la domenica
DI REPUBBLICA
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014 NUMERO 508
Cult
La copertina. Tutto in cinque minuti, la parte è il tutto
Straparlando. Piergiorgio Bellocchio: Non conto nulla
La poesia. Il sogno veneziano di Iosif Brodskij
Natalia Aspesi. Ernesto Assante. Emanuela Audisio.
Alessandro Baricco. Gino Castaldo. Maurizio Crosetti.
Concita De Gregorio. Alessandro Del Piero. Gipi. Licia
Granello. Gianni Mura. Nicholas Negroponte. Federico
Rampini. Gabriele Romagnoli. Paolo Rumiz. Gabriele
Salvatores. Roberto Saviano. Michele Serra. Riccardo
Staglianò. Bernardo Valli. Vittorio Zucconi.
La Domenica di Repubblica compie
dieci
anni
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
30
Le copertine. 2004-2014
Il mondo corre, le notizie volano, la vita divora. Poi arriva
la domenica, il caos si distrae, il tempo quasi si dimentica Natalia Aspesi
C’è sempre un lato nascosto
di noi. E noi possiamo finalmente scegliere di entrare nel- anche nelle cose più note
c
, che si era perle storie da ingressi secondari, o anche solo sfogliare pagiduto nel tempo, che si è trovato per
caso o per assennata ricerca. Il lato
di ciò che si conosce e che,
ne dal respiro tutto diver- scovato, dànascosto
più luce ai fatti, ai ricordi, alle
previsioni, all’immaginazione. Fantasie che
realtà e misteri che vengono alla
so. Diverso anche per chi, diventano
luce. Scrivere superando la cronaca e le supposizioni, ricreare un mondo già conosciuto
nella sua completezza e nelle sue rivelada Natalia Aspesi a Vitto- ma
zioni sconosciute o dimenticate. Quando
leggi La Domenica, o vi scrivi, entri in pagine speciali, che ti promettono, o ti chiedono,
uscire dalla pur indispensabile informario Zucconi, su quelle pagi- dizione,
per sfiorare la letteratura e spalancare le porte di un mondo più ricco di immagine scrive con il ritmo del ni, segreti, piaceri.
racconto
C
IÒ HE NON SI SAPEVA
dieci
firme
ILLUSTRAZIONE DI GIPI PER “LA DOMENICA DI REPUBBLICA”
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Federico Rampini
Gabriele Romagnoli
Paolo Rumiz
Quando una mela cinese
spiega più di mille libri
Una chiamata internazionale
in un giorno festivo
Meglio la bicicletta dell’aereo
se è il dettaglio che cerchiamo
ICORDO LA MELA CINESE: era lì da anni,
sotto gli occhi di tutti, venduta nelle bancarelle d’Italia. Bisognava
scoprire cosa c’era dietro l’avanzata dell’agricoltura cinese, raccontare i loro
frutteti, incontrare i contadini, sentire l’inquietudine per l’assedio del boom industriale che stringe il cerchio attorno alle campagne, prosciuga l’acqua, avvelena i suoli.
Poi la storia della “scatola globale”. Dall’altra parte dell’oceano Pacifico, facendo jogging sulle spiagge di San Francisco quante
ne avevo viste passare di navi portacontainer. Il container era il personaggio da inseguire, intervistare: la biografia di un parallelepipedo di metallo che ha reso il mondo
sempre più piccolo.
N MAESTRO DEL GIORNALISMO (se mai ne
sono esistiti) mi insegnava questo:
quando scrivi immagina una personalità per il giornale e una per il suo
lettore, diventa il tramite per il loro dialogo.
Quanto a lui, virava spesso su Socrate e i suoi
studenti. A me, oggi, pare spesso di essere il
conducente della metropolitana con i suoi passeggeri: ogni tanto mi faccio sentire mentre
quelli parlano, inviano messaggi, guardano un
film al cellulare, vanno, vengono. Poi, c’è LaDomenica di Repubblica. E lì è un po’ diverso. Lì è
come ritrovarsi a fare una chiamata internazionale in un giorno festivo, quando costava
meno, con un telefono fisso. Dall’altra parte c’è
qualcuno che conosci e che vorresti sentire più
spesso, ma forse basta questo. La linea è disturbata, entrano i rumori di fondo del Paese da
cui chiami e pure questo fa parte del gioco. L’altro ascolta con una pazienza che si è perduta. Fa
qualche domanda, sembra perfino interessato.
Due uomini al largo: uno si è immerso e sta raccontando quel che vede nell’abisso, l’altro
ascolta, prende nota, mantiene la posizione.
UANDO ARRIVAI IN BICI a Istanbul attraverso i Balcani, successe una
cosa strana. Era il primo dei miei
viaggi per Repubblica, e avrei dovuto essere fiero di me. Invece, alla vista del
Bosforo, dissi a me stesso: ma come, tutto
qui? D’un tratto, l’Europa mi era parsa piccola. Non avevo diritto a nessun trionfo, ma
solo alla sana gioia del nomade. Come mai?
Il mistero lo risolsi al ritorno in aereo, quando vidi la mia strada al finestrino. Era pazzesco: riconoscevo ogni bivio, ogni ponte, ogni
locanda! La bici aveva fissato nella mente
ogni dettaglio, e ora quell’immensità era
mia, familiare come il giardino di casa. Altro
che autostrada. Avevo smentito Einstein: la
velocità non contraeva affatto lo Spazio ma
lo rendeva infinito, noioso come una galera.
Viva la lentezza!
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la Repubblica
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Emanuela Audisio
Concita De Gregorio
Gianni Mura
Il piacere è tutto lì,
prendersi e dare tempo
Un uomo, il lager, la musica
una storia per la Domenica
Dove raccontare i personaggi
che stanno stretti nello sport
CRIVERE PER CHI LEGGE alla domenica
vuol dire avere un altro ritmo. Diminuisce il rumore del traffico, si è
più oziosi, più riflessivi. Si guarda alle cose attorno a noi con un occhio più curioso, più sentimentale, meno legato all’oggi e
più al ricordo. Sia mentre atterri al Polo Nord
e devi salire su una motoslitta, sia mentre sei
in mutande, nel fango e sotto la pioggia di
una foresta amazzonica, cercando di sollevare un tronco d’albero. La domenica spesso
è più silenziosa e le parole meglio se sanno
un po’ di poesia sbriciolata. Il piacere è tutto
lì: nel prendersi e dare tempo. E nell’immaginare che in quelle pagine ci sia la storia del
mondo.
È UN UOMO DI QUARANT’ANNI e rotti, vive a Barletta, si chiama
Francesco Lotoro. Da qualche
anno appena ha i soldi per il biglietto parte e va a cercare la musica. Nelle
capitali e nei paesi d’Europa, negli archivi.
La musica che cerca è stata scritta nei campi
di concentramento. Da soldati americani
prigionieri dei giapponesi, da quelli del terzo Reich presi dagli alleati, dagli ebrei deportati. Ha trovato opere liriche, canti religiosi, jazz, musica da cabaret, sonate. Scritte col carbone che serviva a scaldarsi, sulla
carta igienica o sulle lenzuola, dentro i vestiti. Finora ha trovato quattromila brani.
Non lo paga nessuno, va perché, dice , questa è la ragione per cui è venuto al mondo.
Nessun altro cerca la musica dei prigionieri,
nessuno aveva pensato al loro canto. La Musica, i Lager. Invece ecco. Una storia per queste pagine. Perché La Domenica, invece.
O SPORTÈ UNA COSA molto semplice che
va divisa in due: chi lo fa e chi lo guarda. Si vince, si perde, si ricomincia.
Chi fa sport lo fa per sé, con motivazioni sue, ma rappresenta anche chi guarda
ed è emotivamente coinvolto. E sono quelli
che piangono o esultano, che si abbracciano
e purtroppo sempre più spesso si picchiano.
Lo sport, dal più popolare al meno conosciuto, è un grande contenitore di storie che vanno oltre lo sport stesso, si allargano, occupano altri spazi sui mezzi di comunicazione e
nel sentire collettivo. Sono storie umane, in
cui uomini e donne si riconoscono e vedono
la fatica e la bellezza del vivere.
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Michele Serra
Bernardo Valli
Vittorio Zucconi
Poche purché belle e buone
il lusso di leggere in poltrona
Le notizie in redazione
non arrivano mai da sole
Ce ne sono di piccole e grandi
dietro ogni finestra illuminata
A DOMENICA DI REPUBBLICA è un lusso,
un lusso grafico e un lusso intellettuale. Articoli lunghi, illustrazioni
che chiedono allo sguardo di spendere un po’ di tempo, un ritmo di lettura che
si ribella alla velocità compulsiva e alla dimensione puntiforme dell’informazione.
Parafrasando la dialettica (e la polemica)
tra fast food e Slow Food, la Domenica è slow
news contro le fast news che ci fibrillano attorno. Pagine da leggere in poltrona, vorrei
dire “come una volta” se non avessi il fondato dubbio che la riconquista del proprio tempo sia, al contrario, una delle chiavi del futuro. Ritmi più civili, meno cose però migliori,
qualità contro quantità. In questo senso la
Domenica è avveniristica. E contiene anche
un paio di risposte alla crisi dei media di carta: fai di quella carta qualcosa di appena più
sostanzioso, di meno volatile, dalle più peso,
falla più “bella”, connotala come un medium
meno distratto e più riflessivo. Se vuoi avere
lettori, produci lettura.
A VELOCITÀ DELL’INFORMAZIONE, aumentata nei nostri anni con la trasmissione in diretta delle immagini,
e poi con lo spazio spalancato dall’informatica, ha provocato nel giornalismo
un cambiamento simile a quello avvenuto
nella navigazione. Quando, con grande dolore di Conrad, si passò dalla vela al motore.
O sulla terraferma dal cavallo all’automobile e poi all’aereo a reazione. La tecnologia ha
rivoluzionato il nostro mestiere. Ma un
aspetto è rimasto immutato. Ed è il ruolo essenziale del cronista che raccoglie le notizie,
che le va a cercare e controllare, e che con il
suo lavoro alimenta, fa vivere l’informazione. Dalla cui autenticità dipende in gran parte il livello democratico di una società. Le notizie affluiscono nelle redazioni come un fiume in piena. Sembra che arrivino da sole. Ma
all’origine c’è sempre il cronista. Il testimone sul posto, spesso anonimo e sempre più dimenticato.
IETRO OGNI FINESTRA illuminata c’è una storia che
aspetta di essere raccontata”, diceva Charles Osgood,
grande giornalista narratore di storie, attraversando la New York di notte. Non ci sono piccole storie e grandi storie, perché nella più umile e in apparenza irrilevante vicenda c’è l’essenza della condizione umana,
se si vuole scavare, come da dieci anni cerca
di fare la nostra Domenica. Nel tempo allucinato dalla celebrità, intontito dalle avventure dei ciarlatani famosi, la salvezza dal nulla è aprire quelle finestre illuminate e ascoltare la voce che da esse cerca di farsi sentire.
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la Repubblica
LA DOMENICA
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L’attualità. 2004-2014
Da una rivoluzione nata per caso, quella innescata da Facebook, alle incredibili dimissioni di un papa. Tante cose
sono successe in questi anni, la crisi economica, le guerre,
molte notizie hanno riempito i giornali. Abbiamo chiesto
a Roberto Saviano di sceglierne soltanto dieci. Non
le più importanti né le più
eclatanti. Solo quelle che
più di altre lo hanno colpito.
Anche personalmente
dieci
fatti
FEBBRAIO 2004
Facebookper tutti
N RAGAZZO DI PROVINCIA nato a White Plains e
cresciuto a Dobbs Ferry, figlio di un dentista e di una psichiatra, il suo nome è Mark
Zuckerberg, entra a Harvard e per vendicarsi della sua ex fidanzata crea un programma che
consente agli studenti del campus di scegliere la ragazza più bella. Il suo compagno di stanza dice che
Zuckerberg ha creato Facebook «per
divertimento». È la prova che non esiste una strada maestra per la creatività e l’efficienza. Che non esiste una
strada maestra per le rivoluzioni epocali. Che il mondo lo puoi cambiare anche senza accorgertene. Zuckerberg,
«per divertimento», ha costruito quello Stato negli Stati che è Facebook, il social network che distrugge tutti gli altri perché ha una caratteristica che lo
rende unico: la griglia comune.
Beyoncé e la più piccola, la più giovane,
la più apparentemente insignificante
tra le sue fan hanno graficamente la stessa pagina
e devono rispettare le stesse regole. I rapporti tra le
persone, il mondo, sono cambiati per sempre.
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ILLUSTRAZIONE DI GIPI PER “LA DOMENICA DI REPUBBLICA”
R OB ERT O SAVIANO
FEBBRAIO 2008
In morte di Eluana Englaro
APRILE 2009
La terra trema a L’Aquila
NOVEMBRE 2010
Wikileaks, anarchici digitali
UORE DOPO DICIASSETTE ANNI in stato vegetativo. Di quei giorni ricordo tutto in maniera vivida, ricordo le bottiglie d’acqua, le dichiarazioni di Berlusconi sulle capacità riproduttive di Eluana, ma soprattutto ricordo che su
tutti questi uomini mediocri si ergeva la figura pulita di Beppino Englaro che decise di lottare per difendere un diritto che
è di tutti: quello di
decidere del fine
vita. Se possiamo
decidere come vivere è giusto anche poter decidere
come morire. È
una battaglia di civiltà. Beppino Englaro avrebbe potuto risolvere il
dramma che la sua
famiglia viveva da
quasi vent’anni in maniera privata, clandestinamente. In qualche modo gli fu suggerito di farlo. Taci e ti risolviamo il problema. Decise invece di battersi perché in Italia l’eutanasia diventasse un dirit-
NA SCOSSA DI TERREMOTO di magnitudo 6,2 fa
tremare la provincia dell’Aquila alle 3.32
del 6 aprile causando 308 vittime, 1500 feriti, 65mila sfollati e il crollo di molti edifici. Il 10 aprile si celebrano i funerali di Stato; il 23 il
Consiglio dei ministri sceglie L’Aquila come nuova
sede del G8 per il 2009. Un capitolo tristissimo e vergognoso della storia del nostro Paese. Per la genesi
della tragedia,
per come è stata
gestita l’emergenza, per come si
sta gestendo la ricostruzione. Cinque anni fa il terremoto cancellava L’Aquila e seppelliva le vite di
molte persone
sotto le macerie dovute spesso all’imperizia di costruttori senza scrupoli. Era un altro dolore che sarebbe dovuto servire a non aspettare la prossima calamità naturale. È rimasta la cartolina di una tragedia e non la nuova topografia della speranza. Ennesima occasione persa.
L SITO RILASCIA oltre decentocinquantunomila
documenti diplomatici del Dipartimento di Stato americano, inclusi oltre centomila documenti contrassegnati come “segreti” o “confidenziali”. Forse il più grande gesto anarchico del secolo. Wikileaks ha messo a nudo il potere: quale è il suo
linguaggio, quali informazioni veicola e fin dove riesce ad arrivare.
Apre anche molti
interrogativi: è
giusto pubblicare
dati segreti, commenti, informazioni senza verifica?
Ma se ci fosse verifica, non si tratterebbe di tradire lo
spirito iniziale di
non manomissione delle fonti?
M
to di tutti e non un privilegio per pochi.
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la Repubblica
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
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FEBBRAIO 2005
Che c’è stasera su YouTube
OTTOBRE 2006
Da oggi vivo sotto scorta
AGOSTO 2007
La strage di ferragosto
ASCE YOUTUBE E NASCE COSÌ la possibilità di
produrre e diffondere video. È il primo passo per la fine della televisione che con i suoi
rigidi palinsesti dà un ordine di importanza e decide come gli utenti devono scandire il proprio tempo. Finisce la televisione che non ammette interazione, che esclude e non include. Che ha
decine di protagonisti e milioni di
osservatori passivi. Su YouTube
tutti siamo produttori, tutti possiamo creare e
diffondere contenuti, l’unico limite è la creatività.
Ovviamente.
ORSE, PER OPPORTUNITÀ, dovrei concentrare la
mia attenzione su altro. Siccome sono io a
scegliere non dovrei soffermarmi su un fatto che mi riguarda. Ma non ci riesco. E quindi rivendico. Dal 13 ottobre 2006 la mia vita è cambiata, cambiata per sempre. Mi è stata data la scorta, e dopo di me è stata assegnata ad altri giornalisti, come se tutto
questo, se il fatto
che giornalisti e
scrittori venissero minacciati in
Europa, in regime
di democrazia,
rientrasse tutto
sommato nello
scorrere normale
della vita e degli
eventi.
UISBURG, GERMANIA: sei italiani vengono uccisi nel giorno di ferragosto. Il delitto è collegabile alla ‘ndrangheta, in particolare alla
faida mafiosa di San Luca, paesino dell’Aspromonte in Calabria. La Germania si accorge di
avere la mafia in casa. La ‘ndragheta ammazza in terra straniera, o almeno in una terra che si credeva
straniera per un’organizzazione che ha
le sue radici in Calabria. In realtà la Germania per le ‘ndrine era ormai casa da
tempo. Di quel sangue versato si pentiranno amaramente: per l’attenzione
dei media e per aver distrutto un muro
di silenzio che era congeniale e necessario. Ma in quel momento, e in quelle
circostanze, versare sangue serviva a
riportare ordine e a ristabilire priorità e
gerarchie. Le organizzazioni sono sempre molto prudenti. In quel caso era
molto più forte l’obiettivo della faida
che difendere e schermare gli affari.
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SETTEMBRE 2011
Occupy Wall Street
MAGGIO 2012
Obama e i matrimoni gay
FEBBRAIO 2013
Si è dimesso il Papa
UELLO DI ZUCCOTTI PARK è stato, e in parte nei
suoi effetti è ancora, un movimento potentissimo che ho potuto vivere dal suo interno. Un movimento composto da tante
diversità. Per poter scendere in piazza, per poterti
unire alla protesta, non dovevi essere solo proletario, solo disoccupato, solo studente, solo pensionato, solo cassintegrato, solo impiegato pubblico, solo metalmeccanico, solo imprenditore. No. La protesta includeva
chiunque volesse
cambiare il corso
delle cose, la protesta includeva
chiunque (il 99
per cento) avesse
la consapevolezza
che solo insieme si sarebbe davvero potuto cambiare qualcosa. Nessuna preclusione di razza, religione o ceto sociale. Occupy Wall Street è stata la rivoluzione della rivoluzione.
ARACK OBAMA SI SCHIERA a favore del matrimonio fra persone dello stesso sesso, diventando così il primo presidente degli Stati Uniti d’America a dirsi favorevole a questo tipo di unione. Il primo presidente a dare importanza a un diritto civile che nulla toglie alla società, ma che apre la strada a nuove ipotesi di famiglia e di felicità.
ENEDETTO XVI ANNUNCIA le sue dimissioni
dall’incarico di pontefice. Non era mai accaduta una cosa del genere nella modernità (l’ultimo papa dimissionario, Gregorio XII, lasciò il pontificato nel 1415). Ecco perché
si apre un dibattito mondiale sulle ragioni che hanno motivato un gesto cui nessuno era preparato.
Ragioni fisiche?
Morali? Inadeguatezza al potere? La
perdita di consenso con cui anche il
pontificato deve
confrontarsi? Si dimette Benedetto
XVI e viene eletto
un papa argentino
che comunica diversamente, che
inizia con la società civile una interlocuzione nuova, che pone una visione nuova
del papato.
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LA DOMENICA
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
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Officine. 2004-2014
Dove cerca spunti per i suoi libri Alessandro Baricco? Anche qui, sulla “Domenica”. Così
almeno ci assicura lui
dieci
storie
E NELLA VITA SCRIVI LIBRI, bene o
male sei sempre a caccia di storie. Un modo di trovarle è leggere: qualsiasi cosa, in qualsiasi momento. Alle volte passi ore
a sfogliare roba e ti porti a casa
giusto qualche briciola; altre,
abbassi gli occhi su una pagina
e trovi il tuo prossimo romanzo.
Va così. Ma certo accade, di tanto in tanto, di trovare delle vere
e proprie miniere. Faccio un
esempio a caso: La Domenica di Repubblica. Sono dieci anni che la tengo d’occhio, e il mio taccuino è pieno di mozziconi di storie che vengono da lì: spesso è anche solo un nome, o una data. Per me che me li appunto, sono il cuore di un
possibile racconto, o addirittura di un romanzo. Sono il possibile inizio di un sacco di cose.
Faccio un mestiere strano.
Comunque sia, dovendo festeggiare in qualche modo il
decennale, mi sono deciso a restituire una parte del maltolto. Ho aperto il taccuino, ci ho preso dieci appunti che vengono da La Domenica, e ho pensato di spiattellarli qui. Quel
che vorrei far capire è che il giornalismo, quando è narrazione, ha nel sangue un virus: farsi contagiare, e ammalarsi alla grande, è poi un nulla.
Dunque, con gratitudine e ammirazione, ecco la cronaca
di dieci istanti in cui ho rubato a La Domenica una scheggia
di realtà, o di fantasia, pensando, almeno per un attimo, di
cavarne un libro.
S
1. Il rigore perfetto
ENNAIO 2005. LEGGO un articolo su un pazzo che si
è messo in testa di studiare il sistema perfetto
per battere un calcio di rigore. Con costernazione apprendo che non si tratta di un pazzo ma di
un laureato a Oxford. Nome: Ronald Ranvaud (tipico nome da romanzo). Attualmente insegna fisiologia e biofisica all’Università di San Paolo del Brasile (e lì si comincia a
capire…). La sua idea è che, se ti metti a studiare le cose per benino, riduci il caso a nulla, e il resto è scienza. Lo ha molto incoraggiato sentire un centravanti brasiliano
pronunciare la seguente frase: «Certo, ci
vuole fortuna, ma ho notato che più mi alleno più sono fortunato».
(Per un attimo penso a un romanzo in cui
uno studia per anni il metodo perfetto per
battere un calcio di rigore, e intanto la sua
vita va a pezzi senza che lui riesca anche solo minimamente a capirci qualcosa. Nella
scena finale l’uomo, ormai in rovina, batte,
a piedi nudi, un rigore, in un giardino pubblico, contro un bambino di sette anni, e in una porta che come pali ha un maglione e un cane addormentato. Mai scritto. Il libro, dico: non riuscivo a decidermi se segnava o no).
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ILLUSTRAZIONE DI GIPI PER “LA DOMENICA DI REPUBBLICA”
AL E SSANDRO BAR I C C O
5. L’aeroporto dei partigiani
6. Il grande Fred
7. L’anno bisestile
EL SETTEMBRE 2009, TROVO un articolo che racconta una cosa che non sapevo, anche se è avvenuta dalle mie parti: a cavallo tra il 1944 e il
1945, i partigiani costruirono un aeroporto, segretamente e nel nulla, dalle parti del fiume Bormida. Ci
misero undici giorni, con l’aiuto di gente che abitava vagamente in zona. La pista era lunga quasi un chilometro.
Terra battuta. Ci atterrarono almeno sei
aerei americani. Quando i tedeschi la scoprirono, la distrussero arandola.
(Per un attimo penso al tedesco che ara
un chilometro di pista per aerei, e mi viene
da immaginarlo improvvisamente felice,
mentre fa quello che faceva a casa sua: lavorare la terra. Vedo anche i partigiani, che
acquattati da qualche parte, da lontano lo
vedono andare avanti e indietro. Penso che
sarebbe un bellissimo racconto, ma poi,
per ragioni sconosciute, non lo scrivo).
N UN MESE CHE NON RICORDO DEL 2005, trovo un articolo su
Fred Buscaglione, e naturalmente lo leggo, perché io
adoro quell’uomo. Mi son sempre chiesto perché non sia
considerato un grande assoluto: probabilmente c’entra la piemontesità, una cosa complicata. Comunque. Nell’articolo scopro come morì. Erano le 6 e 20 del mattino e lui
stava attraversando il centro di Roma ai cento all’ora sulla
sua Ford Thunderbird rosa decappottabile, interni in
crema. 3 febbraio
1960. Centrò in pieno un camion. Trovo magnifico quel
che il camion stava
trasportando: blocchi di tufo.
(Per un istante
immagino un racconto di quegli
istanti. Il protagonista, naturalmente, è il camionista. Sono sicuro che aveva
incontrato la donna della sua vita in una sala danze, una
sera che a cantare era Fred Buscaglione. Poi, per diverse
ragioni, non avevano finito per amarsi come sarebbe stato conveniente. Poi, per diverse ragioni, il racconto non
l’ho mai scritto).
2007, NON RIESCO a resistere, ovviamente, a un articolo sull’anno bisestile (scopro,
tra l’altro, perché si chiama così: troppo lungo da
spiegare). Apprendo che, a proposito di inesattezze del calendario, il Papa Gregorio XIII scoprì, mettendo
sotto i suoi astronomi, che in realtà, a furia di errorini, la cristianità era in ritardo di una decina di giorni sul tempo reale. Presto fatto: con una bolla papale spostò
tutto il mondo cristiano, in una notte del
1582, dal 4 al 15 ottobre. Dieci giorni sparirono nel nulla: coi casini che si possono
immaginare. La cosa che mi colpisce di
più, comunque, è un’altra. Dato che anche
gli astronomi del Papa non erano infallibili, da allora contiamo i giorni con un minuscolo eccesso di tre millesimi di giorno all’anno. Fa notare l’ammirevole estensore
dell’articolo che, andando avanti di questo passo, fra soli tremila anni ci troveremo tutti quanti un giorno avanti rispetto
alla realtà. Dovremo dunque tornare indietro e rivivere un martedì.
(Per un istante concepisco l’idea di fare un racconto fantascientifico in un cui un intero pianeta, fra tremila anni,
torna indietro di un giorno, per riallineare il calendario alla
realtà: si decide, per l’occasione, di tornare veramente tutti indietro e di rivivere lo stesso giorno appena tramontato:
ma con un sacco di informazioni in più, ovviamente. Poi non
l’ho mai scritto perché mi ricordava maledettamente “Il
giorno della marmotta”).
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EL DICEMBRE
la Repubblica
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
2. Il signor Moplen
EL DICEMBRE 2004 FINISCO su un articolo dedicato
3. La teoria dei vetri rotti
EL SETTEMBRE 2007 LEGGO, non so perché, un articolo sulla “tolleranza zero”, mitica dottrina dell’allora sindaco di NY. Apprendo che si trattava di una
bufala, e va be’. Quel che mi colpisce però è la “teoria dei vetri rotti”: dice che il degrado di un quartiere non è
l’effetto ma la causa della delinquenza. Abbiate cura delle
strade, dei giardini, dei vetri alle finestre, e la gente si vergognerà di rubare: più o
meno suonava così. Per
legittimarla, tal Philip
Zimbardo, psicologo di
Stanford, fece il seguente
esperimento: parcheggiò un’automobile senza
targa e col cofano aperto
in una strada del Bronx, e
un’altra automobile, nelle stesse condizioni, in
una via di Palo Alto, California. Poi stette a vedere cosa succedeva. Nel
Bronx, dopo dieci minuti era già arrivata una famigliola a
portarsi via la batteria: in ventiquattr’ore, la macchina era
ridotta ai minimi termini. A Palo Alto, per una settimana
nessuno la toccò. Allora il prof. Zimbardo ne fracassò una
fiancata con una mazza da fabbro: da quel momento bastarono poche ore per vedere famigliole per bene spuntare da
ogni parte e portarsi via tutto. Fine dell’esperimento.
(Per un attimo immagino un racconto con un montaggio
alternato, prima su una macchina e poi sull’altra. Solo i suoni, le parole, le voci. Poi capisco che sarebbe un racconto che
piacerebbe solo a me).
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4. Le misure scomparse
EL LUGLIO 2008 NON POSSO fare a meno di leggere un
N
N
N
8. Histoire d’O
9. Il coefficiente Gini
10. Marte sola andata
EL FEBBRAIO 2014 TROVO un articolo su una cosa che
mi interessava già da tempo: il coefficiente Gini.
È l’indicatore da tutti adottato per misurare la distanza tra i ricchi e i poveri di un Paese. Praticamente misura la diseguaglianza. Dall’articolo apprendo
che a metterlo a punto era stato uno statistico italiano, Corrado Gini. La cosa interessante è che un uomo così geniale
si prese, in vita, almeno
due svarioni celestiali. Il
primo fu scrivere, nel
1927, un libro, molto argomentato, con questo
singolare titolo: Le basi
scientifiche
del
fascismo. Non contento,
e riabilitato dopo un po’
di purgatorio, dopo la caduta del fascismo, il Gini
aderì entusiasticamente
a un movimento il cui obbiettivo, perlomeno curioso, era il seguente: annettere l’Italia agli Stati Uniti.
(Per un attimo decido di dedicarmi a un racconto in cui
emerga, con la necessaria chiarezza, il fatto che un uomo capace di un’idea geniale può con assoluta naturalezza, e nel
medesimo arco di anni, partorire convinzioni di un’idiozia
spettacolare. Poi non lo scrivo perché non amo scrivere libri
troppo esplicitamente autobiografici).
NFINE, NELL’APRILE 2013, FINISCO a leggere un articolo su una
storia assurda: c’è gente, in Olanda, che sta seriamente producendo un reality show in cui un certo numero di umani
va su Marte e poi lì, per evidenti ragioni, crepa. Il progetto
si chiama “Mars One”. Il preventivo di spesa è altino, ma il produttore è convinto che alla fine ci sarà da guadagnare. Ecco quello che ha dichiarato: «Se hai un miliardo di telespettatori, i sei
miliardi di dollari necessari
per la colonizzazione di Marte non sono poi così tanti».
Prima di deprimermi riesco
a trovare, in un angolino dell’articolo, una notiziola che
mi fa tornare il buon umore:
nel 1968, Juan Trippe, fondatore della Pan Am, cominciò a raccogliere prenotazioni per i primi voli sulla Luna.
Il biglietto costava 14mila
dollari. Si misero in lista di
attesa in centomila. Il primo
viaggio era previsto per trent’anni dopo: non se ne fece niente
perché la Pan Am fece fallimento.
(Per un istante penso che mi piacerebbe terribilmente descrivere in un raccontino una coppia di trentenni americani
che, lucidamente, decidono una sera di comprare un biglietto
per la Luna e di passare là sopra il loro sessantesimo compleanno. Già me li immagino invecchiare per anni, ammorbati da una
vita molto ordinaria, ma splendidi nel fulgore della loro decisione. Il giorno della partenza, i figli li chiudono in casa e non se
ne fa niente. Adesso, a ripensarci, come raccontino non era poi
tanto male. Capace che lo scrivo, prima o poi).
al Moplen. Come sarebbe a dire «cos’è?». Non
scherziamo: la mia generazione ci è cresciuta,
col Moplen. Praticamente era la plastica: ma prima non esisteva. Adesso la plastica è demonizzata, ma bisogna pensare che, ai tempi, era un anticipo di Paradiso
(si avevano idee piuttosto modeste a proposito del Paradiso). Dall’articolo apprendo che a inventarlo, il Moplen, era stato
un italiano con un nome da comunista: Giulio Natta.
(Per un attimo concepisco il progetto di
raccontare tutta la mia
giovinezza raccontando dodici oggetti in
Moplen. Abbandono
presto il progetto perché detesto scrivere libri troppo esplicitamente autobiografici).
ELL’AGOSTO 2009 FIGURATI se non leggo un articolo
N
dedicato a Gallimard, la più mitica delle case editrici. Scopro un sacco di belle storie. La migliore è
questa: il boss della faccenda, Paulhan, uomo di
immenso fascino, aveva una segretaria di nome Dominique
Aury: una donna austera, dai tratti scialbi, sempre in tailleur scuro. Erano amanti, come alle volte succede. La suddetta signorina Aury
confessò poi, quando
più o meno era sui novant’anni, che a scrivere Histoire d’O, capolavoro della letteratura
erotica, era stata lei. Lo
fece in un’intervista al
New Yorker.
(Per un istante penso, naturalmente, a un
modo per raccontare di
un uomo che si fa stenografare ogni giorno
le lettere da una signorina, finendoci senza grande entusiasmo a letto, quasi per dovere: poi, quando ha novant’anni, e vive ormai di pantofole e modeste soddisfazioni culinarie, scopre che quella signorina era stata per
anni una star del cinema porno. Per mia fortuna, ho poi lasciato cadere il progetto).
N
articolo dall’argomento sublime: le misure scomparse. Nel senso: tutte le unità di misura che sono
scomparse dopo l’avvento del metro. Già i nomi sono commoventi: il cubito, la parasanga, l’acro (apprendo, tra
l’altro, che l’acro è di origine medioevale e indicava, oh meraviglia, la quantità di terreno che un uomo e un bue potevano arare in una giornata di
lavoro). Tra le altre cose,
dopo aver letto centinaia di
pagine di Cechov e Verne,
scopro finalmente quanto
è lunga un versta russa
(non ve lo dico) e cosa significava 20.000 leghe sotto i mari (uno sproposito).
In un angoletto dell’articolo, trovo questa storia: tal
Steve Thoburn, droghiere,
si ostinò per sette anni a
sfidare la legge e a vendere
le sue banane in libbre e non in chili. Morì di crepacuore subito dopo essere stato condannato in via definitiva da un tribunale inglese.
(Per un attimo penso seriamente di inventare la storia di
Steve Thoburn, facendone un simbolo di un’anarchica allergia alle regole. Non è una cosa che poi ho fatto: ma non escludo di farla, prima o poi).
I
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la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
44
Spettacoli. 2004-2014
Da “Up” a “Gravity”, dall’animazione alla fantascienza. Gabriele
Salvatores attraversa i generi. E
assegna i suoi Oscar al decennio
dieci
film
D
IECI ANNI,
dieci generi
cinematografici,
dieci film.
Un gioco interessante.
Anche “crudele”,
perché mi costringe
a non citare film
molto belli
di autori che amo,
ma che non rientrano
in un genere specifico.
Un bel gioco, comunque,
perché ho sempre amato
i “film di genere”,
soprattutto quando
a realizzarli è un autore
con un suo sguardo
personale, riconoscibile...
Per cui, ecco qui.
THE DEPARTED
MARTIN SCORSESE, 2006
(THRILLER)
È incredibile come
Scorsese riesca
a rimanere “giovane”.
Ritmi serrati, musica
che irrompe con la forza
di una folata di vento,
violenza e tensione.
Cosa è vero e cosa è falso?
Chi sono i buoni e chi
i cattivi? Un gruppo
di attori straordinari
con tutti i colori
della recitazione,
dal minimalismo
di Damon all’istrionismo
(perfettamente in linea
col personaggio)
di Nicholson, passando
dalla verità alterata
di Di Caprio.
LA PROMESSA DELL’ASSASSINO
DAVID CRONENBERG, 2007
(GANGSTER)
Un regista visionario
e non “allineato”
si confronta
con uno dei più classici
tra i generi
cinematografici.
Grande capacità
di creare atmosfere
e inquietudini.
Un viaggio scuro
in un mondo nascosto
e arcaico, con le sue leggi
da clan, che si annida
nella Londra
contemporanea, teatro
di storie e segreti
che vengono da lontano.
La sequenza della lotta
nella sauna
con Mortensen nudo,
è una di quelle che
ti si ficcano
nella memoria.
TALKIEWALKIE
AIR, 2004
Se Moon Safari aveva
portato il duo francese
degli Air alla vetta
della creatività
elettronica, Talkie
Walkie li mette al vertice
dell’espressione
sentimentale.
Il disco è suadente,
commovente, umano,
romantico, e al tempo
stesso iperelettronico,
tecnologicamente
splendente, essenziale.
Canzoni e esperimenti,
algoritmi e lacrime,
si fondono in un album
dove non c’è una sola
nota fuori posto. E Alone
in Kyoto, colonna sonora
di Lost in Translation,
è uno dei grandi
capolavori
contemporanei.
BACK TO BLACK
AMY WINEHOUSE, 2006
Era il prodigio del nuovo
millennio, una gemma
che sembrava spuntata
da chissà quale epoca,
e al secondo disco aveva
sbancato la scena
col suo misto di classicità
soul e stridente
modernità. Era
la migliore voce emersa
negli ultimi anni,
bruciante di sincerità
emotiva, fuori
dagli schemi, geniale
e dissoluta come solo
le grandi sanno essere.
Da Rehab,
con l’autoironica
ammissione
di refrattarietà a ogni
trattamento riabilitativo,
all’infinita bellezza
romantica di Love is a
Losing Game, il disco
è un irripetibile carniere
di pulsante vita musicale.
WHATEVER PEOPLE SAY I AM,
THAT’S WHAT I’M NOT
ARCTIC MONKEYS, 2006
Si può essere una giovane
band “indie” e realizzare
uno degli album
più influenti degli ultimi
anni. Si può scrivere rock
senza copiare i classici,
uscendo dai cliché. Si può
avere successo e vendere
un disco dopo aver
conquistato il pubblico
con i concerti e internet.
È così che hanno fatto
gli Arctic Monkeys
con il loro album
d’esordio nel 2006.
Il nuovo rock inglese
comincia da questo
pugno di canzoni
che fanno piazza pulita
di quanto era stato fatto
dalla fine del brit pop
in poi, dimostrando
che il rock non solo
non è morto ma gode
di un’ottima salute.
ILLUSTRAZIONE DI GIPI PER “LA DOMENICA DI REPUBBLICA”
G AB RIELE SALVAT O R ES
GOOD NIGHT AND GOOD LUCK
GEORGE CLOONEY, 2005
(BIOPIC)
Anche un giornalista
e conduttore tv ha diritto
a un film biografico. Con
uno splendido bianco e
nero (perché i produttori
storcono sempre il naso
davanti a un progetto
da girare in bianco
e nero?), Clooney regista
ci racconta una storia
piena di ironia, umanità
e impegno con un
protagonista che non
puoi non amare,
interpretato da un
grandissimo attore
purtroppo poco
utilizzato, David
Stroathairn. Cinema
di impegno civile,
mai dogmatico,
mai didascalico, sempre
divertente. Con alcuni
inserti di immagini
documentarie
che si integrano nel film.
Quali, tra quelli che avete amato
in questi dieci anni, ascolterete
ancora? La coppia più notturna
del web non ha dubbi. Questi
dieci
dischi
E R NEST O ASSANT E e G I N O CAST AL D O
D
IECI ALBUM
per raccontare
dieci anni
di musica
sono veramente troppo
pochi. Quindi,
più che il «meglio»
del decennio abbiamo
preferito segnalare
gli album
che secondo noi,
non sono invecchiati,
quelli che ancora oggi
sembrano «nuovi»,
interessanti, originali
e contemporanei.
Tanto per dire
che la buona musica
non viene solo
dal passato.
la Repubblica
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
LASCIAMI ENTRARE
TOMAS ALFREDSON, 2008
(HORROR)
Per me, forse,
uno dei film sui vampiri
più belli degli ultimi anni.
Perché è un film d’amore!
E se, nel genere,
la passione ha sempre
giocato un ruolo
importante, qui si parla
proprio di tenerezza,
attrazione, protezione,
rinuncia del proprio io
a favore di un altro essere
(umano?), in una parola,
appunto, d’amore.
Un grande, piccolo film
europeo che si confronta
con un genere riuscendo
a dire qualcosa di nuovo.
E che mi ha fatto venire
gli occhi lucidi.
Una domanda da porre:
come mai il remake
americano, stesso plot,
stessa ambientazione,
non funziona?
NEON BIBLE
ARCADE FIRE, 2007
Amati da tutti i grandi
musicisti dei nostri
giorni, considerati come
la più plastica e geniale
rappresentazione
musicale odierna,
gli Arcade Fire sono
riusciti nel giro di pochi
anni a diventare
star planetarie,
senza cedere nulla
sul piano della creatività
e dell’ingegno.
Il successo, al contrario,
ha consentito alla band
di crescere, arrivando
alla maturità di questo
Neon Bible che è, senza
alcun dubbio,
uno dei dischi più
completi e affascinanti
degli ultimi dieci anni.
Rock, pop, folk, jazz
e altro ancora in
un’unica, misteriosa,
miscela.
UP
P. DOCTER E B. PETERSON, 2009
(ANIMAZIONE)
La Pixar ha cambiato
il modo di fare i cartoon.
E lo continua a fare
con lo sguardo
di un “autore”.
Innovazione tecnica
a parte (comunque
straordinaria),
quello che colpisce,
inUp e nel precedente
Wall E (più sorprendente
e innovativo fino a
sfiorare l’arte figurativa
contemporanea)
è la perfezione
degli script, la psicologia
dei caratteri, lo sguardo
cinico e insieme tenero
sulla vita e (curioso
per un cartoon)
l’umanità dei
personaggi. Come
una volta le fiabe, i film
della Pixar parlano di noi
e delle nostre vite.
VIVA LA VIDA
COLDPLAY, 2008
Con questo album,
secondo Chris Martin,
la band esce
«da un mondo in bianco
e nero per entrare in uno
a colori». Tra la poetica
della “malinconoia”
e la fascinazione
dell’elettronica,
i Coldplay hanno
cambiato pelle e nel disco
si respira aria di grande
libertà e di creatività.
Brian Eno come
produttore permette
al gruppo di allargare
gli orizzonti.
I quarantadue minuti
dell’album lasciano
una piacevole
sensazione, quella
che il rock, anche oggi,
possa essere un territorio
dove avanguardia
e popolarità
si incontrano.
INCEPTION
CHRISTOPHER NOLAN, 2010
(NOIR)
Incrociando
fantascienza cyber,
azione e thriller, Nolan
costruisce un noir onirico
che è una matrioska
cinematografica
o una scatola cinese
narrativa che,
a ogni strato, ti rivela
nuove dimensioni.
Da sempre amo il cinema
di Nolan
per la sua capacità
di usare le immagini,
per gli intrecci narrativi
dove il reale continua
a sfuggirti, perché
ricerca un cinema
innovativo, a volte
sperimentale, che, però,
non rifiuta il rapporto
con il grande pubblico
e il confronto
con il mercato.
Cinema spettacolare
ma non omologato.
HUGO CABRET
MARTIN SCORSESE, 2011
(FANTASY)
Mi rendo conto che
definire “fantasy” questo
film è un po’ azzardato,
ma, trattandosi di Méliès
e della magia
del cinema... In fin
dei conti è una di quelle
favole di cui, a volte,
abbiamo bisogno. Qui
c’è un uso intelligente
ed efficacissimo del 3D,
tutto giocato sulla
profondità di campo,
dallo schermo verso
il fondo della scena,
non verso la platea.
L’anima non realistica
del Cinema, la vertigine
dell’illusione che diviene
reale. È tutto finto,
ma sembra tutto vero.
Un “fantastico” atto
d’amore, un gioco
di prestigio che sarebbe
piaciuto all’illusionista
Georges Méliès.
007 SKYFALL
SAM MENDES, 2012
(AZIONE)
Uno 007 un po’
acciaccato, la presenza
costante della Morte
fin dai bellissimi titoli
di testa, dopo
la straordinaria
sequenza d’azione
che apre il film.
Da un regista che viene
dal teatro, una pellicola
che riesce a fondere,
azione e malinconia,
suspense e pensiero.
Magnifiche immagini,
grande divertimento
e un senso ineluttabile
di “perdita”, di tempo
che passa, di vecchie navi
da battaglia
che rientrano ferite
in porto, di vita
che se ne va.
VECKATIMEST
GRIZZLY BEAR, 2009
Il rock ha molte vite,
è spesso morto,
altrettanto spesso
rinato, con nuove forme,
nuovi suoni e nuovi
sentimenti. Quindi,
anche se è difficile
apparentemente
considerare rock
nel senso classico
del termine i Grizzly
Bear, è facile dire
che ne sono l’odierna
e più originale
incarnazione.
Veckatimest è un ottimo
esempio di come si possa
fare della musica
che sia al tempo stesso
contemporanea e fuori
dal tempo, come solo
le grandi musiche
sanno essere.
HIGH VIOLET
THE NATIONAL, 2010
Gli anni Ottanta,
un certo sapore dark,
la voglia di rimettere
in circolo poesia
ed emozione.
Questo è High Violet
dei National e anche
qualcosa in più. La band
di Brooklyn ha ben chiaro
il compito, difficile,
che ha davanti: quello
di creare una musica
per il nuovo millennio
che sappia essere
colonna sonora.
La crepuscolare bellezza
delle canzoni trova
nella vocalità profonda
di Matt Berninger
una chiave espressiva
sentimentale.
È la bellezza il cuore di
questo lavoro, oscura,
misteriosa, affascinante,
che prende la forma di
canzoni indimenticabili.
WRECKING BALL
BRUCE SPRINGSTEEN, 2012
C’è chi l’ha definito
il più arrabbiato
dei dischi del Boss,
ed è singolare
considerando
che si tratta
della sua diciassettesima
produzione e che è stato
inciso all’età
di sessantatré anni.
Come dire che lo spirito
eroico di Springsteen
non ammette cedimenti,
e anzi viene rilanciato
dai disagi del tempo
e della desolazione
economica e sociale.
È anche il migliore
della sua recente
produzione, per varietà,
intensità dei versi,
per la sofferta ispirazione
con cui è stato realizzato,
segno che la vitalità
del rock può non essere
una questione di età.
45
GRAVITY
ALFONSO CUARON, 2013
(FANTASCIENZA)
La fantascienza
nell’epoca del digitale
e degli effetti speciali.
L’assenza di gravità
viene fatta sperimentare
allo spettatore con una
macchina da presa
che galleggia insieme
agli oggetti e ai corpi,
grazie anche al buio
dello spazio cosmico
che si fonde in quello
della sala fino
alla perdita di qualsiasi
punto di riferimento.
Il lungo piano sequenza
iniziale che danza
nello spazio passando
dai totali ai dettagli
e viceversa è già la cifra
stilistica del film.
Ormai la creazione
delle immagini
sta sempre
di più passando dal set
alla post-produzione.
GRAND BUDAPEST HOTEL
WES ANDERSON, 2014
(AVVENTURA)
Forse non è solo un film
d’avventura ed è anche
per questo che mi piace,
per la sua forte
derivazione letteraria
e “filosofica”, per il suo
dichiarato amore per
Lubitch e perché
è un film di Wes
Anderson: umanità
e cinismo, divertimento
e pensiero, meravigliosa
messa in scena, attori
straordinari. I film di Wes
Anderson sono
immediatamente
riconoscibili. Qui ti
ritrovi tra montagne
incantate dalla neve,
in compagnia di
personaggi bizzarri,
dalle biografie incredibili
ma che ti sembra
di riconoscere.
E inizia l’avventura.
OVERGROWN
JAMES BLAKE, 2013
Nel disco, il secondo
realizzato da Blake, ci ha
messo lo zampino Brian
Eno, portando l’estro
cupo del cantautore
elettronico a un livello
altissimo, in cui il calore
dolente della voce
si sposa con una sorta
di disperato nichilismo.
Più di altri, nel contrasto
tra l’umanità desolata
e tormentata della sua
voce e la scheletrica
ossatura elettronica
dei suoi pezzi, Blake
sembra un perfetto figlio
dei nostri tempi, come
fosse un’elegia sintetica
a tutto quello
che abbiamo perso
e non abbiamo ancora
riconquistato.
Vedi soprattutto il brano
Retrograde, un gioiello
di musica 2.0.
YEEZUS
KANYE WEST, 2013
Il rap si ripete, da tempo.
Allora Kanye West,
sfrontata stella
del genere, pensa bene
con Yeezus di esagerare,
di rompere abitudini
e formalità e di inventare
una musica che non c’è.
Elettronica e rumore,
digitalizzazione
e tecnologia, mescolati
con carne e sangue,
sudore e passione,
per uno degli album
più clamorosamente
innovativi del nuovo
millennio. Lui resta
antipatico, eccessivo,
volgare, ma la musica
lo porta altrove,
trasformandolo
in un innovatore senza
paura, che giganteggia
in un mondo musicale
dove la ripetitività
e la noia regnano sovrani.
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LA DOMENICA
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
46
Next. 2014-2024
La conoscenza la ingeriremo in pillole. Il cibo lo stamperemo in 3D. Quanto a noi, capsule senza pilota ci porteranno
ovunque (quando non saremo teletrasportati). Ecco come sarà la nostra vita tra dieci anni secondo quel Nicholas
Negroponte che vent’anni
fa profetizzò come avremmo vissuto oggi
dieci
invenzioni
GNI RIVOLUZIONE ha
un suo ideologo.
Quella digitale non
fa eccezioni. Ed è
davvero difficile
evitare di associare Nicholas Negroponte, fondatore
del Media Lab del
Mit, a questa primogenitura teorica. La mise per
iscritto in Essere
digitali, nel 1995
un manuale di
istruzioni per il futuro. E un manifesto da cui oggi è arduo scegliere i passaggi più profetici.
La scelta, alla fine,
cade su questa intuizione: “L’informatica non si occupa più di computer
ma della vita. I bit,
il dna dell’informazione, stanno rapidamente rimpiazzando gli atomi come materia prima di base dell’interazione umana”.
Da calcolatori a strumenti di comunicazione. Dalla
matematica alle lettere. Dalle astrazioni della tecnica
O
ILLUSTRAZIONE DI GIPI PER “LA DOMENICA DI REPUBBLICA”
R ICCARDO ST AGLI ANÒ
La sua “profezia” fu capire che «tutto ciò che avrebbe potuto essere digitalizzato lo sarebbe stato». È
andata così ma alcuni critici, come il tecnologo Jaron Lanier e gli economisti Brynjolfsson e McAfee,
sostengono che questo trasloco dagli atomi ai bit
abbia impoverito la classe media, distruggendo più
posti di lavoro di quanti ne abbia creati.
«Lanier è troppo auto-referenziale e con i piedi non
abbastanza per terra. McAfee e il suo socio hanno
uno sguardo più equilibrato al fenomeno. La stessa
tecnologia che criticano è utilizzata per imparare
meglio e costruire così una società con maggior resilienza anche di
fronte agli sconvolgimenti del
mondo del lavoro. In questo dibattito immagino anche esiti
paradossali, come il protestare
contro le auto
senza pilota per
far sì che gli autisti di Uber continuino ad avere
di che campare.
Ma anche loro sono visti come distruttori dello status quo dei tassisti. Insomma, tutto è relativo».
Lei coniò anche il concetto di “daily me”, il giornale a immagine e somiglianza del lettore. Google
3.
News gli assomiglia molto ma oggi, in Spagna, Google minaccia di cancellare il servizio se il governo
insisterà per condividere un po’ dei profitti di
Mountain View con i giornali che producono le notizie linkate.
«Google genera così tanto traffico verso quei siti
che, da parte loro, pretendere anche una parte dei proventi del motore di ricerca mi parrebbe altrettanto folle dello scenario in cui fosse Google a pretendere un
po’ dei profitti realizzati dai siti che linka».
Lei prefigurava i micropagamenti. Non più giornali comprati in blocco ma à la carte, pagando per gli
articoli del giornalista preferito. Lo stesso poteva applicarsi
ad altri servizi.
Perché non hanno attecchito?
«Riformulerei la
sua domanda: perché non hanno ancora attecchito? Le
ripeto ciò che pensavo allora: vedrà,
attecchiranno.
Comprare la musica a brani anziché ad album è ormai normale. Lo sarà
presto anche per i giornali. E anche per l’editoria in
senso più ampio, con sempre più persone che si pubblicheranno da soli».
4.
5.
6.
Riagganciandoci al decimo compleanno della nostra Domenica di Repubblica, quali principali sviluppi immagina per i prossimi dieci anni?
«I veri grandi cambiamenti saranno nella biotecnologia, all’intersezione tra microelettronica e biologia. Man mano che riusciamo a produrre chip sempre
più minuscoli realizzare robot che possano vivere nel
nostro sistema sanguigno, eliminando le malattie, diventa realistico».
L’ultima moda è la stampante in 3D. Grazie a lei cosa riusciremo a fare?
«Direi che potrebbe anche riuscire a stampare animali viventi».
Accolgo l’iperbole
solo perché detta
da uno che vent’anni fa profetizzò la fine di Blockbuster, il
gigante del noleggio di videocassette. Scherzi a parte,
come consumeremo i media tra due
lustri?
«Tutti i tipi di conoscenza saranno
ingeriti, ingoiati.
La conoscenza arriverà direttamente nel nostro cervello attraverso il sistema sanguigno. E, mi creda,
neppure questa è un’iperbole. Ciò non significa che
guardare o ascoltare perderà il suo appeal».
la Repubblica
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
alla vita pulsante. Alcuni dei suoi azzardi, all’epoca, ci
sembravano colpi di teatro. Invece, se non la tempistica, la sostanza era giusta. Perciò oggi siamo tornati da lui per un bilancio sui due decenni trascorsi e per
una previsione sul prossimo. «Se dovesse sopravvivere solo una frase dalla nostra conversazione voglio che
sia questa» risponde tra un aereo e l’altro: «La connessione è un diritto umano. Ogni essere umano, in
quanto tale, dovrebbe avere accesso a internet».
A vent’anni dal suo libro seminale di quali parti è
più orgoglioso?
«Direi l’obbedienza pedissequa con cui il futuro si è
dispiegato dopo la
sua pubblicazione.
Ma non è stata una
sorpresa. E il motivo è semplice: il libro non era una
previsione, ma
un’estrapolazione
da ciò che stava
succedendo all’epoca. Non è stato
così difficile quindi
prendere quelle attività e proiettarle
nel futuro».
Tra le cose che si sarebbero smaterializzate erano
inclusi i libri. Ora gli ebook sono una realtà: le piacciono? E quali altre evoluzioni immagina per la lettura?
7.
8.
E come studieremo? Piattaforme online come Coursera avranno la meglio su Harvard?
«Coursera no, perché nonostante la prevalente gratuità ha fatto l’errore di partire come un’impresa per fare profitti. La sua concorrente EdX potrebbe mangiarsi
i propri sponsor, tra cui il mio Mit, Harvard, Berkeley,
ma solo quanto a efficienza dell’insegnamento. Ciò che
immagino è che assisteremo a un abbandono del modello tradizionale di lezione in classe e le università
diventeranno piuttosto il luogo della concezione di
nuovi format di apprendimento».
Crede che per allora ci sposteremo da un luogo all’altro con le auto
senza pilota che
stanno testando sulle strade
della California?
«Credo piuttosto che si tratterà più precisamente di capsule senza pilota. La maggior parte della
gente vivrà in
città. Nessuno
sotto i trent’anni vivrà nei suburbi, come accade oggi.
E queste capsule, come navette automatizzate, costituiranno una fetta di mobilità maggiore di quella che
riusciamo a immaginare oggi. Ma a priori non esclu-
1.
2.
9.
47
«L’incarnazione del testo come softcopy, ovvero la
sua versione non stampata (il contrario di hardcopy),
trasmissibile e malleabile, è stata realizzata bene su vari apparecchi ed è destinata a restare con noi a lungo. I
prossimi passi riguarderanno più la scrittura che la lettura. Una storia, in futuro, potrà avere più a che fare con
un modello narrativo che con una modalità espressiva.
E quel modello sarà usato per generare, in maniera personalizzata grazie al software, un film, un audio, un’animazione, un testo o qualsiasi altra cosa. Magari una
pillola».
Un altro suo cavallo di battaglia era l’interfaccia uomo-macchina. Battere su una tastiera le sembrava innaturale. Il touch, che lei aveva
invocato in tempi
non sospetti, ora
è ubiquo. Intravede altri sviluppi?
«L’interazione
touch è ormai realizzata assai bene. Forse potrebbe diventare ancora più affidabile e meno costosa da realizzare. Il prossimo passo potrebbe essere un
apparecchio che riconosce i gesti voluti e quelli compiuti per errore, come quando si aprono applicazioni
che non volevamo aprire e così via. Ma la parte che dav-
vero mi lascia senza parole, e che mi sembra abbia molto a che fare con l’arrogante recalcitranza della Apple, è
la limitatezza della correzione automatica. Anche questa è personalizzabile e bisogna migliorarla il prima possibile».
A proposito di Apple, per la prima volta le vendite dei
suoi iPad sono diminuite tanto che c’è chi scommette
che faranno la fine dei pc e punta piuttosto sui “phablet”. È il futuro della specie?
«Ogni situazione richiede una dimensione diversa e
appropriata. Se stai rivedendo dei progetti di architettura intorno a un tavolo con cinque persone, allora andrebbe bene un tablet da 24 pollici.
Che però non puoi
portarti dietro
mentre scii. La domanda più giusta,
quindi, è: quale misura va bene per la
maggior parte delle situazioni? Per
quanto mi riguarda passerò all’iPhone 6 Plus.
Spero di riuscire a
usarlo più come un
tablet che come telefono. Tutti a chiedersi se è troppo
grande, ma è un dibattito piccino, di marketing. E anche
un po’ stantio, dal momento che Samsung fa apparecchi
così grandi da tempo».
derei neppure che si possa arrivare a concepire una
qualche vera e propria forma di teletrasporto».
Altri cambiamenti importanti in vista per l’umanità
prossima ventura?
«Il cibo verrà stampato, soprattutto la carne. Abbiamo già assistito ai primi esperimenti in materia,è assolutamente certo che su quel terreno ci saranno sviluppi
davvero enormi».
Uno dei tormentoni della Silicon Valley è “disruption”, ovvero cambiamento radicale, una specie di distruzione creatrice shumpeteriana. A quale tipo di
cambiamento secondo lei dovremmo dare il benvenuto e a quale invece dovremmo
tentare con tutte
le nostre forze di
resistere?
«Io credo che noi
dovremmo accogliere tutti i cambiamenti che eliminano la povertà e resistere invece a tutti
gli altri, ovvero
quelli che riproporranno ancora una
volta le solite vecchie forme di nazionalismo».
Quella del 2024 sarà una società meno diseguale oppure internet, che tende a premiare spropositatamente il vincitore a scapito di tutti gli altri, alla fin fi-
ne renderà il dislivello tra chi ha e chi non ha ancora
più profondo di quello attuale?
«Dal mio punto di vista l’unico dislivello davvero importante è quello che separa i due miliardi di persone che
stanno peggio da un livello di vita piena e dotata di senso. Se il gap tra me e il signor Bill Gates dovesse crescere, per dire, mi preoccuperebbe assai meno. Tuttavia
una ricchezza assoluta concentrata in un così piccolo numero di persone non ha senso quando tanti non hanno
niente. Piketty la spiega attraverso la tecnologia, in
quanto parte costitutiva del capitale (il cui ritorno, storicamente, risulta maggiore della crescita economica).
Per me invece non
è questione di tecnologia. Anzi, per
come la vedo io, la
tecnologia è il mezzo per raggiungere
un più alto e migliore livello di
istruzione, in un
contesto in cui la
connessione diventa un diritto
per tutti gli esseri
umani».
Il guru settantenne che vuole portare un computer portatile a ogni
bambino del mondo non ha perso niente del suo tradizionale ottimismo.
10.
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Sapori. 2004-2014
Capesante in sashimi, ravioli farciti di burrata e faraona,
scampi alla menta, risotto ai pistilli di zafferano e carciofi
fritti. Da Ferran Adrià a Massimo Bottura, da Alain Passard a Nadia Santini, abbiamo chiesto a dieci tra i più celebri chef tristellati del
mondo qual è la loro ricetta del cuore tra quelle
che hanno ideato in questi ultimi anni. Ed ecco
cosa ci hanno preparato
dieci
piatti
La patata calda-fredda
sinergia degli opposti
EGLI ULTIMI DIECI ANNI, abbiamo creato molti piatti,
ma il mio favorito resta la
patata calda-fredda, incarnazione di spirito ideativo e collaborazione indispensabili per trasformare la cena da Alinea in un’esperienza complessa. In questo boccone, utilizziamo la dinamica della
doppia temperatura di servizio.
Martin Kastner, anima creativa del
Crucial Detail Design Studio, ha
creato per noi una ciotolina di cera
a forma di conchiglia, con un perno
sottile che separa i componenti caldi e freddi. Quando l’ospite lo attiva,
le due temperature si miscelano. La
ricetta è una semplice crema di patate tartufata, ma l’effetto sul palato è tutt’altro che banale. L’idea di
due persone impegnate in campi
differenti, che lavorano per realizzare una cosa bella insieme, rende
il piatto speciale e caro al mio cuore.
N
ALLIEVO DI ADRIÀ,
L’AMERICANO
GRANT ACHATZ
DIRIGE
IL RISTORANTE
“ALINEA”
DI CHICAGO,
CONSIDERATO
TRA I MIGLIORI
DEGLI STATI UNITI
ILLUSTRAZIONE DI GIPI PER “LA DOMENICA DI REPUBBLICA”
LICIA GRANELLO
Grant Achatz
Annie Feolde
Chicco Cerea
Scampi con menta e lime
tra Mazara e il Giappone
UASIMEZZOSECOLO di storia
— i miei genitori aprirono il ristorante nel 1996
— e una costante: il pesce
di primissima qualità. Per questo,
scegliere tra i piatti più rappresentativi della nostra cucina mi porta
verso una ricetta di mare. Protagonisti, i deliziosi e inimitabili scampi
di Mazara del Vallo, un’eccellenza
siciliana che mio padre cominciò a
usare quando ero bambino. Per esaltarli, utilizziamo la cottura giapponese shabu-shabu (immersione rapida in brodo bollente), accostando
vari sapori. Tra tutte, la preparazione a cui sono forse più legato vede gli
scampi accompagnati da una granita di lime, pepe rosa, peperoncino,
menta, cristalli di sale e olio extravergine, tutto appoggiato su una
crema di pesce bianco. Un modo fresco di gustare i crostacei-simbolo
della nostra cucina.
Q
Un doppio raviolo
diventato un grande classico
A
CHICCO CEREA
È IL MAGGIORE
DI CINQUE
FRATELLI
CHE SI DIVIDONO
TRA IL RISTORANTE
“DA VITTORIO”
E LA PASTICCERIA
“CAVOUR”,
A BERGAMO
LL’ENOTECA PINCHIORRI, esi-
stono i grandi classici e le
ricette a tempo. Il doppio
raviolo farcito di burrata
e stracotto di faraona con fonduta di
Parmigiano Reggiano era nato come piatto del menù degustazione,
destinato cioè a durare per un periodo limitato. Ma piacque così tanto, che fu messo tra i piatti in carta.
Anche la carta viene periodicamente rinfrescata e i piatti cambiati.
Con il doppio raviolo non è stato possibile: i clienti hanno cominciato a
prenotarlo addirittura al momento
di riservare il tavolo, tanto che ci è
toccato tenerlo come piatto speciale! Il segreto è nella combinazione
armoniosa tra i tre ingredienti principali, quella stessa armonia che
trasforma il confronto quotidiano
tra me e i nostri chef Riccardo Monco e Italo Bassi nel vero passe-partout per il successo della cucina.
Daniel Humm
Così speziata, così carnosa
un’anatra per tutte le stagioni
ANATRA ARROSTO resiste
come uno dei piatti inamovibili da anni sul nostro menù. È uno dei favoriti dei nostri clienti, ma anche
nostro. Malgrado cambiamo carta
insieme al succedersi delle stagioni, offriamo sempre una versione
della nostra anatra arrosto, combinata con i diversi ingredienti del
momento. L’anatra è carnosa, saporita, untuosa, un ingrediente
ricco, insomma. La facciamo frollare un paio di settimane per intensificarne il sapore, la spalmiamo con miele, lavanda e un mix di
spezie (cumino, coriandolo, pepe
di Sichuan) prima di infornarla.
La serviamo con una salsa fatta
con il suo fondo, un tocco di acidità
e zucchero caramellato, un bilanciamento fresco-dolce che esaltiamo rifinendo il piatto con fichi e raperonzoli.
L’
DALL’INCONTRO
TRA LA NIZZARDA
ANNIE FEOLDE
E L’EMILIAN0
GIORGIO
PINCHIORRI
È NATA L’ENOTECARISTORANTE,
IN UN PALAZZO
DEL ’700 DI FIRENZE
LO SVIZZERO
DANIEL HUMM
GESTISCE
CON WILL GUIDARA
L’“ELEVEN
MADISON”
DI NEW YORK:
SPLENDIDO SALONE
GIÀ SEDE DEL
CREDITO SVIZZERO
la Repubblica
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
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Ferran Adrià
Max Alajmo
Massimo Bottura
La mia melacotogna
che in pochi hanno assaggiato
Brodo Oro, sacro e ironico
quintessenza delle origini
Tempo, silenzio, magia
tutto in una pasta e fagioli
E DEVO SCEGLIERE un piatto
tra quelli ideati negli ultimi
dieci anni, non ho bisogno
di guardare troppo indietro: la scelta cade su un piatto che
non è veramente tale, così come
non lo si può definire strettamente
un dessert. Si tratta della melacotogna Melba, il cui numero di catalogo — tutti i piatti ideati al “Bulli” sono rigorosamente catalogati — è esso stesso emblematico: 1846. Si
tratta di una sequenza di elaborazioni intorno al classico di Auguste
Escoffier, concepite come un omaggio a questo grande cuoco, scomparso nel 1846. La nostra interpretazione della melacotogna Melba è
stata servita una sola volta, il 30 luglio 2011, atto di chiusura del ristorante “Bulli” (“El Bulli”, trasformato in fondazione, riaprirà nel 2016,
ndr): cinquanta persone al mondo
possono dire di averla provata.
L BRODO ORO è un viaggio nel
passato, oltre a essere un esempio probante di fluidità allo stato puro, in cui la liquidità assume una consistenza quasi masticabile. Si tratta di un semplice brodo
(di guancia di vitello) aromatizzato, tra l’altro con zafferano e liquirizia. In una prima versione nel brodo
veniva lasciata una morbida guancetta. Averla tolta, sciogliendo
qualsiasi tipo di nodo, ha trasformato un buon piatto in un cibo quintessenziale, riassuntivo di un’intera ricerca. L’oro, in questo contesto,
può rappresentare il sacro, che si
coglie soprattutto nelle lievi sfumature speziate e affumicate; ma
è anche un tocco d’ironia, a contrasto con un piatto di stile monacale, di rinuncia e concentrazione.
Qualcosa di minimale ma intenso,
che mi fa tornare all’origine, o meglio al principio.
S
I
IL CATALANO
FERRAN ADRIÀ
È IL CUOCO
PIÙ CREATIVO
DEL MONDO.
HA IDEATO COTTURE
E PORTATO
ALLA RIBALTA
INGREDIENTI
SCONOSCIUTI
P
FIGLIO
DI RISTORATORI,
MASSIMILIANO
ALAJMO
(“LE CALANDRE”
DI RUBANO,
PADOVA) È STATO
IL PIÙ GIOVANE
TRE STELLE
MICHELIN D’EUROPA
ER ME CUCINA E INFANZIA fan-
no parte della stessa memoria, elemento indispensabile come rimando continuo per i miei piatti. Ma invece di
rifarli uguali, cerco ogni volta di trasformare il ricordo in un concetto,
da elaborare senza le ansie di replica che fanno dire “Erano meglio i
tortellini di mia madre...”. Ho preso
la pasta e fagioli, l’ho scomposta e
ricomposta, anzi compressa in poche cucchiaiate, utilizzando il meglio delle tecniche della cucina moderna per esaltare ingredienti meravigliosi. Così, tra una crème di
Ducasse e l’aria di rosmarino di
Adrià, ho compresso la ricetta di
mia nonna e le croste di Parmigiano Reggiano, formaggio che non
smette di emozionarmi, testimone
infallibile dell’essenza del nostro
essere emiliani: tempo, silenzio,
magìa. E sapore puro.
NUMERO TRE
NELLA CLASSIFICA
MONDIALE
DEI 50BEST,
MASSIMO BOTTURA
È CHEF
E PROPRIETARIO
DEL RISTORANTE
“LA FRANCESCANA”
(MODENA)
Alain Passard
Joan Roca
Nadia Santini
Capesante in sashimi
la perfezione in una conchiglia
Come un panino al contrario
che mi faceva mia nonna
Riso zafferano e carciofi fritti,
la discussione è aperta
LMIOPIATTODELCUORE è nato in seguito a un momento emotivamente molto forte, la morte di
nostra nonna (Joan Roca lavora
insieme ai fratelli Josep, in sala, e
Jordi in pasticceria ndr). Iaia Angeleta è stata la nostra musa, una persona deliziosa e amata che ha vissuto una vita felice in cucina, con tutti
noi. Impossibile ricordarla senza risentire il gusto dell’agnello e del pane strofinato col pomodoro, che ci
preparava quand’eravamo piccoli,
tagliandoli entrambi a pezzetti, per
permetterci di mangiarli con le mani. Un piatto dell’infanzia, insomma, legato alla famiglia e alla nostra
terra. Al ristorante, lo serviamo come in un panino al contrario, cuocendo l’agnello a temperatura controllata e usando il pane e pomodoro a mo’ di farcitura, preservando in
questo modo il senso del gioco che
ancora ci accompagna.
ELLA NOSTRA FAMIGLIA, come nella cultura lombarda, il riso è un elemento di
convivialità e buona tavola. Una delle ricette a cui noi tutti —
mio figlio Giovanni con me in cucina, l’altro figlio Alberto con mio marito Antonio in sala — siamo molto
legati, è il risotto con pistilli di zafferano e carciofi fritti. Il piatto parte dalla ricerca del riso, rigorosamente Vialone Nano, e dalla scelta
dello zafferano — optiamo per quello di Navelli — e infine i carciofi, che
danno gusto e nota croccante al
piatto. Un risotto così non è particolarmente difficile da preparare. Ma
attenzione: il giudizio sulla cottura,
il tipo di riso usato, la morbidezza,
l’aspetto visivo, possono scatenare
amabili discussioni tra persone abituate a concetti e culture diverse sul
riso. Per fortuna, è proprio questa la
bellezza del nostro mestiere.
amo moltissimo le capesante, che
rappresentano da sempre
un piatto importante nella nostra tradizione culinaria.
Quand’ero piccolo, mia nonna era
solita prepararle ogni anno in occasione del Natale, accompagnate da
un poco di crema. Le adoravo. La sua
conchiglia mi affascina. La prendo
tra le mani e la trovo ogni volta perfetta, di una perfezione rara. La natura è perfetta. Credo di avere sempre avuto le capesante nei miei
menù invernali. Devo aver dedicato
alle capesante almeno sessanta ricette! Eppure, ogni anno aspetto
che arrivi ottobre, il mese del loro
debutto sul mercato, per crearne
ancora di nuove. Ultimamente, le
propongo in sashimi con il tè matcha e le verdure del mio orto. Sono
così belle... Il loro color madreperla
ancora mi emoziona.
D
A BUON BRETONE,
I
IN CUCINA
DA PIÙ DI 40 ANNI,
ALAIN PASSARD
SUONA
IL SASSOFONO
E DELIZIA GLI OSPITI
DE “L’ARPÈGE”,
PARIGI,
CON LE VERDURE
DEL SUO ORTO
BIODINAMICO
N
JOAN ROCA
E I SUOI FRATELLI
CON IL LORO
“CELLER
DE CAN ROCA”,
A GIRONA, SPAGNA,
SONO AL SECONDO
POSTO
NELLA CLASSIFICA
MONDIALE 50BEST
NADIA SANTINI,
ELETTA LO SCORSO
ANNO MIGLIOR
DONNA-CHEF
DEL MONDO,
DIRIGE
“DAL PESCATORE”
A CANNETO
SULL’OGLIO,
(MANTOVA)
la Repubblica
LA DOMENICA
DOMENICA 30 NOVEMBRE 2014
50
L’incontro. Alessandro Del Piero
L SENSO di un numero, il sentimento di un ruolo. La creatività e la
I
leggerezza. Vere, reali eppure apparenti, perché ogni vocazione accudita significa soprattutto lavoro. Il numero 10 è ancora
quello che era a scuola: il massimo. Lo indossano solo i fuoriclasse. Pelè, Maradona, Rivera, Mazzola, Zico, Baggio, Totti. E Alessandro Del Piero. Predestinazione e talento. Il dovere della bellezza.
M A URIZIO CRO SETT I
Del Piero, se le dicono “dieci”, lei d’istinto a cosa pensa per prima cosa? E per
seconda? E per terza?
«Fantasia. Stupore. Istinto».
A scuola ha mai preso 10, a parte condotta e religione?
«Il fatto che non ne ricordi uno, significa che non ne ho presi molti. Ma se non
sbaglio, ai miei tempi i voti arrivavano solo fino all’otto».
C’è stato un momento della sua carriera in cui lei ha pensato: sì, io sono proprio un numero 10?
«Era un obiettivo, era quello che speravo di diventare quando da bambino
provavo a imitare Zico, Platini e Maradona. In campo, la consapevolezza è arrivata col passare degli anni. Però mi piace ricordare che ho iniziato con il 7 sulla
maglia, ma sognavo il 10».
Dieci anni: che arco di tempo è? Qual è la sua definizione di decennio?
«Un tempo abbastanza lungo per cambiare vita. Anche più volte. E sapere
che fino ad adesso ne ho vissuti solo quattro mi fa pensare che ho ancora un sacco di cose da fare».
«Tattica e fisica, di pari passo con l’evoluzione del calcio. Ma il 10 rimane il campione che riesce a stupire con le sue giocate, a fare la differenza».
Il 10 che ha amato di più? Cosa gli invidiava?
«Non ne ho uno in particolare, non ne ho mai invidiati ma di certo mi sono ispirato a tanti. Però ci sono dei giocatori che mi sarebbe piaciuto vedere dal vivo,
per esempio Cruyff, un 10 anche se sulla maglia aveva il 14. O Pelè e Di Stefano».
Le sarebbe piaciuto essere un 9, o magari un 1?
«Ho iniziato con il 7 e ho giocato per molti anni con il 9. Ma effettivamente il
ruolo del portiere mi ha sempre intrigato. Sia da bambino che da grande, in allenamento mi sono spesso divertito a giocare in quel ruolo».
Il suo 10 è ora sulle spalle di Tevez: cosa prova?
«Tevez sta facendo molto bene. Sono felice per lui e soprattutto per la Juventus. E poi, l’ho detto fin dall’inizio: sono contento che quella maglia rimanga un
sogno e un obiettivo per i futuri “dieci” bianconeri».
Il numero 10, proviamo a scomporlo: c’è l’uno, l’unità, il tutto. E c’è lo zero,
ovvero il niente. Come è possibile che dall’unione tra il “tutto” e il “niente”
ILLUSTRAZIONE DI GIPI PER “LA DOMENICA DI REPUBBLICA”
Numero
dieci
DUE CIFRE,
UNO E ZERO,
IL TUTTO E IL NIENTE
È UN NUMERO
FATTO DI FANTASIA,
STUPORE E ISTINTO.
IO HO INIZIATO
CON IL SETTE
E PER MOLTI ANNI
HO GIOCATO
CON IL NOVE.
MA TUTTA LA VITA
HO SOGNATO
IL DIECI
RTV-LA EFFE
DOMANI SU RNEWS
(ORE 13,45 E 19,45, CANALE 50
DEL DT E 139 DI SKY)
VIDEOSERVIZIO CON GIPI
AL LAVORO PER ILLUSTRARE
QUESTO NUMERO SPECIALE
DE “LA DOMENICA
DI REPUBBLICA”
Le dieci cose per cui vale la pena vivere?
«Sono un tipo troppo entusiasta, non riesco a rispondere a queste domande,
me ne vengono in mente cento e poi appena ne tolgo una mi viene il rimorso, e
alla fine al posto di ridurle le aumento. Non ce la faccio proprio a citarne così poche, a meno che non mi si consenta di mettere in classifica ciò che occupa senza
concorrenza almeno le prime dieci posizioni: i miei figli».
I grandi 10 del calcio. Ci farebbe un loro ritratto? Cominciamo da Rivera.
«Difficile, l’ho visto poco anche in tv. Mi viene in mente un modo di interpretare quel ruolo con intelligenza ed eleganza, dentro e fuori dal campo».
Pelè.
«Un’icona. Quelle quattro lettere rimarranno per sempre sinonimo di calcio.
E quella rovesciata in Fuga per la Vittoria…».
Maradona.
«El diez, colui che in campo poteva fare tutto. Anche vincere da solo».
Zico.
«Ci ho giocato insieme in Brasile, per divertimento, durante gli ultimi Mondiali. Confesso di avergli visto fare, quel giorno, cose che raramente ho visto in
campo. Piedi magici, anche a sessant’anni».
Platini.
«Per uno juventino dalla nascita come me, per anni è stato il punto di riferimento. Era bello sentire l'Avvocato parlare di lui».
Baggio.
«L’istinto puro per il calcio, classe sopraffina, un privilegio avere ereditato la
sua maglia alla Juventus. Una grande persona».
Totti.
«Il cucchiaio in semifinale all’Europeo 2000 rappresenta la sua lucida follia,
che in realtà è straordinaria consapevolezza del proprio talento. E per me, Francesco è anche un amico».
Mancini.
«Il suo gioco sarà moderno anche se dovesse tornare in campo tra vent’anni,
aveva almeno quattro occhi, non due come gli altri».
Del Piero.
«Non so giudicarmi, ma mi piace quando dicono di me che ho onorato questo
gioco. Lascio parlare gli altri».
Che evoluzione ha avuto il 10, cioè il ruolo del 10, negli ultimi anni?
possa nascere il numero perfetto?
«Il tutto e il niente: quella straordinaria sensazione che si prova prima di un
dribbling, di una grande giocata, di una punizione, o di un rigore decisivo. Dentro o fuori, tutto o niente: il destino del 10, senza paura».
La creatività è più ispirazione o traspirazione?
«Sicuramente ispirazione».
Un numero 10 che, nel calcio, ha avuto molto meno di quanto meritasse?
«Penso ai tanti che ho incontrato, sia a livello giovanile, sia nel calcio dei grandi, che sono stati penalizzati dagli infortuni».
Chi sono i suoi numeri 10 negli altri sport che più ama?
«Ce ne sono tanti. Ne cito alcuni: Michael Jordan e Magic Johnson nel basket.
Roger Federer nel tennis. Evgeni Plushenko, un artista nel pattinaggio».
Papa Francesco è un numero 10? Del resto, è argentino e ama il calcio...
«Certo! Un grande numero dieci, un trascinatore per la sua squadra. Uno che
non fa pesare di essere il numero uno, ed esce sempre con la maglia sudata anche se è il migliore di tutti».
Si crede sempre che il 10 sia un personaggio baciato dal talento e dalla grazia, insomma un artista predestinato. Ma è poi vero? Numeri 10 si nasce o si
diventa? O meglio, in percentuale, quanto si nasce e si diventa?
«Numeri 10 si nasce, ma senza coltivare il talento non si diventa. Insomma:
senza il talento non puoi diventare un vero 10, ma se non ti alleni e non soffri, gli
altri non se ne accorgeranno e rimarrai un incompiuto».
Alcuni pensano: un grande 10 come Del Piero è andato in India a perdere quasi tutte le partite, chi gliel’ha fatto fare? Lei cosa risponde a chi lo dice?
«Penso che, se si giudica attraverso la lente dei risultati, non si capisca molto
della mia scelta e delle esperienze che sto facendo, e che farò, dopo avere lasciato la Juventus e il calcio che ho conosciuto fino a tre anni fa. La partenza di una
nuova Lega, in un Paese complicato ma con potenzialità straordinarie, è un’esperienza incredibile. Sto conoscendo un lato del calcio che non conoscevo».
In famiglia, lei è un 10 o magari un 8, o forse un 4?
«Credo che una madre e un padre debbano saper ricoprire tutti i ruoli, compreso quello dell’allenatore».
Cosa vorrebbe dai prossimi dieci anni?
«Mi piacerebbe che la vita mi sorprendesse sempre, come ha fatto finora».
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