Recensioni teatrali | Teatro.Persinsala.it
Daniele
Rizzo
luglio 1, 2016
Per Il Giardino Ritrovato, rassegna di arte, danza, musica e teatro che,
fino al 16 settembre 2016, animerà il recentemente restaurato giardino di
Palazzo Venezia con un cartellone di assoluta qualità, va in scena Santo
Genet, un cult della Compagnia della Fortezza.
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Fin dal debutto domestico a Volterra, è un enorme riconoscimento di
pubblico e di critica quello che sta accompagnando Santo Genet,
spettacolo della Compagnia diretta da Armando Punzo, ormai in piena
tournée nazionale (Milano, Pisa, Bologna, Siena, Roma).
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Un trionfo, assolutamente meritato, che Persinsala ha seguito passo dopo
passo, dallo studio del 2013 («un intero universo, opulento e barocco,
oscenamente voluttuoso, che attrae e respinge», un’«orgia di senso
pasoliniano» cui partecipare, «dove sei a teatro», ma «la realtà del
carcere, d’un tratto, è più forte dell’illusione dell’arte» – La maschera
dell’attore, Simona Frigerio) all’anteprima nazionale del 2014 («un
viaggio emozionale per spettatori e detenuti che condividono lo stesso
spazio scenico […] facendosi da specchio gli uni con altri» – Un
emozionale viaggio nel profondo dell’animo umano, Laura Sestini),
fino alle meravigliose repliche di Pisa («una volta di più, la scena si
confonde, le voci si accavallavano in citazioni e brani via via più intensi,
evocando ora il peccato del bordello, ora una fede religiosa tinta di rosse
perversioni, ma sempre limpida, più limpida di qualunque altra» – Un
Paradiso artificiale, Sharon Tofanelli e Andrea Bernardo) e Milano («un
teatro utopico […] che trasforma scandalosamente la realtà del carcere in
un luogo di libertà, dove fiorisce quella bellezza che secondo Dostoevskij
avrebbe salvato il mondo» – La bellezza e la maschera, Maurizio
Maravigna).
Pur nati all’interno di un’ecologia unica, dove la potenza espressiva del
contesto di reclusione, unita alla natura itinerante dell’allestimento e a una
sintassi scenica di assoluta anarchia, restituiva al pubblico tutta
l’inquietudine di un’esperienza sconvolgente e la responsabilità del
riconoscere che «l’inferno sono gli altri» (A porte chiuse, Jean Paul
Sartre), tutti gli spettacoli della Compagnia vengono al mondo con
l’intenzione di lasciare il nido e sfuggire da ogni assunzione ideologica o
pietistica, espondendosi concretamente al confronto pubblico attraverso la
contaminazione dei luoghi istituzionali della cultura.
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Lo sviluppo rizomatico tipico della Fortezza, esternalizzato nell’onirico
frontalismo ammirato nei Giardini di Palazzo Venezia, tende a ricomporsi in
una successione disordinata di apparizioni umane che, lasciando
deflagrare la scena per implosione, invade la platea con musica, danze e
presenze, mentre la composizione metafisica della scenografia e
vistostamente barocca dell’allestimento volge naturalmente ad accordarsi
con il senso più profondo dello spettacolo, ovvero smascherare,
ribaltandola, l’opposizione tra ciò che è vero nell’apparenza e ciò che è
falso nella realtà.
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Se drammaturgicamente le scelte di Armando Punzo sono di essenziale
semplicità e indubbia efficacia, dagli specchi disseminati sul palco che
materializzano non tanto gli occhi esterni di chi giudica, quanto il nostro
stesso sguardo che ci riflette, alla fantastica sequenza finale, costruita con
il diretto contributo del pubblico, citazione diretta da Diario di un Ladro
di Jean Genet («uno stretto rapporto esiste tra i fiori e gli ergastolani. La
fragilità, la delicatezza dei primi sono della medesima natura della brutale
insensibilità dei secondi. Ch’io abbia da raffigurare un forzato – o un
criminale, – sempre lo coprirò di tanti e tanti fiori ch’esso, scomparendovi
sotto, ne diventerà un altro gigantesco, nuovo»), sono la profondità e la
lucidità con cui la Compagnia esprime la natura della propria arte
drammaturgica a lasciare disarmati.
Una natura che si condensa nella ricerca di santità, libertà e bellezza,
parole recitate come un mantra da Punzo/Irma, la regina del bordello del
Balcon, non per rimandare l’essere umano a orizzonti impossibili da
raggiungere, quanto a ideali concreti capaci di vincere l’oscurità del
proprio volto che in Santo Genet vedremo trasfigurato con impensabile
semplicità nell’atto sociale per eccellenza, la maschera, limes oltre il quale
ciò che di autentico rimane nascosto eccede quanto di falso non è
manifesto.
Atto – che nell’arte si connota non coercitivo, ma volontario e consapevole
– con cui detenuti di un carcere di massima sicurezza celano culturalmente
il proprio viso sotto una nuova apparenza per non lasciarsi escludere
da/recludere in una definizione eterodiretta e aprirsi alla dignità
universale, così palesando tutta la potenza e l’efficacia del teatro come
contesto trasformativo e, soprattutto, l’assoluta urgenza della
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rivendicazione di un Teatro Stabile nel Carcere che da sempre anima il
cuore del progetto di Armando Punzo.
Lo spettacolo è andato in scena
Palazzo Venezia
via del Plebiscito 118
28 giugno 2016, ore 21.00
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Compagnia della Fortezza presenta all’interno de Il Giardino
Ritrovato. Arte, musica e spettacoli a Palazzo Venezia
Santo Genet
drammaturgia e regia Armando Punzo
musiche originali eseguite dal vivo e sound design Andrea Salvadori
scene Alessandro Marzetti, Silvia Bertoni, Armando Punzo
costumi Emanuela Dall’Aglio
con Armando Punzo
e gli attori della Compagnia della Fortezza Aniello Arena, Placido
Calogero, Rosario Campana, Eva Cherici, Gillo Conti Bernini, Nicola
Esposito, Alban Filipi, Pasquale Florio, Ibrahima Kandji, Carmelo Dino
Lentinello, Sergio Longobardi, Antonino Mammino, Edmond Parubi,
Danilo Schina, Francesca Tisano, Alessandro Ventriglia, Giuseppe
Venuto, Qin Hai Weng
e con i giovanissimi Amelia Brunetti, Gregorio Mariottini, Andrea
Taddeus Punzo de Felice, Tommaso Vaja
con la partecipazione straordinaria di Isabella Brogi
Produzione VOLTERRATEATRO/CARTE BLANCHE – TIEFFE TEATRO con
il sostegno di MiBACT-Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e
del Turismo / Regione Toscana – Comune di Volterra – Provincia di
Pisa / Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra / Ministero della
Giustizia C.R. Volterra
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