Gentile Editore Roma

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LA RIFORMA
GENTILE
Antologia di scritti e note di:
Donato DENTE, Fernando DI MIELI
Donato COSIMATO, Carmine VITALE
Gentile Editore Roma
I PRINCIPI ISPIRATORI DELLA RIFORMA GENTILE.
1 - La pedagogia italiana tra ’800 e ’900, ispirandosi alle nuove
correnti culturali che in quei momenti percorrevano l’Europa, il posi­
tivismo e l’herbartismo, diede luogo, con i suoi ideali scientifici, ad
una scuola pregna di nozionismo, mnemonismo, in breve, una scuola
senza vita,mortificante la creatività dell’alunno, con la sua intenzione
di asservirlo alla certezza del fatto. Se a questi errori di dottrina e di
metodo si aggiungono le gravi carenze strutturali di aule, attrezza­
ture, igiene - in parte congenite, in parte conseguenti alla crisi deter­
minata dalla l a Guerra Mondiale - si capisce bene l’importanza e l’ur­
genza, nel primo dopoguerra, di una riforma che rinnovasse, ab imis,
la scuola italiana.
Giovanni Gentile, l’uomo designato., pur senza essere iniziaimente iscritto al Partito Nazionale Fascista (1), a tale compito da Mus­
solini, giunto alla Presidenza del Consiglio dopo la marcia su Roma,
si pose all’opera con alacrità e, in circa un anno, dimostrando una ca­
pacità di lavoro e una fermezza non comuni, elaborò la sua riforma
organica della scuola italiana.
1) Gentile aderì form alm ente al partito fascista solo il 31 m aggio 1923,
indirizzando a M ussolini una dichiarazione in cui sosteneva di vedere in lui
il prosecutore della politica di quella Destra storica che aveva fatto la
grandezza d ell’Italia risorgim entale. Così Gentile concludeva la sua dichia­
razione: « E perciò mi sono pure persuaso che tra i liberali d ’oggi e i fa­
scisti che conoscono il pensiero del Suo fascism o, un liberale autentico,
che sdegni gli equivoci e ami stare al suo posto, deve schierarsi di fianco
a Lei ».
15
L’intento di questo breve saggio è di chiarire, nei limiti imposti
dall’economia del volume in cui è inserito, i principi filosofico - peda­
gogici che ispirarono la riforma Gentile, considerata in alcuni dei
suoi aspetti fondamentali. Tralascerò, quindi, tutte le misure che non ri­
velano un legame preciso con la filosofia in questione, ma furono dettate
soltanto da motivazioni contingenti.
2
- Gentile ebbe a dire: ”11 concetto fondamentale cui s’isp
la riforma scolastica alla quale attendo è noto: creare una scuola degna
di un gran popolo che ha meritato di uscire vittoriosamente da una
così grande guerra” (2). Questa l’intenzione dichiarata del nostro fi­
losofo, ma, è più che evidente, la riforma Gentile fu determinata in­
nanzitutto dalla filosofia del suo autore ed è da questa che dobbiamo
partire, se vogliamo capirla nella sua essenza.
Gentile non si pose, tuttavia, con il suo pensiero in maniera da
urtare contro tutta la cultura italiana a lui contemporanea, ma, proce­
dendo con grande abilità, riuscì ed elaborare una riforma che poteva,
e così avvenne, raccogliere i consensi di molti intellettuali. Inoltre,
tenne sempre a stabilire il legame preciso intercorrente tra la sua rifor­
ma e la tradizione spiritualistica italiana dell’800, quella, per intender­
ci, di Gioberti, Mazzini, etc. Momigliano ha scritto:
”La novità di questi programmi ... è ... nel corpus, nel lucido
criterio che ha presieduto alla loro architettura, nel fatto che chi li
ha compilati ha sentito che era giunto il momento di raccogliere le fila
del movimento intellettuale contemporaneo...
Naturalmente questi programmi hanno un indirizzo idealistico:
ma io non vi trovo nulla che coarti la libertà spirituale dell’insegnante,
nessuna formula, nessun precetto specifico a cui ci si possa ribellare....
Di idealistico in questi programmi si sente solo quell’arricchimento
umano e quell’approfondimento morale che tutti debbono riconoscere
2) Intervista a « L’Idea N azionale », 29 marzo 1923.
come merito di quella filosofia e come patrimonio acquisito per tutti
gli italiani colti » (3).
3
- Quella di Gentile si presenta immediatamente come
sofia attualistica, cioè filosofia dell’atto, dell’azione. Egli prende l’av­
vio da una critica serrata della dialettica hegeliana, colpevole, a suo
avviso, di aver dato una dialettica del fatto, del morto, di ciò che è
pensato, invece del pensante; del voluto, invece del volente. Ma la
dialettica è essenzialmente vita, movimento. Non potrà, dunque, es­
serci altra dialettica che quella del pensiero in atto, in quanto è in tale
pensiero che si risolvono tutte le cose del mondo, e non soltanto nel
momento in cui vengono conosciute, ma da sempre.
E ’ questo lo spirito creatore, che unifica in sè la molteplicità
materiale e si qualifica, per ciò stesso, quale centro detenente gli at­
tributi fondamentali dell’unità e delPinfinità.
L’uomo è coscienza quando conosce un oggetto a lui reputato
esterno, è autocoscienza, o io, quando conosce sè stesso come sog­
getto. ”Io puro o formale può dirsi l’autocoscienza astratta, o mera
coscienza che avrebbe di sè il soggetto come astratto principio del co­
noscere; Io empirico quella coscienza determinata che ciascuno di noi ha
di sè medesimo, in quanto afferma la propria personalità come centro di
coordinazione di tutta la propria esperienza” (4). Ma, sia l ’Io puro che
l’Io empirico sono astratti, non rispondono alla realtà nella sua più vera
concretezza: « L’Io reale invece è l’unità dell’autocoscienza e della co­
scienza.... L’Io è l’autocoscienza della coscienza e si potrebbe anche dire
a rigore, l’atto della coscienza, in quanto il principio attivo, immanente in
questa, è appunto quella soggettività, in cui consiste l ’autocoscienza” (5).
L’Io reale è universale.
Impossibile distinguerlo da alcunché. Gli uomini singoli, porta3 A Momigliano, I nuovi programmi per le scuole italiane, in « Nuova
Antologia », 1 gennaio 1924.
4) G. Gentile, Sommario di Pedagogia come scienza filosofica, Sanso­
ni, Firenze.
5) Ivi, p. 17.
17
tori o, meglio, individuazione di questo Spirito, possono distinguersi
tra loro, ma soltanto in quanto oggetti dell’attività del pensiero, mai
in quanto soggetto. L’uomo del Gentile è questa realtà fluida, univer­
sale, vivente, che, nel rapporto con il mondo, mai, a patto di rifugiar­
si nel morto, cede al dato; mai considera distinzioni reali quelle soli­
tamente contenute nella sensazione (tra sentito e senziente), nella rap­
presentazione (tra concetto e cosa rappresentata), nel linguaggio (tra
parola e cosa), ecc.
Niente vi è di preciso e di determinato una volta per tutte. Non
esiste il bianco come rappresentazione, ma questa percezione di questo
bianco. Non esiste una parola, « tavolo » per esempio, con un significa­
to unico per designare tutti i tavoli, ma quell’unico termine acquisterà
per il soggetto un significato sempre nuovo e sempre diverso. E ’ chiaro
che in questa maniera, a voler dedurre le necessarie conseguenze, sal­
tano tutte le categorie tradizionali: non c’è più posto per una logica
di concetti indipendenti dall’atto, come non può più esistere la distin­
zione tra teoretica e prassi, che si fondono insieme nella tesi del pen­
siero pensante.
Per arrivare a riconoscersi come tale, l’Io deve percorrere un
cammino. E ’ il concetto del movimento dell’Io, che, da pura sogget­
tività. si fa oggettività assoluta, per essere poi unità di soggettività
e oggettività. E ’ questo il ritmo dello spirito, corrispondente ad arte,
religione e filosofia, che Gentile vede come una vera e propria
« sintesi a priori di due termini che nella sintesi hanno concretezza e
realtà: ma nella sintesi, per la natura stessa di questa, non dileguano
e svaniscono, anzi son conservati, e concorrono con la loro presenza
alla realtà viva della sintesi stessa. Viva non per metafora, perchè
eli’è non sintesi già fatta, ma sintesi che è facendosi: la vita stessa
dello spirito, della realtà. E così lo spirito non si può dire neanche nel
terzo dei tre momenti: ma è un passare eterno dall’uno all’altro di es­
si ». (6). Questo farsi dello spirito è eterno, se è vero che lo spirito
6) Ivi, voi. Il, p. 139.
18
è universale: « Il suo essere è tale che impegna l’eternità » (7).
In questa maniera si risolve la questione dell’insegnamento:
ciclico o per gradi?
L’idealismo attuale ritiene di dover fondere queste due visioni,
in quanto lo spirito è sì un tutto immanente nelle sue parti, ma è anche
un farsi, un processo. « Il quale tutto .... è evidente che non può entrare
in ogni grado attuale dell’insegnamento; ma v’entra se il tutto è il vero
tutto di chi intende il sapere, non materia del sapere, bensì come sapere
vero e proprio, atto del soggetto che si attua nella sua infinita natura
tanto nel sapere che noi siamo quegli stessi che ieri fummo a questa
scuola, quanto nel saper chi fu Ammurabi: tanto nell’esser all’ultima
quanto nell’esser alla prima pagina di ogni libro di storia. Sicché un
insegnamento ciclico assoluto è pure un insegnamento per gradi» (8).
Gentile é molto esplicito in questo: non è conforme allo spirito
dell’idealismo attuale una concezione esclusivamente ciclica, come quel­
la di Vico, che veda il susseguirsi di momenti diversi dello spirito. In
Gentile, in ogni momento è immanente tutto lo spirito, anche nel suo
aspetto filosofico. Osservando queste posizioni di principio, a me pare,
però, assai strano il succedersi degli studi nella riforma Gentile. Alle
elementari arte e religione, alle medie la filosofia. Un tale procedere
didattico si sarebbe attagliato meravigliosamente ad una filosofia come
quella vichiana, non all’idealismo attuale. La filosofia, ultimo (nel sen­
so che s’è detto) momento dello spirito, é anche il momento della li­
bertà, che si raggiungerà al massimo grado all’Università, che gode nella
riforma del ’23 dell’autonomia didattica e amministrativa. E ’ qui che
gli studenti possono scegliere liberamente gli esami senza essere sot­
toposti ad alcuna limitazione nella scelta degli stessi tra fondamentali
e complementari (9).
7)
8)
9)
Molti
Ivi, voi. Il, p. 139.
Ivi, voi. II, p. 123.
Gentile affronterà poi pesanti polemiche in merito a tale problema.
lo accuseranno di aver consentito che giovani si laureassero in medi-
19
5 - Inutile dire che l ’insegnamento che suscitò, al tempo stesso,
le più acerbe opposizioni e i più entusiastici consensi, fu quello della
religione nelle scuole elementari.
« L’insegnamento di religione all’infanzia è garanzia della serie­
tà di pensiero della futura generazione. Solo chi ha la coscienza di un
assoluto valore dà un senso alla vita individuale, e rispetta in se stesso
e negli altri quello ideale al quale il suo spirito aderisce » (10).
I
cattolici, inizialmente, pur rendendosi conto che si tratta
sempre dell’insegnamento religioso visto da un filosofo idealista, dopo
50 anni di silenzio, plaudirono all’iniziativa, riservandosi, come poi
avvenne, di fare in seguito richieste per un’accentuazione dell’aspetto
dottrinale dell’insegnamento in questione e la sua estensione anche
agli altri ordini scolastici. Infatti, l’insegnamento, visto da Gentile,
era sempre di tipo un po’ particolare. Obbediva, in ogni caso, alla in­
tenzione di dare al popolo italiano una scuola degna della sua grandez­
za, della sua tradizione, del suo spirito. Dimostrano il carattere partico­
lare di tale insegnamento le indicazioni contenute nei Programmi per
le elementari: « Non dunque arido dottrinarismo, non meccanico for­
malismo, ma poesia e quasi canto della fede si desidera nella scuola
dei fanciulli ». E ancora: « Fuori delle ore specificamente assegnate
alla religione, ogni riferimento ad essa deve essere tale che gli uomini
di qualsiasi fede debbano gradirlo ». Perchè questo avvenga è neces­
sario porre l’accento sui caratteri morali e provvidenziali di Dio, piut­
tosto che sul dogma. Non è un caso se poi si indica nella religiosità
di Alessandro Manzoni il modello da trasmettere.
Era anche il sentimento dell’italianità che condizionava tutta
la scuola. Così si dava la preferenza quasi assoluta a tutte le grandi
personalità che, nel campo dell’arte, della religione, della scienza ave­
vano fatto risplendere il nome dell’Italia. Inevitabile la caduta o, almecina senza aver fatto esam i caratterizzanti. Cfr. G. Gentile, La riforma
universitaria, in « Levana », VI, luglio - ottobre 1927, 4 - 5.
10) Programmi per le scuole elementari.
20
no, il rischio della caduta nella vuota retorica. Scriveva Farinelli, a
ben giusta ragione: « Sapere solo dei ’grandi santi italiani’? Ma se
sono santi appunto perchè escono dall’Italia col cuore e dominano un
universo! E perchè solo i ’grandi fisici italiani’? Veramente su tutte
le terre spaziano gli scrutatori e i dominatori delle forze della natura;
si nasce qua o là, su questa o quest’altra terra, talvolta per caso » (11).
Nel rapporto tra uno e tutto, Gentile è di una chiarezza estrema:
il soggetto è creatore dell’universo, il quale rappresenta il suo vero
corpo.
« Il vero corpo potente, il vero Io, è tutto l ’universo, da cui un
granello di sabbia non si può sottrarre, senza che il tutto non precipiti
a ruma... Ma quest’infinito non può non apparire come un falso infinito
a chi guardi il suo carattere oggettivo (poiché esso è oggetto del no­
stro pensiero) pel quale non può essere altro che il contenuto dell’Io
come attualmente vive in noi, che tentiamo ripercorrere quell’infinito;
poiché la verità è in noi; e qui eterna, qui veramente infinita »(12).
La filosofia è, per Gentile, il concetto che la realtà vivente ha
di sè.
Concetto, che è uno come la realtà che esprime, ed è svolgimento
come quella stessa realtà. Si manifesta, quindi, in diverse forme, da
non intendersi necessariamente come i diversi sistemi filosofici apparsi
Iinora, ognuno dei quali, pur essendo vero, attende comunque una
nlieriore verifica ed approfondimento nel senso della Filosofia. Queste
Iorine sono le scienze particolari - antropologia, psicologia, ecc. - che
<olgono solo vari aspetti esteriori del reale, ma sono aspetti che atn ndono di essere unificati dalla filosofia.
7
- La pedagogia è una delle forme della filosofia: una distinzio­
ni m* dialettica all’interno della filosofia, vale a dire una distinzione allo
iim ino della realtà vivente e una, che è la generatrice di tutte le scien■ parIicolari, le quali, pur presumendo di aver oggetto e metodo speci­
lli) A. Farinelli, 1 programmi delle scuole elementari, in «Nuova Anto!••/ ni i f( bbraio 1924.
i l Sommario.... voi. 1. p. 106.
21
fici, alla fine comunque si risolvono nella loro madre, che è Tunica a
poter dare il concetto della realtà totale.
Lo stesso rapporto che esiste tra filosofia e pedagogia si ripete
tra ques’ultima e la didattica, la quale altro non è che una distinzione
dialettica della pedagogia.
Quella di Gentile si qualifica immediatamente come un’antipedagogia, nel senso che, partendo dalle premesse filosofiche più sopra ac­
cennate, si dà ad abbattere tutte le considerazioni tradizionali in merito
a tale problema, quelli che Gentile chiama « pregiudizi ». Tutti deri­
vanti, in ultima analisi, da una concezione dualistica del reale - mate­
ria e spirito, uomo e mondo, educatore ed educando - e allo stesso
tempo fissata in categorie logiche che non si evolvono con la realtà,
ma, avendo assunto un’esistenza autonoma, quella stessa realtà mor­
tificano e depauperano.
8
- Il pregiudizio monadistico consiste nel vedere nell’educ
re e nell’educando una dualità irrisolvibile. Ognuno ha, secondo un tale
modo di vedere, un compito predeterminato: l’educatore il compito di
insegnare un sapere precedentemente appreso, l’educatore quello di
accogliere un tale sapere preesistente al suo rapporto con il maestro.
Ha scritto Gentile: « Il pregiudizio cosiddetto monadistico (pensan­
do alla molteplicità delle monadi leibnitziane, ossia degli spiriti con­
cepiti come sostanze tra loro diverse ed irriducibili): perchè cotesto
concetto misterioso dell’educatore come azione inter - spirituale si fon­
da sulla intuizione dello spirito come individualità particolare» (13).
E ’ conseguente a tutto il discorso di Gentile sull’unità ed univer­
salità del soggetto la demolizione di un tale pregiudizio. Gentile non
può accettare che i due spiriti, quello del maestro e quello dell’allievo,
si mantengono in questa dualità. Essi, nell’unità dell’atto spirituale,
non sono più due, ma uno. Quando il maestro è veramente maestro e
comunica qualcosa all’allievo, dando in un tale atto tutta la sua anima,
13) Ivi, p. 120.
otterrà sicuramente una pari devozione dell’allievo, che si immergerà
completamente nell’argomento della lezione. A questo punto, se maestro
ed allievo sono attenti unicamente a ciò di cui si parla, dimenticandosi
di tutto ciò che li circonda, della scuola, del paese, dei problemi fami­
liari; se riescono a realizzare una tale comunione degli spiriti, essi non
sono più due, ma un solo soggetto. « E ’ proprio il caso di dire che quan­
do l’uno dei due si accorge dell’altro, questo è già sparito, perchè non
è più quello di cui egli s’accorge: lo scolaro pel maestro, il maestro per
lo scolaro » (14).
E ’ chiaramente una meta questa proposta da Gentile, ma una
meta da tener presente e da perseguire se si vuol fondare un’attività
educativa adeguata alla natura del reale. In quest’atto così intimamente
vissuto, niente è già dato. Il maestro che spiega una qualsiasi poesia,
Ietta e riletta più volte nel corso della sua vita, leggendola e spiegandola
di nuovo, scoprirà in essa significati diversi, che ne faranno qualcosa di
completamente nuovo per il suo spirito. E quella poesia sarà accolta
dall’allievo in una maniera ancora diversa; egli vi scoprirà altri contenuti,
la gusterà personalmente.
Ma, per il raggiungimento di una tale meta, è necessario che si
diano le condizioni ambientali e scolastiche opportune. Certo non erano
la li quelle che Gentile trovò al momento del suo insediamento alla
Minerva. I maestri che, per arrotondare il gramo stipendio, si carica­
vano di classi aggiunte e di lezioni private, non potevano certo sta­
b i l i r e con una classe quella comunione degli spiriti, vera comunione
d'amore, che era nelle aspirazioni di Gentile. E questi, pur di ragr.iungere le condizioni ideali, almeno per quel tempo, non esitò a pren­
di ir drastici provvedimenti, eliminando le classi aggiunte, la vera
della scuola del tempo, imponendo delle limitazioni all’attività
l'iiv.iia dei maestri, e allo stesso tempo aumentando generosamente
«li iipendi dei docenti, per metterli nelle condizioni di degnamente
ili
Ivi,
p. 129.
figurare e condurre una vita onesta e dedita ai proprio lavoro (15).
Impediva che si stabilisse un rapporto d ’amore tra il maestro e
gli allievi anche la frantumazione delle ore di lezione. Infatti, almeno
i professori delle medie erano costretti a correre da una classe all’altra,
e magari da un Istituto ad un altro, per spiegare frettolosamente
la lezione del giorno e riprendere poi il consueto tran - tran. Certo,
in questa maniera, nessun maestro poteva sentire una classe come la
« sua » classe, ed il suo lavoro si riduceva ad una vana esercitazione
retorica, che nessun incremento produceva, eccetto quello nozionistico
e mnemonico, nè per lui stesso, nè per gli allievi. Questo il motivo
per cui Gentile decise l ’abbinamento di alcune cattedre: perchè il
maestro,restando più ore in una stessa classe, potesse sentirla più sua,
potesse avviare quella relazione d’amore, senza la quale la scuola è
ridotta a puro luogo di attività istruttiva. Naturalmente, i criteri pei
una tale operazione, che suscitò numerose critiche nel mondo culturale
dell’epoca (16), furono chiaramente idealistici. Ad esempio, in base alla
15) Cfr. Michel Osterie, La scuola italiana durante il fascismo, Laterza,
Bari, 1981, p. 24. L’autore sostiene che gli aum enti retributivi concessi da
Gentile erano lungi dal corrispondere agli aum enti reali della vita, ma
l ’on. Anile, già Ministro della Pubblica Istruzione, riferendosi, però, ai
bilancio com plessivo della P. L, in una relazione pubblicata su « Il Gior­
nale d ’Italia » dell’1.7.25 dal titolo « Come si spendono 1.200 milioni per
la scuola », pur sostenendo che l ’aum ento di tale bilancio non era sufficiente
per sanare tutte le piaghe della scuola italiana (ricordando: « Di recente
il collaboratore più autorevole della riforma Gentile, il prof. G, Lombar­
do - Radice, gettava un grido d ’allarme e determ inava nella cifra di 3
miliardi il necessario perchè l ’Italia abbia la casa della scuola e l ’infanzia
sia protetta come è doveroso che venga protetta in un Paese civile »), so­
steneva: « Il bilancio della P.I., che fino a pochi anni fa non raggiungeva
la cifra di 150 m ilioni, tocca n ell’ultim o esercizio la cifra di 1.200 milioni:
l ’aum ento supera notevolm ente il calcolo che si fa in rapporto alla di­
m inuita potenza, d ’acquisto della m oneta ».
16) Molti sostennero, non senza una qualche ragione, che, a voler a p ­
plicare la riforma nei tempi brevi previsti, sarebbero sorti grossi problemi
per i professori che, specializzatisi dopo anni di studio in una sola d isci­
plina, si fossero trovati nella necessità di dover acquisire nel giro dei pochi
mesi consentiti da Gentile, una preparazione sufficientem ente dignitosa da
affrontare l ’esam e degli alunni. Gentile spazzò via ogni obiezione sostenen-
24
identità che l’idealismo aveva stabilito, si creò un’unica cattedra di
storia e filosofia; mentre matematica e fisica erano le due materie
scientifiche che rappresentavano, (insieme con la religione), il momento
del perdersi dello spirito nella sfera dell’oggettività, dunque, andavano
insegnate dal medesimo professore. Così si potrebbe continuare.
Mediante gli abbinamenti delle cattedre, il maestro può restare
un numero maggore di ore con gli stessi allievi, conoscerli, parlare
con loro, fondersi in un rapporto che, nella sua specificità, non deve
essere condizionato da alcuna interferenza esterna. E ’ così che Gentile,
allo scopo di non condizionare in alcun modo la libertà del maestro,
che è la libertà degli alunni, limita fortemente le competenze degli ispet­
tori, riducendoli anche di numero.
E lascia Gentile la più ampia libertà anche nella organizzazione dei
programmi. Si veda, ad esempio, quanto è contenuto nei Programmi
per le scuole elementari: « Non si prescrivono programmi, ma si additano
i risultati che gli alunni debbono ritrarne: 1° Disciplina individuale e
gerarchia; 2° Cura della pulizia, della sanità, della elasticità del corpo;
»° Preparazione graduale, severa e continuata allo sforzo; 4° Prontezza
nel l’aiuto al più debole; spirito di sacrificio per far godere del giuoco
i più piccoli o i meno destri; apprezzamento senza invidia del valore
degli altri, o spirito di emulazione; 5° Attitudine al comando e capacità
morale di riprendere il cordiale tono di compagno, appena cessato
I ufficio di capo, tenuto durante il gioco» (17). Questi i risultati che
il maestro deve ottenere dai suoi allievi. Per raggiungerli, come è
M i l l o nella Premessa ai suddetti Programmi, egli è libero di usare
i mezzi che vuole.
9 - Come si vede, la passione civile è sempre presente in Gentile.
Iin da piccolo, l’uomo deve essere educato ai valori più nobili dell’umaii,i convivenza: un sano rispetto della gerarchia, la disponibilità nei
.|l( . he un professore che non si sentiva in grado di insegnare anche una
... m uà affine alla sua, non era degno di insegnare.
i/i Programmi per le scuole elementari
25
confronti degli altri, speciimente i più deboli. Già in 5a elementare,
l'allievo deve, nella riforma Gentile, conoscere le nozioni più semplici
dell’educazione civica, relative alle istituzioni politiche, amministrative,
giudiziarie, ecc.
Si giustifica così anche la preminenza data all’indirizzo classico
nella scuola media. Il rilievo che in esso si dà alla storia e alla filo­
sofia fa capire all’allievo il legame fondamentale tra individuo e Stato.
Ha detto Gentile:
« Tendo a concentrare la funzione della scuola media nella scuola
classica; la quale, per il suo valore nazionale ed educativo, avrà una net­
ta preminenza sulle altre scuole destinate alla formazione dello spirito
degli alunni. Di qui la necessità di dare maggiore importanza allo studio
delle lingue classiche, della storia e della filosofia » (18).
Un rapporto così stretto tra il singolo e la società e lo Stato in
cui si trova inserito, viene ancora una volta spiegato da precise tesi
filosofiche, col che si trova anche chiarita l’affermazione di Gentile
relativa al principale concetto ispiratore della sua riforma, e riportata
all’inizio di questo mio scritto. Dal punto di vista della dottrina dello
Stato, Gentile è, senza dubbio, tra i negatori più radicali della teoria
contrattualista: è Tanti - Hobbes, come Tanti - Rousseau. Egli sostiene
che Torigine dello Stato va ricercata, secondo un’espressione che rivela
tutto il suo pensiero, non inter homines, ma in interiore hornine, come
è nell’interiorità dell’uomo che va ricercata, lo abbiamo già notato, la
fonte di tutto quanto appare all’esterno. Se è così, lo Stato non può
essere una sovrastruttura imponibile dalTesterno agli individui da cui
nasce, ma con loro si identifica, e, come loro, ha una profonda sostanza
etica. Non può essere agnostico, indifferente nel campo dei valori, ma
ha valori propri che porta innanzi e difende. Dal particolare rapporto
tra individuo e Stato discende molta parte della concezione gentiliana
del rapporto fra autorità e libertà che ora sembra propendere per l’estre(18) Intervista a « L’Idea Nazionale », cit.
ma libertà dell’individuo, ora per la decisa intromissione dello Stato. In
realtà, il problema della conciliazione tra autorità e libertà è, per Gentoile, inesistente o, meglio, già risolto qualora l’individuo riesca a capire
la sua fondamentale identità con lo Stato. Se questa viene capita e
sentita, lo Stato, da realtà estranea, si immedesima con l ’individuo,
e una sua legge o una sua disposizione o un suo controllo non sono più
intesi come imposizioni o volontà inquisitrice. Ma questo Stato, che si
identifica con la coscienza della nazione, non è estraneo ai suoi senti­
menti e alla sua religione. Dunque, « se lo Stato è coscienza attiva na­
zionale, coscienza dell’avvenire in funzione del passato, coscienza sto­
rica, esso è coscienza religiosa cattolica » (19). Con il cattolicesimo la
coscienza italiana si è identificata per secoli e secoli. Pretendere di
fare, in Italia, un insegnante religioso senza riferirsi a quella partico­
lare forma, significa sognare delle astrazioni.
Nell’ ambito di un tale Stato non può esistere la libertà astratta
degli illuministi: « E non si distingue tra libertà e libertà: tra la liberlà astratta dell’individualismo, che conduce logicamente all’anarchismo;
eia libertà concreta, che è lo stesso Stato. In una concezione l’individuo
c contro lo Stato; nell’altra è nello Stato, e ne riconosce in Sè il vaio­
li-, immedesimando la propria con la volontà statale» (2 0 ).
E’ questa concezione dello Stato e dei suoi rapporti con l’indivi<li io che induce Gentile a far ritornare tutto il Consiglio Superiore
.Iella Pubblica Istruzione di nomina regia, su proposta del Ministro
«nmpei ente; a volere il giuramento dei professori e la nomina regia
•I- i ivi lori e direttori delle scuole accademiche.
IO
- Si conoscono i problemi più importanti che ogni maestr
d. v< porsi nel momento in cui si accinge a varcare la soglia della sua
• l i - ira questi è il rapporto fra la sua autorità e la libertà degli al­
la vi ( Ionie mantenere l’ordine nel senso più pieno del termine e, nel
( ; Cantile, Discorso del 16.XI. 1923, tenuto a ll’inaugurazione della
nu..< m '.visiono del Consiglio Superiore della P.I.
•ni l\>i,
imi
27
contempo, lasciare che i ragazzi manifestino la loro energia, il loro
spirito creativo? Ci si ricordi delle premesse filosofiche accennate. In
un rapporto ideale, che non è, ma è da farsi, il maestro e l’allievo risul­
tano un solo spirito, e sono entrambi completamente dimentichi di tut­
to quanto li circonda. In una tale situazione, che verrebbe voglia di
definire estatica, viene risolta Pantinomia tra autorità e libertà. Il fan­
ciullo assorto ad ascoltare il maestro, che espone l ’argomento del gior­
no, evidentemente non potrà liberarsi all’improvviso di ciò che riesce
a rapirlo per commettere una qualche monelleria. Ma, questa è la meta.
E, perchè la si possa raggiungere, è necessario che il maestro degno di
tale nome sappia dare obbedienza egli stesso, per primo, alla legge
che stabilisce e aprendosi nei confronti degli allievi in un rapporto
d’amore, nel quale si conciliano la sua autorità con la loro libertà. Tale
è la disciplina feconda di spiritualità, che andrà ad arricchire l’animo
di tutti quelli che partecipano ad una simile relazione, del maestro come
degli allievi.
Gentile scrive nella sua « Circolare alle Autorità scolastiche »
del 25 novembre 1922: «Poiché la scuola è, appunto, dello Stato e
della coscienza nazionale uno degli organi più delicati, in essa, prima
che altrove, debbono prontamente inculcarsi e praticarsi il rispetto del­
la legge, l’ordine, la disciplina, l’obbedienza illuminata sì, ma cordiale e
devota all’autorità ».
11
- Strettamente connesso al tema della libertà del rapporto
maestro e allievo, che deve essere indipendente dai pedanteschi con­
trolli di ispettori estranei, è quello di fornire programmi che non
impongano un rispetto portato allo scrupolo dei giorni e delle ore di
lezione. Non può esservi vera libertà nella scuola se viene prescritto,
quasi ora per ora, quello che il maestro dovrà spiegare e l’alunno sor­
birsi. Finisce, con tale costrizione, ogni formazione spirituale, che,
per essere tale, non può che crescere, ad esempio soffermandosi su
autori che maggiormente colpiscono maestro ed allievo, sorvolando su
altri ecc., per dirla in breve, organizzando liberamente il da farsi nella
scuola. Da qui la necessità dell’« esame di Stato » e la conseguente
trasformazione del programma in programma d ’esame. In tal manie­
ra, maestro e allievo sono svincolati dalle costrizioni quotidiane per
puntare soltanto ad una prova finale, che sarà, anch essa, organizzata
in maniera da evitare i difetti di sempre della scuola: mnemonismo,
nozionismo, ecc. L’allievo dovrà dimostrare di essere giunto ad un
grado di maturità tale da meritare la promozione al grado scolastico
successivo. Egli preferirà lo studio affrontato direttamente sui clas­
sici, secondo il metodo che fu già della scuola antica, dando prova di
essere entrato in sintonia con gli autori studiati, di aver capito che
i loro sentimenti e le loro aspirazioni sono i sentimenti e le aspirazioni
di certi momenti del suo spirito. E la prova scritta? Quale potrà essere
se non quella che metta l’allievo nelle condizioni di parlare di ciò che
il suo spirito ha raggiunto ed assimilato? Non più dunque vane inven­
tili di storielle, ma un tema su vari aspetti del programma studiato,
coi quali l’allievo ha avuto modo di familiarizzare e riflettere durante
I nino. Non più un tema che non risponde alle condizioni spirituali
■li (lii dovrà svolgerlo, ma un tema che parte proprio da tali condizioni:
•• No n comporre, perciò, pensieri non più pensati, bensì esporre il
I*' no io come propria vita spirituale, per meglio intenderlo, ordinarlo
• omporlo in più salda unità, unificandolo ancor più con la propria
l" io>iuliià, e però riacquistando a questa quel più intenso vigore, per
•ni, i (assorbito l’oggetto nel soggetto, questo senta e celebri la propria
"•Imu.i r assoluta libertà » (21). L’esame di Stato, dunque, quale nega'•
- m ina della scuola del manuale e del pedantesco: questo nelle
hiimi i..ni di Gentile.
!’
Il secondo pregiudizio che è nel mirino della pedagogia
• ’ mili tila r di tipo specificamente cronologico, in quanto confina
1••!... il alila allo stato di fanciullo, e viene perciò detto pregiudizio
/ . /
Gentile è categorico nell’asserire che all’educazione non
1
'<111111(11 io .... voi. Il, pp. 153 - 4.
si può assegnare nè un inizio nè una fine. L’uomo è sempre educando
Anche quando diventa educatore di giovani menti, non smette d ’imparare
Anzi, proprio dal confronto con gli alunni che lo ascoltano con a t­
tenzione, egli può trarre ulteriore beneficio per la propria formazione
spirituale. « Il vero, è che se l ’educazione è formazione dello spirito,
tale formazione, non ha un termine assegnabile, ma non ha nè pure
un principio. E la ragione è che lo spirito non è nel tempo; anzi, il
tempo è nello spirito » (22).
Gentile, con la sua concezione dinamica, vitalistica del reale, è
portato ad escludere una suddivisione rigida delle diverse età dell’uomo,
infanzia, adolescenza, maturità, vecchiezza. E ’ sempre l’uomo che si
manifesta in diverse maniere, che solo all’occhio del superficiale po­
tranno apparire assolutamente eterogenee tra loro. Il gioco, ad esempio,
che è l ’attività principe del bambino, altro non è se non il suo lavoro.
« L’attività psichica del bambino nel gioco è quella medesima attività
dell’adulto curvo sulle sue sudate carte in cerca del vero, o sull’aratro
faticoso in cerca del pane» (23). L’imitazione del bambino non è
sostanzialmente diversa da quella dell’adulto.
Da questi principi nascono le varie prescrizioni didattiche sulla
libertà da lasciare ai fanciulli della scuola elementare nella loro espres­
sione grafica, nei loro giochi, nelle loro improvvisate recitazioni,
nel canto, in cui l ’unica limitazione deve essere costituita dall’ordine,
dal far sì che il canto non si trasformi in grida scomposte e il gioco in
zuffa: « Cantare, non gridare », « Il canto rimanga ancora un gioco,
sapientemente regolato ».
1 3 -1 1 corrispettivo del pregiudizio pedologico è il pregiudizio
del pedagogismo. Infatti, se va educato soltanto il fanciullo, potrà es­
sere educatore soltanto l’adulto, e quell’adulto con una particolare
tecnica acquisita, il « metodo », cioè l ’arte particolare del maestro,
22) Ivi, voi. I, p. 137.
23) Ivi, p. 148.
30
nella quale molti ripongono una fiducia sconfinata, derivata dal con­
siderare il sapere e l’educazione come un qualcosa di già determinato,
che va semplicemente trasmesso, e non ri-creato, al fanciullo. In veri­
tà, « il maestro che è maestro, non si ripete, ma si rinnova perennemente nello spirito dello scolaro. Vive, e perciò si fa, sempre diverso.
Si prenda la Premessa ai Programmi per le scuole elementari. Qui tro­
viamo: « I programmi che seguono sono delineati in guisa da fare,
per se stessi, obbligo al maestro di rinnovare continuamente la pro­
pria cultura, attringendo non ai manualetti in cui si raccolgono le bri­
ciole del sapere ma alle vive fonti della vera cultura del popolo ». Un sa­
pere così vivo, aderente alla tradizione del popolo da cui si è nati, non
può esser trasmesso servendosi di un metodo prefissato, alieno dal contatlo con quella viva realtà che deve trasmettere. Una concezione vitalistica
come quella di Gentile ammette quale unico metodo quello che si
stabilisce in ogni situazione, tenendo presente la meta, la comunione
nello spirito di maestro ed allievo. Ogni allievo, ogni classe, ha bisogno
«li un maestro che segua un metodo particolare adatto a quella classe,
non già dato una volta per tutte, bensì sempre rinnovantesi per
m.mtenersi aderente alle situazioni spirituali che si presentano sempre
nuove. « Sicché non ci sarà mai il metodo di un maestro; ma questi
iv i ;i nel fatto ogni giorno, ogni ora, ogni istante, continuamente un
un lodo nuovo, identico alla vita sempre nuova del suo pensiero: un
uh lodo vivo» (25). Conformi a questa particolare impostazione pe­
di;*. ..-no didattica i dettami della Premessa ai Prograammi per le scuole
• ni. ni.iri: « Le istruzioni metodiche, ciascun maestro dovrà scoprirle,
«.•in. lino viva norma, in se stesso, aiutato dallo studio degli autori
In lui mo meditato sull’educazione o narrato le loro esperienze spi­
n i l i ili, <
> cica to per fanciulli opere suggestive, nelle quali le norme,
................... mi
enunciate, sono tuttavia implicite. Soprattutto il maestro
li
l \ i
' hi
|>
159.
|. I0U.
perfezionerà il proprio lavoro didattico, vivendo con animo caldo la
vita del suo popolo; riascoltando insaziato la voce dei grandi, già intesa
negli anni della sua istruzione magistrale, e cercando nuova guida alla
sua anima in buoni libri, prima non letti ». E ’ questo il metodo che
seguirà il vero maestro, che voglia realmente porsi come individuazione
dello Spirito universale.
14 - Il concetto speculativo di maestro, in Gentile, è molto chia­
ro: unico a cui si possa dare un simile titolo è lo Spirito universale,
che nella molteplicità delle sue forme educa l ’uomo. Il singolo uomo
è soltanto colui il quale deve manifestare empiricamente quel tale
spirito: « Tanto più eccellente è il maestro, quanto meno lo scolaro
vede fuori del maestro, e quanto meno di diverso vede tra sè e il
maestro » (26).
Il maestro deve diventare il tutto, come unità che si dispiega in
una molteplicità di momenti, in ognuno dei quali, come tutto, è in­
teramente contenuto.
Il suo compito fondamentale sarà realizzare l’idea dell’unità del
sapere, conseguente all’unità del reale, per il quale scopo deve tener
presente diverse condizioni. Scrive Gentile: « Per realizzare quindi
l’unità del sapere come unità spirituale, che è come dire insegnare, oc­
corre egualmente guardare a due esigenze essenziali dell’istruzione,
che sono ancora due aspetti necessari dell’atto spirituale: 1° ogni in­
segnamento si deve innestare nel soggetto già realizzato dello scolaro;
2° ogni insegnamento deve superare questo soggetto » (27). L’allievo
che si trovi davanti a insegnamenti fondati sul suo sapere precedente si
adatta senza traumi ad impararli e interiorizzarli, così che, con un
certo sforzo riesce a superare la situazione in cui, altrimenti, si arenereb­
be. « Tanto maggiore è il piacere, quanto maggiore è lo sforzo », dice
26) Ivi, p. 187.
27) Ivi, voi. II, p. 73.
32
Gentile (28). Solo così si realizza l ’interesse dello scolaro per lo studio
e il suo accrescimento spirituale.
E a tale fine è necessario che si mantenga l’idea dell’unità del
sapere, anche nelle scuole medie, dove la frammentazione dell’insegna­
mento sembra raggiungere i suoi livelli più alti. Ma, non si può, con
ragione, insegnare un certo argomento indipendentemente da tutto il
resto. La geografia, ad esempio, può essere insegnata a patto che in
qualsiasi insegnamento non si perda occasione per richiamare nozioni
geografiche. E così per tutte le altre materie, in maniera che esse ap­
paiano (e siano) non un insieme di programmi giustapposti, ma un
organismo vivente, intimamente correlato in ogni suo membro.
Quello che vale per ciascuna materia nel rapporto con tutte le
.ilire, vale anche per le diverse parti delle diverse materie. « Non solo
l’insegnamento diretto di ciascuna materia deve includere quello indi­
rci lo di tutte le altre, ma l’insegnamento di ciascuna parte d ’ogni ma­
teria implica quello indiretto di tutte le altre » (29).
Insegnare un solo capitolo di storia presuppone l ’immanenza in
quel capitolo di tutta la storia e di tutto il sapere.
I 5 - Questo spiega anche il valore della tradizione nella filosofia
]•« ni iliona. Il suo accento vitalista potrebbe sembrare addirittura icono• I i .ia (e così è, se lo si intende rettamente, come fece Vinciguerra),
mi «gli si preoccupa di dare un valore al passato, senza il quale il pre■ni- non sarebbe presente. Nè, d’altra parte, il passato può mantenere
• ....... » di assolutezza in quanto esso trapassa completamente nel
mi«'Mi ( .cuiile fa ricorso ad una similitudine molto efficace per indi• •" qu»-.lo rapporto fra passato e presente. « Ciò che si risolve - egli
• li1• m conserva in ciò in cui si risolve. Così io salgo per una scala
i « indi) da un gradino all’altro; e quando mi trovo sul terzo, non sono
i .......I ...... io e nè pur nel secondo; ma il terzo è terzo, più alto del
111 /11/ 11 74.
'ni l \ ‘ i i> 121.
33
secondo, e tanto più del primo, in quanto i primi due entrano nell’altez­
za di esso. Altrimenti sarei sempre da capo, non salirei: mancherebbe
la differenza tra un gradino e quello inferiore, mancherebbe il nuo­
vo » (30).
Da qui tutto il valore che nella riforma si attribuisce al passato,
quale esempio di grandezza e di virtù, nel processo educativo. Fin dalla
scuola elementare il fanciullo deve imparare a conoscere e amare i
luoghi che lo ospitano, testimoni di fatti e imprese che aiutano sicu­
ramente a formarsi un carattere forte. Il maestro si rifarà alla memoria
storica del suo popolo, per trarre alimento con cui disporsi degnamente
all’esercizio della sua missione. Le fonti a cui egli deve ricorrere allo
scopo di rinnovare continuamente la propria cultura sono « la tradi­
zione popolare così come essa vive, perenne educatrice, nel popolo,
che sente ancora il dolce sapore della parola dei padri, e la grande
letteratura di popolo, che ha dato, in ogni tempo, mirabili opere di
poesia, di fede, di coscienza, accessibili agli umili, appunto perchè
grandi » (Premessa ai Programmi per le scuole elementari).
16 - E ’ opportuno, a questo punto, trattare delle antinomie
gentiliarxe: educazione negativa ed educazione positiva, educazione
formale ed educazione materiale, istruzione ed educazione, educazione re­
ligiosa ed educazione scientifica, educazione estetica ed educazione umani­
stica, infine l’educazione dello spirito e l’educazione del corpo. Sono, que­
ste, false applicazioni derivanti da una concezione dualistica del reale. I
modi per la loro risoluzione indicati dalla riforma del 1923 sono stati
già evidenziati parlando dei pregiudizi.
17 - La prima antinomia, che può anche dirsi tra autodidattica o
metodo passivo ed eterodidattica o metodo attivo, nasce dalla diversa
considerazione del ruolo del maestro nel processo educativo. Nel primo
caso questo ha un ruolo assolutamente negativo, si preoccupa di salvare
l’educando, ritenuto già portatore dei valori più nobili dell’educazio30) Ivi, voi. I, p. 169.
34
ne, dalle influenze esterne. Nel secondo caso il maestro interviene direttamente nel processo educativo, volgendolo secondo le direttive che egli ri­
tiene più opportune. E' l’antitesi tra Rousseau ed Helvetius, tra una con­
cezione che nega lo svolgimento dello spirito ed un’altra che ne nega
addirittura l’esistenza. E ’ una antitesi che va risolta, perchè lo spirito
è uno e in atto, dunque la vera educazione sarà insieme negativa e po­
si! iva: « L’educazione è negativa, perchè non può essere che libero
svolgimento; ma è positiva, perchè a questo libero svolgimento par­
lici pa tutta la realtà, che lo spirito risolve nel suo processo spiritua­
le » (31).
18
- La seconda antinomia è tra educazione formale ed educa
mi r* materiale. La prima sostiene la necessità di creare nell’educando
un habitus mentale che egli porterà sempre con sè, per tutta la vita.
(.)|iiihIì, è poco importante che, dopo aver lasciato la scuola, egli di­
mmi iclii tutte le nozioni che gli sono state impartite: gli resterà la
« 'p'icità di ragionamento, l ’apertura mentale, l’elasticità nei discorsi
1 m ile situazioni. Per il raggiungimento di questo fine, le discipline
11hli.ile a scuola hanno soltanto valore di mezzo.
Ma, a controbattere queste posizioni, hanno il gioco facile i so'■ mih.ii dell’educazione materiale, i quali ritengono assolutamente
'"nule Iormare una mente che abbia la prontezza e la disponibilità per
‘11M,"ia re qualsiasi argomento e sia poi priva dei contenuti materiali,
i "I" no, delle nozioni che possono fondare adeguatamente ogni e
'!mil i r,i sillogismo.
I Jo m che i sostenitori dell’educazione materiale siano esenti da
mi limile II fatto stesso di ispirarsi a filosofie che negano il valore
"""""'"am cnic creatore dello spirito, li porta a concezioni che rispecI""". p.r.\ivilmente il mondo che gli si offre. Sul piano pedagogico
"mi ".un quindi, per dare importanza all’attività mnemonica, la più
"'■""l" mh '«‘udizione dello spirito, che si trova a dover ripetere cose
i'
I vi
i-
:*.oii.
35
già dette e alle quali nulla può aggiungere della sua creatività perso­
nale. E ’ questa l’educazione « formalista » o « pseudoumanistica ».
Gentile enuncia il suo ideale pedagogico, che è unità delle due
filosofie educative, è un’educazione « attuale »: « cioè formale in quan­
to materiale e materiale in quanto formale » (32).
19
- L’antinomia vista finora è interna al concetto di istruzione,
che può anche formularsi nei termini di un’opposizione tra istruzione
informativa e istruzione formativa. Ma l’istruzione come tale che si
rivolge all’intelletto, sia formativa che informativa, si trova a doversi
confrontare con un altro concetto, l’educazione, che si interessa di
formare tutto il complesso dei sentimenti, delle volizioni umane, in
una parola, il cuore.
E ’ un’antinomia che nasce dal senso comune. Questo nota in
persone di elevata cultura la mancanza delle cosiddette virtù umane,
che il più delle volte appaiono nelle persone semplici, che non hanno
avuto occasioni di acculturarsi approfonditamente. Da qui le conclusioni
di molti nell’un senso o nell’altro: preferibile avere uomini, che sap­
piano entrare in comunione con gli altri, piuttosto che intellettuali o,
viceversa, meglio avere gli uomini di cultura, senza i quali non ci sareb­
be umano progresso; e, se bisogna pagare lo scotto in termini di
umanità, che si paghi pure.
Per risolvere tale antinomia, Gentile propone il suo ideale di
un’istruzione che è sempre educativa, « formatrice della mente e del
cuore ». Infatti, non si dà mai il caso, egli sostiene, di uno scienziato
che sia privo di senso morale nella sua ricerca (33), chè altrimenti
32) Ivi, p. 221.
33) Come si vede, Gentile, che contesta accanim ento tutto il movimento
positivista, accetta di questo tutte le tesi sulla scienza, senza darsi pen­
siero di mostrare, come negli anni in cui egli scriveva si veniva facendo
da qualche parte, che, ad uno studio attento, la scienza è suscettibile di
critiche nel suo seno stesso. La sua perfetta conoscenza della storia della
m etafisica e della filosofia non lo spinge a considerare in profondità il
rapporto tra scienze e morale, e gli elem enti soggettivi che entrano nella
ricerca scientifica.
36
non sarebbe uno scienziato. Nè, d ’altra parte, esiste un solo uomo, il
quale in ogni momento della sua vita sia assolutamente morale. Ogni
uomo deve essere educato ad un comportamento morale, a formarsi
un « carattere ». « Il carattere sta alla volontà come il patrimonio intel­
lettuale un uomo, quello che si dice il suo sapere o la sua cultura, agli
atti concreti della sua intelligenza » (34). E ’ un forte carattere quello
che consente di attaccarsi tenacemente alla verità trovata e permette
di resistere alle pressioni più feroci. E la filosofia è proprio questo,
quando sia vera filosofia: identità tra il pensiero e la vita. In tal ma­
niera si supera ogni antinomia tra la mente e il cuore, « perchè l ’uomo
è sempre morale nel suo mondo. Ma il suo mondo deve continuamente
ampliarsi. Lo scienziato che è pure un cattivo soggetto, è una brava e
onesta persona nel mondo della sua scienza; fuori dalla quale finisce
il suo mondo » (35).
20
- E ’ collegata all’antinomia precedente quella tra educazione
Munifica ed educazione religiosa, in quanto quest’ultima ambisce a
I»>i mare l’uomo nella sua integrità, nel suo essere e mente e cuore. La
" licione nasce da un momento della vita, quello in cui lo spirito, po*i•»■i inizialmente come pura soggettività, si perde nel suo oggetto e
"•'•nosce a questo quei caratteri che sono suoi: infinità, unità assoluta,
•invila creativa ecc. Parimenti la scienza si china dinanzi a un oggetto
■ ii a irò, già presente con le sue leggi, che all’uomo è dato soltanto
•li .iMpriic. L’ questo il mondo in cui domina l ’astratto principio di
••I* ni uà ( lie ritiene ogni cosa essere uguale a sè stessa, mentre lo spirito
imi n i e cambiamento incessante. Esiste perciò un’analogia precisa
m t ..... . .i e religione, tra spirito scientifico e spirito religioso.
I v.c sono il momento in cui l’Io si perde nell’oggetto. Il sog• ii" uiir invece appieno la sua soggettività nell’attività estetica. Il
Vmm** ,I. Il'educazione è dato dalla filosofia, che supera gli esclusivismi
1' '
-’Mi ni . / / in
i " i i vi
|i
, voi. I,
p.
229.
mu,
37
di arte e religione. « L’educazione artistica sarà un’educazione eminen­
temente egoistica, e quella religiosa affatto altruista....L’educazione
filosofica dice con Gesù: - Ama il prossimo tuo come te stesso; - ossia
non fare differenza tra te e il prossimo; tra te e il mondo... Tu e il
resto siete uno: quel medesimo appunto che tu senti di essere» (36).
21 - Resta da considerare l’apposizione tra spirito e corpo. Con­
trariamente a quel che molti potrebbero pensare, Gentile non assume
mai un atteggiamento di dichiarata ostilità nei confronti del corpo.
Anzi, sempre sostenne l’educabilità del corpo e, quindi, la sua spiri­
tualizzazione: « Il corpo è quale noi lo facciamo: più lo spiritualiz­
ziamo, più lo facciamo nostro, più lo spiritualizziamo nella nostra
spiritualità, e più esso acquista di valore» (37). Di chi l ’importanza,
nella riforma del 1923, del canto, della danza, dell’esercizio fisico, tutte
attività non rivolte alla formazione di individui nerboruti o dalla gola
squillante, ma alla formazione del carattere, che sappia essere gentile
e grazioso in una fanciulla, forte e meditato in un giovane.
22 - A questo punto la vexata quaestio, che non si può non af­
frontare : la riforma Gentile è una riforma fascista?
Mussolini, uomo politico formatosi sulla letteratura vitalistica
che*, dopo Nietzsche, aveva conquistato ampie fasce della cultura
europea del primo Novecento, si fece sempre un punto di merito del
fatto che nella costruzione del Fascismo l’azione aveva preceduto la
dottrina. Ne « La Dottrina del Fascismo » (38) egli scrisse: « Il fa­
scismo non fu tenuto a balia da una dottrina elaborata in precedenza
a tavolino: nacque da un bisogno di azione e fu azione; non fu partito,
ma, nei primi due anni, antipartito e movimento » (39).
36) Ivi, pp. 252 - 3.
37 Ivi, p. 261.
38) La Dottrina del Fascismo apparve nel 1932 inserita nel voi. XIV
d ell’Enciclopedia italiana. Era divisa in due parti: la prima, « Idee fondam entali », scritta da Gentile; la seconda, « Dottrina politica e sociale »,
da Mussolini.
39) La Dottrina del Fascismo, II, 1.
38
L’azione fu il grande mito del fascismo, come dell’epoca in cui
si sviluppò. Nel culto del movimento si incontrarono correnti culturali
diversissime tra loro per altri aspetti: pragmatismo, superomismo nicciano, sindacalismo rivoluzionario. Era il bisogno di esplosione che
si provava dopo il mortificante dominio esercitato per quasi mezzo secolo
dallo scientismo positivista. In nome dell’azione si giustifica­
rono, e magari osannarono, gli atteggiamenti più diversi. Solo così
si può comprendere come una tra le figure di maggiore prestigio cul­
turale dei primi decenni del nostro secolo, Georges Sorel, potesse
esprimere giudizi di entusiastica lode contemporaneamente rivolti al
l ise ismo e al bolscevismo (40). Mussolini partecipò attivamente a que­
ll movimenti irrazionalistici. Sia da socialista che da fascista egli subì
proprio il fascino di Sorel, il teorico della violenza rivoluzionaria, e della
hlosnlia della vita. E ’ senz’altro questo il denominatore comune delle
........li verse manifestazioni della sua complessa personalità, occultato
!"i •< solo durante gli anni di quello che De Felice chiama il «fasci­
ni'»
regime», per riapparire poi, con decisione, negli anni della
E pul »l>liea Sociale Italiana.
Mussolini affermò a chiare lettere del vitalismo: « La concezione
li n i ilcila rivoluzione trova nell’odierno indirizzo del pensiero
''l" Mi*" mi demento di vitalità. Il riformismo, invece, il saggio riforni" il«i'iiamente evoluzionistico, positivista e pacifista, è ormai conI "in in- il la decrepitezza e alla caducità » (41). Si leghi questa afferma*...... -Id Mussolini marxista a quella, precedentemente ricordata, del
In ..I........ mai Duce d’Italia, e si capirà il filo conduttore del suo
i ........... *Idia sua azione.
Il la.usino, con Mussolini, si qualificò, dunque, nei primi anni,
>" ni"1mu nio ili azione. Ma era un movimento in cerca di una fe1 ran
'
in.h sodo apparsi per dimostrare la fondam entale identità dei
i ni . ni i
. u l t o del capo, delle elites, poi, del partito, etc. - m a non
!" . <iu< sio. dimenticare le profonde differenze che li dividono.
i' ain ululi, Opera Omnia, voi. IV, p. cit. in: E Nolte 1 tre
,M » i i i - i "i.. Mondadori, Milano, 1974, p. 236.
39
de, di una dottrina, e che ebbe poi la sorte, buona o cattiva che fosse,
di andare al potere. Naturale a questo punto che il fascismo, movimento
d ’azione si rivolgesse a colui che della filosofia dell’atto e della vita
aveva fatto il nucleo centrale del proprio pensiero: Giovanni Gentile.
L’incontro del fascismo con Gentile era inevitabile. In comune avevano
gli stessi miti la nazione e la stessa venerazione per Sorel. « Videalismo
attuale - ha sciritto Adriano Tilgher si riduce alla cieca esaltazione dello
atto vitale, dello slancio vitale, della Vita. L’atto, qualunque atto, di
vita è per la vita che lo vive tutta la verità, tutta la bellezza, tutta la
santità, tutta la giustizia. Per chi non lo vive, per chi lo guarda dal
di fuori, esso è non - vita, errore e male. I due punti di vista sono
ugualmente legittimi, ugualmente giustificati e si equivalgono. Nè v’è
altra verità, altra bellezza, altra giustizia, altra bontà che quella che
si attua nell’atto, nell’atto in cui si attua, per l ’atto che si attua. E ogni
atto di vita essendo sempre tutta la Vita, gli atti sono tutti assolutamente equivalenti. Uidealismo attuale è, in fondo, un energetismo
brutale, un vitalismo assoluto, un irrazionalismo radicale .... La de­
finizione più perfetta che siasi data dell’idealismo attuale è quella di
Mario Vinciguerra in Un quarto di secolo, quando ne definì l’autore: il
teologo del Futurismo » (42).
E ’, questa di Tilgher, una tesi molto ben fondata. Nè vale so­
stenere, come ha fatto Rosario Assunto nel suo saggio su « Educazione
pubblica e privata » (43) che è necessario separare in maniera assoluta
e definitiva la riforma Gentile dal fascismo - che, pure, nei primi anni,
volle quella riforma e la impose, riscuotendo, tra l’altro, il consenso di
larghe fasce dell’opinione pubblica occidentale, interessata a problemi
educativi - per il solo fatto che il Partito Nazionale Fascista aveva
42) A. Tilgher, Lo spaccio del bestione trionfante, edizioni di Piero
Gobetti, 1925, p. 16, cit. in: E. Garin, Note sul pensiero del Novecento, in-.
« Rivista Critica di Storia della Filosofia », XXXIII, fase. Ili, luglio - set­
tembre 1978, La Nuova Italia, Firenze.
43) Compreso nel voi. I d ell’opera collettanea Biblioteca dell’educatore,
«Invita dal prof. Luigi Volpicela, AVE, Milano, s.d.
40
inizialmente preso posizione contro Pesame di Stato (44). Mussolini
stesso, succesivamente, provvide a definire quella riforma « la più
fascista delle riforme fasciste ». Non poteva non essere così, tenuto
conto dell’affinità fondamentale rinvenibile nel comune culto dell’azione
c della vita, di Gentile e del fascismo, contro cui niente vale un’opposi­
zione su problemi che, al confronto, appaiono di dettaglio, e magari de­
dotti non già da una coerente visione del mondo, bensì da considera/.ioni di tattica politica. D ’altra parte l’aristocraticismo di Gentile non
coni tastava con tutto il fascismo, ma soltanto una sua parte, magari
l i più genuina, ma comunque una sua parte.
I ì lei Iivamente Gentile va considerato, come sosteneva Adriano
lìlglicr nel passo citato, un filosofo irrazionalista e vitalista. Potrebbe
.on*rtc, per una tale definizione, un dubbio: quello di Gentile fu un
.ilin.disino del pensiero, mentre le considerazioni dei vitalisti pacifi..... fin e riconosciuti per tali si rivolgevano a questa o quella delle
- ohipmn-nti biologiche e animiche dell’uomo, a seconda delle proprie
ii'Im i ioni: alla violenza fisica, alla fantasia, ecc. Ha scritto Hessen
mi pi opini lo: «
Il concetto della vita nella filosofia gentiliana è esn ni un iile diverso dalla solita e comune filosofia della vita. Mentre
*1 pi .mm.il nano afferma, ad esempio, che la filosofia dipende dalla vita
In 'Imi servire alla vita, per il Gentile, al contrario, la vera vita non
.........In- pensiero e, precisamente, pensiero filosofico» (45).
I'm i ulimcnsionare la portata di una tale obbiezione, basta ri"
- . i o" A:.,-.mito, a conclusione del suo discorso: «R isulterà chiaro,
i- i" l'iiniM, . nulo la riforma G entile, preparata del resto dai precedenti
•
'I ■'.,!• . i meo, non sia em anazione del fascism o citato in quanto tale,
i i ni"'i «li mo idealistico, e come sia stato arbitrario l ’esaltarla e il
e • " !'
i .fronda dei tempi e delle persone, quale m anifestazione
11 *<-■ " ni mo lodilil.urio, che anzi doveva attaccare d all’esterno e d i­
c e Mlhe vi e, quei propositi di educazione nazionale, liberale
1'
"’ i ' m o pni aggiornato di questo vocabolo, a cui si ispirarono il
• =" 1 nuli
i .noi collaboratori» iR. Assunto, op. d i . , pp. 233 - 4).
a
■n in i»‘(l(t<jogia di Giovanni Gentile, Avio, Roma, 1952, pp.
N f
41
cordare le dottrine, centrali in Gentile, della dialettica dell’astratto
e del concreto, e dell’identità tra filosofia e vita. Fatto ciò, è facile
vedere che la pretesa diversità, o addirittura opposizione, tra Gentile
e i pragmatisti, è molto ridotta. Il pensiero e la logica contro i quali
si appuntavano gli strali dei vitalisti, sono innanzitutto il pensiero e
la logica astratti che Gentile così duramente combattè con i suoi scrit­
ti e la sua opera di politico, pur riconoscendo che l’astratto è un mo­
mento necessario della vita dello spirito umano, perchè possa rico­
noscersi quale pensiero ed essere in atto.
Ancora se Gentile fu e riconobbe esplicitamente di essere un li­
berale, non per questo bisogna, come fa Assunto, separare così net­
tamente liberalismo e fascismo. Gentile stesso vide, come abbiamo po­
tuto notare nella sua dichiarazione di adesione al Partito Nazionale
Fascista, in Mussolini il continuatore della politica della Destra storica.
E certo un giudizio del genere non può essere preso alla leggera se è
vero, come è vero, che è stato espresso da un uomo di profonda cul­
tura e dotato di straordinaria penetrazione nei giudizi di carattere
storico e filosofico. Il fascismo si presentava, nel 1923, come un li­
beralismo di tipo ottocentesco nella sua intenzione di ripristinare
l ’autorità dello Stato, chiarire il rapporto tra individuo e autorità, esal­
tare il valore della grande personalità e della nazione che la genera.
Ed era, il fascismo, effettivamente, ancora l’erede del liberalismo
italiano dell’800 nella sua ricerca di una dottrina dello Stato quale do­
tato di un valore morale, dottrina che sarà poi elaborata durante il
Ventennio, con l’apporto decisivo di Giovanni Gentile. Si obbietterà:
il liberalismo è tollerante nei confronti di tutti e inoltre è pacifico, ri­
servando lo spirito di competizione, naturale in ogni individuo, ad una
onesta gara economica. Conviene rispondere con Gentile stesso, e il
lettore scuserà la citazione tanto lunga, ma ritengo che sia veramente
importante: « Dunque, liberalismo sì, ma liberalismo del Risorgimento
italiano ... può anche darsi che tutti fossero liberali in teoria e di fron­
te agli altri; ma in concreto, al fatto, e quando trattavasi non più di
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ottenere la libertà per sè, ma di riconoscere il diritto agli altri, tutti
proclivi ad ammettere che la libertà è sì la regola generale, ma una
regola che soffre molte eccezioni, e che nei momenti importanti non
serve più e va messa da parte; e infine, tu tt’altro che alieni, per conto
proprio e per intanto, dalla dittatura. Tutti, non pure Garibaldi e Maz­
zini, ma lo stesso Gioberti, intollerantissimo di contraddizioni e osti­
natissimo nelle proprie idee, troppo convinto di vedere giusto, per
consentire che altri gli pigliasse la mano; e lo stesso liberalissimo
<'avour, fanatico della libertà finché questa assicurava il dominio del
Parlamento e di tutto lo Stato, ma pronto a ogni sopruso, e illegalità
quando un giornale, come la genovese « Italia del popolo», resistesse
*"ii mazziniana tenacia alla sua politica ... Liberali si volle essere perchè
il popolo italiano - quello dei pochi dirigenti che questo popolo rappi (-schiavano - diventato padrone di sé, potesse conquistare la sua indiI" iidcnza e la sua unità nazionale: due cose complementari, una impos­
t i Ir senza l’altra. E insomma la libertà che si domandava non era
■i'" Hi dell’individuo, ma quella del popolo ... (Il Risorgimento) bisoiii pm dire che fu liberale ma presso a poco allo stesso modo che in'• "d« essere liberale oggi il fascismo: mirando cioè non alla libertà
d' Il individuo, ma a quella dello Stato, senza la quale non c’è libertà
I- i
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'.'.uno » (46).
V è così, dunque, se il fascismo è il continuatore del nostro
l i i ili ni" ottocentesco, non ci si meraviglia se la riforma Gentile è
H. 1"i nei. ni tempo stesso, genuinamente liberale e genuinamente
11
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l l"M" ionie ciò, il fascismo, che pure l’aveva considerata la sua
.............. I' «reazione in campo scolastico, dopo il volgere di non molti
""•* i■1•■ oli
snaturarla in molti dei suoi principi dominanti. Ma,
1 ' l" "piii movimento rivoluzionario, che dell’azione faccia la sua
.1
...............
<trafile, llisorgimento e Fascismo, cit. in: L. Bortone, Le in"
'""i •/« / Il ìsorgi mento, D’A nna, M essina - Firenze, 1974, pp. 117
«
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idea - forza, può mantenersi fedele alla sua ispirazione originaria solo
finché si mantiene in uno stato di opposizione. Nel momento in cui
diventa il creatore di un nuovo ordine, è destinato inevitabilmente,
per dirla con Augusto Del Noce, a « suicidarsi », tradendo la sua voca­
zione attivistica e a tramutarsi, a volte malgrado qualche segno con­
trario, nel suo opposto, cioè nello spirito di conservazione più completo.
Così il fascismo, che solo nei primissimi anni del suo governo, quando
ancora rispettava le regole del gioco parlamentare, si mantenne fedele
alle sue tendenze attivistiche e vitalistiche, incontrandosi con un uomo,
Gentile, che le stesse tendenze aveva, indipendentemente da ogni con­
tingenza politica, organizzate in una rigorosa filosofia. Ma, col tempo,
quando ormai diventava - per dirla con le categorie di De Felice - sem­
pre meno movimento e sempre più regime, il fascismo doveva ab­
bandonare Gentile, pur continuando ufficialmente a considerarlo il
« suo » filosofo, attribuendogli onori e cariche. Ormai il fascismo
doveva incontrarsi e stabilire un'alleanza con i due istituti tradizionali
del nostro Paese: la Chiesa e la Monarchia, che malvolentieri vedevano
certe filosofie, come quella dell’idealismo attuale. E così, poco per vol­
ta, la riforma Gentile fu tradita nello spirito. Il colpo di grazia fu dato
dai Patti Lateranensi, P i i febbraio 1929, quando il fascismo accettò
che si insegnasse la religione anche nelle scuole medie, inferiori e su­
periori, tradendo così la tesi più genuina del suo filosofo, quella che
riconosceva la religione come il momento dell’oggettivazione della vita
dello spirito, dunque da studiare solo nei primi livelli scolastici, alle
elementari, per passare poi allo studio filosofico delle medie. Ha scrit­
to Ugo Spirito: » ... il tradimento che colpì l’opera di Gentile, e che
ha influito sinistramente nella vita italiana, è stato compiuto nel 1929
con la proclamazione dei patti lateranensi, fatto ad insaputa dello stesso
Gentile, che vide capovolta la sua concezione speculativa e rinnegato lo
spirito della riforma della scuola. Tra l’attualismo e il fascismo si de­
terminava così un iato, che ha condotto il nostro paese a trasformarsi
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da Stato laico in Stato confessionale. L’attualismo era stato sconfit­
to » (47).
Il fascismo, che ormai si lasciava dietro la sua veste di movimento
per indossare quella di regime, doveva, obtorto collo, snaturare il
monumento più alto di quel suo passato. Vari ritocchi successivi, e,
in più la Carta della Scuola di Bottai, provvidero, anche su punti so­
stanziali, a modificare la riforma Gentile (48).
FERNANDO DI MIERI
• *' 1
‘l'iiiin, Il Gentile romano, nel «G iornale Critico della Filosofia
IIV (I VI), fase. Ili luglio - settembre 1975, Sansoni, Firenze,
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11
l 'ilio recuperò poi la sua natura di movimento al tempo della
" , =..i*i.n. fi .... mie Italiana, quando, per lo stato di guerra - l ’ideale per un
. 1 11 ' *ivnlii.*innario e per il fatto che ormai controllava solo territori
1 ' "li e» opposizione con tutta la tradizione e riprese molti
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"ii. un i motivi socialistici, l ’ardore in battaglia, lo sprezzo
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