, e che farò, dopo avere lasciato la Juventus e il calcio che ho conosciuto fino a tre anni fa. La partenza di una nuova Lega, in un Paese complicato ma con potenzialità straordinarie, è un’esperienza incredibile. Sto conoscendo un lato del calcio che non conoscevo». In famiglia, lei è un 10 o magari un 8, o forse un 4? «Credo che una madre e un padre debbano saper ricoprire tutti i ruoli, compreso quello dell’allenatore». Cosa vorrebbe dai prossimi dieci anni? «Mi piacerebbe che la vita mi sorprendesse sempre, come ha fatto finora». © RIPRODUZIONE RISERVATA